Università di Pisa
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale
Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia
Tesi di Laurea
Fistole arterovenose durali spinali:
trattamento chirurgico ed outcome clinico
Relatore
Candidato
Dott. Riccardo Vannozzi
Nicola Spina
“Le imprese che si basano su di una tenacia interiore devono essere mute e oscure; per poco uno le dichiari o se ne glori, tutto appare fatuo, senza senso o addirittura meschino.”
Indice
Capitolo I: Introduzione
1. Anatomia della dura madre spinale ... ... 1
2. Anatomia vascolare del midollo spinale
2.1 Vascolarizzazione arteriosa ... 2
2.2 Vascolarizzazione venosa ... 5
3. Classificazione delle malformazioni vascolari
Arterovenose del midollo spinale
3.1 Fistole arterovenose extradurali ………...…... 10
3.2 Fistole arterovenose intradurali dorsali ………...…….. 11
3.3 Fistole arterovenose intradurali ventrali ...12
3.4 Malformazioni arterovenose extradurali-intradurali …... 13
3.5 Malformazioni arterovenose intra-midollari ...……….... 14
3.6 Malformazioni arterovenose del cono midollare …... 15
Capitolo II: Fistole arterovenose durali spinali
1. Cenni storici ...………...………...……...…. 16
2. Epidemiologia ……..………..……….…. 18
3. Anatomia, fisiopatologia ed eziologia ... 18
4. Aspetti clinici ………...23
5. Diagnosi clinica ………...………….... 25
6. Diagnosi strumentale ……… 27
7. Trattamento …………...….. 33
1. Aspetti generali ………..…….. 40
2. Casistica
2.1 Caso 1 ………..………....…… 46
2.2 Caso 2 ………..…………....…… 47
2.3 Caso 3 ………..………....…… 49
2.4 Caso 4 ………..……… 50
2.5 Caso 5 ………..…… 52
2.6 Caso 6 ………..…… 53
2.7 Caso 7 ………..………… 55
2.8 Caso 8 ………..……… 56
Capitolo IV: Risultati ………..……….…... 58
Capitolo V: Discussione
1. Aspetti clinici ………...………...…….. 66
2. Fattori prognostici ………...…...……... 68
3. Aspetti radiologici ………...…... 70
4. Trattamento ………... 71
Capitolo VI: Conclusioni ………... 72
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Capitolo I.
Introduzione
1.
Anatomia della dura madre spinale
La dura madre spinale costituisce una guaina tubulare di connettivo lamellare, il sacco durale, contenente fibre elastiche e vasi sanguigni intorno al midollo spinale e alla parte superiore del filum terminale. Il sacco durale è fissato superiormente al contorno del grande forame occipitale; è in rapporto in avanti con il legamento longitudinale posteriore della colonna vertebrale e, in dietro, con i legamenti gialli interposti tra le lamine delle vertebre e con il tessuto adiposo ed i plessi venosi contenuti nello spazio epidurale. La dura madre risulta inoltre collegata all’endorachide mediante i legamenti vertebrodurali anteriori, posteriori e laterali. Quelli anteriori uniscono la dura madre al legamento longitudinale posteriore ed ai dischi intervertebrali; quelli posteriori, ben distinti solo nella regione cervicale, si portano sul primo arco vertebrale e sui legamenti gialli corrispondenti; quelli laterali uniscono la dura madre alle porzioni laterali degli archi vertebrali.
A livello della seconda o terza vertebra sacrale, la dura madre si fonde con le altre meningi spinali in una sola guaina (cono durale), che avvolge la parte inferiore del filum terminale e arriva fino alla faccia posteriore del coccige, dove si perde nel periostio.
La superfice interna della dura madre è in rapporto con l’aracnoide ed è forata simmetricamente a livello dell’emergenza delle radici anteriori e posteriori di ciascun nervo spinale, cui fornisce un involucro (guaina durale) fino all’uscita dal foro di coniugazione dove continua con l’epinevrio; essa è unita lateralmente alla pia madre mediante i legamenti denticolati e si collega inoltre con l’aracnoide per mezzo di sottili trabecole intradurali.
2 La dura madre è costituita da strati concentrici di connettivo lamellare, con fasci di fibre collagene longitudinali, trasversali ed obliqui tra cui si trova una rete di fibre elastiche. I rami delle arterie radicolari formano sulle superfici della dura madre due reti anastomotiche; le vene sboccano nelle vene radicolari e successivamente si portano nei plessi venosi vertebrali interni. La dura madre spinale manca di vasi linfatici e l’innervazione è data da rami meningei dei nervi spinali per mezzo di fibre somatiche e viscerali.
2. Anatomia vascolare del midollo spinale.
2.1 Vascolarizzazione arteriosa
La vascolarizzazione arteriosa del midollo spinale è garantita dalla presenza di due reti che si estendono longitudinalmente per tutta la lunghezza del midollo stesso: il sistema arterioso anteriore ed il sistema arterioso posteriore.
Il sistema arterioso anteriore deriva dall’arteria spinale anteriore, la quale origina dalla confluenza di due rami delle arterie vertebrali di destra e di sinistra, si estende nel solco mediano anteriore per tutta la sua lunghezza e dalla quale originano, con un angolo di 90° le arterie del solco, responsabili, mediante i rami perforanti, della irrorazione dei due terzi anteriori del midollo spinale.
L’arteria spinale anteriore risulta essere alimentata dalle arterie radicolari anteriori e da un numero variabile, da cinque a dieci, di arterie midollari; entrambe originano dall’arteria spinale (o vertebro-midollare), che penetra nel canale midollare attraverso il forame intervertebrale anastomizzandosi mediante rami longitudinali con le arterie spinali soprastanti e sottostanti; le arterie spinali originano da vasi arteriosi differenti a seconda del tratto di midollo considerato, in particolare: a livello cervicale dalle arterie vertebrali e da rami del tronco tireocervicale; a livello
3 toracico dalle arterie intercostali posteriori (rami dell’aorta toracica); a livello lombare dalle arterie lombari (rami parietali dell’aorta addominale); a livello sacrale dalle arterie sacrali laterali (rami parietali dell’arteria iliaca interna).
Le arterie midollari durante i primi sei mesi di gestazione garantiscono un apporto ematico ad entrambe le reti arteriose (anteriore e posteriore) a ciascun livello del midollo spinale, ma dal terzo trimestre in poi si realizza una regressione di alcune di esse, dimostrato dal fatto che in età adulta ve ne rimanga un numero variabile da cinque a dieci. Tra queste l’arteria radicularis magna o arteria di Adamkiewicz è sicuramente quella con calibro maggiore e quella dotata di primaria importanza per l’irrorazione della parte medio-inferiore del tratto toracico e dell’intero tratto lombo-sacrale originando, approssimativamente nei due terzi dei casi, in un tratto compreso tra T8 ed L2, preferibilmente a sinistra.
Le arterie radicolari, a differenza delle midollari, sono presenti a ciascun livello del midollo spinale anche in età adulta e garantiscono un apporto ematico sia alla rete arteriosa anteriore, mediante il ramo anteriore che decorre parallelamente alla radice anteriore dei nervi spinali, che alla rete arteriosa posteriore, mediante il ramo posteriore che decorre insieme alla radice posteriore dei nervi spinali, assicurando in tal modo l’irrorazione delle radici spinali stesse.
Di fondamentale importanza per la vascolarizzazione del sacco durale dei nervi spinali e della dura madre del midollo spinale sono le arterie durali, originanti anch’esse dalle arterie spinali o delle arterie radicolo-midollari a ciascun livello del midollo, le quali, come vedremo, hanno un ruolo fondamentale nella comprensione dell’anatomia e della patogenesi delle fistole arterovenose durali.
Il sistema arterioso posteriore è costituito da un plesso vascolare alimentato da due arterie laterali che decorrono longitudinalmente lungo i solchi postero-laterali del midollo spinale e che si anastomizzano vicendevolmente; queste risultano essere alimentate dai rami posteriori delle arterie radicolari e dalle arterie midollari. Da questo plesso posteriore originano i rami perforanti che assicurano l’irrorazione del terzo posteriore del midollo spinale.
