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Tempora sub Phrigiano. La chiesa di San Frediano di Lucca nell'Alto Medioevo (secoli VI-IX)

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(1)

DIPARTIMENTO DI

CIVILTA’ E FORME DEL SAPERE

CORSO DI LAUREA IN STORIA E CIVILTÀ

TESI DI LAUREA

Tempora sub Phrigiano.

La chiesa di San Frediano di Lucca nell’Alto Medioevo

(secoli VI-IX)

CANDIDATO RELATORE

Mattia Viti Chiar.mo Prof. Simone Maria Collavini

CORRELATORE

Chiar.mo Prof. Mauro Ronzani

(2)

INDICE

C

APITOLO

I LA CHIESA DI SAN FREDIANO E LA CITTÀ DI LUCCA NELLA

TRANSIZIONE DALLA TARDOANTICHITÀ ALL’ALTO MEDIOEVO...p. 4

1.1 LA FIGURA DI FREDIANO: SANTO E VESCOVO TRA STORIA E

LEGGENDA...p. 6

1.1.a La Vita Sancti Fridiani...p. 7

1.1.b Le fonti narrative ed epigrafiche...p. 10

1.2 LUCCA E IL SUO TERRITORIO...p. 17

1.2.a La città tardoantica...p. 17

1.2.b La città altomedievale...p. 23

1.3 LA CHIESA DI SAN FREDIANO...p. 35

1.3.a La basilica tardoantica di San Vincenzo...p. 37

1.3.b La chiesa altomedievale di San Frediano...p. 43

1.3.c Due plutei marmorei della chiesa altomedievale...p. 51

C

APITOLO

II LE VICENDE DOCUMENTARIE DELLA CHIESA DI SAN

FREDIANO TRA VII E IX SECOLO...p. 55

2.1 LA “FASE MONASTICA”...p. 61

2.1.a La donazione di Faulo...p. 61

2.1.b Il “primo silenzio delle fonti”...p. 69

2.1.c Le due carte del 754 e la figura di Gausperto...p. 72

2.2 LA “PRIMA FASE VESCOVILE”...p. 85

2.2.a L’episcopato di Peredeo (755-779)...p. 87

2.2.b L’episcopato di Giovanni I (780-801)...p. 104

2.2.c L’episcopato di Jacopo (801-818)...p. 111

2.3 IL “SECONDO SILENZIO DELLE FONTI”...p. 118

2.3.a Le inquisitiones...p. 119

2.3.b Il livello dell’843...p. 125

2.3.c Le confinanze dei due atti di permuta degli anni 842 e 853...p. 131

(3)

2.4 LA “SECONDA FASE VESCOVILE”...p. 137

2.4.a L’episcopato di Gherardo I (869-895)...p. 138

2.4.b L’episcopato di Pietro II (896-900)...p. 151

C

APITOLO

III IL PATRIMONIO FONDIARIO DELLA CHIESA DI SAN

FREDIANO...p. 157

3.1 LE CARTE...p. 159

3.1.a Le due carte di vendita del 752: una proposta...p. 160

3.1.b Le carte della prima fase vescovile...p. 168

3.1.c I livelli della seconda fase vescovile...p. 175

3.1.d Gli inventari...p. 206

3.2 GLI UOMINI...p. 222

3.2.a I livellari...p. 223

3.2.b I sottoscrittori...p. 229

3.2.c Gli scrittori...p. 235

3.2.d Proprietari ed enti confinanti...p. 236

3.3 LA COLLOCAZIONE GEOGRAFICA DEI POSSESSI...p. 238

3.3.a Il patrimonio cittadino, l’immediato suburbio e il patrimonio

extraurbano...p. 240

3.3.b La piana di Lucca e la Media Valle del Serchio...p. 242

3.3.c Le aree ‘periferiche’...p. 244

I

NDICE

D

ELLE

I

LLUSTRAZIONI

...p. 250

T

AVOLA

D

ELLE

A

BBREVIAZIONI

...p. 251

F

ONTI

...p. 252

B

IBLIOGRAFIA

...p. 255

S

ITOGRAFIA

...p. 270

(4)

C

APITOLO

I

LA CHIESA DI SAN FREDIANO E LA CITTÀ DI LUCCA NELLA

TRANSIZIONE DALLA TARDOANTICHITÀ ALL’ALTO MEDIOEVO

«Trascorsero sotto san Frediano come tempi aurei, questo fu il colore nei primi

tempi della religione cristiana, allorché i calici di legno rendevano dorati i

vescovadi e gli altri gradi sacri in qualunque luogo; quando né la nobiltà né la copia

delle ricchezze erano nel novero della erudizione sacra, quando erano lontano dalle

cose sacre i cavalieri, la pomposa suppellettile, e la gola amica della mal istituita

legge. Quale Martino, tale fu anche Frediano, la povertà dei quali non mancò di

niente; la povertà dei quali illustrò ciò di cui era capace, quando Frediano deviò

l’acqua e quell’altro il fuoco. Entrambi furono poveri, ed entrambi furono stranieri

ma nessuno dei due fu povero in Cristo»

1

. Con queste parole il vescovo di Lucca

Rangerio celebra e immagina lo stato della Chiesa lucchese al tempo di San

Frediano, nel poema che egli dedica al predecessore Anselmo II sul finire del secolo

XI

2

. La menzione di Frediano si inserisce nel contesto di una più ampia

rievocazione del passato lucchese, che da “aureo”, sotto di lui, diventa “argenteo”,

sino ad arrivare a tempi più cupi, segnati dalla definitiva degenerazione nel vizio e

nella lussuria. Le figure di Frediano e Martino vengono affiancate, oltre che per

collegare idealmente le due chiese cittadine intitolate ai santi, per equipararne e

risaltarne le gesta miracolose, l’origine straniera (peregrinus) e soprattutto la

povertà, messa in contrapposizione alla sete di potere e ricchezze e al malcostume

generalizzato dei secoli successivi. Rangerio dunque «fa qui più da poeta che da

storico»

3

e dimostra di rimpiangere non tanto i tempi, ma gli uomini.

1 Tempora transierunt velut aurea sub Phrigiano,/ Qui color in prisca religione fuit,/ Cum ligni

calices curatos pontificatus/ Atque gradus alios per loca quaequae dabant./ Cum neque nobilitas neque copia divitiarum/ In numero sacrae cognitionis erant,/ Cum procul a sacris equites, pomposa suppellex,/ Et male conditi iuris amica gula./ Qualis Martinus, qualis fuit et Phrigianus,/ Quorum paupertas, quid posset, clarificavit,/ Cum Phrigianus aquam flecteret, ille focum./ Pauper uterque fuit, fuit et peregrinus uterque/ sed non in Christo pauper uterque fuit. In MGH, SS., XXX, 2, p.

1248, vv. 4373-4386. Per la traduzione dei versi si fa riferimento a RANGERIO, Il poema di

Anselmo, vescovo di Lucca; introduzione e traduzione di R. AMARI, Pisa 2015, p. 121.

2 Rangerio avrebbe composto la Vita Metrica Anselmi lucensis episcopi auctore Rangerio tra 1096

e 1099. Su Rangerio, vescovo di Lucca tra 1096 e 1112, si consulti la voce dedicata nel Dizionario

Biografico degli Italiani all’indirizzo:

http://www.treccani.it/enciclopedia/rangerio_(Dizionario-Biografico). Sulla Vita Metrica si veda: RANGERIO, Il poema di Anselmo.

3 G. ZACCAGNINI, Vita Sancti Fridiani. Contributi di storia e agiografia lucchese, Lucca, 1989,

(5)

Nonostante la sua natura prettamente idealizzata e fantasiosa, priva di qualsiasi

connotazione cronologica, l’indicazione di Rangerio, che fa coincidere l’inizio del

racconto con “i tempi di Frediano”, ha costituito la fondamentale base d’appoggio

per una serie di studi, secondo cui Frediano sarebbe una sorta di fondatore della

Chiesa lucchese, o comunque uno dei suoi primi vescovi

4

.

Questo capitolo iniziale si pone l’obbiettivo di prendere in esame proprio l’analisi

e la ricostruzione dei tempora sub Phrigiano, cercando di sviscerare il tema

seguendo tre principali linee di ricerca. La prima è incentrata direttamente sulla

figura di Frediano e sulla collocazione cronologica del suo episcopato, in base alle

diverse fonti a disposizione (agiografiche, narrative, epigrafiche) e rileggendo,

almeno parzialmente, l’ampio dibattito sviluppatosi sull’argomento.

