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SELEZIONE MEDIANTE IPOSSIA PROFONDA DI CELLULE PROGENITRICI RIPOPOLANTI MEDIANTE COLTURE PRIMARIE DI CELLULE MIDOLLARI DI MDS

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Sommario

Introduzione...2

Le Sindromi Mielodisplastiche...2

Alterazioni cromosomiche nelle Sindromi Mielodisplastiche...6

Emopoiesi normale e mielodisplastica...10

Emopoiesi normale...10

Emopoiesi mielodisplastica...13

La cellula staminale mielodisplastica...20

Ipossia e Leucemie...22

Ipossia e SMD...28

Materiali e Metodi...30

Cellule e colture cellulari...30

Saggio CRA...31

Valutazione del numero di cellule vitali...32

Allestimento colture in terreno semisolido...32

Analisi dell'immunofenotipo...33

Methylation-Specific polymerase chain reaction...34

Immunocitochimica...36

Analisi FISH (Fluorescent in situ hybridization)...37

Scopo della Tesi...40

Risultati e Discussione...41

Conclusioni...77

Bibiliografia...82

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INTRODUZIONE

LE SINDROMI MIELODISPLASTICHE

Le Sindromi Mielodisplastiche (SMD) sono comunemente definite patologie ematologiche di origine clonale, caratterizzate da ematopoiesi inefficace con displasia cellulare e forte rischio di trasformazione in leucemia mieloide acuta. Pazienti mielodisplastici possono presentare una o più citopenie periferiche in associazione ad un midollo iper o normocellulato, sebbene in alcuni di essi invece sia ipocellulato [1]. L’incidenza delle SMD è di circa 4-5 individui/100000 ogni anno ma aumenta molto con l’età; infatti le SMD sono una delle neoplasie ematologiche più frequenti in persone con età superiore agli 80 anni. Studi epidemiologici hanno rilevato che alcuni fattori di rischio potrebbero essere costituiti da fumo, esposizione a solventi organici, radiazioni ionizzanti, sesso maschile; inoltre, l’esposizione ad agenti citotossici quali agenti alchilanti, inibitori delle topo isomerasi II e trattamento con chemio-radioterapia sembrano associati con l’incremento del rischio di insorgenza di SMD [2].

L’ipotesi più accreditata della patogenesi delle sindromi mielodisplastiche è quella di un processo a tappe, in cui un iniziale danno genetico o epigenetico, spontaneo o indotto da cause iatrogene o ambientali, dà inizio all’emopoiesi mielodisplastica.

Dal punto di vista clinico il decorso delle SMD è molto variabile: accanto a forme ad andamento indolente e con lungo decorso si osservano forme a rapida evoluzione in leucemia acuta mieloide (AML). L’analisi morfologica del midollo e del sangue periferico sono necessarie per

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classificare le mielodisplasie. La classificazione attualmente in uso per SMD è quella dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO). Viene comunque ancora molto utilizzata, soprattutto in Europa, la precedente classificazione French American British (FAB), ideata nel 1982 e basata sulla valutazione morfologica cellulare sia a livello del sangue periferico che midollare. Essa ha avuto il merito di essere stata la prima a dare un inquadramento a queste complesse patologie e di aver elaborato una struttura su cui si è sviluppata l’attuale WHO. Secondo la classificazione FAB le mielodisplasie si suddividono in 5 classi: anemie refrattarie con sideroblasti ad anello (ARSA), anemia refrattaria (AR), anemia refrattaria con eccesso di blasti (AREB), anemia refrattaria con eccesso di blasti in trasformazione (AREB-t), leucemia mielomonocitica cronica (LMMC). La classificazione FAB ha però attualmente solo un valore storico, considerate le sue numerose limitazioni (non teneva conto delle anomalie citogenetiche, dell’entità e numero delle citopenie). Con la classificazione WHO, invece, utilizzando le basi della classificazione FAB, sono state introdotte importanti modifiche fra cui l’aggiunta di una nuova categoria (Citopenia Refrattaria con displasia multilineare,) e la sua rispettiva forma con sideroblasti ad anello (Citopenia refrattaria con displasia multilineare con sideroblasti ad anello), la suddivisione della classe AREB in 2 sottoclassi AREB-1 e AREB-2 in base alla percentuale di blasti midollari presenti, la riduzione della percentuale di blasti che stabilisce se si tratti di SMD oppure di AML, l’introduzione di una nuova classe basata sulla presenza di una specifica anomalia citogenetica, la delezione del braccio lungo del cromosoma 5 (del5q) qualora il midollo presenti una percentuale di blasti inferiore al 5% (sindrome 5q-) e l’eliminazione della LMMC che viene inserita in una categoria intermedia tra le sindromi mielodisplastiche e le sindromi mieloproliferative (Figura I).

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CLASSIFICAZIONE FAB E WHO DELLE SMD

FAB WHO SANGUE

PERIFERICO

SANGUE MIDOLLARE

AR

5q-syndrome Anemia, blasti <1%, Blasti <5%, del(5q)

AR, NR,TR Citopenia unilineare blasti <1%, Displasia unilineare >10%, blasti <5%, sideroblasti ad anello <15% CRDM Citopenie, blasti <1%

Displasia in 2 o più linee mieloidi >10%,

blasti <5% MDS NON

CLASSIFICATE Citopenie, blasti <1%

Displasia in 1 o più linee mieloidi <10%,

blasti <5%

ARSA

ARSA Anemia, no blasti

Displasia eritroide, blasti <5%, sideroblasti ad anello >15% CRDM con sideroblasti ad anello Citopenie, blasti <1%

Displasia in 2 o più linee mieloidi >10%,

sideroblasti ad anello >15%

AREB

AREB-1 Citopenie, blasti <5%

Displasia in 1 o più linee mieloidi, blasti >5% e <9%

AREB-2 Citopenie, blasti >5% e <19%

Displasia in 1 o più linee mieloidi, blasti >10% e <19%

AREB-T LAM Blasti ≥20%

Tuttavia, vista la vasta eterogeneità di tali patologie, al fine di poter Figura I. Classificazione FAB e WHO delle SMD

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definire in maniera più specifica la prognosi dei pazienti affetti da SMD, è stato elaborato un sistema, l’International Prognostic Scoring System (IPSS), che prevede l’attribuzione di un punteggio di rischio in base al numero di blasti midollari, al numero di citopenie periferiche e alla presenza di alterazioni citogenetiche. A seconda del punteggio ottenuto i pazienti vengono suddivisi in 4 categorie di rischio: basso, intermedio1 (Int-1), intermedio2 (Int-2) e alto; esse correlano sia con la sopravvivenza libera da malattia sia con la sopravvivenza globale [2]. Proprio le alterazioni cromosomiche, in conseguenza della loro frequenza di comparsa e dello studio dei geni codificanti nei loro tratti, sono fondamentali nella determinazione della corretta categoria di rischio (Figura II).

ALTERAZIONI CROMOSOMICHE NELLE SMD

Le SMD presentano in circa la metà dei casi anomalie cromosomiche ma, a differenza delle LMA, non identificano sottotipi clinici specifici.

International Prognostic Scoring System

(IPSS)

Score

Variabile prognostica 0 0.5 1.0 1.5 2.0

Blasti midollo osseo (%) <5 5–10 11–20 21–30

Citogenetica Buona Intermedia Negativa

Citopenie 0/1 2/3

Score Sottogruppo IPSS Mediana di sopravvivenza (anni)

0 Low 5.7

0.5–1.0 Int-1 3.5

1.5–2.0 Int-2 1.2

>2.5 High 0.4

Greenberg P et al. Blood 1997;89:2079–2088.

Figura II. Tabella IPSS

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Traslocazioni come t(15;17), t(8;21), e t(16;16) sono tipiche delle LMA mentre aberrazioni quali inv(3), del(5q) e/o del(5), del (7q) e/o del(7) sono state riscontrate sia in SMD che in LMA. I casi di SMD che presentano queste anomalie frequentemente progrediscono in LMA in un periodo di tempo relativamente breve [1].

Nelle SMD vi è predominanza di delezioni cromosomiche rispetto alle leucemie “de novo” che sono caratterizzate prevalentemente da traslocazioni reciproche bilanciate [14].

