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Analisi delle abitudini alimentari e interventi di prevenzione di Disturbi Alimentari e Obesità in un campione non clinico di adolescenti

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DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Scienze della Nutrizione Umana

TESI DI LAUREA:

“ANALISI DELLE ABITUDINI ALIMENTARI E INTERVENTI DI

PREVENZIONE DI DISTURBI ALIMENTARI E OBESITA’

IN UN CAMPIONE NON CLINICO DI ADOLESCENTI”

CANDIDATA RELATORE

Martina Di Meglio Dott. Giovanni Gravina

(2)

INDICE

Introduzione ... 2

1. I disturbi dell’alimentazione e della nutrizione ... 3

1.1. Aspetti epidemiologici ... 4

1.2. Fattori eziopatogenetici dei DA ... 4

2. L’obesità ... 9

2.1. Dati epidemiologici ... 9

2.2. Eziopatogenesi dell’obesità ... 10

3. Connessioni tra disturbi dell’alimentazione e obesità ... 11

4. La Prevenzione ... 13

4.1. L’evoluzione dei programmi di prevenzione ... 14

4.2. La necessità di un intervento integrato per obesità e DA ... 17

4.3. Interventi di prevenzione evidence based ... 18

4.4. Il Body Project ... 20

5. L’intervento di prevenzione nelle scuole superiori di Pisa ... 21

5.1. Schema dell’intervento di prevenzione ... 22

5.1.1. Primo incontro: presentazione del progetto e somministrazione test ... 22

5.1.2. Secondo incontro: rilevazione dei dati antropometrici ... 24

5.1.3. Terzo incontro: restituzione dati e discussione con il gruppo classe ... 25

5.1.4. L’intervento Body Project ... 26

5.2. La ricerca: analisi del campione e risultati ... 26

5.2.1. Analisi delle abitudini alimentari ... 29

5.2.2. Ulteriori dati raccolti ... 38

5.2.3. Risultati dell’intervento Body Project ... 42

6. Discussione dei risultati ... 43

7. Conclusioni e prospettive future ... 45

Appendice 1. Struttura dell’intervento Body Project ... 46

Appendice 2. Questionario Femmine ... 52

Appendice 3. Questionario Maschi ... 65

(3)

Introduzione

L’obesità e i disturbi dell’alimentazione sono condizioni mediche molto frequenti tra gli adolescenti e presentano un elevato tasso di cronicizzazione con notevoli conseguenze sul piano organico, psicologico, funzionale e sociale. Alla base di queste patologie si riscontrano fattori socio-culturali che propongono modelli di identità femminile e maschile stereotipati dove il concetto di bellezza trova la sua unica espressione in criteri che riguardano l’immagine corporea, la forma fisica e la magrezza intesi come unici mezzi per esprimere se’ stessi, come veicoli e garanzia di benessere, accettazione sociale e successo. A riguardo hanno un ruolo fondamentale l’esperienza scolastica, la comunicazione mediatica, l’industria della dieta, il mondo della moda e gli ambienti sportivi. Da queste riflessioni emerge la necessità di promuovere interventi di prevenzione efficaci, in particolare nella scuola, luogo cruciale per la crescita e l’individualizzazione dei ragazzi. La letteratura nazionale e internazionale è concorde nel ritenere la prevenzione selettiva come la metodologia più utile per contrastare l’esordio di disturbi del comportamento alimentare e obesità in età adolescenziale.

Questo lavoro presenta un’analisi delle abitudini e dei comportamenti legati all’alimentazione e la descrizione degli interventi di prevenzione realizzati con adolescenti maschi e femmine svolti presso tre scuole medie superiori del territorio pisano. L’attività principale di prevenzione selettiva è stata quella del “Body Project”, metodologia evidence based e strutturata che, attraverso la tecnica della dissonanza cognitiva, si pone l’obiettivo di promuovere l’accettazione del corpo e di favorire un’immagine corporea più positiva nelle adolescenti femmine.

(4)

1. I disturbi dell’alimentazione e della nutrizione

I disturbi alimentari sono uno dei problemi di salute con prevalenza maggiore tra gli adolescenti occidentali, specialmente fra le ragazze. Rappresentano un insieme di patologie caratterizzate da comportamenti estremi di controllo del peso associati ad un’eccessiva valutazione del peso e delle forme del corpo (Fairburn & Harrison, 2003). Nell’ultima versione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5, 2013) sono definiti come “Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione o di comportamenti collegati con l’alimentazione che determinano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che danneggiano significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale”. (1)

Il DSM-5 definisce le seguenti categorie diagnostiche: 1) Anoressia Nervosa

2) Bulimia Nervosa 3) Binge Eating Disorder

4) Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo 5) Disturbo di ruminazione

6) Pica

7) Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con altra specificazione; 8) Disturbo della nutrizione o dell’alimentazione senza specificazione; Per la descrizione specifica dei criteri diagnostici per patologia si rimanda ad altre trattazioni.

(5)

1.1. Aspetti epidemiologici

Anoressia Nervosa (AN), Bulimia Nervosa (BN) e Binge Eating Disorder (BED) sono i disturbi dell’alimentazione più comunemente riscontrati nella popolazione generale. In Italia ogni anno si registrano 8 nuovi casi di Anoressia Nervosa tra le donne, mentre la prevalenza è stimata tra 0.2 e 0.9%; in questo stesso gruppo di popolazione risulta più frequente la Bulimia Nervosa (incidenza: 12 nuovi casi su 100.000 donne in un anno e prevalenza stimata tra 0.5% e 1.8%). Il rapporto maschi-femmine per l’Anoressia Nervosa risulta circa 1:10, mentre si attesta tra 1:6 e 1:10 per la Bulimia Nervosa, anche se nuove ricerche dimostrerebbero una netta crescita tra la popolazione maschile per entrambi i disturbi. Anche il Binge Eating Disorder presenta una prevalenza maggiore nelle femmine, nonostante il rapporto nella popolazione adulta tra maschi e femmine risulti più equilibrato e la prevalenza sia dello 0.8% e 1.6%, rispettivamente. Per Anoressia Nervosa e Bulimia Nervosa l’età media di esordio è di 17.9 anni, con un picco di incidenza tra i 14 e i 25 anni, mentre il Binge Eating Disorder presenta un’età di insorgenza più elevata, con un picco tra i 20 e i 30 anni, spesso come conseguenza di una diagnosi più tardiva. Molto comuni risultano i viraggi tra lo spettro di questi disturbi nel corso della vita. (2)(3)

1.2. Fattori eziopatogenetici dei DA

Tutti i disturbi dell’alimentazione condividono un modello eziopatogenetico comune che, secondo le indicazioni della comunità scientifica internazionale, è di tipo multifattoriale, in quanto le cause che concorrono alla comparsa e allo sviluppo di questi disturbi sono molteplici. Per far sì che si scateni un DA è necessario che siano

(6)

presentino dei fattori di rischio in associazione a fattori scatenanti e di mantenimento.

Per fattori di rischio si intendono le caratteristiche misurabili che, se presenti nella vita dell’individuo, aumentano la probabilità di insorgenza di un disturbo. Essi possono essere variabili, cioè possono modificarsi spontaneamente o dopo un determinato trattamento, o causali quando la manipolazione di un fattore di rischio variabile non determina l’insorgenza di un DA. Quando il fattore di rischio non può essere modificato in alcun modo, allora viene definito marcatore fisso. (4)

I fattori di rischio possono essere suddivisi nelle seguenti categorie: a) Fattori generali e sociali: all’interno di questa categoria rientrano varie caratteristiche personologiche quali

• Genere: il sesso femminile è quello maggiormente esposto.

• Gruppo etnico: diversi studi affermano che l’etnia bianca sembra essere più incline allo sviluppo di tali disturbi.

• Partecipazione a sottogruppi “peso-correlati”: rientrano in questa categoria ballerine, modelle, atleti, ovvero chi deve rispettare dei canoni fisici per poter svolgere una determinata attività. Secondo alcuni studi, le modelle sembrerebbero essere maggiormente sottopeso e soffrire in maniera maggiore di DA rispetto ad altre categorie lavorative; dall’altro lato le ragazze che attuano comportamenti compensatori o che ricorrono frequentemente a diete dimagranti sembrerebbero essere maggiormente attratte dallo svolgere questo tipo di lavoro. (5) Gli atleti invece svilupperebbero maggiormente disturbi sotto soglia. (6)

• Livello culturale e status economico: i DA interessano maggiormente i paesi industrializzati occidentali e la distribuzione interessa tutti i ceti sociali.