Il secondo paragrafo è invece dedicato ai cambiamenti, soprattutto sul piano

dell’assetto urbano, ma anche su quello delle trasformazioni del paesaggio, che

interessarono la città di Lucca e il suo territorio nel lungo periodo di transizione

dalla Tarda Antichità all’Alto Medioevo. A tale scopo mi avvarrò dei più importanti

contributi provenienti dagli scavi archeologici del contesto lucchese e delle preziose

informazioni topografiche fornite dalle carte conservate presso l’Archivio

Arcivescovile di Lucca.

L’ultima sezione del capitolo riguarda infine la basilica di San Frediano, nelle sue

due prime fasi costruttive (la basilica paleocristiana di San Vincenzo e la chiesa

altomedievale dedicata proprio a Frediano) ed è utile a definire un profilo storico e

monumentale dell’edificio prima di passare a descriverne, nel corso dei capitoli

successivi, le vicende documentarie.

4 Il riferimento è agli studi di Antonio Pedemonte, per cui si veda infra, pp. 6-7 e ZACCAGNINI,

(6)

1.1 LA FIGURA DI FREDIANO: SANTO E VESCOVO TRA STORIA E

LEGGENDA

San Frediano è una figura centrale della devozione lucchese. Una devozione

costante e sentita che si manifesta in due principali occasioni nel corso dell’anno

“liturgico” locale. La prima, il 13 settembre, è la processione del Volto Santo

5

, che

unisce le due chiese più intimamente legate al santo vescovo, partendo dalla basilica

che da lui prende nome e arrivando presso la cattedrale di San Martino, costruita,

secondo la tradizione, proprio da Frediano; mentre la seconda, il 18 novembre,

celebra l’anniversario del leggendario rinvenimento delle reliquie del santo e della

loro traslazione nell’omonima basilica.

Il legame tra la città di Lucca e il vescovo irlandese, tuttavia, trascende la sfera della

semplice religiosità e del culto e coinvolge direttamente il piano della storia e

dell’identità cittadina. La sua fama e la sua figura hanno infatti da sempre suscitato

il vivo interesse degli studiosi e degli eruditi lucchesi. Questo interesse ha trovato

il suo culmine nell’ampio dibattito scaturitosi, nei decenni iniziali del Novecento,

attorno alla problematica collocazione cronologica della vita di Frediano. La

polemica si svolse a partire da posizioni del tutto opposte, sostenute in particolar

modo da Pietro Guidi e Antonio Pedemonte. La tesi del Guidi – destinata ad avere

l’appoggio, tra gli altri, di Martino Giusti

6

e a prevalere – colloca l’episcopato di

Frediano intorno al VI secolo; quella del Pedemonte lo data invece al III secolo e

ne farebbe una sorta di fondatore della chiesa lucchese.

Riprendendo le fila del dibattito, in questa sede si intende ricapitolare brevemente

l’argomento della collocazione cronologica del personaggio storico di San

Frediano, al fine di poter meglio delineare le vicende della città di Lucca e della

5 Giusto ricordare che la processione del Volto Santo non riguarda direttamente la figura del santo

vescovo ma celebra il tragitto che la sacra reliquia avrebbe compiuto nella traslazione dalla basilica di San Frediano alla cattedrale di San Martino.

6 Sul dibattito la seguente bibliografia essenziale: A. PEDEMONTE, I primi vescovi della Paroecia

lucensis. Studio critico, Lucca 1915; P. GUIDI, Appendici, in A. GUERRA – P. GUIDI (a cura di), Compendio di Storia ecclesiastica lucchese dalle origini a tutto il secolo XII, Lucca 1924, p. 25* ss.

(che raccoglie contributi già pubblicati tra 1915 e 1916); A. PEDEMONTE, San Frediano. Note

critiche, in Bollettino Storico Lucchese, 9, 1937, p. 3 ss.; id., L’antico Catalogo dei vescovi di Lucca, ibid., 10, 1938, pp. 95-115; replica di M. GIUSTI, Ancora dell’antico Catalogo dei vescovi di Lucca, ibid., 11, 1939, pp. 1-27; controreplica di A. PEDEMONTE, Ancora dell’antico Catalogo dei vescovi di Lucca, ibid., 12, 1940, pp. 106-117, seguito dall’ulteriore replica di M. GIUSTI, pp.

117-123; P. GUIDI, San Frediano. Brevi appunti alle Note Critiche di A. Pedemonte, ibid., 12, 1940, pp. 124-130; A. PEDEMONTE, Il Volto Santo – san Frediano. Note polemiche, Lucca 1941; ultima replica di P. GUIDI, A proposito delle note polemiche di A. Pedemonte, Roma 1943.

(7)

basilica dedicata proprio a Frediano nei cruciali anni che vanno dalla dominazione

gotica all’arrivo dei Longobardi. L’analisi procederà su due binari ben distinti. In

un primo momento esamineremo la fonte agiografica (la Vita Sancti Fridiani), che

più di tutte ha contribuito a dare un carattere “leggendario” al racconto di Frediano,

e ne seguiremo l’evoluzione durante il Medioevo. In un secondo momento

passeremo alle altre fonti narrative ed epigrafiche, che ci consentono di definire

meglio un profilo storico del santo vescovo.

1.1.a La Vita Sancti Fridiani

Una consolidata tradizione agiografica, che addirittura supera l’ambito locale

lucchese

7

, attribuisce all’operato del vescovo Frediano, attivo nei primi anni del VI

secolo e proveniente dall’Irlanda, oltre ai celebri miracoli, anche la costruzione di

numerosi edifici di culto

8

e la conversione di un gran numero di fedeli.

Questa tradizione – che sicuramente trae origine e ha il proprio nucleo narrativo

fondante nel breve passo, contenuto nei Dialoghi di Gregorio Magno, in cui viene

descritto il miracolo della deviazione dell’Auser da parte di Frediano – deve gran

parte della sua ‘forza’ al successo della Vita Sancti Fridiani, testo agiografico che

ci è stato tramandato da ben 42 manoscritti e che conobbe, almeno nella sua veste

narrativa più tarda, un’ulteriore diffusione grazie alla pubblicazione di opere a

stampa di epoca moderna

9

.

In epoca medievale il testo della Vita fu sottoposto a tre distinte recensioni che

andarono progressivamente a espandere il nucleo narrativo originario del passo

contenuto nei Dialoghi. Il testo della prima recensione, quasi certamente anteriore

al secolo VIII

10

, si limita infatti a un elenco delle virtù e delle opere del santo e al

racconto del miracolo della deviazione dell’Auser. La seconda recensione, da

7 Si veda M. STOFFELLA, Fuori e dentro le città. La Toscana occidentale e le sue élites (secoli

VIII-IX), Tesi di dottorato, Università Ca’ Foscari di Venezia, a.a. 2004-2005, p. 24.

8 La tradizione attribuisce a San Frediano la costruzione di 28 pievi in 28 anni di episcopato. Di

queste l’unica ad essere ricordata esplicitamente nelle tre recensioni della Vita è la basilica di San Vincenzo. Proprio l’intitolazione a San Vincenzo, martire iberico del III secolo, è stata il principale ostacolo, mai affrontato nel merito, alle tesi del Pedemonte.

9 C. FRANCIOTTI, Historia delle miracolose imagini e delle vite de’ Santi li corpi de’ quali sono

nella città di Lucca, Lucca, 1613, pp. 73-80. Sulla tradizione manoscritta della Vita si veda:

ZACCAGNINI, Vita Sancti Fridiani, pp. 89-105.

(8)

collocare tra il IX e il X secolo

11

, presenta una struttura narrativa già molto ampliata

e con almeno tre principali novità. La prima è l’inserimento, in apertura dell’opera,

di un prologo seguito da una sezione narrativa dedicata al racconto delle origini di

Frediano, del suo arrivo a Lucca e della sua elezione a vescovo. La seconda riguarda

il testo della descrizione del miracolo dell’Auser, che non segue quello della prima

recensione ma cita direttamente Gregorio Magno. La narrazione del miracolo viene

inoltre affiancata dal racconto di altri due episodi specifici: il miracolo della pietra

di San Lorenzo a Vaccoli e il singolare episodio dell’aggressione subita da San

Frediano da parte degli abitanti di Lunata

12

. L’ultima modifica consiste

nell’aggiunta, in chiusura di testo, della sezione che descrive la traslazione del

corpo del santo, ad opera del vescovo Giovanni I (780-801), ormai in età carolingia.

