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Il Carcinoma Differenziato della tiroide in età pediatrica: ruolo della terapia radiometabolica.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE

IN MEDICINA NUCLEARE

Il Carcinoma tiroideo differenziato in età pediatrica:

ruolo della terapia medico-nucleare

Relatore

Chiar.Mo Prof.

Giuliano Mariani

Il Candidato

Dr.ssa Martina Meniconi

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Indice

1 INTRODUZIONE

1.1 Caratteristiche cliniche del carcinoma differenziato della tiroide………. 3

1.2 Il Carcinoma differenziato della tiroide radio indotto ……….. 6

2 DIAGNOSI………... 8 3 TRATTAMENTO ……… 9 3.1 Chirurgia……….10 3.2 Terapia soppressiva……… 11 3.3 Terapia Medico-Nucleare………... 11 3.4 Follow-up ………... 13

4 SCOPO DELLO STUDIO……… 15

5 MATERIALI E METODI……… 15 5.1 Pazienti……….. 15 5.2 Metodi……… 16 6 RISULTATI……….. 18 7 DISCUSSIONE……… 20 8 BIBLIOGRAFIA………25

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INTRODUZIONE

1.1 Caratteristiche cliniche del carcinoma differenziato della tiroide

Il carcinoma della tiroide è il più frequente tumore del sistema endocrino. Tuttavia è una neoplasia rara e rappresenta approssimativamente lo 0.6% di tutti i tumori maligni nel sesso maschile e l’1.6% nel sesso femminile [1] con una mortalità rispettivamente dello 0.16% nei maschi e allo 0.24% nelle femmine [2].

In età pediatrica il carcinoma della tiroide è una patologia rara essendo responsabile del 1.5-3% di tutte le neoplasie in questa fascia di età [3].

L’istotipo maggiormente rappresentato è il “Carcinoma differenziato della tiroide” (CDT). Con questo termine si identifica un gruppo estremamente eterogeneo di neoplasie della ghiandola tiroidea le quali comprendono (secondo la classificazione WHO):

1 Carcinoma di derivazione dalle cellule follicolari

2 Carcinoma di derivazione dalle cellule parafollicolari (Ca midollare)

In età pediatrica i carcinomi della tiroide di derivazione dall’epitelio follicolare appartengono quindi ai tipi differenziati e tra questi quelli poco differenziati costituiscono un evento raro anche se riportati in letteratura, in particolare l’istotipo anaplastico è praticamente inesistente. Tra i vari istotipi, oltre il 95% dei carcinomi differenziati della tiroide è costituito da carcinomi papillari ben differenziati, mentre il rimanente 5% è formato da carcinomi follicolari capsulati (minimamente invasivi) e carcinomi poco differenziati [4].

Il CDT non è una neoplasia comune rappresentando lo 0,5-3% di tutti i tumori pediatrici [5] con una incidenza annua che si attesta su valori dello 0.5-1 casi per 1000000 di bambini [6,7] ed una preferenza per il sesso femminile, soprattutto nel periodo della pubertà quando sopraggiungono modificazioni ormonali, con un rapporto di circa 4:1, dovuta in particolare all’elevata sensibilità della ghiandola tiroidea agli ormoni estrogeni. [6,8,9,10].

L’incidenza di tale patologia in molte parti del mondo è andata aumentando negli ultimi decenni [11] e questo sembra essere legato non solo ai progressi tecnologici che permettono

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una diagnosi precoce, ma anche alle modificazioni dei fattori ambientali, tra cui in particolare l’esposizione della popolazione a radiazioni ionizzanti provenienti da fallout, alle terapie radianti per patologie maligne e benigne del distretto cervico-toracico e al crescente utilizzo di test diagnostici che impiegano radiazioni ionizzanti [12,13].

Infatti l’esposizione alle radiazioni ionizzanti, in particolare durante l’infanzia, è uno dei fattori di rischio noti per il cancro alla tiroide [14]

L’eziologia di questa neoplasia non è ad oggi del tutto conosciuta, ma sono comunque stati identificati alcuni fattori di rischio tra cui la giovane età, il sesso femminile, la familiarità per patologia tiroidea ed in particolare l’esposizione alle radiazioni ionizzanti e la stimolazione cronica dell’ormone Tireotropo; la carenza iodica sembra invece da correlare ad una maggiore aggressività del tumore radio-indotto [15].

Infatti il ruolo della carenza iodica nell’insorgenza del carcinoma tiroideo è a tutt’oggi non ben definito poiché i dati epidemiologici sulla sua incidenza nelle zone gozzigene sono contraddittori [16,17], mentre appare più evidente il ruolo dell’ormone Tireotropo nella stimolazione cronica del tessuto tiroideo come importante fattore patogenetico basato sull’evidenza della risposta alla terapia soppressiva con levo-tiroxina sia del tessuto tumorale che delle due metastasi [18,19,20].

Al momento della diagnosi, il CDT in età pediatrica presenta rispetto a quello degli adulti le seguenti caratteristiche [21,22] :

1. stadio più avanzato: questo aspetto sembra essere dovuto ad una maggiore aggressività di tale neoplasia e maggiore probabilità di interessamento di strutture linfatiche o polmonari. 2. aspetto multifocale e multicentrico: questa caratteristica sembra essere considerata come policlonalità nella maggior parte dei casi.

3. dimensioni maggiori: questa caratteristica è messa in relazione al ridotto volume ghiandolare.

4. precoce invasività locale dei tessuti molli del collo (20-60%) : le minori dimensioni della ghiandola tiroidea nei bambini determinano un più facile coinvolgimento della capsula ghiandolare ed una maggiore invasione dei tessuti molli circostanti.

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5. precoce interessamento linfonodale (40-80%).

6. metastasi a distanza soprattutto a livello polmonare con una frequenza 3-4 volte maggiore e quasi sempre iodofissanti.

7. alta prevalenza di espressione del gene per il transpoter Na-Iodio (NIS) che determina una maggiore risposta al trattamento medico-nucleare con radioiodio [23,24,25].