• Età adolescenziale: il passaggio dall’infanzia all’età adulta è caratterizzato da profondi cambiamenti individuali che possono

(7)

portare la persona a sentirsi incapace di far fronte alla maturità e all’autonomia che ne consegue.

• Interiorizzazione dell’ideale di magrezza e preoccupazione eccessiva per l’immagine corporea: il concetto di immagine corporea è una nozione multidimensionale che trova la sua massima espansione nella società occidentale. (7) Il concetto di immagine corporea è strutturato da fattori percettivi riguardo alla sovrastima delle propria forme corporee, cognitivo-affettivi per quanto concerne i pensieri e i sentimenti rivolti al corpo e comportamentali, come indossare abiti di taglie maggiori a quelle necessarie. (8) Secondo studi recenti l’internalizzazione dell’ideale di magrezza agirebbe nel giro di un anno nelle adolescenti femmine e le porterebbe verso l’insoddisfazione corporea in quanto più soggette alla pressione sociale. (9) L’interiorizzazione dell’ideale di magrezza non comporta solo il desiderio di un corpo più magro, ma anche il generarsi di sentimenti negativi nei confronti di sé stessi e della propria forma corporea (10) che condurrebbero allo sviluppo di altri disturbi psicologici. (9) L’insoddisfazione per i maschi si tradurrebbe nel desiderio di un corpo più tonico e muscoloso, il che li farebbe ricorrere all’uso di sostanze o ad un’intensa attività fisica per aumentare la massa muscolare. (11)

b) Fattori familiari: il ruolo della famiglia è sempre stato considerato centrale nell’insorgenza di questi disturbi. Sono stati riscontrati alcuni atteggiamenti che possono presentarsi nelle diverse famiglie, quali l’invadenza, l’ostilità e la negazione dei bisogni emotivi, l’eccessivo controllo e l’esagerata preoccupazione anche se non è possibile estendere queste caratteristiche a tutti i nuclei familiari in cui sia presente un caso di DA. (12) Alcuni studi hanno evidenziato una predisposizione genetica allo sviluppo di questi disturbi e una facilità di insorgenza in quelle famiglie in cui è presente un parente di primo grado con un DA o in quelle famiglie in cui si pone particolare interesse all’aspetto fisico, ma anche

(8)

Infine, ad oggi, la familiarità psichiatrica è considerata un fattore correlato ma non un fattore di rischio diretto. (4)

c) Fattori legati allo sviluppo: l’Indice di Massa Corporea (IMC) e altre variabili legate al peso sembrano influenzare l’esordio del disturbo; ad esempio la presenza di obesità in infanzia sembra essere un fattore associato a BN e BED (14); tuttavia il fattore peso corporeo come fattore di rischio non è totalmente chiarito. Anche i problemi di alimentazione nell’infanzia, come difficoltà di digestione e clima di tensione relazionale durante i pasti, produrrebbero alterazioni nel rapporto con il cibo e quindi rappresenterebbero un fattore predisponente e/o di mantenimento del DA. (15)

d) Fattori traumatici: la correlazione fra AN e BN ed abusi sessuali è stata confermata in uno studio longitudinale. (16) È stata riscontrata anche una relazione fra abusi sessuali, fisici, psicologici e mancanza di cure e la presenza di sintomi bulimici. (17)

e) Fattori psicologici e comportamentali: le ragazze che tendono a sviluppare un DA presentano livelli più bassi di autostima, senso di scarsa autoefficacia e valutazione negativa di sé rispetto alla popolazione di riferimento. Presentano un maggior grado di perfezionismo (18) e difficoltà nelle relazioni e nella gestione delle emozioni, con un continuo “processo di fuga-evitamento” da una realtà interna ed esterna avvertita come spiacevole ed inaccettabile. (19) Anche i disturbi d’ansia e/o depressione sembrano essere molto incisivi nell’esordio dei DA. (16) I fattori predisponenti devono essere accompagnati da fattori precipitanti perché si instauri un DA. Fra i fattori più importanti c’è l’intraprendere una dieta conseguentemente ad un’insoddisfazione per il proprio corpo (20) che può essere favorita dai cambiamenti repentini e profondi che avvengono nel periodo della pre-adolescenza e che possono

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indurre l’individuo ad un processo di ristrutturazione della propria identità corporea. (19) L’intraprendere diete inoltre porterebbe la persona a svolgere un controllo sul proprio peso e sul corpo per cercare di raggiungere un peso che però risulterà non realistico. (13)(21) I fattori scatenanti possono essere anche eventi vitali esterni non controllabili dal soggetto come ad esempio l’interruzione di relazioni importanti, separazione dei caregivers, abusi e traumi. (22)

I fattori di mantenimento consentono il perpetuarsi della malattia una volta innescata. I fattori che portano al perpetrarsi del disturbo sono gli stessi che ne hanno favorito la manifestazione, ovvero l’eccessiva valutazione del peso e delle forme corporee e il bisogno di raggiungere una magrezza idealizzata, che portano la persona a continuare a sottostare a diete restrittive che favoriscono pensieri ossessivi sul cibo con l’innesco, in alcuni casi, di condotte compensatorie inappropriate. Le reazioni della famiglia e del contesto sociale possono rappresentare fattori di mantenimento, soprattutto riguardo alle conseguenze fisiche e psicologiche della malnutrizione, che esitano in un peggioramento della valutazione del proprio corpo.

(10)

2. L’obesità

L’obesità è una condizione medica caratterizzata da un eccessivo accumulo di grasso corporeo che può comportare effetti negativi sulla salute umana, con conseguente riduzione dell’aspettativa di vita (WHO, 2000). Si manifesta a causa di uno squilibrio fra introito calorico e spesa energetica, con conseguente accumulo dell’eccesso di calorie in forma di trigliceridi nei depositi di tessuto adiposo. Si parla di obesità quando l’IMC è superiore a 29.9 km/m, con una percentuale di massa grassa superiore al 25% del peso nell’uomo o al 35% nella donna. La diagnosi dovrebbe inoltre avvalersi della misura della circonferenza vita come indicatore di distribuzione adiposa, infatti valori superiore a 102 cm negli uomini e 88 cm nelle donne sono considerati espressione di obesità viscerale e fattori di rischio cardiovascolare. (23)

2.1. Dati epidemiologici

Obesità e sovrappeso, prima considerate solo problematiche dei Paesi ricchi, sono ora drammaticamente in crescita anche nei Paesi a basso e medio reddito, tanto da essere ormai riconosciuti come veri e propri problemi di salute pubblica. (23) Nel 2001 l’OMS ha coniato il termine “globesity” dalla crasi tra i vocaboli inglesi di obesità e globalità per sottolineare l’epidemia globale dell’obesità a livello mondiale. Per quanto riguarda l’Italia, il 35.3% della popolazione generale è in sovrappeso, mentre il 9.8% presenta obesità. La percentuale di popolazione in eccesso ponderale cresce all’aumentare dell’età e, in particolare, il sovrappeso passa dal 14% della fascia di età tra i 18 e i 24 anni al 46% tra i 65 e i 74 anni, mentre l’obesità passa, dal 2,3% al 15,3% per le stesse fasce di età. Inoltre, la condizione di eccesso ponderale è più

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diffusa tra gli uomini rispetto alle donne (sovrappeso 44% vs 27.3%; obesità 10.8% vs 9%). (2)(24)(25)

Per quanto riguarda la popolazione infantile-adolescenziale italiana, l’eccesso ponderale riguarda oltre un terzo dei soggetti, come rilevato dai dati dell’indagine “OKkio alla Salute (2016)”. La gravità della diffusione dell’obesità in infanzia e adolescenza risiede anche nel fatto che i bambini con eccesso ponderale presentino un elevato rischio di diventare adulti obesi e questo predispone al rischio per serie complicanze mediche e patologie croniche. (26) L’obesità si associa infatti ad un maggior rischio di varie patologie tra cui diabete mellito tipo 2, sindrome metabolica, ipertensione arteriosa, sindrome delle apnee ostruttive notturne, steatosi epatica non alcolica, osteoartrosi e neoplasie. L’obesità si associa inoltre ad una ridotta aspettativa di vita, in media di 7 anni nell’obesità acquisita in età adulta. (23)

2.2. Eziopatogenesi dell’obesità

Così come per i DA, anche l’obesità presenta un’eziologia multifattoriale in cui i meccanismi sottesi all’incremento di peso possono essere spiegati attraverso fattori di tipo individuale e ambientale.

Tra i fattori individuali si annoverano:

• Fattori genetici: sono fattori non modificabili. Sono stati riscontrati geni di suscettibilità che aumentano il rischio di sovrappeso e obesità, ma non risultano indispensabili e da soli non sembrano essere sufficienti per lo sviluppo di tali condizioni. Rientrano in questa categoria le sindromi genetiche che predispongono ad obesità, come quella di Prader-Willi e di Bardet-Bield.