La terza recensione è la più lunga e si caratterizza per il riutilizzo del testo della

prima recensione nella narrazione del miracolo della deviazione del fiume e per

l’inserimento di altri miracoli – dei quali due sono operati dal santo in vita e cinque

dopo la morte – , oltre che per l’aggiunta dell’Inventio, il racconto del rinvenimento

delle reliquie che ne precede la traslazione e che era assente nella seconda

recensione. L’ultima recensione della Vita è databile attorno al secolo XI ed è

talvolta seguita nei manoscritti dall’Epitome Metrica. Si tratta di una composizione

poetica di una quarantina di esametri leonini, da datare al secolo XII, che

rappresenta una semplice trasposizione in versi delle gesta del santo.

La Vita subì, per quanto riguarda la sua tradizione medievale, un’ulteriore

evoluzione tra i secoli XII e XIII. In questo periodo si verificò la fusione della Vita

di San Frediano con quella di un altro santo, San Finniano (Findian o Findbar) di

Moville, a cui contribuirono «con tutta probabilità, la comune origine (irlandese),

la somiglianza dei nomi e la contemporaneità dei due santi»

13

e di cui è testimone

principale il Passionario G.I.5 della Biblioteca Comunale di Siena. L’autore

dell’interpolazione, che risale certamente a un archetipo perduto, attinse a una

tradizione evidentemente più antica e tentò di superare alcuni ostacoli che si

11 La memoria sancti Fridiani, menzionata dalla carta n. 1073bis (A 32), Fondo Diplomatico

dell’Archivio Arcivescovile di Lucca (ChLA, CXVII, n. 16, pp. 82-93) – per cui cfr. infra cap. III, p. 208 – all’interno di un elenco di beni mobili e immobili appartenenti al vescovato di Lucca e risalente alla fine del IX secolo, potrebbe essere identificabile nella prima o nella seconda recensione. Lo Zaccagnini propende per la prima ipotesi: in ZACCAGNINI, Vita Sancti Fridiani, p. 61.

12 Per una lettura più approfondita e in chiave ‘sociologica’ degli episodi di Vaccoli e Lunata si

veda: STOFFELLA, Fuori e dentro le città, pp. 33-51 e capitoli IV, V, VI.

(9)

presentavano all’identificazione fra i santi Finniano e Frediano. Il risultato finale fu

la redazione di una Vita che utilizza materiale della tradizione irlandese relativa San

Finniano – soprattutto per quanto riguarda le origini

14

del santo e le sue gesta tra

Irlanda e Scozia

15

– e vi associa elementi tratti da quella lucchese di San Frediano.

La diffusione di questa nuova Vita, che fondeva le due tradizioni, e l’introduzione

dei miracoli compiuti in Irlanda nelle celebrazioni liturgiche contribuirono

notevolmente ad accrescere la fama leggendaria della figura di San Frediano. Lo

Zaccagnini ipotizza che, nel processo di fusione dei due nuclei narrativi, non sia

stato indifferente il ruolo svolto dalla comunità dei Canonici di San Frediano giunta

da Lucca in San Giovanni in Laterano, su invito di papa Pasquale II, nella seconda

metà del secolo XII. «La devozione a San Frediano, la presunta origine irlandese di

quest’ultimo e nel contempo l’assoluta mancanza di notizie sui trascorsi irlandesi

del santo»

16

avrebbero fatto sentire l’esigenza di avere maggiori informazioni

sull’argomento. Queste informazioni furono, con tutta probabilità, trovate e raccolte

presso la comunità di monaci e pellegrini irlandesi che si era riunita intorno al

monastero romano di Santa Trinità degli Scotti e da cui si venne a sapere che in

Irlanda si venerava un santo, di nome Finniano o Findiano, giunto in Italia nel VI

secolo. A questo punto la somiglianza tra i nomi e la coincidenza di alcuni elementi

biografici diedero impulso a una progressiva fusione delle due figure

17

.

14 A Lucca, seppure già nella seconda recensione si faccia esplicito cenno alle origini irlandesi di

San Frediano, si ignoravano del tutto i fatti relativi al periodo precedente la sua venuta in Italia. Ciononostante, per tutto il periodo altomedievale non si cercò di colmare la lacuna, neppure in modo fantasioso. L’origine irlandese sembra, almeno nella tradizione lucchese, un ricordo vago sulla cui attendibilità è necessario avanzare riserve, tenendo anche conto di quanto fosse fortemente radicata nella mentalità popolare dell’epoca l’associazione fra pellegrino e Irlanda.

15 La tradizione irlandese di San Finniano fa di lui il figlio di Ultach, re dell’Ulster, che dopo aver

provveduto alla sua istruzione – nella città scozzese di Candida (Whitehorn) di cui Finniano sarebbe diventato vescovo – lo avrebbe designato come suo successore. Ma Finniano rifiutò ed intraprese un pellegrinaggio che lo condusse fino a Roma, dove venne accolto ed istruito nella fede cristiana da papa Pelagio I (556-561) per tre mesi. Successivamente il santo fece ritorno in Irlanda e qui si dedicò all’insegnamento della dottrina cristiana compiendo anche altri miracoli. Vd. ZACCAGNINI, Vita Sancti Fridiani, pp. 6-8.

16 ZACCAGNINI, Vita Sancti Fridiani, cit., pag. 10. 17 ZACCAGNINI, Vita Sancti Fridiani, pp. 10-11.

(10)

1.1.b Le fonti narrative ed epigrafiche

Il brano dei Dialoghi di Gregorio Magno

18

(III, 9) che descrive la miracolosa

deviazione dell’Auser da parte di San Frediano, oltre ad aver dato origine, come

abbiamo visto, a una vasta letteratura agiografica, si rivela anche una preziosa fonte

storica per la Lucca del VI secolo. Prima di procederne all’analisi ne presentiamo

qui il testo integrale

19

:

De Frigdiano Lucensis civitatis episcopo.

1. Sed neque hoc sileam, quod narrante viro

venerabili Venantio, Lunensi episcopo, me ante biduum contigit agnovisse. Lucanae namque ecclesiae, sibimet propinquae fuisse mirae virtutis virum Frigdianum nomine narravit episcopum.

2. Cuius hoc opinatissimum a cunctis illic

habitantibus testatur memorari miraculum, quod Auseris fluvius, qui iuxta illius urbis muris influebat, saepe inundatione facta cursus sui alveus egressus per agros diffundi consueverat, ut quaequae sata ac plantata repererit everterit. Cumque hoc crebro fieret et magna eiusdem loci incolas necessitas urgeret, dato studio operis, eum per loca alia derivare conati sunt. Sed quamvis diutius laboratum fuisset, a proprio alveo deflecti non potuit.

3. Tunc vir Domini Frigdianus rastrum sibi

parvulum fecit, ad alveum fluminis accessit, et solus orationi incubuit, atque eidem flumini praecipiens ut se sequeretur, per loca quaequae ei visa sunt

Frediano, vescovo della città di Lucca

1. Non ometterò neppure di parlare di ciò che ho appreso soltanto due giorni fa dal racconto del venerabile Venanzio, vescovo di Luni, riguardo a Frediano, vescovo della vicina chiesa di Lucca, uomo di mirabili poteri.

2. Di lui si ricorda un miracolo famoso, di cui sono testimoni tutti gli abitanti della città. Il fiume Ausarit, che lambiva le mura della città, sovente usciva dal suo alveo e inondava i campi per largo tratto, distruggendo sementi e piante che trovava. Data la frequenza delle inondazioni, gli abitanti si trovavano in grandi strettezze, e perciò si dettero da fare per deviare il corso del fiume facendolo scorrere per altri luoghi. Ma nonostante prolungati lavori non riuscirono a modificarlo.

3. Allora l’uomo del Signore, Frediano, si fece un piccolo rastrello, si avvicinò all’alveo del fiume e da solo si dette a pregare. Comandando poi al fiume di seguirlo, fece scorrere il rastrello sulla terra lungo un

18 I Dialoghi sono un’opera in quattro libri, di lunghezza diversa, che narrano fatti miracolosi,

compiuti per lo più da santi italiani sotto il regno del goto Totila e durante l’invasione dei Longobardi. Del primo libro sono protagonisti dodici santi, del terzo oltre una trentina. Il secondo è dedicato interamente a San Benedetto da Norcia. Il quarto ha un carattere del tutto diverso, poiché gli innumerevoli prodigi che vi sono narrati non tendono più, come nei libri precedenti, a celebrare i viri Dei, ma sono legati da un filo dottrinale continuo e servono a mostrare la sorte delle anime nell’aldilà. La redazione dell’opera sembra risalire ad un periodo compreso tra il luglio 593 e il novembre 594, vd. GREGORIO MAGNO, Storie di diavoli e di santi, a cura di S. PRICOCO – M. SIMONETTI, Milano 2005; in part. pp. XVII-XVIII.