Delezione

5q-La presenza isolata di questa anomalia cromosomica è associata nel 10% dei casi a un’entità clinica ben definita nella classificazione WHO come Sindrome 5q-, qualora si presenti in associazione con una percentuale di blasti midollari inferiore al 5%. L’analisi citogenetica e quella FISH dimostrano la delezione interstiziale del cromosoma 5 del(5) (q13q33). L’analisi molecolare ha consentito di identificare i geni che mappano sulla regione deleta, nella quale ne sono localizzati alcuni che codificano recettori e fattori di crescita emopoietica, fra cui 3, IL-4, IL-5, IL-9, IRF1 (Interferon Regulator Factor) e EGR-1 (Early Growth Factor) [15]. Un recente lavoro, che ha avuto una grande eco nel mondo scientifico, ha dimostrato che l’aploinsufficienza della proteina ribosomale S14 (RPS14), una componente della subunità 40S del ribosoma, (il cui gene è localizzato nella regione deleta del cromosoma 5), determina il fenotipo della sindrome 5q-, caratterizzato da differenziamento eritroide difettivo e megacariopoiesi normale. Poiché l’alterazione della subunità 40S dei ribosomi potrebbe coinvolgere l’espressione di una grande varietà di geni, è improbabile che la sola aberrazione di RPS14 sia responsabile di questa sindrome [16].

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Monosomia 7 e delezione 7q

La seconda tipologia di anomalie cromosomiche, dopo quelle che coinvolgono il braccio lungo del cromosoma 5 (52.3%), è rappresentata dalle alterazioni del cromosoma 7, 7q- e del7q (21%). Queste alterazioni sono associate ad una cattiva prognosi. I geni responsabili di questo andamento tuttavia, non sono ancora stati identificati. Alcuni di questi, che si trovano nel tratto deleto, sono OSBPL3 e STARD3NL entrambi coinvolti nel metabolismo lipidico; inoltre, sul cromosoma 7 vi si trovano anche i geni homeobox della famiglia HOXA, che codificato fattori di trascrizione coinvolti nel differenziamento e nel commissionamento della cellula staminale ematopoietica. Fra questi, HOXA9, localizzato sulla banda 7q36, sembra essere associato ad una prognosi infausta di SMD [1].

Delezione

20q-La delezione cromosomica 20q- è un’anomalia ricorrente nelle sindromi mieloproliferative e si osserva in circa il 7% dei pazienti con SMD. La presenza della del(20q) è associata ad una prognosi favorevole. Molti sforzi sono stati fatti per identificare la regione generalmente deleta del cromosoma 20. Uno dei geni ivi localizzato (20q11.2), E2F1, codifica un fattore di trascrizione coinvolto nel controllo del ciclo cellulare, nella regolazione della proliferazione e nel controllo dell’apoptosi p53 mediata. Un gruppo di ricercatori ha inaspettatamente osservato un incremento nei livelli di E2F1 nelle cellule mononucleate provenienti da midollo di pazienti mielodisplastici rispetto ai controlli sani; inoltre, elevati livelli di E2F1 sono risultati associati ad un aumento dell’espressione della ciclina D1, coinvolta nella progressione del ciclo cellulare [1].

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Trisomia 8

L’incidenza della +8 è di circa il 10% e non è correlata né ai diversi citotipi, né all’età o al sesso. Non sembra associata ad esposizione ad agenti tossici e/o radiazioni.

Sindrome

17p-La perdita del braccio corto del cromosoma 17 è stata riportata nel 5% delle SMD de novo. Questa perdita può derivare non solo da una semplice delezione, ma anche da traslocazioni bilanciate, riarrangiamenti dicentrici o meno frequentemente dalla monosomia del cromosoma 17. Clinicamente, la malattia è aggressiva con resistenza al trattamento.

Delezione del cromosoma Y

Il significato clinico-biologico della perdita del cromosoma Y non è noto; pur non rivestendo un significato diagnostico nelle SMD, l’incidenza è circa il 7% e conferisce secondo l’IPSS, quando presente come unica anomalia, un significato prognostico favorevole.

Traslocazioni 11q23

L’anomalia della 11q23, osservata in circa il 5% dei casi con SMD, si associa spesso ad un cariotipo complesso o a -7/del(7q), sia nelle forme de novo sia nelle forme secondarie [36]. Le più comuni traslocazioni sono la t(9;11) (p22;q23), la t(11;19) (q23;p13.1) e la t(11;16) (q23;q13.3). In particolare, la t(11;16) (q23;p13.1) si osserva soprattutto nelle forme di mielodisplasia secondarie; l’analisi molecolare ha dimostrato che il gene MLL (q23) (Mixed Lineage Leukemia) forma

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un gene ibrido di fusione con il gene CBP (CREB Binding Protein) del cromosoma 16. Entrambi questi geni sono coinvolti nella regolazione dei meccanismi di trascrizione cellulare.

Traslocazioni 3q

La t(3;21) (q26;q22.1) si osserva nelle SMD secondarie ma si riscontra anche nella leucemia mieloide cronica in crisi blastica e nelle LMA. Sono stati identificati i geni coinvolti in tale traslocazione; in particolare l’EAP (Epstein-Barr Small RNAs associated protein), che è sito sul braccio lungo del cromosoma 3 (q26.2) e forma un gene di fusione con RUNX1 (Runt Related Trasnscription Factor) che mappa sul cromosoma 21 (q22.1) [17]. Altri autori hanno dimostrato che sulla regione q26 del cromosoma 3 sono situati i geni SMD1/EVI1 e EVI1 (Ectopic Virus Insertion site) che codificano fattori trascrizionali che regolano la differenziazione cellulare [18].

EMOPOIESI NORMALE E MIELODISPLASTICA Emopoiesi normale

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multipotenti capaci di automantenersi e di generare progenitori che vanno incontro ad un commissionamento irreversibile verso i progenitori delle singole linee ematopoietiche, quali la linea granulocitica, la eritroide, la monocitica, la megacariocitica, etc. Si intende come maturazione la parte terminale del processo differenziativo delle varie linee, cioè l’insieme di modificazioni molecolari e morfologiche che porta alla formazione di cellule ematiche con funzionalità specifiche, pronte per essere rilasciate in circolo. La generazione di cellule ematiche a partire dalle cellule staminali è regolata da un complesso insieme di fattori: citochine e fattori di crescita (glicoproteine che agiscono mediante il legame con recettori specifici presenti sulla superficie cellulare), ma anche molecole della matrice cellulare. Sulla linea differenziativa granulocito-macrofagica agiscono classicamente tre fattori di crescita solubili: il fattore stimolante la generazione di colonie granulocitiche e macrofagiche (Granulocyte-Macrophage Colony-Stimulating Factor, GM-CSF), il fattore stimolante colonie granulocitiche (Granulocyte Colony-Stimulating Factor, G-CSF) e il fattore stimolante colonie monocito/macrofagiche (Macrophage Colony-Stimulating Factor, M-CSF) (Figura III). Le cellule staminali emopoietiche (CSE) ed i progenitori emopoietici (PE), dal terzo mese della vita intrauterina, sono riconoscibili nel midollo osseo in aree di microambiente stromale delimitate dalle trabecole della spongiosa e costituite dai sinusoidi delimitati da cellule endoteliali privi di membrana basale, dai fibroblasti, dagli adipociti e dai macrofagi [3]. La matrice di supporto per tutte queste cellule è costituita da collagene, proteine di adesione e proteoglicani capaci di legare e concentrare i fattori di crescita. Le integrine sembrano le principali molecole di adesione: VLA-4 e VLA-5 sono responsabili del contatto delle CSE con la fibronectina; inoltre vi sono numerosi dati sperimentali che dimostrano che l’antigene CD34,

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come anche c-kit e SKI-1 siano fondamentali per la citoadesione [4]. Le cellule staminali emopoietiche sono funzionalmente caratterizzate dalla capacità di auto mantenimento, dalla capacità di ricostruzione linfoemopoietica a lungo termine in un ricevente letalmente irradiato, dallo stato di quiescenza per il 90% circa della vita, dalla resistenza a farmaci e dalla capacità di formare colonie in vitro e in vivo di differenziare verso tutte le filiere emopoietiche [5]. Le cellule staminali sono difficili da caratterizzare morfologicamente; la valutazione in vitro viene effettuata mediante l’impiego di saggi per le colonie di blasti (CFU-BL, HPP-CFU) e con il sistema delle colture a lungo termine (5-8 settimane) identificanti le Long-Term Colture Initiating Cells (LTC-IC) [6].

