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PRINCIPI, METODI E STRUMENTI DI PIANIFICAZIONE E CONTROLLO DELLE AZIENDE PUBBLICHE

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA' DI PISA

Dipartimento di Economia

Corso di laurea Magistrale in Strategia Management e Controllo Indirizzo Costi & Performance

TESI DI LAUREA DI SECONDO LIVELLO

PRINCIPI, METODI E STRUMENTI DI PIANIFICAZIONE E CONTROLLO NELLE AZIENDE PUBBLICHE

Candidato Relatore

Giacomo Pardini Prof. Luca Anselmi

(2)

2

P

rincipi, metodi e strumenti di pianificazione e controllo nelle aziende pubbliche

Indice

Introduzione

1. Princìpi e metodi dell’economia aziendale per la pianificazione ed il controllo

delle aziende pubbliche

1.1. Pianificazione e controllo delle aziende pubbliche 1.2. I gruppi pubblici

1.3. Principali teorie aziendali di public management 1.4. Quadro contabile e dottrina di riferimento

2. Normativa europea

2.1 Quadro normativo europeo

2.1.1. Il processo di costituzione e di sviluppo dell’Unione Europea 2.1.2. La forma di governo dell’UE

2.2 Princìpi contabili europei EPSAS (IPSAS) 2.3 EU Budget focused on results.

2.3.1. Le ragioni dello strumento

2.3.2.Il rapporto tra Stakeholder ed Unione Europea: Il BFOR come strumento per la risoluzione delle inefficienze

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3. La normativa italiana sui bilanci degli enti locali

3.1. I principali cambiamenti imposti dal recente processo di armonizzazione 3.2. L’armonizzazione: come, quando, perché

3.2.1. Evoluzione della normativa

3.2.2. Da cosa è composto l’ordinamento armonizzato

3.3. Il percorso normativo italiano ante il D.LGS 23 giugno 2011, n.118, integrato dalle disposizioni del D.LGS 10 agosto 2014, n.126

3.4 Il percorso di adeguamento all’armonizzazione 3.5 Luci e ombre dell’armonizzazione

3.6 La programmazione finanziaria degli enti locali 3.6.1. Il bilancio di previsione

4. Strumenti di controllo della gestione finanziaria italiana

4.1. Il Campione di riferimento 4.2. La performance in Italia 4.3. Suggerimenti dall’estero 3.6.1. Francia 3.6.1. Svezia 3.6.1. Germania

5. Conclusioni

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Introduzione

Nel corso degli anni, a seguito dell’aumentare della complessità dei mercati e della gestione degli enti economici, si è sempre più resa necessaria l’attività di pianificazione e di controllo in merito alla gestione svolta di qualsivoglia ente. In tal senso per raggiungere ciò che si vuole fare e raggiungerlo con soddisfacimento (Efficacia ed efficienza), è necessario sapere cosa dover fare e quindi pianificare, programmare e controllare.

Quando parliamo di pianificazione viene subito spontaneo pensare alla famosa metafora del vasaio teorizzata da Mintzberg, il quale vedeva l’immagine dell’artigiano come “la più adatta ad evocare il processo da cui nascono valide strategie1”.

Anche in base a quanto detto da Quinn sarebbe più corretto parlare di pianificazione intesa come “strumento per codificare, ma anche per formalizzare e calibrare, finalità concordate, modelli di coinvolgimento e sequenze di azioni2”.

Dopo la pianificazione si rende necessario un’altra azione che costituirà un altro oggetto di questo lavoro, ovvero quella di controllo. Il controllo in linea generale, ha il duplice ruolo di inserirsi tra le varie intersezioni dei processi aziendali con l’obiettivo di identificare il rispetto delle linee guida prefissate e successivamente, assolve la funzione di misurazione delle performance aziendali. Detto questo è opportuno affermare che per svolgere un buon controllo serve una buona pianificazione. Pianificazione e controllo quindi sono elementi essenziali per il raggiungimento dell’equilibrio economico a valere nel tempo. Possiamo distinguere tre tipi di controllo: un controllo gestionale, uno amministrativo contabile e uno di conformità. Una loro azione congiunta può far sì che la gestione avvenga nelle condizioni di migliore economicità, le informazioni prodotte siano efficienti ed efficaci rispetto alle esigenze conoscitive di soggetti interni ed esterni e l’attività aziendale si sviluppi nel rispetto dei regolamenti e delle leggi che li disciplinano3.

Questi due importanti momenti, che verranno ripresi e trattati in maniera molto più approfondita in seguito, vanno poi inseriti all’interno dell’universo delle Amministrazioni pubbliche e degli Enti locali. Questo universo è governato da logiche parzialmente diverse da quelle del mondo delle aziende private, ma le linee guida dettate dal Legislatore e dall’Unione Europea sembrano spingere verso l’adozione delle logiche del New Public Management, con un’attenzione particolare verso il miglioramento delle performance4.

1 Dal Bene L., “Lineamenti di pianificazione e controllo per le amministrazioni pubbliche”, Torino, Ed. Giappichelli Editore,

2008

2 Quinn J.B. Strategic change: logical incrementalism, Irwin, Homewood, 1980

3 D’Onza G., “Il sistema di controllo interno nella prospettiva del risk management”, Milano, Ed. Giuffrè Editore, 2008 4 Anselmi rileva nella Sua opera “L’azienda Comune” che: “Il complesso dei servizi pubblici, nazionali e locali, non è

normalmente confrontabile con quelli dei partner che, sui vari mercati europei sono da tempo a livelli di qualità ed efficienza più elevati, in media, dei nostri”

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5 Nel capitolo 1 ci occuperemo di quelli che sono i princìpi e metodi dell’economia aziendale per la pianificazione ed il controllo delle aziende pubbliche, tenendo d’occhio la teoria del New Public Management che si considererà il faro che ci condurrà attraverso questa indagine.

Nel capitolo 2 ci occuperemo della Normativa dell’UE che costituisce l’ambito internazionale con cui l’Italia è chiamata a confrontarsi più spesso e che è anche la fonte normativa che sta cercando di introdurre il concetto di una correlazione tra performance e risorse attraverso il progetto del “EU budget focused on results”.

Nel capitolo 3 ci si occuperà del legislatore nazionale e dei cambiamenti nella tenuta della contabilità che ha riguardato questo Paese dopo il cambiamento imposto dal D.LGS 23 giugno 2011, n.118, integrato dalle disposizioni del D.LGS 10 agosto 2014, n.126. In questo capitolo si parlerà anche degli strumenti contabili che si riterranno maggiormente adatti al raggiungimento degli scopi fissati dalla riforma che porterà a una contabilità armonizzata.

Nel capitolo 4, si cercherà di dare un’applicazione pratica a quanto affermato nei capitoli precedenti. Molto prosaicamente si adotterà un sistema di benchmarking per cercare di capire quali sono i punti positivi e negativi dei vari tentativi di riforma della contabilità pubblica che sono in corso attualmente in Europa, in particolare tra i Paesi aderenti all’UE, nel tentativo di trarre qualche spunto per il nostro Paese. L’Italia comunque sarà un perno di questo articolo, visto che si prenderà spunto da un generico ente X che ha una popolazione compresa tre 60.000 e 99.999 abitanti per cercare d’individuare una nuova direzione anche per gli enti locali italiani (si adotta una prospettiva ente locale-azienda pubblica per definire le cause d’inefficienza e individuare qualche possibile indicatore e qualche possibile soluzione).

La sfida che sembra prospettarsi è proprio questa: rendere più efficace, efficiente ed economico il processo di programmazione e controllo degli Enti Locali e delle aziende pubbliche ad essi collegate. E l’obiettivo di questo lavoro sarà quello di tentare di delineare delle linee che possano spingere a un miglioramento delle performance degli Enti Locali attraverso un miglioramento nei processi di pianificazione e controllo.