4
5
2.2 Vascolarizzazione venosa.
La vascolarizzazione venosa del midollo spinale è garantita dalla presenza di vasi venosi piali radiali, i quali convergono a formare una rete plessiforme coronale disposta longitudinalmente lungo le superfici anteriore e posteriore del midollo spinale. Questo plesso venoso è drenato dalle vene midollari, le quali, così come le arterie midollari, non sono presenti a ciascun livello del midollo spinale, ma sorgono sporadicamente lungo l’asse del midollo spinale ed attraversando lo spazio subaracnoideo perforano la dura madre adiacentemente al sito di penetrazione delle radici nervose; a questo punto le vene midollari (o radicolo-midollari) scaricano all’interno del plesso venoso epidurale o plesso di Batson, attraverso il quale il sangue venoso refluo dal midollo spinale viene drenato mediante le vene intervertebrali e le vene intercostali nei sistemi delle vene azygos ed emiazygos e della vena cava inferiore.
Per potere comprendere a pieno la patogenesi della fistola arterovenosa durale è utile ricordare che le vene midollari non sono dotate di sistemi valvolari veri e propri, tuttavia il punto di penetrazione della dura madre da parte delle stesse vene può essere considerato un sito di maggiore resistenza, andando di fatto a comportarsi come una valvola funzionale che impedisce il flusso retrogrado del sangue venoso dal plesso epidurale al plesso venoso coronale intradurale.1
6
7
3. Classificazione delle malformazioni vascolari arterovenose del
midollo spinale.
Le malformazioni vascolari arterovenose del midollo spinale risultano essere un gruppo molto eterogeneo di lesioni, proprio per questo nel corso della storia diversi autori hanno perseguito l’obiettivo di realizzare una classificazione che fosse quanto più completa e veritiera possibile.
La comprensione della anatomia e della patofisiologia di queste lesioni ha subito un notevole incremento nel corso del secolo scorso ed inoltre, la possibilità di intervenire chirurgicamente e mediante approccio endovascolare, ha reso necessaria una caratterizzazione più specifica di queste lesioni, che è stato possibile effettuare grazie all’introduzione della tecnica di arteriografia spinale.
La classificazione più comunemente utilizzata negli anni precedenti risulta essere quella di Di Chiro et al. and Heros et al., in cui si riconoscono quattro tipi di lesioni: - Tipo I: fistola arterovenosa durale;
- Tipo II: lesione intramidollare o glomo intramidollare;
- Tipo III: malformazione arterovenosa metamerica con estensione extradurale ed intradurale, detta anche “Juvenile lesion”);
- Tipo IV: fistola perimidollare ventrale.2
Altre classificazioni sono quelle di Borden et al., la quale, utilizzando il termine malformazione fistolosa arterovenosa durale (AVFMs), individua tre tipi:
- Tipi I: AVFM coinvolgente il plesso venoso epidurale di Batson;
- Tipo II: AVFM coinvolgente sia il plesso venoso epidurale che il plesso venoso perimidollare;
- Tipo III: AVFM alimentata da un ramo meningeo di un’arteria radicolare che scarica nel plesso venoso perimidollare (corrisponde al tipo I della classificazione di Di Chiro et al.).3
8 La classificazione di Niimi e Berenstein suddivide le lesioni vascolari in lesioni vascolari spinali e lesioni vascolari del midollo spinale. Delle prime fanno parte le fistole durali ed extradurali; delle seconde fanno parte le malformazioni isolate, come le malformazioni arterovenose e le fistole arterovenose, e le malformazioni multiple, comprendenti le forme metameriche e le forme non metameriche.4
La classificazione di Bao an Ling include:
- Malformazioni arterovenose intramidollari: suddivise in glomi (forme localizzate) ed in lesioni di tipo “juvenile”, cioè forme estese;
- Malformazioni arterovenose paravertebrali: lesioni che coinvolgono i muscoli paravertebrali e gli spazi epidurali e paravertebrali;
- Fistole arterovenose intradurali: suddivise in tipo I, II e III in base alle dimensioni ed alla velocità del flusso;
- Fistole arterovenose durali
- Sindrome di Cobb: lesione che coinvolge diverse strutture appartenenti al medesimo metamero.5
La classificazione di Rosemblum et al. riconosce:
- Lesioni durali: fistole arterovenose durali (tipo I di Di Chiro et al.);
- Lesioni intradurali: suddivise in malformazioni arterovenose intramidollari ( a loro volta divise in forme localizzate, i glomi, e forme estese di tipo “juvenile”) alimentate da arterie midollari con shunt patologico localizzato a livello intramidollare e/o della pia madre, e fistole arterovenose intradurali alimentate da arteria durale con scarico venoso a livello delle vene spinali con shunt patologico a livello del midollo spinale e/o della pia madre.6
9 Negli ultimi anni Spetzler et al. hanno proposto un sistema classificativo, modificato rispetto alle precedentemente accennate classificazioni, per le lesioni vascolari arterovenose del midollo spinale basato sulle più recenti scoperte nell’ambito dell’anatomia e della fisiopatologia di queste lesioni; in effetti questo sistema risulta essere il più completo ed il più chiaramente esplicativo, per questo verrà approfondito per una comprensione esaustiva delle lesioni vascolari arterovenose del midollo spinale.2
Primariamente queste lesioni sono state raccolte all’interno di due gruppi, le fistole arterovenose e le malformazioni arterovenose.
All’interno del gruppo delle fistole arterovenose ritroviamo le fistole arterovenose intradurali, a loro volta suddivise in fistole arterovenose durali dorsali e fistole arterovenose durali ventrali, e fistole arterovenose extradurali; all’interno del gruppo delle malformazioni arterovenose ritroviamo le malformazioni arterovenose intramidollari, le malformazioni arterovenose extradurali/intradurali e le malformazioni arterovenose del cono midollare, lesione quest’ultima che non è stata inclusa in nessuna delle precedenti classificazioni ma che merita di essere analizzata.
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3.1 Fistole arterovenose extradurali.
Si tratta di lesioni estremamente rare caratterizzate da una diretta connessione tra un ramo di un’arteria radicolare ed il plesso venoso epidurale che porta allo sviluppo di una fistola arterovenosa extradurale ad alto flusso, il quale determina un imponente ingorgo ed una dilatazione del plesso venoso epidurale risultante in un significativo effetto massa a livello del midollo spinale e/o delle radici nervose. Si possono inoltre determinare ipertensione venosa e, conseguentemente, congestione venosa a livello midollare, responsabile della comparsa di sintomi riconducibili ad una mielopatia, oltre a fenomeni di ischemia, secondariamente allo shunt arterovenoso, determinanti infarto midollare e peggioramento della sintomatologia.
A. B.
Fig.3 A.Illustrazione assiale di una fistola arterovenosa extra-durale lungo il ramo perforante di una arteria vertebrale di sinistra. B.Posteriormente si apprezza una congestione dei vasi venosi epidurali che può indurre effetto massa a livello delle radici spinali e del midollo.2
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3.2 Fistole arterovenose intradurali dorsali.
Si tratta della tipologia di fistola arterovenosa spinale più comune, corrispondente al tipo I della classificazione di Di Chiro et al., costituita da una connessione diretta tra un ramo durale di un’arteria radicolare ed il plesso venoso coronale mediante l’interposizione di un vaso venoso radicolo-midollare; il sito fistoloso risulta localizzato a livello del sacco durale della radice nervosa. In questo caso l’arterializzazione del plesso venoso coronale esita in una congestione venosa, causa di sofferenza midollare dunque di sintomi riconducibili a mielopatia.
A.
B.