Le CSE (Cellule Staminali Ematopoietiche) esprimono un marcatore di membrana che ne consente l’identificazione e la separazione in vitro: la glicoproteina transmembrana CD34 espressa dall’1-3% di cellule del midollo osseo normale, dallo 0,01% del sangue periferico e dallo 0,1-0,4% del sangue di cordone ombelicale [7]. L’espressione dell’antigene CD34 si associa sia a quella di altri marcatori immunologici non associati a specifiche filiere differenziative (Thy1, CD38, HLA-DR, CD45RA, CD71, CD133, CD271) sia a marcatori associati alle filiere differenziative T-linfocitaria (TdT, CD10, CD7, CD5, CD2), B-T-linfocitaria (TdT, CD10, CD19), mieloide (CD33, CD13) e megacariocitaria (CD61, CD41, CD42b). Le cellule CD34+ esprimono anche recettori per i fattori di crescita come l’interleuchina 3 (IL-3), il Granulocyte-Macrofage Colony-Stimulating Factor (GM-CSF), il Granulocyte Colony-Colony-Stimulating Factor (G-CSF) e recettori tirosin-chinasici, il recettore per lo Stem Cell Factor (SCF) (CD117) e i recettori STK come l’STK-1, omologo umano del Flt-3 [8].

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(CSF), sono una famiglia di glicoproteine essenziali per la regolazione dell’attivazione, proliferazione, differenziazione e sopravvivenza delle cellule emopoietiche; interagiscono sulla base di attività complesse mostrando attività stimolatorie o inibitorie e possono sinergizzare o antagonizzare le azioni di altri fattori, anche sulla base del microambiente e della situazione fisiopatologia [9]. La classificazione dei GF è basata sul differente stadio ontogenetico delle loro cellule bersaglio e prevede la distinzione dei GF ad azione precoce (SCF, FLT-3 ligand) in grado di stimolare la crescita cellulare in combinazione di altri fattori, intermedia (GM-CSF, IL-3) attivi su molteplici linee emopoietiche e tardiva (G-CSF, EPO, trombopoietina, IL-5, M-CSF) che regolano l’emopoiesi a livello di singole filiere e modulano le funzioni a livello degli elementi terminali maturi [10]. I segnali che regolano la produzione di GF sembrano essere in relazione alla necessità di produzione di cellule emopoietiche a livello midollare, alla necessità di attivazione funzionale di cellule mature nei tessuti periferici sedi di infiammazione o stimolazione immunitaria e dalla regolazione dell’apoptosi [9].

La regolazione della cellula staminale ematopoietica dal punto di vista molecolare, ovvero come essa esca dal suo stato quiescente cominciando a proliferare o differenziare, non sono ancora del tutto chiari. Sono stati identificati un gruppo di geni responsabili della regolazione trascrizionale delle CSE, e vengono raggruppati sotto il nome di homebox; sono di fatto geni altamente conservati nelle specie e svolgono un ruolo importante nell’emopoiesi normale e non

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Emopoiesi mielodisplastica

Allo stesso modo di ciò che si verifica nelle altre leucemie, anche nelle SMD si può parlare di emopoiesi mielodisplastica; tuttavia gli eventi molecolari e funzionali coinvolti e responsabili di tale anomalo processo non sono ancora del tutto noti, e non è assolutamente chiaro a quale livello maturativo si verifichi l’evento trasformante; sicuramente la trasformazione di una cellula staminale normale in una neoplastica è un processo che richiede il susseguirsi di lesioni cellulari genetiche ed

Figura III. Emopoiesi normale Schema riassuntivo dell’emopoiesi

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epigenetiche, e sicuramente questo concetto può essere esteso anche all’alterata emopoiesi mielodisplastica, con particolare attenzione anche verso il microambiente midollare, elemento chiave in questa trasformazione. Per ciò che concerne le SMD, è stato dimostrato come in tali patologie le lesioni genetiche siano molto meno frequenti di quelle epigenetiche, ed anzi in particolare sembra proprio che le SMD siano caratterizzate da silenziamento di geni oncosoppressori, causato principalmente da meccanismi epigenetici quali l’ipermetilazione, ed in misura minore da instabilità citogenetica ed instabilità mutazionale [3,4]. In particolare, dal punto di vista genetico, le SMD sono caratterizzate da perdite e traslocazioni cromosomiche, che coinvolgono geni coinvolti nella regolazione emopoietica e nel differenziamento mieloide; soprattutto le delezioni sono molto frequenti, e i cromosomi più coinvolti sono in ordine di frequenza il 5, 7, 11, 12, 13 e 20 (come ampiamente descritto precedentemente). Risulta pertanto evidente che le regioni cromosomiche così alterate presentino al loro interno geni codificanti per specifici fattori coinvolti nella regolazione della maturazione e del differenziamento cellulare, con conseguente alterazione dell’equilibrio tra questi due eventi così strettamente correlati. Come detto in precedenza, le SMD sono caratterizzate da aberrazioni di tipo genetico, in particolare dalla metilazione di specifiche regioni del DNA a livello degli specifici promotori genici, le isole CpG, le quali sono preposte all’attivazione della trascrizione genica. La loro metilazione comporta un blocco del normale processo trascrizionale, con conseguente silenziamento dei geni coinvolti, in particolare di quelli coinvolti negli eventi maturativi con conseguente alterazione progressiva della normale emopoiesi; questo evento in particolare si verifica appunto durante la progressione della patologia, in associazione a tutti gli altri fenomeni precedentemente descritti di alterazione

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cromosomica. E’ evidente come l’evoluzione in mielodisplasia sia un evento decisamente complicato e multifattoriale, associato a più eventi anomali che impediscono la normale maturazione emopoietica, e che generano una situazione alterata che comporta displasia cellulare e incremento dell’apoptosi. Proprio l’elevata apoptosi riveste un ruolo caratteristico nelle SMD: di fatto, mentre nelle AML si osserva un blocco differenziativo che determina un accumulo di blasti, nelle SMD si assiste ad un difetto differenziativo che induce apoptosi delle cellule displastiche. Quando la mielodisplasia evolve in leucemia si verifica uno sbilanciamento delle vie di trasduzione del segnale verso quelle pro-proliferative. L’incremento dell’apoptosi delle cellule emopoietiche nei pazienti con SMD sembra dovuto all’innesco sia della via recettoriale che di quella mitocondriale. Infatti, insieme all’aumento dell’espressione dei recettori CD95 (FAS), TRAIL e dei loro ligandi, la cui causa potrebbe essere la produzione eccessiva di TNF-alpha da parte di macrofagi, cellule stromali o linfociti-T citotossici [27], è stato osservato anche un incremento nei livelli della caspasi-9 attivata, coinvolta nella via mitocondriale.

Il meccanismo responsabile dello sviluppo delle Sindromi Mielodisplastiche come più volte detto è estremamente complesso e correlato a fenomeni multifattoriali; sempre di più la scienza moderna sta cercando di identificare nuovi eventi molecolari e genetici responsabili in maniera significativa della progressione della malattia; in particolare, forte interesse rivestono quelle alterazioni che sembrano mostrare una correlazione significativa con la prognosi della patologia, al fine di poter intervenire celermente e con una terapia più mirata. Già da qualche anno sono usciti lavori incentrati sull’individuazione di nuove mutazioni associate alla prognosi mielodisplastica, correlate alla

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progressione della malattia e della sua risposta al trattamento con ipometilanti. Ne sono un esempio gli studi condotti da Kosmider O. et al. [37], che hanno individuato un ruolo chiave dal punto di vista prognostico, delle mutazioni a carico di TET2 nelle SMD, se bene l’attività di tale gene non sia ancora del tutto chiarita, e vi siano svariate controversie sulla sua funzione all’interno del complesso panorama dell’ambiente mielodisplastico. Sempre Kosmider O. et al. in un successivo studio hanno mostrato come anche le mutazioni a livello dei geni IDH1 ed IDH2 fossero associate con la progressione della patologia [38]. L’alterazione a livello maturativo, tipico delle SMD, è determinata indubbiamente dalla collaborazione di alterazioni; in questo senso, interessanti sono i lavori del gruppo di Follo Yung M. et al [39,40], che hanno dimostrato come anche il signaling lipidico abbia un ruolo importante nella regolazione ematopoietica, e nel caso specifico nella progressione mielodisplastica verso la leucemia acuta; in particolare hanno individuato una stretta correlazione tra la riduzione di espressione della PI-PLCbeta1b e la risposta ematologica al trattamento con AZA (Azacitidina), agente ipometilante impiegato nel trattamento delle SMD [41], ed hanno dimostrato come questa sembri in stretta relazione con i livelli di metilazione del promotore del gene stesso. Il nostro gruppo in particolare, conseguentemente a quanto osservato anche nelle leucemie acute [42], ha studiato la presenza di metilazione aberrante dei promotori genici codificanti le proteine inibitrici del signaling della via Wnt [43]; tale via di segnalazione di fatto è risultata essere comunemente alterata in numerose patologie, in particolare ha mostrato alterazioni in termini di ipermetilazione dei promotori genici codificanti le proteine normalmente preposte all’interruzione, e quindi alla regolazione, della cascata segnalatoria di Wnt, promuovendo quindi un’overattivazione di questa via, che si

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concretizza con la costante localizzazione a livello nucleare della B-catenina, proteina responsabile della trascrizione di geni coinvolti nella proliferazione e nel differenziamento cellulare. E’ risultato pertanto consequenziale, visto il fenomeno di aberrante metilazione tipico delle SMD, valutare tale cascata segnalatoria, ed abbiamo di fatto dimostrato come tali geni risultassero effettivamente metilati anche negli stadi iniziali della patologia, e come rispondessero, riducendo la loro metilazione iniziale, al trattamento con Azacitidina, con conseguente interruzione del signaling correlato a tale via (Figura IV).

