• Non ci sono risultati.

1990. Il movimento studentesco della "Pantera"

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "1990. Il movimento studentesco della "Pantera""

Copied!
157
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE

Corso di laurea in Scienza Politica – Classe 70/S

1990. Il Movimento studentesco della

“Pantera”

Relatore:

Prof. Alessandro Volpi

Candidato:

Massimiliano Denaro

(2)

2

(3)

3

Eissamen con la pantera

Qui porta tan bon’odor

Et a si bela color

Que non es bestia salvatge

Qui per fors’e per outratge

Sia tan mala ni fera,

Que, si loing com pot chauzir,

Non anes pris lei morir:

Et en altretal semblansa

Mi ten amors en balansa,

Que m fai segre so que non posc aver

E sec mon dan per far lo seu plazer

Rigaut de Berbezilh Canzone provenzale del XIII secolo

(4)

4

Indice

1. Introduzione: gli universitari e la loro memoria storica di un anno di

trasformazioni...5 2. Palermo. Il “cuore pulsante” del movimento...9

2.1. Premessa.

2.2. Gli eventi di dicembre. I documenti.

2.3. I quotidiani. Il “Giornale di Sicilia” e “L’Ora”.

2.4. Gennaio da Palermo al resto d’Italia: i media si accorgono della protesta. 2.5. Una prima impressione.

3. Dopo “Samarcanda” comincia la microstoria della Pantera...38 3.1. Il movimento dei fax.

3.2. L’assemblea nazionale di Palermo. I sogni e le tensioni. La decisione del blocco ad oltranza.

3.3. Un seminario a Roma: come un evento secondario diventa determinante. 3.4. La proposta alternativa di Ruberti.

3.5. Il fallimento dell’assemblea di Firenze. La manifestazione di Napoli.

4. Pisa. Arriva il vento del Sud...57 4.1. Pisa, una città universitaria-modello. Anche per il movimento.

4.2. Pisa. I volantini.

4.3. Pisa. I quotidiani. Il “Tirreno”. 4.4. La “Nazione”.

4.5. Scampoli di pessimo giornalismo locale: il caso Andreotti e le aggressioni al Palazzo dei Congressi.

4.6. Il pressing della stampa.

4.7. Altro caso a sensazione: l’occupazione dell’ex Hotel Nettuno. 4.8. Gli ultimi giorni della “Pantera” pisana sui giornali.

4.9. La repressione del movimento a Pisa.

5. La Pantera muore. Di nuovo su Palermo e Pisa...85 5.1. Libro Bianco a Palermo, il disinteresse del Senato, e poi l’inchiesta.

5.2. Il progetto Leonardo a Pisa. Le “Tesi sull’Università”.

6. Conclusioni...107 6.1. La Pantera e i media.

6.2. La Pantera e l’Università.

6.3. La Pantera e la politica oltre l’Università. 6.4. A cosa è servita la Pantera?

7. Una postilla e un appendice. La questione delle fonti. Alcuni documenti e

immagini di rilievo...116 Bibliografia...143 Ringraziamenti

(5)

5

1. Introduzione: gli universitari e la loro memoria storica di

un anno di trasformazioni.

Quando in Italia si parla di “movimento studentesco” ci riferiamo sempre al ’68 e alla contestazione che, solo in Italia, fu capace di saldarsi alle lotte operaie per tutti gli anni ’70. Spesso fra gli studenti delle università italiane si evoca il ’68 come una conquista di libertà, che ha trasformato il nostro modo di vivere dal profondo. Qualcuno preferisce agganciarlo a tutti gli anni Settanta ed in particolare al ’77, come culmine di un’intera stagione di lotte da cui sarebbe emerso il “nuovo soggetto metropolitano”, che avrebbe sostituito il mito della centralità operaia. Quando parliamo di trasformazioni del territorio e del tessuto sociale locale i più si riferiscono all’esperienza dei centri sociali, capaci di coagulare le proteste contro la mercificazione della società, dal sapere agli spazi ludici. Raramente gli studenti universitari ricordano che nel ’90, per più di tre mesi, tutti gli Atenei italiani avevano almeno una facoltà occupata, e spesso molte di più, e che gli studenti riuscirono ad attuare il blocco per molto più tempo che non durante i “formidabili” anni ‘70. Pochi, anche fra i gruppi studenteschi organizzati sono capaci di collegare le proprie lotte e rivendicazioni contro la privatizzazione e la dequalificazione delle Università alla breve seppur intensa stagione della “Pantera”.

La “Pantera” è stato un movimento studentesco sorto dall’opposizione al progetto di legge Ruberti sull’autonomia finanziaria degli atenei. Il percorso di questo progetto di riforma era ampio, cominciato nel marzo del 1989 con l’istituzione del MURST ed era destinato ad ulteriori modifiche (rappresentate dalle successive riforme dei ministeri Berlinguer, Zecchino e Moratti) tese ad uniformare il sistema di formazione universitario europeo.

L’idea di scrivere una tesi sul movimento studentesco sorto nel dicembre dell’89 a Palermo e presto diffusosi a tutti gli Atenei italiani mi è nata da quando mi sono posto la domanda: come mai un evento di tale portata, che ha destabilizzato fortemente le strutture universitarie non ha lasciato traccia nella memoria storica condivisa degli studenti?

L’Università era molto cambiata dagli anni ‘70. Per tutto il decennio successivo crebbe l’influenza dei gruppi cattolici , che spesso si dedicavano essenzialmente alla

(6)

6

gestione dei fondi per le attività studentesche, per cui molti degli studenti del ’90 erano nuovi rispetto a qualsiasi forma di aggregazione politica; per questo cercarono di porsi nel modo meno settario possibile, dando vita ad un movimento politico poco o nulla ideologizzato.

Che il tempo del socialismo di stato fosse finito, quegli studenti lo avevano afferrato chiaramente; bastavano il recente collasso dell’URSS e le crude immagini del massacro degli studenti contestatori di Piazza Tian-An-Men in Cina per spingere gli studenti ad un nuovo modo di pensare l‘opposizione sociale.

La distanza da qualsiasi prospettiva rivoluzionaria, al tramonto del secolo del bipolarismo mondiale, faceva sì che la lotta si strutturasse in termini eminentemente resistenziali; d’altronde, lo smantellamento dello stato sociale e delle conquiste operaie aveva come primi attori gli antagonisti, il capitale.

Per questo il movimento del ’90 fu molto più propenso a restare dentro le Università e a tentare di cambiarle democraticamente che non i movimenti precedenti, che pure partirono da contestazioni a delle leggi di riforma delle Università.

A leggerla adesso, non si capisce come questo tipo di aggregazione possa essere sorto proprio quando, all’indomani del crollo del Muro di Berlino, le società occidentali ostentavano la vittoria delle libertà civili grazie al sistema capitalistico e constatavano con occhio caritatevole la miseria di quei popoli,pure europei, oppressi e finalmente “liberati” dal socialismo di stato.

Probabilmente, nell’ottica di molti intellettuali e politici di professione, la sconfitta storica del socialismo reale e la fine della guerra fredda avrebbero dovuto portare alla totale legittimazione del sistema basato sul profitto individuale, tanto più che quelli erano gli anni del “reaganismo”, cioè dell’attuazione delle più sfrenate pratiche neoliberiste nella maggior parte dei paesi avanzati, anche tramite lo smantellamento dell’oneroso stato sociale.

La televisione costituiva (come e più di oggi) lo strumento principale di informazione dell’epoca: erano evidenti le fascinazioni che trasmettevano agli studenti le immagini provenienti dalla Cina, dalla Germania, dalla Palestina in cui giovani e giovanissimi si riappropriavano del proprio futuro contro una classe politica ormai abietta e distante dalla reale volontà dei popoli.

(7)

7

cacciata di Noriega da Panama ad opera di prestanti truppe nordamericane, così come le notizie del massacro di Timisoara1 in Romania che condussero alla fucilazione di Ceausescu e alla caduta del peggiore dei “socialismi reali” dell’Est Europa.

Eppure una generazione di studenti seppe coagulare “i propri sogni, le proprie tensioni” in una efficientissima organizzazione, nata allo scopo di abbattere una proposta di legge giudicata iniqua, utilizzando i mezzi comunicativi più disparati nel modo più fantasioso: dai fax, ai murales, dalle vignette ai documenti e volantini. La comunicazione era un tema portante per un movimento che basava la propria contestazione sulla qualità della trasmissione dei contenuti nelle lezioni; già si parlava di “berlusconizzazione” della cultura, e questo non deve suonare strano. Il 1989 fu anche l’anno di maldestri tentativi di concentrazioni editoriali, fra cui l’assalto finanziario alla editrice Mondadori, che portò alla spartizione fra De Benedetti e Berlusconi di Repubblica-Espresso da una parte e la Mondadori, appunto, dall’altra.

Per quanto la maggior parte degli studenti dichiarasse di non fidarsi dei giornali, furono essi ad assolvere, per la prima volta nella storia, all’esigenza di narrare il movimento all’opinione pubblica. Rari e discontinui furono gli esempi di stampa autoprodotta dal movimento per la diffusione locale, con una diffusione circoscritta, mentre gli studenti riconoscevano ai giornali la capacità di influenzare, se non di determinare, l’opinione pubblica in generale, al di fuori delle facoltà.