19 GREGORIO MAGNO, Dialoghi, III, 9, testo e traduzione tratti da GREGORIO MAGNO, Storie

(11)

rastrum per terram traxit. Quem, relicto alveo proprio, tota fluminis aqua secuta est, ita ut funditus locum consueti cursus desereret et ibi sibi alveum, ubi tracto per terram rastro vir Domini signum fecerat, vindicaret et quaequae essent alimentis hominumprofutura sata vel plantata ultra laederet.

itinerario da lui ritenuto adatto. Tutta l’acqua del fiume, abbandonato il proprio alveo, lo seguì in modo da non scorrere più lungo il corso abituale. Si fece così un nuovo alveo là dove l’uomo del Signore aveva fatto segno per terra col rastrello, e non fece più danno agli alberi e alle culture che avrebbero nutrito gli abitanti del luogo.

La struttura del passo è abbastanza semplice e lineare: nella prima parte Gregorio

riceve la testimonianza del vescovo di Luni Venanzio

20

che la raccoglie dalla vicina

comunità lucchese; nella seconda vengono descritte le condizioni avverse a cui

sono sottoposti i cittadini lucchesi a causa delle continue inondazioni del fiume

Auser

21

, che scorre presso le mura della città e devasta i campi; mentre l’ultima

sezione del racconto viene dedicata all’intervento miracoloso dell’“uomo di Dio”

Frediano che, dopo aver fabbricato un rastrello, si avvicina al fiume, prega e ordina

alle acque di seguirlo verso il segno che aveva tracciato proprio con il rastrello.

Ai fini della collocazione cronologica della figura storica di Frediano il passo

appena descritto assume un duplice significato che avvalora la tesi di una sua

collocazione al VI secolo. Il contesto storico in cui il vescovo opera il miracolo è

infatti coerente sia con la serie di avversità climatiche che tormentano l’Italia del

VI secolo, sia con le opere di bonifica a cui si cerca ancora di dar mano nell’Italia

teodoriciana

22

. Un altro elemento di notevole efficacia per la collocazione

20 Come si evince dall’epistolario di Gregorio Magno, Venanzio fu abituale ‘corrispondente’ del

papa e da lui ricevette molti incarichi. Si veda GREGORIO MAGNO, Storie di diavoli e di santi, II, pp. 380-381.

21 L’attuale fiume Serchio nasce sull’Appennino Tosco-Emiliano, attraversa la Garfagnana e la

pianura lucchese, immettendosi nella zona di Ponte a Moriano, e, dopo essere passato a nord ovest della città di Lucca, sfocia nel Mar Tirreno presso Migliarino. Ma anticamente seguiva un percorso del tutto diverso e, a nord di San Pietro a Vico, si divideva in due rami che passavano l’uno ad oriente e l’altro a occidente della città. Il ramo orientale (Auser) scendeva verso sud costeggiando i paesi di Lammari, Lunata, Antraccoli e proseguiva fino al lago di Sesto (attuale Lago di Bientina), da cui il suo emissario (Auserissola o Auseressa) andava a gettarsi nell’Arno presso Vicopisano. Il ramo occidentale (Auserculus, Auserclo, Serclo), corrispondente approssimativamente all’attuale Serchio, ma con un percorso molto più tortuoso e spostato verso est-sud est, si divideva ulteriormente in due rami nella zona di Monte San Quirico, formando un’isola. Il ramo inferiore lambiva la città di Lucca seguendo le mura romane in prossimità della chiesa di San Vincenzo. Le due parti tornavano ad unirsi presso Montuolo (Flexo), dove formavano un bacino paludoso le cui acque tendevano a scolare (seguendo un corso simile a quello dell’attuale Ozzeri) verso il ramo orientale dell’Auser. I due rami finivano per congiungersi presso Pieve San Paolo (San Paolo in

Gurgite) dove si formava un gorgo. La mancanza di uno sbocco diretto verso il mare rendeva l’Auser

un fiume di notevole pericolosità e, soprattutto dopo la caduta dell’Impero Romano, sempre più incontrollabile che, nei periodi di piena, scaricava le sue acque in pianura senza incontrare argini. Sull’argomento si veda ZACCAGNINI, Vita Sancti Fridiani, pp. 43-52.

22 G. CIAMPOLTRINI – P. NOTINI – P. RENDINI, Materiali tardoantichi ed altomedievali dalla

(12)

cronologica è poi rappresentato dalla presenza stessa di Frediano, posto al capitolo

9, tra i santi del terzo libro dei Dialoghi. Il libro è divisibile in due sezioni principali.

La prima (capitoli 1-4) è dedicata, come dice lo stesso Gregorio, ad priora

23

, ad

avvenimenti più antichi e si conclude, al capitolo 4, con un paragrafo, che funge da

preambolo per la sezione successiva (capitoli 5-38), in cui l’autore afferma: «Sed

oportet iam ut priora taceamus. Ad ea quae diebus nostris sunt gesta veniendum

est»

24

. La seconda sezione è dunque, per volontà dell’autore stesso, relativa a fatti

più recenti e a lui vicini nel tempo, tanto che tutti i vescovi menzionati sembrano

collocabili tra la metà e la fine del secolo VI. Si tratta nell’ordine di: Sabino di

Canosa († 566 circa), Cassio di Narni († 558), Andrea di Fondi († 591), Costanzo

di Aquino († fra 561 e 574), Frediano di Lucca, Cerbonio di Populonia († fra 573 e

575), Fulgenzio di Otricoli (seconda metà del VI secolo), Ercolano di Perugia (†

549), Massimiano di Siracusa († 594) e Redento di Ferento († 586-587)

25

. L’unica

eccezione è rappresentata da Savino di Piacenza, posto immediatamente dopo

Frediano e vissuto probabilmente alla fine del IV secolo, la cui presenza sembra

però in qualche modo giustificata dalla vicinanza ‘narrativa’ alla vicenda del

vescovo lucchese. Come Frediano infatti anche Savino è un «santo ‘idraulico’

26

»

che impedisce miracolosamente lo straripamento del Po

27

.

Oltre al passo dei Dialoghi, forniscono importanti elementi utili alla datazione

dell’episcopato di San Frediano anche due fonti epigrafiche: la lastra con iscrizione

apposta in calce a una croce gemmata, posta sulla mensa dell’altare di Santo Stefano

nella cattedrale di San Martino, e l’epigrafe sepolcrale dello stesso Frediano, situata

nella chiesa che da lui prende il nome.

inappropriato vedere un legame tra le eventuali attività di bonifica e l’interesse per la navigabilità dell’Auser e dell’Arno, che emerge chiaramente dalle Variae di Cassiodoro: V, 17, 6; V, 20, 3.

23 «Sed ad priora nunc redeo eaque quanta valeo brevitate perstringo», in GREGORIO MAGNO,

Dialoghi, Prologus.

24 GREGORIO MAGNO, Dialoghi, III, 4.

25 ZACCAGNINI, Vita Sancti Fridiani, pp. 19-21; in particolare cit., p. 19: «i quattordici santi

vescovi o papi del III libro possono essere così ripartiti: undici al sesto secolo, uno al quinto, uno alla fine del quarto o all’inizio del quinto. Se fosse vissuto all’inizio del terzo secolo, San Frediano sarebbe il più remoto di tutti».

26 G. CIAMPOLTRINI, La città di San Frediano. Lucca tra VI e VII secolo: un itinerario

archeologico, Lucca 2011, p. 10.

(13)

Della lastra dell’altare di Santo Stefano non rimane l’originale, ma solo alcune

descrizioni – la più antica delle quali fu eseguita da Bartolomeo Baroni nel 1760

28

– che riportano il disegno della crux gemmata e il seguente testo

29

:

Disponente episc(op)o Frygiano Valerianus presbyter altare

cum columellis suis fecit

La tradizione storiografia lucchese risalente a Pietro Guidi appare concorde nel

collocare la realizzazione della lastra tra VI e VII secolo. Dall’analisi del testo

dell’epigrafe si evince infatti che Frediano doveva essere ancora in vita o morto da

poco dato che non viene definito santo; inoltre, il Valerianus presbyter menzionato

dall’iscrizione è da identificare con l’immediato successore di Frediano, come

indicato dall’Ordo episcoporum

30

. Anche il tipo di monumento, come dimostrato

da Giulio Ciampoltrini

31

, trova evidenti parentele con la produzione artistica del

VI-VII secolo, sia nell’ambito locale lucchese, sia nel più ampio contesto dell’Italia

goto-bizantina, tanto da arrivare «a proporre di attribuire il rilievo a marmorari

ravennati»

32

.

