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La geochimica applicata alla prospezione geotermica in aree prive di manifestazioni di alta entalpia

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Academic year: 2021

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1 INTRODUZIONE

1.1 SCOPO DEL LAVORO

La maggior parte dei campi geotermici esistenti ha evidenze superficiali che testimoniano la presenza di fluidi geotermici ad alta entalpia (fumarole, sorgenti termali alla ebollizione, ecc…), anche se non mancano esempi di sistemi geotermici che si sono rivelati di alta entalpia senza manifestazioni di rilievo in superficie. Un esempio è il campo geotermico del Monte Amiata che non presenta fumarole né sorgenti termali di alta temperatura, anche se è evidente la presenza di una anomalia geotermica molto importante, segnalata dalla presenza di miniere di mercurio. L’area compresa tra il Lago di Vico e il Lago di Bolsena si caratterizza per la presenza di importanti vulcani ed è quindi potenzialmente sede di sistemi geotermici; tuttavia in superficie sono presenti manifestazioni gassose di bassa temperatura e il termalismo superficiale è di medio-bassa temperatura, come la sorgente di Poggio dell’ulivo, Bacucco-Vecenzale, Bagnaccio, Mola di Bassano, ecc… . Lo scopo del presente lavoro è lo studio e la ricerca delle risorse geotermiche a media e alta entalpia nell’area compresa tra il Lago di Vico e il Lago di Bolsena, pur in assenza di evidenze superficiali che indichino l’esistenza di fluidi ad alta entalpia. A tale scopo saranno utilizzate principalmente tecniche basate sulla ricerca di anomalie di fuga cioè quelle sostanze che possono indicare la contaminazione delle acque sotterranee (sorgenti e pozzi) da parte di vapore che proviene da sistemi geotermici profondi di alta e media entalpia. Naturalmente sono state utilizzate anche tecniche geotermometriche tradizionali e modelli di mescolamento, quando sono risultati evidenti tali processi. Lo studio ha preso in considerazione i dati di letteratura integrati con quelli provenienti da una campagna condotta nell’area compresa tra il Lago di Vico e il Lago di Bolsena, caratterizzata da pochi dati pregressi.

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Sulle acque campionate sono state effettuate determinazioni chimico-fisiche ed analisi dei maggiori per la definizione della facies idrochimica, e dei traccianti geotermici: boro, ammoniaca, silice, CO2 disciolta. I risultati sono stati

confrontati con quelli di letteratura e con loro integrati, allo scopo di rivalutare complessivamente il sistema, alla luce delle numerose campagne che in tale area sono succedute nel tempo.

2 LA GEOTERMIA

2.1 INTRODUZIONE L’energia geotermica è una rinnovabile pulita e sostenibile energia contenuta e prodotta all’interno della Terra, viene trasferita sulla superficie terrestre attraverso la conduzione e la convezione. Nel nostro pianeta la temperatura aumenta con la profondità secondo un gradiente geotermico di circa 30°C/Km, quindi ponendo una temperatura sulla superficie della terra di 15°C/Km, a circa 3 km di profondità ci sarà una temperatura di 105°C. Ovviamente risulta poco conveniente, con le tecnologie dei giorni nostri, andare a estrarre fluidi a cosi bassa temperatura, a profondità cosi elevate. Da queste considerazioni per rendere l’energia geotermica economicamente sfruttabile, si devono andare a cercare zone in cui il gradiente geotermico abbia valori maggiori, di solito localizzate nei margini continentali o comunque dove vi sia del magma a pochi km di profondità (fig. 1)

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Figura 1: distribuzione geografica dei sistemi geotermici di alta temperatura, comparati con la tettonica delle placche. 1= campi per la produzione di energia elettrica; 2= mid - ocean ridges e faglie trasformi; 3= placche convergenti. (www.unionegeotermica.it)

Le risorse geotermiche possono essere raggruppate in: alta, media e bassa entalpia (fig. 2).

Figura 2: classificazione delle risorse geotermiche in base alla temperatura, secondo vari autori.

Le temperature > 180°C nei sistemi geotermici vengono usati generalmente per la produzione di energia elettrica, mentre quelli a media e bassa entalpia possono essere utilizzati per usi diretti. Oggi grazie all’utilizzo di sistemi binari si

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possono utilizzare T > 85 °C per la produzione di energia elettrica (Procesi et al., 2013) (Fig. 3). Figura 3: Utilizzo dell'energia geotermica da (Procesi et al., 2013)

Un sistema geotermico convenzionale è caratterizzato essenzialmente da: sorgente di calore, fluido, serbatoio e copertura. La sorgente di calore può essere una camera magmatica, un corpo vulcanico, un’intrusione magmatica o una risalita di plume mantelliche, associati generalmente a zone con tettonica distensiva o a zone di subduzione, infatti sistemi geotermici di alta temperatura sono localizzati proprio vicino i margini di placca (fig. 1). Il serbatoio deve essere caratterizzato da elevata permeabilità, tale da consentire al fluido geotermico di circolare (fig. 4).

