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Trattamento chirurgico del cancro ovarico avanzato mediante resezione colorettale. Analisi delle strategie chirurgiche e dei risultati short-term

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Academic year: 2021

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INDICE

RIASSUNTO...Pag. 2

1. INTRODUZIONE …...Pag. 5

2. OBIETTIVI DELLO STUDIO ...Pag. 43

3. MATERIALI E METODI ...Pag. 44

4. RISULTATI ...Pag. 49

5. DISCUSSIONE ...Pag. 59

6. CONCLUSIONI ...Pag. 71

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RIASSUNTO

Il principale fattore che influenza la prognosi del carcinoma ovarico epiteliale in stadio avanzato è il residuo macroscopico di malattia dopo la chirurgia citoriduttiva. Lo scopo dell'intervento è quindi quello di ottenere la più estesa citoriduzione possibile.

Negli stadi avanzati del carcinoma ovarico il colon retto-sigmoideo risulta frequentemente coinvolto dalla malattia in seguito alla vicinanza anatomica delle strutture. In questi casi viene eseguita la resezione intestinale con anastomosi colo-rettale o in alternativa dalla creazione di una colostomia prossimale con affondamento del retto distale. Qualora venga eseguita la ricostruzione anastomotica è possibile proteggere l'anastomosi con un'ileostomia laterale.

Lo scopo di questa tesi è stato quello di analizzare l'impatto della chirugia retto-sigmoidea in una casistica retrospettiva di 43 pazienti con diagnosi di carcinoma ovarico primario o recidivo in stadio avanzato (FIGO IIIB, IIIC, IV). Le pazienti sono state trattate da una equipe di Ginecologi Oncologi e Chirurghi specializzati che collaborano da molto tempo. Oltre alle caratteristiche cliniche basali delle pazienti, al residuo di malattia ed ai dati istologici e stadiativi sono state prese in considerazione la mortalità e le complicanze perioperatorie, il numero delle pazienti che sono andate incontro a chiusura della stomia, il numero di giornate di degenza relative alla chirurgia intestinale e quello totale (cioè comprensivo delle giornate di degenza per la chiusura della stomia), i giorni totali di stomia e la sopravvivenza media in mesi dall'intervento. Le variabili d'interesse sono state analizzate in relazione al tipo di strategia chirurgica eseguita.

I risultati ottenuti mostrano che nelle pazienti con carcinoma ovarico avanzato è possibile ottenere una citoriduzione ottimale (<2 cm) in oltre il 76,74% dei casi. Non è stata

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riscontrata nessuna mortalità perioperatoria, e la morbilità è risultata accettabile, con una incidenza di complicanze chirurgiche del 7% ed una percentuale di reinterventi del 7%. La grande maggioranza delle pazienti sono andate incontro a chiusura della stomia. La sopravvivenza media attuale è di 40 mesi (range 3-140).

Le pazienti sottoposte a resezione retto-sigmoidea anteriore sono state 32 (74,42%). A parità di età, condizioni cliniche, residuo di malattia, tipo istologico e stadio tumorale, queste pazienti mostrano un numero di complicanze peri-operatorie sovrapponibile a quello delle pazienti che hanno eseguito resezione secondo Hartmann. La deiscenza dell'anastomosi con necessità di reintervento si è verificata in un solo caso. Anche il numero di giornate di ricovero dopo la chirurgia intestinale ed il numero di giorni di stomia sono risultati sovrapponibili nei due gruppi. Il numero totale di giornate di ricovero è invece significativamente inferiore nelle pazienti con resezione anteriore (18 vs 12 giorni, p<0.05).

Questo studio conferma pertanto il dato della letteratura secondo cui nelle pazienti con carcinoma ovarico avanzato è possibile ottenere una citoriduzione adeguata, migliorando di conseguenza la sopravvivenza, applicando le tecniche di resezione retto-sigmoidea. La procedura di resezione anteriore con anastomosi immediata è da preferire in quanto, a fronte di risultati analoghi in termini di residuo di malattia e con un numero comparabile di complicanze peri-operatorie, consente la ricostituzione immediata della continuità intestinale, con un notevole vantaggio per la qualità di vita della paziente. Inoltre, non necessitando nella maggior parte dei casi di un ricovero successivo per la chiusura della stomia, questo approccio consente di ridurre il numero totale delle giornate di ricovero,

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E' da sottolineare che il raggiungimento di un buon risultato dipende dalla specializzazione e dall'esperienza dell'equipe chirurgica.

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1. INTRODUZIONE

1.1 ANATOMIA

Le ovaie sono organi pari, situati sulla parete laterale del piccolo bacino. La loro forma ricorda quella di una mandorla, con l'asse verticale disposto su un piano pressoché sagittale.

Le loro dimensioni variano nel corso della vita. Nel periodo fertile la lunghezza dell'ovaio è di 3,5 cm, con una larghezza di 2 cm ed uno spessore di 1 cm. Nelle pluripare le dimensioni dell'ovaio sono maggiori rispetto alle nullipare; le dimensioni dell'organo sono ridotte inoltre nelle bambine prima del menarca e nell'età avanzata per sclerosi.

L'ovaio si sposta in maniera solidale con l'utero, e varia la sua posizione sia durante la gravidanza che in seguito a pregresse gravidanze. Nella sua posizione abituale l'ovaio è disposto in modo che la sua faccia laterale corrisponda ad una depressione della parete postero-laterale della piccola pelvi, la cosiddetta fossetta ovarica di Krause. I confini della fossetta sono delimitati dal profilo di organi extraperitoneali che sollevano il peritoneo: posteriormente l'uretere, anteriormente l'inserzione del legamento largo sulla parete laterale della pelvi, in alto i vasi iliaci esterni ed in basso dal tronco comune di origine dell'arteria ombelicale e uterina. La fossetta ovarica è situata 20-25mm al davanti dell'articolazione sacro-iliaca e 15mm al di sotto dello stretto superiore del bacino. Nelle multipare l'ovaio acquisisce una posizione più bassa e posteriore, occupando la fossetta sottoovarica di

Claudius, delimitata anteriormente dall'uretere, posteriormente dalla parete pelvica

posteriore ed in basso e medialmente dal legamento utero-sacrale. L'ovaio non è ricoperto dal peritoneo viscerale, ma da un epitelio particolare, il cosiddetto epitelio ovarico

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celomatica primitiva, analogamente al peritoneo. Sulla faccia interna o mediale dell'ovaio si trova una specie di tasca, la borsa ovarica, comunicante medialmente, posteriormente e lateralmente con la cavità peritoneale1.

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1.2 GENERALITA' DELLE NEOPLASIE OVARICHE

Le neoplasie primitive dell’ovaio si possono suddividere in epiteliali e non epiteliali. Le neoplasie epiteliali costituiscono il 75% di tutte le neoplasie ovariche, ed il 90% di quelle maligne. Le neoplasie non epiteliali costituiscono invece il 10% dei tumori maligni: si distinguono in neoplasie germinali, più frequenti in età infantile ed adolescenziale, e neoplasie stromali dei cordoni sessuali, che originano dallo stoma gonadico differenziato, più frequenti nelle donne adulte e spesso funzionali, ossia secernenti ormoni che possono dare precoci manifestazioni cliniche3.

Le neoplasie epiteliali si classificano in base al tipo cellulare in sierose, mucinose, endometrioidi, a cellule chiare, transizionali; gli aspetti architetturali, l'invasione dello stroma e l'aspetto nucleare consentono invece di distinguerle in neoplasie benigne, border-line, maligne.

1.3 EPIDEMIOLOGIA

Le neoplasie ovariche epiteliali maligne, ossia i “carcinomi’’, rappresentano il 30% dei tumori dell’apparato genitale femminile e si trovano al sesto posto tra le neoplasie più comuni. Il rischio di sviluppare una neoplasia ovarica nel corso della vita è in media di 1 donna su 75 nell’Europa Occidentale e 1 donna su 57 negli Stati Uniti. L' incidenza è più alta nelle regioni economicamente sviluppate (9.4 casi su 100.000 donne) rispetto ai paesi in via di sviluppo (5 casi ogni 100.000 donne). L’incidenza del carcinoma ovarico aumenta inoltre con l’aumentare dell’età, con un picco massimo tra i 50 ed i 60 anni ed una età mediana alla diagnosi di 63 anni. Nonostante sia una neoplasia relativamente poco frequente, il carcinoma ovarico, sia per la sua aggressività intrinseca che per la tardività

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nella diagnosi, costituisce la settima causa di morte per tumore nella donna, ed è la prima causa di morte per neoplasia ginecologica (incidenza 1.7%).

