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VALUTAZIONE PSICOPATOLOGICA E FOLLOW-UP IN UN CAMPIONE DI PAZIENTI OBESI TRATTATI CON CHIRURGIA BARIATRICA

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(1)

U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

Corso di Laurea Specialistica in Medicina e

Chirurgia

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

TESI DI LAUREA

V

ALUTAZIONE PSICOPATOLOGICA E FOLLOW

-

UP IN UN CAMPIONE DI PAZIENTI

OBESI TRATTATI CON CHIRURGIA BARIATRICA

Relatore

Candidato

Chiar.mo Prof. Stefano Pini

Elena Santucci

(2)

2

INDICE

INDICE 2

CAP.1 L’OBESITA’ 4

DEFINIZIONE. 4

EPIDEMIOLOGIA DELL’OBESITÀ 5

TRATTAMENTO DELL’OBESITA’ 7

SCOPO DEL TRATTAMENTO 7

OBIETTIVO DEL TRATTAMENTO 7

FOLLOW UP 7

ELEMENTI CHE CARATTERIZZANO IL TRATTAMENTO. 7

Modificazione dello stile di vita. 8

Dieta 8

Esercizio fisico 8

Terapia cognitivo comportamentale 9

Terapia farmacologica 10

Terapia psicotropa e obesità 10

Chirurgia bariatrica 11

Indicazioni alla chirurgia 12

Controindicazioni assolute e relative 14

Tipi di intervento 15

Classificazione degli interventi in base al loro meccanismo d’azione: 16 Restrittivi meccanici (ostacolo meccanico al transito di cibo). 16 Interventi ad azione sia restrittiva (meccanica) sia funzionale (anoressizzante). 16

CAP.2 ASPETTI PSICOPATOLOGICI DEI PAZIENTI CANDIDATI A CHIRURGIA BARIATRICA. 19

DISTURBO DEPRESSIVO MAGGIORE (DDM) 19 DISTURBO DA BINGE-EATING (BED) 22

L’IMPULSIVITÀ 25

IMPULSIVITÀ E OBESITÀ 26

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3

CAP.4 MATERIALI E METODI 31

STRUMENTI DIAGNOSTICI 32

M.I.N.I5.0.1 32

MOODS-SR-LIFETIME 33

SCI-ABS-SR 33

BOSTONINTERVIEW FOR GASTRIC BYPASS- VERSIONE ORIGINALE 34

BARRATTIMPULSIVENESSSCALE-BIS11 34

CAP.5 RISULTATI 36

PER DIAGNOSI PSICHIATRICA 38

PER MISURE DELL’OBESITÀ 45

PER VARIABILI SOCIO-DEMOGRAFICHE 48

CAP.6 FOLLOW UP 51

CAP.7 DISCUSSIONE DEI DATI 54

LIMITI DELLO STUDIO 55

(4)

4

CAP.1 L’OBESITA’

Definizione.

La WHO (World Health Organization) definisce l’obesità come un accumulo anormale o eccessivo di grasso che può danneggiare la salute, causato da uno squilibrio energetico tra calorie ingerite rispetto a quelle effettivamente consumate (WHO, 2016).

Per Hensrud e coll. l’obesità è una patologia cronica ed un importante fattore di rischio per comorbidità quali diabete di tipo 2, ipertensione, dislipidemia, apnea ostruttiva del sonno, patologie cardiovascolari, ictus, asma, patologie neoplastiche e depressione; è inoltre associata ad un alto tasso di mortalità ( (Hensrud D.D., et al., 2006); (Potter J.D.J., 2006); (Buchwald H. , et al., (2004).) e si stima sia responsabile di più di 2,5 milioni di morti all’anno in tutto il mondo (WHO, 2002).

Rispetto ad un individuo normopeso, un uomo di 25 anni con obesità patologica ha una riduzione dell’aspettativa di vita del 22%, corrispondente ad una perdita di circa 12 anni di vita (Fontaine, et al., 2003).

Le diverse definizioni mediche di obesità proposte correlano con diversi criteri e indici clinici, di questi il più utilizzato è il Body Mass Index o Indice di Massa Corporea (BMI o IMC), definito dal rapporto tra il peso del soggetto in Kg e l’altezza espressa in metri al quadrato.

Le linee guida sviluppate nel 1998 dall’ U.S. “National Heart, Lung and Blood Institute” definiscono i range di BMI per le condizioni di sovrappeso e di obesità (range tra 25-29.9 kg/m2, e >30 kg/m2, rispettivamente).

Inoltre, l’obesità viene distinta in tre categorie; si parla di Obesità di classe I per BMI <34.9 kg/m2, Obesità di classe II con BMI tra 35.0–39.9 kg/m2 e Obesità di classe III per BMI >40

kg/m2.

Questa classificazione è stata utilizzata nelle ricerche cliniche ed epidemiologiche, e viene comunemente utilizzata nella chirurgia bariatrica per valutare e selezionare i pazienti.

Una classificazione alternativa è stata proposta da Mason e colleghi i quali hanno suddiviso i soggetti appartenenti alla classe III in due gruppi comprendenti l’uno i soggetti con BMI <50 kg/m2, l’altro i soggetti con BMI ≥50 kg/m2; questi ultimi sono stati definiti Super obesi.

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5 Questo concetto di super obesità è derivato da osservazioni post chirurgiche di soggetti sottoposti a gastroplastica verticale; coloro i quali avevano un BMI ≥50 kg/m2 non solo

mostravano risultati peggiori intesi come perdita di peso, ma anche come maggior tasso di complicanze e mortalità post chirurgica (Brolin, et al., 1989).

Epidemiologia dell’obesità

Per gli adulti, la WHO ha definito il sovrappeso e l’obesità come condizioni caratterizzate da un BMI ≥25 kg/m2 e BMI ≥30 kg/m2 rispettivamente.

La prevalenza dell’obesità è in allarmante aumento in tutto il mondo, tanto da farle assumere le caratteristiche di un’epidemia globale.

Secondo i dati WHO, nel 2014 più di 1,9 miliardi di persone adulte erano sovrappeso. Di queste più di 600 milioni erano obese.

Complessivamente circa il 39% degli adulti (38% maschi e 15% femmine) era in sovrappeso, e circa il 13% dell’intera popolazione mondiale (11% dei maschi ed il 15% delle femmine) era obeso. In tutto il mondo la prevalenza dell’obesità è più che raddoppiata dal 1980 al 2014.

È stato stimato che, sempre nel 2014, circa 41 milioni di bambini di età inferiore ai 5 anni erano sovrappeso o obesi (WHO, 2016).

Si stima che, mantenendo il trend attuale, il 60% della popolazione mondiale, circa 3.3 miliardi di persone, sarà in sovrappeso (2.2 miliardi) o obesa (1.1 miliardi) nel 2030 (Kelly T, et al., 2008).

Studi epidemiologici condotti sulla popolazione americana mostrano che la maggior parte degli Americani è in sovrappeso o obesa; inoltre, sempre negli Stati Uniti, negli ultimi 14 anni è quadruplicata la prevalenza dell’obesità di classe III, detta anche morbosa, (Hedley A.A., et al., 2004); (Ogden C.L. , et al., (2006).); (Sturm R.R, 2003)

Sempre negli Stati Uniti è salita del 75% la quota dei super obesi dal 2000 al 2005 (Sturm R.R, 2007).

Nella regione Europea della WHO, a partire dal 2008, le stime mostrano che in 46 dei 51 paesi per i quali erano disponibili i dati, più del 50% della popolazione adulta era sovrappeso e che in 40 paesi più del 20% erano obesi (WHO, 2013). Il tasso di incidenza dell’obesità è pari al 21.5% nella popolazione maschile adulta e al 24.5% in quella femminile.

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6 Sempre nella Regione Europea della WHO, soprattutto in alcuni paesi, a partire dagli anni Ottanta la prevalenza dell’obesità è triplicata, e i numeri di coloro che ne sono affetti continua ad aumentare con un tasso allarmante, specialmente tra i bambini.

Anche nel nostro Paese l’obesità rappresenta un problema sanitario sempre più grave e in continua crescita. Secondo i dati del Sistema di Sorveglianza Passi1, nel periodo 2010-2013, a livello nazionale il 31% della popolazione adulta è in sovrappeso, l’11% è obesa. Questa condizione è significativamente più evidente in alcune categorie di persone: tra i 50-69 anni, nel sesso maschile, e tra le persone con basso livello d’istruzione e tra quelle economicamente svantaggiate.

Lo stesso report mette in evidenza la presenza di un gradiente geografico che mostra quote crescenti di persone in sovrappeso o obese dal Nord al Sud Italia, con una maggiore diffusione nelle Regioni Meridionali: in Basilicata e in Campania si riscontra la prevalenza più alta (Passi, 2013).