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Figura 4: Tipi principali di sistemi geotermici

La copertura deve essere costituita da rocce impermeabili, tali da trattenere il calore e mantenere un’elevata pressione dei fluidi nel serbatoio.

A seconda del tipo di fluidi coinvolti, i sistemi geotermici possono essere classificati in: vapore dominante e acqua dominante, inoltre possono essere di vario tipo: convenzionale, EGS, geopressurizzati e magmatici.

Negli ultimi decenni sono stati sviluppati sistemi geotermici non convenzionali, chiamati EGS (Enhanced Geothermal System), come ad esempio i progetti HDR (Hot Dry Rock) (Fig. 4). Nei sistemi EGS il serbatoio viene creato in tutto o in parta artificialmente con operazioni di idrofratturazione. Il calore contenuto nelle rocce e nei fluidi che permeano i pori e le fratture delle rocce del serbatoio viene parzialmente asportato e trasferito in superficie mediante circolazione di acqua a circuito chiuso, introdotta dall’esterno con pozzi di iniezione ed estratta con pozzi di produzione.

I sistemi geopressurizzati (Fig. 4) sono serbatoi profondi ad elevata pressione che contengono acqua calda e gas disciolto. Il serbatoio è localizzato nelle formazioni sedimentarie con bassa porosità, formando delle trappole per i fluidi, ad alta pressione.

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I sistemi magmatici (Fig. 4) sono un importante sorgente di calore naturale in cui è possibile estrarre fluidi ad elevata temperatura.

2.2 ORIGINE ED EVOLUZIONE DI FLUIDI VULCANICI E GEOTERMICI

Negli anni passati si pensava che i fluidi geotermici avessero un’origine magmatica. Craig (1961) (Fig. 5) ha notato che il deuterio contenuto nelle acque termali era vicino alla composizione isotopica dell’acqua superficiale. In base a queste considerazioni isotopiche Ellis & Mahon (Ellis & Mahon, 1964), mostrarono che i costituenti principali delle acque geotermiche provenivano da lisciviazione di rocce crostali. La formazione delle soluzioni idrotermali è stata spiegata con l’interazione di acqua meteorica con la roccia ad elevate temperature e l’unico contributo magmatico era limitato a fornire calore. Figura 5: Oxygen isotopic shift di fluidi geotermici relativo alle acque meteoriche locali. (White et al 1973) In pratica, durante i processi di interazione acqua – roccia, avviene uno scambio degli isotopi dell’O e dell’H, ma la roccia ha valori trascurabili di D, quindi nel

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diagramma d18O Vs dD (Fig. 5) si noterà come il D rimarrà costante e aumenterà

l’O che è contenuto in quantità abbondanti, sia nella roccia che nell’acqua (Oxygen isotopic shift).

2.3 TIPI DI ACQUE IN AREE GEOTERMICHE

Le acque circolanti in sistemi geotermici sono principalmente di quattro tipi (Ellis & Mahon, 1964; Werner F Giggenbach, 1988; Henley, Truesdell, Barton, & Whitney, 1984), e la loro localizzazione è raffigurata in figura 6. Figura 6: Campo geotermico in ambiente vulcanico in cui viene mostrata la localizzazione di differenti tipi di acque ( Henley & Ellis, 1983)

- Acque a cloruro di sodio: acque che circolano in profondità, i sistemi geotermici ad alta entalpia hanno acque clorurato sodiche con alto contenuto di Cl. Il pH di queste acque è di circa 5.5-5.6 a 200-300° C. Queste acque hanno un’origine meteorica ma a volte possono essere connate. Nei sistemi geotermici in ambiente vulcanico, il magma, principale sorgente di calore, rilascia gas quali: HCl, HF, SO2, H2S, CO2, che

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andranno in soluzione nei fluidi geotermici causando una diminuzione del pH.

- Acque solfato-acide: queste acque si trovano dove c’è una risalita di vapore nei sistemi geotermici. Il boiling causa il trasferimento di fasi gassose come CO2 e H2S nella fase vapore, che può raggiungere la

superficie senza interazione con acque superficiali sotto forma di fumarole e getti di vapore. In alternativa, il vapore separato può

condensare, almeno parzialmente, in acque superficiali formando steam-heated waters. A questo punto l’ossigeno atmosferico ossida l’H2S in

acido solforico producendo acque solfato acide, con basso Cl e con pH tra 0 e 3. Queste reagiranno rapidamente con la roccia producendo un’alterazione argillitica avanzata, dominata da kaolinite e alunite.

