• Non ci sono risultati.

LA DIRIGENZA REGIONALE NELLA RIFORMA DEL PUBBLICO IMPIEGO.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "LA DIRIGENZA REGIONALE NELLA RIFORMA DEL PUBBLICO IMPIEGO."

Copied!
8
0
0

Testo completo

(1)

La dirigenza regionale nella riforma del pubblico impiego

Introduzione

- L'organizzazione della pubblica amministrazione - Le tematiche affrontate

Capitolo 1: La riforma del pubblico impiego...1

- Il pubblico impiego in epoca pre-repubblicana...1

- Nascita della dirigenza...3

- La legge quadro sul pubblico impiego...4

- Gli anni novanta, la riforma del sistema amministrativo...8

- La legge n. 241/90 e l'introduzione della responsabilità...8

- La prima privatizzazione del pubblico impiego...13

- La seconda privatizzazione del pubblico impiego...14

- La revisione della riforma dopo il d.lgs. n. 165/2001...18

Capitolo 2: Il dirigente pubblico: tra professionalità ed autonomia...25

- Chi è il dirigente...26

- Le funzioni del dirigente, differenze tra pubblico e privato...28

- L'autonomia del dirigente. Un problema normativo...33

- Lo spoil system. L'origine...34

- Luci ed ombre dello spoil system...35

- Lo spoil system all'italiana...37 - Le problematiche connesse all'approvazione della legge n.

(2)

145/2002...40

- Le sentenze della Corte Costituzionale e l'affermazione del principio di separazione...43

- La sentenza n. 233/2006...43

- Le sentenze n. 103/2007 e n. 104/2007...46

Capitolo 3: L'organizzazione dirigenziale regionale...51

- La ripartizione della potestà legislativa tra Stato e Regioni in materia di organizzazione amministrativa...52

- La potestà regionale, una competenza “piena” ma non assoluta..56

- La legislazione della Regione Toscana in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa...59

- La struttura amministrativa della Regione Toscana...62

- Le modifiche alla struttura seguite alla legge n. 44/2003...64

- La nuova disciplina della dirigenza...67

- Commento alla normativa regionale vigente: un cammino non concluso ...71

- I modelli organizzativi e la disciplina della dirigenza nei vari modelli regionali...73

Conclusioni...86

Bibliografia...91

(3)

INTRODUZIONE

L'organizzazione della pubblica amministrazione

Le amministrazioni pubbliche sono costituite per tutelare gli interessi della collettività. Ad esse le norme attribuiscono le singole funzioni da esercitare, ovvero il legislatore definisce ed ordina un'attività finalizzata ad uno scopo, la assegna ad una articolazione organizzativa e infine conferisce a quest'ultima i poteri necessari per lo svolgimento di tale attività.

Nel dettaglio questo schema è costituito da tre passaggi distinti. Il primo consiste nel definire le funzioni in base all'interesse collettivo da tutelare.

Il secondo momento è l'articolazione delle funzioni e la distribuzione tra gli uffici, ovvero le unità organizzative di cui si compongono le amministrazioni strutturandosi in relazione alla loro complessità. I criteri fondamentali secondo cui si realizza la distribuzione delle funzioni sono due. Innanzitutto vi è il criterio delle materie, in base al quale tali funzioni omogenee sono attribuite dalla legge ad un determinato soggetto. Poi c'è il criterio delle attribuzioni, in base al quale una singola materia spetta indistintamente a soggetti diversi, ma a ciascuno sono attribuiti compiti diversi rispetto alla materia. La ripartizione tra uffici diversi delle funzioni è diretta applicazione del principio di imparzialità, poiché concretizza la garanzia di azione imparziale della pubblica amministrazione. Infine il terzo elemento è la distribuzione di poteri agli uffici, in modo che questi possono operare. Questa attribuzione segue il criterio della competenza, che si realizza secondo tre parametri, ovvero la materia, cioè l'estensione della propria III

(4)

competenza, il grado, ovvero il livello gerarchico connesso all'attività inerente alla stessa materia, e il territorio, il limite territoriale a cui l'ufficio competente può esercitare il proprio potere. Il disegno della competenza dovrebbe stabilire allora la struttura e le relazioni che intercorrono tra i vari organi amministrativi che compongono il complesso della pubblica amministrazione.

Per organo si intende la partizione organizzativa della persona giuridica, riconosciuta a tutte le organizzazioni pubbliche, che una norma qualifica come idonea ad esprimerne la volontà, consentendone l'imputazione dell'atto e degli effetti conseguenti. Attraverso questo rapporto sia l'atto che l'effetto sono imputati direttamente all'ente.

L'organo è caratterizzato da due elementi. Il primo, come già visto, è l'ufficio, definito dalla potestà assegnata dalla legge e delimitato dalla competenza. Il secondo è il titolare, ovvero la persona fisica della quale l'ente si avvale per manifestare la propria volontà. Il titolare deve essere considerato in termini impersonali, in considerazione dei principi di continuità dell'attività amministrativa e di intercambiabilità. Ogni ufficio però non è necessariamente un organo, non avendo sempre l'attitudine a manifestare all'esterno la volontà dell'ente e caratterizzandosi per la loro funzione ausiliare e strumentale all'organo stesso.