Ciò che preoccupa maggiormente sono i dati riguardanti l’obesità in età pediatrica. Nel 2014 è stata eseguita la quarta raccolta dati del Sistema di sorveglianza “OKkio alla SALUTE”2, parte

dell’iniziativa Childhood Obesity Surveillance Initiative (COSI) dell’Ufficio Regionale per l’Europa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), alla quale hanno partecipato tutte

le Regioni italiane. Da questa indagine è risultato che il 20,9% dei bambini di 8-9 anni è in sovrappeso e il 9,8% obeso (OKkio, 2014).

Tutto questo ha un enorme impatto sociale dal momento che l’obesità e le patologie ad essa correlate determinano una riduzione del numero di anni di vita ed uno scadimento della qualità della stessa, nonché costi socio-sanitari estremamente rilevanti.

1 http://www.epicentro.iss.it/passi/infoPassi/infoGen.asp 2 http://www.epicentro.iss.it/okkioallasalute/

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7 Trattamento dell’obesita’

Secondo le linee guida Europee per l’obesità gli obiettivi realistici di perdita di peso evidenziano una riduzione delle comorbidità e dei fattori di rischio e dovrebbero includere la promozione della perdita di peso, della prevenzione della ripresa ed il mantenimento dello stesso. Inoltre, sia i medici che i pazienti devono essere consapevoli del fatto che, essendo l’obesità una patologia cronica, il controllo del peso deve essere continuato per tutta la vita. Gli obiettivi di perdita di peso devono essere realistici, individualizzati e a lungo termine.

Scopo del trattamento

Lo scopo del trattamento dell’obesità ha obiettivi più ampi della sola perdita di peso, e include la riduzione del rischio ed il miglioramento della salute. Evidenti benefici clinici possono essere raggiunti da perdite modeste di peso (5-10% del peso iniziale) e da modifiche nello stile di vita. Anche la gestione delle comorbidità, migliorando la qualità di vita ed il benessere delle persone obese, sono incluse negli scopi del trattamento. In aggiunta alla perdita di peso è necessaria la gestione delle complicanze quali la dislipidemia, l’ottimizzazione del controllo del diabete di tipo II, la normalizzazione della pressione arteriosa in pazienti con ipertensione, la gestione di malattie dell’apparato respiratorio come le OSAS (Sindrome delle Apnee Notturne) ed il controllo di disturbi psichiatrici quali disturbi dell’alimentazione, disturbi affettivi e dell’immagine corporea.

Obiettivo del trattamento

L’obiettivo di una perdita di peso del 5-15% in un periodo di circa 6 mesi rappresenta un obiettivo realistico e funzionale ad un beneficio della salute. Perdite di peso superiori al 20% possono essere prese in considerazione in coloro con un BMI ≥35 kg/m2.

Follow up

L’obesità è una patologia cronica. Un follow up ed una supervisione continua sono necessari per prevenire la ripresa di peso e per monitorare i rischi e trattare le comorbidità (Yumuk V., et al., 2015).

Elementi che caratterizzano il trattamento.

Secondo Donini e coll. l’approccio al paziente obeso dovrebbe essere multidimensionale e integrato sia nella fase di valutazione che in quella di trattamento. Solo questo tipo di

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8 approccio può consentire la riduzione dell’incidenza delle complicanze ed il mantenimento nel tempo dei risultati raggiunti (Donini L.M., et al., 2010)

Modificazione dello stile di vita.

Il primo approccio deve essere volto alla modificazione dello stile di vita per raggiungere cambiamenti a lungo termine.

Dieta

Uno dei principali contributi all’Epidemia di Obesità è stato dato dall’aumento dei consumi di alimenti ad alta densità energetica e basso valore nutrizionale. Le numerose evidenze sperimentali evidenziano l’efficacia di diete ipoenergetiche (800-1.200 Kcal/die). Inoltre, l’utilizzo di un diario alimentare permette un giudizio qualitativo della dieta e può aiutare il paziente ad identificare la frequenza dei pasti, le percezioni e le convinzioni riguardanti i comportamenti inquadrabili come Emotional eating (comportamento alimentare influenzato dalle emozioni) (Macht M., 2008).

I consigli alimentari dovrebbero incoraggiare un’alimentazione sana. La restrizione calorica deve essere individualizzata tenendo contro delle abitudini nutrizionali, l’attività fisica, delle comorbidità e delle precedenti diete e deve avere la migliore possibilità di successo a lungo termine. La prescrizione di una dieta richiede l’intervento di un nutrizionista. Una dieta ipocalorica bilanciata può determinare una perdita di peso clinicamente significative e avere effetti benefici sia nella riduzione dei fattori di rischio cardiovascolare e del diabete di tipo II. Una riduzione del 15-20% dell’apporto calorico rispetto all’abituale assunzione in un individuo con peso stabile è sufficiente e appropriata.

Esercizio fisico

L’esercizio fisico è considerato un’importante componente nel programma di riduzione del peso in combinazione con la riduzione dell’apporto calorico.

Diversi studi (Willis e coll., 2013); (Geliebter, et al., 2015) riportano che in soggetti di mezza età e in sovrappeso/obesi la combinazione dell'esercizio fisico con la riduzione delle calorie ha incrementato i benefici nella riduzione del grasso corporeo e nella conservazione della massa magra rispetto alla sola dieta.

Per quanto riguarda l’esercizio, nella letteratura si trovano prove solide solo a sostegno dell’efficacia nei pazienti obesi di quello di tipo aerobio. Per tale motivo, tutte le linee guida

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9 raccomandano almeno 150 minuti a settimana di attività aerobica moderata (ad esempio camminare a passo sostenuto (Poirier e coll., 2001).

Aumentare l’esercizio fisico riduce il grasso intra addominale (Kay SJ, et al., 2006), aumenta la massa magra, riduce la pressione sanguigna, migliora la sensibilità all’insulina e la tolleranza al glucosio rende più semplice il rispetto del regime dietetico, ha un influsso positivo sul mantenimento del peso a lungo termine, migliora l’autostima, riduce l'ansia e la depressione (Ross R., et al., 2004).

Terapia cognitivo comportamentale

La terapia cognitivo comportamentale mira ad aiutare il paziente a modificare la percezione di sé e a comprendere i pensieri e le credenze concernenti la regolazione del peso, l’obesità e le sue conseguenze; è indirizzata nei confronti di quei comportamenti che richiedono un cambiamento per raggiungere una perdita di peso soddisfacente e per il suo mantenimento. La terapia prevede delle tecniche che aiutano il paziente nelle scelte quotidiane e che sono finalizzate al rafforzamento della volontà di proseguire il percorso di perdita di peso attraverso l’individuazione delle emozioni che anticipano, accompagnano e seguono l’assunzione di cibo (Sharma M, 2007).

Sockalingam e coll. hanno condotto uno studio pilota il cui scopo era dimostrare la fattibilità, l’accessibilità e l’efficacia di una terapia cognitivo-comportamentale (CBT) da condurre per via telefonica al fine di dimostrare il miglioramento dei disturbi alimentari e del funzionamento psicosociale, specialmente per quanto riguarda i sintomi depressivi e di ansia.

Per la prima volta è stata utilizzata una CBT che in passato veniva impiegata in pazienti pre-chirurgici. Sono stati arruolati 14 pazienti sottoposti ad intervento di chirurgia bariatrica nei 6 mesi precedenti con età media di 46 anni +/- 9 anni e per l’86% di sesso femminile. Ogni paziente ha partecipato a 6 sessioni di tele-CBT ciascuna delle quali della durata di 55 minuti.

Le variabili prese in considerazione, oltre alla percentuale di peso perso (TWL%)3 a 12 mesi

post intervento, sono state il BED (Binge Eating Disorder), l’emotional eating, i sintomi depressivi e di ansia, tutte comorbidità spesso correlate all’obesità come precedentemente riportato.

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10 I risultati hanno mostrato una riduzione significativa delle variabili considerate, mentre non è stata evidenziata una significativa perdita di peso rispetto a coloro i quali erano stati oggetto di una CBT in fase pre-operatoria.

Nonostante i numerosi limiti di questo studio rappresentati da un campione di piccole dimensioni, dalla mancata presenza di un gruppo di controllo e dalla mancanza di dati a lungo termine, quest’ultimo può aprire il campo ad un nuovo tipo di intervento applicabile, soprattutto in zone geografiche molto ampie, nei pazienti trattati con chirurgia e che sperimentano una riacutizzazione dei sintomi tipici dei disturbi alimentari e dell’angoscia. (Sockalingam, et al., 2016)

Terapia farmacologica

Il trattamento farmacologico dovrebbe essere considerato parte integrante della strategia per la gestione dell’obesità. Può aiutare il paziente a migliorare i fattori di rischio correlati alla patologia, può migliorare la qualità della vita e prevenire la progressione delle comorbidità.