Fig. 4 A. Illustrazione assiale di una fistola arterovenosa intra-durale dorsale che mostra un anomalo vaso arterioso radicolare lungo la radice nervosa di destra. B. Posteriormente si apprezza il plesso venoso coronale dilatato e la vena radicolare arterializzata in comunicazione con il vaso arterioso.2
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3.3 Fistole arterovenose intradurali ventrali.
Si tratta di lesioni localizzate sulla linea mediana della faccia ventrale del midollo spinale caratterizzate da un’anomala comunicazione tra l’arteria spinale anteriore
ed il plesso venoso coronale all’interno dello spazio subaracnoideo. In base alle dimensioni sono suddivise in tre tipi: a) fistola piccola con shunt
caratterizzato da basso flusso sanguigno che determina minime alterazioni emodinamiche quindi modesta ipertensione venosa; b) e c) fistole di dimensioni maggiori caratterizzate da shunt con più alto flusso e conseguentemente maggiori alterazioni emodinamiche.
A. B.
Fig. 5 A. Illustrazione assiale di una fistola arterovenosa intra-durale ventrale derivante da un’anomala comunicazione tra l’arteria spinale anteriore ed il plesso venoso coronale. B. Visione anteriore del plesso coronale congesto e della arteria spinale anteriore.2
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3.4 Malformazioni arterovenose extradurali/intradurali.
Si tratta di lesioni abbastanza rare, precedentemente indicate come di tipo III, metameriche o “juvenile” e, come suggerisce il termine, sono molto più comuni in età infantile sebbene possano essere presenti anche in età adulta. Queste malformazioni possono coinvolgere diversi tessuti, come l’osso, il muscolo, la pelle, il canale spinale, il midollo spinale e le radici nervoso a qualsiasi livello dell’asse spinale. Quando vengono coinvolti tutti i tessuti a livello di uno stesso metamero si parla di Sindrome di Cobb.
A.
B.
Fig. 6
Visione assiale (A) ed anteriore (B) di una malformazione arterovenosa extradurale/intradurale; si evidenzia come questo tipo di lesione interessi diverse strutture, tessuti molli, osso, canale spinale, midollo spinale e radice dei nervi spinali. Queste caratteristiche la rendono una lesione estremamente difficile da trattare.214
3.5 Malformazioni arterovenose intramidollari.
Si tratta di lesioni localizzate all’interno del parenchima del midollo spinale alimentate da afferenze arteriose provenienti dall’arteria spinale anteriore o dalle arterie spinali postero-laterali, differenziate in lesioni localizzate od estese a seconda della espansione del nido malformativo. Risultano essere solitamente lesioni ad alta pressione e ad alto flusso, con elevata tendenza alla evoluzione emorragica la quale è responsabile, insieme all’effetto compressivo esercitato dal nido sul parenchima sano, della sintomatologia associata a questo tipo di lesione, consistente in una progressiva mielopatia.
A. B.
Fig. 7 A.
Illustrazione assiale di un compatto nido malformativo arterovenoso intramidollare; è possibile visualizzare un vaso afferente arterioso proveniente dalla arteria spinale anteriore.B.
Posteriormente è possibile apprezzare un secondo vaso afferente arterioso proveniente dalla arteria spinale posteriore; è inoltre chiaramente enfatizzata la natura compatta del nido malformativo.215
3.6 Malformazione arterovenosa del cono midollare.
Si tratta di lesioni caratterizzate da una complessa angioarchitettura con afferenze arteriose generalmente multiple da parte dell’arteria spinale anteriore, delle arterie spinali postero-laterali e delle arterie radicolari con scarico a livello dei plessi venosi coronali anteriori e posteriori. Il nido malformativo è localizzato generalmente a livello perimidollare e piale, sebbene possa essere presente anche una componente intramidollare. Sono lesioni sempre localizzate a livello del cono midollare e della cauda equina potendo estendersi anche a livello del filum terminale; in virtù di questa localizzazione possono manifestarsi mediante sintomi riconducibili a mielopatia e radicolopatia. Possono inoltre determinare congestione venosa, ischemia e fenomeni emorragici che inducono esacerbazione della sintomatologia.7
A. B.
Fig. 8 A. Illustrazione assiale di una malformazione arterovenosa del cono midollare che
mostra afferenze arteriose provenienti dalla arteria spinale anteriore e dalla arteria spinale posteriore e la presenza di vene drenanti nel contesto anteriore e posteriore del midollo; si nota la presenza della lesione in prossimità della cauda equina.B.
Posteriormente viene ulteriormente apprezzata la complessità del nido malformativo.216
Capitolo II.
Fistole arterovenose durali spinali
1. Cenni storici
Non è esattamente chiaro chi abbia descritto per la prima volta questo tipo di lesione; la prima descrizione dettagliata da un punto di vista clinico e patologico è stata effettuata da Foix e Alajouanine nel 1926. Essi descrissero le caratteristiche cliniche ed i ritrovamenti post-mortem in due giovani uomini affetti da mielopatia ascendente, i quali morirono 33 ed 11 mesi dopo l’insorgenza della sintomatologia. Il primo paziente di 29 anni presentava una storia di progressiva “claudication intermittente de la moelle” da sette mesi, problemi minzionali ma nessun sintomo di tipo sensitivo. All’esame clinico mostrava dolore a livello delle cosce e dei glutei, riduzione della forza alla dorsiflessione del piede ed alla estensione della gamba, clono del piede e riflessi rotulei vivaci, assenza del segno di Babinski. Un anno e sei mesi dopo l’insorgenza dei primi sintomi il paziente si presentava completamente paraplegico e con disturbi della sensibilità, primariamente con perdita della sensibilità termica e dolorifica nella regione glutea e nella parte posteriore delle gambe fino ad arrivare alla perdita totale della sensibilità a livello degli arti inferiori. Sopraggiunse la morte 33 mesi dopo l’insorgenza della malattia. Il secondo paziente di 27 anni lamentava debolezza agli arti inferiori dopo una giornata di lavoro, la quale inizialmente si risolveva con il riposo ma che successivamente diveniva progressivamente persistente. All’esame clinico presentava paraparesi con marcata debolezza alla flessione della gamba, assenza dei riflessi plantari e rotulei; dopo otto mesi dall’insorgenza della malattia compare una totale paraplegia flaccida, areflessia totale (compresa quella addominale e cremasterica) perdita della sensibilità termica e dolorifica al di sotto dell’ombelico,
17 incontinenza urinaria e stipsi. La morte sopraggiunse undici mesi dopo l’insorgenza della sintomatologia. L’esame autoptico rivelò un quadro molto simile nei due soggetti, ed in particolare necrosi estesa a livello della sostanza grigia e della sostanza bianca del midollo spinale, di grado severo a livello sacrale ed a livello lombare, riducendosi progressivamente fino al livello toracico medio. La degenerazione necrotica interessava anche le radici anteriori e, in misura minore, le radici posteriori. Ancora più evidenti risultarono le alterazioni a livello dei vasi sanguigni, sia quelli intrinseci che quello extramidollari: essi apparivano congesti, con ipertrofia della tonaca intima e muscolare, tortuosi e dilatati. Queste alterazioni riguardavano i vasi compresi tra la zona della cauda equina ed il tratto toracico superiore, quindi anche siti in cui le alterazioni parenchimali erano minime. Nonostante queste evidenze, gli autori non avevano alcuna certezza su quale fosse la causa delle alterazioni notate e quindi poterono solo supporre che le anomalie vascolari fossero la causa della degenerazione necrotica. In virtù di queste osservazioni, Foix e Alajouanine definirono questa entità nosologica “myélite nécrotique subaigue”.8 Nel corso del secolo scorso ci sono state altre definizioni attribuite da diversi autori a quelle che oggi conosciamo come fistole arterovenose durali spinali, ed in particolare “angiodysgenetic necrotizing myelopathy” da Scholz
e Wechsler 9 e da Jellinger et al.10, “angioma racemosum venosum” da Krause, “angioma venoso” da Pia e Vogelsang11.