Se possiamo racchiudere l’importanza di tale attività in una citazione, ci sembra calzante affermare che “la potenza è nulla senza il controllo”.

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1.

Princìpi e metodi dell’economia aziendale per la pianificazione ed il

controllo delle aziende pubbliche

1.1. Pianificazione e controllo delle aziende pubbliche

Il processo di pianificazione e controllo delle aziende pubbliche riassume quasi completamente la vita aziendale. Nel tempo si sono susseguiti molti dibattiti per cercare di capire cosa siano la pianificazione e il controllo e su quali strumenti poter fare affidamento. Parlando di pianificazione, non si può trascurare il dibattito che ha portato anche all’evoluzione dei modelli di management.

In origine la pianificazione era vista come una gestione previsionale sostanzialmente orientata al breve termine. In origine si potrebbe dire che sarebbe stato più corretto parlare di programmazione, concetto espresso anche in tempi meno remoti dallo stesso Caramiello che vedeva la programmazione “come una funzione mediante la quale l’azienda disegna il proprio futuro, studia le vie più opportune e predispone le risorse per la sua realizzazione”5. Come credo si possa facilmente evincere, pertanto negli anni passati non era poi così scontato parlare di pianificazione. Questo faceva sì che la pianificazione potesse essere applicata solo in ambienti tendenzialmente stabili, di cambiamenti abbastanza lenti e di ambiti di riferimento per le aziende abbastanza lenti. L’attività manageriale era quella di confrontare gli scostamenti della gestione tra documenti preventivi e consuntivi.

Prima dell’accelerazione alla pianificazione aziendale impressa dagli studi della Harvard Business School, lo studio di Mortara cominciò a spostare gradualmente l’attenzione verso il concetto di prospettiva come ipotesi di andamento o di tendenza e conseguentemente verso una logica maggiormente proattiva.

Secondo gli studi dell’Harvard Business School ci si doveva approcciare alla soluzione dei problemi con un approcci razionale. La pianificazione, secondo l’impostazione del “long range planning”, diventa una proiezione delle tendenze ambientali nel lungo termine. È facile evincere che questa concezione di pianificazione sia applicabile in un ambiente tendenzialmente stabile e con cambiamenti relativamente lenti. La formalizzazione era costituita da piani economici. Ansoff in “Organizzazione innovativa” lo definiva come management per estrapolazione, tipico di un momento in cui il futuro poteva essere ancora previsto in base a quanto era successo in passato.

Andando avanti nel tempo, e con l’avvicinamento alla “Terza Rivoluzione Industriale”, l’ambiente diventava sempre più frammentato e proprio per questo si comincia uno studio dell’ambiente a cui l’azienda deve adattarsi. Per questo motivo si comincia a parlare di pianificazione strategica. In questo caso, l’ambiente viene visto come un insieme di minacce e opportunità. Nel modello si considerano anche le capacità e l’esperienza degli attori. La formulazione della strategia prevede: l’identificazione delle minacce e delle opportunità ambientali, la valutazione dei punti di forza e debolezza

5 Caramiello C., “Programmi e piani aziendali: introduzione allo studio della funzione di programmazione”, Milano, Ed.

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7 dell’impresa, il riconoscimento delle responsabilità sociali dell’impresa e l’esplicitazione di valori e di aspirazioni individuale. L’implementazione della pianificazione strategica prevede la segmentazione del mercato mediante le aree strategiche d’affari (ASA)6, la gestione dell’azienda come portafoglio di una molteplicità di business e l’individuazione di una gerarchia delle strategie. Queste strategie verranno poi in atto nelle arene competitive in cui l’azienda vuole operare attraverso gl’indirizzi strategici che sono la messa in opera degli orientamenti strategici di fondo7.

Quando si parla di una strategia si possono individuare, in base a quanto affermato da Hofer e Schendel, quattro elementi costitutivi di base: il raggio d’azione o il campo di attività, gl’impieghi di risorse o competenze distintive, i vantaggi competitivi e le sinergie. Il problema della pianificazione strategica stava nel fatto che non si poteva applicare a procedure rigide di trattamento.

Le condizioni ambientali imponevano una revisione del modello di pianificazione per tentare di dare una coerenza tra i cambiamenti dell’ambiente e il sistema di gestione strategica. Mintzberg afferma: “la pianificazione strategica non è il pensiero strategico. Anzi la pianificazione strategica danneggia il pensiero strategico facendo sì che i manager confondano la visione reale con la manipolazione dei numeri”8. L’inganno è triplice: da una parte quello di poter fare previsioni precise, dall’altra quello dello scollamento tra chi decide e chi fa, da un’altra parte ancora quello di poter formalizzare la risoluzione dei problemi.

Il management strategico tentava di ridefinire la pianificazione strategica. Lo strategic management cercava solamente di identificare gli strumenti mediante i quali la direzione può cogliere anticipatamente i segnali di cambiamento per cercare di definire una strategia “just in time”, proprio per questo l’azione diventa l’elemento focale. La strategia esiste prima della pianificazione, secondo questa dottrina. Nonostante l’attenzione all’azione resta sempre il fatto che una pianificazione operativa non sembra essere in grado di far fronte alle possibili discontinuità ambientali. Un’ipotesi per fronteggiare questo problema era quella di prospettare la costruzione di scenari, una seconda soluzione integrativa sembrava essere quella della “gestione per eventi strategici” con la redazione di una lista di possibili eventi strategici.

La Learning School evidenzia l’apprendimento strategico e organizzativo che può essere in grado di far emergere una strategia e di farle prendere forma. Le azioni necessarie dipendono dalla fase del processo e un concetto chiave è quello di visione. La visione è una prerogativa di chi ricopre posizioni chiave e la pianificazione appare come un susseguirsi di una serie di fasi di azione-ideazione. Dopo aver messo a punto una nuova impostazione strategica può essere necessario un adeguamento delle capacità operative prima di passare alla fase di messa in opera della strategia. L’apprendimento può

6 Abell la vede come una combinazione tecnologia, prodotto, mercato caratterizzate da un sufficiente livello di autonomia

strategica e da una sufficiente dimensione in termini di cifra d’affari. (Abell R., Hammond J.D., “Strategic Market Planning:

Problems and Analytical Approaches”, PrenticeHall, 1980)

7 Coda definisce l’orientamento strategico di fondo (OSF) di un’impresa come “la sua identità profonda, la parte nascosta e

invisibile del suo disegno strategico presupposto delle scelte che costituiscono il profilo strategico visibile. L’OSF è un insieme di idee-guida, valori e atteggiamenti che definiscono l’identità, effettiva o ricercata, dell’impresa”; (cfr. CODA V., “L’orientamento strategico dell’impresa”, Torino, Ed. UTET, 1988, p. 24).

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8 sfociare in un ampliamento delle capacità. Questo tipo di pianificazione si mostra riuscita in condizioni ambientali complesse. Il “learning by doing” integra la pianificazione razionale con le “strategie emergenti” di Mintzberg. Ci si affida anche a strategie deliberate, secondo Mintzberg.

Mintzberg propone una distinzione ab ovo tra pensiero strategico e programmazione strategica. Il primo sostanzia l’autonomia creativa della visione manageriale. I manager partono da quello che hanno imparato, mentre la programmazione strategica è l’articolazione e l’elaborazione di strategie già esistenti.

Quinn sostiene che il percorso di apprendimento avviene per step attraverso tanti piccoli errori. Secondo lui la formulazione della strategia avviene gradualmente e anche la pianificazione strategica segue questo iter. Secondo Quinn i top manager possono solo fronteggiare le situazioni che gli si presentano, di conseguenza le strategie non possono essere deliberate. Quinn riesce comunque a vedere la pianificazione come uno “strumento per codificare, formalizzare e calibrare, finalità concordate, modelli di coinvolgimento e sequenze di azioni.