L’efficacia dei farmaci anti-obesità deve essere valutato dopo 3 mesi. Se la perdita di peso raggiunta è soddisfacente (>5% nei non diabetici, 3% in pazienti diabetici), il trattamento viene continuato, in caso contrario deve essere sospeso ( (Toplak, et al., 2015) (Pucci A., et al.) (Apovian , et al., 2015)).

Due dei farmaci anti obesità più diffuse sono la Sibutramina e l’Orlistat.

Terapia psicotropa e obesità

È stato dimostrato che spesso, nei pazienti che tentano la chirurgia bariatrica, vengono prescritti farmaci psicotropi, specialmente antidepressivi.

Powers e coll. hanno messo in evidenza che, negli Stati Uniti, il 20-50% dei pazienti sottoposti a chirurgia bariatrica ha una storia di disturbo dell’umore (Powers, 1997); (Sarwer, et al., 2004); (Segal, et al., 2009).

Al contrario delle terapie per ipertensione, diabete o iperlipidemia che in genere vengono ridotte e a volte sospese, l’uso di anti depressivi dopo la chirurgia bariatrica è solo

lievemente ridotto (Batsis JA ., et al.), (Potteiger C.E, et al., 2004).

Più recentemente Cunningham e coll. hanno studiato l'utilizzo di antidepressivi in 439 pazienti sottoposti a chirurgia con bypass gastrico secondo la tecnica Roux-en-Y (RYGB).

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11 Hanno scoperto che dopo RYGB, il 23% dei pazienti hanno aumentato l’utilizzo di

antidepressivi rispetto al loro uso abituale, il 40% ha utilizzato lo stesso antidepressivo, il 18% ha cambiato il tipo di farmaco antidepressivo e solo il 16% ha diminuito il dosaggio o ha sospeso il trattamento.

I farmaci antidepressivi sembrano essere il principale trattamento psicotropo nella fase post chirurgica. Tuttavia, devono essere presi in considerazione anche gli stabilizzatori dell'umore e gli antipsicotici di seconda generazione, dato il loro largo uso nella popolazione psichiatrica in generale.

Chirurgia bariatrica

La chirurgia bariatrica è considerata la migliore risposta nei casi in cui la percentuale di riduzione del peso non sia adeguata o se la gravità dell’obesità e delle condizioni ad essa associata mettano in pericolo di vita il paziente. La chirurgia bariatrica infatti riduce la mortalità generale, quella cardiovascolare e da ogni altra causa ed è in grado di migliorare complessivamente la qualità di vita dei pazienti affetti.

L’entità del miglioramento della qualità di vita è indipendente dal tipo di procedura chirurgica effettuata ed è soddisfacente quando la percentuale di perdita di peso in eccesso rispetto a quello iniziale è > del 10% (IBWL%4) (Karlsson et al., 2007).

4 IBWL%= Initial Body Weight Loss

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12

Indicazioni alla chirurgia

Nelle Linee Guida della Società Italiana di Chirurgia dell’Obesità (S.I.C.OB, 2016) si fa riferimento alla gravità dell’obesità e alla potenziale reversibilità del quadro clinico.

A partire dal Consensus Conference del National Institute of Health Americano del 1991 viene considerato decisivo il BMI nonostante questo presenti importanti limiti in quanto non è in grado né di evidenziare la distribuzione e la ripartizione dell’accumulo di grasso tra viscerale e somatico, fattore chiave nel determinare la sindrome metabolica, né la diversa distribuzione di quest’ultimo per età, sesso e razza.

Per questi motivi il BMI è considerato un parametro di riferimento importante ma non l’unico su cui stabilire l’indicazione all’intervento chirurgico.

Per ovviare a ciò, in pazienti con:

1. BMI >40 kg/m2 senza comorbidità;

2. BMI ≥35 kg/m2 in presenza di comorbidità associate all’obesità

(DM2, malattie cardiovascolari, apnee notturne, reflusso gastro-esofageo, neoplasie, artropatie gravi),

deve essere valutato insieme a parametri funzionali, metabolici e psichiatrici bilanciando sempre i rischi/benefici.

Nei pazienti con BMI tra 30-35 kg/m2 affetti da DM2 non ben controllato da terapia medica,

la chirurgia ha dimostrato la stessa efficacia.

Numerosi studi confermano l’adeguatezza della chirurgia in questa classe di pazienti sia in termini di calo ponderale, sia in termini di comorbidità analogamente a pazienti con obesità di classe superiore.

Con riferimento a specifiche patologie, di seguito si elencano le indicazioni alla chirurgia.

a) Patologia osteoarticolare.

L’eccesso di peso rappresenta uno dei fattori di rischio modificabili per questa patologia. La popolazione obesa, rispetto a quella normopeso, ha un rischio 20 volte superiore di sviluppare osteoartrite al ginocchio e 1,7 volte maggiore per la coxoartrite.

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13 Nei pazienti affetti da patologia osteoarticolare il calo ponderale

determina un sostanziale miglioramento del dolore e delle disabilità derivate da esso ed i risultati ottenuti sono degni di nota.

b) Neoplasie

L’obesità si associa ad un maggior rischio di neoplasie a livello gastro-intestinale, genito-urinario, riproduttivo ed emopoietico.

Negli Stati Uniti il 14% dei decessi legati a queste patologie è stato attribuito all’obesità. Diversi studi condotti su campioni di pazienti hanno dimostrato una notevole diminuzione dell’incidenza di neoplasie e della mortalità ad esse correlate in pazienti sottoposti a chirurgia bariatrica rispetto a chi non è sottoposto ad intervento. c) Sindrome delle Apnee Ostruttive del Sonno (OSAS)

L’obesità rappresenta un importante fattore di rischio per lo sviluppo delle OSAS.

Il 75% dei pazienti in attesa di chirurgia è affetto da OSAS; il 30% presenta una sindrome grave. Il rischio relativo cresce dell’1,14 all’incremento di ogni unità di BMI. Le OSAS a loro volta sono associate ad aumento della Sindrome Metabolica e del rischio cardiovascolare.

Coloro che si sottopongono a chirurgia bariatrica nell’88.5% vanno incontro ad un miglioramento o ad una risoluzione della patologia. La Diversione Biliopancreatica ha determinato una risoluzione delle OSAS nel 99% dei pazienti, la Sleeve Gastrectomy nell’85,7%, il

By-pass gastrico nel 79,2% ed il Bendaggio gastrico nel 77,5%.

d) Malattia da Reflusso Gastro-Esofageo (MRGE)

La chirurgia si è dimostrata efficace nel controllo del MRGE al pari della chirurgia anti reflusso ed è indicata in pazienti con obesità grave e che presentano sintomi e/o segni di reflusso.

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14 Nel trattamento dei pazienti in età evolutiva i criteri sono più stringenti rispetto a quelli degli adulti:

1. BMI >35 kg/m2 (>99,5° percentile per età) con almeno una comorbidità; 2. Trattamento medico da almeno 6 mesi presso un Centro specializzato; 3. Maturità scheletrica e sviluppo completato;

4. Capacità di aderire a programmi multidisciplinari pre- e postoperatori; 5. Possibilità di accedere ad una struttura con supporto pediatrico

specialistico.

Per i pazienti con età >65 anni dobbiamo prendere in considerazione il maggior numero di complicanze post-operatorie ed un minor calo ponderale rispetto ai pazienti più giovani. Nonostante questo il miglioramento delle comorbidità e il miglioramento della qualità della vita sono identici ai primi.

1. È importante però considerare:

2. La motivazione, la disponibilità a sottoporsi a controlli periodici e al regime dietetico prescritto;

3. La certezza della resistenza alla terapia nutrizionale e comportamentale;

4. L’assenza di controindicazioni maggiori;

5. Il rischio operatorio valutato in base all’Obesity Surgery Mortality Risk Score

(OS-MRS).

Controindicazioni assolute e relative

Una controindicazione assoluta all’intervento è rappresentata dalle endocrinopatie responsabili di obesità secondaria.

Il 40% dei pazienti candidati a chirurgia presenta almeno una diagnosi psichiatrica. Alla luce di questo dato risulta fondamentale associare alla valutazione psicologica, volta ad esaminare la motivazione, le aspettative e l’aderenza al trattamento, una valutazione di tipo psichiatrico:

a) Disturbo d’ansia e/o depressivo

Questi disturbi sono considerati indici predittivi negativi per il risultato della chirurgia, ma non rappresentano una controindicazione assoluta qualora venga associato un programma psichiatrico di sostegno.