Nonostante al momento della diagnosi i bambini presentino spesso una malattia più avanzata rispetto all’età adulta, e che il CDT pediatrico ha una più maggiore tendenza a recidivare, la prognosi risulta essere nettamente favorevole e con un overall survival > 95% [4,18,26,27,28 , 29].

Il CDT in età pediatrica risulta perciò essere maggiormente aggressivo rispetto all’adulto e questa aggressività sembra presentarsi in maniera diversa in base all’età e al sesso dei pazienti.

Relativamente all’età, alcuni studi hanno dimostrato che il CDT è molto più aggressivo nei bambini in età pre-puberale rispetto agli adolescenti, mentre il decorso clinico e la sopravvivenza sono sovrapponibili nei due gruppi [30,31,32].

La diversa presentazione riflette le differenti caratteristiche genetiche e metaboliche del CDT. Infatti alcuni studi hanno dimostrato che il follicolo tiroideo risulta metabolicamente più attivo nei bambini al di sotto dei 12 anni [33] facilitando in tal modo una più rapida diffusione del tumore. Tale comportamento più aggressivo sembra inoltre derivare da differenze nelle basi genetiche del CDT [34].

Una distinzione va fatta anche tra sesso maschile e femminile poiché è stato visto che nelle donne il tumore sembra avere maggior aggressività, ma migliore prognosi [10].

Da un punto di vista molecolare è stato notato che i tumori della tiroide mostrano fenomeni di riarrangiamento molecolare molto più frequentemente rispetto agli adulti, in particolare le forme radioindotte. Il gene che più di altri è sottoposto a questi riarrangiamenti è il proto-oncogene RET che presenta 3 forme di alterazione: RET/PCR1, RET/PCR2 e RET/PCR3. Nei CDT sporadici il riarrangiamento più frequente è il RET/PCR1, mentre nei radio indotti il RET/PCR3 [35-38].

Il gene BRAF invece è stato visto essere poco alterato nei bambini rispetto a quanto avviene negli adulti [39-40] .

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1.2 Il Carcinoma differenziato della tiroide radioindotto

La ghiandola tiroide in età pediatrica è riconosciuta essere come uno degli organi più sensibili alle radiazioni ionizzanti.

Lo studio di Ron [41] ha riportato un eccesso di rischio relativo per cancro della tiroide importante, circa 7.7 per Gray (Gy) (95% IC :2.1-28.7) per dosi di alcuni Gy, ed un eccesso di rischio assoluto di 4.4 per 10000 persone/anno per Gy per individui esposti sotto i 15 anni. Il rischio infatti è tanto più alto quanto più l’esposizione avviene in giovane età fino a divenire non più significativo superati i 25-30 anni [42].

Il rischio di sviluppare un carcinoma della tiroide aumenta anche con dosi basse, come 50-100 mGy, con una relazione “dose-risposta lineare” fino ai 20 Gy per poi diminuire, suggerendo un effetto cell-killing ad alte dosi. L’eccesso di rischio persiste per almeno quattro decenni dopo l’esposizione [43].

I motivi per i quali i bambini sviluppano più degli adulti tumori legati alle radiazioni ionizzanti sono molteplici, primi tra tutti l’età al momento dell’esposizione e il tempo intercorso dalla esposizione.

I tessuti dei bambini infatti sono in continua crescita e le cellule si dividono più rapidamente rendendoli più inclini agli effetti mutageni delle radiazioni ionizzanti che peraltro agiscono per un tempo più lungo avendo infatti i bambini un’aspettativa di vita maggiore rispetto agli adulti [41].

In passato si sono verificati due distinti picchi di incidenza di tumore della tiroide in età pediatrica entrambi legati alle radiazioni ionizzanti.

Il primo, nel periodo 1950-1960, legato all’utilizzo della radioterapia esterna per il trattamento di patologie benigne della regione testa collo (acne, Tinea Capitis, tonsilliti, etc.) [41-44-45]. In questi casi il carcinoma della tiroide è stato diagnosticato circa 10-20 anni dopo l’esposizione, persistendo però il rischio fino a 40 anni dopo.

Il secondo picco si è verificato nei primi anni 90 in alcune regioni dell’Est Europeo in seguito al fallout dell’incidente nucleare della centrale nucleare di Chernobyl del 1986 [46,47,48]. In queste aree (Bielorussia, Ucraina e Russia) a partire dai primi anni del 90, cioè circa 4-5 anni dopo l’incidente, si è registrato un imprevisto rapido incremento dell’incidenza di tale neoplasia in particolare nella fascia di età inferiore ai 5 anni [46-49], picco atteso dopo

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almeno 10-20 anni come riportato dell’esperienza delle precedenti esposizioni alle radiazioni ionizzanti.

Circa il 75% di questi casi era stato esposto alle radiazioni tra la nascita ed i 14 anni di età mentre il restante 25% tra i 14-17 anni [49].

L’aumento dell’incidenza del tumore tiroideo è stato attribuito all’inalazione e al consumo di alimenti contaminati (in particolare il latte fresco) dai radionuclidi liberati in seguito all’incidente: 131Iodio e relativi isotopi (132I,133I,135I), isotopi di Cesio (134 Cesio e 137Cesio),

isotopi di Tellurio (131mTe e 132Te) [50].

Da un punto di vista anatomopatologico il 95% dei tumori riscontrati dopo Chernobyl mostravano un istotipo papillare, con variazione morfologiche che andavano dal fenotipo immaturo solido privo della tipica differenziazione architettonica e con un contenuto di tireoglobulina limitato, ai tumori ben-differenziati dominati dall’architettura sia papillare che follicolare [51-52-53-54].

A livello molecolare l’oncogene maggiormente coinvolto risultava essere il RET ed in particolare la forma RET/PTC 3 nei tumori solidi che erano più aggressivi e con una latenza breve mentre la forma RET/PTC1 nelle forme classiche, con una latenza maggiore [55-56]. Negli anni sono stati condotti numerosi studi con lo scopo di determinare i fattori che spiegassero la maggior aggressività del tumore radio indotto rispetto a quello sporadico. Tra le varie possibilità sono state prese in considerazione il periodo di latenza, l’età al momento dell’esposizione, la dose di radiazioni assunta.

