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Effetto degli 1,3-1,6 β-glucani in zebrafish sapje, come modello di distrofia muscolare

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA' DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE VETERINARIE

Corso di Laurea Magistrale in

SCIENZE E TECNOLOGIE DELLE PRODUZIONI ANIMALI

TESI DI LAUREA

Effetto degli 1,3-1,6 β-glucani in zebrafish sapje, come

modello di distrofia muscolare

Candidata: Relatore:

Letizia Brogi Dott. Baldassare Fronte

Correlatore:

Dott. Filippo Maria Santorelli

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Sommario

Riassunto ... 5

Abstract ... 7

Introduzione... 9

1. β-glucani ... 10

a) L‟origine dei β-glucani ... 10

b) La struttura biochimica ... 13

c) Attività immunologica dei β-glucani ... 16

d) Estrazione e sonicazione dei β-glucani... 20

2. Distrofia muscolare di Duchenne ... 22

3. Modelli animali di distrofia muscolare di Duchenne ... 26

1. Mammiferi ... 26

a) Modello murino ... 26

b) Modello canino ... 28

c) Altri modelli mammiferi ... 30

2. Non mammiferi ... 32

a) Caernorhabpitis elegans ... 32

b) Drosophila melanogaster ... 32

4. Zebrafish modello animale ... 33

a) Riproduzione ... 34

b) Embriogenesi ... 36

c) Decorionizzazione ... 39

d) Modello zebrafish sapje ... 40

Obiettivo dello studio ... 44

Materiali e Metodi ... 44

1. Disegno Sperimentale ... 44

a) Animali e produzione dei riproduttori ... 45

b) Produzione e trattamento di embrioni sapje ... 45

c) Procedura di decorionazione ... 46

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e) Rilievi e misurazioni ... 47

1) Test della Birifrangenza ... 48

2) DanioVision ... 49

f) Analisi statistica ... 50

Risultati ... 51

1) Performance locomotoria in funzione del fenotipo ... 51

2) Effetto della decorionazione embrionale (D) ... 52

3) Effetto della sonicazione dei ß-glucani (S) ... 52

4) Effetto combinato della decorionazione embrionale e della sonicazione dei 53 5) Effetto dei β-glucani in funzione del fenotipo ... 53

6) Effetto dei β-glucani in funzione della concentrazione ... 54

7) Effetto dei ß-glucani in funzione del fenotipo e della concentrazione ... 55

8) Effetto della concentrazione dei ß-glucani sull‟incidenza relativa dei fenotipi (distrofici e non distrofici) ... 55

Discussione ... 57

1) Performance locomotoria in funzione del fenotipo ... 58

2) Effetto della decorionazione embrionale (D) ... 58

3) Effetto della sonicazione dei ß-glucani (S) ... 59

4) Effetto combinato di decorionazione embrionale e della sonicazione dei ... 61

5) Effetto dei β-glucani sul fenotipo ... 62

6) Effetto dei β-glucani in funzione della concentrazione ... 63

7) Effetto della concentrazione dei β-glucani in funzione del fenotipo ... 63

8) Effetto dei β-glucani sull‟incidenza relativa ai due fenotipi ... 65

Conclusioni ... 67

Bibliografia ... 69

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Riassunto

La distrofia muscolare di Duchenne (DMD), una malattia neuromuscolare che colpisce 1 bambino su 3500, è caratterizzata dalla mancanza di produzione di distrofina e da disregolazione autofagica (fagocitosi endocellulare). È anche noto come l‟autofagia rivesta un ruolo fondamentale nella risposta immunitaria innata e

adattativa. Inoltre, è stato osservato che molti nutrienti svolgono un ruolo importante nel recupero della funzione autofagica, con benefici a livello dei muscoli distrofici (rallentata degenerazione). Tra questi, i ß-glucani sono in grado di modulare la funzione immunitaria modificando l'attività fagocitaria di cellule immunocompetenti e in particolare dei macrofagi. Quindi, considerando la relazione tra l‟evoluzione delle lesioni muscolari da DMD correlate alla disfunzione autofagica, il ruolo dell‟autofagia nella risposta immunitaria e la funzione immunomodulante dei ß-glucani, il presente studio ha avuto come scopo quello di verificare se l‟esposizione di embrioni di zebrafish sapje, modello di distrofia muscolare, a concentrazioni crescenti di 1,3-1,6 ß-glucani, avesse un effetto sulla evoluzione della DMD.

Il presente studio è stato condotto presso il laboratorio di acquacoltura e “zebrafish

facility” del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell‟Università di Pisa, in

collaborazione con IRCCS Fondazione Stella Maris (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico), con sede in Calambrone (Pisa). A questo scopo, embrioni di zebrafish sapje sono stati incubati per 24 ore e successivamente esposti a concentrazioni crescenti di 1,3-1,6 β-glucani (estratti dalla parete cellulare di

Saccharomyces cerevisiae). Allo scopo di verificare l‟effetto dei trattamenti, a 96 hpf

(hour post-fertilization), gli embrioni sono stati sottoposti al test della birifrangenza, per discriminare i soggetti distrofici da quelli non distrofici. Infine, a 120 hpf, gli stessi embrioni sono stati sottoposti a un test per la valutazione delle performance locomotorie mediante Daniovision®.

Molti dei test e dei trattamenti effettuati, sono stati condotti anche previa decorionazione degli embrioni e/o sonicazione dei ß-glucani.

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Da quanto osservato, di per sé, la decorionazione preventiva degli embrioni ha significativamente “migliorato” le performance locomotorie degli embrioni, mentre, al contrario, l‟uso di ß-glucani sonicati ha fatto osservare un peggioramento delle stesse. Nel complesso, le performance di locomozione degli embrioni sono state significativamente migliorate quando gli embrioni sono stati preventivamente sottoposti a decorionazione ed i ß-glucani non sonicati e, a seguire, quando embrioni non decorionati venivano esposti a ß-glucani sonicati (limitatamente al tempo cumulativo di movimento); negli altri casi, è cioè con embrioni decorionati e ß-glucani sonicati e embrioni non decorionati e ß-ß-glucani non sonicati, le performance risultavano essere fortemente “limitate”.

Considerato quindi quanto detto, l‟effetto dell‟esposizione a concentrazioni crescenti di 1,3-1,6 ß-glucani è stato valutato esclusivamente tenendo in considerazioni quanto osservato su embrioni decorionati trattati con ß-glucani non sonicati e embrioni non decorionati trattati con ß-glucani sonicati. Un miglioramento delle performance locomotorie è stato così osservato in seguito all‟esposizione degli embrioni a concentrazioni di 2 e 8 mg L-1. Questo risultato, osservato sia su embrioni distrofici che non distrofici, è stato confermato particolarmente dalle performance locomotorie degli embrioni distrofici. Per di più è stato osservato come il trattamento con ß-glucani a concentrazione di 2 e 4 mg L-1 abbia determinato una significativa riduzione dell‟incidenza dei fenotipi distrofici.

In conclusione, questi risultati sembrano suggerire che il mantenimento dell'integrità dei ß-glucani (non sonicati) meglio preservi l'attività biologica degli stessi ma che, allo stesso tempo, la sonicazione permetta il superamento della barriera corionica. In tal senso, comunque, sono necessari ulteriori studi. Per quanto riguarda invece il trattamento della DMD, gli 1,3-1,6 ß-glucani hanno fatto osservare un miglioramento delle performance locomotorie di tutti gli embrioni e, cosa più rilevante, di quelli distrofici. Questa evidenza, quindi, sembra aprire la possibilità di un loro impiego nella terapia della DMD.

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Abstract

Duchenne muscular dystrophy (DMD), a neuromuscular disease that affects 1 out of 3500 children, is characterized by the lack of dystrophin production and autophagic dysregulation (endocellular phagocytosis). It is also known that autophagy plays a fundamental role in innate and adaptive immune responses. Furthermore, it has been observed that many nutrients play an important role in the recovery of autophagic function, with benefits in the dystrophic muscles (slower degeneration). Among these, ß-glucans are able to modulate immune function by modifying the phagocytic activity of immunocompetent cells and in particular of macrophages. Therefore, considering the relationship between the evolution of muscular lesions by DMD related to autophagic dysfunction, the role of autophagy in the immune response and the immunomodulatory function of ß-glucans, the present study aimed to verify whether the exposure of zebrafish sapje embryos, a model of muscular dystrophy, at different concentrations of 1,3-1,6 β-glucans, had an effect on the evolution of DMD. The present study was carried out at the aquaculture laboratory and "zebrafish

facility" of the Department of Veterinary Sciences of the University of Pisa, in

collaboration with IRCCS Fondation Stella Maris (Institute of Hospitalization and Care with a Scientific Character), based in Calambrone (Pisa). For this purpose, zebrafish sapje embryos were incubated for 24 hours and subsequently exposed to different concentrations of 1,3-1,6 β-glucans (extracted from the cell wall of

Saccharomyces cerevisiae). In order to verify the effect of the treatments, at 96 hpf

(hour post-fertilization), the embryos were subjected to the birefringence test, in order to discriminate the dystrophic and non-dystrophic subjects. Finally, at 120 hpf, the same embryos were subjected to a test for the assessment of locomotor performance (Daniovision®).