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15 Sono considerati una controindicazione assoluta sia per le

caratteristiche sintomatologiche, sia per la difficoltà a stabilizzare il trattamento farmacologico nel post operatorio.

c) Dipendenza da alcool

Rappresenta una controindicazione assoluta. d) BED

Presenta indicazioni alla chirurgia solo dopo valutazione interdisciplinare e trattamento psicoterapeutico.

e) Bulimia Nervosa

Se non ben controllata rappresenta una controindicazione assoluta. Si potrà rivalutare l’utilizzo della chirurgia dopo un trattamento psicoterapico e la remissione stabile e totale dei sintomi.

f) Night Eating Syndrome (NES)

Costituisce indicazione alla chirurgia solo dopo trattamento psicoterapico (S.I.C.OB, 2016).

Tipi di intervento

Nei pazienti con BMI estremamente elevato e/o con obesità viscerale grave, è consigliata una riduzione pre-operatoria del peso corporeo per facilitare l’esecuzione degli interventi per via laparoscopica al fine di ridurre il tempo di esecuzione e migliorare i risultati a breve e lungo termine soprattutto nei super obesi.

Ad oggi la laparoscopia rappresenta il gold standard per l’esecuzione degli interventi di chirurgia bariatrica; la conversione alla laparotomia o la scelta della via open avviene solo in casi di forza maggiore o in presenza di particolari condizioni (aderenze, re-interventi, super-obesità, etc.).

Oggi i tipi di interventi a disposizione sono numerosi ma, nella letteratura internazionale e nel registro S.I.C.O.B, quelli maggiormente utilizzati sono:

1. La Sleeve Gastrectomy; 2. Il Bendaggio Gastrico; 3. Il By-pass gastrico;

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16 La scelta del tipo di intervento dipende dalle caratteristiche del paziente, dalle sue patologie, dalla valutazione dei rischi/benefici a breve e lungo termine ma soprattutto dall’esperienza del chirurgo.

Classificazione degli interventi in base al loro meccanismo d’azione:

Restrittivi meccanici (ostacolo meccanico al transito di cibo).

1. Bendaggio gastrico regolabile: Consiste nel

posizionare attorno alla porzione superiore dello stomaco una protesi circolare regolabile in silicone così da creare un piccolo “neo-stomaco” di circa 30ml che accoglierà il cibo.

2. Plicatura gastrica:

La capacità dello stomaco è ridotta dell’80% attraverso invaginazioni praticate in progressione a partire dalla grande curvatura dello stesso.

Questa tecnica può essere usata in contemporanea al bendaggio gastrico o successivamente. I risultati ottenuti appaiono contraddittori.

In questo tipo di interventi il paziente deve essere disponibile a seguire una serie di consigli alimentari sulle modalità di assunzione del cibo.

Interventi ad azione sia restrittiva (meccanica) sia funzionale (anoressizzante).

1. Sleeve Gastrectomy: Consiste nella resezione verticale di 4/5 dello stomaco lungo la grande curvatura con asportazione del fondo gastrico. Si determina la formazione di un “tubulo gastrico” che dà luogo ad una minore possibilità di introito di cibo. Questo tipo di intervento sembra determinare importanti modificazioni ormonali.

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17

2. By-pass Gastrico (BPG):

Lo stomaco viene diviso

completamente in due. Si ottiene, nella parte superiore, una “tasca” di 20-30 ml che viene anastomizzata mediante un'ansa digiunale a forma di Y (Ricostruzione del tratto gastrointestinale con tecnica Roux-en-Y). Di questo intervento esistono diverse varianti. Il meccanismo responsabile del calo ponderale dopo BPG non è ancora completamente conosciuto. Sebbene la tecnica

standard non induca un

malassorbimento delle proteine e/o diarrea, quando la porzione di intestino bypassato è ampia, si può verificare una carenza nell’assorbimento di alcune vitamine, Sali minerali, Calcio e Ferro, tali da comportare la necessità di assumere quotidianamente complessi multivitaminici, Calcio e Ferro.

Interventi ad azione malassorbitiva.

Diversione Biliopancreatica (BPD) di Scopinaro:

Viene confezionata una tasca gastrica con resezione dei 2/3 distali dello stomaco, in modo da ridurne la capienza a circa 400ml. Il duodeno viene sezionato 2-3 cm distalmente alla valvola pilorica e l’intestino tenue a 300 cm dalla stessa. Viene confezionata un’anastomosi termino-terminale gastro-ileale e una termino-laterale ileo-ileale così da ottenere un tratto alimentare di 25 cm rispetto a quello comune di 50 cm.

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18

a. By-pass Biliointestinale:

Viene creato un tratto alimentare comune attraverso la creazione di un’anastomosi tra i primi 30 cm di digiuno con gli ultimi 12-20 cm di ileo. L’ansa esclusa dal transito di cibo viene anastomizzata alla colecisti.

Questo intervento viene eseguito solo in pochi Centri in Italia.

Questo tipo di interventi determina un malassorbimento intestinale con un’aumentata velocità di transito.

Pertanto è assolutamente necessario che il paziente integri durante tutta la vita i nutrienti importanti quali Calcio, Ferro, Potassio, Magnesio, Vit. D3, Vit. B12 che non vengono più assorbiti (S.I.C.OB, 2016)

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19

CAP.2 ASPETTI PSICOPATOLOGICI DEI PAZIENTI CANDIDATI A

CHIRURGIA BARIATRICA.

Disturbo depressivo maggiore (DDM)

Per fare diagnosi di Disturbo Depressivo Maggiore è necessario che i sintomi siano presenti tutti i giorni, ad eccezione dell’ideazione suicidaria e della modificazione del peso. L’umore depresso deve essere presente quasi tutti i giorni e per gran parte della giornata.

Criteri diagnostici:

Criterio A Cinque (o più) dei seguenti sintomi sono stati contemporaneamente presenti durante un periodo di 2 settimane e rappresentano un cambiamento rispetto al precedente livello di funzionamento; almeno uno dei sintomi è 1) umore depresso o 2) perdita di interesse o piacere.

Nota: Non comprendere sintomi chiaramente attribuibili

ad un'altra condizione medica.

1. Umore depresso per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni, come riportato dall'individuo (per es., si sente triste, vuoto/a, disperato/a) o come osservato da altri (per es., appare lamentoso/a).

(Nota: Nei bambini e negli adolescenti - l'umore può essere irritabile.).

2. Marcata diminuzione di interesse piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi tutti i giorni (come indicato dal resoconto soggettivo o dall’osservazione).

3. Significativa perdita di peso, non dovuta a dieta, o aumento di peso (per es. un cambiamento superiore al 5% del peso corporeo in un mese)

(20)

20 oppure diminuzione o aumento dell'appetito

quasi tutti i giorni.

(Nota: Nei bambini, considerare l'incapacità di raggiungere i normali livelli ponderali.).

4. Insonnia o ipersonnia quasi tutti i giorni.

5. Agitazione o rallentamento psicomotori quasi tutti i giorni (osservabile dagli altri non semplicemente sentimenti soggettivi di essere irrequieto/a o rallentato/a).

6. Faticabilità o mancanza di energia quasi tutti i giorni.

7. Sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati (che possono essere deliranti), quasi tutti i giorni (non semplicemente autoaccusa o sentimenti di colpa per il fatto di essere ammalato/a).

8. Ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, o indecisione, quasi tutti i giorni come impressione soggettiva o osservata da altri).

9. Pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire), ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico o un tentativo di suicidio o un piano specifico per: commettere suicidio.

Criterio B I sintomi causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.

Criterio C L'episodio non è attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza o a un'altra condizione medica.

Criterio D Il verificarsi dell'episodio depressivo maggiore non è meglio spiegato dal disturbo schizo-affettivo, dalla schizofrenia, dal disturbo schizofreniforme, dal disturbo

(21)

21 delirante o dal disturbo dello spettro della schizofrenia e

altri disturbi psicotici con altra specificazione o senza specificazione

Criterio E Non vi è mai stato un episodio maniacale o ipomaniacale.

Nota: Tale esclusione non si applica se tutti gli episodi

simil-maniacali o simil-ipomaniacali sono indotti da sostanze o sono attribuibili agli effetti fisiologici di un'altra condizione medica.

Negli Stati Uniti la prevalenza a 12 mesi è del 7% e nei oggetti giovani (18-29) risulta tre volte maggiore rispetto a quella riscontrata in individui di età superiore ai 60 anni. Nel sesso femminile il tasso è da 1.5 a 3 volte maggiore rispetto a quello maschile.