Per quanto riguarda l’Italia, secondo il registro AIOM (Associazione Italiana Oncologia Medica) una donna su 74 si ammala di carcinoma ovarico nell’arco della vita e, di queste, una su 104 muore a causa di questa neoplasia. La prevalenza negli ultimi decenni è rimasta circa del 2%, mentre la sopravvivenza a 5 anni è passata dal 38% nel periodo 1990-1994 al 41% nel periodo 2000-2004.

1.4 PATOGENESI

Per molto tempo la teoria patogenetica più accreditata è stata quella secondo la quale il carcinoma ovarico deriverebbe da modificazioni metaplastiche dell’epitelio sieroso di rivestimento dell’ovaio, ed i suoi diversi sottotipi istologici (sieroso, endometrioide, a cellule chiare, mucinoso, a cellule di transizione) originerebbero da successive modificazioni di queste cellule in senso metaplastico. Gli istotipi richiamano morfologicamente le strutture che originano dai dotti mülleriani: la forma sierosa richiama l’epitelio delle tube uterine, la forma endometriode l’epitelio endometriale, la forma mucinosa l’epitelio dell’endocervice, ed infine la variante a cellule di transizione l’epitelio delle vie urinarie4.

Secondo la teoria della “incessant ovulation’’ di Fathalla, il carcinoma ovarico trae invece origine dai processi riparativi delle microlesioni che si determinano a livello del rivestimento sieroso ad ogni ciclo ovarico in seguito alla deiscenza follicolare. Questa teoria spiegherebbe il motivo per cui la nulliparità, il menarca precoce e la menopausa tardiva sono associate ad un aumento del rischio di sviluppare il tumore ovarico: infatti, le probabilità che si verifichino delle mutazioni durante la riparazione delle cellule in seguito

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alla deiscenza follicolare è tanto maggiore quanto più elevato è il numero di ovulazioni nell’arco della vita5.

Successivamente è stata sottolineato il possibile ruolo patogenetico nella carcinogenesi ovarica dei processi infiammatori che si verificano durante l’ovulazione. Le citochine e chemochine (IL-1, IL-6, IL-8, TNF-alfa, ossido nitrico e prostaglandine) che intervengono nel processo di riparazione del tessuto possono infatti danneggiare il materiale genetico e condurre a modificazioni in senso neoplastico, coinvolgendo effettori cellulari come VEGF, NF-Kb, ossido nitrico sintetasi e ciclossigenasi 26.

Secondo un'altra ipotesi patogenetica il carcinoma ovarico avrebbe una origine extraovarica. Una conferma in tal senso è stata fornita dal riscontro di lesioni displastiche denominate dapprima “tubal intraephitelial carcinomas” e quindi “serous tubal intraephitelial carcinomas (STICs)”, molto simili a quelle di un carcinoma ovarico sieroso di alto grado, nelle tube di Falloppio di donne con predisposizione genetica allo sviluppo del tumore ovarico (mutazione del gene BRCA)7.

L'origine extra-ovarica del carcinoma dell'ovaio può essere confermata anche per gli altri istotipi.

Le neoplasie endometriodi e quelle a cellule chiare si sviluppano da cisti endometriosiche (endometriomi) che si associano spesso ad altri impianti di endometriosi nell'ambito della pelvi8.

L'origine dei tumori mucinosi è più difficile da interpretare in quanto queste neoplasie non mostrano un fenotipo müllerano. E' stata descritta un'associazione tra i tumori mucinosi ed i tumori di Brenner (a cellule di transizione): in entrambi si possono ritrovare infatti le

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tumori di Brenner possano entrambe originare, tramite un processo di metaplasia, da nidi di cellule di transizione localizzati a livello della giunzione tubo-peritoneale9.

1.5 FATTORI DI RISCHIO E FATTORI PROTETTIVI

I fattori di rischio possono essere classificati in endocrini, ambientali, e familiari e genetici.

FATTORI ENDOCRINI

Il rischio di sviluppare il carcinoma ovarico è direttamente proporzionale all'età ovulatoria della donna. Multiparità e contraccettivi estroprogestinici rappresentano fattori protettivi. L'uso della pillola per più di 5 anni riduce il rischio di tumore del 40-50%, e questo effetto protettivo persiste per 10-15 anni. Gli studi condotti hanno dimostrato che il progesterone esercita un effetto protettivo in quanto promuove l'apoptosi delle cellule epiteliali, sia attraverso la modulazione delle varie isoforme del TGF-beta che attraverso l'attivazione del sistema Fast/FastL10-12. Gli estrogeni invece ridurrebbero l'apoptosi attraverso una up-regulation del gene Bcl-2, uno dei principali fattori anti-apoptotici13.

FATTORI AMBIENTALI

Studi recenti hanno identificato il possibile ruolo protettivo di un'alimentazione ricca di acidi grassi polinsaturi omega3 e omega6, sopratutto nei confronti dello sviluppo di forme endometrioidi. Al contrario un'alimentazione ricca di acidi grassi saturi potrebbe aumentare il rischio di sviluppo della neoplasia14.

Alcool, fumo ed esposizione all'asbesto non sembrano rappresentare fattori di rischio.

FATTORI GENETICI

La maggior parte delle neoplasie epiteliali dell'ovaio è sporadica, tuttavia nel 5-10% dei casi è riconoscibile una trasmissione ereditaria. Gli elementi che orientano verso una possibile ereditarietà sono l'insorgenza del tumore in più componenti della famiglia, la

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precoce età d'insorgenza e la bilateralità. Indirizzano inoltre verso una possibile sindrome ereditaria la presenza di altri tumori nello stesso soggetto (mammella, colon, endometrio) ed il fatto che più parenti abbiano presentato il tumore della mammella o dell'ovaio in premenopausa.

Le sindromi genetiche caratterizzate dalla presenza di carcinoma ovarico ereditario sono: • la Breast-ovarian Cancer Syndrome, correlata ad una mutazione dei geni

oncosoppressori BRCA1(17q) e BRCA2(12q), che codificano per proteine appartenenti al sistema di riparazione del DNA. La loro mutazione viene trasmessa in modo autosomico dominante e determina un deficit nella via di ricombinazione omologa (HR). Le donne con mutazione di BRCA1 hanno un rischio del 75-85% di sviluppare la neoplasia, sia ovarica che mammaria. Questa mutazione comporta inoltre un aumento di rischio per lo sviluppo di melanoma, carcinoma pancreatico e sottotipo B dell'anemia di Fanconi15.

la Site Ovarian Cancer Syndrome, anch'essa dovuta ad una mutazione dei geni BRCA1/2, ma molto meno frequente rispetto alla precedente

la sindrome di Lynch 2 (HNPCC), caratterizzata da mutazioni dei geni del Mismatch Repair System (MMR), che codificano per enzimi coinvolti nella riparazione del DNA. E' meno frequente rispetto alla Breast-Ovarian Cancer Syndrome, ed include carcinoma del colon non associato a poliposi, carcinoma endometriale, ovarico, gastrico e mammario.

la sindrome di Li-Fraumeni, responsabile di un numero esiguo di carcinomi dell'ovaio ereditari. Questa sindrome è caratterizzata dalla trasmissione ereditaria di una mutazione nel gene p53, detto anche ''guardiano del genoma''.

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Ci sono tuttavia alcuni clusters familiari di carcinomi ovarici in cui non può essere identificata nessuna delle mutazioni descritte, anche dopo aver effettuato un test genetico completo ed accurato. Le ragioni possono essere varie: una mutazione in un gene non ancora conosciuto, mutazioni multiple in un gene a bassa penetranza oppure una mutazione non del gene ma dei suoi oncoregolatori.

1.6 ISTOPATOLOGIA

Secondo la World Health Organization (WHO) i tumori epiteliali dell'ovaio si classificano secondo l'istotipo principale in neoplasie sierose, mucinose, endometriodi, a cellule chiare, a cellule di transizione, indifferenziate e miste. Per ogni sottotipo si distinguono poi, in base all'architettura del tumore, alla presenza di invasione dello stroma e a seconda delle caratteristiche dei nuclei cellulari, tumori con caratteri di benignità (cistoadenomi), con caratteri di malignità (cistoadenosarcomi) e con caratteristiche intermedie (tumori borderline o tumori proliferativi atipici).