(12)

• Stile di vita: abitudini alimentari scorrette, ridotta attività fisica e aspetti cognitivo comportamentali quali gestione delle emozioni, pensieri disfunzionali e comportamenti alimentari sono alla base dello sviluppo della patologia. (2)

Un’altra componente fondamentale risulta quella dei fattori ambientali:

• Un ambiente familiare propenso alla sedentarietà e alla ridotta attività fisica sembra associarsi ad una maggiore probabilità di aumento ponderale.

• Mondo occidentale: si ritiene che il crescente benessere economico della popolazione occidentale possa essere all’origine di un maggior consumo di cibo, con elevata disponibilità di alimenti ipercalorici e iperpalatabili a basso costo.

• Abitudini alimentari errate legate a vita frenetica, influenza dell’industria della dieta, aspetti commerciali della globalizzazione del mercato, pubblicità di prodotti alimentari, modifica delle porzioni risultano aspetti rilevanti. (2)

3. Connessioni tra disturbi dell’alimentazione e obesità

Obesità e DA sono insieme riferibili alla categoria di Disturbi da Alimentazione non-omeostatica che si estende dall’emaciazione anoressica alla grande obesità, interessando tutte le categorie di peso corporeo, con somiglianze rilevanti e frequenti migrazioni trans-diagnostiche da un quadro clinico all’altro, in tempi diversi della vita. (2)(27)

L’obesità è la condizione medica generale più comunemente osservata nei pazienti con disturbo dell’alimentazione: questa comorbidità è

(13)

frequente in pazienti con BED e occasionalmente si osserva anche in quelli che soffrono di Bulimia Nervosa. Lo stesso inserimento del BED tra le diagnosi principali del DSM-5 conferma la necessità di considerare obesità e DA come due facce della stessa medaglia, caratterizzate da problematiche nel rapporto con il cibo e con la gestione del controllo del peso corporeo. (2)(28)

Diversi studi hanno messo in evidenza fattori di rischio e di mantenimento comuni ad entrambe le patologie. Alcuni dati preliminari indicano che la dieta, l’insoddisfazione corporea, l’utilizzo dei media e dei social network possano essere rilevanti sia per lo sviluppo di obesità sia per i disturbi dell’alimentazione. Dal punto di vista comportamentale soggetti con obesità o DA presentano un comune frequente ricorso a schemi alimentari biologicamente non corretti e un’importante dipendenza dai media per le scelte alimentari. (29)

Le persone con obesità sono spesso oggetto di pregiudizi sociali, perché ritenute totalmente responsabili della loro condizione, e possono subire varie forme di discriminazione. Questa stigmatizzazione sociale ha un impatto negativo sulla loro autostima, generando sentimenti di vergogna e colpa che possono favorire la percezione di un’immagine negativa di sé stessi e rinforzare i comportamenti di restrizione alimentare nel tentativo di modificare il peso e le forme del proprio corpo. La restrizione dietetica cronica a cui le persone con obesità si sottopongono

,

nel tentativo di ridurre il peso in eccesso, può avere un effetto destabilizzante sull’umore e comportare ansia, irritabilità e depressione. Come conseguenza possono verificarsi abbuffate alimentari nel tentativo di alleviare, con la gratificazione legata al consumo di cibo, gli stati d’animo negativi insorti a causa della deprivazione calorica. Questo può innescare un pericoloso circolo vizioso con episodi di perdita di controllo con abbuffate e comportamenti compensatori innescati da un forte senso di colpa. (3) Diversi studi hanno infatti dimostrato che soggetti con obesità o DA

(14)

compresso e una maggiore rigidità cognitiva: un alterato controllo inibitorio, sia cognitivo sia legato ai processi neurobiologici della ricompensa, con maggior rischio di comportamenti impulsivi o compulsivi, è stato correlato alla genesi di BN e BED e a quella di obesità. (30)(31) Sia nei DA che nell’obesità sono stati riscontrati comportamenti di “eating in absence of hunger” ovvero mangiare in assenza di appetito e “disinhibited eating” ovvero alimentarsi in risposta a stati emotivi o per la semplice presenza di cibo con alternarsi di fasi di restrizione/disinibizione. (32)

Anche se i risultati non sono univoci, è stato ipotizzato un ruolo comune della genetica per queste patologie, non solo per obesità e BED ma anche per AN e BN; sono stati inoltre individuati pathways cerebrali comuni legati a dopamina e grelina, per quanto riguarda la food addiction e il reward. (2)

Nella letteratura recente, infine, ono stati segnalati casi di Anoressia e Bulimia Nervosa, perlopiù in forma atipica, in soggetti con obesità dopo interventi di chirurgia bariatrica; l’incidenza di questi casi è probabilmente sottostimata. (2)(33)

4. La Prevenzione

A causa della rilevanza dei disturbi dell’alimentazione e dell’obesità, negli ultimi anni si è sviluppato un notevole interesse nei confronti della loro prevenzione. Grande attenzione è stata dedicata ai programmi di prevenzione scolastica perché la scuola è potenzialmente il luogo migliore per raggiungere la maggior parte degli adolescenti. (34)

Per prevenzione si intende “un insieme di attività, azioni ed interventi attuati con il fine prioritario di promuovere e conservare lo stato di salute

(15)

ed evitare l’insorgenza di malattie” (ISS). Una prevenzione ottimale deve basarsi sulla conoscenza dei fattori di rischio. Infatti l’individuazione e la maggiore consapevolezza dei fattori che possono concorrere allo sviluppo di un DA porterebbe ad una diminuzione della stigmatizzazione verso il disturbo stesso. Inoltre, poiché la nosografia attuale si basa sull’eziologia dei disturbi, lo studio dei fattori di rischio può rappresentare uno spunto per una revisione dei criteri diagnostici ed è dimostrato che la comprensione delle cause di un disturbo permette di agire più efficacemente durante il trattamento. (15)

4.1. L’evoluzione dei programmi di prevenzione

Negli anni i programmi di prevenzione hanno avuto un notevole sviluppo e sono stati oggetto di studi controllati in numerosi paesi occidentali quali Canada, Stati Uniti, Norvegia, Svizzera, Olanda, Gran Bretagna, Italia, Spagna, Croazia, Australia e Israele; di conseguenza è oggi disponibile un grande bagaglio di conoscenze in merito alla loro efficacia e ai loro limiti. (3)

La prima classificazione dei livelli di prevenzione proposta dalla Commission on Chronic Illness (1957), prevedeva la divisione in tre livelli:

- La prevenzione primaria, volta alla diminuzione del numero di nuovi casi di un disturbo o malattia (incidenza).

- La prevenzione secondaria, volta a diminuire il tasso di casi stabiliti di un disturbo o malattia nella popolazione (prevalenza).

- La prevenzione terziaria, volta a diminuire la quantità di disabilità di un disturbo esistente.

(16)

adottati dalla maggior parte degli operatori della salute che si occupano di prevenzione:

- La prevenzione universale prevede interventi diretti alla popolazione generale o un gruppo di popolazione che non è stato identificato sulla base del rischio individuale.

- La prevenzione selettiva prevede interventi diretti a individui o un sottogruppo di popolazione in cui il rischio di sviluppare un disturbo è significativamente sopra la media, come evidenziato da fattori di rischio biologici, psicologici e sociali.

- La prevenzione indicata prevede interventi diretti a individui ad alto rischio identificati per avere sintomi minimi ma rilevabili di un disturbo, oppure marcatori biologici che indicano la predisposizione a quest’ultimo, senza soddisfare i criteri diagnostici per malattia. In realtà nella pratica della prevenzione dei disturbi del comportamento alimentare e dell’obesità la distinzione tra i suddetti livelli è difficile da mantenere e molto spesso non risulta netta, ma vengono integrati interventi differenti e adattati alla situazione individuale. (34)

Nel tempo c’è stata un’evoluzione tra i programmi di prevenzione, potendo giungere ad una classificazione in programmi di prima, seconda e terza generazione.