L’esordio è possibile ad ogni età ma la probabilità aumenta notevolmente durante la pubertà con un picco intorno ai 20 anni, anche se rimane comune un esordio in età avanzata.

I soggetti affetti da Episodio Depressivo Maggiore inizialmente possono negare la presenza di tristezza, tuttavia questa può essere individuata attraverso il colloquio o intuita dall’atteggiamento e dall’espressione del volto del paziente.

In un’alta percentuale di casi sono presenti alterazioni del sonno e la faticabilità che spesso rappresentano i sintomi di esordio. In questi casi il mancato riconoscimento dei sintomi caratterizzanti l’episodio depressivo è alla base di una mancata diagnosi.

Il DDM si associa ad elevata mortalità causata prevalentemente dal suicidio.

I soggetti affetti da DDM presentano irritabilità, facilità a piangere, tendenza alla ruminazione, ansia, fobie e sintomi di dolore come cefalee, dolori addominali o di altro tipo.

Il decorso è molto variabile da individuo a individuo, alcuni non vanno mai incontro a remissione5, altri vanno avanti per anni con pochi o nessun sintomo tra i vari episodi. La

cronicità è gravata da disturbi di personalità, d’ansia, da uso di sostanze che ne rendono più difficoltosa la risoluzione.

5 Inteso come un periodo di 2 mesi o più senza sintomi, oppure uno o due dei sintomi presenti in modo lieve.

(22)

22 Il processo di guarigione inizia dopo 3 mesi per alcuni, entro 1 anno per altri. Il rischio di ricaduta diminuisce all’aumentare della durata della remissione dei sintomi e questo rischio è maggiore in coloro nei quali l’episodio precedente è stato particolarmente grave e in chi ha avuto più episodi di malattia e nei più giovani.

I Sintomi si differenziano in base all’età. Nei giovani sono più frequenti l’ipersonnia e l’iperfagia, mentre la melancolia e i disturbi psicomotori sono più comuni negli anziani.

I fattori genetici sono importanti (l’ereditarietà è del 40%), i parenti di primo grado dei soggetti affetti hanno una probabilità fino a 4 volte maggiore rispetto alla popolazione generale di sviluppare il DDM. A questi si aggiungono fattori ambientali come esperienze infantili avverse, eventi stressanti riconosciuti come fattori precipitanti e fattori temperamentali come il ‘nevroticismo’ (affettività negativa) che rende gli individui più suscettibili a sviluppare episodi maggiori.

Le conseguenze legate al disturbo vanno dalla completa inabilità del soggetto ad una compromissione lieve tanto da non essere riconosciuta da coloro che si trovano a contatto con il soggetto depresso.

Disturbo da Binge-Eating (BED)

Il Binge-Eating si può presentare sia in individui normopeso che sovrappeso/obesi. Nonostante sia spesso presente in coloro che richiedono un trattamento per sovrappeso/obesità rappresenta un disturbo ben distinto da questi. Caratteristica essenziale del BED sono i ricorrenti episodi di abbuffata che devono essere presenti mediamente 1 volta a settimana per 3 mesi.

(23)

23 Criteri diagnostici:

Criterio A Ricorrenti episodi di abbuffata. Un episodio di abbuffata è caratterizzato da entrambi i seguenti aspetti:

1. Mangiare, in un determinato periodo di tempo (per es., un periodo di due ore), una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte degli individui mangerebbe nello stesso tempo e in circostanze simili. 2. Sensazione di perdere il controllo durante

l'episodio (per es., sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o a controllare cosa e quanto si sta mangiando.

Criterio B Gli episodi di abbuffata sono associati a tre o più dei seguenti aspetti:

1. Mangiare molto più rapidamente del normale. 2. Mangiare fino a sentirsi sgradevolmente pieni. 3. Mangiare grandi quantitativi di cibo anche se

non ci si sente affamati.

4. Mangiare da soli a causa dell'imbarazzo per quanto si sta mangiando.

5. Sentirsi disgustati verso sé stessi, depressi o molto in colpa dopo l'episodio.

Criterio C È presente marcato disagio riguardo alle abbuffate Criterio D L'abbuffata si verifica, mediamente, almeno una volta

alla settimana per 3 mesi.

Criterio E L'abbuffata non è associata alla messa in atto sistematica di condotte compensatorie inappropriate come nella bulimia nervosa, e non si verifica esclusivamente in corso di bulimia nervosa o anoressia nervosa

(24)

24 Specificare se:

In remissione parziale: Successivamente alla precedente piena

soddisfazione dei criteri per il disturbo da binge-eating, gli episodi di abbuffata si verificano con una frequenza media di meno di un episodio a settimana per un consistente periodo di tempo.

In remissione completa: Successivamente alla precedente piena

soddisfazione dei criteri per il disturbo da binge-eating, nessuno dei criteri è stato soddisfatto per un consistente periodo di tempo. ·

Specificare la gravità attuale:

Il livello minimo di gravità si basa sulla frequenza degli episodi di abbuffata (si veda sotto). Il livello di gravità può essere aumentato per riflettere altri sintomi e il grado di disabilità funzionale.

Lieve: Da 1 a 3 episodi di abbuffata a settimana Moderata: Da 4 a 7 episodi di abbuffata a settimana Grave: Da 8 a 13 episodi di abbuffata a settimana Estrema: 14 o più episodi di abbuffata a settimana

Negli Stati Uniti la prevalenza a 12 mesi è dell’1.6% nel sesso femminile e dello 0.8% nei soggetti di sesso maschile. Risulta maggiore tra gli individui che richiedono un trattamento per la perdita di peso rispetto alla popolazione generale.

Il suo esordio avviene tipicamente negli adolescenti o nella prima età adulta ma non è raro anche dopo i 65 anni.

Sembra essere relativamente persistente con un decorso paragonabile a quello della Bulimia Nervosa in termini di gravità e durata. Il passaggio dal Binge-Eating ad altri disturbi dell’alimentazione non è frequente.

Sebbene si sappia ancora poco sullo sviluppo del BED, anche questo disturbo è influenzato sia da fattori genetici che ambientali.

Il BED è gravato da una serie di conseguenze funzionali come problemi di adattamento al ruolo sociale, compromissione della qualità di vita, aumentata morbilità e si associa all’aumento del rischio di sviluppare obesità.

(25)

25 L’impulsività

L’impulsività viene menzionata più volte nel DSM-IV tra i criteri diagnostici di numerose patologie tuttavia, fino a poco tempo, sono stati condotti solo pochi lavori per chiarire il suo ruolo nei disturbi psichiatrici. Una ragione di ciò può essere ricondotta ad un disaccordo nella letteratura su come definire e misurare l’impulsività stessa. Infatti, nonostante che nel DSM-IV vengano fatti diversi esempi di comportamenti impulsivi, quest’ultima non viene chiaramente definita.

Nel corso del tempo è stata identificata come un “agire senza pensare”, ovvero la tendenza ad agire con minore accortezza rispetto a quanto solitamente fatto dagli individui con le stesse abilità e conoscenze, oppure una predisposizione ad agire in modo rapido e non programmato verso stimoli interni ed esterni senza considerare le conseguenze negative di queste reazioni.

L’impulsività, intesa come incapacità di resistere ad uno stimolo o ad un impulso, rappresenta il fulcro di alcuni disturbi psichiatrici quali l’ADHD, il Disturbo Borderline di Personalità, il Disturbo Depressivo Maggiore, il Disturbo Ossessivo – Compulsivo, il Disturbo da Uso di Sostanze ed il Gioco d’Azzardo Patologico.

Eysenck e Eysenck hanno correlato l’impulsività al correre il rischio, alla mancanza di pianificazione e al fare mente locale in fretta (Eysenck and Eysenck, 1978).

Patton e coll. hanno diviso l’impulsività in 3 componenti:

1. Impulsività motoria: tendenza ad agire senza pensare, agire su due piedi;

2. Impulsività attentiva: tendenza a prendere decisioni rapide e mancanza di concentrazione rispetto al compito;

3. Impulsività non pianificativa: modalità di comportamento caratterizzata da una scarsa valutazione delle conseguenze, mancanza di pianificazione, orientamento al presente con assenza assoluta di pensieri sul futuro (Patton et al., 1995)

Moeller e coll. hanno indicato le caratteristiche che identificano questo concetto. L’impulsività è considerata un modello comportamentale biologicamente predeterminato che implica la tendenza del soggetto ad agire rapidamente senza pianificare la propria condotta e senza procedere ad una valutazione razionale e consapevole delle proprie conseguenze.

(26)

26 Dal punto di vista neuropsicologico viene definita come il risultato di processi neuro cognitivi sottostanti. L’alterazione di due di questi processi conduce a differenti forme di impulsività.