Il periodo di latenza tra l’esposizione alle radiazioni e la comparsa della neoplasia è stato correlato con la morfologia e la maggior aggressività, poiché tumori con breve latenza mostrano maggior componente solida e minor differenziazione e livelli superiori di invasione rispetto ai tumori con periodo di latenza maggiore, che mostrano maggior differenzazione, sia papillare che follicolare, e minore livelli di invasione. Il tipo di crescita follicolare o papillare, invece, è stato correlato con l’età al momento della esposizione [57].

Studi successivi hanno portato l’attenzione su un elemento importante: la dieta iodica.

Williams nel 2008 [15] ha pubblicato uno studio al termine del quale ha dimostrato quello che già altri avevano ipotizzato [58-59] e cioè che la carenza iodica può avere un peso specifico notevole nella carcinogenesi del CDT radioindotto, potendo infatti aumentare l’incidenza, ridurre la latenza ed influenzare quindi la morfologia e l’aggressività del tumore. Infatti le tiroidi dei bambini che vivono in aree a carenza iodica sono più attive e sottoposte a maggior proliferazione e crescita rispetto a quelle di bambini che abitano in zone a contenuto iodico sufficiente e questa maggior attività può spiegare l’aumento di rischio osservato.

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Quindi, l’espressione del danno cellulare indotto dalle radiazioni risulta amplificato quando la ghiandola tiroidea si trova in un’età di sviluppo in condizioni di carenza iodica, che come noto può determinare un potenziale di crescita abnorme [60].

2 DIAGNOSI

La diagnosi del carcinoma tiroideo in età pediatrica viene comunemente eseguita nei tumori non radioindotti per il riscontro occasionale di tumefazione in sede cervicale anteriore o laterale del collo o durante un esame ecografico tiroideo, mentre nei soggetti radioesposti viene di solito riscontrato negli studi di screening. In presenza di lesioni sospette spesso viene utilizzata la FNA US guidata sia sulla tiroide che sulle lesioni linfonodali.

Le caratteristiche ecografiche che fanno sospettare caratteri di malignità della lesione sono: l’ipoecogenicità, gli aspetti solidi, la presenza di micro calcificazioni, i margini irregolari e un pattern vascolare intranodulare.

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3 TRATTAMENTO

Il trattamento del CDT si basa principalmente sull’associazione di tre modalità terapeutiche: chirurgia, terapia sostitutiva con levotiroxina sintetica e trattamento medico nucleare con

131Iodio.

Naturalmente, al fine di impostare la scelta terapeutica più adeguata è necessaria una corretta stadiazione del tumore.

In ambito pediatrico i sistemi di stadiazione più usati sono il TNM [61] ed il DeGroot [62]: TNM Classification

T TUMORE PRIMITIVO

Tx Tumore primitivo non valutabile T0 Mancata evidenza di tumore primitivo

T1 Tumore con diametro massimo ≤ 2 cm limitato alla tiroide T2 Tumore con diametro massimo > 2 e ≤4 cm, limitato alla tiroide

T3 Tumore con diametro > 4 cm limitato alla tiroide o ogni tumore con una minima estensione extratiroidea T4a Tumore che si estende oltre la capsula tiroidea ed invasione di tessuti molli sottocutanei, laringe, trachea,

esofago o nervo laringeo ricorrente

T4b Tumore che invade la fascia prevertebrale o ingloba l'arteria carotide o i vasi mediastinici N x Linfonodi regionali non valutabili

N0 Assenza di metastasi linfonodali N1 Metastasi nei linfonodi regionali

N1a Metastasi al livello VI ( linfonodi pretracheali, paratracheali, prelaringei)

N1b Metastasi omolaterali, contro laterali o bilaterali ai linfonodi cervicali o mediastinici superiori Mx Metastasi a distanza non valutabili

M0 Assenza di metastasi a distanza M1 Presenza di metastasi a distanza

DeGroot Classification

Classe I Malattia limitata alla tiroide Classe II Coinvolgimento linfonodale Classe III Invasione extratiroidea Classe IV Metastasi a distanza

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La scelta del tipo di trattamento chirurgico nel CDT in età pediatrica rimane ancora oggi controversa, specialmente tra l’approccio conservativo e quello radicale.

Nei primi anni 90 i chirurghi prediligevano un approccio conservativo con elevata percentuale di lobectomie e di tiroidectomie subtotali, mentre la linfoadenectomia veniva riservata solo quando pre-operatoriamente veniva evidenziato un coinvolgimento linfonodale mediante studio ecografico con FNAB.

Dal 1998 la strategia terapeutica segue un approccio più aggressivo: le tiroidectomie totali e le linfoadenectomie sono sempre più frequenti mentre la chirurgia conservativa è riservata solo a casi di noduli solitari intratiroidei senza evidenza di metastasi [8-63-64].

Gli autori a favore di una chirurgia radicale ritengono che la tiroidectomia totale consente [65-66-67]:

- l’eliminazione di tutto il tessuto tiroideo sede della neoplasia e di eventuali foci multicentrici e quindi della possibilità di recidiva (soprattutto nei tumori radio indotti);

- la tiroidectomia totale associata a linfoadenectomia comporta una diminuzione dell’incidenza di ricadute regionali;

- la possibilità di individuare attraverso la scintigrafia corporea con 131 iodio la presenza di metastasi a distanza;

- la possibilità di usare la tireoglobulina come indicatore di malattia; - la possibilità di usare il radioiodio in maniera efficace / terapeutica; - un secondo intervento chirurgico inoltre è associato ad elevata morbidità.

Coloro che invece sono a favore di un trattamento più conservativo sostengono che: - la tiroidectomia totale non riduce la mortalità complessiva;

- la tiroidectomia totale aumenta il rischio di complicanze postchirurgiche: 1 Lesioni delle paratiroidi → ipo-paratiroidismo (transitorio o definitivo) 2 Lesioni del nervo laringeo ricorrente → paralisi cordale (mono o bilaterale)

Queste complicanze possono creare difficoltà importanti e, trattandosi di bambini, non devono essere sottovalutate.