- Acque bicarbonato-sodiche: acque ricche in bicarbonato originate attraverso dissoluzione di CO2 da rocce carbonatiche o condensazione di

vapore geotermico. A causa dell’assenza di ossigeno ad elevate profondità l’H2S non entra in soluzione e l’acidità di queste soluzioni

acquose è data dalla dissociazione di H2CO3. Anche se è un acido debole,

converte i feldspati in argille generando soluzioni acquose neutre, che sono tipicamente ricche in sodio e bicarbonati, in particolare a medie ed alte temperature. Le acque bicarbonato sodiche sono generalmente in zone di condensazione in sistemi vapore dominante e nelle parti marginali in sistemi liquido dominante, comunque possono essere presenti in reservoir geotermici profondi, ospitati in rocce metamorfiche e/o sedimentarie.

- Acque acide solfato-clorurate: queste acque si trovano spesso nei laghi craterici e sono caratterizzate da un intenso assorbimento di gas magmatici principalmente SO2 e H2S (Aguilera et al., 2000) formando

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in acqua, l’SO2 viene disproporzionato secondo la seguente reazione (Murray & Cubicciotti, 1983): 4 SO2 + 4 H2O H2S + 3 H2SO4 le ipotesi proposte per spiegare l’origine di queste acque sono: mixing di acque superficiali acide (SO4) con acque neutre ricche in NaCl, afflussi di gas magmatici in reservoir geotermici e incompleta neutralizzazione di questi fluidi. La prima ipotesi richiede una elevata concentrazione di SO4. La seconda che è la più accreditata, coincide con il modello geochimico concettuale generale di un sistema idrotermale in ambiente vulcanico (W F Giggenbach, 1997; 1988). 2.4 GEOTERMOMETRIA

I fluidi geotermici hanno diverse composizioni chimiche che dipendono dal contesto geologico. Molte di queste differenze chimiche dipendono dalla componente della sorgente di ricarica delle acque e dal contributo di gas derivanti da sorgenti magmatiche e metamorfiche. I geotermometri chimici ed isotopici costituiscono un importante strumento geochimico per l’esplorazione del serbatoio geotermico. Essi sono anche molto importanti durante l’esplorazione e il monitoraggio del serbatoio durante la produzione. Durante le fasi di esplorazione, viene usato per stimare le temperature sotto la superficie, temperatura che ci si dovrebbe aspettare durante una perforazione. I geotermometri sono basati su reazioni chimiche che dipendono dalla temperatura e dall’equilibrio.

La maggior parte dei geotermometri sono basati su specifici equilibri nelle reazioni chimiche.

I geotermometri possono classificati in 3 gruppi principali: - Idrogeochimici

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- Vapore o gas - Isotopici

Quando si utilizzano i geotermometri, l’acqua deve aver raggiunto un proprio equilibrio chimico con le rocce ospitanti, inoltre viene assunto che le reazioni chimiche (o isotopiche) non devono modificare significativamente la composizione del fluido durante la risalita dall’acquifero profondo verso la superficie (sorgente termale, pozzo geotermico etc.). 2.4.1 Geotermometri idrogeochimici I geotermometri idrogeochimici più utilizzati sono quelli della silice (quarzo e calcedonio), Na/K, K-Mg, Na-K-Ca, Na-Li, SO4/F2. - Geotermometro della silice Il geotermometro della silice è basato sulla variazione della solubilità in relazione con la temperatura e la pressione (Fig. 7). La reazione di dissoluzione della silice è:

SiO2(qtz) + 2H2O = H4SiO4

Nella maggior parte dei sistemi geotermici i fluidi profondi hanno temperature > 180° e sono in equilibrio con il quarzo. Gli altri polimorfi della silice, come calcedonio, opale cristobalite, ecc., hanno una solubilità maggiore rispetto al quarzo e si formano a temperature più basse di 180°. Il geotermometro del quarzo è molto utile a temperature > 150°. L’equazione del geotermometro del quarzo è:

T(°C) = [1309/ (5.19 – log S)] – 273.15 (Fournier, 1991)

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la solubilità della silice non dipende dal locale assetto mineralogico, dalla pressione parziale dei gas disciolti e da altri costituenti disciolti, comunemente presenti in acque con pH < 8.5. È un importante geotermometro che sfrutta la variazione della solubilità di tutte le sue fasi, al variare di temperatura e pressione (fig. 7). La stima della temperatura può essere influenzata dalle diluizioni in prossimità della superficie durante la risalita delle acque. Figura 7: la solubilità del quarzo, calcedonio, opale a silice amorfa in acqua con una P di 1 bar a 100°C. A e B: silice amorfa; C: opale; D: calcedonio; E e F: quarzo. - Geotermometro Na/K Il rapporto Na/K decresce con l’aumentare della temperatura del fluido, ed è determinato dallo scambio di cationi che avviene tra l’albite e il K-feldspato, secondo la seguente reazione:

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NaAlSi3O8 + K+ = KAlSi3O8 + Na+

Il vantaggio di questo geotermometro è che risente meno della diluizione o della perdita di vapore essendo basato su un rapporto, e ci da indicazioni riguardo la parte più profonda del sistema. L’equazione che permette di stimare la temperatura, proposta da Fournier (1979b) è:

T(°C) = {1217/[1.483 + log (Na/K)]} – 273.15

Il Na/K da scarse informazioni al di sotto dei 100°C, ed è sconsigliato usarlo nel caso in cui ci sia alta concentrazione di Ca, come nei depositi di travertino.

- Geotermometro Na-K-Ca

Un altro tipo di geotermometro che è stato sviluppato è il Na-K-Ca (Fournier & Truesdell, 1973), utile nel caso in cui ci si trovi con elevate concentrazioni di Ca. Il vantaggio principale di questo geotermometro, in confronto al quarzo e al Na/K, è che non da risultati ingannevoli per acque fredde e leggermente termali. Per l’utilizzo di questo geotermometro bisogna tener conto che non può essere applicato ad acque acide che potrebbero non essere in equilibrio con i feldspati né sono applicabili a sistemi ad acqua in roccia con alta o bassa concentrazione di alcali, a meno che le correlazioni dirette con temperature misurate, siano disponibili. Un'altra limitazione del Na-K-Ca è il cambiamento della concentrazione a causa del boiling o della diluizione, e l’effetto principale è la perdita della CO2, che causa la

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precipitazione della calcite. Quindi l’errore è proporzionale alla quantità di CO2 contenuta nel fluido. - Geotermometro K-Mg È stato spesso osservato che i geotermometri Na-K e K-Mg danno diversi risultati. Questo fatto è stato interpretato da Giggenbach (1988) come dovuto a scostamenti variabili dall’equilibrio per le due reazioni che governano questi equilibri. Il geotermometro K-Mg risponde più rapidamente del geotermometro Na-K alla diminuzione di temperatura, soprattutto perché l’Mg entra nelle smectiti che si formano a bassa temperatura. Giggenbach ha combinato le due equazioni in un unico diagramma triangolare basato sui contenuti in Na, Mg e K (fig. 8). In questo diagramma le acque sono classificate come immature, mature o parzialmente equilibrate. Il vantaggio del geotermometro Na-K-Mg è che esso aiuta a distinguere le acque che si sono equilibrate con le rocce incassanti (quindi valide per l’applicazione dei geotermometri) da quelle non equilibrate.

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Figura 8: Diagramma trinagolare di Giggenbach

- Geotermometro Na-Li

Il geotermoemtro Na-Li è un geotermometro basato sul rapporto Na/Li. Vengono considerate due equazioni a seconda del contenuto di Cl nel fluido. La reazione dietro questo geotermometro è basata sulla temperatura ed è:

Clay-Li + H+ = Clay-H + Li+

Il K-Mg è applicato in situazioni dove il Na e il Ca dissolto non sono equilibrati tra fluido e roccia. Questo geotermometro si riequilibra rapidamente a basse temperature secondo la seguente reazione:

0.8K-mica + 0.2chlorite + 5.4silica + 2K+ = 2.8K-feldspar + 1.6H2O + Mg2+

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Questi geotermometri sono specifici per acque provenienti da formazioni carbonatiche ed evaporitiche (Marini et al. 1986; Chiodini et al. 1995b). 2.4.2 Geotermometri a gas

Molti manifestazioni nei campi geotermici consistono principalmente di fumarole e sorgenti calde (Arnórsson, 2000). I geotermometri ad acqua molto spesso non possono essere utilizzati per determinare la temperatura del sottosuolo, a causa del fatto che la tavola d’acqua si trovi in profondità e non ci sono sorgenti ed è per questo che si utilizzano i geotermometri a gas (D’Amore & Panichi, 1980) e ne esistono di 3 tipi basati sugli equilibri: gas, gas-minerale, minerale-gas (coinvolgendo gas come CH4, H2, H2S).

2.4.3 Geotermometri isotopici

Gli isotopi più utilizzati in ambito geotermico sono quelli dell’H (1H, 2H e 3H) e dell’O (16O, 17O e 18O). Il frazionamento isotopico (α) avviene quando la fase

vapore si separa dalla fase liquida (fig. 9). La composizione isotopica della fase vapore e della fase liquida in un pozzo, può essere determinata campionando la fuoriuscita totale da cui sia nota la frazione vapore. L’espressione generale per il frazionamento tra due composti A e B è: 1000 ln ΑB = δA - δB

In cui δA e δB rappresentano il rapporto isotopico rispettivamente nei composti

A e B (Arnórsson, 2000).