Many of the tests and treatments carried out were also performed after embryo dechorionation and/or sonication of ß-glucans.

The preventive dechorionation of the embryos has significantly "improved" the locomotor performance of the embryos while, on the contrary, the use of sonicated

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ß-8 glucans showed opposite results. Overall, embryo locomotion performance was significantly improved when embryos were previously subjected to dechorionation and non-sonicated ß-glucans and, subsequently, when non-decorated embryos were exposed to sonicated ß-glucans (limited to cumulative time of movement); in the cases of dechorionated embryos and sonicated ß-glucans and non-dechorionated and non-sonicated ß-glucans, the performances were strongly "reduced".

The effect of exposure to rising concentrations of 1,3-1,6 ß-glucans was evaluated exclusively on dechorionated embryos treated with sonicated ß-glucans and non-dechorionated embryos treated with sonicated ß-glucans. An improvement in locomotor performance was thus observed following exposure of embryos to concentrations of 2 and 8 mg L-1. This result, observed both on dystrophic and non-dystrophic embryos, has been confirmed in particular by the locomotor performances of dystrophic embryos. Moreover, it was observed that treatment with ß-glucans at a concentration of 2 and 4 mg L-1 resulted in a significant reduction in the incidence of dystrophic phenotypes.

In conclusion, these results seem to suggest that the maintenance of the integrity of the ß-glucans (non-sonicates) better preserves their biological activity; at the same time, the sonication allows the overcoming of the chorionic barrier in chorionated embryos; nonetheless, to this regard, however, are necessary further studies. As for the treatment of DMD, 1,3-1,6 ß-glucans showed an improvement in the locomotor performance of all embryos and, more importantly, dystrophic ones. This evidence, therefore, seems to open the possibility of their use of 1,3-1,6 ß-glucan in the DMD therapeutic cocktail.

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Introduzione

Un aspetto di certo rilievo a sostegno dell‟utilità del presente progetto di ricerca riguarda la terapia di supporto ai pazienti affetti da Distrofia Muscolare di Duchenne (DMD). La terapia steroidea e le strategie di supporto ad oggi identificate, hanno migliorato la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti, ma si accompagnano a importanti effetti collaterali a breve e a lungo termine. Dati empirici riportati dai pazienti affetti da DMD e dai loro parenti, riferiscono che una dieta integrata da composti bioattivi migliori la forza muscolare (Davis et al., 2015). Infatti, è stato osservato che, nei pazienti e nel modello murino (mdx), un‟adeguata alimentazione esercita effetti antinfiammatori e ritarda l‟insorgenza dell‟atrofia muscolare (Messina et al., 2011). Inoltre, è stata evidenziata nei soggetti affetti da DMD una riduzione della forza muscolare, causata dall‟accumulo di organelli cellulari danneggiati e dalla disregolazione dell‟autofagia. Infatti, nei topi mdx, il difetto del processo autofagico è stato recuperato attraverso la somministrazione a lungo termine di una dieta a basso contenuto di proteine. Questo trattamento ha portato ad una riduzione significativa dell‟infiammazione ed al miglioramento della funzione muscolare. Inoltre, l‟autofagia riveste un ruolo fondamentale nella risposta immunitaria innata e adattativa, dalla distruzione dei patogeni, al processamento degli antigeni e per finire nell‟attivazione dei linfociti (Cuervo et Macian, 2012). Recentemente è incrementato l‟interesse medico-scientifico per gli alimenti “funzionali”, in particolare la valutazione dei derivati di funghi e le loro proprietà mediche sono una parte importante di questi studi. I polisaccaridi, inclusi i β-glucani, sono stati descritti come molecole biologicamente attive (Tzianabos, 2000). Infatti, alcuni polimeri del glucosio, come i β-glucani, sono stati recentemente proposti come potenti agenti di immunomodulazione (Barsanti et al., 2011). Inoltre, il riscontro del ruolo dei β-glucani nell‟immunità innata, e la loro idoneità all'uso come farmaci naturali in medicina ha aperto interessanti prospettive che rende lo studio delle proprietà chimiche e biologiche dei β-glucani un campo di ricerca con importanti future applicazioni.

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10 In particolare, i β-glucani, modificatori della risposta biologica (BRM), svolgono attività immunomodulante, determinando un aumento della fagocitosi e delle attività proliferative dei fagociti, granulociti, monociti, macrofagi (Chihara et al., 1982; Quinn, 1990; Vetvicka et al., 1996). Inoltre, i β-glucani hanno effetto positivo in molte patologie, tra cui cancro, Alzheimer, AIDS, disordini cardiovascolari, diabete ed altre. Per le loro proprietà immunomodulatrici (Novak et Vetvicka, 2008) e il loro possibile coinvolgimento nella regolazione dell‟autofagia (Ma et Underhill, 2013), è possibile che i β-glucani siano altrettanto efficaci nelle distrofie muscolari. La recente ricerca ha motivato che l‟utilizzo di zebrafish (Danio rerio) come modello di distrofia muscolare di Duchenne (DMD) è capace di ricapitolare molte delle caratteristiche della malattia umana (Basset et al., 2003). L‟utilizzo del modello sapje (modello di DMD in zebrafish) come strumento per valutare l‟efficacia di nuove molecole, composti e/ farmaci, è già stato validato (Khawara et al., 2010).

1. β-glucani

Fin dagli anni ‟40 gli scienziati hanno sviluppato prove scientifiche sulle straordinarie capacità di alcuni microrganismi, come batteri, lieviti e funghi, di potenziare e

attivare la risposta immunitaria. Infatti, Shear et al. (1943) hanno descritto come il cosiddetto “polisaccaride di Shear”, derivato da Serratia marcescens, causasse la necrosi dei tumori. Successivamente, il polisaccaride di Shear è stato identificato come miscela di tre polisaccaridi (Srivastava et Adama, 1994).

a) L‟origine dei β-glucani

Negli anni ‟60-‟70 iniziò la vera indagine sui β-glucani come immunomodulatori polisaccaridici. Ci sono stati due importanti studi, uno svolto in Europa e negli Stati Uniti e l‟altro in Asia, per l‟identificazione di queste sostanze (Novak et Vetvicka, 2008). La prima ricerca iniziò con lo studio dello Zymonas, sostanza comunemente utilizzata in Europa avente la caratteristica di stimolare il sistema immunitario (Pillemer et Ecker, 1941). Lo Zymonas è composto da una miscela grezza di elementi della parete cellulare di un lievito tra cui proteine, lipidi e polisaccaridi. Di Luzio et

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11 al. (1970) condussero delle ricerche all‟Università di Tulane (New Orleans), scoprendo che il composto attivante il sistema immunitario all‟utilizzo di Zymonas era l‟1,3 β D-Glucosio, un polisaccaride a catena lunga essente da tossicità e da altri effetti collaterali. Lo studio condotto in Giappone, riguardava invece gli effetti biologici di alcuni funghi (ad esempio Lentinula edodes, Grifola frondosa,

Ganoderma lucidum) e descrisse come i β-glucani fossero la principale causa di

immunomodulazione non specifica. Questa ricerca è associata all‟isolamento del β-glucano derivato da Lentinula edodes, il quale venne denominato “Lentinan” (Chinara et al., 1969). Studi successivi hanno dimostrato che i 1,3 ß-glucani hanno una forte attività immunostimolatoria in un'ampia varietà di specie, compresi lombrichi (Beschin et al., 1998), gamberetti (Duvic et Söderhäll, 1990), i pesci (Anderson, 1992), ratti (Feletti et al., 1992), conigli (Kennedy et al., 1995), maiali di Guinea (Ferencik et al., 1986; Drandarska et al., 2005), ovini (Waller et Colditz, 1999), maiali (Dritz et al., 1995, Li et al., 1996; Hiss et al., 2003; Stuyven et al., 2009), bovini (Buddle et al., 1988) ed esseri umani (Kougias et al., 2001). Da questi risultati è stato concluso che 1,3 ß-glucani rappresentano un tipo di immunostimolante (Vetvika et al., 2004). Negli anni ci sono stati molti studi riguardanti l‟attività dei β-glucani, studi che hanno dimostrato attività quali la stimolazione dell'emopoiesi (Patchen et al., 1983). Nel 1985, questo autore osservò un significativo miglioramento del numero di cellule del sangue dopo esposizione a radiazioni gamma. Altri hanno dimostrato che il β-glucano può ridurre la mielosoppressione prodotta da farmaci chemioterapici (Wagnerova et al., 1993). Oltre all'effetto nel trattamento del cancro (Takeshita et al., 1991; Kimura et al., 1994; Matsuoka et al., 1997; Yan et al., 1999), i β-glucani proteggono contro l'infezione da batteri e protozoi e aumentano l'efficacia antibiotica nelle infezioni da batteri resistenti. Ad esempio, è stato osservato il loro effetto protettivo nell‟infezione sperimentale con Leishmania major (Al Tuwaiji et al., 1987), Toxoplasma gondii (Bousquet et al., 1988), Streptococcus suis (Dritz al., 1995), Staphylococcus aureus (Liang et al., 1998), Escherichia coli (Rasmussen et Seljelid, 1990), Eimeria