Quali sono, quindi, i segni che questo movimento, così impegnato alla costruzione di momenti di comunicazione orizzontale e così imperniato sulla valorizzazione dei saperi, ha lasciato nelle Università? E in più: qual’è il segno che questi studenti hanno lasciato fuori le Università, nel lavoro, nell’impegno sociale?

Quella generazione di studenti si trovava a vivere una strana “congiunzione astrale”: da una parte il vecchio mondo bipolare, in cui la sinistra parlamentare italiana aveva svolto un ruolo di organizzazione delle masse, anche se non in senso rivoluzionario, e dall’altra il “nuovo mondo” dell’unica superpotenza, che sul piano nazionale avrebbe provocato una profonda trasformazione delle strutture politiche, della percezione dell’identità politica e sociale, fino alla messa in crisi del senso stesso

(8)

8

dello Stato. Gli universitari misero allo scoperto le contraddizioni del “nuovo mondo”, rispondendo con pratiche “movimentiste” all’avvizzirsi della tradizionale sinistra parlamentare italiana, in lancinante crisi di identità. La più forte contrapposizione con essa fu sulla concezione di spazio pubblico di agire politico e sociale, che il P.C.I aveva sempre individuato nello Stato; per il movimento era invece essenziale la ricerca di spazi pubblici al di fuori dello Stato, certo non scevri da contraddizioni, ma destinati ad offrire alternative anche economiche e sociali. Quella generazione, infatti, negli anni a seguire, la troviamo a dibattersi nel tentativo di costruire un tessuto sociale variegato, di critica ai professionisti della politica, ma anche di proposizione di nuovi intrecci fra sociale e politico. Se da una parte l’organizzazione capitalistica sarebbe radicalmente cambiata nel corso degli anni ’90, a partire dalle privatizzazioni e dalle esternalizzazioni dei servizi, gli studenti, non più tali, avrebbero risposto con la costituzione di cooperative, divenendo spesso in prima persona i soggetti a cui destinare le esternalizzazioni di molti settori pubblici, non esclusa l’Università. In breve, essi facilitarono le trasformazioni economiche degli anni ’90, col difficile obiettivo di recuperare spazi pubblici al di fuori dello Stato, con risultati spesso deludenti sul versante meramente economico (perché l’esternalizzazione crea un rapporto fra Stato e impresa, soprattutto quella cooperativa, di sudditanza finanziaria che spesso conduce persino all’autosfruttamento), ma forse proprio per questo sintomo della necessità di partecipare alle dinamiche di ristrutturazione in atto.

La difficoltà maggiore di questo lavoro sta nell’essere un tentativo di storicizzazione, a sedici anni di distanza, di un miscuglio di idee, pratiche, fatti, che raramente hanno trovato spazio di discussione. Quello che ne è venuto fuori è un lavoro spurio ed incompleto, ma in tempi di sistematica accelerazione della realtà bisogna fare di necessità virtù, cercando per quanto possibile di ancorare un passato più lontano nella mente che nella storia alle esigenze della contemporaneità.

Con questo lavoro quindi intendo offrire degli spunti di narrazione di alcuni fatti nazionali, ma soprattutto locali del movimento della “Pantera” mettendo in relazione i resoconti dei giornali con le produzioni autonome degli studenti fra Palermo e Pisa, privilegiando le fonti primarie autoprodotte dal movimento.

(9)

9

2. Palermo: il “cuore pulsante” del movimento.

2.1 Premessa.

Palermo è stata la culla del Movimento del 90, la città dove ha mosso i primi passi e quella dove il movimento ebbe maggiore sostegno dentro le facoltà. Già a dicembre sette facoltà erano occupate quando nel resto d’Italia l’opposizione a Ruberti doveva ancora muovere i primi passi. Il movimento a Palermo ebbe anche alcune specificità contenutistiche (contro la mafia) e nel rapporto con la stampa; un rapporto che fu praticamente inventato dai palermitani grazie sia a veri e propri colpi di fortuna che ad una lettura capillare dei quotidiani. Non a caso uno dei primi strumenti di cui il movimento palermitano si dotò fu un centro stampa, e uno dei primi accessori di cui si servì fu quel fax che caratterizzò a tal punto la “Pantera” da diventarne una definizione alternativa. Del resto stiamo parlando di un canovaccio che si ripeté nel resto d’Italia senza sostanziali differenze ad un mese di distanza.

La nascita del movimento studentesco si legava anche ad un fatto nuovo nella politica palermitana, cioè allo sviluppo di quella “primavera siciliana” di lotta contro la mafia e il malgoverno che trovò nel sindaco di Palermo Leoluca Orlando il suo più autorevole esponente.

Possiamo comunque affermare che già a partire dal mese di dicembre Palermo riesce ad esprimere tutti quei contenuti che poi saranno caratteristici del movimento nazionale, ed avrà sempre una funzione di guida quasi “morale” del movimento, come se ne fosse il cuore pulsante. Non sarà solo Palermo a dare un’impronta “meridionalista”2 al movimento della “Pantera”, ma certamente le condizioni degli

studenti del Sud saranno più in generale capaci di attirare consensi maggiori che non nel Nord Italia.

Anche per i quotidiani locali si trattò di sperimentare un rapporto assolutamente nuovo con gli studenti, e anche da questo punto di vista possiamo affermare che Palermo fu un laboratorio sia per quei quotidiani (pochi) che vollero dare una

2

Fuori dal senso classico del concetto di “meridionalismo”, è importante comunque sottolineare il fatto che il Movimento riscosse più successo negli Atenei meridionali, penalizzati più di quelli del Nord per la mancanza di quell‘apparato economico che avrebbe dovuto suggellare l’aggancio ai privati del sistema di

(10)

10

chance al movimento e che quindi prestarono orecchio alla forte carica

comunicativa degli studenti, sia per quei giornali (molti) che preferirono sempre leggere nel movimento la faziosità, l’antidemocraticità, l’asservimento a questo o a quell’interesse partitico o semplicemente la sprovvedutezza ed il giovanilismo. Un ruolo del tutto particolare svolse il periodico “L’Espresso” che colse lo scoop pubblicando uno speciale sulle occupazioni palermitane prima che il movimento si fosse effettivamente espanso nel resto d’Italia; una coincidenza che non è, a mio parere, una casualità per un movimento che ha avuto proprio nel rapporto con la stampa una delle sue caratteristiche predominanti.

Il movimento palermitano non si dotò, come vedremo, di strumenti di controinformazione nel senso tradizionale (giornali, volantini), ma seppe usare abilmente lo strumento dell’inchiesta allorché ci fu bisogno di una conoscenza adeguata dei meccanismi di funzionamento dell‘Università: alcuni “scoop” del “libro bianco sull’Università di Palermo” condussero a delle indagini sulla gestione clientelare e mafiosa del Policlinico universitario, e su questo punto le responsabilità della stampa ufficiale furono molte.

In questo capitolo proverò a dare conto degli eventi del dicembre dell‘89, intersecando ad essi una lettura della cronaca della stampa locale di quei giorni.

2.2 Gli eventi di dicembre. I documenti.

Una occupazione di un giorno avvenne a Scienze Politiche nella fine di novembre, motivata dalla grave situazione dei locali della facoltà, istituita a Palermo proprio quell’anno. Ma il movimento vero e proprio scaturì da un’assemblea della Facoltà di Lettere e Filosofia, tenutasi il cinque dicembre 1989, che decise l’occupazione “a tempo indeterminato dei locali della facoltà“3. Al termine di un’assemblea caotica,

di una partecipazione mai vista, gli studenti di lettere stilarono questo documento:

In questi anni abbiamo visto sgretolarsi alcune pur insufficienti conquiste ottenute

istruzione secondaria italiano.

3 Documento dell’assemblea della facoltà di lettere e filosofia del 5/12/1989, in I movimenti aPalermo -

1989-1990 La Pantera, raccolta in CD-ROM di documenti, immagini, rassegna stampa, interviste,

(11)

11 dagli studenti nel corso degli anni settanta, abbiamo visto ridursi le sessioni d’esami,

aumentare la selezione e sancito il principio che più una facoltà è selettiva più è da considerarsi efficiente, abbiamo visto tornare in auge vecchi gruppi di potere che governano in modo clientelare e mafioso l’Università, abbiamo visto ridursi la quantità e la qualità dei servizi e di assistenza fornita agli studenti ed accresciuta attraverso l’aumento delle tasse l’esclusione dall’Università delle classi sociali subalterne. In questo clima di restaurazione e di neoconservatorismo si inserisce il progetto di legge Ruberti che con l’autonomia finanziaria e l’ingresso trionfale dell’industria privata nell’Università, con l’accentramento dei poteri nelle mani del Senato Accademico e l’ulteriore svilimento delle strutture di rappresentanza degli studenti, vuole imprimere un’accelerazione ai processi di riforma autoritaria nell’Università.