Da una parte troviamo l’impulsività intesa come ridotta abilità ad inibire le risposte comportamentali (funzione esecutiva che dipende dalla corteccia prefrontale), dall’altra come ridotta abilità ad adattare le scelte in base al meccanismo ricompensa/punizione (funzione che dipende dal funzionamento della corteccia orbito-frontale e dalle sue connessioni con l’amigdala ed il nucleo striato) (Poletti, 2009).

Impulsività e obesità

Nella ricerca scientifica, basandosi sulle somiglianze tra l’abuso di sostanze ed il consumo eccessivo di cibo, c’è un crescente interesse nella “food addiction”, una modalità compulsiva di alimentarsi che presenta le stesse caratteristiche comportamentali dell’abuso di sostanze quali la perdita di controllo, la tolleranza, il craving6 e le ricadute.

In aggiunta a questo gli studi sull’imaging cerebrale dimostrano in comune tra gli individui obesi e i e coloro che fanno uso di sostanze, un’interruzione dei segnali dopaminergici nei circuiti cerebrali di ricompensa e motivazione, cosi come condividono cambiamenti nelle regioni cerebrali associate con il craving sia per il cibo che per le droghe (Volkow et al. 2011).

Tenendo in considerazione le somiglianze tra i comportamenti alimentari e la dipendenza da sostanze, possiamo ipotizzare che processi simili operino in entrambe le condizioni. Uno dei principali determinanti della dipendenza da sostanze è l’impulsività. Essendo l’impulsività, un costrutto solidamente connesso con la dipendenza da droga, è stato sempre più preso in considerazione come determinante dell’obesità ma con risultati confusi.

Uno studio recente condotto dall’Università della Georgia ha cercato di chiarire l’interrelazione tra impulsività, Food Addiction (FA) ed obesità.

La ricerca scientifica, basandosi sulle somiglianze tra l’abuso di sostanze ed il consumo eccessivo di cibo, manifesta un crescente interesse per la cosiddetta FA definita come una modalità compulsiva di alimentarsi che presenta le stesse caratteristiche comportamentali dell’abuso di sostanze quali la perdita di controllo, la tolleranza, il craving e le ricadute.

6 Desiderio impulsivo per una sostanza psicoattiva, per un cibo o per qualunque altro oggetto-comportamento gratificante (Gerra et all., 2002).

(27)

27 In aggiunta, studi di Imaging cerebrale, dimostrano caratteristiche comuni tra gli individui obesi e coloro che fanno uso di sostanze. Ad esempio in entrambi i gruppi di soggetti sono presenti interruzioni dei segnali dopaminergici a livello dei circuiti cerebrali di ricompensa e motivazione, e cambiamenti nelle regioni cerebrali associate con il craving sia per il cibo che per le droghe (Volkow et al. 2011).

Sempre tenendo in considerazione le somiglianze possiamo ipotizzare che processi simili operino in entrambe le condizioni.

Uno dei principali determinanti della dipendenza da sostanze è l’impulsività. Quest’ultima, essendo un costrutto solidamente connesso con la dipendenza da sostanze, sta divenendo oggetto di numerosi studi perché considerata come un determinante dell’obesità.

Uno studio recente, condotto dall’Università della Georgia, ha cercato di chiarire l’interrelazione tra impulsività, FA ed obesità.

I risultati suggeriscono che gli individui che tendono ad agire in modo avventato quando provano emozioni particolarmente forti, possono essere più propensi a consumare cibo in modo compulsivo utilizzandolo come mezzo di regolazione delle emozioni e come un rinforzo positivo e/o negativo.

In aggiunta, suggerisce che coloro che tendono a scegliere una gratificazione immediata a discapito di una più grande ricompensa posticipata, possono essere più propensi a cedere al desiderio di cibo rispetto al conseguimento/mantenimento di uno stato di salute a lungo termine.

È importante sottolineare che lo studio dimostra come le variabili legate all’impulsività riguardino l’obesità solamente per la loro associazione con la FA.

In sintesi, questo studio fornisce un ulteriore sostegno all’ipotesi che alcuni aspetti della impulsività, l’agire senza riflettere quando si provano emozioni particolarmente forti e l’incapacità di attendere una ricompensa futura rispetto ad una gratificazione immediata, sono rilevanti per l'obesità, anche se la relazione appare di tipo indiretto in quanto passa attraverso la FA. Sebbene la Food Addiction venga associata con l’obesità le due condizioni non sono affatto la stessa cosa. L’obesità potrebbe essere il risultato finale di vari processi differenti, la FA per alcuni individui rappresenterebbe un percorso problematico verso

(28)

28 l’obesità stessa (la FA può dare luogo a obesità ma non sempre i pazienti obesi presentano i sintomi della FA).

CAP.3 PSICOPATOLOGIA E OBESITA’

La correlazione tra obesità e disturbi mentali è ancora ampliamente dibattuta. Quotidianamente coloro che si occupano della Salute Pubblica sono chiamati a valutare l’obesità come una conseguenza o un rischio, un fattore causale o modulatorio di numerose condizioni cliniche.

La società odierna appare sempre più vulnerabile alle alterazioni metaboliche ed in particolare quest’ultime sembrano riguardare maggiormente la popolazione psichiatrica.

In questi casi l’approccio psico-educazionale prevede, in aggiunta alle interviste diagnostiche e all’esclusione di comorbidità per disturbi alimentari, una valutazione dei comportamenti alimentari del paziente.

La letteratura conferma che la popolazione psichiatrica presenta una maggiore probabilità di andare incontro a sovrappeso e di essere affetta dalle comorbidità legate all’obesità. Comunemente si ritiene che questo sia legato agli effetti collaterali dei farmaci psichiatrici, tuttavia anche i pazienti che non fanno terapia hanno evidenziato una probabilità 3 volte maggiore di sviluppare obesità di tipo centrale (Ruelaz, 2009).

Qualsiasi valutazione di comorbidità psichiatrica in soggetti gravemente obesi dovrebbe essere svolta tenendo in considerazione gli effetti che le anomalie metaboliche e le comorbidità ad esse legate hanno sul funzionamento del SNC.

Al di là delle conseguenze cerebrovascolari o le gravi alterazioni metaboliche (diabete non controllato, tireopatie, etc.) protratte nel tempo, i pazienti obesi possono mostrare un deterioramento neuro-psicologico da lieve a moderato.

La prova di questi risultati, anche quando la valutazione di questi viene corretta per le condizioni che agiscono come fattori di confondimento, ha portato alcuni autori ad ipotizzare una Sindrome Frontale connessa con l’obesità (Boeka A., et al., 2008) ; (Gunstad J., et al., 2007).

Raji e coll. hanno studiato le differenze volumetriche della sostanza bianca e di quella grigia in soggetti anziani utilizzando la “Tensor based morphometry” (TBM) scoprendo il BMI, l’insulina

(29)

29 a digiuno e il DM2 sono fortemente connessi con un’atrofia delle regioni temporali, frontali e subcorticali. I pazienti con BMI >30 kg/m2 mostrano una maggiore atrofia dei lobi frontali,

dell’ippocampo, del giro cingolato anteriore e del talamo rispetto a persone normopeso. Da questa analisi gli autori hanno concluso che valori più alti di BMI si associano ad un volume cerebrale minore (Votruba K., et al., 2014).

Le conclusioni a cui sono arrivati sono rilevanti nella gestione dei pazienti obesi alla luce dell’aumentato rischio di sviluppare Sindromi da Deficit Cognitivo (in particolare la Malattia di Alzheimer) però qualsiasi tipo di deficit neuropsicologico si basa su condizioni di anormalità del SNC che possono offuscare l’espressione delle sindromi psicopatologiche.

Petry e coll., analizzando i dati dello Studio Epidemiologico Nazionale sull’Alcool e le condizioni correlate (NESARC), hanno rilevato che nel gruppo degli obesi la prevalenza a 12 mesi riscontrata per i disturbi d’ansia e dell’umore nel DSM-IV è rispetto al gruppo dei normopeso (Petry NM. , et al., 2008).

I risultati ottenuti da Petry confermano quelli di Scott la cui analisi mira ad individuare la possibile associazione tra disturbi psichiatrici e obesità in un campione di popolazione generale. I disturbi psichiatrici sono stati studiati attraverso la “Composited International

Diagnostic Interview” (CIDI 3.0) e misurati i diversi moderatori.