I programmi di prima generazione hanno adottato un approccio di tipo psicoeducativo didattico, che forniva informazioni su nutrizione, immagine corporea, disturbi dell’alimentazione, obesità e le loro conseguenze. Questi programmi hanno determinato un aumento delle conoscenze in merito a queste tematiche, senza un’effettiva modificazione degli atteggiamenti disfunzionali, come ad esempio l’eccessiva valutazione del peso e delle forme corporee e dei

(17)

comportamenti disfunzionali come la restrizione dietetica, l’attività fisica eccessiva e gli altri comportamenti di compenso. (34)

I programmi di prevenzione tradizionali dell’obesità si basavano sull’educazione alimentare e sul promulgare informazioni relative ad una corretta alimentazione: revisioni sistematiche della letteratura di programmi di prevenzione di obesità e sovrappeso nel setting scolastico hanno evidenziato una forza dell’evidenza debole in tutti gli interventi di stampo nutrizionale e/o di attività motoria, anche associata. (35) Altri interventi basati su educazione alimentare nelle scuole hanno portato ad un paradossale aumento di peso dei bambini sovrappeso e una maggiore focalizzazione di quelli normopeso su sana alimentazione e attività fisica. (36)

I programmi di seconda generazione hanno affrontato direttamente alcuni fattori di rischio identificati dalla ricerca, come alcuni comportamenti disfunzionali nei confronti del peso, mantenendo però un approccio di tipo didattico, e questo ha comportato come risultato la riduzione di alcuni fattori di rischio, ma non dei sintomi riferibili al disturbo. (4)

I programmi di terza generazione hanno utilizzato un approccio educativo interattivo ed esperienziale e strategie progettate per modificare gli atteggiamenti disfunzionali e i comportamenti non salutari. Esempi includono le tecniche di ristrutturazione cognitiva per modificare i comportamenti disfunzionali nei confronti del peso e delle forme del corpo, l’approccio basato sulla dissonanza cognitiva, i messaggi video per dissuadere i partecipanti dal praticare una dieta, le tecniche attive di automonitoraggio per incoraggiare una modificazione delle abitudini alimentari e dello stile di vita, i videotape di prevenzione su diete e immagine corporea, i programmi multimediali su internet con materiale psicoeducativo di auto-aiuto e le strategie volte a migliorare la percezione

(18)

programmi hanno ridotto alcuni fattori di rischio e alcuni sintomi dei disturbi dell’alimentazione. (3)

In merito a queste riflessioni si ritiene primaria la necessità di attuare interventi di prevenzione di tipo dinamico interattivo ed esperienziale, seguendo lo stampo dei programmi di terza generazioni, ritenuti più efficaci nel modificare gli atteggiamenti e i comportamenti disfunzionali. (34)

4.2. La necessità di un intervento integrato per obesità e DA

Esistono plurime ragioni per integrare la prevenzione dei disturbi dell’alimentazione con quella dell’obesità alla base di cui si ritrovano le numerose connessioni riscontrate tra queste patologie, a partire dalla sovrapposizione di numerosi fattori di rischio.

Dall’analisi dei dati della letteratura emerge che programmi di prevenzione di DA e obesità somministrati separatamente, producono il rischio di potenziali effetti iatrogeni, quali per esempio strategie volte alla prevenzione dell’obesità che consistono nel monitoraggio dell’assunzione di alimenti che potrebbero promuovere un’eccessiva preoccupazione per l’alimentazione, il peso e le forme del corpo e, viceversa, strategie volte all’eliminazione di qualsiasi restrizione alimentare potrebbero favorire l’adozione di un’alimentazione in eccesso e lo sviluppo di sovrappeso e obesità. Un altro aspetto molto importante è quello economico: un solo intervento di prevenzione è più economico di due, e questo risulta un punto molto importante da considerare in un periodo di crisi economica globale. (34)

Sulla base di queste considerazioni emerge la necessità di sviluppare un approccio di prevenzione integrato e non frammentario, che bilanci

(19)

l’importanza di seguire uno stile di vita salutare per evitare lo sviluppo di obesità con l’importanza di accettare la diversità del corpo umano per evitare lo sviluppo di disturbi dell’alimentazione. (4)

Esistono già evidenze sull’utilità di integrare la prevenzione dei disturbi alimentari con quella dell’obesità: il programma di prevenzione “Planet Health”, originariamente sviluppato come programma di prevenzione scolastica dell’obesità, quando integrato ha prodotto risultati migliori in termini di insorgenza di comportamenti di controllo del peso, come il vomito autoindotto, l’uso improprio di lassativi e l’assunzione di farmaci dimagranti. (37) Anche gli ottimi risultati raggiunti dal programma “Gestione salutare del peso” nel prevenire sia l’aumento di peso che l’insorgenza di disturbi dell’alimentazione sono un’ulteriore prova a favore dell’utilità di integrare la prevenzione di queste condizioni patologiche al fine di ottenere risultati migliori. (38)

4.3. Interventi di prevenzione evidence based

La Evidence Based Prevention (EBP) è un movimento costituito da specialisti che intendono espandere gli interventi preventivi con nuove tecniche di cui sia provata l’utilità e l’efficacia attraverso progetti applicati di ricerca e sperimentazione. L’EBP intende anche eliminare tutte quelle pratiche che non rispondono a queste caratteristiche.

Negli ultimi 15 anni, un gran numero di studi controllati e randomizzati hanno valutato numerosi programmi di prevenzione e la loro efficacia è stata analizzata da revisioni sistematiche. Lavori recenti hanno fornito informazioni utili sulla conoscenza delle caratteristiche dei programmi di prevenzione scolastica associati a buon esito: i migliori effetti sono emersi nei programmi di terza generazione basati sulla prevenzione selettiva di

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tipo interattivo, offerti a ragazze di età maggiore a 15 anni attraverso incontri multipli, in piccoli gruppi (6-8 persone), focalizzati sull’accettazione del corpo e condotti da professionisti adeguatamente formati che hanno applicato un’induzione della dissonanza cognitiva per cambiare le attitudini e i comportamenti e che non hanno incluso l’utilizzo di materiale psicoeducativo. (3)(4) Questi interventi hanno riportato un livello di efficacia ed efficienza migliore. (34)

La prevenzione evidence based si basa infatti su due concetti:

• Efficacy (efficacia sperimentale): la capacità di un intervento di raggiungere un certo obiettivo o di produrre l’effetto che si desidera in condizioni sperimentali (efficacia teorica di un intervento); • Effectiveness (efficacia nella pratica): il risultato che lo stesso

intervento produce effettivamente, in condizioni di normale attività (efficacia empirica di un intervento). (4)

Un intervento evidece based deve quindi ridurre l’incidenza del disturbo e i fattori di rischio. Deve invece produrre un potenziamento dei fattori protettivi, dell’alfabetizzazione mediatica nei giovani e di un pensiero critico. L’intervento deve prevedere una rilevazione di dati e una fase di follow-up anche a distanza di anni, quando possibile. (4)

Tredici trials controllati, quattro di efficacia sperimentale e nove di efficacia nella pratica, condotti da cinque centri di ricerche indipendenti, hanno evidenziato che l’intervento “Body Project” (Stice & Presnell, 2007a), basato sulla tecnica della dissonanza cognitiva (Festinger, 1957) è quello risultato più attinente ai criteri evidence based e ha riportato cambiamenti effettivi sia a livello cognitivo che comportamentale, confermati nel follow-up.

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4.4. Il Body Project

Il “Body Project” è un programma di prevenzione selettiva evidence-based che si pone come obiettivo principale la riduzione dell’interiorizzazione dell’ideale di magrezza attraverso l’uso della tecnica della dissonanza cognitiva e la diminuzione dei fattori di rischio per lo sviluppo di un disturbo del comportamento alimentare. Ulteriori ricerche, hanno dimostrato l’efficacia di questo programma anche nella riduzione del rischio di obesità e nel miglioramento del funzionamento psicosociale. (39)(40)

L’intervento si rivolge ad adolescenti femmine, dai 15 anni di età, con lo scopo di promuovere l’accettazione del corpo e favorire un’immagine positiva di sé. L’interiorizzazione dell’ideale di magrezza è ad oggi socialmente definito nella cultura occidentale, che vede i soggetti di sesso femminile sottoposti a pressioni sociali per il raggiungimento di un corpo perfetto, che si traduce nel modello di una donna “ultrasottile”. Il mancato ottenimento di questa forma del corpo, provocherebbe nelle ragazze che perseguono questo ideale un senso di insoddisfazione corporea, le cui conseguenze principali sono il tono dell’umore negativo, comportamenti dietetici non salutari fino ad arrivare allo sviluppo di un disturbo alimentare vero e proprio. (39)(40)

Il “Body Project” trova la sua forza di applicazione in 5 principi generali: 1) Minima parte di psicoeducazione per la sua dimostrata scarsa efficacia; (41)

2) Introduzione di esercizi per la messa in pratica delle abilità acquisite durante le sessioni;

3) Svolgimento di esercizi da fare a casa, per la messa in pratica delle abilità acquisite;

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5) Svolgimento di attività di gruppo per favorire la coesione e il sostegno fra le partecipanti.