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Figura 9: Variazione della temperatura del frazionamento isotopico per evaporazione di acqua. Il frazionamento dell’18O (α18) è definito come il rapporto 18O/16O nel liquido su 18O/16O nel vapore acqueo. Il fattore di frazionamento per D (αD) è definito come il rapporto D/H nel liquido e D/H nel vapore. Questo grafico raffigura la relazione della temperatura con il

fattore di frazionamento isotopico. Dansgaard (1964).

2.5 GAS GEOTERMICI

Nei sistemi geotermici la componente gassosa principale è l’H2O seguita da CO2

e H2S, ma sono presenti anche altri gas in concentrazioni minori quali N2, H2,

CH4, CO, NH3, Ar ed He. Come suggerito da Giggenbach (1991), i costituenti

principali da utilizzare per riconoscere le sorgenti sono N2, H2 e Ar.

2.5.1 He, Ar e N2

Ar ed He sono dei gas nobili e quindi chimicamente inerti, mentre N2 è reattivo

ma non viene perturbato da reazioni chimiche. Secondo Giggenbach (1991), le concentrazioni di N2, H2 e Ar, ed in particolare il loro rapporto (fig. 10), possono

essere utilizzati per riconoscere la sorgente dei gas geotermici e l’ambiente tettonico in cui si sono generati. In funzione della concentrazione di N2, Ar ed

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- Meteorica: caratterizzata da un rapporto N2/Ar di circa 38, ed un rapporto He/Ar minore di 0.001. - Magmatica andesitica: caratterizzata da una componente con rapporto N2/Ar di 800-2000, tipico di emanazione gassosa in ambiente geotermico sviluppatosi lungo margini convergenti. Questo rapporto cosi elevato è causato da alti tenori di N2 è dovuto principalmente alla decomposizione di materiale organico presente nei sedimenti subdotti. La variabilità di questo rapporto dipende dalla quantità di sedimenti marini che vanno in subduzione (Kita, Nitta, Nagao, Taguchi, & Koga, 1993). Esistono inoltre dei sistemi geotermici localizzati lungo i margini di placche convergenti, caratterizzati da bassi rapporti N2/Ar, comparabili con i gas di origine

mantellica, che gli autori attribusicono ad un basso contributo di N2 dallo slab in subduzione.

- Magmatica basaltica: caratterizzata da un elevato contenuto di He rispetto alla componente meteorica. I gas ricchi in questa componente sono tipicamente localizzati lungo i margini divergenti e in aree di hot spot. - Crostale: caratterizzata da elevato contenuto di He4 (isotopo radiogenico che si forma per decadimento radioattivo di U e Th).

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Figura 10: concentrazione relativa di He, Ar e N2 nei gas in ambiente geotermico provenienti da diversi assetti tettonici. ( Giggenbach, 1996) 2.6 INDICAZIONI GEOTERMOMETRICHE DA PROCESSI DI MESCOLAMENTO 2.6.1 Anomalie di fuga

Oltre alle tecniche precedentemente descritte si possono avere indicazioni sull’esistenza di serbatoi geotermici andando a ricercare sostanze presenti nei fluidi geotermici che hanno però affinità con la fase vapore. Se il sistema geotermico è soggetto a processi di depressurizzazione, dovuti alla presenza di fagli attive, si possono avere, localmente, fughe di vapore. Il vapore che intercetta falde più superficiali le contamina con i costituenti volatili in esso contenuti. Si possono poi avere aumenti di temperatura non “spiegabili” in base alla interazione dell’acqua con le rocce dell’acquifero, in base al gradiente geotermico medio della zona o a processi di mescolamento con acque più calde di origine profonda.

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I parametri considerati nello studio delle anomalie sono: temperatura, CO2,

NH3, B.