L'ipocalcemia rende questi giovani pazienti dipendenti da una somministrazione quotidiana di calcio e vitamina D per il resto della vita ed inoltre aumenta il rischio di sviluppare crisi tetaniche durante ogni intensa attività fisica condizionando pertanto la loro vita.

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Questa complicanza è oltretutto più frequente nel bambino rispetto all’adulto, per una maggiore fragilità all'insulto ischemico delle paratiroidi nei giovani rispetto agli adulti; dati recenti riportano una incidenza di ipocalcemia post-chirurgica di circa il 12% [68].

La lesione dei nervi laringei ricorrenti invece può causare, se monolaterale, la fissità della corda vocale provocando disfonia con possibile riduzione dello spazio respiratorio, mentre quando è bilaterale induce la paralisi di entrambe le corde vocali riducendo così lo spazio respiratorio da determinare una insufficienza respiratoria acuta che può richiedere una tracheotomia d'urgenza [4-8-18-19-64].

3.2 Terapia soppressiva

Una volta eseguita la chirurgia il passo successivo è l’instaurazione di una terapia con L-tiroxina sintetica (L-T4). Questa terapia a dosi soppressive (2.5 mg/kg fino a 5 anni poi 2.2 mg/kg) riduce il rischio di crescita o la proliferazione tumorale indotta dal TSH [19-69].

La terapia con L-Tiroxina a dosi oppressive quando effettuata a lungo termine può presentare alcuni effetti collaterali quali patologie cardiovascolari, prima fra tutte l’Ipertrofia ventricolare sinistra (IVS) e l’osteoporosi; tuttavia gli studi effettuati fino ad oggi hanno preso in esame solo una popolazione adulta.

3.3 Terapia Medico-Nucleare

I pazienti con CDT trattati con tiroidectomia totale vengono successivamente sottoposti a terapia medico-nucleare con 131Iodio [18-19-20] con lo scopo di siderare il residuo tiroideo e

distruggere le eventuali metastasi presenti.

Il trattamento medico-nucleare viene eseguito circa 6 settimane dopo la tiroidectomia totale in condizioni di ipotiroidismo indotto dalla sospensione della terapia ormonale soppressiva con L-T4 o attraverso una stimolazione mediante somministrazione di TSH esogeno (TSH-ricombinante).

Nelle settimane precedenti il ricovero i pazienti devono evitare l'assunzione di alcuni alimenti ad elevato contenuto di iodio e la somministrazione di prodotti iodati. Ciò consente di incrementare la iodocaptazione da parte del tessuto tiroideo, normale o neoplastico, e di raggiungere dosi al bersaglio anche doppie, a parità di attività somministrate.

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L’attività somministrata viene decisa empiricamente (attività “fissa” di 30mCi o attività adeguata al peso corporeo (1 mCi/kg nei residui e 2 mCi/Kg nelle metastasi) oppure in seguito ad uno studio dosimetrico (100 Gy/residuo, 120/Gy metastasi).

Lo studio dosimetrico è uno strumento che consente una valutazione individuale di esposizione alle radiazioni con la logica di ottimizzare il rapporto rischi/benefici della terapia permettendo di somministare una adeguata dose di radiazioni sufficiente a distruggere sia residui tiroidei sia i focolai tumorali, non superando la dose sicura al corpo intero, in particolare al midollo osseo e ai polmoni. Questo approccio è di interesse particolare nei pazienti pediatrici che tendono ad avere tumori ad alta radiosensibilità, dimensioni e diffusione ed elevato rischio di sequele radiocorrelate a lungo termine[68].

Il razionale dell’approccio dosimetrico personalizzato fonda le proprie basi con riferimento a due principali metodi descritti in letteratura e incentrati sul concetto di dose sicura massima somministrabile tale cioè da non determinare grave inibizione funzionale del midollo emopoietico o fibrosi polmonare (Benua e succ.) e di dose prescritta al tumore (Maxon e succ)[70].

La dose ottimale da impartire al tessuto tumorale è attorno a 80-120 Gy per le metastasi linfonodali e per il tessuto neoplastico (tessuti molli)[70].

La possibilità di misurare il volume del residuo tiroideo è discriminante sulla fattibilità del calcolo dosimetrico al bersaglio, mentre il grado di approssimazione di tale misura si riflette inevitabilmente nell’accuratezza del calcolo eseguito.

Lo studio dosimetrico prevede la somministrazione di una dose traccia di 131 Iodio (fino a 9.25 MBq, 0,25 mCi), la misura della captazione ad intervalli di tempo stabiliti e l’acquisizione di immagini scintigrafiche della regione cervicale. Il trattamento deve poi essere effettuato nel più breve tempo possibile (48-72h), per ridurre l’effetto dello stunning. Circa 5-6 giorni dopo il trattamento viene eseguita una scintigrafia total-body per rilevare residui chirurgici e/o metastasi [70].

Una volta decisa l’attività il farmaco può essere somministrato per os in capsule pre-tarate od in soluzione liquida. Nei casi di pazienti non collaboranti può essere usata la somministrazione endovenosa.

Il trattamento, qualora necessario, può essere ripetuto dopo circa 6 mesi.

Questa terapia, per quanto abbastanza sicura, non è scevra da effetti collaterali [71]. Le complicanze più frequenti sono la riduzione della salivazione e l’alterazione del gusto (circa il 30%).

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La scialoadenite è abbastanza comune, ma di solito reversibile ed è più frequente nei pazienti che non hanno metastasi e/o residuo iodocaptanti, situazione che rende le ghiandole salivari più avide di radioiodio.

Abbastanza frequente è la comparsa di nausea durante il primo giorno dopo il trattamento. Il più serio effetto collaterale è considerata la leucemia radio-indotta che si verifica nell’ 1% circa dei bambini.