L’interpretazione della lastra sepolcrale di San Frediano non è altrettanto univoca.

Infatti, se da un lato una consolidata serie di studi

33

la colloca al secolo VIII, negli

anni della traslazione ad opera del vescovo Giovanni, dall’altro Giulio Ciampoltrini

fornisce una diversa lettura dell’iscrizione, datandola al secolo VI e mettendo in

discussione la concretezza stessa della traslazione delle reliquie di San Frediano

28 ZACCAGNINI, Vita Sancti Fridiani, pag. 42 nt. 102.

29 Testo e disegno in CIAMPOLTRINI, La città di San Frediano, p. 10; solo disegno in

CIAMPOLTRINI, Rilievi del VI secolo in Toscana, «Prospettiva», 65, 1992, pp. 44-49; solo testo in G. ZACCAGNINI, Vita Sancti Fridiani, pag. 42.

30 Vedi infra pp. 14-16.

31 CIAMPOLTRINI, Rilievi del VI secolo, pp. 44-47; e CIAMPOLTRINI, La città di San Frediano,

pp.10-13. I monumenti citati sono:

• Per il contesto lucchese: il frammento di lastra marmorea da Santa Reparata e la lastra d’altare di Aquilea nella nuova chiesa di San Leonardo;

• Per il contesto ravennate: il frammento del sarcofago di Ecclesio, il ciclo musivo e il pluteo di Sant’Apolinnare Nuovo e la croce dell’altare di San Francesco per affinità e struttura iconografica della crux gemmata.

32 CIAMPOLTRINI, La città di San Frediano, p. 11.

33 Alcuni esempi in: P. GUIDI, La traslazione del corpo di S. Frediano si deve al vescovo Giovanni

I, in A. GUERRA – P. GUIDI (a cura di), Compendio di Storia ecclesiastica lucchese dalle origini a tutto il secolo XII. Appendice VI, Coop. Tip. Editrice, Lucca 1924, pp. 108-112; ZACCAGNINI, Vita Sancti Fridiani, pp. 53-59; STOFFELLA, Fuori e dentro le città, pp. 30-32.

(14)

narrata dalla Vita

34

. Sciogliendo l’incomprensibile “maulam” (considerato come

nuova coniazione per errore del lapicida) in “in aulam”, Ciampoltrini ricostruisce

un testo in tre esametri quantitativi:

+ hoc s(an)c(t)i tumulum Frigiani [fe]cit in aulam pres[ --- ec]ce Iohannes s(an)c(t)i cuius signa [ --- ]35.

Lo stile e la brevità del testo sembrano accostabili alla tradizione tardoantica,

mentre lo stesso ductus dei caratteri dell’iscrizione appare del tutto coerente con i

sistemi grafici in uso nel VI secolo e non con quelli databili all’epoca carolingia,

come confermato anche dalla, seppur scarna, produzione lucchese superstite

36

.

A sostegno della sua tesi l’autore mostra inoltre come l’uso, per quanto riguarda il

nome, della variante “Frigianus”, assimilabile al precedente (o coevo) Frygianus

dell’epigrafe di Valerianus presbyter, segni comunque «un’anteriorità rispetto al

Fricdianus della redazione manoscritta dei Dialogi gregoriani e attestato nel

documento lucchese del 685

37

.

Seguendo l’interpretazione del Ciampoltrini, le due lastre, quella dell’altare di

Santo Stefano e quella sepolcrale di San Frediano, sarebbero quindi testimonianze

pressoché coeve, risalenti o poco successive all’episcopato di San Frediano nel VI

secolo.

L’Ordo episcoporum, conosciuto anche come il Catalogo dei vescovi di Lucca, è

la fonte più tarda tra le quelle utili alla collocazione cronologica della figura di San

Frediano, ma si è comunque rivelato il documento che più ha dato adito a

34 G. CIAMPOLTRINI, Marmorari lucchesi d’età longobarda, «Prospettiva», 61, 1991, p. 46.

Secondo l’interpretazione dell’autore lo Iohannes menzionato nell’epigrafe non sarebbe il vescovo Giovanni I, bensì un ignoto, forse membro della cerchia di Frediano e incaricato di curarne il sepolcro. Sull’argomento mi riservo di aggiungere alcune personali osservazioni nel capitolo successivo, all’interno del paragrafo dedicato all’episcopato di Giovanni I. Vedi infra 2.2.b., pp. 104-110.

35 Testo tratto da CIAMPOLTRINI, Marmorari lucchesi d’età longobarda, p. 46; e

CIAMPOLTRINI, La città di San Frediano, p. 14. Per letture diverse del testo dell’epigrafe si veda ZACCAGNINI, Vita Sancti Fridiani, p. 54 e nt. 132. Mi permetto comunque di osservare che l’uso della variante Frigiani per il nome di Frediano è attestato più volte nelle carte risalenti all’età di Jacopo, fratello e successore di Giovanni I sulla cattedra vescovile lucchese (801-818). A riguardo, vd. infra, 2.2.c, pp. 111-117.

36 CIAMPOLTRINI, Marmorari lucchesi d’età longobarda, p. 46; CIAMPOLTRINI, La città di

San Frediano, p. 13.

37 CIAMPOLTRINI, La città di San Frediano, p. 14. Per la carta citata si rimanda al paragrafo 1.3.

(15)

discussioni sull’argomento. Si tratta in realtà non di uno ma di tre diversi elenchi,

contenuti nel codice 124 della Biblioteca Capitolare di Lucca, che sono attribuibili,

dal punto di vista paleografico, ad un periodo compreso tra il secolo XI e l’inizio

del XII

38

. Di seguito presentiamo il testo del primo elenco (foglio 1v del codice),

che riporta i nomi di ben 15 vescovi lucchesi:

Hic est ordo episcoporum qui in urbe Luca fuerunt ordinati et sacerdotalem cathedram presidentes populis prefuerunt sanctam gubernantes ecclesiam.

Primus eorum I Obsequientus episcopus II Sanctus Fridianus episcopus

III Valerianus episcopus IV Paternus episcopus

V Pisanus episcopus VI Vindicius episcopus VII Probinus episcopus VIII Maximus episcopus IX Aurelianus episcopus X Theodorus episcopus XI Nunnosus episcopus XII Dicentius episcopus XIII Aventius episcopus XIV Abundantius episcopus

XV Laurentius episcopus

Dato che l’ottavo vescovo (Massimo) intervenne al concilio di Serdica del 343, la

posizione occupata da Frediano nell’Ordo (al secondo posto) costituì la principale

base d’appoggio per la tesi del Pedemonte che ne collocava l’episcopato al III

secolo. A ciò Pietro Guidi rispose affermando che la sequenza contenuta nel

Catalogo non avesse alcuna validità cronologica. Una lettura successiva

39

ha

sostanzialmente confermato l’intuizione del Guidi, sostenendo che la fonte del cod.

124 fosse una lapide cimiteriale che conteneva i nomi dei vescovi ordinati su due

colonne. Da questa sequenza sono da escludere i primi tre vescovi (Ossequenzio,

San Frediano e Valeriano) e l’ultimo (Lorenzo), i cui nomi sarebbero stati aggiunti,

38 ZACCAGNINI, Vita Sancti Fridiani, p. 15.

39 In L. BERTINI, Ipotesi per la sistemazione dell’Ordo Episcoporum del cod. 124 della Biblioteca

(16)

sfruttando gli spazi rimanenti e alterando quindi l’ordine, da una mano ignota verso

la fine del secolo VI

40

.

Tra i vescovi menzionati dall’Ordo, rimangono attestazioni epigrafiche

riconducibili all’epoca tardoantica solamente per i già citati Frediano e Valeriano

(presenti nel primo e nel secondo elenco) e per Geminiano (citato soltanto nel

secondo

41

), che appare in un’iscrizione proveniente da San Macario a Monte

42

.

Temp(ore) v(e)n(erabi)lis Geminiani ep(iscopi) Funso comes fecit43.