Risulta infine interessante da sottolineare l’approccio di Marchi in materia di controllo. Per lui il processo di controllo è un’attività pervasiva di tutta la vita aziendale e si rapporta alle diverse finalità assegnate al controllo stesso andando dal controllo delle performance a quello del personale, passando per il controllo della cultura aziendale. Questo processo è imperniato sul confronto tra risultati e obiettivi articolato in queste fasi principali9:

 Individuazione degli obiettivi da raggiungere, delle risorse usate e dei vincoli che devono essere rispettati

 Misurazione dei risultati ottenuti nelle operazioni di gestione

 Determinazione degli scostamenti attraverso il confronto tra risultati, obiettivi e l’analisi delle cause degli scostamenti

 Definizione e attuazione delle azioni correttive

Attualmente i sistemi di management tendono a diventare meno strutturati e a spostare l’attenzione verso la capacità dell’azienda di mutare efficacemente i propri comportamenti. Precisa Riccaboni che: “In particolare i processi di pianificazione e controllo supportano l’attività decisionale dinnanzi a condizioni di rischio, d’incertezza e di complessità sia interne che esterne all’azienda”10. Vengono maggiormente valorizzati aspetti di natura soft relativi a capacità, individui e cultura.

Si deve cercare di “trasportare” queste tendenze all’interno del mondo delle Amministrazioni Pubbliche. Il sistema pubblico ha subito numerosi cambiamenti da un punto di vista informativo, gestionale e organizzativo cercando di introdurvi concetti come efficienza, efficacia e autonomia organizzativa. Nonostante esistano dei princìpi generali a cui uniformarsi, i sistemi di pianificazione e controllo devono essere disegnati e resi specifici in relazione alle caratteristiche d’azienda o d’ambiente. L’interrogativo fondamentale si riferisce all’applicabilità alle pubbliche amministrazioni dei concetti più recenti elaborati in materia di management.

9 Marasca R., Marchi L., Riccaboni A., “Controllo di Gestione”, Arezzo, Ed. Knowità, 2013 (pagina 103) 10 Marasca R., Marchi L., Riccaboni A., “Controllo di Gestione”, Arezzo, Ed. Knowità, 2013 (pagina 18)

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9 Dopo aver delineato il concetto di pianificazione e controllo, non ci resta che dare una definizione di cosa si intende per “Azienda pubblica”11.

Si parte dal fatto che spesso si fa confusione tra Pubblica Amministrazione e Imprese Pubbliche, riservando solo a quest’ultime la possibilità di essere unità direttamente operanti nel sistema economico. Il concetto di Pubblica Amministrazione è un concetto derivato dal diritto amministrativo ma non può essere mutuato nel mondo economico senza errori o mistificazioni. La Pubblica Amministrazione è formata da elementi non omogenei tra loro.

La distinzione che possiamo fare è tra aziende pubbliche dagli enti e da altre amministrazioni pubbliche. Dobbiamo identificare il sistema delle aziende e unità pubbliche, operando una distinzione sostanziale. Questa distinzione permette di eliminare incomprensioni e di cogliere le complessità di un mondo ricco di differenze e di sfumature. La questione centrale è il riconoscimento dell’aziendalità. Qui ci viene in soccorso il Giannessi che per attribuire il carattere di aziendalità nella presenza di ordini combinatorio, sistematico e di composizione tra forze aziendali e ambientali. Tale guida ci porta a identificare alcune grandi tematiche su cui verificare i caratteri di aziendalità: l’autonomia gestionale, l’economicità, la durabilità e la responsabilità. Spesso i soggetti economici pubblici pensano di poter attribuire alle proprie aziende una mera autonomia operativa, mentre le aziende, le società e gli enti dovrebbero farsi carico di una logica imprenditoriale che presuppone piena autonomia e non solo strumentale.

Le aziende pubbliche hanno dei legami con gli Enti locali che le controllano, nonostante l’esternalizzazione di molti servizi e un percorso di privatizzazione della gestione di cui si parlerà nel paragrafo successivo. Quello che si ritiene opportuno sottolineare in questo paragrafo è il fatto che i principali spazi alle autonomie finanziarie si trovano all’interno del processo di pianificazione. La linea d’indirizzo passa attraverso la valutazione e proposta di revisione e dei programmi. E per questo occorre un sistema di programmazione tempestivo e completo che passi anche attraverso un sistema di programmazione tempestivo e completo, economico e finanziario, un sistema di programmazione e controllo articolato in budget o in bilanci-programma con la stessa funzionalità del budget. Occorre anche un sistema d’informazione tempestivo.

1.2. I gruppi pubblici

Nel paragrafo precedente abbiamo parlato di aziende pubbliche. Non bisogna però trascurare il fatto che attualmente le aziende pubbliche si trovano raccolte spesso in holding. Pertanto prima di affrontare il tema delle teorie di management delle aziende pubbliche, dobbiamo definire ulteriormente il campo in cui ci troviamo.

Dobbiamo innanzitutto chiarire il fatto che, tra le varie forme possibili, il gruppo è quella che permette una maggiore autonomia rispetto alla controllante (l’Ente locale in questo specifico caso). La stessa situazione si presenta anche nel caso delle aziende pubbliche attraverso la formazione di

11 “L’espressione azienda pubblica è costituita infatti da due termini che fanno riferimento a culture molto diverse.

“Azienda” esprime il mondo dell’economia aziendale mentre “pubblica” appartiene al mondo del diritto.” (Anselmi L., “Percorsi aziendali per le pubbliche amministrazioni”, Torino, Ed. Giappichelli, 2014, pagina 31)

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10 gruppi pubblici. Bisogna inoltre precisare che nel gruppo pubblico la componente politica è investita di poteri decisionali a lungo termine e la funzione decisionale è deputata a implementare le scelte di lungo termine mediante l’assunzione di scelte operative di breve termine. Ci sarà l’autonomia strategica della capogruppo e l’autonomia decisionale delle aziende e delle imprese che del gruppo ne fanno parte. Esistono però dei vincoli.

Zappa rilevava che il sistema dei gruppi pubblici non è che una “nuova struttura giuridica e amministrativa assunta dall’ordinamento della pubblica produzione d’impresa” poiché la forma pubblicistica oggi è diventata un impedimento e così “oggi in certi casi si verifica una scissione tra forma giuridica e realtà economica”.

L’economia aziendale ci porta a riscontrare che i livelli di autonomia debbano esistere dovunque si abbia la formazione aziendale: questi livelli possono essere rilevati a livello di capogruppo, nelle singole sub-holding, a livello di finanziarie e a livello di società operative. Ogni livello ha una responsabilità e un’autonomia di scelta.

Il punto nodale del dibattito sull’autonomia è costituito dalla capacità di scelta dei manager, dalla conseguente assunzione di responsabilità e dall’autonomia nelle scelte, fatte salve le deroghe richieste dal potere politico che spesso detta le linee guida. L’adozione della logica di gruppo può nel concreto rendere possibile la coesistenza tra le esigenze d’indipendenza gestionale delle aziende e i vincoli e condizionamenti del soggetto economico pubblico.

L’esplicazione dei ruoli che il processo di esternalizzazione ha assegnato alla capogruppo/Ente Locale si risolve definendo un’impostazione chiara e formalizzata dei rapporti esistenti tra la componente pubblico/politica e quella operativo/gestionale. Serve anche una formalizzazione delle direttive, dei criteri e dei metodi delle valutazioni economiche, finanziarie, produttive e tecniche fatte riguardo alle stesse direttive. La formalizzazione della pianificazione strategica di gruppo rappresenta il momento evoluto consistente nel ripensamento e nella valutazione ex post di un processo di trasformazione dell’ente. Si ha anche la necessità fondamentale di avere riscontri obiettivi su cui poter basare la valutazione sull’amministrazione della società. Nelle aziende pubbliche il soggetto economico è lo Stato e l’autonomia è funzionale, di tipo dialettico.