Figura IV. Schema riassuntivo della via Wnt

Schema riassuntivo della cascata segnalatoria della via Wnt: attivazione ed interruzione del signaling.

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Sempre in relazione all’individuazione di nuovi markers molecolari correlati con le mielodisplasie, notevole interesse rivestono gli studi recenti [44,45] condotti dai gruppi di Maciejewski ed Ebert, che hanno individuato nuovi targets risultati significativi dal punto di vista prognostico. In particolare il lavoro condotto da Maciejewski ha mostrato come le alterazioni riguardo ad un meccanismo di regolazione trascrizionale, fino a questo momento poco studiato in ambito ematologico, come la regolazione dello splicing, sembri essere fortemente correlato con la prognosi e la progressione delle SMD; nello specifico, in questo studio viene mostrato come le mutazioni a carico del gene SFR3B1, codificante per una proteina funzionale del complesso dello spliceosoma, risulti particolarmente frequente in uno specifico sottogruppo WHO di SMD, ovvero le ARSA (anemia refrattaria con sideroblasti ad anello).

Il lavoro di Ebert invece ha messo in risalto come, tra le numerose mutazioni caratteristiche delle SMD, nella valutazione di un modello multifattoriale all’interno di pazienti classificati come basso rischio secondo IPSS, solamente le mutazioni a carico del gene EZH2 mostrassero una certa significatività dal punto di vista prognostico, sottolinenando come i pazienti che presentavano tali alterazioni avessero un’aspettativa di vita minore, e pertanto risultassero adatti per un tipo di terapia più aggressivo fin dai primi momenti di malattia conclamata.

Le SMD sono definite patologie clonali, tuttavia cosa significhi esattamente tale definizione è ancora da chiarire. La frequente presenza di anomalie cromosomiche non casuali suggerisce fortemente la clonalità della cellula alla base dello sviluppo della mielodisplasia, che

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potrebbe cosi essere verosimilmente una cellula staminale pluripotente. Questa considerazione è alquanto controversa, visto che numerosi lavori mostrano risultati in parte contrastanti riguardo all’evoluzione diretta della patologia verso leucemie di altro tipo, e non mettono del tutto in chiaro quale sia il reale rango della cellula responsabile dello sviluppo e del mantenimento della malattia nel tempo [46-48]. Altri lavori hanno invece mostrato, mediante analisi FISH, un coinvolgimento clonale di linfociti B ma non T [49]; altri ancora [50] hanno messo in evidenza una riduzione del funzionamento delle cellule NK in corso di mielodisplasia. Da questi risultati, si evince che la clonalità delle SMD è un fenomeno altamente complesso da definire, che sembra coinvolgere cellule staminali pluripotenti di vario livello, e pertanto il numero di linee ematopoietiche coinvolte dalla displasia potrebbe essere variabile da caso a caso di SMD, incrementando ulteriormente l’eterogeneità clinica caratteristica della malattia. Inoltre, l’evoluzione della patologia può essere caratterizzata dall’incremento progressivo di mutazioni a diversi stadi maturativi del progenitore ematopoietico, dando così luogo a diverse forme cliniche e biologiche di sindrome mielodisplastica [51]. Tutte queste considerazioni e studi sottolineano ulteriormente il ruolo chiave della cellula staminale ematopoietica e conseguentemente il microambiente in cui si trova nello sviluppo della malattia; diventa pertanto fondamentale capire quali siano le alterazioni principali responsabili dello sviluppo della cellula staminale neoplastica, e come anche il microambiente circostante si alteri stabilendo così una sorta di feedback negativo a livello della regolazione ematopoietica.

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La cellula staminale mielodisplastica

Le sindromi mielodisplastiche presentano anomalie cromosomiche e genetiche sicuramente più simili a quelle che si verificano a livello di una LMA piuttosto che in una malattia linfoide, e di fatto le alterazioni tipiche che si riscontrano nella linea mieloide non sono presenti in quella linfoide [52].

Nelle SMD lo svilupparsi di tali aberrazioni può portare ad un’alterazione della normale interazione con il microambiente della nicchia staminale, portando ad un progressivo ma ineluttabile mutamento della nicchia stessa, generando così un “ambiente neoplastico” all’interno del quale sviluppare ulteriori mutazioni e mantenere la malignità della staminale mielodisplastica, secondo la teoria comune del seed vs soil .

Fin dal 1984 le SMD vengono definite disordini clonali [53]. Raskind et al, attraverso lo studio di mosaicismi nelle donne per la glucosio-6-fosfato deidrogenasi, suggerì per la prima volta questo tipo di origine per la patologia. Un ulteriore lavoro verso questa direzione [54], ha proposto un’origine clonale per mielodisplasie caratterizzate dalla delezione 5q-, suggerendo l’importanza della caratterizzazione molecolare per identificare le possibili deregolazioni genetiche a livello dei vari stage maturativi della cellula mielodisplastica.

Come detto precedentemente, le SMD sono caratterizzate da alterazioni epigeniche, in particolare presentano un’aberrante metilazione dei promotori genici; è presumibile che questo tipo di difetti si concretizzino già ad un livello maturativo primordiale, ed in questo ordine di idee uno studio recente [55] ha mostrato come cellule staminali (longterm (LT) HSC and short-term (ST) HSC) primitive di SMD già presentassero alterazioni a livello della metilazione del DNA, confermando quindi la precocità nel verificarsi di tale anomalia; sempre nel solito lavoro è stato dimostrato come l’espansione della linea mieloide granulocitataria

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e quella dei comuni progenitori mieloidi siano caratteristiche rispettivamente delle SMD ad altro rischio e basso rischio, sottolineando così come gli arresti maturativi riscontrabili nei vari sottogruppi SMD possano essere correlati a linee cellulari diverse, incrementando cosi l’eterogeneità delle varie citopenie caratteristiche dei pazienti mielodisplastici.

Sicuramente quando si parla di origine clonale e dell’esistenza di una cellula progenitrice di alto rango mielodisplastica, un ruolo chiave lo riveste l’analisi delle alterazioni cromosomiche e la loro distribuzione a livello dei vari cloni cellulari, al fine di poter cosi determinare in quale step maturativo compaia l’anomalia cromosomica che si mantiene anche nelle cellule più mature, e che potrebbe essere considerata come marker diretto della patologia. Will B. et al [56] hanno confrontanto 17 campioni derivati da pazienti non trattati affetti da SMD con 16 controlli sani, osservando come l’espansione clonale osservata in vitro fosse caratterizzata da progenitori comuni mieloidi per i bassi rischi, mentre gli alti rischi mostravano un’espansione principalmente di progenitori granulocitari monocitari, evidenziando così arresti maturativi a livelli diversi per quanto concerneva i sottogruppi con indice prognostico diverso; inoltre, dove erano presenti alterazioni del cariotipo, queste risultavano presenti già a livello dei progenitori staminali, suggerendo così la possibile esistenza di una cellula staminale di più alto rango responsabile dell’effettivo sviluppo della patologia e del suo mantenimento nel tempo.

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Ipossia e leucemie

Numerosi studi suggeriscono che le cellule staminali ematopoietiche (HSC) localizzate nel midollo ematopoietico in prossimità dell’endostio siano relativamente quiescenti e che, quando le HSC vengono attivate e indotte a entrare in ciclo, migrino verso i sinusoidi della regione centrale della cavità midollare. Sulla base di questi studi, alcuni ricercatori [57, 58] hanno identificato due nicchie staminali: una nicchia osteoblastica, dove si mantiene il potenziale staminale, e una nicchia vascolare, che favorisce l’espansione clonale e la restrizione differenziativa.