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12 vermiformis (Yun et al., 1998), infezione da Bacillus antrace (Vetvicka et al., 2002) e

molte altre. Il β-glucano derivato dal lievito è in grado di assorbire micotossine (come lo zearalenone, aflatossina B1, deossinivalenolo, ocratossina A e patulina), probabilmente attraverso i legami dell'idrogeno e forze di van der Waals; questo effetto è particolarmente importante per bestiame (Novak et Vetvicke, 2008). Inoltre, i β-glucani, derivati da cereali e funghi, determinano la riduzione del colesterolo, contrastando le malattie cardiovascolari (Fukushima et al., 2001). I β-glucani non digeribili migliorano problemi intestinali, come la stitichezza, perché sono in grado di modulare l'immunità delle mucose del tratto intestinale (Tsukada et al., 2003). Nel sistema nervoso centrale, questi attivano le cellule microgliali (Muller et al., 1994), “spazzini” dei detriti delle cellule cerebrali, giocando così un ruolo positivo nella malattia di Alzheimer, AIDS e nella sclerosi multipla (Haga et al., 1989). I possibili effetti dei β-glucani sugli organismi sono quindi molto vari e influiscono non solo sul sistema immunitario ma anche sulle attività connesse ad esso. La ricerca della composizione chimica dei β-glucani è lunga e molto complessa. Negli anni ‟50-‟60 i β-glucani isolati dalla parete cellulare del lievito Saccharomyces cerevisae furono sottoposti a studi della struttura chimica tramite idrolisi parziale, analisi di metilazione, analisi dell‟ossidazione del periodato, degradazione di Smith. Tuttavia, i risultati ottenuti erano piuttosto discrepanti (Bell et Northcote, 1950; Manners et Patterson, 1966). Successivamente, Bacon e Farmer (1968) scoprirono che nella parete cellulare del lievito esistono diverse tipologie di β-glucani, così furono frazionati e caratterizzati i componenti della parete cellulare. La componente principale del β-glucano derivante dalla parete cellulare del lievito è ramificata, circa il 3% di ramicazione β 1, 6, e ha un altopeso molecolare, circa 240 kDa per 1,3 β-D-glucano (Manners et al., 1973). L‟eterogeneità di tutti i β-glucani, non solo di quelli estratti da Saccharomyces, ha causato una serie di conclusioni contraddittorie. Così, nel 2005 Jamois et al. (2005) utilizzarono sonde sintetiche e semisintetiche, adatte ad una ricerca immunologica.

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13 b) La struttura biochimica

I β-glucani sono una varietà di polisaccaridi derivati da differenti fonti, che hanno la capacità di stimolare il sistema immunitario, così da comportarsi da immunomodulatori. Per questa ragione, sono classificati come modificatori della risposta biologica (BRM). Questa varietà di polisaccaridi (Zekovic et Kwiatowski, 2005) vengono isolati dalla parete cellulare di batteri, funghi, lieviti, alghe e cereali (Figura 2). Questi composti sono un gruppo chimicamente eterogeneo del polimero di D-glucosio, differenti per la posizione del legame glicosidico e il numero di ramificazioni presenti (Figura 1). La loro attività è influenzata dalla struttura molecolare, la lunghezza della catena principale, la dimensione e il numero di ramificazioni (Bohn et BeMiller, 1995; Yoshitomi et al., 2005; Leung et al., 2006). I β-glucani più attivi hanno una struttura costituita da una catena principale, composta da unità 1,3 β-D-Glucopiranosiliche, lungo la quale sono legate altre singole unità di β-D-Glucopiranosio tramite legami 1,4 o 1,6 (Bohn et BeMiller, 1995; Zekovic et Kwiatowski 2005; Leung et al., 2006).

Figura 1 - Struttura chimica del 1,3-1,6 β-glucano (www.lagazzettadellekoi.it)

I β-glucani hanno una specifica conformazione molecolare come la tripla elica, singola elica e spirale. La tripla elica, formata da tre legami ad idrogeno in posizione C-2 e stabilizzata dalle catene laterali, è probabilmente presente solo in β-glucani con peso molecolare superiore a 90 kDa (Chuan et al., 1983; Ohno et al., 1988). Gli 1,3

β-glucani, come il “Lentinan”, sono stati caratterizzati per la loro struttura (Figura 2); in soluzione acquosa questi hanno una struttura a tripla elica, mentre in una soluzione avente miscela di acqua e DMSO o NaOH o in soluzione a temperatura superiore ai

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135°C hanno una struttura a singole eliche (Falch et al., 2000; Zhang et al. 2005; Zhang et al., 2007; Zhang et al., 2008). Questo significa che il β-glucano a singola elica possa essere rigenerato in tripla elica (Falch et al., 2000; Wang et al., 2008).

Diversi studi hanno suggerito che le strutture più ordinate, come la tripla elica, fossero responsabili dell‟attività immunomodulante (Hamuro et al., 1971; Norisuye, 1985; Ohno et al., 1987; Kojima et al., 1986; Maeda et al. 1988; Falch et al., 2000; Yoshitomi et al., 2005; Leung et al., 2006). Ad esempio lo “Scleroglucano” con conformazione a tripla elica è biologicamente attivo, mentre se denaturato riduce l‟attività d‟induzione di citochine (Falch et al., 2000). Un altro esempio riguarda il “Lentinan”, il quale in tripla elica esibisce attività antitumorale, mentre in singole catene quest‟attività diminuisce significativamente. Questo suggerisce che l‟attività antitumorale sia correlata alla conformazione a tripla elica. Infatti, attraverso la relazione della struttura molecolare con la bioattività dei β-glucani, hanno studiato che la solubilità in acqua, la conformazione a tripla elica e la sua rigidità, le proteine legate e i gruppi solfati potenziassero la loro attività, in particolare quella antitumorale e antivirale (Ooi et Liu 2000; Yoshino et al., 2000; Zhang et al., 2003; Wang et al., 2004; Surenjav et al., 2006; Ma et al., 2008). Inoltre, si ritiene che il numero di ramificazioni determini l‟attività biologica di questi polisaccaridi. Infatti, lo “Sclero β-glucano”, molto ramificato, ha un‟elevata affinità nelle linee cellulari di topo U937, rispetto al “Laminarum”, il quale è raramente ramificato (Mueller et al., 2000). Oltre alla conformazione anche il peso molecolare e le proteine combinate giocano un ruolo fondamentale (Hamuro et al., 1971; Zhang et al., 2005; Surenjav et al., 2006). Studi hanno evidenziato come l‟attività di questi polisaccaridi dipenda dalla loro dimensione, difatti quelli con alto peso molecolare (100-200 kDa) sono molto più attivi rispetto a quelli con basso peso molecolare (15-100 Da) (Fabre et al., 1984; Kojima et al., 1986; Blaschek et al., 1992; Williams et al., 1996; Lowe et al., 2001; Rice et al., 2004; Brown and Gordon 2005). Brown e Gordon nel 2003 hanno osservato come i β-glucani con alto peso molecolare attivassero direttamente i

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15 leucociti, mentre quelli a basso peso molecolare modulassero solo la risposta delle cellule stimolando la produzione di citochine (Brown et Gordon, 2005).