Il binomio responsabilità-autonomia ha il suo punto critico nelle imprese e nelle aziende pubbliche. Le presenza di “elementi estranei”12 a una corretta logica aziendale da una parte serve alle aziende pubbliche per giustificare le inefficienze attraverso l’assunzione di fini politici che loro non possono definire e dall’altra “dalla parte del livello esecutivo che non ritiene necessario inserirsi all’interno di logiche produttive per disporre di risorse il cui utilizzo non è sottoposto ai consueti controlli parlamentari e amministrativi”13.

12 La presenza di una buona parte di questi “elementi estranei” è legata al fatto che “Le aziende pubbliche costituiscono un

sistema complesso, difficile da “governare” perché si tratta di uno dei sistemi più aperti nei confronti dell’ambiente” (Anselmi L., “Percorsi aziendali per le pubbliche amministrazioni”, Torino, Ed. Giappichelli, 2014, pagina 45)

13 Saraceno P., “Il fine di lucro nelle aziende di produzione”, in Saggi di economia aziendale e sociale in memoria di Gino

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11 Si deve ricordare che, come osservava il Giannessi, il costituirsi di gruppi non risolve i problemi aziendali ma li rende semplicemente estesi a “tutte le aziende del gruppo o dell’intero Paese”14. Inoltre si può affermare sempre d’accordo con quanto affermato da Giannessi che l’essere pubblico o privato non deve distogliere da quello che è l’obiettivo principale delle gestione è l’economicità15. Concordando con Anselmi possiamo affermare che “Le aziende pubbliche devono sopportare i condizionamenti perché se gli Enti Locali e lo Stato le controllano e le finanziano è perché le ritiene uno strumento di politica economica. La base economica aziendale è essenziale per giustificare gli interventi e per dargli una garanzia di copertura durevole. La responsabilità è l’elemento essenziale perché si possa parlare di capacità di scelta. In anni passati si pensava che fosse giusto non avere manager responsabili perché potessero cedere alle pressioni del potere politico ma succedeva che si avevano manager che non potevano generare ricchezza. In questi ultimi anni la mentalità è cambiata dato che si è ricominciato a dare valore all’economicità. I manager hanno riscoperto il gusto delle performance e anche il soggetto economico ha appreso con piacere questa tendenza16. È così che si è giunti alla responsabilità. I vincoli si sono affievoliti e si è arrivati al cambiamento dei risultati e al cambiamento del sistema.”17

Non si pensa di doversi esimere dal ricordare che, pur essendoci diverse forme di partecipazione dello Stato alla vita aziendale come vedremo nel prosieguo del paragrafo, che teoricamente pure lo Stato potrebbe trarne profitto, come ricorda Ceccherelli, ma che comunque l’interagire tra il fine economico aziendale e quello di pubblica utilità porta alla nascita di “nuove e più ampie strutture economiche”.18

Il tema della governance pubblica dei servizi pubblici è in gran parte correlato all’intensificarsi di una pluralità di attori. Ne scaturisce un pluralismo decisionale che preme verso una governance di sistema. Se le prime azioni spingevano verso l’efficienza e l’efficacia, in seguito le esigenze delle PA si sono concentrate sul governo dei confini aziendali e in particolare sulla loro configurazione come gruppo pubblico. Il modello organizzativo sta diventando di tipo reticolare.

Le amministrazioni possono avere un duplice ruolo quello di holding quando attribuiscono la gestione in diverse forme e quello di Authority quando vigilano sulla capacità delle aziende di soddisfare i bisogni collettivi. Una fase successiva alla pianificazione è l’analisi dei possibili collegamenti tra le varie unità organizzative al fine di perseguire economie migliorare la governabilità e il controllo dell’ente locale sulle aziende sottostanti. In questo contesto diventa necessario considerare tre ordini di elementi:

14 Giannessi E., “Interpretazione del concetto di azienda pubblica”, estratto da “Studi in memoria del Prof. Gino Zappa”,

Vol. II, Milano, Ed. Giuffrè, 1961.

15 “Nei limiti della convenzione, tuttavia, la gestione non dovrà essere né pubblica né privata ma solo economica”

(Giannessi, op. citata)

16 “Sempre più sentita l’esigenza delle aziende di servizi di esprimere la propria gestione, l’organizzazione e la rilevazione

in forme snelle, facilmente controllabili, fuori dai formalismi e dalle lungaggini burocratiche delle tradizionali amministrazioni pubbliche” (Anselmi L., “L’azienda Comune”, Dogana, Ed. Maggioli, 2001)

17 Anselmi L., “Percorsi aziendali per le pubbliche amministrazioni”, Torino, Ed. Giappichelli, 2014 18 Ceccherelli A., “Economia aziendale e amministrazione delle imprese”, Firenze, Ed.Barbera,1948

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12  La configurazione del gruppo pubblico

 La rilevazione e misurazione dei risultati del gruppo  La riorganizzazione tecnico-funzionale dell’ente capofila

In questa fase si prenderà in considerazione solo il primo punto, il secondo e il terzo verranno esaminati ampiamente nelle parti successive dell’elaborato.

Si deve innanzitutto fare un quadro preciso della situazione. Prima della Legge 142/90, il solo modo di gestione delle aziende pubblico previsto era quello delle municipalizzate. Le municipalizzate erano gestite con criteri diversi da quelli con cui dovrebbe essere gestita un’azienda pubblica. La componente decisionale e quella amministrativa non erano separate e questo faceva sì che tra le due componenti ci fosse una certa sovrapposizione. Inoltre i manager pubblici erano sprovvisti degli strumenti decisori necessari per poter svolgere al meglio il proprio compito. Inoltre il controllo esercitato era di tipo formale, si attuava quindi un mero controllo di legittimità. Risulta abbastanza facile da intuire che questo sistema di gestione fosse incoerente coi dettami del NPM.

Detto ciò non ci resta che esaminare a fondo le attuali forme organizzative con cui gli enti pubblici erogano servizi ai cittadini.

Lo sviluppo di una governance reticolare ha trovato ampie possibilità di sviluppo anche grazie a una normativa che evolvendosi continuamente ha permesso agli enti locali di avvalersi di diverse forme di gestione societaria, oscillando tra situazioni in cui il controllo pubblico è assoluto (in house providing) fino a compagini in cui la partecipazione pubblica è modesta, se non residuale.

Si possono individuare diversi modelli d’organizzazione relativamente a ciò che concerne i gruppi, che coinvolgono l’ente/capogruppo e le aziende che formano il gruppo:

Il modello classico di Comune Holding: l’ente locale si avvale di una serie di società che operano in classi di servizi più o meno estese nelle quali partecipa in maniera diretta e a intensità di controllo societario differente.

Il modello della società multiservizi (c.d. multi utility): si caratterizza per la circostanza che l’ente locale costituisce una società che opera in più settori e offre una serie articolata di servizi.

Il modello della holding esterna: su questo modello si stanno indirizzando molti Comuni di grandi dimensioni e si caratterizza per la costituzione di una società per azioni che svolge funzioni di holding di un gruppo pubblico locale.

Il modello della holding esterna non esclusiva: si assegnano alla holding esterna molti servizi ma non tutti dato che una parte rimangono direttamente controllati. In alcuni casi è un’evoluzione del modello precedente, in altri è solo un passaggio prima di arrivare al modello precedente.