Il testo dell’iscrizione – che ci è nota nella replica bassomedievale conservata da un

apografo del Baroni – data la costruzione della chiesa agli anni di episcopato di

Geminiano, ad opera del comes Funso; il cui titolo, scomparso in epoca longobarda,

pare suggerire il contesto storico dell’Italia gotica

44

.

Sembra dunque possibile ipotizzare, in base a quanto detto, una sequenza che

vedrebbe la successione sulla cattedra episcopale lucchese di San Frediano,

Valeriano e Geminiano, nello scorcio che va dalla prima parte del VI secolo

all’invasione longobarda

45

. In questo scenario, segnato dalla crescente crisi

dell’impalcatura statale del Regno ostrogoto e dalle successive campagne militari

bizantine, si sarebbe certo potuta stagliare la figura di un vescovo ancora attivo nel

rinnovo edilizio degli edifici ecclesiastici e capace di ovviare alle necessità

‘infrastrutturali’ della città (come nel caso del miracolo-bonifica dell’Auser). In un

secondo momento, il ricordo di questo vescovo, impresso nella memoria popolare

e ampliato da un primo nucleo del racconto agiografico, avrebbe assunto fama di

leggenda e santità.

40 Per il corretto ordine di lettura dell’Ordo: ZACCAGNINI, Vita Sancti Fridiani, pp. 17-18. 41 Dove si legge: “Primus episcopus lucensis fuit Obsequientius. Secundus Geminianus. Tertius

sanctus Frigianus…”. Per il testo completo del secondo e del terzo elenco si veda G.

ZACCAGNINI, Vita Sancti Fridiani, p. 14.

42 G. CIAMPOLTRINI – P. NOTINI – P. RENDINI, Materiali tardoantichi ed altomedievali dalla

valle del Serchio, pp. 709 ss., fig. 6.

43 Testo tratto da CIAMPOLTRINI, La città di San Frediano, p. 12. 44 CIAMPOLTRINI, La città di San Frediano, p. 12.

(17)

1.2 LUCCA E IL SUO TERRITORIO

Il periodo della transizione tra Tarda Antichità e Alto Medioevo è un momento di

importante trasformazione per la città di Lucca, che, da ex colonia romana in preda

a una crisi generalizzata nella media età imperiale, attraverso una graduale ripresa,

diventa un fondamentale tassello strategico e militare nell’assetto dell’Italia

gotico-bizantina e conserva poi questa sua posizione privilegiata, tanto da divenire sede di

ducato sin dalla prima età longobarda e assumere il rango di capitale della Marca

di Tuscia nel pieno IX secolo. Grazie al fondamentale contributo degli studi

archeologici e alle poche fonti documentarie a disposizione, cercheremo, in queste

pagine, di seguire le principali linee di continuità e discontinuità che segnano le

tappe di questo percorso, con uno sguardo di ampio raggio rivolto non solo a Lucca,

ma anche al territorio circostante e al suo vasto distretto cittadino.

La prima parte dell’analisi sarà dedicata ai grandi cambiamenti dell’impianto

urbanistico e insediativo, che interessano Lucca dalla media età imperiale all’apice

toccato dalla città in età teodosiana, sino ai drammatici anni della guerra

greco-gotica e dell’assedio di Narsete. Successivamente si procederà a ricostruire tempi e

modi dell’invasione longobarda, seppur sulla base di una documentazione molto

scarna. Si tenteranno infine di illuminare, grazie soprattutto ai ritrovamenti

sepolcrali, le nuove dinamiche, anche di ordine sociale, che sottendono

l’impressionante rinnovamento edilizio della città altomedievale, testimoniato dalle

carte dell’Archivio Arcivescovile lucchese.

1.2.a La città tardoantica

La Lucca Romana conosce, nel corso del II secolo, un periodo di crisi profonda che

colpisce sia la città che le campagne e che, come nel resto dell’Etruria

nordorientale

46

, culmina in età severiana (193-235). Il declino, che prosegue per

gran parte del III secolo, è segnato dal graduale abbandono dell’area del Foro,

antico cuore della città romana, destinata ormai a divenire zona marginale dove si

46 Sull’argomento, con l’analisi comparata dei casi di Lucca, Fiesole, Firenze e Chiusi, si veda G.

CIAMPOLTRINI, Città “frammentate” e città fortezza. Storie urbane della Toscana

centro-settentrionale fra Teodosio e Carlo Magno, in La storia dell’Alto Medioevo italiano (VI-X secolo) alla luce dell’archeologia, R. Francovich, G. Noyè (eds.), Firenze 1994, pp. 615-633.

(18)

accumulano discariche. Un primo cenno di ripresa è testimoniato dal testo di

un’epigrafe

47

– nota grazie a fonti antiquarie seicentesche e inizialmente

considerata un falso

48

– che celebra un intervento di restauro alla cerchia urbica

tardorepubblicana, curato probabilmente da un personaggio di rango equestre negli

anni di Probo (276-282). Le campagne di scavo condotte tra gli anni 2002 e 2004

49

hanno fornito significative conferme archeologiche di questi restauri, che

proseguirono anche nel corso del IV secolo con l’obbiettivo di ottimizzare il

potenziale difensivo delle mura attraverso la dotazione di torri, come quella

inglobata nel complesso dell’antica chiesa di San Girolamo. La struttura, una torre

rettangolare con feritoie in laterizi, assimilabile per tecniche edilizie e murarie alle

tipologie attestate nelle Mura Aureliane di Roma, doveva probabilmente fungere da

protezione supplementare dell’apparato difensivo della porta meridionale della

città

50

.

L’elemento militare si pone dunque alla base della rinascita della città e non

solamente per l’accurato recupero delle mura. Lucca viene infatti scelta come sede

di una fabrica imperiale di spathae e ricopre un fondamentale ruolo strategico

grazie alla sua posizione come terminale di un doppio asse viario transappenninico

che collega Emilia ed Etruria.

La crescente attività della fabrica, forse ancora in funzione in epoca longobarda

51

,

contribuisce alla creazione di una nuova rete di rapporti con il territorio, volti

soprattutto a soddisfare il fabbisogno di legname e metalli provenienti dalle miniere

elbane e apuane, e porta alla formazione di «un vero e proprio “quartiere”

metallurgico»

52

. Gli scavi eseguiti nell’area dell’ex ospedale Galli Tassi, a poche

decine di metri dalle mura sul lato nordoccidentale della città, hanno restituito

47 CIL, XI, *204.

48 Per il testo e la tradizione antiquaria dell’iscrizione: G. CIAMPOLTRINI, Lucca tardoantica e

altomedievale (IV-VIII secolo). Archeologia di una struttura urbana “allo stato fluido”,

«Geschichte und Region/Storia e Regione», 15, 2006, pp. 61-78.

49 Si veda G. CIAMPOLTRINI – E. ABELA – S. BIANCHINI – M. ZUCCHINI, Lucca tardoantica

e altomedievale III: le mura urbiche e il pranzo di Rixsolfo, «Archeologia Medievale», 30, 2003,

pp. 281-298; G. CIAMPOLTRINI – C. SPATARO – M. ZECCHINI, Lucca tardoantica e

altomedievale IV: aspetti della riorganizzazione urbana fra Tarda Antichità e Alto Medioevo negli scavi 2004-2005, «Archeologia Medievale», 32, 2005, pp. 317-332. Sulle mura romane di Lucca:

G. CIAMPOLTRINI, Lucca la prima cerchia, Lucca 1995.

50 CIAMPOLTRINI – ABELA – BIANCHINI – ZUCCHINI, Lucca tardoantica e altomedievale

III, pp. 290-295.

51 J.A. QUIROS CASTILLO, Modi di costruire a Lucca nell’Altomedioevo: una lettura attraverso

l’archeologia dell’architettura, Firenze 2002, p. 13, che collega l’espansione di Lucca in Maremma

e soprattutto nella zona di Populonia agli interessi metallurgici per l’attività della fabrica.

(19)

infatti almeno otto strutture riconducibili a forni da fucina preposti alla

trasformazione del metallo. Alla rinascita della città – dove l’implementazione

dell’apparato burocratico-amministrativo imperiale offre occasione di impiego ed

esige nuove strutture – si accompagna una fase di rioccupazione delle zone rurali:

sia in chiave militare, con le due piazzeforti del Castellum di Carfaniana (odierna

Piazza al Serchio) e di Castrum Novum

53

(Castelnuovo di Garfagnana) poste a

guardia della via transappenninica; sia in chiave economica e insediativa per le

attività legate al legname nelle aree boschive della Garfagnana e delle Cerbaie e

alla ripresa della pastorizia nella bassa piana del Serchio

54

.