Figura 2 - Origine e caratteristiche β-glucani (Soltanian et al., 2009)

A seconda della struttura i β-glucani possono essere suddivisi in tre gruppi: solubili, gelificanti e particellari (Figura 2). La solubilità dipende dal grado di

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16 polimerizzazione e della ramificazione (Wang et al., 2005). È stato dimostrato che l'introduzione dei gruppi carbossilmetilici in un β-glucano migliori significativamente la solubilità in acqua (Wang et al., 2006). In aggiunta, la depolimerizzazione dei β-glucani mediante idrolisi acida o alcalina, la degradazione enzimatica e il trattamento supersonico migliorano la loro solubilità in soluzione acquosa (Machová et al,. 1999; Williams et al,. 1992). Tra questi, la solfatazione è un metodo preferito a causa degli impatti positivi sulle loro funzioni biologiche (Wang et al., 2005). I β-glucani solubili sembrano essere immunostimolatori più forti di quelli insolubili (Di Luzio et al., 1980; Xiao et al., 2004; Ma et al., 2008); i β-glucani insolubili se somministrati per via orale vengono degradati dai macrofagi in piccoli oligomeri bioattivi dopo l‟ingestione (Hong et al., 2004). L‟immumodulazione più studiata è quella relativa agli 1,3-1,6 β-glucani. Questi, hanno una forte attività immunostimolante per l‟elevato peso molecolare e il numero di ramificazioni.

c) Attività immunologica dei β-glucani

L‟effetto dei β-glucani consiste nell‟aumento della fagocitosi e delle attività proliferative dei fagociti, tra cui granulociti, monociti, macrofagi. In particolare, i macrofagi, cellule con funzione di difesa dell‟ospite contro agenti estranei, sono costituenti del sistema immunitario innato (Chihara et al., 1982; Quinn, 1990; Vetvicka et al., 1996), del quale fanno parte anche una famiglia di siero proteine, “proteine del complemento”. Questa immunità innata è basata sulla presenza di recettori definiti come Pattern Recognition Receptors (PRRs), in grado di riconoscere determinate molecole non-self, esposte sulla superficie di agenti come i microrganismi e per questo chiamate Pathogen Associated Molecular Patterns

(PAMPs). I PAMPs sono delle molecole o porzioni di molecole caratteristiche di

alcuni patogeni e non solo, che non sono espresse dalle cellule dell'organismo ospitante e per questo identificate come non-self dalle cellule dell'immunità innata. Diversi polimeri, tra cui i β-glucani appartengono ai PAMPs. I macrofagi rilevano i PAMP attraverso diversi recettori; in particolare, per i β-glucani i macrofagi hanno a disposizione diversi recettori quali Dectina-1, TRL (recettore Toll-Like), CR3

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17 (recettore del complemento 3), Lattosilceramide e recettori “Scavenger” (SRs). Generalmente, i recettori non sono troppo specifici e rilevano molti PAMPs diversi. Di seguito una breve descrizione di tali recettori:

 Il recettore Dectina-1 è una lectina di tipo C situata sulla superficie dei macrofagi, neutrofili, cellule microglia e prevalentemente sulle cellule dendritiche (Soltanian et al., 2009; Goodrigde et al., 2009; Thompson et al., 2010). Esistono due isoforme di questo recettore, quella intera e quella troncata. La Dectina-1 ha un coinvolgimento nel rilevamento e fagocitosi di agenti patogeni, in particolare i funghi. Inoltre, questo recettore legandosi con i PAMPs assorbe e uccide le cellule estranee inducendo la produzione di citochine tra cui le chemiochine, interleuchine (in particolare, 10, 2, IL-2), TNF-α (Tumor Necrosis Factor), ROS (Reactive Oxygen Species) e linfociti T (Figura 3).

Figura 3 - Attività immunostimolante del β-glucano (www.researchgate.net)

La relazione strutturale del β-glucano e di questo recettore ha evidenziato essere altamente specifica per i 1,3 β-glucani (Adam et al, 2008). La Dectina-1 ha un dominio di riconoscimento dei carboidrati a braccio corto e una corta citoplasmatica, la quale possiede un motivo di attivazione a base di immunorecettore Tirosina (ITAM, Immunoreceptor Tyrosine-based Activation

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della proteina infiammatoria dei macrofagi (MIP), risposta all„infezione micobatterica (Yadav et Schorey, 2006). È impotante anche sottolineare come il legame tra la Dectina-1 e i β-glucani determini il reclutamento della proteina Light Chain 3 (LC3). La LC3, una proteina associata ai microtubuli, è fondamentale per il processo autofagico, ma recentemente è stato osservato il suo ruolo anche nella fagocitosi (Ma et Underhill, 2013).

 Il nome dei recettori TLR deriva da una omologia con una proteina codificata dal gene Toll, il quale nella Drosophila svolge un ruolo nell‟embriogenesi e aiuta nella difesa contro funghi (Lemaitre et al., 1996; Bilak et al., 2003). I recettori TLR quando si legano ai PAMPs facilitano l‟attivazione del sistema immunitario adattivo. Infatti, questi inducono la produzione di interleuchine, tra cui IL-12 p40/p70, IL-6, IL-12, TNF-α (Tumor Necrosis Factor), acido arachidonico, COX-2, una nota prostaglandina. Inoltre, il legame tra i β-glucani e il recettore TRL-2 determina il reclutamento della LC3 (Sanjua et al., 2007), come già osservato nel legame con il recettore Dectin-1.

 Il recettore del complemento 3 (CR3) è presente sulla superficie dei macrofagi, cellule Natural Killer (NK), cellule della microglia, alcuni linfociti, neutrofili e monociti (Brown et Gordon, 2003; Ross, 2000). Il recettore del complemento 3 appartiene alla famiglia delle β2-integrina, una glicoproteina di transmembrana suddivisa in CD11b e associato non covalentemente con CD18 (Ross et al., 1987; Thornton et al., 1996; Xia et al., 1999). La subunità CD11b ha due siti di legame, il primo sito (o dominio I) lega la forma inattiva del iC3b, ICAM-1 (molecola di adesione intracellulare), alcune proteine della matrice extracellulare e il fibrogeno (Diamon et al., 1993). Il secondo sito, catione dipendente della lecitina, lega i β-glucani (Thornton et al., 1996; Xia et Ross, 1999). La parte del β-glucano riconosciuto da tale sito è specie-specifico (Engstad et Robertson, 1994). Però leucociti mancanti di CR3 sulla superficie reagiscono comunque con i β-glucani. Questo suggerisce che probabilmente il

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19 recettore CR3 non è il più importante per il legame con questi polisaccaridi. L‟espressione del CR3 è influenzata da IL-1, vitamina D3, PGE2 e in

particolare da INF-ϒ (Konopaki et al., 1993). Quest‟ultimo regola l‟assorbimento del β-glucano con un feedback negativo in caso di eccesso, attivando la produzione di TNF-α. Questo recettore legandosi con i PAMPs recluta leucociti, fagociti, cellule Natural Killer al sito infiammazione.

 La lattosilceramide (LacCer) è un glicosfingolipide di molte membrane plasmatiche delle cellule. L‟interazione del β-glucano con recettore lattosilceramide induce diverse risposte cellulari, tra cui la produzione di citochine, della proteina infiammatoria dei macrofagi (MIP), radicali liberi (ROS) e il “burst” ossidativo nei neutrofili e l‟attivazione dei NFkB, Nuclear

Factor k chain transcription in B cells (Brown, 2006; Akramiene et al., 2007;

Soltanian et al., 2009; Thompson et al., 2010). Inoltre, è stato constatato che la lattosilceramide possa legarsi specificatamente al β-glucano con concomitante produzione dei metaboliti reattivi dell‟ossigeno (Chen et Seviour, 2007).

 I recettori “Scavenger” (SR) sono una superfamiglia di recettori legati, in particolare, alla membrana di macrofagi, linfociti, cellule endoteliali che legano e interiorizzano le lipoproteine a bassa densità (LDL), anche se si legano anche ad una varietà di ligandi, incluse proteine e agenti patogeni endogeni (Moore et Freeman, 2006). La famiglia di SR e le sue proprietà sono state identificate negli ultimi anni e ora sono state classificate in 10 classi, definite come classi A-J. Questi recettori sono classificati in base alle loro sequenze, sebbene in ogni classe siano ulteriormente classificati in base alle variazioni della sequenza. Sebbene non sia stato identificato ancora un SR specifico per i β-glucani, alcuni SR sono strettamente coinvolti nel legame di certi β-glucani, ovvero quelli solfatati chimicamente o derivati da certe alghe (Dennehy et Brown, 2007). Inoltre, questi recettori sono coinvolti nella clearance delle endotossine. In particolare, questi regolano gli stati

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20 patofisiologici tra cui l'aterosclerosi, le infezioni da agenti patogeni, il sistema immunitario e il cancro.