[…] Rivolgiamo un appello alle componenti universitarie e agli studenti in particolare ad estendere l’agitazione e la protesta entro più breve tempo a tutti gli Atenei d’Italia ai fini della rifondazione di un movimento studentesco attivo capace di intervenire rispetto ai problemi dell’Università e della società in generale.4

La protesta cominciò a svilupparsi a partire dalle pessime condizioni strutturali dell’ateneo palermitano, dall’assenza di una legge regionale sul diritto allo studio (la Sicilia era ancora l’unica regione a non aver legiferato in questa materia), ma soprattutto dalla ferma opposizione all’introduzione dell’”autonomia” che il progetto Ruberti prevedeva, e che avrebbe portato secondo gli studenti all‘affermazione di atenei di serie A e di serie B, tutto l’opposto di un‘alta formazione accessibile a tutti. Il 13 dicembre si svolse nell’aula magna di Ingegneria un’assemblea d’Ateneo, partecipata da circa millecinquecento studenti universitari, che dichiarò lo stato di agitazione di tutto l’Ateneo.

È un momento importante: gli studenti delle facoltà palermitane si incontravano per la prima volta per sostenere l’occupazione di lettere e filosofia e per rilanciare la mobilitazione nelle altre facoltà. Il documento finale dell’assemblea decretò lo stato d’agitazione dell’Ateneo, l’occupazione dell’aula magna di Ingegneria ribattezzata aula “Tian-An-Men-Intifada”, che diverrà la sede di tutti gli incontri di rilevanza del movimento, il lancio di un appello a tutti gli studenti palermitani affinché occupassero le proprie facoltà allo scopo di ottenere una legge sul diritto allo studio e di estendere la mobilitazione contro la Ruberti a tutta l‘Italia. Inoltre l’assemblea

4

(12)

12

lanciò la proposta di una manifestazione cittadina di studenti universitari e medi (che nel frattempo avevano occupato la maggior parte dei licei) prima delle vacanze natalizie.

L’assemblea d’Ateneo fu importante anche a livello organizzativo: fu il momento in cui si decise la costruzione di due commissioni di studio (sulla legge Ruberti e sul diritto allo studio) e di un Centro Stampa d’Ateneo, con sede a Magistero, che gestisse i rapporti con la stampa, la divulgazione (in certi momenti quotidiana) dei comunicati e soprattutto che si occupasse di creare legami con gli altri Atenei italiani, che a poco a poco cominciavano a mobilitarsi e che chiedevano sempre più informazioni. Lo scopo era da un lato tenere sotto controllo i giornali, per evitare che i frequenti errori materiali e le distorsioni più evidenti passassero sotto silenzio; dall’altro creare quei contatti con il resto d’Italia ancora non mobilitata, allo scopo di coinvolgerli nelle occupazioni. È l’embrione di quella rete dei fax che farà fare il salto comunicativo a tutto il movimento.

Di lì a pochi giorni una facoltà dopo l’altra cadde nelle mani degli studenti, che quasi ovunque scelsero come prima forma di mobilitazione l’occupazione dei locali dei dipartimenti e delle facoltà: Scienze Politiche (che, occupata il 6 dicembre, fu abbandonata e poi rioccupata), Magistero, Scienze, Giurisprudenza, Architettura, mentre Medicina, Farmacia ed Ingegneria optarono in un primo momento per assemblee permanenti. Solo Agraria ed Economia e Commercio si schierarono apertamente contro l’occupazione, grazie allo sforzo dei cattolici popolari; ma anche in queste facoltà l’opposizione all’occupazione ebbe vita breve.

Il movimento cominciava a raccogliere i consensi più insperati: il 15/12 si riunì il Senato Accademico che, a sorpresa, approvò all’unanimità un documento di solidarietà agli studenti occupanti, esprimendo “indignazione per le condizioni nelle quali è realizzata dal governo regionale la politica del diritto allo studio, umiliante e frustrante per gli studenti”5, e chiese le dimissioni del prof. Giuffrè, commissario

dell’Opera Universitaria palermitana.

Certamente nessuno si aspettava che persino i presidi delle facoltà (cioè i membri del Senato) appoggiassero la protesta usando toni simili a quelli degli studenti6: i più

5 Delia Parrinello, I presidi appoggiano la protesta, in “Giornale di Sicilia” del 16/12/89.

(13)

13

imbarazzati sono proprio gli studenti, che prendono con le molle questo inaspettato gesto di solidarietà da parte di quegli stessi vertici accademici di cui avevano chiesto la testa.

La solidarietà fittizia del Senato Accademico non deve dirottare l’attenzione degli studenti e dell’opinione pubblica dalla protesta che il movimento rivolge contro la gestione dell’Ateneo e contro ogni ipotesi di autonomia che privatizzi l’Università e la subordini al controllo baronale.

Ci sembra strano che un organo verticistico e conservatore, come il Senato Accademico, difenda soltanto oggi le rappresentanze studentesche negli organi accademici, proprio nel momento in cui il movimento degli studenti riesce a trovare una sua espressione diretta, autonoma e di base, aldilà di ogni rappresentanza formale.

La contestazione della legge Ruberti non distrae gli studenti dalle critiche all’attuale quadro normativo. […] Gli studenti dichiarano altresì indebito qualsiasi tentativo di strumentalizzazione delle loro lotte da parte di qualsiasi personaggio si arroghi, all’interno di tali organi, il diritto di rappresentare le loro rivendicazioni, ove questa posizione è dettata dalla volontà di usare a fini personali la loro lotta.7

Ma non è l’unica manifestazione di solidarietà che insospettisce il Movimento: perfino il Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del MSI, si premura di inviare ai giornali un comunicato nel quale esprime “piena solidarietà di Palermo in lotta contro la legge Ruberti e contro lo sfascio strutturale ed organizzativo in cui versa l’Ateneo”8.

In realtà la gara di solidarietà nei confronti del movimento fu talmente ampia che la reazione degli studenti si improntò da subito alla massima autonomia da partiti e movimenti esterni alle occupazioni. Il culmine fu raggiunto probabilmente nel momento in cui, durante un’assemblea d’Ateneo, un comunicato di solidarietà della segreteria nazionale del PCI firmato da Achille Occhetto, che alcuni componenti della FGCI avrebbero voluto leggere, fu stracciato a furor di popolo in assemblea. Nonostante tutto questo durante il mese di dicembre la stampa nazionale non si interessò di questa protesta che andava acquisendo sempre maggiori consensi

7

Risposta al Senato Accademico, inserita nella sez. Documenti del CD-ROM cit. Non è precisata la data, ma comunque sembra che si tratti dell’inizio di gennaio, conseguente ad una nuova presa di posizione del Senato Accademico del 04/01/90.

8

(14)

14

nell’ateneo siciliano: il “Manifesto” dedicò il primo articolo alle occupazioni il 13/12, quando già sette facoltà erano occupate; solo un trafiletto del 14/12 su “Repubblica” dava conto dell’”Aria di sessantotto” delle sei facoltà palermitane. Dobbiamo attendere ancora due giorni per trovare uno speciale sul “movimento dell’89”, sempre su “Repubblica”.

Per il venti di dicembre è convocata la prima manifestazione cittadina del movimento studentesco. La piattaforma rivendicativa è di ampio respiro e prevede

“più democrazia nelle università, no allo smantellamento dello stato sociale, una cultura libera per uomini liberi, un titolo di studio che abbia una effettiva validità culturale, l’università come centro di cultura viva, la pariteticità rappresentativa [tra studenti e professori], un diritto allo studio veramente garantito a tutti, spazi autogestiti dagli studenti, l’apertura di biblioteche e sale di lettura serali, l’utilizzazione degli obiettori di coscienza all’interno dell’Ateneo”9.

Un’altra parte delle critiche era rivolta direttamente al progetto Ruberti per cui gli studenti dichiaravano il proprio no alla “privatizzazione e all’asservimento della cultura, all’università elitaria e gerarchica, ad una amministrazione fallimentare e clientelare, alle carenze strutturali da sottosviluppo”10 e lanciano la manifestazione

cittadina con l’intento di avere “una legge sul diritto allo studio, un rilancio strutturale e gestionale dell’Università, pari diritti per gli studenti stranieri ed il ripristino dell’attività dei lettori”11, oggetto in quel periodo di una drastica riduzione

del personale.

La vigilia della manifestazione portò con sé anche il frutto del lavoro delle due commissioni sulla Legge Ruberti e sul diritto allo studio.

Quest’ultima, in un ampio ed articolato documento, centra (con grande lucidità) alcuni aspetti delle trasformazioni delle Università che si riverberano ancora oggi:

L’istruzione universitaria viene ormai riconosciuta come la variabile strategica dello sviluppo economico e sociale. Nella società del sapere, essa deve garantire la qualità di massa. Ciò esclude che possa farsi carico di una selezione sociale o di regolazione dell’offerta di lavoro intellettuale con l’adozione del sistema del numero chiuso.

“Giornale di Sicilia” del 17/12/89.