Il “Body Project” è un intervento che si effettua in gruppo, condotto da esperti che promuovono, attraverso la dissonanza cognitiva, un’idea del corpo molto diversa da quella interiorizzata attraverso l’ideale estetico di magrezza. È fondamentale che siano le partecipanti al gruppo ad argomentare contro l’ideale di magrezza e a trovare idee di bellezza alternative. Ciò produrrebbe effetti benefici riscontrabili nella maggior soddisfazione corporea, nel tono dell’umore e nella riduzione di comportamenti compensativi tipici di questi disturbi. (40)

La struttura del programma è riportata in Appendice 1.

5. L’intervento di prevenzione nelle scuole superiori di Pisa

“Pisa città che mangia sano” è un protocollo di intesa, stipulato nel 2014, tra Regione Toscana, Comune di Pisa, Università degli studi di Pisa, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana e Azienda USL Toscana Nord Ovest che ha l’obiettivo di diffondere e promuovere comportamenti salutari al fine di prevenire l’obesità, le malattie cronico-degenerative correlate a stili di vita scorretti e i disturbi dell’alimentazione. Le azioni sono volte alla diffusione della cultura della sana alimentazione, con particolare riferimento alla Dieta Mediterranea a filiera corta, attraverso incontri con la popolazione, interventi nelle scuole e nei setting extra-scolastici coinvolgendo i mezzi di comunicazione di massa e gli organismi di partecipazione dei cittadini. All’interno di questo protocollo è stato strutturato un progetto di prevenzione destinato alla popolazione di ragazzi adolescenti della città di Pisa, che prevede azioni volte alla prevenzione dei disturbi dell’alimentazione e dell’obesità nelle scuole.

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5.1. Schema dell’intervento di prevenzione

Il progetto, svolto presso le scuole medie superiori del territorio pisano, ha previsto una serie di azioni di prevenzione universale con il gruppo classe, una fase di rilevazione dei parametri antropometrici e un successivo intervento di prevenzione selettiva attraverso l’intervento Body Project per 18 ragazze che hanno aderito su base volontaria. Di seguito è riportata la struttura specifica dell’intervento.

5.1.1. Primo incontro: presentazione del progetto e somministrazione test

In una prima fase, le operatrici (psicologhe e dietiste) si sono presentate, hanno spiegato le finalità della somministrazione e del progetto “Pisa città che mangia sano” e hanno dato le istruzioni per la compilazione dei test. Agli studenti è stato consegnato un plico di questionari (diversificati per maschi e femmine) e la compilazione ha previsto la durata massima di 45 minuti. Lo scopo dei test è stato quello di indagare i comportamenti e le abitudini alimentari, il grado di internalizzazione dell’ideale di magrezza, la presenza di emozioni negative, la probabilità di disagio significativo del corpo, l’insoddisfazione per l’immagine corporea e i sentimenti positivi o negativi rivolti verso sé stessi.

I test somministrati ai maschi sono stati:

• Body Uneasiness Test: valuta il disagio relativo all’immagine corporea (Cuzzolaro & Vetrone, 1999);

• Rosenberg Self-Esteem Scale: indaga i sentimenti positivi e negativi rivolti a sé stessi, quindi il livello di autostima (Rosenberg, 1965);

• Toronto Alexithymia Scale-20 (TAS-20): valuta il livello di alessitimia, ovvero il grado di difficoltà che alcune persone hanno

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nel descrivere e identificare i propri e gli altrui stati emotivi (Bagby et al., 1994);

• Eating Attitude Test (EAT-26): valuta la probabilità di presenza di un disturbo alimentare (David M. Garner & Paul E. Garfinkel, 1979); • Figure Rating Scale (FRS): test per la valutazione del grado di insoddisfazione corporea e sviluppato per lo studio dell’immagine corporea nei maschi (Stunkard et al., 1983). I ragazzi sono chiamati ad indicare: a quale forma pensano di somigliare di più, quale forma del corpo vorrebbero avere, quale forma del corpo pensano che sia la preferita dai ragazzi, quale forma del corpo viene giudicata più attraente dalle ragazze;

• Muscle Silhouette Measure (MSM): test in cui sono presenti 8 immagini maschili che vanno da una figura meno muscolosa ad una sempre più muscolosa. Attraverso questo test si valuta il grado di insoddisfazione per il livello di muscolatura (Frederick et al., 2005); • Male Photographic Silhouettes Test (MPST): indaga il grado di insoddisfazione corporea sottoponendo 10 silhouette di corpi maschili fotografati che vanno da estremamente magro a estremamente corpulento (Gravina et al., test in fase di validazione);

• Scheda sulle abitudini alimentari (elaborata dal gruppo di lavoro). Alle femmine sono stati somministrati i seguenti test:

• Ideal-Body Stereotype Scale-Revised: utilizzata per la valutazione dell’ideale di magrezza e dei fattori di rischio (Stice et al., 2004); • Dutch Restrained Eating Scale (DRES): valutazione del controllo specifico e della restrizione dietetica (van Strien et al., 1986);

• Satisfaction and Dissatisfaction with Body Parts Scale: valutazione del livello di soddisfazione delle parti del corpo (Berscheid et al., 1973);

• Negative Affect Scale: valuta gli stati d’animo e le emozioni (Watson & Clark, 1992);

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• Eating Disorder Examination-Questionnaire (EDE-Q): test per la valutazione della probabilità di sviluppare i prodromi per un DA (Calugi et al., 2016);

• Body Uneasiness Test: valuta il disagio relativo all’immagine corporea (Cuzzolaro & Vetrone, 1999);

• Figure Rating Scale (FRS): test per la valutazione del grado di insoddisfazione corporea e sviluppato per lo studio dell’immagine corporea nelle femmine (Stunkard et al., 1983);

• Photographic Figure Rating Scale (PFRS): test fotografico che indaga la percezione della propria immagine corporea sottoponendo 10 silhouette di corpi femminili fotografati, in un range di IMC tra 12 e 41 kg/m2 (Swami et al., 2008)

• Scheda sulle abitudini alimentari (elaborata dal gruppo di lavoro). Al termine della somministrazione, i dati raccolti sono stati inseriti in un database ed elaborati tramite procedure statistiche: è stato quindi ottenuto un ritratto dei comportamenti e delle abitudini alimentari del campione interessato.

5.1.2. Secondo incontro: rilevazione dei dati antropometrici

Nella scheda anagrafica veniva chiesto ai ragazzi quale fosse, secondo la loro conoscenza, il loro peso corporeo e la loro altezza. Attraverso questi dati è stato possibile calcolare l’IMC riferito per ciascun alunno. Nel secondo incontro i ragazzi sono stati chiamati uno ad uno in una stanza adibita con bilancia e stadiometro e sono stati misurati e pesati dalle dietiste, al fine di effettuare un confronto tra IMC riferito e rilevato dall’operatore.

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5.1.3. Terzo incontro: restituzione dati e discussione con il gruppo classe

Le operatrici hanno fornito agli studenti una restituzione generale dei primi dati emersi dai questionari per riflettere sugli argomenti che venivano proposti. La riflessione avveniva con una modalità interattiva attraverso una discussione con gli studenti e aveva lo scopo di far emergere e mettere in dubbio, attraverso l’utilizzo della dissonanza cognitiva (Festinger, 1957), le false credenze, gli stereotipi e i pensieri condizionati da pressioni sociali e dai media in merito all’immagine corporea, l’alimentazione e i comportamenti alimentari.

All’inizio della discussione ai ragazzi veniva chiesto quale fosse la loro idea di donna e uomo perfetti e ne venivano appuntate le caratteristiche alla lavagna. Una prima riflessione verteva dal fatto che queste caratteristiche fisiche fossero in qualche modo in contraddizione tra loro (ad esempio: donna molto magra ma con seno prominente) e che questi ideali fossero stereotipati e quasi impossibili da raggiungere. Il secondo piano della riflessione riguardava l’imposizione di questi modelli, peraltro mutabili nel tempo, da parte della società odierna per fini prettamente commerciali (pubblicità, industria della moda e della dieta, palestre, trattamenti estetici) e la consapevolezza di come queste influenze possano interferire in modo non salutare con le abitudini e i comportamenti alimentari soprattutto negli adolescenti. Per ultimo si affrontava il tema dei costi economici e psicologici legati alla volontà di raggiungere tali ideali estetici.