A seconda del grado di differenziazione istologica i tumori maligni si suddividono inoltre in ben differenziati (G1), moderatamente differenziati (G2), scarsamente differenziati (G3). I sistemi di grading più comunemente utilizzati sono quello proposto dalla FIGO (International Federation of Gynecology and Obstaetrics), quello proposto dalla WHO e quello proposto dal GOG (Gynaecologic Oncology Group)16. Secondo il sistema FIGO i tumori vengono classificati in base al rapporto tra la quantità di tessuto con aspetto ghiandolare e papillare e la quantità di tessuto solido all'interno della neoplasia: i tumori con una componente solida <5% sono considerati di grado 1, quelli con una componente solida compresa tra 5 e 50% sono considerati di grado 2 ed infine i tumori con componente solida >50% sono considerati di grado 3.

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Sulla base delle nuove teorie patogenetiche e di studi morfologici e di biologia molecolare è stato proposto un modello dualistico della carcinogenesi ovarica secondo il quale i differenti istotipi delle neoplasie epiteliali maligne vengono raggruppati in tumori di tipo 1 e tumori di tipo 2 a seconda delle loro caratteristiche clinico-patologiche e molecolari17.I tumori di tipo 1 costituiscono il 25% circa dei tumori, e comprendono il carcinoma sieroso di basso grado, il carcinoma endometriode di basso grado, il carcinoma a cellule chiare, il carcinoma mucinoso ed il tumore di Brenner. I tumori di questo gruppo sono i meno aggressivi, vengono diagnosticati più frequentemente in stadi iniziali ed hanno di conseguenza una prognosi migliore. Si ritiene che gruppo di tumori riconoscano una cancerogenesi multistep simile a quella del carcinoma del colon-retto, per cui un cistoadenoma si trasforma in un cistoadenoma borderline e quindi in un cistoadenocarcinoma di basso grado.

I tumori di tipo 2 comprendendo i carcinomi sierosi di alto grado, i carcinomi endometriodi di alto grado ed i carcinomi indifferenziati. Costituiscono il 75% dei casi. Si presentano generalmente in stadi avanzati, sono molto più aggressivi dei tumori di tipo 1, hanno una crescita rapida ed una prognosi infausta18. Vista la loro differenza di comportamento, è difficile identificare tecniche di diagnosi precoce che possano essere utilizzate indistintamente per i diversi tipi di tumori. Infatti, mentre una visita ginecologica ed una ecografia pelvica potrebbero consentire una diagnosi precoce delle neoplasie di tipo 1, a crescita lenta e unilaterali, esse non sono utili per una diagnosi precoce delle neoplasie di tipo 2 le quali, a motivo della loro aggressività, si estendono precocemente e rapidamente al di fuori dell'ovaio.

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1.7 CLINICA

La sintomatologia è vaga e aspecifica, per cui nella maggioranza dei casi la diagnosi viene fatta negli stadi avanzati di malattia. I sintomi, spesso presenti già 3-6 mesi prima della diagnosi, possono essere riferiti all'apparato gastrointestinale (dispepsia, eruttazione, sazietà precoce, nausea, vomito, costipazione) o urinario (urgenza urinaria e aumento della frequenza delle minzioni); possono essere presenti dolore e gonfiore addominale, anoressia ed astenia. Quando queste manifestazioni si presentano da meno di un anno e per più di 12 volte al mese, deve essere presa in considerazione la possibilità di un carcinoma ovarico19. La distensione addominale è dovuta alla presenza di ascite, determinata dalla produzione da parte della neoplasia del fattore di crescita dell'endotelio (vascular endothelial growth factor, VEFG), che stimola l'angiogenesi ed aumenta la permeabilità vascolare, favorendo la diffusione intraperitoneale del tumore20.

L'aumento del volume addominale può causare difficoltà respiratorie, limitando le escursioni respiratorie toraciche. In caso di dispnea bisogna escludere la presenza di un versamento pleurico, che può essere dovuto sia all'ostruzione della rete di drenaggio linfatico da parte di noduli di carcinosi diaframmatica, sia al passaggio di cellule neoplastiche dalla cavità peritoneale a quella pleurica tramite comunicazioni transdiaframmatiche21.

Talora la prima manifestazione clinica può essere dovuta a fenomeni occlusivi da carcinosi peritoneale, la quale può determinare compressione/occlusione di tratti intestinali oppure ileo paralitico o adinamico per blocco della peristalsi22.

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1.8 SCREENING

L'elevata mortalità del carcinoma ovarico è dovuta, nella maggior parte dei casi, ad una diagnosi tardiva. Al momento non esistono test con sensibilità e specificità tali da consentire una diagnosi precoce per cui non vi è indicazione ad uno screening per il carcinoma ovarico nella popolazione generale23.

I programmi di screening rivestono invece un ruolo importante nelle pazienti ad elevato rischio di sviluppare la neoplasia, come nei casi di familiarità. Le linee guida del National Comprehensive Cancer Network (NCCL) raccomandano una ecografia transvaginale ed il dosaggio del Ca125 ogni sei mesi a partire dai 35 anni. In queste pazienti è stato proposto come test di screening l'OVALiFE test che comprende il dosaggio di sei biomarcatori: leptina, prolattina, osteopontina, IGF2, fattore inibitorio dei macrofagi e Ca125. Questo test ha una sensibilità ed una specificità molto superiori rispetto al dosaggio del solo Ca125 nella diagnosi differenziale del carcinoma ovarico24.

1.9 DIAGNOSI

La diagnosi di certezza è chirurgica. L'intervento chirurgico permette l'asportazione della massa ovarica che viene inviata all'anatomo-patologo per la diagnosi istologica definitiva, e consente inoltre di eseguire la stadiazione della neoplasia.

In presenza di manifestazioni cliniche sospette per una neoplasia ovarica, dopo un'accurata raccolta dei dati anamnestici (età, storia clinica, anamnesi ostetrica-ginecologica) vengono effettuate una serie di indagini che permettono di orientare verso la diagnosi di carcinoma e quindi di programmare la strategia terapeutica.

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Esame obiettivo

Una massa è considerata sospetta quando presenta diametro superiore a 5 cm, è fissa, irregolare, di consistenza solida o semisolida e quando coinvolge entrambe le ovaie. L'esame pelvico deve essere accompagnato ad un esame obiettivo generale, che permette di individuare la presenza di ascite, di metastasi linfonodali superficiali, di versamento pleurico e di edema agli arti inferiori.

Anche l'età avanzata della paziente è un elemento orientativo di malignità.

Diagnosi strumentale

In considerazione della bassa invasività, diffusa disponibilità ed ai bassi costi l'ecografia transvaginale e transaddominale è la metodica di scelta iniziale nella valutazione della massa pelvica.

Gli aspetti ecografici orientativi di malignità sono:

• massa solida o solido-cistica, di forma irregolare, con margini mal definiti e con setti spessi e papille al suo interno

• dimensioni >5 cm.

L'uso del color-doppler permette di visualizzare la vascolarizzazione della massa: una vascolarizzazione anarchica e localizzata all'interno dei setti e delle strutture papillari è sospetta per malignità.

Neoformazioni di dimensioni inferiori ai 5 cm, cistiche, rotondeggianti, con margini regolari e con vascolarizzazione regolare e periferica orientano invece verso una diagnosi di benignità25.

La TC e la RMN permettono di definire più dettagliatamente le caratteristiche della massa e la sua estensione: tali aspetti sono importanti nella programmazione dell'intervento chirurgico26. Esami endoscopici come la rettoscopia, la cistoscopia o la gastroscopia sono

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raccomandati quando si sospetta una infiltrazione degli organi contigui o una secondarietà della lesione ovarica (tumore di Krugenberg).

Markers tumorali

Il Ca125, si tratta di una glicoproteina prodotta dalle sierose. Nell'80% dei carcinomi ovarici non mucinosi si riscontra una sua concentrazione plasmatica >35 U/mL. La sensibilità di questo marcatore è superiore al 90% ma la sua specificità è del 70%. L'aumento del Ca125 infatti non è sempre associato alla presenza del tumore ovarico: un suo aumento può riscontrarsi in condizioni non neoplastiche (malattia infiammatoria pelvica, endometriosi o salpingite) o in altre neoplasie ginecologiche (endometrio o salpingi) e non ginecologiche (neoplasie del pancreas, del colon-retto o del polmone). L'impiego del Ca125 all'interno di uno score, il cosiddetto Risk of Malignancy Index (RMI), che comprende anche la valutazione dello stato menopausale (1 se premenopausa, 3 se menopausa) e del risultato dell'ecografia transvaginale (punteggio da 0 a 3) consente di incrementare in maniera significativa l'accuratezza diagnostica di questo marcatore. Per un valore di cut-off di Ca 125 pari a 200 U/L, si può raggiungere infatti una specificità del 94.4% ed una sensibilità dell'81.5% ai fini della diagnosi di patologia ovarica maligna27.