9 Piattaforma di rivendicazioni per la manifestazione del 20/12, in CD ROM cit.

10 ibidem 11 ibidem

(15)

15 A fronte di tale riconoscimento della centralità della figura sociale dello studente e

della liberazione degli accessi, il prodotto delle Università nella sostanza non sai è modificato: resta una selezione silenziosa per la quale, da un lato, il 70% dei laureati sono ex liceali (contro il 45% al momento dell’iscrizione) e dall’altro che circa i due terzi degli iscritti fanno parte degli studenti mai laureati; quindi bisogna denunciare fortemente l’inganno, la mistificazione di una università falsamente di massa12

E, dopo aver affermato l’importanza che il diritto allo studio non fosse assoggettato a logiche clientelari (i tanti casi di alberghi e stabili privati convenzionati con l’Opera come casa dello studente) e che fosse riconsiderato nei termini attuativi il dispositivo costituzionale che assicura ai “capaci e meritevoli ma privi di mezzi” gli strumenti per raggiungere i più alti gradi della formazione, l’analisi si strutturava come un attacco generalizzato alle carenze sostanziali e alle negligenze politiche degli organi preposti a questo scopo. Il documento si conclude con un abbondante elenco che già costituisce una bozza di legge regionale per il diritto allo studio13, con

l’intenzione di spronare l’Assemblea Regionale Siciliana (ARS) sui diritti degli studenti, dal riconoscimento dei reali fruitori del diritto allo studio all’annullamento delle differenze fra in sede e fuori-sede, all’adeguamento annuale dei criteri economici di accesso in base all’inflazione, dalle sovvenzioni per l’acquisto di materiale didattico e attrezzature specialistiche alla gestione degli spazi nelle case dello studente, dal sostegno alle attività studentesche all’eliminazione delle barriere architettoniche, dalla possibilità per gli studenti di offrire lavoro part-time nelle strutture del diritto allo studio fino alle norme sulla formazione del Cda dell’Opera Universitaria che deve essere paritetico fra le componenti, di durata non superiore ai due anni. Per gli studenti viene chiesto che l’elezione non sia limitata al primo anno fuori corso e che sia preclusa la carica di Vice-presidente del Cda14.

La commissione sulla legge Ruberti, invece, si scagliava contro l’art. 16 della legge 168/89, che imponeva agli Atenei di dotarsi di statuti autonomi qualora il Parlamento non avesse discusso entro un anno una legge sull’autonomia:

Questo significa che da qui a pochi mesi l’Università subirebbe comunque un

12 Relazione della commissione sulla legge regionale sul diritto allo studio,pag 2, 19/12/89, in CD-ROM

cit.

13 La Sicilia era l’unica regione che, dopo il D.P.R. 246/85 che ad esse delegava la questione, non aveva

(16)

16 cambiamento radicale e incontrollato. Per evitare che ciò avvenga e perché il nostro

progetto di legge [Ruberti] possa essere vagliato dal Parlamento è necessario ottenere che venga indetto un referendum abrogativo di questo articolo.

Tuttavia la situazione non sarebbe meno grave se il disegno di legge Ruberti divenisse legge dello Stato. Infatti la composizione degli organi viene a sancire una situazione di strapotere dei professori ordinari, nei confronti delle altre componenti, con riferimento particolare agli studenti; il Senato Accademico sarà formato interamente da ordinari[…], il Consiglio di Amministrazione vedrà almeno la metà dei suoi membri interni composta sempre da ordinari, il Consiglio di Facoltà continua a prevedere un ruolo meramente consultivo per gli studenti […].

Particolarmente odioso risulta il fatto che, a livello d’Ateneo, gli studenti vengano ghettizzati in un organo, il Senato degli Studenti, con funzioni meramente consultive […]; il messaggio è chiaro: gli studenti, così come le altre componenti “deboli” dentro l’Università, devono essere accuratamente tenuti lontano dai luoghi in cui realmente si decide […]15.

L’analisi del progetto Ruberti puntava il dito soprattutto contro gli organi centrali del “baronato”, Senato Accademico e, a livello nazionale, Conferenza dei Rettori, rafforzati dalla nuova legge:

[…] questi ultimi decidono su questioni fondamentali quali la deliberazione dello Statuto e dei Regolamenti, che secondo la normativa diventeranno le fonti normative centrali di ogni Ateneo; l’organizzazione e la gestione della didattica ai vari livelli; la gestione dei flussi di denaro e la predisposizione di strutture e servizi; la decisione in ordine ad elementi che possono trasformare molto la nostra vita universitaria (numero chiuso, limite di iscrizione per i fuori corso, obbligo di frequenza, propedeuticità delle materie, moduli e tipologie didattiche, etc).

Su tutte queste fondamentali decisioni gli studenti saranno messi nell’impossibilità di esprimere parere.16

Ma al di là dell’organizzazione delle Università, ciò che preoccupava fortemente gli studenti è il meccanismo di finanziamento delle stesse:

[…] le molte possibilità d’intervento dei privati, previste dal progetto, danno a questi ultimi gli strumenti per attuare un pesante condizionamento della didattica e della ricerca […] è ipotizzabile che il condizionamento avvenga anche e soprattutto per

14 ivi, pagg 5-6

15 Relazione della commissione Pdl Ruberti, 19/12/89, sez. Documenti in CD-ROM cit. 16 ibidem

(17)

17 via di fatto, se pensiamo al ruolo determinante che assumerebbero i finanziamenti

privati in una situazione già di latitanza del sostegno economico statale, in un quadro più generale di demolizione dello stato sociale.

Altro che autonomia della didattica e della ricerca!

L’ingerenza dei privati vanificherebbe nei fatti quest’ultima con una gestioine del sapere universitario in maniera funzionale ai loro interessi, venendo così a drogare il mercato del lavoro intellettuale; esso verrebbe ad essere strutturato in maniera tale da frantumare la capacità contrattuale dell’offerta, conseguentemente pilotata ad esclusivo uso e consumo della domanda. […]Evidentemente Ruberti si pone il problema di applicare anche all’Università l’ormai consueta logica dell’efficientismo; a questo punto ci chiediamo: è mai ammissibile che la cultura, il sapere vengano sottoposti alle ferree leggi del mercato?17

La risposta degli studenti si farà attendere appena un giorno. Il venti dicembre è una giornata che segna uno spartiacque per il movimento. Questa prima manifestazione studentesca a Palermo è una sorta di banco di prova che gli studenti superano oltre ogni previsione. Le cifre non sono condivise, si va dai cinquemila dichiarati dal “Giornale di Sicilia“ ai diecimila sparati da “Repubblica”, e sarà quest'ultima la cifra che rimarrà impressa nelle cronache degli studenti palermitani; comunque una inaspettata prova di forza di una popolazione studentesca da sempre considerata ai margini delle attività politiche accademiche e che d’un tratto riscopre il gusto di scendere in piazza.18

Sempre di più Palermo divenne punto di riferimento nazionale: slogan come “I nostri sogni, le nostre tensioni non hanno bisogno di sponsorizzazioni” sintetizzano la lucidità con cui gli studenti avanzavano le proprie richieste, in primis una legge sul diritto allo studio, spazi per lezioni e socialità, un forte no all’ingresso dei privati nel finanziamento alla ricerca di base ed avanzata e un’altro chiaro no alla marginalizzazione delle facoltà umanistiche; tutte questioni capaci di riverberarsi facilmente al di là dell’ateneo isolano.

I palermitani temevano la sedimentazione di una gerarchia interna delle Università, che avrebbe premiato quelle che meglio avrebbero saputo specializzarsi e più in grado di attrarre capitali privati. Tutti hanno chiaro che il rubinetto statale sta per

17 ibidem

18 Un raffronto sui numeri: secondo il settimanale “L’Espresso” l’Ateneo palermitano contava nel 1989

circa 40.000 iscritti. È quasi superfluo sottolineare che il corteo studentesco fu un segnale molto forte per i vertici universitari.

(18)

18

chiudersi e che le sole facoltà che sapranno resistere alla crisi di fondi saranno quelle con maggiori agganci con gli apparati produttivi territoriali e, in una terra in cui l’unico vero apparato territoriale era (ed è) costituito dalla mafia, questo avrebbe significato la legittimazione formale all’ingresso della malavita organizzata nel consiglio d’amministrazione dell’Università.

La giornata del 20 è anche quella in cui il Ministro Ruberti per la prima volta diede una risposta agli studenti occupanti, stanziando 554 miliardi di lire a favore dell’edilizia studentesca, considerando questa “la migliore risposta a coloro che protestano e si dicono preoccupati perché il ddl sull’autonomia prefigura un disimpegno da parte dello Stato”19.

La presa di posizione del Ministro nei confronti della protesta studentesca non sconvolge il movimento, anzi. La risposta a Ruberti è dissacrante, celere ed efficace:

Caro Ministro,

Lei non ha capito nulla!

La sua dichiarazione alla stampa è stata accolta in assemblea d’ateneo con gioia, anzi con immensa letizia, anzi tra le più matte risate. Che bello: dopo venti giorni si è accorto di noi!