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5.1.4. L’intervento Body Project

Alla fine del lavoro di prevenzione universale con il gruppo classe, sono state raccolte le adesioni al progetto Body Project e sono stati formati tre gruppi di ragazze, per un totale di 18 partecipanti a cui è stato applicato l’intervento in orario extra-scolastico e in sessioni della durata di circa 2 ore svolte in 4 settimane consecutive, per un totale di 4 incontri + 1 di follow-up. Essendo il “Body Project” un intervento di prevenzione, è stato utile effettuare una valutazione per permettere di riscontrare se ci siano state delle reali modificazioni e se queste siano state positive o meno; per questo motivo, solo per le ragazze che hanno preso parte alla ricerca, a distanza di tempo dall’intervento, è stata nuovamente somministrata la batteria di test del primo incontro e ciò ha permesso di fare un confronto fra i punteggi ottenuti nella prima somministrazione (pre-intervento) e quelli ottenuti nella seconda (post-intervento).

5.2. La ricerca: analisi del campione e risultati

Attraverso la compilazione dei questionari da parte dei ragazzi, è stata effettuata una ricerca con l’obiettivo di effettuare un ritratto dei comportamenti e delle abitudini alimentari e, in secondo luogo, di indagare il livello di insoddisfazione per le forme e per il corpo di maschi e femmine. Questa ricerca ha permesso di indagare le abitudini alimentari in un campione non clinico di adolescenti, di approfondire lo studio del costrutto dell’immagine corporea maschile e femminile e di fare delle riflessioni su come un elevato disagio verso il corpo con i sentimenti negativi che ne conseguono possano avere delle ripercussioni sulle scelte e sui comportamenti alimentari degli adolescenti. Il presupposto alla base di questa ricerca era quello di migliorare l’intervento di prevenzione dei disturbi dell’alimentazione e dell’obesità.

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La ricerca si è svolta durante l’anno scolastico 2017-2018 in 13 classi terze di 3 scuole medie superiori della città di Pisa (un Liceo e due Istituti Tecnici) e ha coinvolto 277 adolescenti, di cui 148 femmine (53.6%) e 129 maschi (46.4%). (Figura 1.)

I ragazzi avevano un’età compresa tra i 15 e i 18 anni, con una media di 16.01 anni.

Nel campione le femmine sottopeso erano 4 (3.4%), quelle normopeso 98 (83.8%), quelle in sovrappeso 14 (12%) e solo 1 con obesità (0.8%). Per quanto riguarda i maschi, quelli sottopeso erano 11 (11.2%), quelli normopeso 71 (72.5%), quelli in sovrappeso 14 (14.3%) e 2 con obesità (2%). (Figura 2.)

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Un altro dato analizzato è stato il confronto tra l’IMC rilevato nelle misurazioni antropometriche e quello riferito dai ragazzi. Per osservare meglio i risultati, i dati ottenuti sono stati suddivisi attraverso la differenza di punti tra IMC riferito e rilevato: le differenze risultate maggiori a 2 punti sono state considerate molto significative; le differenze tra -2 e -1 e tra +1 e +2 punti sono state considerate moderatamente significative; mentre le differenze comprese tra -1 e +1 sono state considerate non significative. Da questa classificazione è risultato che il 46.7% delle femmine ha indicato un IMC corrispondente a quello misurato; il 32.5% ha sottostimato o sovrastimato moderatamente il proprio IMC; mentre il 20.8% ha manifestato una sottostima o una sovrastima di più di 2 punti, quindi molto significativa. Per quanto riguarda i maschi, il 52.4% ha riferito un IMC pari a quello misurato; il 35% ha sottostimato o sottostimato il proprio IMC in modo moderato; infine il 12.6% ha riportato una sottostima o una sovrastima molto significativa (delta > 2 punti).

È stato inoltre indagato se la percezione del proprio IMC fosse maggiore o minore rispetto a quello effettivamente rilevato: il 16.6% delle femmine e il 32% dei maschi ha indicato un IMC maggiore rispetto a quello

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effettivamente rilevato (percezione di un peso corporeo maggiore), mentre l’84% delle ragazze e il 68% dei ragazzi hanno indicato un IMC minore rispetto a quello misurato (percezione di un peso corporeo minore).

5.2.1. Analisi delle abitudini alimentari

In linea con lo scopo della tesi, in questo lavoro si prendono primariamente in esame i dati relativi ai alle abitudini alimentari e allo stile di vita del campione.

Ai ragazzi è stato chiesto di indicare se, nell’arco della vita, avessero mai seguito una dieta per almeno un mese consecutivo, una o più volte, e se questa fosse stata prescritta dal medico o meno. Il 49% delle ragazze e il 78.4% dei ragazzi ha riferito di non essere mai stato a dieta per almeno un mese consecutivo. Il 23.5% delle femmine e il 10% dei maschi ha riferito di aver seguito una dieta per almeno un mese, una volta nella vita; mentre il 27.5% del campione femminile e l’11.6% del campione maschile ha dichiarato di aver seguito una dieta più volte nel corso della vita (Figura 3.) Tra questi, il 73.7% delle femmine e il 50% dei maschi ha seguito una dieta senza prescrizione medica.

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Ai ragazzi è stato inoltre chiesto se praticassero o meno attività sportiva e con quale frequenza settimanale. Il 29.5% delle femmine e il 18.6% dei maschi ha riferito di non praticare alcuno sport, mentre il 70.5% delle femmine e l’81.4% dei maschi ha riferito di praticare attività sportiva con una frequenza variabile: (Figura 4.)

- 1-2 volte a settimana: 36.5% delle femmine e 18% dei maschi - 3-4 volte a settimana: 46.2% delle femmine e 58% dei maschi - >4 volte a settimana: 17.3% delle femmine e 24% dei maschi

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Dall’indagine sul consumo dei pasti è emerso che il 12.2% delle femmine e il 3.9% dei maschi salta la prima colazione, mentre gli altri la consumano prevalentemente a casa. In tutto il campione tra maschi e femmine, soltanto 1 ragazza (0.67%) riferisce di saltare il pranzo, mentre tutti i ragazzi riferiscono di consumare il pranzo prevalentemente a casa; mentre il pasto serale viene consumato da tutti i ragazzi, prevalentemente a casa o al ristorante.

La maggior parte dei maschi e delle femmine, 69.8% e 48.6% rispettivamente, consuma 5 pasti al giorno (colazione, pranzo, cena e due spuntini); il 33.6% delle femmine e il 20.9% dei maschi consuma 3 pasti al giorno (colazione, pranzo e cena); l’8.9% delle ragazze e il 3.1% dei ragazzi consuma solo 2 pasti al giorno (pranzo e cena); mentre l’8.9% delle femmine e il 6.2% dei maschi riferisce di avere una dieta molto disordinata (Figura 5.).

Per quanto riguarda la modalità di consumo di pasti, la maggioranza del campione (75%) tra maschi e femmine dichiara di mangiare insieme alla famiglia, mentre il 19.9% riferisce di mangiare solitamente da solo; il

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restante 5.1% dichiara di consumare pasti prevalentemente in compagnia dei coetanei, oppure davanti a tv, pc o cellulare.

Un’ulteriore indagine svolta è stata quella relativa all’esclusione di alimenti dalla dieta. Il 13.6% delle femmine e il 3.1% dei maschi tende ad escludere pasta o riso dalla propria alimentazione; il 29.9% delle ragazze e il 7.8% dei ragazzi esclude il pane; l’esclusione di latte o latticini riguarda il 12.9% delle femmine e il 6.25% dei maschi.

Frutta e verdura sono consumate regolarmente dalla maggior parte dei ragazzi (frutta 95.2% F e 93% M; verdura 93.2% F e 89% M), mentre solo in pochi tendono ad escludere tali alimenti dalla dieta.

Relativamente ai secondi piatti, salumi e formaggi rappresentano gli alimenti maggiormente esclusi sia dai maschi (salumi 12.5%; formaggi 12.5%) che dalle femmine (salumi 32%; formaggi 26.5%). Per quanto riguarda gli altri alimenti proteici, solo in pochi tendono ad escludere uova, pesce, legumi e carne (per quest’ultimo alimento l’esclusione è effettuata dal 7.5% delle femmine e dallo 0% dei maschi).

Un dato rilevante è emerso per quanto riguarda l’esclusione di dolci (biscotti, gelato, cioccolata, dolci da pasticceria) dalla dieta, che viene effettuata dal 44.2% delle femmine e dal 23.4% dei maschi; mentre lo zucchero o il miele vengono esclusi nel 35.4% e nel 17.2% dei casi per femmine e maschi, rispettivamente.

I condimenti (olio di oliva, burro) vengono esclusi dal 19% delle femmine e dal 10.9% dei maschi; il sale nello specifico è escluso dal 17% delle ragazze e dal 2.3% dei ragazzi. (Figura 6. e Figura 7.)