I bambini con metastasi polmonari di tipo diffuso con elevato uptake del radioiodio possono andare incontro a fibrosi polmonare nell’ 1% dei casi.

Questi ultimi due effetti collaterali sono dose-dipendenti e compaiono di solito in quei pazienti sottoposti a multipli trattamenti.

Nei ragazzi e nei giovani adulti la terapia con radioiodio può causare una transitoria riduzione della spermatogenesi, che può diventare permanente in seguito ad accumulo di elevate dosi, mentre nelle donne in seguito ad elevate dosi si può avere infertilità o menopausa precoce [72]

3.4 Follow-up

Il follow-up dei pazienti trattati per un carcinoma tiroideo differenziato può variare in rapporto alla diversa presentazione clinica della malattia, alla diversa aggressività del tumore e al rischio di recidiva. In ogni caso l’obiettivo del follow-up è quello di individuare precocemente la comparsa o la persistenza della malattia.

Il follow-up dei pazienti con CDT viene eseguito ogni 3 mesi durante il primo anno dopo la chirurgia e ogni 6 mesi dal secondo anno in poi e si basa prevalentemente sul dosaggio della tireoglobulina (Tg) sierica, (tale marcatore infatti correla direttamente alla quantità di cellule neoplastiche maligne tiroidee ancora presenti), sull’esame clinico corredato dall’ecografia cervicale e sulla scintigrafia corporea con 131I effettuata dopo trattamento medico-nucleare

(131I WBS post-terapeutico) o dopo somministrazione di attività diagnostica di radioiodio (131I

WBS diagnostico) in corso di sospensione di LT4 o di stimolo con TSH umano ricombinante (rTSH).

L’indagine diagnostica “fondamentale” nel controllo del paziente dopo terapia chirurgica e radiometabolica è la determinazione della tireoglobulina circolante (Tg) unitamente al dosaggio degli anticorpi anti-Tg, del TSH e della FT4 che vanno eseguiti periodiocamente dopo l’inizio della terapia soppressiva con Levotiroxina.

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La Tg è una glicoproteina prodotta dalle cellule follicolari tiroidee che agisce come pro-ormone nella sintesi della Tiroxina (T4) e della Triiodiotironina (T3) all’interno della tiroide ed essendo prodotta “esclusivamente” dalla cellula tiroidea sia normale che neoplastica (purché non indifferenziata), la sua presenza è sempre indice della persistenza di cellule tiroidee. Dopo tiroidectomia totale e ablazione dei residui tiroidei, non rimanendo teoricamente tessuto capace di produrla, si dovrebbe avere azzeramento del suo valore; qualora questo non si verifichi si deve ricercare la presenza di tessuto tiroideo normale o “metastasi”. La Tg rappresenta pertanto il marker più sensibile e specifico per questo tumore, infatti elevati livelli sierici di Tg sono stati riscontrati nei pazienti con presenza di recidiva di malattia o di metastasi [73].

Tuttavia il riscontro di valori indosabili di Tg in corso di terapia soppressiva non danno certezza di assenza di malattia in quanto nel 10% circa dei casi con recidiva i valori di Tg possono essere non dosabili, bisogna quindi aumentare la sensibilità dell’indagine e ciò si può ottenere controllando la Tg sottostimolo (TSH elevato >35 mU/L). Questa condizione si ottiene o con adeguata sospensione della terapia (Tg-off) o somministrando TSH ottenuto con tecnologia ricombinante (r-TSH).

Oltre alla Tg è importante dosare anche gli anticorpi Antitireoglobulina, la loro presenza infatti può interferire con il dosaggio della tireoglobulina e portare perciò a falsi negativi. Infatti la specificità e la sensibilità della Tg sierica è del 55-78% in presenza di autoanticorpi e del 76-78% in loro assenza [74].

Pertanto in presenza di titolo anticorpale dosabile devono essere considerati sospetti anche quei pazienti che hanno la Tg indosabile. La sensibilità della Tg nel follow-up è pari al 93.9% e la specificità intorno al 45% [75]

Qualsiasi valora di Tg dosabile è ritenuto sospetto per recidiva di malattia ed il valore di cut-off è pari a 2 ng/mL [74-75].

I pazienti che sono stati trattati con chirurgia conservativa la Tg viene cmq dosata e come cut-off viene preso 2 ng/mL.

L’esame ultrasonografico del collo è ormai effettuato di routine in tutti i pazienti in follow-up e permette di individuare linfonodi patologici di dimensioni molto piccole (diametro 5 mm o meno) anche in presenza di valori indosabili di Tg, con un aumento della sensibilità del 96-100%. Occorre sottolineare che l’ecografia del collo rappresenta l’indagine diagnostica più importante nei pazienti con elevati valori di anticorpi anti-Tg, che rendono inaffidabile il dosaggio della tireoglobulina.

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Il 131I WBS diagnostico viene invece eseguito circa 6-8 mesi dopo la terapia radio metabolica,

si basa sulla somministrazione di una dose minima di 131Iodio (5 mCi adulti, 0.2 mCi/Kg bambini) sotto r-TSH stimolazione in terapia soppressiva con L-T4 o in condizioni di ipotirodismo in quei centri laddove l’r-TSH non è disponibile.

4 SCOPO DELLO STUDIO

Obiettivo del nostro studio è quello di confrontando l’efficacia e la risposta a lungo termine del trattamento medico-nucleare con radioiodio in due gruppi di pazienti in età pediatrica affetti rispettivamente da CDT non radioindotto e da CDT direttamente radioindotto.

5 MATERIALI E METODI 5.1 Pazienti

Il nostro studio retrospettivo si basa sul confronto tra due gruppi di pazienti affetti da CDT in età pediatrica, un gruppo con tumore non radioindotto e l’altro con tumore radioindotto, trattati presso il Centro Regionale di Medicina Nucleare dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana AOUP.