Tuttavia un significativo sviluppo nella comprensione delle fistole arterovenose si è avuto a partire dal 1950 con l’introduzione della tecnica della angiografia spinale, mediante la quale è stato possibile visualizzare direttamente l’angioarchitettura della malformazione, le afferenze arteriose e gli scarichi venosi, oltre all’esatta localizzazione lungo l’asse spinale. Il primo lavoro in cui vengono descritte lesioni vascolari spinali dimostrate angiograficamente è quello pubblicato da Houdart et al.12; successivamente Djindjian è stato il primo a descrivere come alcune malformazioni arterovenose siano costituite da uno shunt arterovenoso che non coinvolge il plesso capillare.13 Finalmente, nel 1977 Kendall e Logue dimostrarono
18 come il sito fistoloso non è localizzato a livello del midollo spinale ma a livello del sacco durale della radice nervosa.14
2. Epidemiologia
Sebbene si tratti di una patologia rara avente un’incidenza che oscilla tra i 5 ed i 10 casi per milione all’anno nella popolazione generale, risulta essere di gran lunga la più comune tra le lesioni malformative arterovenose del midollo spinale, andando a costituire una percentuale compresa tra il 60 e l’80 per cento delle stesse lesioni. 6,14-17I pazienti colpiti da questa patologia sono generalmente uomini, vi è un rapporto maschi:femmine di 5:1, con un’età media di 55-60 anni; raramente vengono colpiti soggetti con un’età inferiore ai trenta anni, dato questo in contrasto con l’età media dei pazienti affetti da fistola arterovenosa peri-midollare, la quale si aggira proprio intorno ai trenta anni.8 Dalla letteratura si apprende che, eccezion fatta per un singolo caso, non è stato mai documentato un soggetto affetto da questa patologia al di sotto dei venti anni.18
3. Anatomia, fisiopatologia ed eziologia
Il tratto fistoloso risulta essere costituito da un’unica, nella maggior parte dei casi, o da multiple afferenze arteriose provenienti dal ramo durale delle arterie spinali o radicolo-midollari e da efferenze venose costituite dalle vene radicolo-midollari intradurali. Risulta frequentemente localizzato a livello del forame intervertebrale nel contesto del sacco durale delle radici posteriori dei nervi spinali nel punto in cui la vena radicolo-midollare perfora la dura madre per portarsi nello spazio epidurale, in posizione adiacente rispetto al punto di penetrazione dell’arteria radicolare.8,19-21
19 In condizioni normali il sangue venoso refluo dal midollo spinale viene drenato tramite le vene midollari nei plessi venosi epidurali in direzione preferibilmente craniale, ma talvolta sia craniale che caudale.
A. B.
Fig. 9 A. Immagine raffigurante la normale vascolarizzazione del midollo spinale; in
particolare si apprezzano i rami arteriosi radicolo-midollari ed i rami durali.B.
L’immagine raffigura la morfologia del plesso venoso coronale posteriore che appare dilatato e tortuoso in seguito alla formazione della fistola arterovenosa durale; si evidenzia il sito di fistola a livello del forame di coniugazione in posizione adiacente alla radice del nervo spinale e la vena drenante arterializzata.1
20 La presenza dello shunt arterovenoso determina tuttavia una arterializzazione della vena drenante ed ipertensione venosa a livello della stessa vena e del plesso venoso peri-midollare, i quali, non essendo strutturalmente adatti a contenere sangue ad alta pressione, subiscono una alterazione delle tonache che ne costituiscono la parete e, conseguentemente, modificazioni della morfologia, risultanti in dilatazioni e tortuosità significative a carico degli stessi vasi.
Tali anomalie anatomiche esitano in alterazioni funzionali consistenti in congestione venosa a livello delle vene midollari e del plesso coronale e possibilmente in trombizzazione delle stesse, eventi questi che inducono una congestione venosa a livello intraparenchimale, con formazione di edema midollare, ischemia e, nei casi più gravi, infarti midollari; queste ultime due condizioni sarebbero determinate dalla riduzione del gradiente pressorio arterovenoso che si viene a realizzare in seguito alla formazione della fistola e che esita in ridotta perfusione tissutale.22
Tale meccanismo patogenetico è stato confermato dalla misurazione intra-operatoria della pressione vascolare a livello della fistola, la quale risulta essere approssimativamente il 74% della pressione arteriosa sistemica23; un incremento della pressione arteriosa, quindi, si ripercuote a livello della pressione a livello della fistola e, conseguentemente, a livello della pressione venosa midollare, il che spiegherebbe come mai alcuni pazienti riferiscono una esacerbazione della sintomatologia in seguito ad esercizio fisico (si parla di claudicatio neurogenica).24 In accordo con gli studi angiografici circa l’80% delle lesioni è localizzato ad un livello compreso tra D5 e L2, solo il 4% sono localizzate a livello sacrale ed il 2% a livello cervicale alto adiacentemente al forame magno, mentre quelle a livello cervicale basso sono estremamente rare.8,25-27
Le fistole durali sono generalmente uniche, solo nel 0,5-4% dei casi ve ne è più di una.25,28,29
Due caratteristiche da tenere in considerazione nella valutazione delle fistole durali sono l’entità del flusso (alto o basso) nel tratto fistoloso ed il numero di vene trombizzate, qual ora ce ne fossero; una grande velocità del flusso ed una occlusione
21 venosa di elevata entità determinano maggiori difficoltà di scarico venoso e per questo rischio molto elevato di edema midollare e conseguentemente di comparsa di sintomatologia riferibile a mielopatia. L’ampio ventaglio di situazioni anatomopatologiche che può derivare dalla combinazione di questi elementi si riflette nei vari quadri radiologici che possono essere riscontrati nel momento in cui si effettua diagnosi di FAVD, in particolare alterazioni evidenziabili con esame di risonanza magnetica, le quali possono spaziare da alcuna evidenza di edema ad un interessamento dell’intero midollo spinale, e nelle varie manifestazioni cliniche presenti al momento della diagnosi, potendo queste essere praticamente nulle (nel caso di diagnosi incidentale) o coincidere con quadri di tetraparesi completi.30 In particolare uno studio ha evidenziato come ci sia una chiara correlazione tra la severità dell’edema midollare e l’estensione e la lunghezza delle vene midollari efferenti dal punto di fistola al punto di drenaggio nel sistema venoso epidurale; maggiore è la lunghezza e la tortuosità delle vene drenanti minore è la capacità di scarico e, consequenzialmente, la capacità di drenaggio venoso risulta essere inversamente proporzionale al numero ed alla estensione delle vene drenanti disfunzionali.19
La progressione dell’edema procede generalmente in senso postero-anteriore e caudo-craniale, fenomeno questo riconducibile alla presenza a livello toracico basso di minori efferenze venose rispetto ai livelli cervicali e lombo-sacrali.31
Queste differenze di scarico venoso a livello intersegmentale sono verosimilmente responsabili del fenomeno per cui la congestione venosa sia trasmessa in senso caudo-craniale attraverso il midollo spinale e che i primi sintomi siano riferibili, nella maggior parte dei casi, a disfunzioni della parte più caudale del midollo, corrispondente al cono midollare, anche se il sito di fistola è localizzato a livello toracico o, in alcuni casi, addirittura in posizione adiacente alla base cranica.32,33 Per quanto riguarda l’interessamento del cono midollare da parte della congestione venosa alcuni studi hanno evidenziato come questa eventualità sia presente in oltre il 90% dei casi.25,34
22 Lo scarico venoso attraverso le vene midollari ed il plesso venoso coronale interessa la parte dorsale del midollo nell’80-90% dei casi, ed in combinazione la parte dorsale e ventrale nel restante 10-20% dei casi.8