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Nell’ultima parte della scheda alimentare ai ragazzi veniva chiesto quanto spesso fossero soliti consumare determinati alimenti, indicando una frequenza di tutti i giorni, da 3 a 5 volte a settimana, meno di 2 volte a settimana oppure nulla.

Il consumo di barrette energetiche sostitutive del pasto è più frequente nel campione femminile (12.2%) rispetto a quello maschile (6.3%); tra i maschi tutti dichiarano una frequenza di consumo pari a meno di 2 volte a settimana. Per quanto riguarda le ragazze, due riferiscono di consumare

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questi prodotti tutti i giorni (1.4%), tre li consumano da 3 a 5 volte a settimana (2%), mentre l’8.8% li consuma meno di 2 volte a settimana. (Figura 8.)

Relativamente ai prodotti “dimagranti” (alimenti light) anche in questo caso la frequenza di consumo è maggiore nelle femmine (45.3%) rispetto ai maschi (17.2%): il consumo riferito tutti i giorni è pari al 7.4% e 3.1% per il campione femminile e maschile, rispettivamente. Il 21% delle ragazze consuma questi alimenti da 3 a 5 volte a settimana, rispetto al 3.9% dei ragazzi. Il consumo saltuario (inferiore a 2 volte a settimana) si rileva invece nel 16.9% delle femmine e nel 10.2% dei maschi. (Figura 9.)

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La frequenza di consumo dei dolcificanti risulta simile tra maschi (26.7%) e femmine (19.8%). Tra questi, il 4.1% delle ragazze e il 4.7% dei ragazzi li consuma tutti i giorni; il 3.4% delle femmine rispetto al 6.3% dei maschi riferisce di consumarli dalle 3 alle 5 volte a settimana; mentre il 12.2% delle ragazze e il 15.7% dei ragazzi li consuma saltuariamente (meno di 2 volte a settimana). (Figura 10.)

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Il consumo di integratori tipo “Gatorade” o altri integratori idrosalini è più frequente nel campione maschile (32%) rispetto a quello femminile (17.6%). Il 3.1% dei maschi rispetto al 2% delle femmine li assume tutti i giorni; il 10.9% dei ragazzi e il 3.4% delle ragazze riferisce di consumarli dalle 3 alle 5 volte a settimana; il 18% dei maschi rispetto al 12.2% delle femmine li assume invece meno di 2 volte a settimana. (Figura 11.)

Tendenza analoga si rileva per il consumo di bevande energetiche tipo “Red Bull”, che risulta superiore nei maschi (25.7%) rispetto alle femmine (3.4%). Rispetto al totale dei maschi il 2.3% le consuma tutti i giorni, il 3.9% da 3 a 5 volte a settimana, mentre il 19.5% riferisce un consumo saltuario (<2 volte a settimana). Per quanto riguarda le ragazze, nessuna riferisce di consumare tali bevande tutti i giorni (0%), lo 0.7% le consuma da 3 a 5 volte a settimana, mentre il 2.7% meno di 2 volte a settimana. (Figura 12.)

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Per quanto riguarda il consumo di bevande analcoliche gassate e/o zuccherate (tipo cola, thè freddo, aranciata...) questo risulta lievemente più frequente nei maschi (74%) rispetto alle femmine (64.8%). Il 7.9% dei ragazzi rispetto al 2.7% delle ragazze ne riferisce un consumo giornaliero; il 23.6% dei maschi e il 8.8% delle femmine consuma questa tipologia di bevande dalle 3 alle 5 volte a settimana; infine il 42.5% dei maschi e il 53.3% delle femmine riferisce un consumo inferiore a 2 volte a settimana. (Figura 13.)

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Anche il consumo di bevande alcoliche come vino o birra è risultato più frequente nel campione maschile (61.8%) rispetto a quello femminile (43.2%). La maggioranza riferisce un consumo inferiore a 2 volte a settimana, presumibilmente durante il weekend (39,8% F e 46.9% M); il consumo pari a 3-5 volte a settimana è stato rilevato nel 13.3% degli adolescenti maschi e nel 2.7% delle adolescenti femmine; solo 1 ragazza (0.7%) e 2 ragazzi (1.6%) riferiscono un consumo giornaliero. Situazione sovrapponibile si osserva per il consumo di superalcolici (aperitivi, cocktails, amari e digestivi). (Figura 14.)

5.2.2. Ulteriori dati raccolti

Per completezza si riportano altri dati raccolti, relativi alla valutazione della presenza di prodromi o della probabilità di sviluppare un disturbo alimentare, il grado di disagio significativo verso il corpo, il grado di soddisfazione per la propria immagine corporea e, per i maschi, per la propria muscolatura.

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Tra le adolescenti femmine è stata utile la valutazione del test EDE-Q per esaminare la presenza o meno di prodromi per un disturbo alimentare. Nel campione in esame il 50.3% delle ragazze presenta un valore di cut-off superiore a 1.76 e presenta dunque prodromi per un disturbo alimentare. (Figura 15.)

Per i maschi è stato valutato il test EAT-26 per vagliare la probabilità di presenza di un disturbo alimentare (Anoressia Nervosa o Bulimia Nervosa). Secondo quanto emerso il 18.6% degli adolescenti maschi presenta una probabile AN o BN. (Figura 16.)

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Il confronto tra maschi e femmine è stato possibile attraverso il BUT: è emerso che l’87% delle femmine rispetto al 16% dei maschi presenta un disagio significativo verso il proprio corpo.

Per le femmine è stato valutato il grado di soddisfazione relativo alla figura corporea attraverso il test Figure Rating Scale ed è emerso che il 21.5% si ritiene soddisfatta della propria figura, mentre il 78.5% si dichiara insoddisfatta. Tra queste il 4,3% vorrebbe avere un corpo più robusto, mentre il 95,7% desidererebbe un corpo più esile (Figura 17.).

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Per i maschi è stata valutata la soddisfazione riguardo alla figura corporea attraverso il test Figure Rating Scale ed è emerso che il 27.9% è soddisfatto mentre il 72.1% risulta insoddisfatto della propria figura corporea. Di questi, il 60.2% vorrebbe un corpo più robusto, mentre il 39.8% desidererebbe un corpo più esile. (Figura 18.)

Per quanto riguarda la muscolatura, il grado di soddisfazione è stato valutato attraverso il Muscle Silhouette Misure, ed è emerso che l’11% risulta soddisfatto della propria muscolatura, mentre l’89% si definisce insoddisfatto. Di questi il 3.6% desidererebbe un corpo più esile, mentre il 96.4% vorrebbe un corpo più muscoloso. (Figura 19.)

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5.2.3. Risultati dell’intervento Body Project

Alla fine dell’intervento di prevenzione selettiva si è cercato di valutare se questo fosse risultato efficace o meno. La valutazione dopo il Body Project mostra una riduzione dell’aderenza all’ideale di magrezza (test Ideal-Body Stereotype Scale-Revised: media da 20.6 a 18.17), una riduzione del disagio significativo verso il corpo (test BUT: media da 1.9902 a 0.9493; dall’88.9% al 33.3% del campione) e una riduzione del controllo sull’alimentazione (test DRES: media da 27.89 a 21.17). La valutazione del test EDE-Q mostra inoltre una riduzione dei comportamenti di restrizione alimentare (media da 1.7556 a 0.8333) e un miglioramento nei confronti della preoccupazione verso l’alimentazione (media da 1.3000 a 0.8778), il peso (media da 2.5778 a 1.6889) e le forme del corpo (media da 2.7569 a 1.7639). Possiamo quindi asserire che l’intervento nella sua totalità sia risultato efficace. (Figura 20. e Figura 21.)

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6. Discussione dei risultati

Dall’analisi delle abitudini alimentari del campione si evince una maggiore tendenza delle femmine ad effettuare diete (51%) rispetto ai maschi (21.6%), nella maggior parte dei casi senza alcuna prescrizione medica. Anche se la maggioranza del campione riferisce di consumare 5 pasti al giorno, un numero considerevole tende talvolta a saltare i pasti (generalmente la colazione o gli spuntini) e una piccola parte riferisce di avere uno stile alimentare molto disordinato.

Il comportamento di esclusione alimentare risulta più frequente nelle femmine rispetto ai maschi. Per entrambi i sessi gli alimenti maggiormente esclusi sono i dolci, lo zucchero, i salumi e i formaggi. Per le femmine si rileva inoltre la tendenza ad escludere dalla propria dieta pane, pasta e condimenti vari.