Questo studio ha dimostrato un’associazione significativa tra l’obesità e il Disturbo Depressivo Maggiore (OR=1,27), Disturbo Bipolare (OR=1,47), Disturbi d’Ansia come il PTSD (Disturbo Post-Traumatico da Stress (OR=2,64), Disturbo di Panico e Agorafobia (OR=1,27), con variabili demografiche che agiscono come modulatori nell’associazione tra l’obesità ed i soli disturbi dell’umore (Scott KM. , et al., 2007).

Un ulteriore studio ha descritto l’obesità in età adolescenziale come un ulteriore fattore di rischio per lo sviluppo di episodi depressivi nell’età adulta, e ha dimostrato che i maschi che presentano obesità centrale hanno un aumento della probabilità di andare incontro a sintomi depressivi rispetto a femmine non obese (Herva A., et al., 2006).

In opposizione ai precedenti studi alcuni lavori non sono riusciti a confermare l’associazione tra obesità e le diagnosi psichiatriche basate sul DSM-IV. Ad esempio in uno studio tedesco del 2006 condotto su 4181 adulti, non sono riusciti a trovare un’associazione significativa tra obesità e disturbi psichiatrici.

(30)

30 Inoltre, sebbene l’obesità sia stata associata a comorbità di tipo somatico e a indicatori di basso livello socio-economico, i soggetti appartenenti al gruppo degli obesi presentava punteggi migliori relativamente agli indicatori relativi al funzionamento/supporto familiare e sociale (Hach I., et al., 2007).

Nonostante le ampie differenze nei tassi di prevalenza osservati, i ricercatori hanno riscontrato una maggiore prevalenza di disturbi psichiatrici nei soggetti affetti da obesità di grado III o maggiore, gruppo sul quale avevano posto la loro attenzione (Rosenberger P.H ., et al., 2006).

Le revisioni mostrano che, all’interno del gruppo di soggetti candidati a chirurgia bariatrica, la prevalenza lifetime di diagnosi psichiatrica varia dal 20 al 70% (Sarwar D.B., et al., 2004); (Malik S., et al., 2014).

In un’ulteriore ricerca è stato osservato che i candidati a chirurgia bariatrica presentavano una prevalenza del 64.4% di diagnosi psichiatriche con almeno una comorbidità nella metà dei soggetti. La prevalenza maggiore riguardava il Disturbo Depressivo Maggiore (28%) ed il Disturbo da Binge Eating (24%) (Sarwer, et al., 2004).

Un altro studio condotto da Kalarchian ha evidenziato un tasso di prevalenza lifetime del 66% per i Disturbi di Asse I-DSM-IV ed una prevalenza attuale del 38% (Kalarchian MA., et al., 2007).

Questi dati mostrano che le comorbidità più frequenti per quanto riguarda i disturbi psichiatrici sono, in ordine di prevalenza: Disturbi dell’umore, Disturbi d’ansia, Disturbi del comportamento alimentare e da abuso di sostanze (Corneille LR., et al., 2012); (Rosenberger P.H ., et al., 2006); (Sarwer, et al., 2004).

(31)

31

CAP.4 MATERIALI E METODI

I soggetti dello studio sono stati reclutati tra i pazienti ricoverati presso l’U.O di Medicina Generale 3 e di seguito inviati all’U.O di Psichiatria 2 per una valutazione psichiatrica pre-operatoria.

I pazienti sono stati selezionati in base ad alcuni criteri di inclusione:

1. Età compresa tra i 18 e gli 80 anni;

2. Capacità di leggere e comprendere la lingua italiana; 3. Indicazione preliminare alla Chirurgia Bariatrica; 4. Capacità di fornire un consenso informato scritto;

5. Disponibilità a partecipare ad un puntuale programma di visite;

6. Capacità di mostrarsi collaborante e di comprendere le procedure e lo scopo dello studio.

I criteri di esclusione sono:

1. Criteri psichiatrici di esclusione alla Chirurgia Bariatrica quali l’abuso di alcool o sostanze e sintomi psicotici gravi;

2. Incapacità di fornire un consenso scritto.

I pazienti reclutati sono stati valutati in accordo con i criteri diagnostici del DSM-IV-TR attraverso un’intervista condotta da due ricercatori e le diagnosi sono state confermate per mezzo della M.I.N.I 5.0.1 (Mini International Neuropsychiatric Interview) e del modulo per la diagnosi di BED inserito nella Boston Interview for Gastric Bypass.

Durante le visite psichiatriche sono state indagate le più importanti abitudini comportamentali del paziente, come il consumo di sostanze quali il tabacco, la caffeina nonché l’uso subclinico di alcool.

Il peso corporeo è stato registrato al momento del ricovero e valutato attraverso il BMI.

In attesa del completamento del protocollo pre-operatorio, le comorbidità prese in considerazione sono state elencate come provvisorie.

Sono stati registrati i dati demografici e antropometrici, indagata la familiarità per patologie psichiatriche e l’eventuale terapia psicofarmacologica in atto o pregressa.

(32)

32 Strumenti diagnostici

Per la valutazione psichiatrica abbiamo usato diversi strumenti:

M.I.N.I 5.0.1

La Mini-International Neuropsychiatric Interview (M.I.N.I) è una scala di valutazione diagnostica semi-strutturata sviluppata in modo congiunto dai gruppi di Sheehan (USA) e di Lecrubier (Francia) (Sheehan et al. 1998). Si tratta di uno strumento in linea con i principali sistemi internazionali di classificazione diagnostica in accordo ai criteri DSM-IV e ICD-10 e che consiste di un’intervista breve (15 minuti), chiara, facile da somministrare e con una buona sensibilità e specificità.

Questa scala di valutazione è stata progettata per rispondere alle esigenze di studi clinici

multicentrici randomizzati (RCT), studi epidemiologici e per essere utilizzata come primo step

per il monitoraggio in ambito non clinico.

La M.I.N.I è stata validata in relazione al DSM-III-R SCID-P (Structured Clinical Interview Patient

Version), la CIDI (Composite International Diagnostic Interview) e a scale di valutazione per

professionisti del settore.

La versione 5.0.1 permette la diagnosi di 16 disturbi presenti nel DSM-IV:

1. 14 Disturbi di Asse I: Episodio depressivo Maggiore, Distimia, Episodio (Ipo)

Maniacale, Disturbo di Panico e Attacchi di Panico sotto soglia, Disturbi Psicotici, Fobia Sociale, Agorafobia con o senza attacchi di Panico, Disturbo Stress Post-Traumatico da stress, Disturbo Ossessivo-Compulsivo, Disturbi da uso di sostanze e alcool, Disturbo d’Ansia generalizzata, Anoressia e Bulimia Nervose.

2. 1 Disturbo di Asse II: Disturbo Antisociale di personalità che viene incluso perché

stabile nel tempo, per la sua comprovata consistenza nei confronti di tutti gli altri disturbi di personalità e in accordo con le sue implicazioni cliniche e prognostiche.

3. Rischio Suicidario

La M.I.N.I si concentra soprattutto sui sintomi attuali, ad eccezione dei criteri relativi ai disturbi dell’umore e di panico, tralasciando domande riguardanti la compromissione funzionale, la relazione con comorbidità di tipo somatico o con l’uso di sostanze (M. Mauri et al. 2002).

(33)

33

MOODS-SR-Lifetime

Il MOODS-SR ipotizza l’esistenza di un approccio unitario sia alla dimensione ipo/maniacale sia alla dimensione depressiva dei disturbi dell’umore attraverso una valutazione lifetime di differenti dimensioni psicopatologiche e differenti livelli di disregolazione emotivo-affettiva. (Dell'Osso L., et al., 2002).

Il MOODS-SR, nella sua forma attuale, consiste di 161 items a risposta dicotomica (sì/no) che identificano i fattori dello spettro depressivo e di quello bipolare attraverso un’analisi fattoriale. Gli items sono suddivisi in 3 domini (ipo)maniacali e 3 depressivi ciascuno dei quali esplora l’area cognitiva, l’umore e l’energia. È inoltre presente un dominio per le alterazioni nella ritmicità (alterazioni dell’umore in base alla stagione e al clima) e nelle funzioni neuro vegetative (il sonno, l’appetito e l’attività sessuale) (Cassano et al. 2009).

SCI-ABS-SR

La SCI-ABS-SR (Intervista Clinica Strutturata – Spettro Anoressico Bulimico-Self Rated) è un questionario di auto-valutazione ideato dallo “Spectrum Project Study Group” e validato con uno studio nel 1997. Questo strumento ha permesso di cogliere non solo gli aspetti più evidenti dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), ma anche quelli atipici e sotto soglia ponendo anche attenzione all’impatto sugli aspetti della vita quotidiana e sociale.

È costituita da 134 items con risposta dicotomica (SI/NO) strutturata in 9 domini e 12 sottodomini (Mauri M., et al., 2000).