Per quanto concerne l’eziologia di questa condizione patologica, sebbene sia sostanzialmente sconosciuto il meccanismo alla base della formazione della fistola arterovenosa durale, vi sono diverse caratteristiche che suggeriscono si tratti di una condizione acquisita; tra queste caratteristiche vi sono: l’insorgenza in età adulta della sintomatologia, l’assenza di associazioni con altre anomali vascolari, la forte tendenza ad interessare i segmenti inferiori del midollo spinale, una riduzione del numero di vene midollari in questi soggetti, una storia naturale simile alle FAVD nel caso di lesioni sicuramente acquisite, come fistole arterovenose in seguito a traumi paraspinali, a procedure diagnostiche come punture lombari o fistole arterovenose post-operatorie.1
Queste caratteristiche consentono inoltre di differenziare le FAVD dalle fistole arterovenose intradurali ventrali (o fistole arterovenose perimidollari), le quali si presume siano invece delle condizioni congenite; altre differenze tra queste due condizioni patologiche risultano essere il fatto che le FAVD non sono mai localizzate a livello intraparenchimale, sono raramente associate ad emorragia spinale e ad altre malformazioni vascolari e presenti in una minoranza dei casi a livello cervicale.6,8
Mentre nel caso delle fistole arterovenose durali cerebrali è stata riscontrata una correlazione molto forte con fenomeni di trombosi delle vene cerebrali35 e con la presenza di Proteina C attivata36 e Fattore V di Leiden37, questa associazione tra uno stato trombofilico e la formazione di fistole arterovenose durali spinali non è stata dimostrata.38
23
4. Aspetti clinici
Da un punto di vista clinico è possibile riconoscere un’insorgenza acuta dei segni e dei sintomi relativi alla patologia, evenienza questa che si realizza solo in una piccola percentuale dei casi, quantificabile intorno al 5-18%39, e principalmente innescata da un esercizio fisico intenso, una prolungata posizione eretta o, addirittura, in seguito ad attività quali il canto40, potendo risolversi in seguito a riposo; altre attività documentate legate ad una esacerbazione della sintomatologia risultano essere un cambio repentino di postura e perfino l’atto della deglutizione.41 Una presentazione inusuale, ma documentata, include un’acuta mielopatia insorta in seguito ad anestesia epidurale42 ed uno sviluppo di FAVD a livello della radice S1 di sinistra in seguito ad un intervento di rimozione discale.43 Vi è stato inoltre un singolo caso documentato di una donna di 46 anni che accusava episodi intermittenti di debolezza agli arti inferiori e disturbi di tipo sensitivo in corrispondenza dell’inizio del ciclo mestruale, evento questo giustificato dalla maggiore congestione venosa uterina che incrementa il ritorno venoso in un già compromesso sistema venoso pelvico; sintomatologia che regrediva in seguito a trattamento endovascolare della fistola e rimozione chirurgica dell’utero.44 Un’altra condizione in cui la sintomatologia può presentarsi in maniera acuta è costituita dalla possibilità, rarissima in vero, che si verifichi una emorragia subaracnoidea come complicanza della FAVD; in letteratura è documentato un singolo caso di emorragia subaracnoidea in un paziente affetto da FAVD a livello lombare L4.45 Nella maggior parte dei casi, tuttavia, la comparsa dei primi segni e sintomi risulta essere subdola e non immediatamente riconoscibile, motivo questo per cui risulta estremamente complicato effettuare una diagnosi precoce, difficoltà questa che aumenta se si tiene in considerazione il fatto che la tipica sintomatologia risulta assolutamente aspecifica e che non vi è un solo segno patognomico di questa malattia; per questo motivo si tende a considerare, nella valutazione della storia naturale di questa patologia, la presentazione clinica al momento dell’insorgenza dei primi segni e sintomi e la presentazione clinica al momento della diagnosi. La
24 sintomatologia al momento dell’insorgenza dei sintomi comprende, nella maggior parte dei casi, una perdita di forza a livello degli arti inferiori che si riflette in difficoltà soggettive ed oggettive alla deambulazione e deficit della sensibilità oggettiva, termica e dolorifica che possono essere simmetrici o asimmetrici, dolore irradiato alla schiena o di tipo radicolare, disturbi minzionali e defecatori, disfunzioni sessuali. Uno studio su di un numero considerevole di campioni (154) ha evidenziato come al momento dell’insorgenza dei sintomi, nel 42,9% dei pazienti vi sia debolezza agli arti inferiori, nel 20,1% deficit sensitivi a livello delle estremità inferiori, nel 9,7% dolore di tipo radicolare, nell’8,5% parestesie o disestesie. Si evince che i deficit motori soggettivi ed oggettivi sono i disturbi più frequenti, arrivando ad essere presenti nella totalità dei casi nel momento in cui si procede a correzione chirurgica della fistola; otto pazienti hanno sviluppato paraplegia completa al momento della correzione chirurgica. I disturbi sensitivi consistono principalmente in sensazione di intorpidimento delle estremità inferiori (in 138 soggetti) spesso associate a progressiva riduzione della sensibilità oggettiva, simmetrica nella grande maggioranza dei casi, sebbene sia stata evidenziata asimmetria in 7 soggetti e unilateralità in 6 soggetti.
La storia clinica di questi soggetti è caratterizzata da un progressivo peggioramento della sintomatologia, fino al momento della diagnosi e della successiva correzione chirurgica o endovascolare.46 I disturbi minzionali e defecatori possono essere presenti dall’inizio, ma più frequentemente insorgono nelle fasi più avanzate della malattia.47
Al momento della diagnosi, in virtù della difficoltà di effettuare una diagnosi tempestiva, i deficit neurologici sono generalmente molto importanti. In questo stadio circa due terzi dei pazienti mostra una combinazione di difficoltà deambulatorie, disturbi sensitivi e disturbi riconducibili a sofferenza del cono midollare, come disfunzione minzionale, defecatoria e sessuale39; quasi tutti i soggetti soffrono di difficoltà deambulatoria e riduzione di forza ad uno o entrambi gli arti inferiori, fino al 30% dei pazienti è confinato ad una sedia a rotelle.48-50
25 In concordanza con la prevalente localizzazione delle fistole a livello toracico medio-basso, il coinvolgimento degli arti superiori risulta essere infrequente, essendo limitato a quei casi in cui la fistola è localizzata in sede cervicale.
Oltre ad i segni di coinvolgimento del secondo motoneurone testé elencati possono comparire, fin dalle prime fasi di malattia, segni di coinvolgimento del primo motoneurone, quali iper-reflessia tendinea, clono del piede e segno di Babinski.51
5. Diagnosi clinica
Trattandosi di una patologia rara ed avente una sintomatologia d’esordio sfumata ed aspecifica, risulta essere molto difficile effettuare una diagnosi precoce; questo assunto è supportato dalla documentazione in letteratura di lunghi tempi intercorrenti tra l’insorgenza dei sintomi e la effettuazione di una diagnosi certa, quantificabile tra i 12 ed i 44 mesi8; uno studio coinvolgente un ampio numero di pazienti sottoposti a cure presso due istituti ha quantificato un tempo medio di 19,9 mesi per arrivare ad una diagnosi definitiva25, in un altro studio la media è stata di 24,7 mesi, con un intervallo compreso tra 3 giorni (in un paziente con una storia di cancro ed insorgenza acuta di debolezza agli arti inferiori, per cui si procedeva ad esame di risonanza magnetica) e 276 mesi.46 Il motivo principale per cui vengono effettuate diagnosi tardive, o talvolta non si arriva ad una diagnosi di certezza, è la natura aspecifica dei sintomi, i quali, al tempo della diagnosi, risultano essere principalmente di natura mista motoria e sensitiva e di disfunzione autonomica esitante in deficit minzionali e defecatori; a questo fattore si aggiunge la presenza spesso contemporanea di segni e sintomi legati a deficit del primo e del secondo motoneurone39, il decorso variabile della patologia nei diversi casi18, ed il mancato riconoscimento di reperti caratteristici nello studio di diagnostica strumentale.