Questo significa che il legame tra i PRRs, appena elencati dettagliatamente, e i PAMPs, in particolare i β-glucani, induce la stimolazione del sistema immunitario.

d) Estrazione e sonicazione dei β-glucani

I β-glucani si trovano, particolarmente, nello strato più interno della parete cellulare e possono essere estratti; un esempio è quello degli 1,3-1,6 β-glucani derivati della parete cellulare del Saccharomyces cerevicae (Klis et al., 2009). L‟estrazione dei β-glucani è suddivisa in due fasi. La prima fase prevede la lisi della cellula (lievito per gli 1,3-1,6 β-glucani) separando il citoplasma dalla parete cellulare insolubile. Esistono differenti metodi in grado di lisare la cellula: chimici, fisici e biologici. Chimicamente le pareti possono essere lisate da NaOH, HCl, acido acetico, acido citrico e altre sostanze aggressive. Nella maggior parte (James et al., 1989; Lee et al., 2001; Hunter et al., 2005; Pelizon et al., 2005) dei casi la lisi viene effettuata ad alte temperature (punto di ebollizione). Il metodo fisico prevede l‟utilizzo della sonicazione con alte pressioni (Boonraeng et al., 2000; Shokri et al., 2008; Wenger et al., 2008). L‟ultimo metodo prevede l‟utilizzo di enzimi naturali, questi possono essere suddivisi in due gruppi, enzimi autolitici e litici. L‟autolisi è un‟auto-digestione di una cellula attraverso l‟azione dei propri enzimi; tale processo è stato definito come idrolisi dei biopolimeri intracellulari sotto azione di enzimi idrolitici associati alla morte cellulare (Martinez-Rodriguez et al., 2001). L‟autolisi inizia con il rilascio di enzimi digestivi contenuti nei lisosomi del citoplasma e può procedere per alcuni giorni (Vosti et al., 1964). Mentre la lisi enzimatica è la digestione cellulare utilizzano enzimi litici derivati da altri organismi (Ferrer, 2006). La seconda fase è la vera e propria estrazione dei β-glucani. In questa fase vengono normalmente utilizzate sostanze aggressive come NaOH e soluzioni di H2O2. Va tenuto presente

che la capacità di dissoluzione dei β-glucani in una sostanza chimicamente aggressiva dipende molto dal peso molecolare del polisaccaride (Lee et al., 2003; Bacic et al., 2009). Infatti, i β-glucani ad alto peso molecolare, come quelli estratti da

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21 Saccharomyces cerevisae, per dissolversi richiedono alte concentrazioni di sostanze

aggressive (Hayen et al., 2001; Bahl et al., 2009). Per ridurre al minimo l‟utilizzo aggressivo di queste sostanze viene eseguita anche la digestione enzimatica. Ad esempio per lisare la parete cellulare del lievito Saccharomyces cerevisae spesso viene utilizzato Actinomyces rutgersensis 88, che ha un complesso enzimatico in grado di degradare i lieviti come la laminarinasi, la lichenisasi, la gentibiosinasi, la galattomannanasi e la chitinasi. Ancora, per l‟estrazione dei β-glucani vengono utilizzate sostanze basiche, come NaOH, oppure può essere praticata la sonicazione per suddividere aggregati di β-glucani in piccole particelle omogenee. La sonicazione è una tecnica che consiste nel sottoporre all‟azione degli ultrasuoni sia sospensioni

cellulari, per ottenere frammenti di massa molecolare uniforme e per provocare la rottura delle membrane biologiche e recuperare il contenuto intracellulare, sia proteine o DNA. Infatti, per migliorare la fagocitosi e diminuire la sedimentazione dei β-glucani, quest‟ultimi vengono sonicati. In particolare, Hunter (2002) nel suo esperimento idratava i β-glucani in acqua distillata a 4°C per una notte, dopo di che li sonicava, in modo da suddividere questi polisaccaridi in piccole particelle omogenee dal diametro di 1-2 µm. In questo studio, dopo l‟idratazione la sospensione di β-glucani è stata sottoposta ad alta energia sonora tramite una sonda da 19 mm utilizzando un sonicatore con frequenza d‟uscita di 20 KHz per 1 secondo a 192 watt. In aggiunta, la sospensione è stata posta a contatto con ghiaccio per evitare che si riscaldasse durante la procedura e sonicata per 12 minuti eseguendo 12 cicli di 48 secondi con pausa tra cicli di 12 secondi. Al termine della sonicazione le particelle sono state essiccate “a spruzzo” e successivamente è stata misurata la consistenza di β-glucani tramite citofluorimetria. È risultato che 1 mg di β-glucano avesse un‟alta consistenza di microparticelle (81x1011). Inoltre, è stata confrontata la diversa sedimentazione di β-glucani microparticellati e aggregati. Questi sono stati agitati per 10 secondi ed a tempi scalari, 0, 2, 5, 30, 60 minuti, è stata confrontata la sedimentazione. I β-glucani microparticellati si sedimentavano molto più lentamente rispetto a quelli aggregati, così da essere facilmente formulati in gel o creme. Inoltre,

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i β-glucani microparticellati stimolavano maggiormente il sistema immunitario innato, migliorando la fagocitosi. In particolare, gli 1,3 β-glucani (estratti da Sclerotinia sclerotiorum) microparticellati, somministrati oralmente al topo, miglioravano la fagocitosi dei macrofagi peritoneali (Hunter et al., 2002).

2. Distrofia muscolare di Duchenne

Le distrofie muscolari costituiscono un gruppo di gravi malattie neuromuscolari ereditarie clinicamente e geneticamente eterogenee. La Distrofia Muscolare di Duchenne (DMD) fu descritta nel 1861 dal neurologo francese Guillaume Benjamin-Amand Duchenne, sebbene già nel 1836 un medico napoletano, Gaetano Conte, avesse segnalato i primi sintomi. La DMD è una malattia degenerativa recessiva legata ad un gene localizzato sul cromosoma X, invariabilmente letale e caratterizzata da un deficit di forza progressivo che insorge nell‟età infantile. Questo gene DMD su Xp21.2, contiene le informazioni per la produzione di una proteina chiamata “distrofina”(Figura 4).

Figura 4 - Ruolo della distrofina nel muscolo (www.scienzaericerca.unisr.it)

La distrofina è una proteina localizzata sulla superficie delle cellule muscolari ed è parte importante di un complesso di proteine che connette il citoscheletro con la matrice extracellulare. In assenza di distrofina, la membrana dei muscoli è più fagile ad ogni contrazione e più permabile a fattori tossici esterni. Con il tempo,

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23 La DMD colpisce un bambino su 3500 nati vivi, mentre le femmine possono essere portatrici sane e non presentare manifestazioni cliniche, fatta eccezione per alcuni rari casi di portatrici manifestanti forma lieve di debolezza muscolare. I primi segni si manifestano attorno al terzo anno di vita con difficoltà nel camminare, correre, salire le scale o alzarsi da terra, dovuto al primario interessamento dei glutei, quadricipite e ileopsoas. Infatti, il bambino per alzarsi ricorre alla cosiddetta “manovra di Gowers”, che consiste in una peculiare “arrampicata” caratterizzata nell‟appoggiare le mani sul pavimento, poi sulle cosce per spingere in alto la parte superiore del corpo (Figura 5).

Figura 5 - Manovra di Gowers (www.miologia.org)

I muscoli del distretto scapolare e quelli distali degli arti inferiori, sono colpiti successivamente. Col proseguire dell‟età, tali difficoltà si aggravano ed il quadro clinico si completa con la pseudo-ipertrofia dei polpacci, iperlordosi lombare e le scapole alate. Gli arti sono di solito modestamente ipotonici, ma con la progressione della malattia compaiono contratture conseguenti al mantenimento degli arti nella stessa posizione e al mancato bilanciamento fra i muscoli agonisti e antagonisti. I

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24 riflessi tendinei all‟inizio diminuiscono per poi scomparire parallelamente alla perdita delle fibre muscolari. Le ossa divengono sottili e demineralizzate. Solitamente entro i 10-12 anni, la capacità di deambulazione autonoma viene persa (Allsop et Ziter, 1981), e si assiste alla compromissione della muscolatura respiratoria, con lo sviluppo in un tempo variabile di una sindrome disventilatoria restrittiva che porterà alla necessità della ventilazione meccanica. Si manifesta inoltre, attorno ai 6 anni d‟età, un coinvolgimento miocardico di gravità variabile con possibile diagnosi di cardiomiopatia dilatativa (Nigro et al., 1983). La morte del soggetto avviene circa nella seconda terza decade per complicazioni cardio-respiratorie (Engel et al., 1994; Dubowitz, 1995). L‟iter diagnostico può essere avviato in seguito ad un riscontro dell‟incremento della creatina chinasi (CK) nel sangue, enzima che fosforila la creatina ed è indicatore aspecifico del danno muscolare. Infatti, le creatinfosfochinasi sono enzimi normalmente presenti all'interno della fibra muscolare. Quando questa viene danneggiata, tali enzimi passano nel sangue e possono essere rilevati con un prelievo ematico. La diagnosi si basa su altri tipi d‟accertamenti: l‟elettromiografia, la biopsia muscolare e l‟analisi del DNA. La biopsia muscolare consente di appurare il quadro istopatologico spesso tipico di un processo distrofico con degenerazione, rigenerazione fibrale e sostituzione fibro-adiposa (Figura 6).