Il Gruppo 1 è quello dei pazienti affetti da CDT non radioindotto: sono stati valutati 26 bambini [rapporto F/M: 18/8, età media 14,1 anni (range 4-17) sottoposti a tiroidectomia totale (23 pazienti in unico trattamento chirurgico e 3 pazienti in due tempi chirurgici). 10/26 pazienti sono stati sottoposti a linfoadenectomia cervicale concomitante con la tiroidectomia totale e 1/26 successivamente alla tiroidectomia totale in due tempi.

Il Gruppo 2 è quello dei pazienti affetti da CDT radioindotto: sono stati valutati 21 bambini [rapporto F/M: 14/7, età media 9.2 anni (range 4-14)] provenienti dalla stessa area della regione di Gomel (Bielorussia) ed esposti a radiazioni nucleari conseguenti al disastro di Chernobyl verificatosi nel 1986. Questi pazienti sono stati rivalutati presso l’AOUP nel 1994 dopo essere stati sottoposti ad un primo trattamento chirurgico (19/21 pazienti con emitiroidectomia e 2 pazienti con tiroidectomia totale) in Unione Sovietica. Tutti e 19 i pazienti con persistenza di significativo residuo nel letto tiroideo sono stati sottoposti a completamento di tiroidectomia presso l’AOUP in previsione di trattamento medico-nucleare

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con radioiodio a scopo ablativo ed in alcuni è stata anche effettuata exeresi linfonodale cervicale per sospette metastasi a tale livello .

Nei due pazienti già trattati con tiroidectomia totale in altra sede, è stata effettuata una linfoadenectomia cervicale per sospetta malattia metastatica a tale livello.

In tabella 1 sono riportate le principali caratteristiche dei due gruppi di pazienti sottoposti allo studio:

Tab 1

GROUP 1 GROUP 2

Age (year yr) mean±sd

Range Women /Men

Histology of primary DTC Multifocality

Stage at initial diagnosis (DeGroot) I II III Prior surgery: Total Thyroidectomy 1 times 2times Hemithyroidectomy: Reoperation 14, 1 4-17 18/8 Papillary 11 (42%) 8 (31%) 5 (19%) 13 (50%) 26/26 23/26 3/26 9,2 4-14 14/7 Papillary 10 (48%) 6 (28,5%) 13 (62%) 2 (9,5%) 2/21 19/21 19/21 5.2 Metodi

La valutazione retrospettiva dei casi ha preso in considerazione le differenti caratteristiche cliniche di tale neoplasia nei due diversi gruppi cercando, in particolare la prevalenza in un sesso o nell’altro, la fascia di età più colpita, il tipo di approccio chirurgico, le complicanze post-chirurgiche, l’istologia, lo stadio iniziale, il coinvolgimento linfonodale o la presenza di metastasi a distanza, la terapia con radioiodio, il follow-up.

Il trattamento iniziale si è basato sulla chirurgia, la terapia medico-nucleare con radioiodio e la terapia sostitutiva e soppressiva con L-Tiroxina.

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Tutti i pazienti sono stati trattati con tiroidectomia totale (in 1 o 2 tempi) e con dissezione linfonodale cervicale qualora presente localizzazione di malattia in tale sede.

Per la stadiazione è stata usata la classificazione di DeGroot.

In tutti i pazienti (tranne un bambino del Gruppo 2 che ha rifiutato per motivi personali) è stata successivamente effettuata (generalmente dopo 4-6 settimane dall’intervento chirurgico di tiroidectomia totale o completamento) la terapia con radioiodio per l’ablazione del residuo post-chirurgico e la ricerca ed il trattamento di lesioni secondarie loco regionali e/o a distanza. La preparazione al trattamento medico-nucleare è stata effettuata in 36 pazienti (10 del gruppo 1 e 20 del gruppo 2) dopo sospensione della terapia sostitutiva e soppressiva con l-tiroxina per 4 settimane, mentre in 16 pazienti ( tutti del gruppo 1) dopo stimolazione con TSH umano ricombinante (rTSH), al fine di ottenere elevati livelli ematici di TSH.

In precedenza i bambini erano stati sottoposti ad un regime alimentare a basso contenuto iodico per 2 settimane prima del trattamento per la riduzione dello iodo urinario < a 50mcg/24 ore.

Nel Gruppo 1, 21/26 pazienti hanno ricevuto un’attività adeguata al peso corporeo (1 mCi/kg nei residui e 2 mCi/Kg nelle metastasi), 5/26 invece sono stati sottoposti a studio dosimetrico (100 Gy/residuo, 120/Gy metastasi).

Uno studio dosimetrico personalizzato per l’ablazione del residuo tiroideo post-chirurgico è stato effettuato in 5 pz del gruppo 1; a questi pazienti è stata somministrata una bassa attività di radioiodio (1.85 MBq) rilevando eventuali captazioni a livello del letto tiroideo alla 6 ed alla 24 ora mediante immagini planari in sede cervico-toracica e con tecnica pinhole in sede cervicale anteriore.

Nel Gruppo 2 tutti i bambini (tranne uno) hanno ricevuto un’attività di 131Iodio variabile tra

2 e 7 MBq in relazione al peso corporeo.

Circa 5-10 giorni dopo la terapia è stato effettuato la scintigrafia totale corporea (WBS). Le immagini sono state ottenute utilizzando gamma-camere dedicate con collimatori per alte energie e caratteristiche tecnologiche considerate “stato dell’arte” nel periodo in cui è stato effettuato lo studio (gamma-camera tomografica (SPET) a singola testa nel gruppo 2 e apparecchiatura ibrida SPET/TC nel gruppo 1). Sono state acquisite immagini total-body anteriori e posteriori con un tempo di scansione di circa 20 min a proiezione, planari sul distretto cervico-toracico e scansioni SPET qualora vi fossero reperti non definibili con le sole immagini planari.