Nel campione maschile risulta più frequente il consumo di particolari tipologie di alimenti come dolcificanti, integratori idrosalini, bevande energetiche, bevande gassate e/o zuccherate e alcolici. Le femmine

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sembrano invece consumare più frequentemente dei maschi barrette energetiche sostitutive del pasto e prodotti definiti come “dimagranti” o light. Nel campione si rilevano dunque comportamenti alimentari riferibili al dieting e alla restrizione alimentare per entrambi i sessi, con una maggiore predisposizione delle femmine ad escludere alimenti calorici e una tendenza dei maschi a consumare alimenti particolari, come bevande energetiche e integratori, presumibilmente in relazione alla maggiore attività fisica svolta.

Questi comportamenti alimentari si inseriscono in una cornice di disagio significativo verso il proprio corpo; dato che si riscontra nella grande maggioranza dei maschi e delle femmine. In entrambi i sessi è presente inoltre una marcata insoddisfazione per il peso corporeo nonostante la maggior parte gli adolescenti risultino essere normopeso, solamente pochi in sovrappeso o sottopeso, mentre pochissimi con obesità. Si rileva inoltre una grande insoddisfazione per la propria immagine e figura corporea; le femmine vorrebbero essere più magre nel 95.7% dei casi, mentre i maschi vorrebbero avere una corporatura più robusta nel 60.2% dei casi. I maschi presentano inoltre una profonda insoddisfazione verso la propria muscolatura, infatti il 96.4% di loro vorrebbe essere più muscoloso. Senza poter trarre delle considerazioni definitive, si può ipotizzare inoltre un fenomeno di dispercezione corporea, sia in negativo che in positivo, legata al peso e all’altezza così come evidenziato dalle differenze significative riscontrate tra IMC riferito e rilevato.

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7. Conclusioni e prospettive future

Alla luce dell’analisi del campione oggetto dello studio e delle riflessioni che ne derivano, risulta primaria la necessità di attuare interventi di prevenzione efficaci all’interno del setting scolastico, luogo dove risulta più facile accedere alla maggior parte degli adolescenti. Gli obiettivi primari devono essere quelli di proporre un’immagine del corpo più positiva, al fine di ridurre il disagio significativo verso il corpo, l’insoddisfazione per il peso, le forme corporee e la propria immagine e di prevenire l’instaurarsi di comportamenti alimentari non salutari come la restrizione dietetica e l’alimentazione selettiva.

Attraverso l’intervento di Body Project, effettuato per 18 adolescenti femmine, si è osservato un miglioramento dei suddetti parametri, tanto da poter definire l’intervento efficace.

I limiti principali risultano essere la scarsa numerosità del campione in esame e il fatto che l’intervento di prevenzione selettiva sia stato rivolto esclusivamente alla popolazione femminile. Come prospettiva futura è infatti auspicabile allargare le azioni di prevenzione anche alla popolazione maschile per la quale, ad oggi, non esistono né metodologie specifiche di intervento, né strumenti adeguati di valutazione. Inoltre, dato l’odierno abbassamento dell’età di esordio dei DA e del fenomeno dell’obesità infantile, potrebbe essere auspicabile il coinvolgimento nelle azioni di prevenzione di ragazze anche di età inferiore ai 15 anni.

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Appendice 1. Struttura dell’intervento Body Project

Il “Body Project” è un programma di intervento con una struttura specifica, le cui sessioni avvengono in gruppo con l’ausilio di conduttori (psicologo e dietista) formati sulla prevenzione specifica per i DA. Gli studiosi consigliano anche la presenza di un co-conduttore per la gestione del materiale da consegnare alle partecipanti.

Le partecipanti hanno un ruolo attivo nella critica dell’ideale di magrezza attraverso discussioni, role-play ed esercizi scritti. Il progetto viene svolto in sessioni di gruppo, poiché si è visto che il gruppo favorisce il raggiungimento di alcuni obiettivi come la coesione sociale tra i partecipanti, i cambiamenti indotti dalla presenza di coetanei che discutono contro l’ideale di magrezza e l’ottimizzazione dei costi.

Il numero ottimale di membri sembra essere compreso fra 6 e 8, in modo che tutte le ragazze possano esporre le proprie idee e possano ricevere l’adeguata attenzione da parte dei conduttori.

Il progetto prevede 4 sessioni di un’ora ciascuna, da effettuare in 4 settimane consecutive. Svolgendo gli incontri una volta a settimana si permette alle partecipanti di riflettere sugli argomenti trattati nella sessione precedente e di svolgere gli esercizi da fare a casa. Tutte le sessioni iniziano con il ripasso dell’incontro precedente e seguono con la presentazione e la spiegazione della sessione odierna e degli esercizi da svolgere, cercando di accrescere la motivazione alla partecipazione. Il conduttore per fare ciò, si aiuta con delle domande pre-stampate e con l’elenco degli obiettivi da completare in quella sessione.

Le sessioni si basano sull’esecuzione di esercizi verbali, scritti e comportamentali il cui obiettivo primario è quello di indurre dissonanza cognitiva per la riduzione dell’ideale di magrezza.

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All’inizio della prima sessione si effettua una panoramica generale sul progetto e le sue finalità. È importante sin da subito creare un ambiente empatico in modo da mettere le partecipanti a proprio agio, per questo si inizia con una presentazione personale degli operatori e si chiede poi alle ragazze di fare lo stesso, riferendo alle altre partecipanti anche qualche loro peculiarità. È un momento molto importante in cui si invitano le partecipanti a parlare di esperienze personali, così come faranno in prima persona anche i conduttori. Al termine di questa fase preliminare, si mettono a conoscenza le componenti del gruppo della struttura del programma e dell’importanza del rispetto della privacy, in quanto ogni ragazza deve poter sentirsi libera di dire ed esprimere tutto ciò che desidera e per farlo è necessario che le altre partecipanti non riferiscano assolutamente niente all’esterno del gruppo.

Le tematiche affrontate nella prima sessione sono:

- Definizione dell’ideale di magrezza e sua origine: si spargono sul tavolo varie foto di modelle e si invitano le partecipanti a sceglierne una o più per un qualche motivo personale. Dopodiché viene chiesto loro di dichiarare quale visione della donna nella società è rappresentata da quell’immagine. Nell’esercitazione ci si avvale del supporto di una lavagna in cui vengono riportate le motivazioni delle scelte e le qualità delle donne raffigurate che emergono dalla discussione. Avere un supporto visivo è molto utile perché offre una comprensione condivisa delle scelte individuali e fornisce una rappresentazione dell’ideale di magrezza, focalizzando la discussione su questi elementi e promuovendo la dissonanza cognitiva.

- Costi del perseguimento dell’ideale di magrezza e pressione sociale riguardo a questa tematica. È utile far notare, attraverso appositi stimoli e domande, come questo ideale venga favorito dall’industria della dieta, dalla moda, dai coetanei, dalla famiglia e dalla società in generale. Al fine di una migliore comprensione, si può cominciare a sottolineare la differenza tra ideale di magrezza e ideale di peso salutare, evidenziando

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i costi associati al perseguimento dell’ideale di magrezza: la diminuzione dell’autostima, la spesa economica, la perdita di energie fisiche e mentali e le conseguenze negative a livello di salute.

Gli esercizi assegnati per casa sono:

- “Lettera ad un’adolescente”: si chiede di scrivere una lettera ad un’adolescente che ha dei problemi con la propria immagine corporea. Per fare questo, ci si deve focalizzare sui costi per il raggiungimento di una fantomatica forma del corpo perfetta; - “Modello di affermazione di sé”: si chiede alle partecipanti di

mettersi di fronte ad uno specchio per osservare e scrivere le loro qualità fisiche, intellettive e sociali.

L’obiettivo della seconda sessione è innanzitutto una revisione degli esercizi svolti a casa con particolare riferimento alle reazioni suscitate nelle partecipanti; la correzione degli esercizi è un punto cruciale poiché permette l’acquisizione di nuove abilità nelle partecipanti e consente al conduttore di capire se gli argomenti trattati nella sessione precedente sono stati assimilati.

Si continua con la presentazione e l’esecuzione di un esercizio di role-play con l’obiettivo di far emergere frasi contro l’ideale di magrezza. Il conduttore riveste i panni di una persona con disturbo dell’alimentazione e che svolge azioni per il raggiungimento dell’ideale di magrezza come la restrizione dietetica. Ogni ragazza dovrà partecipare attivamente, cercando di rimuovere il conduttore dalla sua posizione. È importante che il conduttore ripeta le frasi precedentemente enunciate dalle partecipanti e che sottolinei l’assurdità di certi pensieri. L’esercizio di role-play dovrà essere poi commentato, soffermandosi sulle ragioni che portano ad opporsi all’ideale di magrezza;

Riferimenti

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