Le funzioni, come visto, sono distribuite fra gli uffici di cui è composta la pubblica amministrazione. Esse però sono svolte, materialmente, da persone fisiche che prestano la propria attività al servizio delle pubbliche amministrazioni, e in alcuni casi assumono la titolarità degli uffici. Vi è quindi un forte legame tra l'organizzazione alla quale sono intestate le funzioni amministrative e il personale chiamato a svolgerle.

Il rapporto che lega il personale all'amministrazione può però configurarsi diversamente, a seconda che venga assunta o meno la titolarità dell'ufficio.

Si parla quindi di rapporto di servizio quando la relazione riguarda l'attività lavorativa che il dipendente si obbliga a prestare in cambio della retribuzione. IV

(5)

Quando invece la relazione produce un collegamento giuridico tra dipendente e una componente dell'organizzazione si parla di rapporto di ufficio. Mediante questo la persona fisica assume la titolarità dell'ufficio e acquisisce la capacità di esercitare i poteri e le funzioni attribuite dalle norme. Il dipendente, o in questo caso funzionario pubblico, si immedesima con la componente dell'organizzazione, imputando direttamente a questa gli effetti degli atti posti in essere.

La titolarità degli uffici è retta da alcuni principi fondamentali, il primo dei quali è la continuità dell'ufficio, anche in caso di discontinuità del titolare, tramite individuazione di un supplente o di un reggente ad interim. Un secondo principio riguarda il conferimento della titolarità degli uffici, garantito dall'articolo n.51 Cost. che prevede che tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso possano accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. Altri principi poi si riferiscono all'esercizio delle funzioni pubbliche affidate ai cittadini titolari, i quali devono adempiere tali funzioni con disciplina ed onore, mantenendo separati gli interessi dell'ufficio da quelli del suo titolare.

In base al principio di distinzione tra politica e amministrazione le funzioni di gestione, che comprendono l'adozione di di tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno sono intestate agli uffici dirigenziali, la cui titolarità spetta ad una categoria particolare, la dirigenza.

La dirigenza, come categoria differenziata, fu creata negli anni '70 per separare dagli altri dipendenti l'alta burocrazia. Questa nuova categoria aveva il compito specifico di gestire l'apparato amministrativo rappresentato dagli uffici che non costituiscono organo dalla pubblica amministrazione, i quali si collocano al di sotto degli uffici dirigenziali, ed anzi sono da questi individuati e disciplinati. La dirigenza è oggetto di una disciplina speciale e particolarmente importante, in quanto si colloca al crocevia del rapporto tra politica e amministrazione, definendo in concreto l'equilibrio tra il principio democratico e il principio di imparzialità.

(6)

Il primo principio impone infatti il controllo dell'amministrazione da parte degli organi politici, il secondo invece pretende il servizio esclusivo dell'amministrazione all'intera collettività, e non della sola parte politica al governo.

L'equilibrio che si crea tra queste due componenti dipende principalmente dal modo in cui sono distribuiti i poteri tra gli uffici affidati a titolari politici, non professionali, e gli uffici affidati a titolari professionali, in quanto se il rapporto tra le due tipologie si fonda più sul principio gerarchico, più sarà forte il controllo politico sull'amministrazione, mentre più il rapporto si basa sul principio di separazione delle competenze più saranno limitati gli effetti della politicizzazione.

Inoltre l'equilibrio si determina anche dal rapporto che lega il titolare dell'ufficio dirigenziale e il suo datore di lavoro, ovvero l'organo politico. Per cui se il rapporto si basa sulla precarietà dell'incarico più la politica acquisisce potere di controllo, mentre la stabilità del rapporto favorisce maggiormente l'imparzialità dell'azione amministrativa posta in essere dalla dirigenza e, di conseguenza, dall'intera amministrazione.

Le tematiche affrontate

Da questi presupposti parte il lavoro che mi accingo ad esporre, che sarà volto ad analizzare come questo equilibrio sia posto in essere nell'ordinamento giuridico italiano nazionale e regionale, ed in particolare nell'ordinamento della Regione Toscana, a seguito della nuova ripartizione della potestà legislativa tra competenza esclusiva statale, competenza concorrente e competenza esclusiva statale avvenuta con la riforma costituzionale del titolo V.

Si procederà quindi nel tracciare nel primo capitolo una breve storia della disciplina del pubblico impiego nell'ordinamento repubblicano, con particolare VI

(7)

riferimento alla disciplina della dirigenza, partendo dal d.p.r. n. 748/1972 che la istituì, passando dal primo tentativo di razionalizzare l'intera materia tramite la legge quadro n. 93/1983, fino a descrivere dettagliatamente l'intero processo riformatore che partendo negli anni novanta con la legge n. 241/90 e la legge delega n. 421/92 aprì le porte alla c.d. prima privatizzazione del pubblico impiego, evolvendosi poi nella c.d. seconda privatizzazione scaturita dalla legge delega n. 59/97. Queste due leggi delega, e i rispettivi decreti legislativi, sono poi confluiti in un unico decreto legislativo, n. 165/2001, modificati infine nel 2002 dalla legge n. 145, che ha posto a livello dottrinale e giurisdizionale non pochi problemi attinenti alla reale applicazione del principio di separazione tra politica ed amministrazione, cardine del processo di privatizzazione del pubblico impiego.