He4 è una proteina identificata nel secreto spermatico, espressa dai tumori ovarici, con

sensibilità e specificità superiori al Ca125, sopratutto negli stadi iniziali di malattia28. Un sistema di scoring denominato ROMA (Risk Ovarian Malignancy Algorithm) associa il dosaggio di Ca125 e He4 con lo stato menopausale. Valori del test ROMA superiori al 13% in premenopausa e al 27% in postmenopausa indicano un alto rischio di carcinoma ovarico29.

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1.10 STADIAZIONE

La stadiazione si basa sui reperti chirurgici. Secondo quanto previsto dalla FIGO (Tabella

1) per una corretta stadiazione30.

Le pazienti devono essere sottoposte alle seguenti procedure:

• citologia del liquido di lavaggio peritoneale o del liquido ascitico • isterectomia totale extra-fasciale

• annessiectomia bilaterale • omentectomia

• biopsie peritoneali multiple • appendicectomia

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Tabella 1: stadiazione FIGO del carcinoma ovarico (1988)

STADIO I Tumore limitato alle gonadi

IA Tumore limitato ad un ovaio. Capsula integra.

Assenza di cellule tumorali sulla superficie dell’ovaio e nel liquido contenuto nell’addome

(ascite o liquido di lavaggio peritoneale).

IB Tumore limitato ad entrambe le ovaie. Capsula

integra. Assenza di cellule tumorali sulla superficie dell’ovaio e nel liquido contenuto all’interno

dell’addome (ascite o liquido di lavaggio peritoneale).

IC Tumore limitato a un ovaio o a entrambe le ovaie.

Capsula non integra o presenza di cellule tumorali in ascite o nel liquido di lavaggio peritoneale

STADIO II Il tumore coinvolge una o entrambe le ovaie con

estensione pelvica

IIA Estensione e/o impianto sull’utero e/o sulla tuba (e)

IIB Estensione e/o impianto su altri tessuti pelvici.

Nessuna cellula maligna in ascite o nei lavaggi peritoneali.

IIC Estensione pelvica e/o impianto (T2a o T2b) con

cellule maligne in ascite o nei lavaggi peritoneali

STADIO III Il tumore coinvolge una o entrambe le ovaie con

metastasi peritoneali confermate microscopicamente esterne alla pelvi e/o metastasi ai linfonodi regionali

IIIA Metastasi peritoneali microscopiche oltre la pelvi

IIIB Metastasi peritoneali macroscopiche oltre la pelvi

minori o uguali a 2cm e/o metastasi ai linfonodi regionali

IIIC metastasi peritoneali oltre la pelvi con dimensione

superiore a 2 cm e/o metastasi ai linfonodi regionali

STADIO IV Metastasi a distanza

NOTE Metastasi sulla cupola epatica=stadio III

Metastasi del parenchima epatico=stadioIV Il versamento pleurico deve avere una citologia

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1.11 STORIA NATURALE

Il carcinoma ovarico diffonde principalmente per via intraperitoneale. Le cellule neoplastiche si sfaldano dalla superficie del tumore e cadono nella cavità peritoneale dove per gravità tendono a depositarsi nel punto più declive, il cavo del Douglas. Il liquido peritoneale si sposta nella cavità addominale in conseguenza delle variazioni pressorie dovute ai movimenti respiratori ed alla peristalsi, trasportando all'interno della cavità addominale le cellule neoplastiche, che possono così impiantarsi in varie sedi: a livello del peritoneo, in particolare in corrispondenza della doccia paracolica destra che costituisce la comunicazione principale tra lo spazio sovra- e sottomesocolico, ed a livello dell'omento e della superficie peritoneale del diaframma, da cui attraverso i vasi linfatici possono localizzarsi in sede pleurica. La diffusione per via linfatica segue le due principali vie di drenaggio linfatico retroperitoneale, che sono il peduncolo gonadico ed il peduncolo iliaco esterno. Il peduncolo gonadico segue i vasi ovarici e raggiunge a destra i linfonodi pre- e paracavali e gli intercavoaortici a livello di L1-L2, a sinistra i linfonodi pre- e lateroaortici. Il peduncolo iliaco esterno drena invece verso i linfonodi iliaci esterni, da qui ai linfonodi iliaci comuni e successivamente ai linfonodi aortici. I linfonodi iliaci esterni, iliaci comuni e lomboaortici sono considerati linfonodi regionali, e sono coinvolti nel 70% dei casi negli stadi avanzati e nel 5-24% dei casi negli stadi iniziali. I linfonodi inguinali sono coinvolti raramente, o per via retrograda dai linfonodi iliaci esterni, o per via diretta attraverso i vasi linfatici localizzati nel ligamento inguinale31.

La diffusione per via ematica è più rara e di solito riguarda le pazienti in età avanzata. Le sedi più frequenti sono rappresentate dal fegato e dai polmoni; più rare le localizzazioni ossee e cerebrali. Il 60% delle pazienti muore per occlusione intestinale, il 30% per cachessia ed il restante 10% per ostruzione e sepsi urinaria o per metastasi a distanza31.

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1.12 PROGNOSI

La prognosi del carcinoma ovarico è infausta sia per la tardività della diagnosi che per l'aggressività intrinseca del tumore, con una percentuale di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi che non supera il 40%.

I fattori che influenzano la prognosi sono:

• lo stadio. Secondo i dati dell'Annual Report n°26, la sopravvivenza a 5 anni per lo stadio IA è 89.5% e decresce progressivamente fino a 32.5% nello stadio IIIC e 18.6% nello stadio IV (Tabella 2)

• il tipo istologico. La prognosi migliore è quella dei tumori mucinosi, la peggiore quella dei tumori indifferenziati e a cellule chiare (Tabella 3)

• il grado istologico. Più alto è il grado peggiore è la prognosi. Secondo l'Annual Report n°26 la sopravvivenza a 5 anni delle pazienti con malattia in stadio I-II è del 90.3% per il grado G1, 79.7% per il grado G2 e 75% per il grado G3, con un rischio relativo di morte per G3 circa il doppio rispetto al G1.

• l'età. La prognosi peggiora all'aumentare dell'età. L'età non sembra un fattore prognostico indipendente, in quanto le pazienti sopra i 65 anni si presentano più spesso con malattia in fase avanzata, ed inoltre spesso vanno incontro ad una citoriduzione non ottimale a causa della presenza di comorbidità e della maggior frequenza di complicanze.

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Sulla base della malattia residua dopo la chirurgia, si possono identificare diverse categorie:

1. malattia residua assente 2. malattia residua microscopica 3. malattia residua inferiore ad 1 cm 4. malattia residua superiore ad 1 cm

La sopravvivenza mediana delle donne con citoriduzione ottimale è di 45 mesi, quella di donne con citoriduzione subottimale (malattia residua inferiore ad 1 cm) è di 32 mesi e quella di donne con malattia residua macroscopica (superiore ad 1 cm) è di 26 mesi. E' raccomandato quindi il massimo sforzo chirurgico per portare la malattia residua a zero, considerando che ogni aumento del 10% delle citoriduzioni ottimali in una struttura permette di aumentare del 5.5% la mediana di sopravvivenza delle donne trattate presso quel centro32.

Tabella 2: sopravvivenza a 5 anni del carcinoma ovarico secondo lo stadio FIGO

STADIO PAZIENTI (N) SOPRAVVIVENZA (%)

IA 632 89,6 IB 69 86,1 IC 663 83,4 IIA 72 70,7 IIB 93 95,5 IIC 241 74,1 IIIA 128 46,7 IIIB 271 41,5 IIIC 2030 32,5 IV 626 18,6

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Tabella 3: sopravvivenza a 5 anni nel carcinoma ovarico in base al tipo istologico (per tutti gli stadi)

ISTOLOGIA PAZIENTI (N) SOPRAVVIVENZA (%)

SIEROSO 2653 41 MUCINOSO 579 65,4 ENDOMETROIDE 774 64,8 CELLULE CHIARE 409 63,6 INDIFFERENZIATO 259 36,3 MISTO 259 55 1.13 TERAPIA

Generalità terapia chirurgica

La chirurgia ha un ruolo fondamentale nel trattamento del carcinoma ovarico, sia dal punto di vista diagnostico, in quanto permette la caratterizzazione istopatologica della massa, che terapeutico e stadiativo, in quanto consente di asportare la massa e valutare l'estensione della malattia.

Stadiazione e citoriduzione primaria

L'intervento chirurgico per una massa ovarica sospetta viene eseguito in via laparotomica. Durante l'intervento si preleva un campione del liquido peritoneale oppure si esegue un lavaggio peritoneale (minimo 250 ml), quindi si procede all'asportazione della neoformazione, evitandone la rottura o lo spillage, e all'invio della massa alla diagnosi istopatologica. Se la diagnosi è di neoplasia maligna, si procede alla stadiazione chirurgica intensiva.