Nonostante il numero elevato di vasi sanguigni presenti nell’apparato osteo-muscolare, il tessuto ematopoietico appare caratterizzato da regioni fortemente ipossiche. La presenza di queste zone è facilmente spiegabile alla luce della particolare anatomia della vascolarizzazione midollare: il sangue arriva al midollo grazie all’arteria nutritizia, che vi penetra e si dirama in vasi di più piccolo calibro solamente a livello dell’endostio, dando origine ad un microcircolo che si anastomizza con il microcircolo derivante dall’arteria periostale. Il versante venoso di questo microcircolo penetra nello spazio midollare, andando a formare il reticolo sinusoidale che attraversa il tessuto ematopoietico; da qui il sangue venoso abbandona la cavità midollare grazie alla vena emissaria. Questa organizzazione ha come principale conseguenza quella di alimentare il tessuto ematopoietico in massima parte da sangue refluo dai tessuti circostanti e quindi povero d’ossigeno. A dimostrazione di ciò, misurazioni della tensione di ossigeno midollare media hanno rivelato che essa non supera i 40 mmHg, cioè che il midollo è un tessuto mediamente ipossico. La relativa carenza di ossigeno è aggravata dal fatto che le cellule ematopoietiche sono

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estremamente attive dal punto di vista biosintetico ed impaccate ad alta densità in un ambiente estremamente povero di materiale extracellulare.

I livelli di ossigeno sono emersi come fattori rilevanti per la regolazione fisiologica del sistema ematopoietico. Infatti, studi in vitro hanno dimostrato che le HSC capaci di ricostituzione ematopoietica a breve termine (STR), rilevabili mediante un saggio di ripopolazione midollare in animali singenici letalmente irradiati, sono mantenute in ipossia profonda (1% O2) meglio che in normossia. D’altra parte, progenitori clonogenici quali le cellule formanti colonia (CFC) vengono completamente soppresse in ipossia. E’ risultato così evidente che l'adattamento all'ipossia è tanto maggiore quanto più alto è il livello del progenitore nella gerarchia ematopoietica. Ciò ha portato all'ipotesi che la peculiare resistenza all'ipossia delle HSC in confronto a progenitori meno immaturi consenta il mantenimento delle HSC in aree del tessuto ematopoietico caratterizzate da tensioni di ossigeno particolarmente basse. In queste aree, denominate "nicchie staminali ipossiche", l'ipossia contribuirebbe a mantenere le proprietà staminali inibendo la restrizione differenziativa e la generazione di progenitori linea-ristretti. E’ plausibile associare alla capacità delle HSC di sopravvivere in questo habitat ipossico, un assetto metabolico anaerobio e l’inibizione dei meccanismi proapoptotici speficificatamente indotti dall’ipossia. Nel laboratorio del Prof. Dello Sbarba, del Dipartimento di Patologia e Oncologia Sperimentale dell’Università degli Studi di Firenze, è stato allestito un sistema sperimentale nel quale le HSC vengono mantenute, e possono essere sottoposte a trattamenti, in un ambiente selettivo paragonabile a quello del loro habitat in vivo, e su una metodologia per la rivelazione degli effetti della selezione sulla sottopopolazione staminale. Tale metodologia, il Culture-Repopulating Ability (CRA)

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assay, consente la stima del contenuto di cellule staminali di una popolazione sottoposta ad una procedura di selezione in vitro mediante la misura della loro capacità di ripopolare (Culture-Repopulating Cells – CRC) una coltura secondaria (Figura V).

Il potenziale staminale delle cellule staminali leucemiche (LSC), che sembrano mantenere molte caratteristiche delle HSC normali, può

Figura V. Il saggio CRA

Schema illustrativo del saggio Cra. Tale medotica riproduce in vitro la stessa situazione di un trapianto in modello murino, valutando la capacità ripopolante delle cellule staminali selezionate in cappa ipossica all’interno di una normale fiasca da coltura cellulare.

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quindi essere esaminata nel contesto sopra descritto.

E’ ipotizzabile che anche il mantenimento delle LSC richieda la loro protezione da una pressione microambientale capace di indurre l’espansione clonale, che con alta probabilità è accoppiata alla perdita del potenziale staminale. L’adattamento delle cellule leucemiche all’ipossia potrebbe quindi rappresentare uno degli aspetti cruciali della leucemogenesi. Tale adattamento viene in effetti oggi indicato come elemento rilevante delle fasi iniziali della cancerogenesi. La capacità di resistere all’ipossia risulta per altro cruciale per il successivo processo di progressione neoplastica, essendo l’ipossia stessa un induttore di instabilità genomica. Le cellule capaci di sopravvivere in ipossia sono pertanto bersagli preferenziali di mutazioni che, una volta sottoposte a selezione microambientale di tipo darwiniano, hanno un elevata probabilità di generare cloni caratterizzati da un crescente vantaggio proliferativo rispetto alle altre cellule del tessuto. E’ quindi facile dedurre che, quando tale selezione si verifichi a carico delle cellule staminali, tipicamente capaci di permanere nel tessuto a lungo termine, essa rappresenti la causa ultima della generazione di una spesso minuscola frazione di cellule altamente resistenti ai trattamenti radio- e chemio-terapici. Tali cellule, responsabili della cosiddetta Malattia Minima Residua (MRD) sono quelle che orchestrano la ricaduta tardiva della malattia neoplastica, permanendo anche dopo trattamenti radio- e chemio-terapici e dopo una apparente totale scomparsa. Risulta quindi evidente la necessità di perseguire l’eradicazione della malattia neoplastica attraverso trattamenti in grado di colpire le cellule staminali resistenti all’ipossia, responsabili della rigenerazione della massa tumorale e della farmaco-resistenza della neoplasia.

Il gruppo coordinato dal Prof. Dello Sbarba ha affrontato in passato lo studio degli effetti dell’ipossia su cellule di leucemie mieloidi di vario

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tipo. In un primo studio [59] si è cercato di accertare se popolazioni leucemiche clonali (linee cellulari stabilizzate) siano funzionalmente eterogenee, in quanto contenenti vari tipi di progenitori e cellule staminali caratterizzati da gradi diversi di resistenza all’ipossia. E’ stato osservato che l’ipossia inibisce fortemente la crescita di cellule di eritroleucemia di Friend (MEL) in vitro e che queste cellule, nonostante appartengano ad una linea cellulare stabilizzata e clonata, sono in realtà altamente eterogenee, comprendendo sottopopolazioni caratterizzate da diversi gradi di ipossia-resistenza. La popolazione MEL include infatti sia CFC la cui espansione clonale è bloccata in ipossia, sia LSC altamente ipossia-resistenti, corrispondenti alle HSC normali capaci di ripopolazione ematopoietica a breve termine (STR-HSC). E’ stato così evidenziato in una popolazione leucemica un “fenotipo staminale” adattato che si contrappone al “fenotipo progenitore” ipossia-sensibile. Le LSC della linea MEL, a differenza delle STR-HSC, non soltanto si sono dimostrate capaci di sopravvivere in ipossia, ma sono risultate in massima parte in attività mitotica. Ciò contrasta col fatto che la quasi totalità delle cellule MEL in grado di sopravvivere in ipossia fosse in arresto replicativo, come dimostrato a seguito del trattamento con 5-Fluorouracile (5FU). Questi esperimenti hanno evidenziato pertanto la capacità di ciclare in ipossia come una proprietà distintiva delle STR-LSC nei confronti della loro controparte normale. Tuttavia, l’incubazione in ipossia in presenza di 5FU ha consentito di evidenziare anche una sottopopolazione quiescente di LSC, capace di ripopolazione ritardata della coltura.

In parallelo, il gruppo del Prof. Dello Sbarba ha affrontato la caratterizzazione degli effetti dell’ipossia su cellule di Leucemia Mieloide Cronica (CML), caratterizzate dall’espressione della proteina oncogenica BCR/Abl, una tirosin-chinasi costitutivamente attivata. Lo studio (59)

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ha mostrato che l’incubazione in ipossia di cellule di CML riduce la fosforilazione in tirosina globale a livelli comparabili a quelli determinati dal trattamento con Imatinib-mesilato (Imatinib), l’inibitore di BCR/Abl attualmente farmaco di elezione in clinica per il trattamento della CML. Ciò indica che l’ipossia contrasta i segnali leucemogenetici generati da BCR/Abl. La resistenza delle LSC della CML all’ipossia è stata poi verificata impiegando il CRA assay. E’ stato dimostrato che l’ipossia seleziona LSC che non dipendono da BCR/Abl per la loro sopravvivenza e che sono pertanto del tutto insensibili all’Imatinib, e inoltre che l’ipossia sopprime l’espressione della proteina BCR/Abl, ma non quella del rispettivo mRNA. Ciò indica che le LSC ipossia-resistenti sono genotipicamente leucemiche (di fatto esprimono BCR/Abl) ma indipendenti dai segnali ontogenetici innescati da BCR/Abl, che sono invece necessari per l’espansione clonale leucemica. Infatti, la proteina BCR/Abl viene riespressa nel corso dell’espansione clonale delle LSC, resa possibile in seguito al loro trasferimento in normossia. Questo rappresenta il primo studio che mette in luce la insensibilità “primaria” all’Imatinib (cioè indipendente da sopravvenute mutazioni di BCR/Abl che interferiscano col legame dell’Imatinib) delle LSC della CML, mettendola in relazione con l’indipendenza da BCR/Abl e la resistenza all’ipossia. Un ulteriore recente studio, sempre del gruppo del professor Dello Sbarba [60], ha mostrato come l’incubazione in ipossia profonda determini la selezione di un pool di cellule staminali resistenti al trattamento con Bortezomib in cellule di LMC, confermando ancora una volta il ruolo dell’ipossia come forte agente selettivo e fondamentale da considerare nel metabolismo dei farmaci in generale, in particolare nell’eliminazione dei quelle cellule responsabili della malattia minima residua.