- NH3: le acque superficiali contengono azoto combinato in forma di NO3,

NO2 e N2 disciolto insieme all’O2 atmosferico. Reagendo con le rocce e le

sostanze organiche l’ossigeno viene consumato e le acque diventano riducenti. In queste condizioni i prodotti ossidati dell’azoto sono ridotti ad NH3. Questa è probabilmente la fonte principale di azoto ammoniacale nei sistemi geotermici. A pH=7 e a temperatura ordinaria, solo l’1% dell’ammonio si presenta in forma di ammoniaca. Le reazioni: NH3 + H+ NH4+ ambiente acido NH3+ H2O NH4+ + OH- ambiente neutro o alcalino sono esotermiche e ad alte temperatura si ha formazione di ammoniaca molecolare. Non appena si forma una fase gassosa, l’ammoniaca presente nell’acqua vi si accumula e l’equilibrio nella soluzione tende a spostarsi verso la formazione di nuova ammoniaca. Con la perdita di gas (principalmente CO2), si ha un aumento del pH che favorisce ulteriormente il processo di

volatilizzazione dell’ammoniaca. Quindi, se un’acqua profonda contenente azoto ammoniacale si riscalda al punto di formare una fase gassosa, questa, di regola, porta via buona parte dell’ammoniaca durante la sua risalita verso la superficie (Tonani, 1970). Tuttavia se questo gas, ricco in CO2 e NH3, incontra falde più superficiali, queste si arricchiscono

in ammoniaca. Quindi in corrispondenza di attività idrotermale si possono avere anomalie di NH3 dovute a fughe di vapore e gas da serbatoi

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antropica che causano anomalie, risolvibile solo con un’attenta analisi dei dati.

- F-: è molto importante da determinare in acque che circolano in sistemi

carbonatico-evaporitici, infatti il rapporto SO42-/F- costituisce un ottimo

geotermometro per le acque provenienti da tali acquiferi (L. Marini, 1986). L’elaborazione geotermometrica è basata sull’assunzione che le acque interagiscano con rocce dove siano presenti fasi solide quali anidrite e fluorite e che vi sia quindi l’equilibrio anidrite – fluorite-soluzione acquosa:

KAF= aSO42-/(aF-)2

Il quale dipende dalla temperatura.

- B: è un importante indicatore di attività geotermica attiva o passata. Il

boro disciolto come acido borico, può essere assorbito dalle formazioni argillose. Nelle regioni in cui questi depositi di argille sono estesi ed importanti, l’accumulo del boro rispetto ad altri elementi è, probabilmente, il risultato di una vasta e prolungata attività idrotermale, l’acido borico infatti viene separato ed arricchito nei sistemi fumarolico – idrotermali. I gas fluendo verso la superficie, apportano sempre nuovo acido borico, che rimane catturato nelle regioni relativamente più fredde. La concentrazione raggiunta in ciascun livello dipende da due fattori: a) Il contenuto di acido borico dei gas emessi dal reservoir geotermico b) La temperatura dell’orizzonte considerato

La ricerca di anomalie del tenore in B, nelle acque sotterranee e superficiali, è una possibile tecnica per scoprire fughe da un serbatoio geotermico di alta temperatura verso la superficie (Fig. 11) (Tonani, 1970).

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Figura 11: Diagramma binario in cui nelle ordinate è riportato l'acido borico nella fase liquida (acido borico in soluzione acquosa sulla fase vapore, moli/Kg) e nell'ascissa la temperatura. (R. Nasini 1930) - pCO2: può segnalare presenza di fughe da serbatoi profondi. Nelle aree geotermiche ci sono una serie di condizioni e processi che favoriscono l’accumulo di gas negli alti di permeabilità. La pressione parziale dei gas disciolti è proporzionale alla temperatura, quindi maggiore sarà la temperatura, tanto più alta sarà la pressione parziale di questi gas. Infatti la circolazione convettiva delle acque favorisce il trasporto verso le zone alte, ed infine la liberazione di una fase gassosa per ebollizione ed il conseguente trasferimento di sostanze volatili verso l’alto. Questo gas accumulato in un alto di permeabilità tenderà a fuggire verso la superficie sotto l’azione della spinta idraulica. Le fughe di gas, quindi, ci danno informazioni sugli alti di permeabilità ed in particolare quelli coincidenti con linee di frattura attive, o comunque sede di permeabilità verticale, che si proiettano nella copertura.

i possibili valori della pressione di CO2 disciolto nell’acqua, sono compresi

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x 10-4 atm), ed uno superiore, che corrisponde alla pressione di anidride carbonica nella superficie della falda. Tenori più elevati di CO2 possono corrispondere a sorgenti speciali. La ricerca delle anomalie di fuga deve essere effettuata su acque che hanno caratteristiche simili: devono avere stesso tipo chimico, salinità confrontabili. Inoltre all’interno dello stesso tipo chimico ed acque di salinità confrontabile occorre controllare che non esistano gruppi che si caratterizzano per rapporti tra i componenti maggiori (HCO3, SO4, Cl, Na, K, Mg, Ca) diversi. In altre parole occorre effettuare una classificazione chimica di grande dettaglio per riconoscere acque che possono avere avuto circolazioni in ambienti confrontabili.