Si possono individuare anche diversi modelli aziendali presi a riferimento dalla dottrina:

Polo imprenditoriale autonomo: le aziende dipendenti dal Comune/holding agiscono ognuna in uno specifico ambito di riferimento. In questo modello organizzativo non si può però

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13 configurare “l’esistenza di un gruppo vero e proprio, ..., in assenza di un indirizzo strategico posto in essere dall’ente”.19

Azienda poli servizi: l’ente detiene una partecipazione in un’azienda diversificata e organizzata per divisioni. Il governo delle attività sottostanti da parte dell’ente è semplificato dall’esistenza di un unico organo referente. Di solito si concretizza tale soluzione nel caso di ridotte dimensioni territoriali e di utenze per cui il raggiungimento di sinergie può risultare agevole.  Azienda inter ente: nel caso in cui gli enti abbiano una dimensione contenuta. L’area

dell’attività travalica i limiti territoriali del singolo ente per divenire sovracomunale. Risulta agevolato il conseguimento di attività di scala e/o specializzazione.

Sistema integrato d’aziende: è la somma di più poli imprenditoriali. Esiste una duplice forma per pervenire alla concretizzazione del modello del sistema integrato di aziende:

a) La partecipazione diretta dell’ente nelle aziende e una responsabilità immediata

b) Si frappone tra le due entità una holding finanziaria con attribuzione di funzioni d’indirizzo, controllo o integrazione delle aziende facenti parte del gruppo.

Guardando la tendenza attuale risulta abbastanza evidente il fatto che di fronte a una situazione molto complessa si abbiano strumenti informativo-gestionali non adeguati. Si sta tentando di passare gradualmente verso un sistema integrato economico-finanziario per verificare le posizioni di equilibrio su cui si attesta l’azienda pubblica nei suoi vari ambiti d’intervento da parte delle unità erogatrici e della rete a cui appartengono. Questa necessità di integrare i due sistemi era già stata rilevata negli anni ‘90 nelle aziende private anche da Caramiello che vede il programma (dotato di un equilibrio economico “a valere nel tempo”) affiancato da un piano economico (orientato al breve termine e che garantisca l’equilibrio economico dell’esercizio)20.

Va dato risalto al fatto che comunque gli Enti Locali, dopo l’approvazione del D.LGS 23 giugno 2011, n.118, integrato dalle disposizioni del D.LGS 10 agosto 2014, n.126, stanno facendo passi in avanti verso una programmazione finanziaria (il Documento Unico di Programmazione, DUP), di pianificazione finanziaria (il Fondo Pluriennale Vincolato) e verso una contabilità economico-patrimoniale integrata. Della riforma della contabilità degli Enti Locali parleremo comunque più avanti.

1.3. Principali teorie aziendali di public management

Dopo aver parlato dei processi di pianificazione e controllo delle aziende pubbliche e delle loro forme associative prevalenti, sembra sorgere spontaneo un problema: “Come gestirle?”.

19 Bigoni M., “Programmazione e controllo dei gruppi pubblici locali. Dagli strumenti esistenti alle soluzioni innovative per

la governance”, Milano, Ed. Giuffrè, 2012.

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14 L’interesse per gli studi nell’ambito delle pubbliche amministrazioni può essere fatto risalire all’affermazione degli Stati nazionali (XVIII secolo).

In un primo momento la sola concezione teorica esistente era quella del public management. Henry discrimina l’avvicendarsi di diverse visioni paradigmatiche del ventesimo secolo in base alla preminenza dell’orientamento delle ricerche sulle caratteristiche dell’istituzione formale in cui avvengono i fenomeni oggetti di studio (locus) o su singoli aspetti relativi alle specifiche attività che in quelle istituzioni si generano (focus). Il primo paradigma (1900-1926) si concentra sul locus e rileva come l’aspetto di maggiore interesse sia la trattazione della dicotomia politica-amministrazione. Il secondo paradigma (1927-1950) si concentra da una parte sulla determinazione dei princìpi per l’amministrazione e dall’altra sull’impossibilità di considerare in maniera distinta politica e amministrazione e sull’inconsistenza logica dei princìpi di amministrazione. La terza fase paradigmatica vede un allargamento e una ridefinizione della prospettiva di analisi rispetto al focus precedentemente delineato attraverso un percorso di ricostruzione dei legami della scienza con la politica che si riverbera nel quarto paradigma (1975) in una caratterizzazione della disciplina che studia le pubbliche amministrazioni come scienza amministrativa.

Risulta antitetico il modello weberiano basato sulla burocrazia che si basa su un’organizzazione razionale, per molti versi. Il funzionario è un professionista qualificato, il bureau sta al centro di un’area d’interesse che regge su un sistema coordinato di norme chiare che reggono un’organizzazione gerarchica verticistica. Il lavoro è una coordinazione di persone adeguatamente formate, selezionate con un concorso pubblico. La legge è il garante dell’interesse collettivo. Nella teoria burocratica weberiana il sistema di regole che orienta il lavoro degli uffici ha una rilevanza fondamentale anche nella configurazione della forma di autorità che regola i rapporti gerarchici all’interno del bureau che assume un carattere razionale-legale. Weber formula delle ipotesi sulla leadership (che può essere carismatica o razionale) e sull’accettazione degli ordini da parte dei sottoposti.

Tra gli elementi caratterizzanti il modello di Weber s’individuano:

 La determinazione delle aree di competenza dei settori in base a leggi o regolamenti

 L’attribuzione ai responsabili di una data funzione dei mezzi per l’espletamento e della contestuale limitazione di autorità e responsabilità

 Lo svolgimento della funzione tramite procedure ricorrenti e formalizzate  La suddivisione della gerarchia amministrativa in diversi livelli di autorità

 Il riferimento costante alle evidenze dei documenti scritti e catalogato sulle attività svolte in periodi precedenti

La rappresentazione burocratica del modello di Weber è coerente con l’impianto concettuale di Wilson (1887) che evidenzia la necessità di dissociare l’amministrazione dall’influenza politica ed egli propugna la necessità di scindere l’attività d’indirizzo dal recepimento ed esecuzione di tali linee.

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15 L’approccio dicotomico politica-amministrazione cozza con l’unitarietà del fenomeno aziendale e dell’attività di amministrazione. Per Ceccherelli l’amministrazione va intesa come governo, cura e maneggio degli affari, configurando l’azione amministrativa come azione pensata e predisposta dagli organi volitivi che ne presiedono il funzionamento. Per Ceccherelli il divenire aziende pubbliche non riguarda il carattere economico-tecnico delle aziende.

Sin dall’inizio degli anni ’70 sono emersi i problemi della forma di organizzazione burocratica. Alla diffusa percezione dell’inadeguatezza dei cicli macroeconomici si associa la diffusa incidenza dei cicli economici. Questo impone un ripensamento dei meccanismi di coordinamento e dei processi decisionali. In letteratura si evidenzia la difficoltà di gestione dei rapporti tra entità portatrici d’interessi diversi. Si perviene a una rimodulazione della concezione sottostante l’approccio allo studio delle amministrazioni pubbliche. Il ruolo del management pubblico secondo Kaufman esula dai confini formali nei quali l’approccio burocratico lo aveva rinchiuso acquisendo una nuova centralità dando luogo a un processo di ripensamento dell’attività di governo.

In questo quadro s’inseriscono le teorie del processo di cambiamento delle amministrazioni pubbliche che ha interessato alcuni Paesi occidentali a partire dagli anni ’70 e che si raccolgono sotto il nome di New Public Management21 (NPM)22. Tali teorie hanno recepito e codificato nel dibattito accademico le caratteristiche comuni dei processi di ammodernamento che hanno avuto luogo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 in Gran Bretagna, Nuova Zelanda, USA, e Australia. L’indirizzo di rinnovamento recepisce la consapevolezza di un’accresciuta dimensione economica delle unità pubbliche che per fornire servizi qualitativamente e quantitativamente adeguati devono avvalersi di strumenti e logiche manageriali per un appropriato espletamento delle funzioni di monitoraggio e risposta ai bisogni della collettività.