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Ipossia e SMD

E’ ipotizzabile che, come osservato nelle cellule staminali ematopoietiche e leucemiche, anche i progenitori mielodisplastici possano adattarsi metabolicamente alla sopravvivenza in un ambiente ipossico. Questa capacità sarebbe di fatto fondamentale per il mantenimento della patologia nel tempo, suggerendo come le cellule staminali mielodisplastiche possano resistere in uno stato quiescente senza subire gli effetti diretti di eventuali trattamenti farmacologici/chemioterapici, e come peraltro la condizione a bassa tensione di ossigeno potrebbe incrementare l’accumularsi di mutazioni a livello della cellula staminale mielodisplastica, vista la capacità di induzione di instabilità genomica mediata dall’ipossia.

La variazione della concentrazione di ossigeno sembra influenzare direttamente le cellule di SMD. Alcuni studi in effetti hanno ipotizzato come le cellule di sindrome mielodisplastica vadano incontro a lesioni inducenti l’apoptosi solamente ad alte concentrazioni di ossigeno, suggerendo quindi che l’alterazione progressiva verso la cellula neoplastica si verifichi a livello di un progenitore già in parte commissionato, e non a livello di una cellula risiedente nella nicchia staminale ematopoietica. James Thompson et al [61] hanno di fatto dimostrato come cellule progenitrici di SMD incubate alla concentrazione del 3% O2 e 1% di O2, mostrassero un incremento nella formazione di CFU rispetto a quanto osservato normalmente per progenitori mielodisplastici; l’ambiente ipossico sembrava quindi favorire in qualche modo l’espansione clonale dei casi studiati. La

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capacità di adattarsi ad una situazione a bassa tensione di ossigeno sembra quindi un evento fondamentale nello sviluppo e nel mantenimento nel tempo della patologia; a tal proposito, un recente studio [62] ha dimostrato come l’espressione di HIF-1α, principale fattore cellulare di adattamento alla condizione ipossica, correlasse con una peggiore prognosi della malattia, suggerendo cosi il suo ruolo quale biomarker vitale per la predizione e la prognosi delle sindromi mielodisplastiche.

Le SMD sono caratterizzate da pancitopenie e da un’incapacità di rigenerare cellule funzionali, con conseguente incremento, nelle peggiori delle condizioni, di blasti che in associazione alle altre caratteristiche della patologia possono ridurre ulteriormente la disponibilità di O2, favorendo così l’insorgere di una condizione strettamente ipossica. Il recente lavoro di Elias e Verma [63] ha suggerito come proprio questo ambiente ipossico che si viene a creare per le caratteristiche tipiche della patologia stessa, potrebbe in qualche modo favorire l’attivazione di HIF-1α, contribuendo così all’attivazione trascrizionale di quei fattori pro-proliferativi che potrebbero spingere verso un evoluzione leucemica il paziente mielodisplastico; il risultato finale del loro lavoro di fatto ha mostrato come l’espressione di HIF-1α correli con un fenotipo più aggressivo delle SMD, in accordo con quanto proposto anche da Tong.

Le connessioni tra condizione ipossica e sindromi mielodisplastiche non sono ancora note, ma sicuramente quanto osservato fino ad oggi candida l’indagine in ambiente a bassa tensione di ossigeno come valida situazione di studio per approfondire e capire meglio cosa si verifichi nelle fasi precoci della malattia, a livello della nicchia staminale ematopoietica.

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MATERIALI E METODI

Cellule e colture cellulari

Abbiamo utilizzato cellule primarie ottenute da prelievo di sangue midollare di pazienti affetti da sindrome mielodisplastica (SMD), previo consenso informato. Le cellule mononucleate sono state ricavate mediante separazione in gradiente di densità discontinuo di Ficoll sodio metrizoato (densità 1.077 g/ml) (EuroClone). Il campione di sangue è stato stratificato su un’uguale quantità di Ficoll, centrifugato a 2200 rpm 15′ e, una volta recuperate le cellule, abbiamo proceduto con la conta mediante camera di Bürker.

Le cellule così ottenute sono state impiegate per l’allestimento di colture primarie (LC1) e secondarie (LC2), seguendo il protocollo sperimentale previsto dal saggio CRA (Culture Repopulating Ability assay). Le colture liquide primarie (LC1) sono state allestite alla concentrazione iniziale di 300.000 cell/ml, in RPMI 1640 (EuroClone; n.cat. ECB9006L) con aggiunta di 50 unità/ml di penicillina, 50 ug/ml di streptomicina, 4 mM glutammina e 20% di siero bovino fetale (FBS; EuroClone; n.cat. ECS0180), più la seguente combinazione citochinica: TPO 20ng/ml (Peprotech; n.cat. 18) , FLT3-L 50 ng/ml (Peprotech; n.cat 300-19), SCF 50 ng/ml (Peprotech; 300-07), IL-3 0,5 ng/ml (Peprotech; n.cat. 200-03). Le colture liquide secondarie (LC2) differivano dalle prime unicamente per la concentrazione iniziale, 100.000 cell/ml, e per la combinazione citochinica aggiunta: SCF 50ng/ml (Peprotech; 300-07), GCSF 100 ng/ml (Peprotech n.c. 300-23), IL-6 20 ng/ml (Peprotech n.c. 200-06) e IL-3 10 ng/ml (Peprotech n.c. 200-03).

L’incubazione selettiva delle LC1 è stata condotta all’interno di un incubatore ipossico (Ruskin Concept 400; 0,3 % O2, 5% CO2, 95% N2),

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per 10-13 giorni a 37°C. Le LC2 conseguenti sono invece state incubate a 37°C in atmosfera al 5% di CO2 satura di umidità (incubazione standard in normossia).

Saggio Cra

E’ una metodica che consente la valutazione della capacità ripopolante in colture liquide di cellule normali o leucemiche sottoposte ad un precedente trattamento selettivo, nel nostro caso rappresentato dall’incubazione in ipossia profonda (0,3 % O2). La selezione avviene a livello della coltura liquida primaria (LC1), alla quale fa seguito l’allestimento di una coltura liquida secondaria (LC2) in ambiente non selettivo favorente la proliferazione cellulare. Le sottopopolazioni cellulari recuperate dalla LC1 a tempi diversi ripopolano in LC2 con differenti cinetiche; il tempo necessario per raggiungere il picco di ripopolamento nella coltura liquida secondaria riflette il livello gerarchico della sottopolazione staminale/progenitrice selezionata in LC1. Il saggio CRA è quindi una metodica non clonogenica capace di rilevare in vitro cellule dotate di capacità ripopolante midollare in vivo.

Tale metodica nel nostro caso è stata applicata direttamente su casi di sindrome mielodisplastica; le cellule mononucleate recuperate, sono state inizialmente allestite in colture liquide primare (LC1) poste in incubatore ipossico (Ruskin Concept 400) e parallelamente in normossia, alla concentrazione iniziale di 300.000 cell/ml. Le due colture sono state incubate per un periodo di 10-13 giorni, periodo sufficiente a promuovere, in ipossia, una riduzione di un logaritmo del numero di cellule vitali totali rispetto alla concentrazione di partenza. Periodicamente ogni 3 giorni sono state eseguite conte cellulari sulle colture prelevando tre aliquote da 50 µl ciascuna e facendo così conte in triplicato, mediante aggiunta del colorante vitale Trypan Blu, in

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camera di Bürker. L’adattamento di questo assay a cellule di leucemia/mielodisplasia ha consentito pertanto di identificare e caratterizzare sottopopolazioni di cellule staminali o progenitrici di alto rango in queste patologie. La valutazione del numero vitale di cellule durante i giorni di incubazione normossica in LC2 è stata anche in questo caso effettuata mediante conta in trypan blu.