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Stadi iniziali

Negli stadi iniziali (Ia, IIa) la chirurgia prevede l'asportazione dell'apparato genitale e la valutazione dell'estensione della malattia.

Le procedure chirurgiche di stadiazione prevedono33.

• ovarosalpingectomia controlaterale e isterectomia extrafasciale

• esplorazione della cavità addomino-pelvica con biopsie di eventuali lesioni sospette e di briglie aderenziali. In assenza di lesioni sospette visibili, si eseguono biopsie random nelle aree a maggior rischio di localizzazione di malattia: cavo del Douglas, peritoneo prevescicale, docce parietocoliche, peritoneo diaframmatico e radice del mesentere

• omentectomia: totale se ci sono lesioni sospette, infracolica se l'omento è macroscopicamente indenne

• appendicectomia, sopratutto se è coinvolta o se l'esame estemporaneo della massa è indicativo di una neoplasia mucinosa

• linfadenectomia pelvica e lomboaortica.

• sampling linfonodale, con asportazione dei linfonodi palpabili (alternativa a linfadenectomia)

La linfadectomia sistematica tuttavia consente di evidenziare un numero maggiore di metastasi linfonodali rispetto al sampling (22% versus 9%). Questa procedura consente una più corretta stadiazione, in quanto in presenza di metastasi linfonodali il tumore non è più considerato in stadio iniziale bensì in stadio IIC, ma non si riflette in un aumento significativo della sopravvivenza libera da malattia e della sopravvivenza globale. Il rischio di metastasi linfonodali è correlato all'istotipo ed al grado, per questo è consigliabile

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eseguire una linfadenectomia sistematica in presenza di tumori sierosi ed indifferenziati oppure di grado 334.

Non ci sono al momento evidenze che consentano di raccomandare l'utilizzo dell'approccio laparoscopico negli stadi iniziali dei tumori ovarici. Alcuni autori hanno evidenziato una prognosi peggiore nelle pazienti trattate per via laparoscopica, in parte per una maggiore incidenza di rottura della capsula neoplastica35.

Pazienti giovani che, non avendo ancora avuto figli, desiderano una gravidanza, se correttamente informate e fortemente motivate e disposte a sottoporsi a visite di controllo ravvicinate, possono essere sottoposte ad un intervento di “fertility-sparing” che prevede: annessiectomia monolaterale, accurata esplorazione dell'ovaio residuo, isteroscopia con biopsie endometriali o esame frazionato della cavità uterina, lavaggio peritoneale, biopsie peritoneali e linfoadenectomia pelvica e lombo-aortica almeno monolaterale36.

Stadi Avanzati (IIB-IV)

L'obiettivo in questi casi è l'asportazione di tutta la massa tumorale presente in addome, fino al raggiungimento di un ''debulking'' ottimale.

Il trattamento per i tumori in stadio avanzato è rappresentato dalla chirurgia citoriduttiva primaria seguita dalla chemioterapia a base di taxolo/platino37.

L'entità della citoriduzione influenza sia la sopravvivenza globale sia la sopravvivenza libera da malattia: ogni aumento del 10% nella citoriduzione determina un incremento del 5,5% nella mediana di sopravvivenza in donne con neoplasia in stadio III-IV FIGO32.

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Per ottenere una malattia residua macroscopicamente assente in questi stadi vengono impiegate, in aggiunta a quelle già descritte per gli stadi iniziali, procedure chirurgiche invasive:

• isterectomia retrograda secondo Hudson-Dalle Piane, nel caso in cui la neoplasia infiltri il setto retto-vaginale ed il cavo del Douglas. La caratteristica di questo tipo di intervento è l'approccio retroperitoneale che consente di intervenire nei casi di ''pelvi congelata'', quando cioè il tumore fissa saldamente l'utero e le masse ovariche al Douglas ed al retto, che può essere infiltrato. Questa tecnica consente l'asportazione ''en bloc'' di utero, annessi, peritoneo del Douglas e retto qualora infiltrato, senza l'apertura del peritoneo, riducendo così il rischio di lesioni della vescica e degli ureteri e consentendo un migliore accesso ai vasi.

• perinectomia diaframmatica. Il diaframma negli stadi avanzati è coinvolto nel 40% dei casi38.

• omentectomia radicale gastrocolica • splenectomia

• resezioni ileali

• emicolectomia destra o sinistra • peritonectomie distrettuali

• resezioni epatiche, resezioni della porzione distale del pancreas e resezioni gastriche

• asportazione dei linfonodi ''bulky'' o sampling linfonodale.

Negli stadi avanzati il ruolo della linfadenectomia sistematica e lomboaortica non è molto chiaro. In uno studio del 2005 è stata analizzata la sopravvivenza globale e l'intervallo

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libero da malattia in pazienti con carcinoma ovarico in stadio IIIB-C FIGO, sottoposte ad intervento di citoriduzione con tumore residuo ≤1cm e randomizzate a linfadenectomia sistematica versus resezione dei linfonodi ''bulky''39. L'intervallo libero di malattia era superiore nelle pazienti sottoposte a linfadenectomia sistematica rispetto a quelle sottoposte a sampling linfonodale ma la sopravvivenza globale era sovrapponibile nei due gruppi; le pazienti sottoposte a linfadenectomia pelvica e lomboaortica presentavano inoltre un maggior numero di complicanze post-operatorie. In questo studio non veniva presa in considerazione la sopravvivenza nel sottogruppo di pazienti con malattia residua macroscopicamente assente. Chang e coll. hanno dimostrato un aumento della sopravvivenza correlato alla malattia residua dopo la chirurgia in donne con carcinoma ovarico in stadio IIIC sottoposte, durante la citoriduzione primaria, a linfoadenectomia sistematica40. La linfoadenectomia sistematica era associata ad un aumento della sopravvivenza globale se la malattia residua era =0 o <1cm; non si osservava un aumento di sopravvivenza se la malattia residua era >1cm. Il vantaggio terapeutico della linfoadenectomia sistemica rispetto al sampling potrà essere più chiaro una volta ottenuti i risultati di uno studio multicentrico internazionale randomizzato attualmente in corso (AGO-LION).

Indipendentemente dalle procedure seguite il risultato che la chirurgia si deve proporre è l'asportazione di tutta la massa tumorale presente in addome. La malattia residua è un fattore critico per la sopravvivenza globale ed è indipendente dalle procedure chirurgiche radicali effettuate per raggiungere un residuo tumorale pari a 041. Localizzazioni particolari della malattia (interessamento dell'ilo epatico, numerose metastasi intraparenchimali epatiche, infiltrazione massiva del mesentere), un basso performance status ed un

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punteggio ASA (American Society of Anesthesiology) elevato sono elementi che ostacolano il raggiungimento di questo obiettivo.

In tabella 4 sono riassunte le linee guida per le resezioni digestive ed intestinali in caso di carcinoma ovarico secondo l'esperienza Colombo42: esse sottolineano il ruolo della chirurgia intestinale per il raggiungimento di un residuo ottimale, la necessità della resezione del retto-sigma con anastomosi primaria per ottenere una eviscerazione pelvica completa, la parsimonia con cui dovrebbe essere effettuata un'ileostomia di protezione e l'importanza dell'esperienza del chirurgo come fattore fondamentale per ridurre l'insorgenza delle complicanze.

Tabella.4: Linee guida riguardo resezioni intestinali nel tumore ovarico avanzato (Colombo P.E.et al.) 42

1) Can confer a survival advantage for patience with advanced ovarian cancer if optimal RD can be obtained at the end of surgery.

2) Posterior pelvic exenteration is frequently needed to remove pelvic disease, and colorectal anastomosis should be performed on soft tissue.

3) Temporary colostomy should be performed in particoular cases only and definitive colostomy should be avoided.

4) Should be economical:large resection such as total colectomy or extended small bowel resection with high functional consequences should only be performed in rare cases.

5) Should be performed by an experienced surgical team with low morbidity and low fistula rate. 6) Should not delay the start of chemiotherapy and should not impair patient's quality of life.

CHIRURGIA D'INTERVALLO

La chirurgia citoriduttiva è considerata il trattamento standard per il carcinoma ovarico. Non sempre tuttavia è possibile ottenere in prima istanza una citoriduzione ottimale, ad esempio nei casi in cui la malattia è particolarmente estesa (FIGO IV) o interessa sedi non

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resecabili. Anche una compromissione delle condizioni generali controindica l'esecuzione di un intervento chirurgico di citoriduzione. La chemioterapia neoadiuvante, il cui obiettivo è quello di ridurre le dimensioni della massa neoplastica e la sua diffusione, seguita dalla chirurgia dopo 3 cicli di trattamento, può rappresentare una valida alternativa in questi casi43.