Dalle nostre parti si dice meglio tardi che mai, ma forse questa volta bisognerebbe dire, meglio mai che tardi.

Che figura, caro Ministro di questa Repubblica!

Ma davvero lei pensa che gli studenti universitari palermitani abbiano chiesto qualche miliardo in più (che in realtà non ci dà, perché sono soldi già nostri cioè del Ministero del Mezzogiorno)?

Spiacenti, questa sarà la sua logica, secondo la quale i bisogni possono essere monetizzati, ma non è la nostra!

Noi ci stiamo battendo per la libertà di ricerca e di pensiero.

Per questo Lei non può fare altro che ritirare il Suo disegno di legge. A chi è d’accordo con noi chiediamo di mobilitarsi.

Sappiamo altresì che al di là del Suo disegno di legge i problemi di gestione restano aperti, ma noi siamo pronti ad affrontarli.

La sua risposta ci ha convinto ancora di più: bisogna andare avanti nella lotta. CHE IL FIAMMIFERO DA NOI LANCIATO PRODUCA UN INCENDIO! e speriamo che, questa volta, non ci scambi per piromani.20

19 Edilizia: 445 miliardi al Sud, Giornale di Sicilia del 21/12/1989 (non firmato)

(19)

19

La manifestazione fornì slancio agli studenti, che in quei giorni organizzarono un Capodanno del tutto particolare, dentro le facoltà occupate, che divenne polo d’attrazione per gli studenti non solo di Palermo, ma anche delle altre città italiane, da dove partirono delegazioni di studenti. In un certo senso il Capodanno fu proprio il fiammifero che fece divampare la protesta nel resto d’Italia.

Nel frattempo le facoltà universitarie si arricchiscono delle produzioni culturali, cominciano a partire forme di didattica alternativa che si struttureranno via via nel corso del 1990. Fisica e Scienze Politiche sono le prime facoltà ad organizzare dei seminari autogestiti, mentre Architettura inizia a riempirsi di murales, che alla fine saranno oltre un centinaio, e che rappresenteranno una delle produzioni culturalmente più avanzate del movimento21.

Capodanno fu certamente un’occasione fondamentale per la diffusione del movimento nel resto del Paese. Studenti bolognesi, romani, genovesi poterono riportare nelle loro città l’esperienza di un movimento solido, che era riuscito a tenere vive le facoltà anche durante le vacanze, pieno di idee e di voglia di fare esperienza. L’esperienza della festa ebbe di certo grossa importanza nell’opinione che il resto d’Italia si fece di Palermo: si trattò di un momento di massa, creativo, con un corteo carnascialesco per le vie di Palermo, cene sociali e concerti in molte Facoltà.

2.3 I quotidiani e i periodici

Gli studenti palermitani dovettero affrontare le difficoltà delle prime occupazioni praticamente da soli, e dovettero inventare un qualche modo di relazionarsi con la stampa, dovendo intervenire spesso per correggere la disinformazione che i giornali, in buona e in malafede, producevano quotidianamente.

Palermo all’epoca aveva due quotidiani locali: il “Giornale di Sicilia” e “L’Ora”, che tradizionalmente erano la voce della destra e della sinistra cittadina.

indicata, ma presumibilmente si tratta del 21/12/89.

21

Sulla creatività degli “architetti”, cfr. Grafotoribelli. Immagini e documenti dell’occupazione della

(20)

20

Se da un lato il “Giornale di Sicilia” è da sempre l’espressione degli interessi forti della città, in quegli anni era ancora viva l’esperienza di uno dei quotidiani più interessanti della storia del giornalismo italiano, “L’Ora”.

L’Ora, giornale del pomeriggio, è stato per lungo tempo uno dei quotidiani più scomodi d’Italia. Fu il primo quotidiano italiano ad avviare un’inchiesta sulla mafia negli anni ‘50, quando buona parte della stampa italiana preferiva affermare che “la mafia non esiste”, e per questo motivo si trovò una bomba fra la sede e la tipografia. È il quotidiano che nella storia d’Italia ha avuto il numero più elevato di giornalisti uccisi (ben tre, Cosimo Cristina, Giovanni Spampinato, Mauro de Mauro) a causa delle inchieste che i suoi reporter portavano avanti e grazie alla guida di Vittorio Nisticò, una figura storica del giornalismo indipendente italiano. Infatti, sebbene finanziato dal PCI, l’Ora riuscì sempre a mantenere una linea editoriale autonoma dalle direttive del partito22.

Nel 1989 comunque, il giornale viveva la fine della sua parabola discendente, dopo una serie di cambi gestionali e di redazione che ne avevano minato alla base le capacità giornalistiche. Ma, seppure in forte perdita di lettori23 questo quotidiano

dalla storia così particolare non perdeva stimoli: infatti, poco prima che la facoltà di lettere entrasse in occupazione, fu assunta una giovane giornalista, Titti de Simone24,

studentessa di lettere, che insieme ad un nucleo di giovani giornalisti, ricoprì il ruolo del tutto inedito di cronista ed occupante nello stesso tempo.

Si può dire che gli atteggiamenti dei due quotidiani nei confronti del movimento partirono da un concetto opposto e si mantennero tali per tutta la durata della protesta. Ma andiamo con ordine, evidenziando i titoli sulle occupazioni che i due quotidiani pubblicarono durante il mese di dicembre fino alle vacanze natalizie, provando così a seguire un filo di analisi delle differenti linee editoriali:

22 Tutte le notizie storiche su “L’Ora” fanno riferimento a Vittorio Nisticò, Accadeva in Sicilia – gli anni

ruggenti dell’”Ora” di Palermo 2° ed. 2001, Sellerio editore, Palermo.

23 Stiamo parlando comunque di un piccolo quotidiano. In quel periodo i lettori oscillavano fra i 6.000 e

gli 8.000.

24Titti De Simone è nata il 15 febbraio del 1970 a Palermo. Diplomata, giornalista professionista (è stata

redattrice del quotidiano L'Ora del capoluogo siciliano) vive e lavora a Bologna. Ha partecipato al movimento studentesco della Pantera, ha militato nel volontariato giovanile e nell'ARCI, contribuendo alla realizzazione di numerose iniziative di lotta alla mafia e contro il razzismo. Antiproibizionista, impegnata nella mobilitazione delle associazioni e dei gruppi di donne per i diritti civili e contro la guerra, fa parte del coordinamento italiano della Marcia Mondiale delle donne. E' attivista del movimento omosessuale da oltre dieci anni ed è fondatrice dell'associazione ArciLesbica di cui è presidente nazionale dal 1996. (tratto da www.women.it/tittidesimone/)

(21)

21 Gds (6-31 dicembre)

Occupata la facoltà di Lettere

Università, si allarga la protesta studentesca

Università, lettere rimane bloccata Scienze Politiche, occupazione sospesa All’Università ancora proteste e occupazione

Università, l’assemblea degli studenti “Stato di agitazione in tutte le facoltà” Università: mal di burocrazia

Palermo, ieri occupate altre tre facoltà I presidi appoggiano la protesta

Università: “solidarietà sospette” Studenti contro le strumentalizzazioni Ateneo, studenti al lavoro

Gli universitari scendono in piazza Università, un Natale di occupazione Università, la protesta si allarga Facoltà occupata, fantasia liberata Biologia, occupazione sospesa “Studenti, non sto con voi”

Dura pochi giorni la pretesa neutralità del Giornale di Sicilia: dopo i primi articoli di cronaca il giudizio sulla protesta è affidato all’intervista al rettore Ignazio Melisenda Giambertone e si riassume nel “mal di burocrazia” tipico del Meridione e della Sicilia in particolare, sul quale il rettore Melisenda si concentra tendendo a ridimensionare la protesta studentesca ad una vacua opposizione contro la farraginosità della struttura amministrativa universitaria. Afferma infatti nel sottotitolo che ”Spesso è anche difficile risolvere problemi apparentemente molto semplici” riguardo le aule, le biblioteche, gli spazi di aggregazione interna e, anticipando le posizioni del Senato Accademico, che il giorno dopo esprimerà solidarietà agli studenti in lotta.

Sembra sempre che l’interesse maggiore sia quello di comunicare la disponibilità del potere accademico verso le richieste degli studenti, allo scopo di facilitare un pronto

(22)

22

ritorno all’ordine dell’Università. Non vengono quasi mai chiariti i contenuti della protesta, più o meno come nei mesi successivi accadrà per il movimento nazionale. L‘intervista si estende per ben cinque colonne, mentre solo una colonna laterale è dedicata ad un trafiletto che dà conto dell‘occupazione di altre tre facoltà, segno che la protesta non è proprio vicina alle posizioni del Magnifico, di cui gli studenti cominciano a chiedere la testa. Per tutta risposta, il Rettore dichiara che “la valutazione degli studenti non può non riferirsi anche al reale volume delle attività dell’amministrazione universitaria, seppure i risultati non sono ancora tutti evidenti e fruibili”.

È un canovaccio che conosciamo bene: il Rettore preferisce non rispondere direttamente alle accuse che muovono nei suoi confronti gli studenti (e che nell’articolo non vengono esplicitati) di sostanziale connivenza con il progetto di trasformazione dell’Università.