Valutazione del numero di cellule vitali

Aliquote di sospensione cellulare (50 μl) sono state prelevate, a tempi di incubazione diversi, diluite con 50 μl di soluzione di trypan blu all’1% p/v in PBS (soluzione salina tamponata: NaCl 80 g/l, KCl 2,5 g/l, Na2HPO42H2O 18 g/l, KH2PO4 2,5 g/l) e trasferite in camera contaglobuli di Bürker. Il numero di cellule nucleate e vitali (trypan blu-negative) in 0,1 μl (media fra 3 quadrati di un mm2 della griglia della camera) è stato contato e poi moltiplicato per 2 (diluizione 1:1 della soluzione contenente le cellule) e per 10000, per ottenere i valori per ml di sospensione cellulare di partenza.

Allestimento colture in terreno semisolido

In parallelo alle conte in LC2 sono state allestite colture in terreno semisolido al fine di valutare la capacità clonogenica delle cellule selezionate in LC1. Venivano quindi piastrate 120.000 cell/ml, in triplicato, in un ml di metilcellulosa (H4434; Stem Cell). La valutazione delle CFU formate veniva effettuata al 21° giorno mediante il rapporto fra il numero di colonie sviluppate ed il numero di cellule piastrate.

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Analisi dell’immunofenotipo

L’analisi dell’immunofenotipo è stata condotta al fine di determinare la tipologia di cellule che venivano selezionate mediante l’incubazione ipossica. Sono stati impiegati anticorpi monoclonali specifici per i marcatori di superficie CD34, CD38, CD117 e CD133, scelti per determinare il grado di staminalità delle cellule selezionate. L’analisi è stata quindi condotta utilizzando i seguenti specifici anticorpi: CD34, CD45, CD38, CD117, CD133 e 7AAD.

Le cellule CD34 positive sono state evidenziate usando un anticorpo monoclonale di topo (clone 8G12) coniugato al fluorocromo FITC (BD Biosciences) in grado di riconoscere l’epitopo umano CD34.

Le cellule CD45 positive sono state rivelate utilizzando un anticorpo monoclonale di topo coniugato al fluorocromo AlloPhicoCianina-Cyanine 7 (APC-Cy7) (BD Biosciences) clone 2D1, in grado di riconoscere gli antigeni dei leucociti umani, che appartengono alla famiglia dei T200. Le cellule CD38 positive umane sono state identificate utilizzando un anticorpo monoclonale di topo coniugato con FicoEritrina-Cyanine 7 (PE-Cy7) (BD Biosciences). Le cellule CD117 positive umane sono state identificate utilizzando un anticorpo monoclonale di topo coniugato con FicoEritrina (PE) (BD Biosciences). Il CD117 è associato al recettore per lo “stem cell factor” (SCF).

Le cellule CD133 positive umane sono state identificate utilizzando un anticorpo monoclonale, epitopo 2 (clone 293C3), di topo coniugato con AlloPhicoCianina (APC) (MACS, Miltenyi Biotec).

La 7-AAD Viability Dye è un reagente usato per discriminare le cellule vive da quelle non vive. È composto da 7-Amino-Actinomycin-D (7-AAD) il quale si intercala tra le basi citosina e guanina del DNA, coniugato al fluorocromo PerCP (Beckman Coulter).

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L’analisi è stata condotta impiegando il citofluorimetro BD FacsCanto a 8 laser (presso il Dipartimento di Medicina di Laboratorio, AOU Careggi, Firenze). Le cellule mononucleate (circa 300.000), dopo separazione su gradiente di densità direttamente da aspirato midollare, sono state sottoposte a due lavaggi consecutivi con 1 ml di Stain Buffer (BD Bioscence), e poi trasferite in appositi tubini per l’analisi citofluorimetrica dove, al buio, sono state incubate per 15 minuti a temperatura ambiente con una mix costituita dagli specifici anticorpi. Al termine di questa incubazione, le cellule sono state lavate con una specifica soluzione di lisi per l’eliminazione di eventuali globuli rossi in eccesso, e poi analizzate al citofluorimetro. Lo stesso procedimento è stato ripetuto per le cellule recuperate dopo incubazione ipossica LC1, al fine di determinare possibili variazioni del loro immunofenotipo.

Methylation-specific polymerase chain reaction

La methylation specific PCR è una tecnica che consente in maniera semplice ed immediata di valutare la presenza di gruppi metile a livello delle isole CpG dei promotori di specifici geni di interesse, attraverso un trattamento mediante bisulfito, che induce la conversione in uracile delle citosine non metilate, e la susseguente PCR qualitativa effettuata impiegando primers capaci di distinguere le forme alleliche metilate da quelle non metilate dei vari geni.

Il DNA è stato quindi estratto direttamente dalle cellule mononucleate al tempo 0, ed al termine delle varie LC1, seguendo il protocollo dello specifico kit di estrazione (PureLink Genomic DNA MiniKit, Invitrogen). Il DNA è stato poi trattato con bisulfito al fine di convertire le citosine non metilate in uracile, utilizzando l’apposito kit commerciale (Methylcode Bisulfite Conversion Kit, Invitrogen), secondo protocollo. Dopo la modifica del DNA, è stata quindi eseguita la methylation

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specific polymerase chain reaction (MSP) per la valutazione della metilazione del promotore di sFRP1, sFRP2, sFRP4, sFRP5, e DKK1. Sono state utilizzate le seguenti coppie di primers (Figura.VI), disegnate tramite l’utilizzo del programma MethPrimer, in maniera tale da poter distinguere le sequenze metilate da quelle non metilate, a questo punto distinguibili grazie alla precedente modifica con bisulfito. E’ stata quindi effettuata una normale PCR qualitativa, condotta per tutte le coppie di primers alle stesse condizioni: hot start a 95 °C per 10 minuti, 95 °C per 1 minuto, 60 °C per 1 minuto, e 72 °C per 1 minuto, il tutto ripetuto per 40 cicli, ed una estensione finale a 72 °C per 10 minuti. In ogni PCR è stata aggiunto un controllo negativo costituito da acqua. Il DNA estratto da donatori sani è stato utilizzato come controllo negativo della metilazione dei promotori, mentre come controllo positivo è stato utilizzato DNA universalmente metilato (CpGenome Universal Methylated DNA Intergen, USA).

Promotori

Genici Forward Primers Reverse Primers

sFRP1 M TGTAGTTTTCGGAGTTAGTGTCGCGC ACTCCAACCCGAACCTCGCCGTACG sFRP1 U GTTTTGTAGTTTTTGGAGTTAGTGTTGTGT CTCAACCTACAATCAAAAACAACACAACA sFRP2 M GGGTCGGAGTTTTTCGGAGTTGCGC CCGCTCTCTTCGCTAAATACGAXCTCG sFRP2 U TTTTGGGTTGGAGTTTTTTGGAGTTGTGT AACCCACTCTCTTCACTAAATACAACTCA sFRP4 M GGGTGATGTTATCGTTTTTGTATCGAC CCTCCCCTAACGTAAACTCGAACG sFRP4 U GGGGGTGATGTTATTGTTTTTGTATTGAT CACCTCCCCTAACATAAACTCAAAACA sFRP5 M AAGATTTGGCGTTGGGCGGGACGTTC ACTCCAACCCGAACCTCGCCGTACG sFRP 5 U GTAAGATTTGGTGTTGGGTGGATGTTT AAAACTCCAACCCAAACCTCACCATACA DKK1 M TTAAGGGGTCGGAATGTTTC CACGAAACCGTACCGATTC DKK1 U TTTTAAGGGGTTGGAATGTTTT CCACAAAACCATACCAATTCAAC Figura VI. Tabella primers

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Immunocitochimica

L’analisi immunocitochimica è stata condotta per valutare la presenza e la localizzazione della beta-catenina attiva, che nelle cellule progenitrici proliferanti si trova a livello nucleare, mentre nelle cellule staminali quiescenti viene degradata a livello citoplasmatico. La beta-catenina traslocata nel nucleo è indice dell’attivazione della via Wnt.