Second look chirurgico

Questo tipo di procedura chirurgica viene effettuata in pazienti con malattia residua dopo la chirurgia primaria e che successivamente sono state sottoposte a chemioterapia di prima linea con risposta clinica oggettiva. L'obiettivo è quello di rivalutare la malattia, asportarla in caso di risposta parziale alla chemioterapia e di intervenire su eventuali recidive. L'approccio può essere sia per via laparoscopica che laparotomica e le procedure sono le stesse della citoriduzione primaria. L'asportazione del residuo tumorale macroscopico con il raggiungimento di una malattia residua uguale a 0 aumenta le probabilità di sopravvivenza44.

Tuttavia negli ultimi 10 anni il ricorso a questo tipo di intervento è notevolmente diminuito a causa della dimostrazione dei suoi limitati benefici clinici45.

1.14 PROCEDURA CHIRURGICA NEL TUMORE IN STADIO AVANZATO VALUTAZIONE E PREPARAZIONE PRE-OPERATORIA

La diagnosi del carcinoma ovarico in stadio avanzato è tardiva ed è di solito per esclusione. Il quadro clinico è caratterizzato da ascite, dolore addominale ed una massa palpabile in sede pelvica. Le patologie che entrano in diagnosi differenziale sono quelle dei quadranti addominali superiori, come il carcinoma gastrico occulto.

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Le pazienti in fase pre-operatoria vengono sottoposte ad un esame clinico completo ed a tutti gli esami bioumorali di routine, radiografia del torace e TC addomino-pelvica. Inoltre è raccomandata una mammografia standard ed un esame colonscopico di screening quando è possibile.

La TC addomino-pelvica è fondamentale per la sua elevata sensibilità nel rilevare le metastasi epatiche occulte e per valutare l’estensione retro-peritoneale del tumore a livello dell’asse celiaco, che può costituire una controindicazione alla chirurgia citoriduttiva primaria. La TC permette inoltre di stimare l’estensione della malattia a livello dello spazio retto-vaginale e retto-uterino: l’estensione della malattia a questo livello non è una controindicazione alla chirurgia citoriduttiva, ma prevede una tecnica chirurgica più aggressiva con una resezione in blocco dei visceri intraperitoneali e di parte del retto extraperitoneale46. Può essere presente anche un’ostruzione ureterale, che può essere dovuta sia all’infiltrazione diretta da parte del tumore che ad una compressione ab estrinseco: in questi casi può essere necessario il cateterismo ureterale pre-operatorio. Le pazienti in questa fase devono essere informate circa la possibilità di essere sottoposte a resezioni gastrointestinali, omentectomia e resezione di masse retro-peritoneali al fine di ottenere una citoriduzione con un residuo il più possibile prossimo allo zero. Deve inoltre essere fornita una adeguata informazione circa i rischi pur minimi di questa chirurgia, e di come una citoriduzione completa influisca positivamente sulla prognosi.

La preparazione intestinale prevede una preparazione meccanica ed antibiotica dell’intestino, nel caso che debba essere effettuata una resezione del colon retto-sigmoideo asportandolo in blocco con il tumore ovarico, come richiesto in 1/3 circa delle pazienti con carcinoma ovarico in stato avanzato46. Nel caso in cui sia presente una occlusione intestinale possono essere indicate una catarsi delicata e una dieta liquida prolungata.

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Fig.2: Immagine TC di massa pelvica.

TECNICA CHIRURGICA

Come detto in precedenza, il carcinoma ovarico viene nella maggior parte dei casi diagnosticato in uno stadio avanzato, e gli organi pelvici come utero, retto e le altre strutture intraperitoneali sono frequentemente coinvolti dalla malattia.

Nel caso in cui siano presenti impianti sulla sierosa intestinale si può ottenere una riduzione neoplastica adeguata mediante asportazione dei noduli tumorali limitata agli strati parietali più esterni (shaving resection) o estesa a tutto lo spessore della parete (wedge resection). L’applicazione delle suddette procedure spesso è però limitata dall’estensione della malattia all’intestino, per cui per ottenere un’efficace citoriduzione neoplastica si richiede frequentemente una resezione del retto-sigma in associazione alla chirurgia primaria.

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La chirurgia primaria del carcinoma ovarico avanzato consiste nella resezione in blocco di utero, ovaie e tube (eviscerazione pelvica posteriore modificata secondo Hudson Delle Piane)47-50. Tale intervento comprende tre diverse varianti. La procedura tipo I consiste in un’isterectomia radicale retrograda con resezione in blocco degli annessi, del tumore incluso nel cul-de sac pelvico e del peritoneo pelvico coinvolto. La procedura può essere modificata per includere la rimozione del residuo della cervice se l’utero era stato precedentemente rimosso, oppure dell’apice vaginale se utero e cervice uterina erano stati asportati insieme. A seconda dell'estensione della malattia la procedura può includere l’asportazione del peritoneo, della sierosa anteriore o entrambi, del colon sigma anteriore, oppure si può asportare a tutto spessore il nodulo della parete anteriore del rettosigma con una wedge-shaped resection. La variante tipo II dell’intervento viene eseguita in caso di interessamento esteso del rettosigma. Tale variante consiste nella combinazione della procedura descritta con la resezione del rettosigma colon insieme all’asportazione completa del peritoneo parietale pelvico coinvolto dalla malattia. Il tipo III consiste in un’estensione del tipo II, comprendendo la resezione in blocco di una porzione della vescica, della porzione pelvica degli ureteri o di entrambi, se coinvolti dalla malattia51-53.

La resezione del retto-sigma in associazione all'intervento di Hudson Delle Piane può essere eseguita con varie tecniche chirurgiche. La resezione anteriore del retto con anastomosi primaria è da preferirsi per i tumori che interessano il retto-sigma, con un’accettabile morbilità e mortalità47,54. La procedura può essere associata al confezionamento di un'ileostomia laterale di protezione nelle situazioni in cui ci sia il rischio di un’eventuale perdita anastomotica, ovvero: poca distanza dal margine anale, contaminazione fecale, irradiazione pelvica, tensione sull’anastomosi, chirurgia lunga e difficile, denutrizione e uso di steroidi55. L’intervento con colostomia di Hartmann consiste

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invece nella resezione del rettosigma con una colostomia prossimale e chiusura del moncone rettale, non prevede invece un’anastomosi immediata e può consentire una riconversione alla ricanalizzazione in un secondo tempo. Questa procedura ha il vantaggio della semplicità esecutiva, ed è quindi ampiamente utilizzata per la gestione dell’ostruzione intestinale o di perforazione intestinale nella sede del tumore56. Tale tecnica viene impiegata nei pazienti con carcinoma ovarico epiteliale che richiede un’anastomosi bassa, e nei pazienti con scarsa prognosi ed elevato residuo di tumore57-58.

La procedura chirurgica, che prevede il paziente in posizione litotomica, inizia con un’incisione xifopubica mediana con posizionamento di un divaricatore che permette di avere una buona visione del campo operatorio. Una eventuale ascite deve essere drenata prima di valutare l’estensione della malattia a partire dai quadranti addominali superiori. La fase iniziale dell’intervento è infatti finalizzata a rimuovere la malattia dai quadranti addominali superiori per esporre meglio le strutture della pelvi ed assicurare una citoriduzione ottimale (inferiore ad 1 cm), oppure totale. In prima istanza viene liberato l’omento in modo da avere una buona visione del grande e piccolo intestino. Si procede quindi a valutare con andamento centrifugo le docce parieto-coliche, lo spazio subdiaframmatico, la superficie epatica, lo stomaco e la capsula splenica. Una volta terminata l’esplorazione dell’addome superiore si procede ad allontanare dallo spazio pelvico le anse del piccolo intestino, così da valutare l’estensione pelvica della malattia. In molti casi il tumore interessa una o entrambe le pareti della pelvi, così da richiedere un approccio retroperitoneale. L’omentectomia è eseguita in senso latero-mediale, fino a distaccare l’omento dalla grande curva gastrica e dal colon trasverso, in seguito si mobilizzano il colon ascendente e discendente e se necessario si può procedere alla

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impianti peritoneali del tumore, in particolare a livello parietocolico dovrebbero essere rimossi a questo punto dell’intervento. Questa fase prevede tutta la rimozione del tumore centrale, che facilità la successiva dissezione pelvica, facilitando l’esposizione delle pareti laterali della stessa e proteggendo gli ureteri, oltre che a rimuovere tutte le masse intra-addominali.