26 Questi problemi sono esacerbati dal fatto che spesso vi è una concomitanza di problematiche legate all’età avanzata, tipica dei soggetti affetti da questa patologia, quali degenerazione spinale, ipertrofia prostatica ed insufficienza vascolare.46 Le principali patologie con le quali ci si deve confrontare per effettuare una diagnosi differenziale sono, in ordine decrescente di frequenza: la patologia degenerativa discale (la quale risulta essere anche la principale patologia per cui viene effettuato un trattamento errato), mielite, iperplasia prostatica, stenosi spinale, tumori intramidollari, scoliosi idiopatica, siringomielia, traumi al midollo spinale, sclerosi multipla, sindrome di Guillan-Barrè.25 Inoltre, essendo i primi sintomi caratterizzati spesso da parestesie e sintomi motori agli arti inferiori, bisogna prestare particolare attenzione a condizioni quali disordini neuromuscolari, polineuropatie demielinizzanti infiammatorie acute e croniche ed atrofia muscolare spinale.52,53 Di particolare importanza è l’esclusione di poli(radicolo)neuropatie, le quali possono mimare, specialmente durante le prime fasi della malattia, la sintomatologia rilevabile nei soggetti affetti da FAVD, ma dalla quale si differenzia per alcuni aspetti particolari. In primis vi è l’interessamento degli arti superiori, condizione eccezionale nel caso delle fistole spinali ed in particolare limitata a quelle localizzate in sede cervicale, ma presente molto più spesso nelle neuropatie, le quali sono solite presentarsi con una perdita di sensibilità “stocking-and-glove-like”, coinvolgente cioè sia gli arti inferiori che quelli superiori più o meno contemporaneamente. La perdita di sensibilità a livello perineale e della regione glutea risulta essere la naturale evoluzione della sintomatologia in caso di FAVD, sebbene questa inizi a livello delle estremità, mentre è eccezionale l’interessamento di questa zona in corso di polineuropatie. I sintomi urinari sono presenti nella maggior parte dei casi di FAVD al momento della diagnosi, mentre non sono comuni nelle polineuropatie.54-56
Inoltre, nel caso di FAVD, l’interessamento degli arti inferiori è solitamente asimmetrico, essendo la sintomatologia prevalente in uno dei due arti, i quali sono invece generalmente coinvolti con eguale entità nel caso di poliradicoloneuropatie.
27 Dalla letteratura si apprende come, nonostante ci sia negli ultimi anni un’attenzione maggiore nei confronti di questa patologia in virtù degli studi che ne hanno evidenziato la non trascurabile incidenza pur trattandosi di una condizione rara, non ci sia una sostanziale differenze nell’intervallo medio che intercorre tra l’insorgenza dei sintomi ed il momento della diagnosi46; tuttavia alcuni hanno evidenziato un trend positivo in questo senso da una review più approfondita della letteratura, da cui si evince come a sempre più pazienti venga effettuata una diagnosi in fasi precoci o intermedie della malattia, evento questo reso possibile dalla maggiore attenzione nei confronti di questa patologia, al più semplice accesso ad esami di risonanza magnetica e ad incremento della funzionalità degli iter diagnostici, spesso derivanti da collaborazione tra diversi reparti.30
6. Diagnosi strumentale
La valutazione radiografica delle fistole arterovenose durali spinali, e più in generale delle malformazioni arterovenose, è costituita da due componenti: gli studi di screening, finalizzati ad un’iniziale inquadramento dei pazienti con sintomatologia riferibile a progressiva radicolo-mielopatia, e gli studi di imaging vascolare volti alla conferma della diagnosi e ad una visualizzazione definita della anatomia vascolare, iter questo indispensabile per un corretto approccio terapeutico, sia esso di tipo endovascolare o chirurgico.
Gli studi di screening sono molto utili per poter effettuare una prima diagnosi differenziale, riuscendo nella maggior parte dei casi ad escludere altre cause di radicolo-mielopatia, quali stenosi spinale, spondilolisi, patologia del disco intervertebrale, sclerosi laterale amiotrofica, sclerosi multipla, tumori intramidollari, siringomielia ed infezioni.
Tra gli esami di screening annoveriamo la Risonanza Magnetica (RM), l’angio-RM, l’angiografia tomografica computerizzata (CTA) e la mielografia.
28 L’esame di scelta risulta essere la RM, la quale, in un soggetto affetto da FAVD, evidenzia diversi reperti, caratterizzati da una classica triade:
A) presenza di ipointensità di segnale nelle immagini pesate in T1 ed
iperintensità di segnale nelle immagini pesate in T2 principalmente nella parte centrale del midollo spinale, reperto suggestivo di edema midollare e presente in una percentuale variabile tra 70 e 100% dei soggetti; queste alterazioni di segnale sono generalmente omogenee e si estendono per un livello medio di 5-7 vertebre, con un coinvolgimento del cono midollare nell’80% dei casi.57,58
B) nelle sequenze T2-pesate vi sono reperti riconducibili ad alterazioni dei
vasi sanguigni, in particolare è possibile notare il fenomeno dei “vuoti di flusso” in posizione adiacente al midollo spinale, generalmente in posizione dorsale, determinato dalla presenza di vasi dilatati e tortuosi, fenomeno questo rilevabile in circa il 90% dei casi.34
C) in seguito ad iniezione di mezzo di contrasto (Gadolinio) si evidenzia
un’impregnazione contrastografica del midollo nelle sequenze T1-pesate, segno questo di congestione venosa ed alterazione della barriera emato-midollare, evidenziabile circa 40-45 minuti dopo l’iniezione del mezzo di contrasto59; una maggiore impregnazione è generalmente evidenziabile nelle fasi tardive della malattia e sarebbe correlata ad un decorso più aggressivo della stessa e ad un danno midollare significativo. L’utilizzo del mezzo di contrasto consente inoltre di visualizzare, nelle sequenze T2-pesate, i vasi dilatati e tortuosi ed il fenomeno del “flow voids” nei casi in cui vi siano delle fistole di piccole dimensioni. 18
Risulta importante segnalare che non è stata rilevata alcuna correlazione tra il livello in cui sono presenti le alterazioni rilevabili mediante RM ed il livello della fistola.18 Nelle fasi avanzate di malattia è possibile riscontrare segni di atrofia del midollo. I segni di edema midollari associati alle alterazioni a carico dei vasi peri-midollari offrono un’elevata sensibilità ed una specificità di circa il 97% per la diagnosi di
29 FAVD, sebbene in circa il 10% dei casi non sia possibile visualizzare i segni di edema e nel 20% dei casi i segni di alterazione vasali.34
L’effettuazione di una angio-RM, senza o con mezzo di contrasto, consente non solo di individuare le arterie afferenti e le vene di scarico, ma spesso anche di localizzare con discreta esattezza il sito di fistola60, oltre ad offrire un prezioso aiuto per il successivo step, necessario per poter arrivare ad una diagnosi di certezza, consistente nella effettuazione di una arteriografia spinale; si tratta dunque di un prezioso aiuto in quanto consente agli operatori di limitare il numero di livelli che devono essere analizzati, permettendo in questo modo di ridurre i tempi procedurali e conseguentemente i tempi di esposizione alle radiazioni.61-63
Altri esami di screening risultano essere l’angiografia tomografica computerizzata (CTA) e la mielografia, ad oggi utilizzate nei soggetti che non possono sottoporsi ad esami di risonanza magnetica. La CTA è in grado di rilevare il drenaggio venoso e solitamente anche le afferenze arteriose ed il punto di fistola, per cui risulta essere paragonabile alla angio-RM come sensibilità e specificità, con l’inconveniente, tuttavia, di sottoporre il soggetto ad una massiccia dose di radiazioni.18
La mielografia, proprio come la CTA ad oggi viene utilizzata solo quando è controindicato un esame di risonanza magnetica; ad esempio, nel caso di una patologia aterosclerotica o una occlusione dell’afferenza arteriosa, condizioni che rendono impossibile uno studio angiografico per la visualizzazione diretta del tratto fistoloso, questi esami risultano essere di fondamentale importanza per localizzare la fistola.64
30
Fig. 10