La necessità di una pianificazione strategica a medio-termine era comunque un’esigenza già avvertita negli USA quando Kennedy diede l’incarico a un manager privato (McNamara) già general manager della Ford di dimostrare l’efficacia della logica manageriale all’interno di un contesto pubblico. Il compito che fu affidato a McNamara fu quello di gestire una corsa agli armamenti senza avere le risorse che si hanno a disposizione in caso di una proclamazione di uno stato di guerra. A questo scopo s’introdusse un sistema di pianificazione a lungo termine23 per ottenere i risultati previsti senza pesare eccessivamente sulle casse dello Stato24.

I prodromi dell’orientamento manageriale sono rappresentati da fautori di teorie che andavano contro l’impostazione tradizionale dello studio delle amministrazioni pubbliche. I sostenitori della Public Choice evidenziano il fallimento dello Stato e ritengono auspicabile un sistema amministrativo policentrico credendo che dall’opportunità di scelte differenziate possa nascere un maggiore benessere per i cittadini. La Public Choice era in contrapposizione coi modelli tradizionali e neoclassici

21 “Tali princìpi non possono essere assimilati in maniera sterile pedissequa e meccanica, ma è necessario un impegno

profondo e assiduo, affinché le logiche manageriali siano in grado di rispettare ed esaltare le caratteristiche peculiari di tali realtà” (Lazzini S. in ““Percorsi aziendali per le pubbliche amministrazioni”, op. cit., pag.189)

22 Negli anni ’70 si hanno i prodromi del NPM

23 Il c.d. planning programming budgeting control system

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16 della public administration e si basava sul “presupposto teorico che gli individui agiscano secondo le loro preferenze e tentino di raggiungere gli obiettivi a seconda della situazione”25 in una logica di razionalità limitata.

La valutazione dello stato sociale effettuata nell’ottica dei princìpi della public choice evidenziò come la regola istituzionale di funzionamento della democrazia rappresentativa portava a uno sfruttamento delle minoranze. Le teorizzazioni relative al concetto di NPM vengono realizzate attraverso il passaggio dalla “new public administration”26 e dalla “policy analysis”27.

L’approccio in questione prende spunto dal fatto che l’identificazione delle politiche costituiva solo una parte della soluzione del problema perché l’altra parte era costituita dal management. Si trattava di definire quali fossero le caratteristiche del management pubblico. Si vennero a creare due approcci: uno “scientifico” e l’altro “umanistico”. Sono collegabili all’orientamento scientifico tutti gli strumenti e le tecniche che fondano il loro funzionamento sulla raccolta ed elaborazione delle informazioni utili al processo di pianificazione, d’implementazione e di controllo. L’attività direzionale del manager della scuola scientifica avrebbe dovuto ispirarsi a princìpi scientifici validati dal progressivo accumulo d’esperienza. Il manager della scuola scientifica avrebbe dovuto ispirarsi a princìpi scientifici. Sono esempi di questo filone: lo Zero based budgeting e il Management by objectives.

All’inizio degli anni ’80, l’analisi di Peters e Watermann evidenziò i limiti del management analitico-razionale attraverso una ricerca sulle principali imprese di successo americane, dalla quale emergeva l’orientamento verso uno stile di management basato su elementi soft come la cultura, la motivazione, i valori premendo soprattutto sui processi di realizzazione della strategia e il collegamento con la gestione operativa. Le teorizzazioni relative al management umanistico non sono facilmente riconducibili a un filone unitario.

Il NPM fa sì che sia necessario rimodulare e ridefinire la concezione sottostante l’approccio allo studio delle organizzazioni pubbliche e il ruolo del management pubblico. Esso acquisisce una maggiore centralità nei processi di riorganizzazione funzionale e di ridefinizione delle condizioni di efficacia dell’attività di amministrazione delle unità pubbliche anche. Si dà luogo a un ripensamento dell’attività di governo anche in funzione dell’implementazione di princìpi e prassi innovativi anche mutuati dal settore privato. Il NPM focalizza l’attenzione sul funzionamento delle singole unità pubbliche nei confronti delle quali si stimola il miglioramento della gestione in molti modi diversi tra i quali troviamo: la separazione tra politica e amministrazione, l’inserimento di strumenti e tecniche manageriali come pianificazione e management strategico, la misurazione e valutazione delle

25 Gruening G., “Origini e basi storiche del new public management” in Azienda pubblica, n.6, 1998

26 La new public administration (NPA) affermava che la distinzione tra politica e amministrazione fossero all’origine di

discriminazioni e ingiustizie. La NPA sosteneva la necessità di un maggiore coinvolgimento degl’individui all’interno e al di fuori delle amministrazioni pubbliche per garantire una maggiore equità sociale.

27 La policy analysis (PA) si rifaceva agli studi di Simon. Nella prima accezione la PA si poneva come approccio descrittivo e

interpretativo dei processi politici, dei riflessi operativi degli attori coinvolti. Nella seconda accezione si rivolgeva alla ricerca delle soluzioni più efficaci per i problemi di carattere politico nella convinzione che sarebbe stato necessario sviluppare la valutazione e il monitoraggio dell’implementazione.

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17 performance, la responsabilizzazione sui risultati e il miglioramento della gestione delle risorse finanziarie.

Come afferma Meneguzzo28, il diverso combinarsi dei vari elementi ha generato tre configurazioni del new public management:

 Il modello dello Stato efficiente  Il modello dello Stato efficace  Il Modello dello Stato flessibile

L’approccio manageriale nell’ambito delle aziende e unità pubbliche si può riassumere in questi punti fondamentali:

 Passaggio a un management professionale con manager pubblici cui attribuire autonomia manageriale e responsabilità delle proprie azioni.

 Definizione di obiettivi e valutazione delle performance in termini di raggiungimento degli obiettivi stessi.

 Maggiore enfasi sul controllo degli output con allocazione delle risorse in base ai risultati raggiunti.

 Disaggregazione delle unità con strutture centralizzate divise in unità più piccole e gestibili.  Introduzione di meccanismi di competizione nel settore pubblico per incoraggiare il

raggiungimento di standard qualitativi maggiori con minori costi.

 Pressione sulla maggiore disciplina e parsimonia nell’utilizzo delle risorse per incoraggiare le unità pubbliche a massimizzarne il loro utilizzo.

Col NPM ci si focalizza maggiormente sulle competenze e sul ruolo delle amministrazioni pubbliche centrali, su un decentramento verso quelle locali e/o la costituzione di agenzie e a un maggiore grado di autonomia gestionale per i manager pubblici anche grazie all’ approccio del “management by objectives”. Uno dei meriti del NPM è stato quello di essere il collettore delle diverse teorie. Nel corso degli anni comunque il NPM ha subito numerose modifiche delle leve operative e gli studiosi hanno avuto delle difficoltà a reperire dei princìpi comuni. Esistono infatti dei dubbi tra alcuni studiosi, come Kuhn, sul fatto che si possa applicare il concetto di paradigma alle scienze sociali.

Tra i motivi di criticità nella diffusione delle logiche manageriali del NPM si ravvisano accuse di “Neo- Taylorismo” o perlomeno di richiamare la tendenza normativa del management scientifico. Il NPM è stato rivisto per attribuire rilevanza a fattori essenziali come la tradizione amministrativa dei Paesi, rafforzando l’attenzione sul modo in cui istituzioni e organizzazioni incorporano i valori e le relazioni di potere. L’implementazione delle riforme si sta consolidando con velocità e dinamiche diverse nei diversi contesti nazionali, incidendo sulla dimensione, sul ruolo e sulle funzioni dello Stato, aprendo la strada a paradigmi nuovi nella logica dei network e della public governance. Infatti “con governance

28 Hinna L.-Meneguzzo M.- Mussari R.- Decastri M., “La strategia e la governance nelle amministrazioni pubbliche”, Milano,

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18 viene intesa la struttura che assume un sistema sociale e politico a seguito dello sforzo e degl’interventi effettuati dai diversi attori in esso presenti; in questa configurazione nessun attore svolge un ruolo di primo piano ma vi sono numerose interazioni tra una pluralità di attori”29. Le nuove istanze impongono un approccio al governo e al coordinamento dei sistemi socio-economici basate sull’interazione far governo e società, fra pubblico e privato, e sull’affermarsi di una diversa relazione tra interventi decisi e gestiti a livello politico e amministrativo e forme di auto-organizzazione a livello sociale”30.