1. Attitudini e convinzioni; 2. Storia del peso;

3. Autostima e soddisfazione;

4. Fobie 4.1 Insoddisfazione per il proprio

corpo,

4.2 Fobia dell’aumento di peso, 4.3 Fobia sociale secondaria, 4.4 Percezioni viscerali 5. Comportamento evitante e

compulsivo;

6. Mantenimento del peso, con i

sottodomini 6.1 Abitudini dietetiche,

6.2 Attività fisica,

6.3 Condotte di eliminazione 7. Discontrollo sul cibo;

(34)

34 8. Caratteristiche associate e

conseguenze: 8.1 Discontrollo degli impulsi, 8.2 Personalità,

8.3 Conseguenze fisiche; 9. Interferenza e livello di

consapevolezza: 9.1 Interferenza,

9.2 Livelli di consapevolezza

Il Dominio 7 valuta gli stili alimentari anomali. L’item 897, in particolare, è stato utilizzato per

confermare la presenza di “grazing” lifetime.

BOSTON INTERVIEW for Gastric Bypass- versione originale

Si tratta di un’intervista semi-strutturata sviluppata da Sogg e coll. per indagare l’idoneità psicologica dei pazienti candidati a Bypass gastrico (Sogg & Mori 2004).Si tratta di un’intervista semi-strutturata sviluppata da Sogg e coll. per indagare l’idoneità psicologica dei pazienti candidati a Bypass gastrico (Sogg & Mori 2004).

Le 7 aree di valutazione indagate sono:

1. Storia del peso, delle diete e della nutrizione 2. Comportamenti alimentari attuali

3. Storia medica

4. Capacità di comprensione delle procedure chirurgiche, dei rischi e del regime post-chirurgico

5. Motivazioni ed aspettative riguardo all'outcome chirurgico 6. Relazioni e sistemi di supporto

7. Anamnesi psichiatrica

Nel nostro studio abbiamo impiegato i dati riguardanti la sezione dei comportamenti alimentari così da valutare meglio i sintomi del BED.

BARRATT IMPULSIVENESS SCALE - BIS 11

La Barratt Impulsiveness Scale (BIS-11) è un questionario di autovalutazione progettato per misurare l’impulsività. Rappresenta lo strumento di valutazione più citato ed è utilizzato da 50

7 “Nella sua vita, ha mai avuto lunghi periodi (almeno un mese) in cui mangiava continuamente nell’arco della giornata, tanto da ingerire una quantità di cibo decisamente maggiore di quella che le persone generalmente mangiano?”

(35)

35 anni per l’approfondimento della conoscenza di questo costrutto e delle sue relazioni con altri eventi clinici (Stanford et al., 2009).

La versione attuale della scala è formata da 30 items che descrivono le scelte comportamentali sia impulsive che non impulsive utilizzando per quest’ultime un sistema di punteggio inverso.

Gli items sono valutati attraverso una scala di 4 punti:

1. Mai/Raramente; 2. Talvolta

3. Spesso

4. Quasi sempre/sempre

L’opinione di Barratt e dell’International Society for Research on Impulsivity è che l’impulsività sia un ‘costrutto multidimensionale’ e che questa sua caratteristica sia riprodotta nella struttura della BIS-11.

Gli autori raccomandano di riportare almeno il 2° ordine di fattori in modo da evidenziare il loro contributo individuale nella relazione che è stata testata.

Patton e coll. hanno individuato 3 fattori di secondo ordine e 6 di primo:

Fattori di 2° ordine Impulsività Attentiva Impulsività Motoria Impulsività da non pianificazione

Fattori di 1° ordine

Attenzione Impulsività Motoria Autocontrollo

Instabilità Cognitiva Perseveranza Complessità Cognitiva

Il punteggio totale varia da 30 a 120 e fornisce una stima quantitativa dell’impulsività derivante dalla somma dei tre fattori di 2° ordine:

Totale BIS-11 [Impulsività Attentiva+ Motoria+ Non Pianificazione].

Questa scala ha dimostrato una buona attendibilità e la versione Italiana è stata validata da Fossati e coll. (Fossati et al., 2001).

(36)

36

CAP.5 RISULTATI

I dati Socio-Demografici ed altri dati descrittivi del campione sono riportati nelle tabelle 1 e 2

Tabella 1 – Dati Socio-demografici

Mean (SD) Minimum Maximum

Age 43,5 (11,5) 20 67

Gender Percentage Percentage

Male 33,8 Female 66,3

Children Percentage Parenthood Percentage

None 47,5 Yes 47,5 1 21,3 2 23,8 3 2,5 No 52,5 4 3,8 7 1,3

Marital Status Percentage Marital Class Percentage

Single 28,8 Alone/Single 37,5 Married 58,8 Common-law couple 3,8 Separated 2,5 Couple 62,5 Divorced 3,8 Widowed 2,5

Education Degree Percentage ge

Education Groups Percentage

None 1,3 Non-academic 90,0

Primary 7,5 Academic 10,0

Lower Secondary 35,0

Upper Secondary 46,3 Mandatory 43,7

Bachelor/Master Degree 8,8 High School and Academic 56,3

Doctoral/Master Degree 1,3

Occupational Status Percentage Occupational Groups Percentage Retired 8,8

Housewife/Student 20,0 Jobless 35,0

Employed 65,0 Working 65,0

(37)

37

Tabella 2 – Frequenza delle Comorbidità/Complicanzei

Comorbidity/Complication Percentage Comorbidity/Complication Percentage

Hypertension 43 Orthopedic 18

Dyslipidemia 31 Gynecologic/Andrological Conditions

16

Diabetes Type 2 21 Nephropathy 10

Metabolic Syndrome 38 Hyperuricemia 9

Gastroenterologic 73 Osteopenia/Osteoporosis 9

Steatosis 60 Oncologic History 8

Cardiocirculatory 45 CNS 4

Thyreopathy 31 Rheumatologic conditions 3

OSAHS/Restrictive syndrome

18 PNS 1

Mean BMI (Kg/m2) Standard

Deviat

Minimum (Kg/m2) Maximum (Kg/m2)

45 7,65 31 77

Obesity Grade Percentage Obesity Class Percentage

I 3 Moderate (grade I +II) 23

II 20

III 54 Severe/Morbid (grade III) 54

IV 21

V 3 Super/Monstrou

s (grade IV+V)

24

(38)

38 Per diagnosi psichiatrica

Nella tabella 3 è riportata la prevalenza delle singole diagnosi psichiatriche.

È importante sottolineare che ogni soggetto con una diagnosi condotta con la M.I.N.I presenta un disturbo dell’umore lifetime. La prevalenza attuale, passata e complessiva dei disturbi psichiatrici aumenta se consideriamo i dati sulla prevalenza di BED, come mostrato nella parte inferiore della tabella.

Nella tabella 4 sono posti a confronto i dati di prevalenza delle diverse categorie diagnostiche (DSM-IV) elaborati nel corso degli anni da vari autori. Confrontando questi ultimi con il nostro campione vediamo una prevalenza attuale e lifetime maggiore sia per quanto riguarda i disturbi dell’umore sia per quelli di asse I nei soggetti candidati a chirurgia bariatrica quando confrontati con la popolazione generale.

I dati ottenuti utilizzando la M.I.N.I mostrano una prevalenza dei disturbi classificati nel DSM leggermente minore rispetto a quelli in letteratura (Mauri et al., 2008; Pull, 2010; Wadden et al., 2007). Come già sottolineato il protocollo di degenza osservato nei nostri pazienti implica una precedente valutazione da parte di un chirurgo bariatrico o di uno specialista in medicina interna/metabolica. Questo aspetto potrebbe aver portato all’esclusione dei soggetti meno conformi, così come quelli con condizioni psichiatriche gravi. Solo alla luce di questa peculiarità è possibile spiegare la differenza riscontrata con gli altri dati.

Per quanto riguarda la prevalenza lifetime (dei disturbi dell’umore e di Asse I) possiamo riscontrare una chiara differenza tra i risultati ottenuti con la M.I.N.I (52.5%) e il tasso di prevalenza totale del DSM di 68.8%. Questa constatazione è in linea con gli studi tedeschi e americani (Malik et al., 2014).

Quando integriamo i dati ricavati dalle interviste diagnostiche e dalle diagnosi cliniche di BED, queste cifre si spostano a tassi di prevalenza più alti (28,7%) in analogia con i risultati presenti in letteratura. (Kalarchian et al., 2007; Mauri et al., 2008; Mitchell et al., 2012; Rosenberger et al., 2006).

La prevalenza del BED, stimata utilizzando i criteri del DSM e confermata da specifici items della Boston Interview, risulta essere più elevata rispetto ai dati della letteratura.

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