La ratio di questo processo riformatore, non ancora completamente concluso, fu di legare la gestione amministrativa al raggiungimento del risultato, più che al rispetto formale degli adempimenti. Tale obiettivo, ancora non definitivamente raggiunto, fu posto in primo luogo per rimediare ad una gestione amministrativa che gravava troppo, in termini di spesa, sul bilancio dello Stato. Bilancio che proprio agli inizi del decennio scorso risultò eccessivamente pesante e che portò l'Italia sull'orlo di una crisi finanziaria da cui sarebbe stato difficile risollevarsi, crisi frutto di una cultura dell'ingerenza politica presente sia nella gestione dei grandi gruppi industriali partecipati dallo Stato che nella gestione amministrativa degli apparati amministrativi.

Vennero allora varate alcune riforme essenziali proprio per combattere questo malcostume, disciplinando in primo luogo il procedimento amministrativo in generale e attribuendo con certezza la responsabilità dello stesso con la legge n. 241/90. Fu poi privatizzato il rapporto di lavoro pubblico, introducendo alcuni principi che la Corte Costituzionale stessa dichiarerà diretta attuazione della Costituzione, come il principio di separazione tra politica e amministrazione, di efficacia, efficienza e economicità dell'azione amministrativa.

Nel secondo capitolo verrà poi analizzata con più precisione la figura del VII

(8)

dirigente pubblico, che all'interno dell'architettura della riforma ricopre il ruolo primario, sia per quanto riguarda una sua definizione, anche in relazione alla figura del dirigente di un'azienda privata, che per quanto concerne i rapporti tra dirigenza e politica, così come sono stati delineati dalle norme varate negli ultimi anni e dal giudizio che la Corte Costituzionale ha dato ad alcuni aspetti delle norme stesse. Difatti la riforma attuata dalla legge n. 145/2002 riguardante specificamente la dirigenza pubblica ha suscitato più di un dubbio, e ha coinvolto la consulta più volte, portandola a pronunciarsi sulla legittimità e sul campo di applicazione di quello che viene definito lo spoil system, introdotto dal decreto legislativo riguardante la seconda privatizzazione del pubblico impiego, ma fortemente rafforzato dal legislatore del 2002.

Nel terzo capitolo infine verrà trattato il tema dell'organizzazione regionale, innanzitutto per quanto riguarda l'assegnazione della potestà legislativa in materia, verificando come l'autonomia organizzativa regionale si articoli all'interno delle disposizioni costituzionali e statutarie. Inoltre verrà chiarito come ed in che misura la disciplina della dirigenza pubblica possa essere assimilata alla potestà legislativa regionale in ambito di ordinamento amministrativo e organizzazione.

Verrà poi esposta la vigente legislazione riguardante la Regione Toscana approvata con la legge regionale n. 44/2003, raffrontata alla precedente legge regionale n.26/2000, prendendo in esame in particolare i cambiamenti riguardanti la struttura organizzativa e la disciplina della dirigenza, ponendo una riflessione critica alla possibile illegittimità di alcune previsioni relative alla cessazione anticipata degli incarichi dirigenziali non apicali.

In ultimo sarà proposta una veloce analisi delle leggi regionali delle restanti regioni ordinarie sotto il punto di vista della conformità all'orientamento costituzionale in materia di cessazione anticipata degli incarichi dirigenziali.

Riferimenti

Documenti correlati

leggi costituzionali. I limiti alla revisione costituziona le ... Le altre fonti dell 'ordinamento ... diritto internazionale privato ... Le leggi atipiche.... La riserva

Il concetto di ordine pubblico italiano, cui la sentenza straniera deve conformarsi per poter essere delibata consiste nel complesso dei principi cardine

attività economiche”; è proprio quest’ultimo passaggio a determinare la “contaminazione” tra sport e disciplina comunitaria. Negli ultimi anni anche la Commissione europea

R3 - LA FORMALITÀ D’ISCRIZIONE, TRASCRIZIONE O ANNOTAZIONE DI UN ATTO RICHIESTA OLTRE I TERMINI DI LEGGE E, PERTANTO, SOGGETTA AL PAGAMENTO DELL’IMPOSTA PROVINCIALE DI

Art. Il presente contratto collettivo nazionale si applica a tutto il personale dirigente di prima e di seconda fascia, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo

Le risorse di cui alla prima e seconda alinea del precedente comma, concorrono anche al finanziamento degli incrementi della retribuzione di posizione-parte fissa definita ai

amministrazioni pubbliche alla luce della novella che, a seguito della Legge delega 15/2009, è stata apportata dal D.L.gs. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del

La legge del marzo 2009, con i suoi tredici articoli, non solo ha invertito la gerarchia delle fonti di produzione del diritto del lavoro alle dipendenze della