Fino a quando il movimento non avrà un nome (ma, in altre forme, anche dopo), il Giornale di Sicilia preferisce non dare un soggetto ai titoli degli articoli: si parla sempre dell’Università, si usano gli impersonali (Occupata tale Facoltà…), ma, almeno nelle intestazioni si preferisce non connotare le manifestazioni di protesta con soggetti concreti; all’interno degli articoli in generale si può sostenere che la narrazione dell’escalation delle occupazioni è accompagnata dalla puntuale sottolineatura dei tratti di divisione tra gli studenti, per dimostrare come le occupazioni siano rette da una parte minoritaria della popolazione universitaria. Ad ogni voce del movimento infatti viene opposta quella dei cattolici popolari, o dei giovani socialisti che per tutto il primo periodo della protesta si posizioneranno sulla condivisione dei contenuti, ma non della forma-occupazione.

Il Giornale di Sicilia non dà sempre conto correttamente delle iniziative degli studenti; sebbene cominci a tenere una rubrica (“Agenda di una agitazione”) quotidiana sugli eventi organizzati nelle singole facoltà. Per esempio, la lettera aperta degli studenti al Ministro Ruberti25 non viene riportata integralmente al

contrario di quasi tutti gli interventi dei docenti universitari favorevoli alla riforma, che nel Giornale di Sicilia troveranno la propria sponda. Emblematico è il caso dell’intervento al prof. Franco lo Piparo, ordinario di Filosofia del linguaggio, che

25

(23)

23

dichiara l‘ultimo dell‘anno: “Cari studenti non sto con voi”, e che ha tre colonne per spiegare il motivo della sua posizione personale. Insiste sull’inutilità di schierarsi sullo schema “privato sì, privato no”, perché “vi mettereste fuori dalla storia”. Si interroga se“il fascismo non fu inizialmente anch’esso un bel movimento” e spera che gli studenti siano abbastanza intelligenti da non “passare alla storia […] come l’unica nota stonata di questo straordinariamente innovativo Ottantanove”.

La replica degli studenti dovrà attendere fino al 3 gennaio, quando il Giornale di Sicilia pubblicherà in cronaca la lettera di risposta al professore, e non avrà lo stesso spazio. Gli studenti hanno però una delle prime possibilità di chiarire le loro posizioni sull’ingresso dei privati nella ricerca, e chiedono al professore “prima di parlare di noi, di parlare con noi”.

Probabilmente il Giornale di Sicilia fu il maggiore responsabile della creazione di un Centro stampa autonomo degli occupanti.

L’Ora (6-31 dicembre)

Occupata Lettere Tre facoltà occupate

Università occupata: il Senato con gli studenti La rivolta senza urla

Occupazione all’Università ma medicina si tra indietro Confusione e rabbia

La protesta degli studenti esce dall’Ateneo occupato L’università per strada

“Ministro, che figura”

Gli studenti:”Caro Ruberti, non vogliamo i tuoi soldi” La rivolta di Magistero: “Non abbiamo una sede” Un Natale in facoltà

Brindisi di mezzanotte nelle facoltà occupate Riprendiamoci l’Università

Idee, sogni e progetti senza sponsorizzazioni Gli studenti fra feste, sogni e tanti progetti

(24)

24

Un giornale e gli studenti “Venite tutti con noi” Capodanno in facoltà

Sin dall’inizio il quotidiano L’Ora ebbe una funzione particolare nel raccontare le occupazioni: non si pose mai come “voce” del movimento studentesco, ma preferì esprimere le posizioni di quella parte di opinione solidale nel giudicare errate le trasformazioni del mondo universitario e di stare sostanzialmente dalla parte degli studenti.

Le prime definizioni del movimento escono proprio dalle rotative dell’Ora: “La rivolta senza urla” fu una frase che colse nel segno di un movimento che, alle sue prime battute, non disdegnava il confronto con l’esterno e che aveva una cura maniacale verso il proprio ordine interno26.

L’Ora riesce degnamente a dare notizia degli eventi politici più importanti del dicembre studentesco, che sono l’assemblea di ateneo del 16/12, la manifestazione del 20/12, la lettera aperta al Ministro Ruberti del giorno dopo, ma anche a dare notizia dei fallimenti degli studenti.

Per esempio l’articolo dedicato all’Assemblea d’Ateneo è intitolato “Confusione e rabbia27”, e punta a sottolineare la sterilità delle discussioni di un’assemblea

protrattasi quattro ore senza che fosse capace di arrivasse ad una posizione sulle mobilitazioni a venire.

La maggior parte degli editoriali puntano a comprendere le posizioni studentesche invece che affossarle a priori. L’immagine che l’Ora riesce a dare della situazione dentro l’Università è certamente più limpida e acuta di quanto non accadrà nella maggioranza dei quotidiani nazionali e locali.

Questi ragazzi vogliono ribellarsi alla “strada berlusconiana” tracciata da Ruberti per l’Università, vogliono rivendicare aule, biblioteche, fondi per la ricerca e posti di lavoro adeguati. E questi obiettivi (scanditi con convinzione durante il corteo) ce li hanno ben chiari, senza tentennamenti e senza bisogno di omologarsi

26 È importante riferire che soprattutto nelle altre città i palermitani erano visti come i più “burocrati” di

tutti, anche se la qualità dell’organizzazione interna fu un elemento comune a quasi tutte le occupazioni.

27 Mauro Merosi, Confusione e rabbia, in “L’Ora” del 19/12/90. Il sottotitolo recitava:<<L’assemblea

delle facoltà non è riuscita a tirare le somme di 14 giorni di protesta. Quattro ore di discussione e nulla di concreto>>

(25)

25 all’ombra di ideologie massimaliste28

Verso la fine di dicembre l’Ora si fece promotore di una iniziativa giornalistica che rimarrà quasi irripetuta nello scenario editoriale italiano: offrì agli studenti una pagina settimanale, sotto la cura tecnica della redazione, pur continuano a fare cronaca e a commentare indipendentemente le iniziative degli studenti:

“L’uno e l’altro impegno - fornire gli spazi per una informazione autonoma, fare la nostra parte assumendoci le responsabilità che spettano ad un giornale radicato nella vita della città e della gente - rientrano in quella informazione di servizio, al servizio di tutti, che è nel programma de L’Ora e che sempre più vogliamo realizzare nella pratica quotidiana“29

2.4 Gennaio da Palermo al resto d’Italia: i media si accorgono della

protesta

Il movimento palermitano aveva bisogno di avere uno sbocco nazionale per proseguire la sua battaglia sul ritiro del progetto Ruberti e per questo motivo gennaio è il mese dell’allargamento del fronte in tutta Italia, grazie ad un uso talvolta spettacolare degli strumenti di comunicazione di massa, in particolare la televisione.

Gennaio è il momento in cui le facoltà palermitane stilano ognuna dei resoconti sullo stato dell’occupazione, nelle quali approfondiscono le emergenze strutturali da affrontare, spesso stilando delle vere e proprie “richieste” nei confronti del Consiglio di Facoltà, come nel caso degli studenti di Scienze. Queste “richieste” contribuiscono a rafforzare l’ossatura del movimento su questioni concrete e a creare coesione interna, con una serie di spunti all’analisi generale, che viene però in genere demandata all’assemblea d’Ateneo.

La Facoltà di Lettere ebbe un ruolo del tutto particolare in proposito, perché la maggior parte degli spunti assunti dal movimento palermitano e che si propagarono

28

Gian Mauro Costa, Il loro diritto di essere curiosi, in “L’Ora” del 21/12/1989, è il commento alla prima manifestazione cittadina degli studenti.

29

(26)

26

in tutto il Paese provennero da lì.

Gennaio è il mese in cui sia gli studenti di tutta Italia, sia altre categorie, in particolare i ricercatori e i dottorandi, “si accorgono” della protesta in atto a Palermo e decidono di cominciare un percorso di lotta.

Ma non solo: gennaio è anche il mese in cui i quotidiani strutturano sempre più la loro linea editoriale nei confronti del movimento, secondo il canovaccio degli ultimi giorni di dicembre.

Un editoriale comparso sull’”Ora” evidenzia dall’inizio come alcuni quotidiani intendono leggere i fatti di Palermo:

Il peggio che poteva capitargli, agli studenti che da un mese occupano alcune Facoltà palermitane, era di dover fare i conti con le astuzie mistificatrici del linguaggio. Perché, in tutta la complessa vicenda, un dato emerge con evidenza indiscutibile: non di studenti universitari si tratta, e neppure di studenti tout court, bensì di ragazzi: magari “ragazzi dell’89”, ma pur sempre prioritariamente, irrimediabilmente “ragazzi”. Così li definisce la stampa in maniera ormai convenzionale […], così ne parlano i professori (“condividiamo tutto dei ragazzi”), così li evocano i padri di famiglia […].