Il follow-up di questi pazienti è stato effettuato mediante la determinazione periodica di TSH, FT4, FT3, AbTg, Tg, ecografia del collo, test di stimolo della Tg con rTSH e 131I WBS

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diagnostico in corso di sospensione di l-tiroxina o di stimolo con rTSH. Nei pazienti nei quali è stata riscontrata evidenza loco-regionale di malattia è stato effettuato un trattamento chirurgico seguito o meno da terapia con radioiodio a scopo adiuvante. In caso di localizzazioni secondarie di malattia iodofissanti la terapia con radioiodio è stata successivamente ripetuta una o più volte ad intervalli di tempo > 6 mesi sulla base dell’evoluzione del quadro clinico, bioumorale (livelli sierici della Tg e degli AbTg) e strumentale (131IWBS, ecografia cervicale, TC/RM).

6 RISULTATI

La nostra analisi ha mostrato una prevalenza del tumore nel sesso femminile in entrambi i gruppi analizzati (18:8 vs 14:7), mentre per quanto riguarda l’età media alla diagnosi questa si è mostrata significativamente più bassa nel Gruppo 2 (9.2 anni) rispetto al Gruppo 1 (14,4 anni).

Tutti i pazienti sono stati trattati con tiroidectomia totale, in uno o più tempi, mentre uno svuotamento linfonodale cervicale (compatimento centrale e/o laterale) è stata effettuata in 12/26 pazienti (46% ) nel gruppo 1 e 11/21 (52%) nel gruppo 2.

L’esame istologico dopo la chirurgia ha mostrato che in entrambi i gruppi tutte le neoplasie erano di tipo papillare con vario grado di differenziazione .

La stadiazione con la classificazione De Groot ha mostrato una maggiore aggressività locale (estensione nei tessuti molli peritiroidei) nel gruppo 1 dove il 50% dei pazienti è in classe III contro il 9% del gruppo 2 (Tab 2). La multifocalità invece è presente nel 48% dei tumori del gruppo 1 e nel 42% dei tumori del gruppo 2.

Tab 2 Classificazione DeGroot

DEGROOT Gruppo 1 Gruppo 2

Classe 1 8 (31%) 6 (28,5%)

Classe2 5 (19%) 13 (62%)

Classe3 13 (50%) 2 (9,5%)

Classe 4 0 0

Le complicanze post-chirurgiche sono risultate pari all’8% nel gruppo 1 e al 28,5% nel gruppo 2 considerando che tutti i pazienti di quest’ultimo gruppo sono stati operati almeno

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due volte. La più frequente è stata l’ipo-paratiroidismo permanente ( 2 casi nel gruppo 1; 3 casi nel gruppo 2), mentre la paralisi del nervo ricorrente si è verificata in 3 pazienti, tutti del gruppo 2.

Tutti i pazienti (tranne uno del gruppo 2) sono stati successivamente sottoposti a trattamento medico-nucleare con 131I a scopo ablativo e per il trattamento delle metastasi.

Il 131IWBS post terapia ha documentato la presenza di residuo tiroideo iodofissante in tutti i

pazienti trattati di entrambi i gruppi. Sono state inoltre rilevate localizzazioni iodofissanti di malattia a sede linfonodale cervicale in 3/26 pazienti del gruppo 1 e 12/20 pazienti del gruppo 2, a sede polmonare diffusa in 1/26 del gruppo 1 e 8/20 del gruppo 2 e ossea solo in un paziente del gruppo 2 ( vedi Fig 1 e 2).

In tabella 3 è riportata la ristadiazione post 131IWBS dei due gruppi di pazienti in base alla

classificazione DeGroot. Nel Gruppo 1 il 131IWBS post terapia ha modificato la stadiazione in

1 paziente (passato dalla classe III alla IV per la presenza di metastasi polmonari, mentre del Gruppo 2 nove pazienti sono stati riclassificati dalla classe I (2) e II (7) alla classe IV (metastasi a distanza).

Tab. 3 Classificazione DeGroot post-WBS

DEGROOT Gruppo 1 Gruppo 2

Classe 1 8 (31%) 5 (25%)

Classe2 5 (19%) 5(25%)

Classe3 12 (46%) 1(5%)

Classe 4 1 (4%) 9 (45%)

Per quanto riguarda l’ablazione radiometabolica del residuo tiroideo post-chirurgico, questa è stata ottenuta in tutti i pazienti di entrambi i gruppi con al massimo due trattamenti.

L’efficacia curativa del trattamento con radioiodio (remissione di malattia riscontrata con negativizzazione del WBS diagnostico con radioiodio e della Tg sierica in corso di stimolo di rTSH o ipotiroidismo e negatività delle indagini radiologiche), valutata dopo un periodo di follow-up di circa 6 anni nel Gruppo 1 e di circa 10 anni nel Gruppo 2, è stata documentata in 17/26 (65%) pazienti del gruppo 1. In 13/17 (76%) pazienti di questo gruppo la remissione di malattia si è verificata dopo un singolo trattamento mentre nel 24% dopo due trattamenti. Nei pazienti del gruppo 2 la remissione di malattia è stata ottenuta in tutti i pazienti. In 6/20 (30%) pazienti di questo gruppo la remissione di malattia si è verificata dopo un singolo trattamento mentre nei restanti 14 (70%) dopo due o più trattamenti (range 2-4).

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Nove pazienti (35%) del gruppo 1 presentano ancora persistenza di malattia anche se stabile (evidenza di sola positività della Tg basale in 2 pazienti, della positività della Tg basale + positività del 131IWBS sotto stimolo di ipotiroidismo in 6 pazienti e della positività della Tg

basale + negatività del 131IWBS sotto stimolo di ipotiroidismo in un paziente con documentata

malattia linfonodale cervicale da indagini radiologiche) nonostante ripetuti trattamenti con radioiodio ad alte dosi (range 2-5).

7 DISCUSSIONE

Il CDT in età pediatrica è un tumore raro, che presenta però notevole aggressività rispetto a quello degli adulti, maggiore estensione extratiroidea, maggior coinvolgimento linfonodale, maggior tendenza alla recidiva loco-regionale e a distanza. Tuttavia nonostante la potenziale maggior aggressività, la prognosi risulta favorevole e questa discrepanza non è ad oggi ancora stata chiarita.