Figura 6 - Muscolo sano e muscolo distrofico (www.scienzaericerca.unisr.it)

A sinistra: sezione traversale di un muscolo normale colorato con ematossilina e eosina, avente fibre muscolari con medesimo diametro e nuclei posti in periferia. A destra: muscolo distrofico di un bambino di 6

anni affetto da DMD, avente un diffuso sovvertimento della struttura muscolare con marcato aumento di tessuto connettivale tre le fibre, le quali sono spesso atrofiche e con nuclei centrali.

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25 Inoltre, costituisce il tessuto sul quale studiare con metodiche immunoistochimiche e biochimiche la presenza/assenza delle distrofina. L‟assenza di distrofina conferma l‟aspetto diagnostico della DMD. L‟analisi del DNA consente di individuare alterazioni nel gene per la distrofina. Le mutazioni possono essere di vario tipo e comprendono sia sostituzioni nucleotidiche, sia delezioni, ma tutte hanno come effetto quello di causare l'assenza totale della proteina. In circa il 65% dei casi, la DMD è causata da ampie delezioni del gene della distrofina (ovvero perdita di parti intere del gene), nel 10% da duplicazioni (ripetizioni di parti del gene), nel 24% da piccole mutazioni puntiformi, basate sulla sostituzione di una base nel filamento dell'acido nucleico, che determina un'alterazione in una tripletta e l'inserimento nella proteina di un amminoacido diverso da quello di partenza, e nell'1% da mutazioni atipiche. La distrofina è una proteina fondamentale per la stabilizzazione della membrana cellulare della fibra muscolare. Infatti, difetti di questa proteina inducono un incremento degli stadi infiammatori nel muscolo, lacerazione del sarcolemma, e successiva fibrosi determinando atrofia muscolare, perdita di motilità e mortalità più precoce per insufficienza cardiorespiratoria. Oltre all‟infiammazione, sembra che la disregolazione dell‟autofagia, sia nei pazienti affetti da DMD che nei topi mdx (modello murino di DMD), porti ad una riduzione della resistenza delle fibre muscolari per accumulo di organelli cellulari danneggiati (De Palma et al., 2012). La disregolazione dell‟autofagia è dovuta a un‟iperattivazione della via di fosforilazione di Akt, e delle vie d‟inibizione dell‟autofagia dipendente da quest‟ultima, come la proteina ribosomiale S6. In particolare, l‟Akt è una proteina citosolica che svolge un ruolo chiave nella pathway PI3K\Akt, attraverso la fosforilazione di vari substrati proteici nei residui serina e treonina, portando spesso alla loro inattivazione. Questo difetto è stato regolato nei topi mdx attraverso la somministrazione a lungo termine di una dieta a basso contenuto di proteine. Questo trattamento ha portato alla normalizzazione della via di segnalazione di Akt. Infatti è stata osservata una riduzione significativa dell‟infiammazione e il recupero della funzione muscolare. Questo studio ha evidenziato l‟autofagia come nuovo bersaglio terapeutico efficace

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26 nella DMD. Difatti, l‟autofagia riveste un ruolo cruciale nella regolazione del sistema immunitario dove specifiche forme di autofagia controllano aspetti chiave della risposta immunitaria innata e adattativa, dalla distruzione dei patogeni, al processamento degli antigeni, per finire con l‟attivazione dei linfociti (Figura 7; Cuervo et Macian, 2012).

Figura 7 - Autofagia e il sistema immunitario (Cuervo et Marcian, 2012)

3. Modelli animali di distrofia muscolare di Duchenne

Modelli animali per studiare il deficit di distrofina e sviluppare terapie innovative per il trattamento di DMD sono disponibili, in natura, ma per lo più sono creati in laboratorio. I geni omologhi della distrofina sono stati identificati non solo nei mammiferi, ma anche negli uccelli, nei pesci (zebrafish) e negli invertebrati (vermi e mosche). Attualmente, ci sono circa 60 modelli animali di DMD, i quali sono classificati in mammiferi e non-mammiferi.

1. Mammiferi

Nel raggruppamento dei mammiferi fanno parte diversi modelli, tra cui:

a) Modello murino

Il modello animale più utilizzato per la ricerca sulla DMD è il topo mdx, il quale è stato scoperto all'inizio degli anni '80 (Bulfield et al., 1984). Il topo mdx ha una mutazione puntiforme non senso nell'esone 23 che interrompe l'espressione della distrofina (Sicinski et al., 1989). I topi mdx, nonostante siano carenti di distrofina,

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27 presentano minimi sintomi clinici e la durata della vita è ridotta solo del 25% (Chamberlain et al., 2007; Li et al., 2009). Al contrario, l‟aspettativa di vita degli uomini con DMD è ridotta del 75%. La malattia nei topi mdx ha diverse fasi distintive. Nelle prime 2 settimane, il muscolo dei soggetti mdx è indistinguibile da quello dei topi sani, mentre tra 3 e 6 settimane subisce ampia necrosi. Successivamente, la maggior parte del muscolo scheletrico distrofico entra in una fase relativamente stabile a causa della robusta rigenerazione, e spesso i muscoli degli arti diventano ipertrofici. L'unica eccezione è il diaframma, che mostra un progressivo deterioramento, come si osserva anche negli umani affetti da DMD (Stedman et al., 1991). I gravi fenotipi distrofici, come ad esempio perdita muscolare, scoliosi e insufficienza cardiaca, non si verificano fino a quando i topi non raggiungono i 15 mesi (Lefaucheur et al. , 1995; Pastoret et Sebille, 1995; Lynch et al., 2001; Bostick et al., 2009; Hakim et al., 2011;). Inoltre, il topo mdx è stato incrociato con diversi background genetici, tra cui i ceppi albini, BALB/c, C3H, C57BL/6, DBA/2, FVB e diversi ceppi immunodeficienti. In questi background genetici sono state osservate variazioni fenotipiche, come nei topi DBA/2-mdx, i quali rappresentano al meglio la malattia umana poichè mostrano più fibrosi e meno rigenerazione. Tuttavia, questo ceppo ha anche delle mutazioni che causano la perdita dell'udito e anomalie degli occhi.

Inoltre, nel 1989 sono stati creati quattro nuove varianti di topi mdx utilizzando il mutageno N-etil-N-nitrosourea (mdx2cv, mdx3cv, mdx4cv e mdx5cv; Chapman et al., 1989). Sebbene la presentazione clinica generale di questi topi differisca molto poco da quella dei topi mdx preesistenti, ogni linea ha caratteristiche uniche. Oltre a questi quattro ceppi, sono state recentemente generate diverse nuove linee di distrofina-null

ENU (Aigner et al., 2009), altre linee carenti di distrofina (Dup2, MD-null, Dp71-null, mdx52 e mdx βgeo) tramite tecniche di ingegneria genetica, ed altre linee (nude-mdx e scid-(nude-mdx NSG-(nude-mdx4cv, Rag2-IL2rb-Dmd e W41 (nude-mdx; Farini et al., 2007;

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28 L'umanizzazione è un altro metodo per aumentare la gravità della malattia nel modello mdx. Per questa ragione è stata operata l‟eliminazione del gene Cmah nei topi, così da mostrare un fenotipo più grave (Hedlund et al., 2007; Chandrasekharan et al., 2010).

Anche i topi dko, significativamente più piccoli rispetto ai loro genitori, mostrano una malattia muscolare molto più grave (simile o persino peggiore di quella degli esseri umani con DMD). Tuttavia, questi soggetti sono difficili da generare e da curare poiché spesso muoiono prematuramente. L'ampia raccolta di linee sintomatiche del topo dko ha notevolmente ampliato i potenziali modelli murini per studi preclinici. La progressione accelerata della malattia in questi topi dko, offre un'eccellente opportunità per ottenere più rapidamente risultati dalle terapie sperimentali, ma anche di confermare se una terapia può effettivamente migliorare le manifestazioni clinicamente rilevanti e aumentare la durata della vita. Tuttavia, ci sono anche limitazioni importanti, ad esempio, la maggior parte dei topi dko sono difficili da allevare e spesso non sono disponibili in commercio.

Per queste ragioni, il topo mdx, è oggigiorno il modello più utilizzato sia nella terapia farmacologica che, in particolare, nella terapia genica.

b) Modello canino

Considerando l‟eventuale risposta immunitaria verso il vettore della terapia genica e la ridotta capacità di produrre su larga scala vettori nel modello murino, viene ampiamente utilizzato il modello canino per la ricerca della terapia genica.