Vengono rappresentate immagini di Risonanza Magnetica ottenute in un soggetto affetto da FAVD nel periodo pre-operatorio (A e B) e nel periodo post-operatorio (C e D); in particolare in A è presente una sezione sagittale con sequenza T2-pesata che evidenzia la presenza di alterazioni di segnale intra-midollari e segni di “flow void” in sede posteriore rispetto al midollo (frecce), rispettivamente segni di edema midollare e di vasi tortuosi ed ectasici in sede peri-midollare; in B vi è una sezione sagittale in sequenza T1-pesata in seguito ad iniezione di Gadolinio che mostra aumentato enhancement intra-midollare (frecce), verosimile segno di alterazioni della barriera emato-intra-midollare. Nelle immagini post-operatorie è possibile apprezzare un’importante riduzione delle alterazioni di segnale midollari e peri-midollari ( C ) e dell’enhancement contrastografico intra-midollare (D).6531 L’esame angiografico spinale risulta essere ancora oggi il gold standard per la diagnosi e per la corretta valutazione anatomica e funzionale delle fistole arterovenose durali spinali. Questo esame, effettuato in regime di anestesia locale o generale a seconda delle condizioni e della compliance del soggetto, prevede in genere la cateterizzazione dell’arteria femorale, attraverso la quale si raggiungono le arterie segmentali in cui deve essere iniettato il mezzo di contrasto. Se il livello della fistola è sconosciuto o se i reperti di screening risultano essere poco esplicativi, è necessario effettuare un controllo angiografico esteso a tutti i livelli, partendo dal livello T5 e discendendo fino ad arrivare a livello lombare basso e medio sacrale, intervallo questo in cui è statisticamente più probabile rilevare una fistola (70-80% dei casi), e che per questo motivo è sottoposto ad una prima analisi mediante iniezione delle arterie intercostali, lombari e delle arterie iliache comuni ed interne.25 Se la fistola non viene ancora localizzata si procede con analisi dei segmenti toracici superiori e cervicali, mediante iniezione di mezzo di contrasto a livello delle arterie carotidi comuni, carotidi esterne e delle vertebrali.30
Arteriograficamente è possibile rilevare: la dilatazione e la tortuosità delle vene radicolari di scarico e del plesso venoso coronale in sede perimidollare prevalentemente dorsalmente, in direzione ascendente, nella maggior parte dei casi, o in direzione combinata, ascendente e discendente; una riduzione del flusso a livello della arteria spinale anteriore in seguito alla congestione venosa e la sede della fistola, localizzata a livello del forame di coniugazione in posizione adiacente alla radice nervosa, alimentata da un ramo durale di un’arteria radicolo-midollare. Tuttavia, talvolta, l’afferenza arteriosa della fistola è costituita da un ramo proveniente da un’arteria midollare, la quale contribuisce ad alimentare l’arteria spinale anteriore66; in questa ottica risulta di fondamentale importanza individuare l’arteria di Adamkiewicz dalla quale può sporadicamente originare la fistola.67 Talvolta è possibile identificare diverse afferenze, di cui ve ne è generalmente una maggiore, la quale può essere marcata con materiale radiopaco durante la manovra angiografica, al fine di essere più facilmente visualizzata mediante semplice
32 radiografia nel periodo immediatamente precedente all’intervento chirurgico di esclusione della fistola.68
In definitiva l’angiografia spinale risulta essere una tecnica invasiva e fortemente operatore-dipendente, per questi motivi alcuni autori suggeriscono di non effettuarla se gli esami di screening effettuati precedentemente risultano essere totalmente negativi e di limitarla ai casi in cui ci sono dei reperti negli esami di RM ed un sospetto clinico molto forte.69 Tuttavia in un recente studio con un elevato numero di casi analizzati è stato evidenziato come nel 10% dei soggetti con FAVD non vi sia alcuno dei reperti sopraelencati di fistola arterovenosa durale25, motivo per cui in un soggetto in cui vi sia un forte sospetto clinico è necessario effettuare ulteriori accertamenti mediante esame angiografico spinale.
Talvolta questo esame non rivela alcuna fistola in soggetti con forte sospetto clinico di malattia, in questi casi è utile effettuare un secondo, o addirittura un terzo esame per poter visualizzare la fistola, eventualità questa che si riscontra nel caso di fistole caratterizzate da un flusso molto basso o nel caso in cui il soggetto sia affetto da una grave patologia aterosclerotica che coinvolga l’aorta e che comporti esclusione funzionale delle arterie segmentali da analizzare; quest’ultima condizione spesso impone l’esplorazione chirurgica per poter visualizzare ed escludere la fistola.25,70 Infine è riportato in letteratura l’utilizzo efficace di tecniche di angiografia tridimensionale per l’individuazione della fistola nelle condizioni appena esposte.71
Fig 11.
Esame angiografico midollare effettuato mediante iniezione selettiva di un’arteria radicolo-midollare evidenzia la presenza di un tratto fistoloso e la presenza di un plesso venoso coronale e tortuoso.133
7. Trattamento
La risoluzione spontanea di una fistola arterovenosa durale è un evento eccezionalmente raro72, per questo risulta essere necessario intervenire al fine di arrestare la progressione dei segni e dei sintomi riferibili alla mielopatia, o fare in modo che essi regrediscano. Mentre risulta essere universalmente condivisa la decisione di intervenire per correggere la fistola in un paziente clinicamente compromesso, rimane controversa la scelta di intervenire in soggetti asintomatici, sebbene la storia naturale di questa patologia indichi chiaramente che l’insorgenza della sintomatologia segue necessariamente l’attuarsi delle alterazioni emodinamiche; questa naturale tendenza è stata messa in risalto da uno studio in cui è stato evidenziato che l’intervallo di tempo tra un riscontro occasionale di alterazioni radiologiche riferibili a fistola durale e l’insorgenza della sintomatologia può essere anche di due anni.73 Nel caso in cui non si decida a procedere alla correzione della fistola è comunque consigliabile effettuare uno stretto follow-up clinico e radiologico ed intervenire quanto prima nel momento in cui compaiono i primi segni clinici.30
Il trattamento delle FAVD prevede due tipi di approcci, quello endovascolare e quello chirurgico, da soli o in combinazione tra loro, avendo come obiettivo la completa esclusione della fistola.
Il trattamento endovascolare ha come obiettivo la completa occlusione della fistola; è un intervento che si effettua generalmente in regime di anestesia generale con controllo della respirazione e previa somministrazione di eparina fino a raggiungimento di un tempo di coagulazione da due a tre volte superiori al normale. Si procede dunque ad inserimento di un catetere per via trans-femorale fino al raggiungimento delle arterie segmentali al livello della fistola e ad un livello superiore ed inferiore, in entrambi i lati, per avere una visione completa dell’albero vascolare intorno alla fistola e poter dunque identificare la afferenza arteriosa più comoda per poter raggiungere ed embolizzare la fistola. Una volta identificata la
34 fistola si procede alla cateterizzazione superselettiva del “feeder” arterioso della fistola, operazione questa che permette di andare ad operare direttamente a livello della fistola, senza compromettere la funzionalità di altri vasi deputati all’irrorazione del midollo spinale. Il trattamento consiste nell’apposizione del materiale embolizzante nel tratto prossimale della vena radicolare prestando particolare attenzione ad effettuare un riempimento completo onde evitare fenomeni di ricanalizzazione. Risulta di fondamentale importanza, inoltre, non eseguire una apposizione troppo prossimale, che non coinvolga la vena drenante, in quanto vi sarebbe un elevato rischio di ricorrenza della fistola in seguito a formazione di circoli collaterali, né una troppo distale, in quanto aumenterebbe sensibilmente il rischio di una occlusione delle vene perimidollari con aggravamento dell’ipertensione venosa e della sintomatologia. In virtù di questi accorgimenti è opportuno effettuare una angiografia di controllo sia a livello su cui si è operato che nei livelli immediatamente superiori ed inferiori e controlaterali; sarà possibile apprezzare un immediato miglioramento della circolazione a livello dell’arteria spinale anteriore.