Su questi gruppi omogenei è possibile costruire modelli statistici di regressione multipla lineare che mettano in relazione le concentrazioni delle specie maggiori, che caratterizzano la facies idrochimica delle acque, con la temperatura, Pco2, ammoniaca e boro.

È considerato anomalo il campione per il quale la concentrazione misurata differisce da quella calcolata per una quantità fissata. In genere si considera il residuo standardizzato ed è possibile quindi definire anomalie in cui la discordanza è pari ad una deviazione standard, a due deviazioni standard o maggiori. I modelli di regressione multipla lineare richiedono che le variabili siano indipendenti per evitare errori di multicollinearità sui coefficienti di regressione lineare. Per tale motivo il modello predittivo deve utilizzare variabili indipendenti che possono essere costruite utilizzando le tecniche della PCA (Principal Component Analisys).

La tecnica menzionata consiste nel trasformare le variabili di partenza in nuove variabili, combinazioni lineari delle prime, ma tra loro ortogonali. Questo si ottiene diagonalizzando la matrice di correlazione. Gli autovalori così ottenuti

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sono anche i coefficienti con cui si possono combinare le variabili iniziali. Le nuove variabili possono così essere utilizzate come variabili indipendenti nel modello di regressione. Tale tecnica prende il nome di PCR (Principal Component Regression) (Draper e Smith, 1966).

Il cuore del trattamento è quindi basato sulla matrice di correlazione i cui elementi sono compresi tra -1 e +1. Più elevati in valore assoluto sono i valori fuori dalla diagonale maggiore è la correlazione tra la coppia di variabili. Naturalmente occorre verificare che l’elevata correlazione sia realmente significativa e non dipenda da una particolare distribuzione delle coppie di valori. Se ad esempio si ha una coppia con valori di entrambe le variabili molto elevate rispetto al resto si possono avere coefficienti di correlazione falsamente prossimi ad 1. Tali problemi sono evitati raffinando la classificazione e selezionando famiglie il più possibile omogenee di campioni.

Una volta determinate le anomalie se ne studia la distribuzione spaziale, evidenziando quei campioni che presentano più anomalie. Per verificare che anomalie coincidenti non siano frutto del caso si utilizza un test del c2: in altre parole si valuta se la frequenza di anomalie coincidenti può essere frutto del caso o se tale ipotesi può essere considerata falsa. A tale proposito è possibile costruire una tavola di contingenza come mostrato in tabella.

Caratteristica 2 Caratteristica 1 totale

1 2 3

1 n11 n12 n13 N1.

2 n21 n22 n23 N2.

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totale N.1 N.2 N.3 N Se le caratteristiche fossero indipendenti allora il numero di campioni atteso in ogni cella è calcolato come una semplice proporzione utilizzando la formula N N N N N N N N n11=( .1* 1.)* = .1* 1. Si può calcolare allora la seguente grandezza = j i i ij j N N n N , 2 2 1 . * . * Il valore così calcolato deve essere poi confrontato con il valore critico con il livello di significato a e con (r-1)(c-1) dove r e c sono rispettivamente il numero di righe ed il numero di colonne. Se il valore di c2 calcolato è maggiore del valore critico allora si può rigettare l’ipotesi che le caratteristiche siano indipendenti.

3 CONCLUSIONI

Numerosi sono stati gli studi effettuati negli anni per la valutazione del potenziale geotermico nell’area compresa tra il Lago di Vico e il Lago di Bolsena. L’area è infatti caratterizzata dall’assenza di particolari manifestazioni di alta entalpia, come fumarole, sorgenti termali all’ebollizione, ecc, ma è sede di importanti vulcani, rendendola potenzialmente un campo geotermico.

Le prospezioni geochimiche eseguite nell’area compresa tra il Lago di Vico e il Lago di Bolsena, coadiuvate da una serie di dati pregressi, hanno permesso di ottenere indicazioni interessanti riguardo le potenzialità geotermiche di questa zona.

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• Le indagini idrogeochimiche su campioni prelevati nel corso di questa tesi hanno messo in evidenza che l’area è caratterizzata principalmente da 4 tipi chimici di acque:

- Ca (HCO3): hanno una distribuzione non omogenea, essendo

distribuite prevalentemente nell’area intorno al Lago di Vico e nella zona di Piana del Diavolo. All’interno di questa famiglia sono distinguibili due sotto insiemi principali: il primo gruppo con TDS minore di 20 meq/l e il secondo con TDS maggiori di 20 meq/l. Queste acque presentano rapporti SO4/HCO3 prossimi ad 1 come

quelle di Saturnia e Pitigliano che sembrano risentire del mescolamento tra acque a solfato e a bicarbonato con bassa salinità. Da questo gruppo sono state escluse le acque con contenuto di SO4 maggiore di 0.8 meq/l che verranno trattate

successivamente;