Questa fase di intenso rinnovamento infrastrutturale porta alla costruzione, in tempi

diversi, delle «due grandi imprese edilizie della Lucca tardoantica»

55

, entrambe

volte a celebrare ed unire la città nella nuova fede cristiana: la cattedrale di Santa

Reparata e la basilica extramuranea di San Vincenzo. La fondazione di Santa

Reparata è da fissare, in base all’analisi delle pavimentazioni musive che mostrano

un impiego esclusivo di un repertorio in motivi geometrici, entro la metà del IV

secolo

56

. Per l’edificio, eretto sui resti di una struttura termale risalente al II secolo,

sembra ipotizzabile una pianta a navata unica che sarebbe conforme con la

tradizione degli edifici pubblici tardoantichi. La costruzione della cattedrale e

dell’attiguo battistero dedicato a San Giovanni – ottenuto anch’esso dal recupero e

dall’adattamento di un edificio del II secolo pertinente forse al medesimo

complesso termale – segna la formazione di un nuovo centro urbano nel settore

sudorientale della città. Questo nuovo centro riesce a catalizzare attorno a sé buona

53 I due castella, risalenti o all’età imperiale o agli anni di Teodorico, rappresentano l’elemento più

vistoso della ‘militarizzazione’ del territorio e furono poi integrati nella più ampia rete difensiva longobarda, vd. CIAMPOLTRINI, La città di San Frediano, pp. 71-72.

54Alcuni contributi per il popolamento di zone rurali: per la Garfagnana, G. CIAMPOLTRINI, L'

Abundantia di Volcascio/ Idolorum cultores nella Garfagnana Tardoantica, «Prospettiva», 101,

2001 pp. 51-57 (con un contributo di P. NOTINI); per il Valdarno, G. CIAMPOLTRINI – R. MANFREDINI, La pieve di Sant'Ippolito di Anniano a Santa Maria a Monte. Scavi 1999-2000, «Archeologia Medievale», 28, 2001, pp. 163-184.

55 Per la definizione, vd. G. CIAMPOLTRINI – P. NOTINI, Lucca tardoantica e altomedievale I:

Nuovi contributi archeologici, «Archeologia Medievale», 18, 1990, pp. 590-591.

56 Per la cattedrale di Santa Reparata si vedano i seguenti contributi: G. CIAMPOLTRINI, La

cattedrale di Santa Reparata a Lucca: per un riesame delle pavimentazioni musive del IV secolo, in

Atti del IX Colloque International sur l’étude de la Mosaïque antique et médiévale, Roma 5-10 novembre 2001, pp. 109-121; J. A. QUIROS CASTILLO, Architettura altomedievale lucchese: la

cattedrale dei santi Giovanni e Reparata, «Archeologia dell’architettura», 5, 2001, pp. 131-154;

CIAMPOLTRINI, Lucca tardoantica e altomedievale (IV-VIII secolo), pp. 66-69. Per il battistero di San Giovanni: G. DE MARINIS, Lucca. Scavo del battistero, «Archeologia Medievale», 4, 1977, pp. 247-249; G. CIAMPOLTRINI, Il battistero di Lucca. Preistoria di un monumento del quartiere

episcopale, in L’edificio battesimale in Italia. Aspetti e problemi, in Atti dell’VIII Congresso

(20)

parte dell’insediamento urbano e funge da vero e proprio cuore non solo della vita

religiosa, ma anche di quella civile e amministrativa della Lucca del tempo, come

sembrerebbe confermato dal ritrovamento, nell’area attigua, di due dediche alla

casa imperiale risalenti al IV secolo

57

.

La costruzione della basilica di San Vincenzo

58

, edificio a pianta cruciforme da

collocare nel periodo compreso tra la fine del IV e l’inizio del V, va invece

inquadrata nel graduale processo che vede le mura e in particolare le quattro porte

urbiche diventare l’altro polo attrattivo della città. Le porte svolgono infatti un

fondamentale ruolo di ‘mediazione’ fra la città e la campagna e coagulano attorno

a sé gran parte delle attività manifatturiere e commerciali gravitanti su Lucca. È

inoltre ipotizzabile che, sull’esempio di San Vincenzo, si possa riferire a questo

stesso scorcio cronologico anche la fondazione delle altre tre basiliche

extramuranee poste in prossimità delle porte, che in epoca altomedievale daranno

il proprio nome sia alle porte stesse, sia agli attigui “quartieri” cittadini. Si viene

così a formare un quadro in cui troviamo in corrispondenza delle quattro vie

d’accesso alla città altrettanti edifici di culto: San Vincenzo (poi San Frediano) a

nord, San Gervasio e San Protasio a est, San Pietro posta sulla direttrice verso Pisa

a sud e San Donato a ovest

59

. Le basiliche diventano grandi centri di devozione che

assolvono alla funzione sepolcrale nelle aree esterne alle mura, mantenendo così la

tradizionale divisione della città romana in “spazi dei vivi” e “spazi dei morti”.

L’attività edilizia sembra poi completata dal rifacimento di sedi stradali, come nel

caso del cardo di Via Burlamacchi nel settore sudoccidentale della città, e dalla

costruzione di nuovi assi, come la via emersa in Piazza San Frediano da collegare

probabilmente alla fondazione della basilica

60

.

La Lucca che in età teodosiana (379-455) raggiunge l’apice della sua parabola in

epoca tardoantica si propone come modello di “città allo stato fluido”: una città in

cui si formano poli insediativi e strutture urbanizzate volatili, spesso disperse fra

57 La prima (CIL, XI, 6670), dedicata a Costantino e Licinio, risale al 317-323 e venne ritrovata in

Piazza San Giovanni; la seconda (CIL, XI, 6669), con dedica a Giuliano (360-363), fu ritrovata in “piazza delle herbe”, corrispondente all’attuale Piazza XX Settembre. La fonte di entrambi i ritrovamenti è Daniello de’ Nobili, vd. CIAMPOLTRINI, Lucca tardoantica e altomedievale

(IV-VIII secolo), p. 69.

58 Sulla basilica dedicata a San Vincenzo si veda in particolare infra, par. 1.3.a, pp. 37-43.

59 Sulle quattro porte, le rispettive basiliche e la disposizione degli assi viari nella Lucca romana e

tardoantica si veda: I. BELLI BARSALI, La topografia di Lucca nei secoli VIII – XI, in La Tuscia

nell'altomedioevo, in Atti del V Congresso Internazionale del Centro Italiano di Studi sull'Alto

Medioevo, Spoleto 1973, pp. 474-484.

(21)

orti e strutture precarie, che trovano punti di riferimenti stabili solamente nelle

fondazioni ecclesiastiche intramuranee (la cattedrale di Santa Reparata e il contiguo

battistero) e in quelle extraurbane, presso cui si concentrano le aree cimiteriali

61

.

Il modello resta valido anche per quanto riguarda il periodo successivo (dalla

seconda metà del V secolo al VI), che tuttavia offre tracce evanescenti della vita

pubblica lucchese. La città e il suo territorio entrano a far parte dell’assetto

organizzativo e amministrativo del regno ostrogoto e, grazie ai già citati

collegamenti con l’Emilia e, quindi, anche con Ravenna, diventano centro di rilievo

per gli interessi fondiari dell’aristocrazia gotica

62

.

Proprio per la sua posizione e la sua importanza strategica, Lucca viene

direttamente coinvolta negli eventi della guerra greco-gotica (535-553) narrati da

Agathias

63

. Dopo essere stata risparmiata nelle prime fasi del conflitto, la città viene

assediata dalle truppe di Narsete nel 553. Il generale bizantino, tentando di ottenere

una vittoria decisiva per le sorti della guerra, fa contemporaneamente attaccare

anche Parma

64

, al terminale opposto dell’asse transappenninico. Sia l’attacco a

Parma, sia l’assedio di Lucca si rivelano però, almeno in un primo momento,

manovre inconcludenti e senza successo. Lucca, infatti, nonostante l’impiego di

macchine poliorcetiche e attacchi alle mura, viene presa dopo circa tre mesi,

solamente al termine di lunghe trattative, in cui giocano un ruolo importante gli

ostaggi liberati in precedenza da Narsete. La città, dunque, non viene espugnata

dalle truppe bizantine, ma si consegna a Narsete, che lascia il magister militum

Bono a presidiarla

65

. Pare potersi collegare direttamente a eventi bellici il restauro

del tratto settentrionale del lato occidentale delle mura, che rappresenta il fatto

edilizio più significativo, tra quelli di cui sia rimasta traccia archeologica, della

61 Per il modello di “città allo stato fluido”: CIAMPOLTRINI, La città di San Frediano, p. 25-26;

CIAMPOLTRINI, Lucca tardoantica e altomedievale (IV-VIII secolo), p. 68.