La distrofia muscolare di Duchenne, legata al cromosoma X canino, è stata descritta in letteratura da oltre 50 anni (Innes, 1951; Wentink et al., 1972; Funkquist et al., 1980; Duan, 2011). La carenza della distrofina è stata riportata in circa 20 razze canine diverse, e generalmente, il fenotipo clinico della distrofia muscolare di Duchenne canino (cDMD) è considerato più grave di quello dei topi mdx.

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29 Le mutazioni del gene della distrofina sono state mappate in nove razze di cDMD, in particolare le mutazioni puntiformi sono state trovate nei Golden Retriever (GRMD, introne 6), nei Cavalier King Charles Spaniel (CKCS-MD, introne 50), e nei Rottweiler (esone 52; Sharp et al., 1992; Winand et al., 1994; Walmsley et al., 2010). Le mutazioni di delezione sono state trovate in tre razze, tra cui Cocker spaniel, Tibetan Terrier e Pointer a pelo corto tedesco (Schatzberg et al., 1999; Kornegay et al., 2012). Le colonie sperimentali sono state stabilite solo con poche razze. Il modello GRMD è il primo e il modello di cDMD più utilizzato. Gli studi molecolari, istologici e clinici hanno validato i cani GRMD come un modello autentico per la DMD umana (Cooper et al., 1990; McCully et al., 1991; Moise et al., 1991; Sharp et al., 1992; Valentine et al., 1992; Lanfossi et al., 1999; Cozzi et al., 2001; Nguyen et al., 2002;). Attualmente, i cani GRMD sono mantenuti in diverse colonie negli Stati Uniti, in Francia, in Brasile ed in Australia. I cani GRMD sono stati anche incrociati con il background di Beagle, generando distrofia muscolare legata all'X canino in Giappone o CXMDJ (Valentine et al., 1988; Shimatsu et al., 2003). Recentemente, sono stati creati ceppi ibridi che hanno origini genetiche miste e contengono mutazioni di razze diverse (Fine et al., 2011; Yang et al., 2012; Cotten et al., 2013; Shin et al., 2013). Oltre alle colonie basate su GRMD, sono state generate colonie di ricerca anche da Pembroke Welsh Corgis e Labrador Retriever e CKCS-MD (Walmsley et al., 2010; Smith et al., 2011). I cani affetti da DMD condividono un decorso clinico molto simile a quello osservato in ragazzi affetti da DMD. La debolezza degli arti e l'intolleranza all'esercizio iniziano intorno ai 2 o 3 mesi di età (analoga a 3 anni negli esseri umani). L‟atrofia muscolare, la contrattura articolare, l‟ipersalivazione, la disfagia, l‟andatura anormale e segni di coinvolgimento cardiaco, diventano evidenti a circa 6 mesi. A circa 6-10 mesi, la progressione della malattia entra in un periodo relativamente stabile (Valentine et al., 1988; Shimatsu et al., 2005; Smith et al., 2011; Fan et al., 2014). La morte si verifica spesso intorno ai 3 anni (una riduzione del 75% circa della durata della vita). I cani con DMD mostrano anche una varietà nei loro sintomi. Infatti, in casi estremi, i soggetti malati sono

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30 essenzialmente asintomatici nonostante la mancanza di distrofina nei loro muscoli (Dubowitz, 2006; Ambrósio et al., 2008; Wakefield et al., 2009; Zucconi et al., 2010; Zatz et al., 2014;). Oltre alla somiglianza clinica, i cani cDMD presentano anche lesioni istologiche simili agli umani affetti. Ad esempio, la fibrosi muscolare degli arti è una caratteristica saliente della malattia negli esseri umani con DMD e nei cani affetti, ma non nei topi mdx (Cozzi et al., 2001; Shin et al., 2013; Smith et al., 2011; Yang et al., 2012). Però la sintomatologia clinica dei cani con DMD non è completamente identica a quella degli esseri umani con DMD, infatti circa il 20-30% dei cuccioli di cDMD muore entro 2 settimane dalla nascita probabilmente a causa di insufficienza del diaframma (Valentine et al., 1988; Shimatsu et al., 2005; Ambrósio et al., 2008; Nakamura et al., 2013). Tuttavia, questa morte neonatale non è osservata nei neonati con DMD . Il ritardo della crescita è un altro sintomo canino-specifico (West et al., 2013).Queste caratteristiche rendono i cani cDMD un modello eccellente per condurre studi di terapia genica preclinica (Duan, 2015). Ad esempio, Sanpaolesi et al. (2006) hanno utilizzato il modello GRMD nel trattamento con mesoangioblasti (cellule staminali associate ai vasi), osservando la produzione di distrofina nei soggetti malati. Ciononostante, i topi mdx rimangono il modello più comunemente utilizzato negli studi di terapia genica DMD grazie al basso costo e all'accesso facile.

c) Altri modelli mammiferi

Oltre al modello murino e canino, esistono altri modelli animali tra cui il modello felino, suino, il ratto e la scimmia, anche se sono poco utilizzati rispetto ai primi. Carpenter (1989) per la prima volta descrisse la distrofia muscolare presente nei gatti domestici, rilevando tramite immunofluorescenza la presenza di distrofina nel muscolo dei gatti sani, e l‟assenza di questa proteina nei gatti affetti. La malattia sembra essere legata al cromosoma X, come negli umani. Questo modello felino ha un‟espressione fenotipica unica di ipertrofia di molti muscoli, infatti sono stati descritti come affetti da distrofia muscolare felina ipertrofica (HFMD). Successivamente, anche Winand (1994) ha caratterizzato la mutazione, che elimina le isoforme delle distrofina neuronale di Purkinje nel modello felino di DMD.

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31 Recentemente, anche Blunden e Gower (2011) e Gambino (2014) hanno ampliato lo studio di questo modello. In particolare, Gambino (2014) ha identificato una mutazione spontanea, simile alla precedente, in cui il sintomo principale è il rigurgito causato dal megaesofago, senza ipertrofia muscolare. Tuttavia, i gatti distrofici non sono stati ampiamenti utilizzati come modello DMD a causa della limitata somiglianza patologica con la DMD umana. Infatti, non ci sono state segnalazioni sugli approcci terapeutici che utilizzano il modello felino (McGreevy et al., 2015). Nonneman (2012) ha identificato nei suini mutazione spontanea, in cui l‟espressione della distrofina è ridotta del 30%, tuttavia, i sintomi distrofici sono minimi e la principale manifestazione clinica è caratterizzata da morte improvvisa indotta da stress. Inoltre, negli ultimi anni sono state generate diverse linee di suini affetti da DMD tramite tecniche efficienti (Klymiur et al., 2013; Rogers et Swart, 2014; Klymiur et al., 2016). Questi suini mancanti di distrofina mostrano un aumento sierico di creatinchinasi, alterazione del movimento, debolezza muscolare e durata di vita massima di 14 settimane. L‟esame istologico ha rilevato miopatia con eccessiva variazione della dimensione delle fibre, tra le quali numerose ipertrofiche arrotondate, ramificate, con nuclei centrali, necrotiche e piccole fibre muscolari rigenerate. Queste lesioni sono accompagnate da fibrosi interstiziale ed infiltrazione di cellule infiammatorie, imitando così i tratti distintivi della malattia umana. La gravità e l‟estensione di queste alterazioni progrediscono con l‟età (Klymiuk et al., 2013). I suini DMD esibiscono i tratti caratteristici e patologici della malattia umana sviluppandosi precocemente. Inoltre, sono stati generati tramite CRISPR/Cas (Nakamura et al., 2014) e TALEN (Larcher et al., 2014) ratti con deficit di distrofina, i quali mostrano debolezza muscolare, minore attività motoria, ridotta durata di vita ed insufficienza cardiaca con l‟avanzare dell‟età. Il fenotipo muscolare e cardiaco di questo modello è simile a quello umano (Hunchet et al., 2017), ma comunque non sono stati ancora riportati in letteratura studi sulla terapia DMD utilizzando il ratto. Recentemente sono state generate scimmie rhesus (detta Macaca mulatta) utilizzando CRISPR/Cas9 in ovociti fecondati (Chen et al., 2015). Sebbene siano state osservate

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32 deplezione parziale della distrofina e miopatia ipertrofica, le scimmie hanno elevata variabilità genetica e fenotipica che limita il valore di questo modello animale.