Il ruolo del management pubblico non può rimanere confinato al confronto dialettico con la sola dimensione politico-istituzionale dell’azione amministrativa ma presuppone che il manager pubblico sia interprete della convergenza tra esigenze organizzative e di funzionalità interna e stimoli al cambiamento provenienti dall’ambiente circostante. Al fine di consentire ai “manager to manage” (Pollit e Bouckaert, 2004) non è necessario mutuare logiche né tantomeno strumenti ispirati a esperienze di altri settori ma occorre la sussistenza di alcuni elementi essenziali:

 Un’autonomia decisionale effettiva

 Un rinnovato portafoglio di competenze gestionali in un quadro generale caratterizzato dalla tensione costante all’accountability, alla trasparenza e alla responsabilità.

Il ruolo delle pubbliche amministrazioni è paritetico con gli altri interlocutori coi quali formano un network. In questo caso la funzione degli strumenti manageriali perde d’importanza31. La Public governance si basa sulla capacità di creare convenienze o attese nei diversi soggetti. La decisione del governo sta nella definizione di regole e percorsi, criteri per decidere in tempi coerenti coi problemi e chiare penalizzazioni per chi non rispetta criteri, regole e tempi.

1.4. Quadro contabile e dottrina di riferimento

Da quando si è avuta la nascita e lo sviluppo della città moderna, è sorto il bisogno di erogare servizi pubblici.

La Legge 103 del 29 marzo 1903 (la c.d. “Legge Giolitti” o “Legge sulla municipalizzazione”) sorse per rispondere a una domanda crescente e sempre più diversificata di servizi pubblici. Inizialmente la gestione dei servizi pubblici era affidata ai privati in concessione. Questo spinse il legislatore a riformare le modalità di gestione dei servizi di pubblica utilità. La convinzione era quella che la gestione diretta dei governi locali mediante le aziende municipali avrebbe favorito la comunità, grazie a una riduzione dei prezzi e a un miglioramento della qualità dei servizi. Si coinvolgevano i cittadini

29 Meneguzzo M., “Dal New Public Management alla Public Governance: il pendolo della ricerca sulla pubblica

amministrazione” in Azienda Pubblica, n.3, 1995

30 Meneguzzo M., “La strategia e la governance nelle amministrazioni pubbliche”, opera citata

31Come osserva Zarone si renderà essenziale rivedere il ruolo del manager pubblico “in ragione del ruolo essenziale

dell’azione del senior civil servant (della “dirigenza” nel modello italiano) nella transizione verso un concreto ed effettivo orientamento manageriale per il sistema delle aziende e delle unità pubbliche” (Anselmi L., “Percorsi aziendali per le

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19 mediante un referendum sull’opportunità dell’ente di assumere direttamente la gestione di un servizio.

I fini della “Legge Giolitti” erano:

 Garantire agli enti la gestione diretta dei servizi pubblici mediante le aziende speciali

 Richiedere ai cittadini e ai Comuni un’assunzione formale delle responsabilità con una ponderazione sulla convenienza economica delle operazioni

 Prospettare un sistema di controllo sulla gestione centrato sulle autorità comunali e governative

 Prevedere agevolazioni finanziarie per i Comuni che avessero provveduto all’assunzione diretta dei servizi

Le critiche riguardavano l’ingerenza politica, l’incompatibilità tra gestione economica e burocrazia pubblica e l’inefficienza dei meccanismi di controllo.

Nel 1925 viene approvato col Regio Decreto n.2758 del 15 ottobre 1925 il Testo Unico sui pubblici servizi che recepì le integrazioni che il legislatore aveva adottato nel frattempo dall’emanazione della legge 103/1903. Il Decreto conferma e rafforza il ruolo delle aziende municipalizzate ribadendone l’autonomia ed estende alle Province la possibilità di assumere la diretta gestione dei servizi pubblici. Nel Decreto si prevedeva un Regolamento generale sulle fasi di costituzione, amministrazione e vigilanza che verrà emanato solo nel 1986.

L’affermarsi delle aziende e delle unità pubbliche è andato formandosi nel nostro Paese per successive stratificazioni, senza un vero disegno strategico.

L’affermarsi nella seconda parte degli anni ’80 di tendenze culturali e politiche liberiste in Paesi “vicini” non hanno avuto per alcuni anni conseguenze di rilievo per l’Italia: la principale è consistita nell’adozione di forme privatistiche per la gestione di servizi da parte delle unità a soggetto economico pubblico. La situazione è un poco cambiata anche a causa della grave situazione economico-finanziaria dello Stato e delle amministrazioni pubbliche che da esso traggono le proprie risorse. Inizialmente è sembrato sufficiente accentuare e radicalizzare la tendenza preesistente mediante il passaggio verso forme di gestione privatistica, sentite come più capaci di rispondere rapidamente a un ambiente sempre più dinamico e mutevole.

Il dinamismo sociale e la crescita delle dirette opportunità di confronto coi servizi pubblici di altri Paesi che hanno creato le condizioni di “crisi” pure nella convinzione della necessità, dell’opportunità e della superiorità delle forme pubblicistiche di gestione dei pubblici servizi. Si è allora innescato un processo culturale di revisione delle scelte in essere (una situazione comune a molti altri Paesi con un sistema socio-economico-politico non troppo dissimili dal nostro).

Le richieste culturali e gli esempi stranieri hanno comunque dovuto attendere per potersi realizzare in una più generale convinzione non solo della loro opportunità, ma della gravità della situazione patrimoniale-finanziaria del Pese e di gran parte delle sue unità pubbliche.

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20 Dalla crisi dello Stato e delle Economia pubblica è derivata la necessità di abbandonare la gestione di molte aziende operanti nel settore della manifattura e molte unità operanti nei servizi. Si è dovuto quindi riconsiderare tutte le priorità che stavano alla base del concetto di “Stato-imprenditore” che ha accompagnato per lunghi anni la storia del nostro Paese.

L’assetto originario dell’azienda pubblica era rimasto invariato fino al 1990. La Legge 142 dell’8 giugno 1990 è il secondo spartiacque della disciplina della municipalizzazione. Essa ha determinato la separazione tra componente politica e gestionale, ha concesso ampi spazi di discrezionalità agli amministratori locali definendo il concetto di servizio pubblico32 e ha attribuito all’azienda speciale statuto e autonomia imprenditoriale.

Le forme di gestione possono essere: in concessione, in economia33 e quella della S.P.A. a capitale pubblico locale (per questo tipo di società erano previste agevolazioni fiscali per l’esercizio in corso e per quelli successivi), se lo consente la natura dei servizi erogati.

Un’altra legge importante è la Legge 498/1992 che ammette il ricorso alla forma di S.P.A. con partecipazione pubblica minoritaria per la gestione dei servizi, entrata in vigore dopo l’emanazione del DPR 533 del 18 settembre 1999 che prevedeva come limiti e condizioni:

 Una partecipazione pubblica non inferiore al 20%

 La partecipazione privata non deve essere superiore al 51%

 La selezione del partner privato deve avvenire con procedura concorsuale.  Deve essere garantita la rappresentanza pubblica negli enti locali

Con questi nuovi modelli gestionali della società di capitale, in cui l’ente può avere una partecipazione minoritaria, il ruolo dell’ente passa a quello di guida e d’indirizzo da quello di gestore diretto dei servizi pubblici. A tal fine si sono istituiti nuovi strumenti:

 L’Authority (Legge n.481 del 1995)

 La Carta dei Servizi (Legge n.273 del 1995)  Il contratto di Servizio (Legge n.95 del 1995)

L’impostazione normativa regolamentatrice del settore che risulta dal quadro delineato mantiene alcuni caratteri conservatori per i quali non si può affermare che il processo di privatizzazione formale è avanzato. Sembrano prevalere nella normativa le istanze di natura sociale e l’erogazione avviene in regime di monopolio e in parziale assenza di stimoli competitivi al miglioramento della qualità e dell’efficienza.