62 Come l’aristocratica Ranilo, proprietaria di una massa nell’agro lucchese che poi dona alla chiesa

ravennate nel 553. È possibile che la donazione di Ranilo sia un atto legato alla conversione sua e del marito Felithanc alla fede cattolica dopo la riconquista giustinianea, vd. N. FRANCOVICH ONESTI, Le donne ostrogote in Italia e i loro nomi, in Goti e Vandali: dieci saggi di lingua e cultura

medievali a cura di N. FRANCOVICH ONESTI, Roma 2013, pp. 45-70; G. CIAMPOLTRINI, La città di San Frediano, p. 11.

63 AGATHIAS, Historiae, I, 12-19. Traduzione in inglese del testo in AGATHIAS, The Histories,

a cura di J. D. C. FRENDO, in Corpus Fontium Historiae Byzantinae – Series Berolinensis, 2 A, Berlin New York 1975.

64 Su Parma, AGATHIAS, Historiae, I, 14, 15, 17, 18. 65 AGATHIAS, Historiae, I, 19.

(22)

Lucca del tempo

66

. Sembrano, inoltre, trovare origine in questi anni due fenomeni

che contribuiranno ad acuire il carattere fluido dell’insediamento urbano anche in

epoca altomedievale. Vale a dire una prima ‘contaminazione’ tra “spazi dei vivi” e

“spazi dei morti” con la formazione dei primi sepolcreti urbani e la dissoluzione del

“quartiere metallurgico” dell’area Galli-Tassi che porta alla frammentazione e alla

dispersione dell’attività manifatturiera in diversi settori della città

67

. Gli anni della

guerra greco-gotica e della riconquista bizantina non segnano tuttavia per Lucca

una fase di declino, ma evidenziano piuttosto una certa tenuta del tessuto urbano.

L’immagine di una città ancora attiva e vivace emerge anche dai ritrovamenti

ceramici attribuibili ai contesti tardoantichi, in cui è testimoniata una certa

continuità della sigillata africana. La presenza della sigillata è un importante

indicatore della fluidità, ancora nel pieno VI secolo, delle reti mercantili che

distribuivano sulle coste del Tirreno i prodotti dell’Africa tornata bizantina.

Dall’Africa, oltre alle sigillate, arrivano a Lucca anche lucerne e beni alimentari,

mentre dal Mediterraneo Orientale giungono contenitori vinari. Insieme ai prodotti

africani e orientali di provenienza mediterranea, sono poi riscontrabili a Lucca

manufatti provenienti dall’area alpina e padana (in particolare i contenitori in pietra

ollare) e produzioni locali (forse un’estrema versione dell’anfora “di Empoli”), che

ebbero una sempre maggiore diffusione in epoca altomedievale, dopo l’esaurimento

dei traffici legati all’approvvigionamento delle guarnigioni bizantine

68

. Lucca

mostra di avere, dunque, un ruolo già prominente nello scenario della Tuscia,

essendo partecipe ai traffici mediterranei fino al secolo VII (ingrossati

66 Si tratta del settore di mura esplorato nello scavo di Via delle Conce, vd. CIAMPOLTRINI –

SPATARO – ZECCHINI, Lucca tardoantica e altomedievale IV, pp. 317-320.

67 La stessa area del complesso metallurgico del Galli-Tassi viene investita da un sepolcreto

appartenente a un nucleo insediativo «che scarica i suoi rifiuti sui ruderi di un edificio residenziale della prima età imperiale», vd. CIAMPOLTRINI, Lucca tardoantica e altomedievale (IV-VIII

secolo), pp. 69-70. Più ampiamente in G. CIAMPOLTRINI – P. NOTINI – M. ZECCHINI – G.D.

DE TOMMASO, Lucca tardoantica e altomedievale II. Scavi 1990-1991, «Archeologia Medievale», 21, 1994, pp. 597-627.

68 I contesti urbani che restituiscono materiali ceramici sono in particolare gli scavi dell’area

Galli-Tassi e la profonda fossa esplorata nel 2010 fra Via San Giorgio e Via Battisti, nella parte settentrionale della città. Per una panoramica sui ritrovamenti ceramici in ambito urbano si veda: CIAMPOLTRINI – SPATARO – ZECCHINI, Lucca tardoantica e altomedievale IV, pp. 327-330; CIAMPOLTRINI, La città di San Frediano, pp. 38-48. Con particolare riguardo alle suppellettili fittili da mensa di produzione locale, vd. CIAMPOLTRINI – NOTINI, Lucca tardoantica e

altomedievale I, pp. 585-588.

Sui traffici mediterranei si veda: C. CITTER – L. PAROLI – C. PELLECUER – J. M. PÉNE,

Commerci nel Mediterraneo occidentale nell’alto medioevo, in Early Medieval Towns in West Mediterranean, a cura di G. P. BROGIOLO, Mantova 1996, pp. 121-142.

(23)

probabilmente dai rifornimenti imperiali destinati alle milizie della Liguria ancora

bizantina) ed essendo ben collegabile a Pisa, attraverso le vie d’acqua dell’Auser.

Una certa continuità pare riscontrabile non solo per la città ma anche per quanto

riguarda quei territori rurali che hanno accesso alle vie fluviali o marittime, come

attestato nei ritrovamenti di sigillata Hayes a Massaciuccoli

69

e nella dotazione

tombale della fanciulla ritrovata davanti alla facciata della plebe di Sant’Ippolito di

Anniano sull’Arno (a Santa Maria a Monte)

70

.

Sullo scorcio della seconda metà del VI secolo Lucca appare ancora fortemente

legata al suo antico ruolo di “città-fortezza”

71

capace di sostenere un lungo assedio,

grazie alla sua cinta muraria costantemente rinnovata, e si trova ancora ben inserita,

tramite i suoi rapporti con il territorio circostante, la prossimità agli itinerari

transappenninici e alle vie d’acqua che la collegano a Pisa e al Tirreno, in una rete

commerciale attiva sia a livello locale sia interregionale, se non addirittura su scala

mediterranea. Non sembra dunque casuale che, nel volgere di pochi anni, i

Longobardi abbiano fatto di Lucca il proprio principale centro di potere e di

diffusione nel graduale processo che porta alla formazione della Tuscia longobarda

come entità territoriale sempre più legata e interconnessa con il Regnum.

1.2.b La città altomedievale

Nel 568, sotto la guida di Alboino, i Longobardi abbandonano le sedi originarie

della Pannonia e invadono l’Italia settentrionale. Avanzano rapidamente nella

Pianura Padana per poi arrestarsi dinanzi alle mura di Pavia, che cingono d’assedio

per tre anni. In questo lasso di tempo è plausibile che alcune schiere di guerrieri si

disperdano e che alcuni di essi, seguendo forse la guida e le esperienze di coloro

che avevano già combattuto in Italia come foederati bizantini nella guerra

greco-69 I ritrovamenti sono attribuibili al VI secolo e si inseriscono in un contesto che vede la conversione

dei ruderi dell’antica villa romana nel centro amministrativo di una massa formata da terre, servi e coloni distribuiti per ampio raggio, vd. G. CIAMPOLTRINI – P. NOTINI, Massaciuccoli (Com.

Massarosa, Lucca). Ricerche sull’insediamento post-classico nella villa romana, in «Archeologia

Medievale», 20, 1993, pp. 393-407.

70 Il braccialetto di grani d’ambra e l’armilla in verga di bronzo, che fanno parte del corredo

dell’inumata, sembrano confermare l’arrivo di “mode” dell’abbigliamento, irradiatesi dalle botteghe di Roma, anche in questi distretti lucchesi nel corso del VI secolo, vd. G. CIAMPOLTRINI – R. MANFREDINI, Sant’Ippolito di Anniano a Santa Maria a Monte. Preistoria di una pieve sull’Arno, Pontedera 2005; già in CIAMPOLTRINI – MANFREDINI, La pieve di Sant'Ippolito di Anniano a

Santa Maria a Monte. Scavi 1999-2000, pp. 179-180.

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