E che cosa ci si può attendere, dai ragazzi? Insulti, contestazioni, messa in crisi del principio d’autorità, durature ribellioni, modificazione dell’esistente? Nient’affatto: dai “ragazzi” è lecito attendersi delle “ragazzate”, irrilevanti, veniali, persino “simpatiche”30

E questa analisi sarà destinata ad avere molto seguito, soprattutto nel momento dell’esplosione della contestazione studentesca.

Ad ogni modo, sono tre gli “eventi” da narrare della prima parte di gennaio che possono aiutare a capire la necessità di allargare il movimento oltre la Sicilia: la lettera aperta agli studenti delle università italiane, ma soprattutto due casi giornalistici, che assumono presto toni sensazionalisti: la copertina dell’Espresso del 14/01 e la puntata della trasmissione televisiva “Samarcanda” del 18/01 dedicata alle occupazioni studentesche.

Sono tre momenti molto diversi l’uno dall’altro, e sono tre modi diversi con cui il movimento prova a trovare consenso al di fuori del capoluogo siciliano.

30 Salvatore Nicosia (professore di letteratura greca a Palermo), Se l’astuzia è nelle parole, in “L’Ora” del

(27)

27

Un inciso, non meno importante, riguarda l’incontro fra il movimento studentesco ed i rappresentanti di alcuni partiti presenti nell’ARS.

Un’idea lanciata da Giurisprudenza, che intendeva istaurare un dialogo con i partiti interessati a sviluppare una legge regionale sul diritto allo studio. All’appello degli studenti risposero Dc, Psi, Pci, Msi e Verdi Arcobaleno; l’incontro fu fissato per il 16/01/90 nell’aula Tian-An-Men-Intifada, nel giorno che vide l’occupazione di Chimica a Palermo e della prima facoltà fuori dalla Sicilia, quella di Lettere a Roma. Leggiamo a proposito qualche stralcio del resoconto del “Giornale di Sicilia”:

Incontrarsi e dirsi addio. Il confronto con i politici non ammalia gli studenti: né i partiti di governo né le opposizioni ricevono favori particolari. A chi fa promesse il movimento risponde “no grazie”, a chi cerca di salire sul carro dell’occupazione vengono chiesti impegni concreti per la battaglia sul diritto allo studio.

Il primo incontro con le forze politiche […] si risolve con una mozione al presidente dell’Ars, Lauricella. Si chiede una seduta , entro il mese, dedicata ai problemi dell’università. E ai partiti, dopo una raffica di critiche, si impone di ripartire da zero sul diritto allo studio.

Per il movimento sono “gusci vuoti” tutti e quattro i disegni di legge in attesa di arrivare in aula […] (tutti dell’aprile ’87)[…]. Il movimento critica i quattro disegni di legge perché “vanno rivisti nella loro intera filosofia falsamente egualitaria… di erogazioni vincolate ad una logica assistenziale”31.

Ad uno ad uno si susseguirono i rappresentanti dei partiti, a cui va comunque dato atto di essere stati capaci di portare le loro idee (caso unico, probabilmente storico) nella “tana” del movimento, e con esso di confrontarvisi a viso più o meno aperto. Ad ogni modo per gli studenti questa assemblea segna il definitivo distacco da ogni “delega” nei confronti dei partiti e l’apertura di un fronte istituzionale nella battaglia per una legge sul diritto allo studio.

Passiamo agli altri fronti. Memori del capodanno universitario, i palermitani lanciano una lettera aperta agli studenti delle Università italiane che punta a svelare il progetto Ruberti agli occhi degli studenti. Ruberti vuole privatizzare l’Università e imbavagliare la ricerca, vuole discriminare e dividere gli studenti creando università di serie A e di serie B e allo sesso tempo ne propone la gestione ai soli ordinari,

31 Francesco Deliziosi, I partiti agli studenti “Siamo con voi” Scettica l’assemblea: “Dimostratelo”, in

(28)

28

marginalizzando le altre componenti universitarie.

L’obiettivo dei palermitani è smascherare il carattere demagogico delle critiche alla Università pubblica, e valorizzare lo strumento dell’occupazione come mezzo utile a favorire un’identità studentesca forte e coesa, in grado di opporsi allo smembramento in atto dell’Università.

Bisogna inoltre smascherare il carattere demagogico della strenua difesa del collegamento che questi progetti renderebbero più saldo tra Università e mercato del lavoro. Si sostiene infatti che l’istituzione universitaria debba fornire una preparazione adeguata all’accesso al mercato del lavoro, tacendo il fatto che è lo stesso mercato del lavoro a dettare le leggi della preparazione.

È opportuno sottolineare che è proprio l’occupazione lo strumento che ci ha permesso di conquistare e creare spazi, luoghi ed occasioni per conoscerci e confrontarci. Abbiamo constatato come sia disgregato il nostro sapere, come il nostro stesso pensiero sia frantumato e mutilato dall’assenza di occasioni di confronto e di scambio. Abbiamo riscoperto il valore del gruppo come insieme di persone che pensano, lavorano e si confrontano collettivamente, invertendo il processo di atomizzazione e disgregazione sociale in atto.32

Gli studenti palermitani puntano il dito soprattutto contro l’inettitudine della classe politica, spesso incapace di gestire adeguatamente il patrimonio pubblico; un patrimonio che, nel caso dell’Università, rischia di trasformarsi in una inaspettata manna dal cielo per i privati.

Imputando il fallimento della gestione della cosa pubblica al suo essere, appunto, pubblica, ci si ritiene autorizzati a svenderla ai privati.

Noi invece riteniamo che la principale causa dello sfascio dell’Università stia in chi l’ha gestita e nelle procedure di gestione.

Vent’anni fa, con l’aperture degli accessi, si è affermato retoricamente il principio dell’”Università di tutti”.

Ma all’affermazione di questo principio non ha fatto seguito alcuna seria politica di adeguamento delle strutture giuridiche, didattiche e tecniche. Di fatto questo diritto non è stato garantito.

Troppo comodo oggi coprire l’incapacità della classe politica di dotare l’Università pubblica di strumenti adeguati a nascondere la responsabilità dei singoli

32 Assemblea d’Ateneo di Palermo, Lettera aperta agli studenti dell’Università italiana, approvata dalla

(29)

29 amministratori dietro il preconcetto che è il suo essere pubblica e di massa a

determinarne lo sfascio.

Affermiamo quindi la necessità di un percorso di rifondazione dell’Università pubblica e di massa che realizzi al suo interno una ricerca libera da qualsiasi condizionamento, una gestione democratica e paritetica tra le componenti, percorsi formativi culturalmente e socialmente qualificati.

Su tutto questo crediamo che valga la pena di riflettere collettivamente:

CREIAMO GLI SPAZI, RIPRENDIAMOCI L’UNIVERSITÀ 33

Alla “storica” opportunità per il capitale di entrare nel mondo della ricerca dalla porta principale come finanziatore fondamentale delle ricerche gli studenti oppongono la necessità di trasformare l’Università in senso integralmente opposto, rivalorizzando la gestione pubblica come unico modo per garantire spazi di critica concreti:

[…]l’Università è uno dei luoghi privilegiati della formazione culturale: la cultura non è un’insieme di nozioni; la cultura nasce dalle coscienze dell’individuo sul proprio “essere nel mondo”, sul proprio ruolo sociale. Per questo l’Università non può e non deve essere il luogo dell’omologazione e del pensiero che replica se stesso, ma deve garantire una critica diversità.

È a partire da questa idea di Università che prende sostanza e forma la nostra lotta[…].34

Una lotta che i palermitani puntavano con questa lettera a portare in tutta Italia, ritenendo che solo un movimento nazionale potesse bloccare questo provvedimento. Due giorni dopo comparì sul settimanale “L’Espresso” il primo speciale sulle occupazioni palermitane, a cui viene dedicato ampio spazio: “Contestazione ’90” è l’apertura di prima pagina, “perché nasce il nuovo movimento studentesco” recita il sottotitolo. Nell’interno cinque pagine di servizio, una tabella sull’affollamento delle Università italiane, un’intervista a Ruberti sulle riforme, ma soprattutto resoconti sulle giornate palermitane, sulla vita dentro l’occupazione; i contenuti della protesta vengono sintetizzati in breve, ma ci sono, così come ci sono a fare da pendant le occupazioni dei licei romani, che vengono accusate di essere spalleggiate dai

33 ibidem 34 ibidem

(30)

30

genitori ex sessantottini (e questo sarà l’unico riferimento diretto al sessantotto di tutto il servizio).

L’uscita di questo numero de “L’Espresso” ebbe forti ricadute sugli studenti di tutta Italia, perché per la prima volta c’era la possibilità di riflettere attorno ad alcuni elementi certi, meno ampollosi dei documenti ufficiali e meno vaporosi dei resoconti individuali del Capodanno palermitano, e tuttavia in grado di trasmettere i nodi essenziali della protesta e di riuscire a far presa sugli studenti.

Considerando che del movimento studentesco non si hanno notizie se non dopo la pubblicazione di questo speciale, possiamo dire che “L’Espresso” ha contribuito alla diffusione della protesta, ma non alla sua esplosione. Con il suo stile narrativo non poneva una scelta se “stare con gli studenti occupanti oppure no”, anche se il taglio da “vita vissuta” dell’articolo ha provocato indubbie fascinazioni sulle occupazioni di Palermo.