Fig.3 A: Visione anteriore della pelvi al momento dell‟esplorazione addominale iniziale. B: Visione sagittale

della cavità pelvica. Il tumore infiltra tutte le strutture intraperitoneali a livello del cavo di Douglas.

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La dissezione pelvica inizia con l’incisione del peritoneo delle docce parietocoliche, che viene proseguita all’interno della pelvi lungo il muscolo psoas ed in direzione ventro-mediale, seguendo il margine posteriore della sinfisi pubica. La malattia pelvica in questo modo viene tutta circoscritta all’interno di questa incisione peritoneale.

La dissezione procede quindi in maniera centripeta: i ligamenti rotondi sono esposti nel retroperitoneo, legati e sezionati il più lateralmente possibile.

La massa centrale del tumore dovrebbe essere devascolarizzata il più precocemente possibile, legando i ligamenti infundibolo-pelvici, che contengono i vasi ovarici, e sezionandoli all’altezza del bordo pelvico o al di sopra di esso.

Gli ureteri vengono quindi mobilizzati dalle loro sedi di attacco sul foglietto mediale del grande ligamento, spostandoli dal margine pelvico al canale di Wertheim e tenuti in trazione con vasa-loops. Si può quindi procedere alla mobilizzazione mediale del colon sigma, che permette di esporre ulteriormente la parte sinistra della pelvi consentendo così una valutazione più esatta della estensione della resezione intestinale necessaria. La resezione del sigma prossimale deve essere eseguita prossimalmente all’estensione del tumore, con l’ausilio di una cucitrice automatica lineare.

Il mesentere del colon sigma viene sezionato, legando individualmente ogni singolo vaso, incluse le arterie emorroidarie superiori. La pelvi posteriore viene ulteriormente mobilizzata, ampliando lo spazio presacrale caudalmente fino al livello del piano muscolare del pavimento pelvico, clampando, sezionando, e fissando i pilastri del retto (inclusa l’arteria emorroidaria media) durante la procedura.

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Gli spazi pararettali e paravescicali vengono ulteriormente aperti esponendo i ligamenti cardinali. L’esposizione della parte centrale della pelvi a questo punto dell’intervento può facilitare la resezione di tutte le linfoadenopatie macroscopiche.

Vengono quindi scheletrizzati i peduncoli vascolari uterini, che vengono legati e sezionati a livello degli ureteri permettendo così un ulteriore spostamento laterale degli ureteri dalla massa centrale.

Lo spazio retropubico di Retzius è un piano di dissezione che si stabilisce tra la parete muscolare della vescica e la parete del peritoneo pelvico che contiene il tumore, consentendo la mobilizzazione del peritoneo vescicale interessato dalla neoplasia dalla sottostante parete muscolare della vescica. Solitamente la malattia non si estende verso la vescica e rimane confinata al peritoneo, non necessitando perciò di estese dissezioni dell’organo.

La superficie anteriore del peritoneo pelvico è deperitonelizzata o stripped in direzione ventro-dorsale ed include tutti gli impianti tumorali della pelvi anteriore.

L’isterectomia viene completata in maniera retrograda. La vescica viene incisa e mobilizzata ventro-caudalmente per esporre 2-3 cm di vagina.

Se il peritoneo pelvico anteriore è tenacemente adeso alla cervice, gli spazi paravescicali possono essere aperti in direzione latero-mediale sotto il livello della cervice fino al raggiungimento dello spazio vescicovaginale.

Lo spazio vescicovaginale è virtuale ed è sempre libero da malattia e può essere usato per avere un piano di dissezione fra il tumore e la vescica quando il tumore è a questa tenacemente adeso. Soltanto occasionalmente può essere effettuata una cistectomia della cupola vescicale con una resezione parziale della parete, ed è necessaria anche

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un’ureterectomia dove l’uretere si inserisce in vescica. La reinserzione con una ureteroneocistectomia viene eseguita dopo la completa rimozione della massa tumorale centrale.

A questo punto viene esposta la parte prossimale della vagina, viene eseguita con elettrobisturi la colpotomia trasversa anteriore e si visualizza la parte interna della vagina. L’apice vaginale viene chiuso tramite sutura. Questa manovra è facilitata da una palpazione bimanuale intraoperatoria che consente l’identificazione del sito d'incisione. Nel caso in cui la paziente abbia già effettuato un’isterectomia, l’inserzione di un dilatatore rettale al fine di elevare la cupola vaginale può essere indicato per facilitare la colpotomia anteriore. I Clamps Heaney sono usati per circoscrivere la vagina anteriore e laterale, sezionare e fissare i peduncoli in sequenza. Per aiutare a spostare la vescica e l’uretere distale in posizione antero-laterale durante questa dissezione si può inserire nella vagina un divaricatore. Tutti i ligamenti cardinali ancora attaccati a questo punto dell’intervento vengono clampati e sezionati in senso ventro-caudale. Viene successivamente incisa la parete posteriore della vagina e aperto lo spazio retto-vaginale. Questa dissezione viene portata inferiormente fino a 2-3 cm sotto l’estensione più bassa del tumore nel cul-de-sac (cavo del Douglas), che è mobilizzata a livello cefalico per preservare al massimo la lunghezza del retto prossimale dopo la sua dissezione. A questo punto viene effettuata la resezione del colon retto-sigmoideo usando una suturatrice lineare (GIA).

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Fig.5 A: La dissezione inizia a livello delle pareti laterali della pelvi,con isolamento degli ureteri e sezione

del peritoneo dalla parete muscolare vescicale. Il ligamento infundibulo pelvico viene legato al di sopra del limite pelvico, dopo l‟isolamento degli ureteri. B: La linea tratteggiata indica il piano di dissezione. Iniziando anteriormente,il peritoneo è distaccato dalla vescica. L‟isterectomia viene effettuata dopo l‟isolamento laterale degli ureteri e, prima della sezione dell‟utero dalla vagina, viene sviluppato lo spazio retto vaginale.

Fig.6 A: L‟intero sacco peritoneale , incluso il Duglas con la cervice, è ribaltato anteriormente in modo da

esporre il retto superiore. B: Visione laterale che mostra l‟esposizione anteriore e posteriore del margine rettale e la posizione del Wertheim-clamp sul punto di resezione.

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La massa tumorale centrale è quindi asportata in blocco con il colon rettosigmoideo, eliminando tutta la malattia tumorale macroscopica presente. Vengono rimossi tutti gli impianti peritoneali rimanenti ed il colon sinistro viene mobilizzato per assicurare un’anastomosi priva di tensione, la continuità intestinale è assicurata tramite l’utilizzo di una cucitrice automatica circolare con un anastomosi transanale.

Fig.7: Lo spazio retto vaginale è stato sviluppato a 2, 3 cm dall‟estensione caudale del tumore nel Duglas e

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La sicurezza dell’anastomosi viene controllata ispezionando i due anelli intestinali di resezione (prossimale e distale) che sono rimasti nel dispositivo di pinzatura, controllando la buona vascolarizzazione dei monconi e che l’anastomosi confezionata sia priva di tensione.

Infine viene svolta una prova idropneumatica riempiendo la pelvi con soluzione salina, e pompando aria attraverso l’ano, per visualizzare eventuali bolle dovute ad insufficiente tenuta anastomotica. Viene di solito posizionato un sistema a singolo drenaggio nella pelvi.

Fig.9 A: Visione anteriore della pelvi al termine della procedura. Tutto il peritoneo pelvico è stato rimosso in

associazione al tumore, ai linfonodi e agli organi pelvici intraperitoneali. B: La continuità intestinale viene ristabilita confezionando un‟anastomosi termino terminale mediante cucitrice circolare.

Sebbene in alcune pazienti l’estensione della malattia non richieda una resezione in blocco del retto-sigma con i visceri intraperitoneali, circa due terzi dei casi presentano estensione intestinale di malattia a livello pelvico. La facilità esecutiva e la sicurezza della resezione retto-sigmoidea in blocco ne incoraggiano l'impiego nella maggior parte delle pazienti in stadio FIGO IIIC di carcinoma ovarico46.

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MANAGEMENT POST-OPERATORIO

Solitamente nell'immediato periodo post-operatorio si assiste ad una modesta perdita di fluidi dal catetere di drenaggio, che viene rimosso quando drena circa 200 ml nelle 24 h. Il sequestro di liquidi all’interno dell’ampia area di dissezione operatoria retro peritoneale necessita di un’accurata gestione. Nella maggior parte dei casi i pazienti ricevono infusioni di cristalloidi per mantenere la pressione oncotica ed una diuresi adeguata.