Le cellule ricavate dall’incubazione selettiva in LC1 (genralmente circa 50 X 104), dopo essere state lavate in circa 200µl di PBS, sono state trasferite in cuvette da citosipin (Cytoprow, US PAT 5252228) e citocentrifugate per 6’ a 400 rpm (Aerospray, 7120 hematology, slide cyto centrifuge), su di un vetrino portaoggetto. Sono state poi fissate con parafolmaldeide (PFA, al 0,5% in PBS a RT, per 3’-5’) e permeabilizzate con Triton (al 0,2% per 5’). Successivamente, al fine di ridurre la possibilità di legami aspecifici durante l’incubazione con l’anticorpo primario, è stata effettuata un’incubazione in una soluzione di blocco costituita da PBS, 0,5% di BSA e 0,2% di gelatina, per 20 minuti a temperatura ambiente. E’ stata poi effettuata l’incubazione con i seguenti anticorpi primari: Anti-Active-β-catenin (anti-mouse, 1:250; Millipore, Temecula, CA, USA) e Anti- β-catenin (anti-rabbit, 1:100; Sigma-Aldrich, St Louis, MO, USA), per tutta la notte a 5 °C. Per visualizzare la distribuzione della β-catenina non fosforilata nucleare, le cellule sono state marcate con anticorpi secondari coniugati con Alexa 488 (anti-mouse, emissione nel verde, 1:200, A1101, Invitrogen) e Alexa 568 (goat anti-rabbit, emissione nel rosso, 1:200, A11036, Invitrogen). A questo punto sono stati effettuati i lavaggi finali in PBS e in acqua, il montaggio del vetrino con balsamo acquoso e l’analisi al microscopio confocale a scansione laser (Leica TCS SP5, Leica

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Microsystems, Germany; presso il Dipartimento di Anatomia Umana, Università degli Studi di Firenze).

Analisi FISH (Fluorescent in situ Hybridization)

Per la valutazione delle anomalie cromosomiche al t0 e del loro eventuale mantenimento dopo LC1, è stata condotta l’analisi FISH. Sono state utilizzate sonde marcate specifiche capaci di riconoscere le regioni relative alle alterazioni cromosomiche in esame. Per quanto riguarda la valutazione della delezione del 7 nel caso #18, è stata impiegata la sonda Vysis D7S522 (7q31)/CEP(7p11.1-q11.1). Per la valutazione della trisomia dell’8 nel caso #31 è sta impiegata la sonda Vysis CEP8(D8z2) (8p11.1-q11.1 Alpha Satellite DNA). Per lo studio del cariotipo complesso del caso #35 abbiamo impiegato la sonda Vysis LSI EGR1(5q31)/D5S23, D5S721(5p15.2). Infine per la perdita dell’Y del caso #33 la sonda Vysis CEP Y (DYZ3) (Yp11.1-q11.1 Alpha Satellite DNA).

I vetrini su cui è stata condotta l’analisi sono stati allestiti impiegando le cellule mononucleate recuperate al t0 subito dopo separazione su gradiente e dopo i 10-13 giorni di LC1, dopo successivo allestimento di colture cellulari di 48 ore. I vetrini sono stati pretrattati mediante una tecnica di “invecchiamento”, incubandoli a 60°C per almeno 2 ore. La miscela di ibridazione è stata preparata con 7μl di buffer di ibridazione, 1μl di sonda marcata e 2 μl di acqua distillata. Sono stati quindi posti 10 μl di tale miscela su ciascun vetrino in un area ottimale, precedentemente individuata mediante microscopio ottico, e coperti con il vetrino coprioggetto (24x24 mm) e disposti in ibridizzatore

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(Hybrydaizer®) dove è avvenuta una codenaturazione di sonda e DNA a 80°C per 3 minuti e, successivamente, l’ibridazione tra esse per 24 ore a 37°C. Al termine delle 24 ore, i vetrini sono stati lavati in una soluzione 0.4%X SSC + 0.3% NP-40 a 73°C per 2 minuti, poi in una soluzione 2XSSC + 0.1%NP-40 a temperatura ambiente per 1 minuto. Successivamente i vetrini sono stati colorati con diamino-2-phenylindole (DAPI), immergendoli in tale soluzione per 3 minuti a temperatura ambiente, e sciacquati in una soluzione 2X SSC. I vetrini sono stati poi montati con 7 μl di antifade e coperti con vetrino copri oggetto.

I campioni sono stati esaminati grazie a uno strumento, il Bioview Duet-3 Scanning Station, in dotazione presso la “SOD Diagnostica Citogenetica” dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Careggi, costituito da un microscopio a fluorescenza a tripla banda e munito di fotocamera ad alta risoluzione collegata ad un sistema computerizzato. Questo dispositivo adotta un sistema definito Duet 3 il cui troughput, (la velocità con cui vengono trasmesse alcune informazioni) elevato, consente l’acquisizione mediante scannerizzazione elaborazione e analisi delle immagini in maniera del tutto automatizzata.

Il sistema comprende un caricatore di diapositive automatico, lettore di codici a barre integrato e sofisticati software per la ricerca automatica e l’ordinamento di centinaia di nuclei, precedentemente ibridati in FISH. Il Duet 3 è in grado di realizzare, sul preparato, un conteggio rapido e preciso nell’individuazione di alterazioni genetiche, come delezioni traslocazioni e inversioni.

Questo sistema è inoltre in grado di realizzare una veloce scansione e analisi, rilevando anche anomalie genetiche presenti in minima percentuale sui preparati stessi. I risultati sono riassunti graficamente e visualizzati su un monitor che utilizza un’interfaccia molto semplice, le immagini FISH e i suoi parametri corrispondenti possono essere

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visualizzati in un'unica finestra.

Il sistema Bioview Duet-3 Scanning Station include microscopio automatizzato per la lettura in tripla banda (FITC/TRITC/DAPI), provvisto di caricatore automatico sul quale possono essere caricati simultaneamente fino a 8 vetrini, lettore a codici a barre integrato, fotocamera ad alta risoluzione, sistema computerizzato provvisto di modem, connessione di rete e DVD per l’archiviazione dei casi, monitor con display ad alta risoluzione.

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SCOPO DELLA TESI

Lo scopo di questo studio è stato quello di selezionare, direttamente da cellule mononucleate recuperate da aspirati midollari di pazienti affetti da sindrome mielodisplastica, sottopopolazioni cellulari con capacità ripopolante, mediante incubazione in ipossia profonda (0,1- 0,3 % O2). La sottopopolazione così ottenuta veniva poi studiata al fine di determinarne il grado di staminalità e capire se fosse l’effettiva responsabile dello sviluppo e del mantenimento della patologia nell tempo, di capire cioè se effettivamente all’interno di tale bulk cellulare fosse presente la cellula staminale mielodisplastica responsabile dello sviluppo clonale della malattia.

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Negli ultimi anni il ruolo dell’ipossia nella regolazione della normale emopoiesi, e la sua importanza in quella neoplastica, ha sviluppato sempre più interesse nella comunità scientifica. Gli effetti mediati dall’ipossia nella regolazione dello sviluppo emopoietico vengono sempre più studiati, e di fatto da diversi anni il laboratorio del Prof. Dello Sbarba, con il quale abbiamo collaborato per questo progetto, si dedica alla caratterizzazione degli effetti dell’ipossia profonda (~ 0.3% di O2) su sottopopolazioni cellulari staminali normali e leucemiche. I risultati fin qui ottenuti dimostrano la capacità dell’ipossia profonda di favorire il mantenimento del potenziale staminale di popolazioni ematopoietiche murine e umane [64-70]. Gli studi condotti su cellule leucemiche hanno permesso di evidenziare come le cellule staminali di eritroleucemia di Friend non solo siano capaci di sopravvivere in ipossia, ma, a differenza di quelle normali, siano in massima parte in attività mitotica. Ulteriori studi hanno dimostrato la capacità di farmaci mimetici dell’ipossia di indurre il differenziamento di cellule di leucemia promielocitica, parallelamente ad un accumulo di HIF-1α e di CEBPα [71-73], sottolineando ancora una volta il ruolo chiave della condizione ipossica, caratteristica della nicchia staminale, nella regolazione del metabolismo e nel differenziamento stesso delle cellule ematopoietiche, in particolare in condizioni neoplastiche.

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Le mielodisplasie, in quanto patologie clonali, sono generate da una cellula staminale alterata la quale, in presenza di un ambiente fortemente selettivo, accumula progressive mutazioni ed alterazioni, promuovendo la progressione della malattia; l’eterogeneità intrinseca di tali patologie tuttavia, e la conseguente assenza di caratteristiche molecolari e genetiche tipicamente associate ad essa, non consentono di identificare in maniera chiara a quale step maturativo compaia la prima alterazione responsabile dello sviluppo della neoplasia; la presenza di numerose possibili anomalie, molecolari e funzionali, relative a ciascun sottotipo di mielodisplasia, non ha consentito fino ad oggi di individuare e caratterizzare una vera e propria cellula staminale mielodisplastica, venendo così a mancare la possibilità di identificare uno specifico marker per la terapia delle SMD.

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