Nonostante forti dosi di retorica ed estremismo, […] gli studenti di Palermo muovono da disagi reali, da situazioni di studio vistosamente inique e affrontano problemi concreti e di interesse generale. Primo fra tutti il di segno di legge Ruberti […]. Ma gli studenti occupanti, ignorandone le qualità generali, si accaniscono contro alcuni punti controversi: lo “strapotere dei professori ordinari” nel consiglio di amministrazione; il Senato degli studenti con funzioni meramente consultive, ritenuto una forma di “ghettizzazione”, l’introduzione del diploma universitario[…]; e, soprattutto, la “chiara intenzione di privatizzare l’Università” […], tra cui la possibilità per enti e industrie private che abbiano stipulato contratti di collaborazione, di accedere al consiglio di amministrazione.35

Alla cronaca delle occupazioni il servizio opponeva un intervista al ministro Ruberti, che inveiva contro chi lo accusa di contribuire al deterioramento dell’istruzione superiore italiana. Affermava infatti di essere sorpreso da queste proteste, alla luce di un processo di riforma che una volta tanto “procede non con i decreti legge, ma con un progetto da discutere in Parlamento”36

Il movimento fu lungamente attaccato dai cattolici popolari37 per questo servizio,

35 Enrico Arosio, “Contestazione ‘90”, in “L’Espresso” del 14/01/1990, n.2

36 Cristina Mariotti, “È una stagione di grandi riforme”, colloquio con Antonio Ruberti, in “L’Espresso”

cit.

37

Il movimento dei cattolici popolari, assolutamente preponderante all’interno degli atenei italiani per tutti gli anni 80, cercò di opporsi alla crescita del movimento con risultati sempre peggiori; a Bologna

(31)

31

soprattutto dai controccupanti del Nord Italia, impegnati a dimostrare come il movimento fosse una macchina pompata dai giornali della “sinistra” piuttosto che una testimonianza della reale speranza e volontà di cambiamento della struttura universitaria.

Si tratta comunque di un momento importante per la protesta contro la Ruberti e dà la misura dell‘importanza del fattore mediatico per il movimento, assieme alla trasmissione televisiva “Samarcanda” del 18/01/1990.

La trasmissione era organizzata come un dibattito tra lo studio, dove erano presenti tre giornalisti di “Corriere della Sera”, “Manifesto” e “il Giornale”, e le Università occupate di Palermo e Roma, in un contesto assolutamente particolare.

Infatti, solo da poco la protesta si era estesa nelle Università di Roma, Camerino e Genova, mentre nelle altre facoltà apparivano i primi segni di malumore; il tono usato da Michele Santoro (conduttore della trasmissione) era quello trionfalistico della “diretta dal Movimento ‘90”, attraverso una trasmissione “impensabile” addirittura fino a poco tempo prima, sebbene il Movimento fosse presente ancora in poche città.

La trasmissione documentò a milioni di telespettatori le idee degli studenti universitari, che ancora non avevano trovato uno spazio all’interno dell’informazione ufficiale, e dimostrò la dirompenza dello strumento televisivo per le esigenze del movimento. Ecco un brano de L’Ora di Palermo sulla diretta:

Mille studenti assiepati nell’aula [Tian-An-Men-Intifada, ndt] hanno salutato così i colleghi di tutte le Università d’Italia travolte, in queste ore, dall’ondata di contestazione contro il disegno di legge Ruberti. […] La trasmissione di Rai 3, ha unito con un filo simbolico due fronti della protesta: l’ateneo romano e quello della nostra città. Un’altra lunghissima ovazione ha seguito le immagini del sit-in di ieri pomeriggio, a palazzo d’Orléans. Tremila universitari palermitani hanno bloccato l’auto blindata del presidente del Consiglio Giulio Andreotti, che si recava in visita al capo del governo regionale Rino Nicolosi. I ragazzi hanno contestato il “blitz” di Andreotti, giunto a Palermo per inaugurare la “scuola d’eccellenza”, che ha sede nei saloni del castello Utveggio. “Il presidente del Consiglio - ha detto [uno] studente di

furono i promotori di un cartello di sigle (“Proposta Universitaria”) che comprendeva i movimenti giovanili di molti partiti (PRI, PLI, PSI, MSI, più ovviamente quello della DC), che sfociò poi nel movimento nazionale denominato “Pantera Rosa” in opposizione alla “Pantera Nera” degli occupanti, con l‘obiettivo di contrastare gli studenti occupanti sul loro terreno. I documenti a riguardo sono pochi e, in ogni caso, la “Pantera Rosa” è stata molto più sulle pagine dei quotidiani che dentro le facoltà, anche

(32)

32 Scienze - viene qui a presenziare cerimonie nelle scuole d’élite, proprio mentre noi

lottiamo per il diritto allo studio […]. Dopo la manifestazione anti Andreotti, gli studenti hanno riempito l’aula Intifada per il collegamento televisivo. Le telecamere hanno inquadrato gli striscioni, i murales, le scritte tracciate sui pannelli preparati dal movimento.38

Un caso nacque dallo scontro verbale fra Mario Cervi, giornalista de “Il Giornale”, e una studentessa di Palermo. Il giornalista accusò gli occupanti di discriminare le altre fazioni studentesche, in particolare cattolici popolari e giovani socialisti e per tutta risposta l’assemblea palermitana lo subissò di cori “scemo, scemo”. Una studentessa intervenne rivendicando che “l’informazione sulla legge Ruberti la stiamo facendo noi, mica lei che parla tanto”. Gli studenti spostarono il dibattito sulle distorsioni dell’informazione ufficiale, fino ad accusare il giornalista de “Il Giornale” di “informazione fondamentalmente fascista39”.

Due milioni e mezzo di persone seguirono il dibattito in televisione.40 Da questo

momento in poi esplosero occupazioni in tutta Italia, i giornali iniziarono a parlarne ogni giorno scatenando i loro migliori editorialisti e mandando cronisti laddove potevano. Dal generalizzato silenzio stampa sulle proteste universitarie si passava quindi alla fase dell’enfatizzazione41 del movimento, ad una incredibile

sovrabbondanza di interventi, opinioni, cronache su scala nazionale secondo il canovaccio già sperimentato a Palermo.

2.5 Una prima impressione

Nel dicembre palermitano (e nelle due prime settimane di gennaio) ci sono già i caratteri di quello che sarà il movimento studentesco nazionale. Quel mese e mezzo in occupazione solitaria farà di Palermo il vero “cuore pulsante” del movimento;

dopo la fine delle occupazioni.

38 Titti de Simone, Protesta in diretta, in “L’Ora del 19 gennaio 1990.

39 L. Colace - S. Ripamonti, Il circo e la Pantera, i mass media sulle orme del Movimento degli studenti,

ed. Led, 1990, pag. 73.

40 Titti de Simone, 2 milioni e mezzo di spettatori per la diretta di “Samarcanda” , in L’Ora del 20

gennaio 1990.

41 L. Colace - S. Ripamonti, op. cit. In questa inchiesta, uscita poco dopo la “fine” mediatica del

movimento, i rapporti fra stampa e movimento studentesco vengono divisi in tre fasi: il silenzio, l’enfatizzazione, la stroncatura.

Figura

Figura 1 Occupazione di Lettere a Palermo. La scintilla del movimento. Fonte: CD-ROM.
Figura 2 Lettera al Ministro Ruberti dopo la manifestazione  del 20/12/89. Fonte: CD-ROM
Figura 3 Poesie dell'occupazione di Palermo fonte: CD-ROM.
Figura 4: Finta prima pagina del “Giornale di Sicilia”. Fonte: CD-ROM.
+7

Riferimenti

Documenti correlati

Il Movimento Italiano ha inviato a tutti i soci il programma dettagliato del pros- simo Convegno Nazionale dei Movimenti e dei Centri di Aiuto alla Vita, Case di Accoglienza durante

Ancora oggi, come sappiamo, i pareri su quella lunga stagione sono contrastanti; personalmente, ritengo che prima di tutto, alla base, esistevano istanze sociali e comportamentali

Selezione in base alla valutazione sulla validità culturale e sociale da parte della Facoltà di afferenza del Gruppo Studentesco; Valutazione da parte della Commissione per la

Selezione in base alla valutazione sulla validità culturale e sociale da parte della Facoltà di afferenza del Gruppo Studentesco; Valutazione da parte della Commissione per la

Selezione in base alla valutazione sulla validità culturale e sociale da parte della Facoltà di afferenza del Gruppo Studentesco; Valutazione da parte della Commissione per la

Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia

Si comunica che è stata indetta la riunione del Comitato Studentesco, Giovedì 17/12/2020 dalle 10:15 alle 11:45 in modalità online.. Alla riunione parteciperanno, come

La situa- zione è ancor più difficile nella nostra Regione per le ataviche problematiche della nostra sanità, caratterizzate dalla carenza del personale, dalla vetustà