Ci sono diversi materiali utilizzati per l’embolizzazione endovascolare e diverse opinioni circa la migliore efficacia degli uni o degli altri. Sono disponibili: alcol polivinilico (PVA), microsfere ( di poliacrilamide e gelatina), liquido adesivo e vari tipi di colle.74 Indipendentemente dal tipo di materiale utilizzato, se dall’arteria segmentale da cui nasce il feeder arterioso della fistola origina anche un’arteria radicolo-midollare (compresa l’arteria di Adamkievizc) è da preferire il trattamento chirurgico al fine di evitare una loro embolizzazione accidentale, evento questo che determinerebbe una profonda sofferenza di tipo ischemico a carico del midollo spinale.75 La chirurgia è inoltre preferita in quei casi in cui i feeder arteriosi siano particolarmente tortuosi, caratteristica che impedisce un corretto impegno del microcatetere all’interno del vaso, con impossibilità di raggiungere la sede di fistola.76
Il trattamento endovascolare presenta alcuni aspetti vantaggiosi rispetto a quello chirurgico; sicuramente risulta essere un intervento meno invasivo, può essere
35 effettuato durante la stessa seduta angiografica di diagnosi, permette di iniziare un trattamento riabilitativo già nelle ore successive alla esclusione della fistola in quanto il decorso post-operatorio risulta essere molto meno doloroso e la permanenza in ospedale molto minore, ed inoltre è consentito effettuare un intervento chirurgico immediatamente dopo il trattamento endovascolare, qualora quest’ultimo dovesse fallire.74 Tuttavia, benchè siano oggettivamente presenti questi vantaggi, è riconosciuto che questo tipo di trattamento risulta gravato da una minore efficacia nel riuscire ad ottenere una completa esclusione della fistola e da un maggiore tasso di ricanalizzazione della stessa rispetto al trattamento chirurgico.77
Il trattamento chirurgico di occlusione delle fistole arterovenose durali spinali risulta essere sicuro ed efficace. Previa individualizzazione mediante arteriografia spinale della sede fistola si procede ad incisione longitudinale a livello del punto di repere individuato radiologicamente, scheletrizzazione, spinectomia e laminectomia o emilaminectomia; si espone così la dura madre che viene incisa longitudinalmente; nello spazio subdurale viene identificato il plesso venoso coronale dilatato e tortuoso, seguendo il quale viene riconosciuta la vena drenante arterializzata, ne viene seguito il decorso fino al livello in cui essa penetra la dura madre in posizione adiacente al punto di penetrazione del nervo spinale; talvolta viene utilizzata la tecnica della video-angiografia con verde di indocianina (ICG), consistente nell’iniettare questo mezzo di contrasto iodato al fine di andare a valutare il riempimento rapido in fase arteriosa della vena drenante a livello della fistola. Dopo aver correttamente individuato la vena drenante viene generalmente applicata una clip temporanea a livello della sua porzione prossimale e viene ripetuta la video-angiografia con ICG per valutare l’effettiva esclusione della fistola ed il ripristino del normale flusso venoso all’interno della vena precedentemente arterializzata78; a questo punto si procede con l’esclusione definitiva della fistola, realizzabile mediante apposizione di clip permanenti o, più comunemente, mediante coagulazione con bipolare e successivo taglio con microforbici a livello della
36 porzione prossimale adiacentemente al punto di penetrazione della dura madre della vena drenante.79 Questo viene considerato l’intervento risolutivo, tuttavia alcuni procedono alla rimozione dell’afferenza arteriosa della fistola nello spazio epidurale, atto questo che è però gravato dal rischio di lesionare arterie radicolo-midollari che decorrono nelle vicinanze, potendo così provocare infarto midollare.80 Sebbene il trattamento chirurgico abbia una maggiore invasività rispetto a quello endovascolare, soprattutto in passato in cui prevedeva larghe incisioni e difficoltà ad individuare l’esatta localizzazione della fistola, negli ultimi anni si sono sviluppate tecniche di microchirurgia che consentono di effettuare un approccio meno aggressivo con focalizzazione specifica e strettamente limitata al sito di fistola.
L’esatta localizzazione della fistola risulta in effetti essere un fattore limitante per la realizzazione di un intervento che sia il meno invasivo possibile; in questo senso assumono un’importanza rilevante le innovazioni tecniche nell’ambito della diagnostica strumentale81 e gli studi pre-operatori di angiografia spinale, con la possibilità di utilizzare diversi traccianti al fine di rendere più facilmente individuabile intra-operatoriamente il sito di fistola.82
Negli ultimi anni è stata proposta una tecnica di chirurgia mini-invasiva consistente nella dilatazione tubulare, previa esatta localizzazione pre-operatoria del sito di fistola mediante tecnica fluoro-angioscopica, della muscolatura paraspinale fino ad ottenere un campo circolare di circa 2,2cm di diametro attraverso il quale viene effettuata una emilaminectomia con esposizione della dura, sua incisione, individualizzazione della vena drenante, la quale verrà coagulata e recisa nella sua porzione prossimale. Tale tipologia di intervento è associata ad una riduzione significativa dei tempi di ricovero post-operatorio e dei tempi di ripresa.83
Diversi studi hanno chiaramente evidenziato la maggiore efficacia di un primario ed unico trattamento chirurgico rispetto ad un trattamento endovascolare in termini di efficacia nell’esclusione della fistola e di ricorrenza della fistola nel lungo
37 periodo; in particolare uno studio di meta-analisi condotto nel 2004 ha evidenziato come ci sia una percentuale di successo di completa esclusione della fistola del 98% per quanto riguarda il trattamento chirurgico, a fronte di un 48% del trattamento endovascolare84; tuttavia, questo risultato riferito al trattamento endovascolare, risulta essere poco affidabile, in quanto include un gruppo molto eterogeneo di serie, all’interno delle quali vengono utilizzati diversi agenti embolizzanti, i quali hanno rivelato un’efficacia differente.85 Negli ultimi anni i progressi nel campo delle tecniche di embolizzazione endovascolare hanno fatto in modo di determinare un sensibile incremento delle percentuali di successo in seguito all’approccio endovascolare; in questo senso, uno studio di meta-analisi più recente ha dimostrato come si sia passati da un 48% ad un 72,2% di successo, pur continuando ad esserci una certa variabilità tra le serie che utilizzano diversi agenti embolizzanti77, mostrando talvolta risultati eccellenti86-89; le percentuali di successo del trattamento chirurgico si mantengono elevate e vicine al 100%.
Anche per quanto riguarda la ricorrenza delle fistole in seguito al trattamento, è stato evidenziato un miglior risultato con la terapia chirurgica rispetto a quella endovascolare, sia in studi effettuati in singoli istituti90 che in studi di meta-analisi.77 Dal punto di vista delle complicanze post-operatorie i risultati tra i due tipi di trattamento risultano essere sovrapponibili e molto confortanti, essendo presenti in una percentuale molto bassa di casi, ed in particolare nell’1,9% dei soggetti trattati chirurgicamente e nel 3,7% dei soggetti trattavi per via endovascolare.84
In particolare le complicanze che si associano al trattamento endovascolare risultano essere prevalentemente legate ad embolizzazione accidentale di arterie midollari, evento questo che può condurre ad infarto midollare90, mentre le complicanze legate all’intervento chirurgico riguardano principalmente eventi infettivi localizzati a livello della ferita chirurgica e, tavolta, eventi vascolari di tipo emorragico, come ad esempio emorragie epidurali legati alle procedure chirurgiche.91
38
A. B.
Fig 12. A. Immagine di una arteriografia midollare spinale in cui si evidenzia il punto di
fistola; la vena drenante ed il plesso venoso coronale appaiono dilatati e tortruosi.B.
Corrispettivo intra-operatorio della precedente immagine arteriografica in cui si apprezza la corrispondenza dei vasi venosi peri-midollari e della vena drenante tra il campo anatomico e l’immagine radiologica.139