2. Non mammiferi

Nel raggruppamento dei non-mammiferi, in aggiunta allo zebrafish di cui si parla ampiamente in appositi paragrafi, fanno parte 2 modelli animali:

a) Caernorhabpitis elegans

La forma mutante del Caernorhabpitis elegans (nematode fasmidario), descritta da Gieseler et al. (2000), può essere utilizzata come modello animale per la distrofia muscolare di Duchenne. L‟analisi genetica in questo modello fornisce informazione sull‟assemblaggio e sulla funzione del muscolo. In particolare, la struttura muscolare e le proteine muscolari sono altamente conservate, così la maggior parte di ciò che viene appreso da questo nematode può essere estrapolato e confrontato con altri animali, incluso l‟uomo. L‟autofecondazione consente la propagazione di mutanti, generando animali così scoordinati che non sarebbero in grado di accoppiarsi. Questo modello può essere utilizzato per screen morfologici e comportamentali, soppressione genica e terapia farmacologica (Baumeister e Ge, 2002). In particolare, il “Prednisone”, corticosteroide sintetico, ha determinato il rallentamento della degenerazione nei soggetti carenti di distrofina (Gaud et al., 2004). Tuttavia, la mancanza di un metabolismo complesso e la ridotta somiglianza della fisiologia umana possono determinare una scarsa previsione sulla tossicità e efficacia dei farmaci negli esseri umani.

b) Drosophila melanogaster

Lo studio della Drosophila melanogaster (moscerino della frutta) è stato essenziale per la comprensione dello sviluppo e della funzione del sistema nervoso. Negli ultimi anni, gli studi sull'utilizzo delle mosche della frutta hanno fornito importanti informazioni sulla patogenesi delle malattie neurodegenerative e neuromuscolari. La

Drosophila melanogaster viene anche utilizzata come modello di DMD (Lloyd et

(33)

33 per valutare l‟efficienza di farmaci sull‟innalzamento della sfingosina 1-fosfato (S1P), implicato nei processi anabolici delle cellule, comprese quelle muscolari. Infatti, tutti i componenti noti del complesso di glicoproteine associate alla distrofina (DGC) sono presenti in questo modello, compreso il gene della distrofina altamente conservato ed espresso prevalentemente nei muscoli e nel sistema nervoso. Inoltre, le mutazioni della distrofina nel moscerino causano difetti muscolari con ridotta durata della vita, difetti cardiaci simili a quelli osservati nei pazienti DMD (Lloyd et Taylor, 2010). I risultati positivi degli screening farmacologici nella Drosophila

melanogaster come modello di DMD, come nello studio di Laneve et al. (2017)

pongono le basi per studi più avanzati su modelli animali superiori, come quello murino.

4. Zebrafish modello animale

Lo zebrafish (Danio rerio), un piccolo pesce tropicale d‟acqua dolce, grazie alle sue caratteristiche è diventato un importante modello animale per la ricerca scientifica, sia di base che applicata, come la genetica, l‟embriologia, la fisiologia, la neurologia, ma anche la biomedicina e, più di recente, la zootecnia. Le piccole dimensioni di questi pesci consentono il loro allevamento in spazi limitati, oltre a richiedere una gestione piuttosto semplice ed economica. Tra l‟altro, un aspetto fondamentale è la semplicità di accoppiamento e la grande prolificità dello zebrafish; in condizioni ottimali come quelle di laboratorio, una femmina produce normalmente dalle 200-400 uova per evento riproduttivo, con punte di oltre 800-1000 uova. Ciò permette l‟esecuzione di esperimenti caratterizzati da alta numerosità e ridottissima variabilità sia genetica che qualitativa (spesso è possibile utilizzare un solo lotto di uova). A questo è da aggiungere il ridotto ciclo vitale che vede il raggiungimento della maturità sessuale dei soggetti entro i tre mesi di vita, con la possibilità di ottenere fino a 4 generazioni diverse nell‟arco di un solo anno. Ancora, le uova fecondate di zebrafish si prestano anche all‟esecuzione dell‟editing genomico attraverso la micro-iniezione di mRNA, morfolino (oligonucleotidi antisenso modificati), CRISPR (Clustered regularly interspaced short palindromic repeats

),

permettendo lo studio

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34 delle differenti funzioni geniche; consentendo di identificare le cause genetiche di molte malattie, non solo umane (Lieschke et al., 2007). Negli anni ‟80 fu mappato il genoma dello zebrafish e ne risultò che possedeva 26206 geni correlati alla codificazione di specifiche proteine. Il sequenziamento del genoma di zebrafish e la relativa facilità con cui modificazioni geniche possono essere indotte o create, hanno portato alla produzione di numerosi modelli per lo studio di malattie umane come il cancro, malattie cardiache, morbo di Alzheimer, il Parkinson, la distrofia muscolare e molte altre. Infatti, il 70-80% delle posizioni geniche sono conservate e troviamo un‟alta omologia delle sequenze tra i mammiferi e lo zebrafish rispetto agli altri animali da laboratorio. La parziale omologia dei genomi dei mammiferi con questo pesce rende possibile valutare l‟azione dei geni dei mammiferi in modo indiretto (Howe et al., 2013). Inoltre, lo zebrafish possiede l‟interessante abilità di rigenerare pinne, squame, retina, midollo spinale, porzioni di tessuto cardiaco e molti altri organi interni. Dal punto di vista etico e del benessere animale, l‟utilizzo dello zebrafish risulta più indicato rispetto ad altri animali; in tal senso, infatti, il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 26 “Attuazione della direttiva 2010/63/UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale GU n.61 del 14-3-2014 e vigente dal 29-3-2014, individua lo zebrafish come organismo animale per la ricerca.

a) Riproduzione

Le femmine di zebrafish sono in grado di deporre uova anche quotidianamente, sebbene Eaton e Farley (1974) abbiano osservato una deposizione ogni 1,9 giorni, se le femmine vivono con almeno un maschio (Eaton e Farley, 1974); inoltre, Spence e Smith (2006) hanno mostrato che possono produrre uova ogni giorno per un periodo di almeno 12 giorni (Spence et Smith, 2005). La quantità di uova emesse dipende dalle condizioni ambientali, come la qualità dell'acqua, la dieta, la situazione sociale e la frequenza riproduttiva. Gli stimoli olfattivi svolgono un ruolo fondamentale nella riproduzione; il rilascio di steroidi glucuronici nell‟acqua da parte dei maschi, induce l'ovulazione nelle femmine (Van den Hurk e Lambert, 1983) e, dopo l'ovulazione, le

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35 femmine rilasciano ormoni che promuovono l‟emissione di seme da parte del maschio e la fertilizzazione delle uova (Van den Hurk e Lambert, 1983). Ai fini riproduttivi, la maggior parte delle strutture di allevamento di zebrafish utilizza una vaschetta costituita da una vasca di accoppiamento in plastica con una griglia inferiore, collocata all'interno di un contenitore leggermente più grande che viene riempito con acqua. I pesci vengono introdotti nella vaschetta e divisi, in base al sesso, da un separatore, il quale verrà rimosso all‟accensione della luce (inizio “giorno”). Infatti, come in natura, la deposizione delle uova avviene all‟alba. Di seguito, le uova deposte possono essere facilmente prelevate tramite una pipetta

pasteur. Dopo la raccolta, le uova vengono incubate in una vaschetta o in capsule

Petri contenti Egg water (Lawarance et al., 2007), cioè una soluzione costituita da: 1 L di acqua osmotizzata e autoclavata, 1,5 ml di Stock Salt Solution (soluzione acquosa contenente 40 g L-1 di Instant Ocean®), 1,5 ml di Blu di Metilene (2000x). L'unico studio pubblicato (Goolish et al., 1998) riguardante l‟efficienza delle vaschette da incubazione, ha evidenziato come le dimensioni di queste non abbiano alcun effetto sulla percentuale di schiusa delle uova. Infine, dopo la schiusa, gli embrioni vengono messi in una vaschetta contente Embryo Water (1 L di acqua osmotizzata e autoclavata, 0.1 g di bicarbonato di sodio, 0.1 g di Instant Ocean®, 0.19 g di calcio solfato e 0.5 ml di Blu di Metilene, 2000x) fino a 10 dpf (days

post-fertilizzation). Inoltre è importante sottolineare la temperatura ottimale per lo

sviluppo embrionale, da 2,5 hpf (hours post-fertilization) a 96 hpf, che deve essere compresa tra 26 e 28,5 °C, più o meno la stessa temperatura utilizzata durante la fase di accoppiamento ed emissione delle uova stesse. Infatti, incubare gli embrioni a temperature tra 30,5 e 36,5 °C aumenta l‟incidenza di malformazioni; in particolare, a 32,5 °C sono state riscontrate malformazioni della coda già a 24 hpf, mentre a 34,5-36,5 °C sono evidenti malformazioni cardiovascolari e al livello della testa, con edemi e accumuli sanguigni (Pype et al., 2015). Comunque, a queste temperature, è stato riscontrato un rapido sviluppo embrionale, sebbene che a 36,5 °C si osserva una

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