La Legge 142/90 distingueva i servizi pubblici locali a rilevanza industriale che avevano affidamento congiunto di rete e di servizio, l’affidamento solo mediante gara a cui partecipano società di capitale e limiti massimi alla durata dell’affidamento, e i servizi pubblici locali senza rilevanza industriale.

32 Si tratta di servizi a larga diffusioni, di servizi di base, di servizi che mirano a soddisfare bisogni collettivi essenziali, di

servizi con spiccati caratteri di socialità e di servizi di pubblica utilità.

33 “È consentita la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non sia

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21 L’erogazione del servizio può essere attribuita a:

 Società di capitale individuate con gare con procedura ad evidenza pubblica

 Società con capitale misto pubblico-privato, col socio privato scelto mediante una gara

 Società con capitale interamente pubblico a condizione che l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino un controllo analogo svolto sui loro servizi.

La Normativa attuale è dettata dall’ Articolo 113 (Gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica) e dall’ Articolo 113-bis (Gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale) del TUEL34. Nella normativa attuale, risulta ancora più accentuata la separazione delle competenze tra soggetti privati e pubblici, oltre a fornire la qualifica di servizi che non vengono considerati a rilevanza economica come ad esempio quello dei trasporti.

Dal processo di privatizzazione si attende una serie di conseguenze positive. Ci si attende una migliore regolamentazione delle condizioni di concorrenza a seguito del quale dovrebbe verificarsi un innalzamento del livello competitivo anche dell’economia privata con opportune ricadute nei confronti dell’indebitamento del Paese. Lo stesso programma di privatizzazione dichiara anche di derivare dai Trattati sul Funzionamento dell’Unione Europea.

Il processo di privatizzazione è iniziato con la trasformazione degli enti pubblici in S.P.A. per favorire le successive alienazioni può basarsi sia sulla cessione parziale che su quella totale.

Dobbiamo ricordare che il processo di “privatizzazione” non si basa solo su alienazioni ma accompagna una serie di “aziendalizzazioni” nel campo specifico dei pubblici servizi. La forma privatistica rappresenterebbe la garanzia per cui il soggetto economico ponesse a carico dell’azienda obiettivi di lungo andare incompatibili con la sua economicità e con il suo equilibrio finanziario, le regole che normano le società commerciali segnalerebbero automaticamente all’azionista di maggioranza e agli altri e all’opinione pubblica il venire meno dei requisiti che costituiscono il capitale e/o la stessa esistenza della società.

Nel nostro Paese il sistema delle aziende e delle altre unità pubbliche, a livello nazionale e locale, è andato progressivamente caricandosi di compiti ai quali ha sempre risposto con sempre maggiore difficoltà, mentre si attende dall’attuale processo di “privatizzazione” una revisione profonda delle priorità passate e dei compiti e dei servizi che si dichiara di voler ancora garantire.

Perché sia possibile ricercare un nuovo equilibrio occorre in primo luogo:

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22  La deregolamentazione delle procedure amministrative che incidono sul grado di efficacia ed

efficienza del sistema pubblico

 La rinuncia a una così larga presenza di prezzi politici e tariffe amministrative

 Un rapido processo di rientro del sistema delle aziende pubbliche mediante procedure di dismissione assolutamente trasparenti

 Il processo di acquisizione dei criteri economico-aziendali per le unità pubbliche nazionali e locali che il potere politico deciderà di mantenere nell’esercizio dei pubblici servizi

 La completezza e la chiarezza informativa nelle poche unità pubbliche che per loro natura non possono essere trasformate in aziende affinché i loro risultati, la qualità dei loro servizi e i loro costi possano essere comprensibili ai cittadini

Definire o delineare i confini del concetto di azienda pubblica può essere estremamente complesso per due circostanze: per l’estrema complessità delle forme con cui lo Stato interviene nell’economia e per le non univoche e discordi posizioni della dottrina.

La disciplina delle aziende pubbliche è in continua evoluzione, anche per il susseguirsi di nuove normative contabili che spingono nella direzione di un sistema economico-finanziario-patrimoniale e di cui parleremo nel paragrafo successivo.

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2. Normativa

europea

Come vedremo anche in altri passi dell’elaborato, i legislatori degli Enti Locali appartengono a due impianti istituzionali distinti ma comunicanti, uno Nazionale (di cui abbiamo parlato nel Capitolo precedente) e uno a livello Europeo (ispirati anche a prassi internazionali).

In questo capitolo parleremo della seconda categoria di legislatori fornendo un background di tipo storico, legislativo e di princìpi contabili soffermandoci sullo strumento dell’EU Budget focused on Results.

2.1 Quadro normativo europeo

2.1.1. Il processo di costituzione e di sviluppo dell’Unione Europea

L’Unione Europea è composta da 26 Paesi, dopo l’inizio della recente procedura di uscita del Regno Unito, ed è divisa al suo interno tra Paesi che hanno aderito all’Euro e Paesi che non vi hanno aderito. Il processo d’integrazione è un processo “permanente”. L’Unione Europea è aperta a ogni Paese europeo che voglia entrarvi purché esso soddisfi le condizioni economiche e politiche necessarie dettate dall’Articolo 49 del Nuovo Trattato dell’Unione Europea.

Il processo d’integrazione europeo parte negli anni ’50 con la nascita della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), dell’EURATOM e della CEE35. Esse avevano uno scopo preciso che era l’evitare il rischio del riprodursi in Europa delle condizioni che avevano portato alla Seconda Guerra Mondiale36. Si voleva ottenere questo risultato creando un mercato comune che permettesse la libera circolazione delle merci, dei lavoratori dipendenti e dei capitali, il diritto di stabilimento dei lavoratori autonomi e la libera prestazione dei servizi.

Da allora l’integrazione è andata sempre più intensificandosi (sebbene non siano mancati momenti di criticità in questo percorso) con la stipula di trattati che hanno operato in due direzioni: da un lato nella direzione di un allargamento progressivo dei poteri delle istituzioni comunitarie e dall’altro nella direzione di una modifica dell’impianto istituzionale originario delle Comunità e delle regole decisionali.

35 Istituito col Trattato di Roma del 25 marzo 1957, e di cui è ricorso il sessantennale quest’anno.

36 Robert Schumann, Ministro degli esteri francese, proponeva il 9 luglio 1950 di “mettere l’intera produzione del carbone

e dell’acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possono aderire gli altri Paesi europei”.

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Tavola 2.4.1: Perimetro dell’Unione Europea (Fonte: “Libro Bianco sul futuro dell’Europa”) L’integrazione è avvenuta in una serie di fasi, che riportiamo qui di seguito:

 Il Trattato di Bruxelles (1965) rappresenta la prima forma di coordinamento delle tre comunità, riunificandone gli esecutivi.

 L’Atto Unico Europeo del 1986 prevede l’eliminazione di una serie di barriere che ancora esistevano alla libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali all’interno del mercato unico (in base a quanto segnalato dal Libro Bianco dell’Unione Europea nel 1985). Esso amplia le competenze delle istituzioni comunitarie a nuovi settori e contiene nel preambolo l’intenzione di voler dare vita a un’Unione Europea intesa come forma istituzionale di una più intensa collaborazione tra gli Stati Membri. Si trattava di una collaborazione economica e politica. Si spiega così la creazione del Consiglio Europeo, il potenziamento del ruolo del Parlamento europeo nei processi decisionali e l’avvio della cooperazione in materia di politica estera.

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