- Na-K (HCO3): sono acque che da un punto di vista geotermico

sembrano essere legate alla perdita di CO2 da acque a bicarbonato

di calcio di origine profonda, risultando molto interessanti. Queste acque infatti seguono degli allineamenti NW-SE e ortogonali a tale direzione;

- Ca (SO4): sono acque con T da 30° a 63°C, definite termali e ad

elevata salinità, distribuite nell’area a NW del Lago di Vico con un orientamento N-S, ed alcuni campioni sono stati trovati nei Monti Cimini;

- Acque miste ad HCO3 ed SO4: Le acque a composizione HCO3-SO4

sono state separate dal gruppo HCO3 per un contenuto in SO4

maggiore di 0.8 meq/l, e sono state classificate come acque miste.

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• Le acque campionate a Sud del Lago di Vico e nell’area ad Ovest del Lago di Bolsena, presentano una prevalenza di acqua a bicarbonato di calcio e bicarbonato alcaline, con una minore componente a solfato probabilmente dovuta ad interazione con depositi sedimentari anidiritici.

• Per la ricerca delle anomalie di B, NH3 e Pco2 (ricavate da dati pregressi)

è stata utilizzata la suddivisione in famiglie, precedentemente citata, con

lo scopo di considerare l’insieme di dati più omogeneo possibile dal punto di vista della classificazione. In ogni famiglia chimica di acque sono stati riconosciuti campioni che presentavano almeno uno di questi parametri con valori considerati statisticamente anomali. Comunque, nella carta (in basso) sono stati riportati solo i campioni che presentano almeno 2 anomalie. Queste acque sono tutte localizzate nell’area a N del Lago di Vico e ad Ovest di Viterbo e nell’area dei Monti Cimini.

• La ricerca delle anomalie di Temperatura, B, NH3 e pCO2 è stata effettuata

anche nei campioni prelevati nelle aree oggetto di questo studio fornendo importanti informazioni. È possibile notare come il campione LV5, abbia un contenuto in B e di ammoniaca maggiore rispetto ad altri campioni nella stessa area, risultando anomalo, infatti è localizzato lungo il bordo del cratere del Lago di Vico. Le basse temperature delle acque campionate potrebbero essere il risultato di un mescolamento di acque di reservoir con acque fredde superficiali. Infatti non è stata osservata alcuna correlazione tra lo ione solfato e la temperatura, rafforzando così l’ipotesi che la bassa T delle acque è da attribuire a processi di mescolamento con acque superficiali fredde. Le anomalie di CO2, trattate

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distribuzione, probabilmente dovuta a sorgenti differenti, una più profonda ed una più superficiale.

• Le indagini termografiche telerilevate, presentano nell’area di Vico, dei massimi termici nei bordi occidentali e meridionali del cratere e nella porzione nord dell’area ed importanti allineamenti NW-SE con temperature più elevate localizzate nella parte meridionale dell’area. Nell’area di Piana del Diavolo, non si denota una marcata variabilità termica, ma esistono dei massimi termici nelle porzioni a NE e SW. Queste sono probabilmente delle aree anomale riscaldate da calore endogeno.

• Le acque campionate sono risultate immature, rendendo inutilizzabili i geotermometri proposti da Giggenbach Na/K e Na-K-Mg. La geotermometria della silice e il geotermometro K2/Mg sono d’accordo

nello stimare temperature massime di 100° solo nel campione LV5 e LV9 prelevati nell’area del Lago di Vico e 90°C nel campione PD3 nell’area di Piana del Diavolo.

• I geotermometri a gas CO2-N2-CH4 applicati su due campioni di gas

prelevati nell’area di Piana del Diavolo hanno permesso di stimare delle temperature comprese tra 130° e 170° ad una profondità di circa 2200m da p.c. in accordo con i pozzi già presenti nell’area come ad esempio: Marta 2 (177°C alla profondità di 2200m p.c.), Capodimonte 4 ( 210° C alla profondità di 1956m p.c.), Valentano (224°C alla profondità di 2400m p.c.).

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In conclusione, dallo studio statistico delle anomalie di B, PCO2 e NH3, eseguito

utilizzando anche dati pregressi, dall’elaborazione dei nuovi dati e dall’applicazione dei geotermometri, è stato possibile stimare le temperature dei fluidi che raggiungono valori massimi di 100°C nelle aree a sud del Lago di Vico e ad Ovest del Lago di Bolsena, e definire una zona idonea per un approfondito studio di fattibilità, localizzata a Nord del Lago di Vico, nei Monti Cimini e ad Ovest di Viterbo.

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Figura 12: Carta delle anomalie ottenuta considerando quei campioni con più di 2 anomalie.

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