La terapia per la profilassi antitrombotica, iniziata prima dell' intervento, viene continuata fino a che la paziente viene completamente mobilizzata.

La terapia antibiotica peri-operatoria viene somministrata solo ai pazienti che hanno avuto una chirurgia gastrointestinale. La terapia consiste in un antibiotico a largo spettro per le 72h successive all’intervento. Il sondino nasogastrico non è necessario per la maggior parte dei pazienti e viene rimosso in prima giornata.

La dieta potrà essere regolare una volta che sia avvenuta la canalizzazione ai gas, che indica l’avvenuta ripresa della funzione gastrointestinale.

1.15 FOLLOW UP E RECIDIVE

Al termine del programma terapeutico tutte le donne vengono sottoposte ad un attento follow-up che ha come obiettivi primari la identificazione precoce di eventuali recidive, la verifica dello stato di malattia e la valutazione delle eventuali complicanze del trattamento. Il 90% delle recidive si verifica nei primi due anni di follow-up.

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Il programma periodico di follow-up prevede:

• una visita di controllo con esame obiettivo generale e visita ginecologica, con esplorazione rettale bimanuale retto-vaginale ogni 3 mesi per i primi due anni, ogni 4 mesi il terzo anno, ogni 6 mesi per i successivi due anni e annualmente dal sesto anno.

• dosaggio Ca125 o Ca19.9 e/o CEA, se l'istotipo è mucinoso, ad ogni visita • ecografia addomino-pelvica ad ogni visita (se non sostituita dalla TC) • Rx torace ogni 6 mesi per i primi due anni e successivamente ogni anno

• TC addomino-pelvica ad intervalli periodici annuali o in pazienti asintomatiche con sospetto clinico, sierologico o ecografico di recidiva

• ulteriori indagini (PET, colonscopia) vengono eseguite se ci sono elementi di sospetto.

La recidiva interessa prevalentemente la sierosa peritoneale, localizzandosi a livello pelvico o addominale nella maggior parte dei casi. In un numero limitato di casi la malattia si ripresenta a livello dei linfonodi retroperitoneali. Più rare sono le recidive a distanza.

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2. OBIETTIVI DELLO STUDIO

Obiettivo del presente studio è quello di valutare l'impatto della chirurgia di resezione retto-sigmoidea associata a isteroannessiectomia bilaterale per il trattamento del tumore ovarico in stadio avanzato in una serie di pazienti analizzata retrospettivamente. In particolare, abbiamo voluto confrontare i risultati ottenuti con una procedura di resezione anteriore con anastomosi colo-rettale immediata (con o senza ileostomia temporanea di protezione) con quelli della resezione retto-sigmoidea con colostomia cutanea sinistra secondo Hartmann. Lo scopo è stato di quello definire l'efficacia e la sicurezza della resezione anteriore con anastomosi colo-rettale immediata, confrontando i risultati ottenuti con quelli disponibili nella letteratura scientifica.

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3. MATERIALI E METODI

Per la stesura di questo lavoro sono stati analizzati una serie di pazienti con carcinoma ovarico utilizzando il database della Ginecologia Oncologica Universitaria dell'Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana (AOUP), in un periodo compreso tra Gennaio 2001 e Dicembre 2014. In tale ambito sono stati scelti i pazienti sottoposti ad intervento di resezione del retto-sigma associato a isteroannessiectomia bilaterale (chirurgia primaria) o isolato (secondo intervento per pazienti già isterectomizzate con recidiva pelvica). Gli interventi sono stati effettuati dai ginecologi della Unità Operativa Universitaria di Ostetricia e Ginecologia in cooperazione con una equipe della Chirurgia Generale dell’Università di Pisa. Sono state così individuate 43 pazienti. I dati d'interesse sono stati ricavati da cartelle cliniche, note cliniche ambulatoriali, programma Sirio, programma Facile.it, registro degli interventi programma Ormaweb e referti anatomo-patologici.

Per ogni paziente sono stati registrati età e BMI. E' stato inoltre acquisito il livello di rischio attribuito ad ogni paziente al momento dell'intervento secondo la classificazione della American Society of Anesthesiology (classificazione ASA). In base a tale classificazione, che valuta in maniera integrata il performance-status e le comorbidità, vengono identificate cinque classi che definiscono livelli di rischio crescenti dalla I alla V

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Tabella 5: Classificazione, accettata internazionalmente, che permette una categorizzazione dei pazienti in funzione della presenza o meno di alterazioni organiche o funzionali dell'organismo al momento del trattamento chirurgico ed anestesiologico. Si distinguono 5 Classi che definiscono livelli crescenti di rischio a partire dalla Classe I fino alla Classe V. La maggior parte dei pazienti si colloca nelle prime due Classi di rischio(I-II).

CLASSE DESCRIZIONE

I Nessuna alterazione organica, biochimica o psichiatrica.

II Malattia sistemica lieve o correlata o no alla ragione dell'intervento chirurgico.

III Malattia sistemica grave con prognosi severa che pregiudica la sopravvivenza indipendentemente dall'intervento chirurgico.

IV Malattia sistemica grave con prognosi severa che pregiudica la sopravvivenza indipendetemente dall'intervento chirurgico.

V Paziente moribondo che non sopravviverà nelle 24 ore successive, che viene sottoposto all'intervento chirurgico come ultima possibilità

E Ogni intervento chirurgico non dilazionabile e che non consente una completa valutazione del paziente e la correzione di ogni anomalia. La lettera E viene aggiunta alla corrispettiva classe ASA.

Il tipo istologico del tumore è stato riassunto in 4 categorie: sieroso, mucinoso, indifferenziato, altri. E' stata inoltre registrata la classificazione del tumore in base allo stadio FIGO ed al grado di differenziazione .

Per ogni paziente inclusa nello studio è stato valutato il timing chirurgico rispetto all'intervento di resezione intestinale: le pazienti sono state divise in due gruppi, il primo del quali comprende le persone sottoposte ad intervento di resezione retto-sigmoidea in concomitanza con l'intervento ginecologico, mentre il secondo include le pazienti sottoposte a chirurgia intestinale successivamente all'isteroannessiectomia.

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wedge resection: in questo caso la chirurgia intestinale si era limitata ad una semplice resezione a cuneo di noduli presenti sulla parete del retto o del sigma. La scelta di evitare una chirurgia demolitiva è dettata dal riscontro durante l'esplorazione chirurgica di una sproporzione tra l'impegno neoplastico della parete intestinale e l'entità della demolizione viscerale.

Intervento di Hartmann: con tale procedura viene eseguita una sigmoidectomia allargata

alla porzione prossimale del retto, con colostomia terminale in fossa iliaca sinistra e chiusura e affondamento del moncone rettale subito al di sotto della riflessione peritoneale in modo da consentire comunque l‟asportazione del peritoneo del Douglas (Fig.10). A meno di controindicazioni, a distanza di 4-12 mesi le pazienti trattate con questa procedura venivano sottoposte ad un secondo intervento laparotomico per consentire un ''second look'' del cavo peritoneale e la chiusura della colostomia con ripristino della continuità intestinale mediante anastomosi colo-rettale.

La scelta di questo intervento era associata principalmente all'evidenza di una malattia pelvica molto estesa o alla presenza di fattori di rischio oncologici e generali che controindicavano una anastomosi immediata.

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Intervento di resezione anteriore del retto-sigma: l'intervento ha previsto, in caso di

prima chirurgia, una resezione del retto-sigma in blocco con annessi, utero e peritoneo pelvico; in caso di seconda chirurgia, è stata eseguita invece l'asportazione del tratto intestinale con le aree di recidiva pelvica. Tutte le anastomosi sono state costruite sul retto extraperitoneale in modo da consentire l'asportazione del peritoneo del Douglas e l'utilizzo di una parte del retto sicuramente non coinvolta da neoplasia. La resezione intestinale “en-bloc” con gli organi riproduttivi ed il peritoneo pelvico (chirurgia primaria) è stata compiuta con un approccio retroperitoneale (Hudson - Delle Piane), come descritto precedentemente nell'introduzione. Il colon prossimale e il retto sottoperitoneale sono stati sezionati con suturatrice meccanica. La continuità intestinale è stata quindi ristabilita mediante anastomosi end-to-end secondo la tecnica di Knight –Griffen utilizzando una suturatrice circolare per via transanale (Fig11 A,B). Requisiti necessari per la costruzione dell‟anastomosi erano la buona vascolarizzazione del colon prossimale, l'assenza di tensione, la prova idropneumatica negativa e l'integrità degli anelli di sezione.

A B

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