L’eziologia di questa neoplasia non è ad oggi del tutto conosciuta, se si esclude il ruolo svolto dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti alla quale va associata la carenza iodica, elemento che sembra aumentarne l’incidenza, ridurne la latenza ed influenzare quindi la morfologia. Le radiazioni ionizzanti svolgono un ruolo fondamentale nello sviluppo del CDT poiché la ghiandola tiroide in età pediatrica è stata riconosciuta come uno degli organi più sensibili a tale insulto.

I dati disponibili in letteratura non del tutto concordi nel considerare maggiormente aggressivo la forma di CDT radio indotto rispetto a quello sporadico, non mostrando significative differenze in termini di manifestazioni cliniche e risposta alla terapia con radioiodio, mentre emergono alcune differenze principali circa il tempo di insorgenza più breve e l’istotipo meno differenziato nelle forme radioindotte. Al fine di spiegare queste differenze sono state condotti numerosi studi che hanno evidenziato un ruolo fondamentale dell’apporto iodico. In uno studio recente Williams nel 2008 [15] ha dimostrato come la carenza iodica può avere un peso specifico importante nella induzione neoplastica dei tumori tiroidei, potendone infatti aumentare l’incidenza, ridurre la latenza ed influenzare la morfologia e la sua aggressività.

In letteratura non emerge una sostanziale differenza tra le due forme di CDT in termini di aggressività loco-regionale e a distanza.

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Il nostro studio conferma in parte quanto riportato in letteratura.

L’interessamento linfonodale era presente nell’19% nel gruppo 1 e nel 25% nel gruppo 2., mentre dai dati della letteratura emergono percentuali di interessamento linfonodale variabili tra il 25% e l’86% [8,16,18,20,63,64].

Infatti gli studi più recenti di Mehul V., Raval et al. (2010) riportano un’incidenza di interessamento linfonodale del 56% in una casistica di 8013 pazienti [8] e di Ian D. Hay et al. (2010) del 78% su 215 casi [4] mentre studi più datati (2003, 1997) riportano una incidenza del 73% in 56 pazienti [76] e del 74% in 329 casi [77].

Un altro indice di aggressività, quale la multifocalità, è stato riscontrato nel 48% dei pazienti del gruppo 1 e nel 42% di quelli del gruppo 2, valori in linea con i dati della letteratura che mostrano una percentuale che va dal 29% [4] all’89% [78].

L’estensione extraghiandolare in letteratura mostra percentuali varabili tra il 20% e il 60% secondo Lazar, Lebenthal et al. [19] e il 12,5% nello studio di Wada, Sugino et al.[8]. Nel nostro studio l’invasività locale ha presentato percentuali rispettivamente del 46% nel gruppo 1 e del 5% nel gruppo 2.

Relativamente alla presenza di metastasi a distanza, in particolare a livello polmonare, nel nostro studio si è verificata nel 5% nel Gruppo 1 e nel 45% nel gruppo II. In letteratura tale percentuale varia dal 2% di Raval et al. [64] al 23,8% di Okada et al [79].

La guarigione da malattia è avvenuta nel 65% dei pazienti del gruppo 1 (76% con un solo trattamento, il 24% con due trattamenti) e nel 100% di quelli del Gruppo 2 (il 30% dopo un trattamento ed il 70% dopo due o più trattamenti).

9/26 pazienti (35%) del gruppo 1 presentano ancora persistenza di malattia, stabile, nonostante ripetuti trattamenti (range 2-5) con radioiodio ad alte dosi.

La risposta al trattamento radiometabolico in termini di ablazione del residuo non presenta differenze tra le due forme, mentre si hanno diversità nell’efficacia curativa. Nel gruppo 1 si è avuta una guarigione completa dopo un singolo trattamento nel 76% dei casi, mentre nel gruppo 2 soltanto nel 30% dei casi dopo una singola somministrazione, evidenziano una risposta più immediata nelle forma non radio indotta che presenta d’altra parte una maggiore radioresistenza se confrontata con il Gruppo 2 dove i livelli di guarigione completa, ottenuti dopo trattamenti ripetuti, hanno raggiunto il 100%.

Questi risultato ci invitano a dire che nelle forme radio indotte è necessario utilizzare la terapia medico-nucleare con radioiodio considerata l’ottima risposta. Nelle forme non radio indotte, risulta necessario valutare ogni singolo caso poiché si è constata la mancata

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guarigione nonostante un numero elevato di trattamenti medico-nucleari in circa il 35% dei pazienti che non modificano il loro stadio.

Il ruolo fondamentale svolto dalla terapia medico nucleare nella cura di questi pazienti sposta l’attenzione su un argomento ad oggi ancora molto dibattuto e cioè l’approccio chirurgico. La terapia medico nucleare infatti può essere effettuata solo dopo una tiroidectomia totale.

L’approccio chirurgico più adatto ad oggi non è ancora stato definito (tiroidectomia totale e dissezione linfonodale versus tiroidectomia parziale) e questo perchè esistono pochi studi prospettici controllati riguardanti la chirurgia del CDT in età pediatrica [4,76].

Gli autori a favore di una chirurgia radicale ritengono che la Tiroidectomia totale (talvolta associata a linfoadenectomia cervicale) sia la modalità più adatta poiché permette l’eliminazione di tutto il tessuto tiroideo sede della neoplasia e di eventuali foci multicentrici e quindi della possibilità di recidiva, la possibilità di individuare attraverso la scintigrafia corporea con 131 iodio la presenza di metastasi a distanza che non posssono essere identificate con altre metodiche diagnostiche e la possibilità di usare la tireoglobulina come indicatore di malattia. Inoltre ritengono che un secondo intervento nella stessa sede aumenti il rischio di morbilità.

Coloro che invece sono a favore di un trattamento più conservativo sostengono che la tiroidectomia totale non riduce la mortalità complessiva e che aumenta l’incidenza di complicanze post-chirurgiche quali ipo-paratiroidismo permanente ed il rischio di lesioni del nervo laringeo ricorrente

Dai nostri dati emerge un vantaggio della tiroidectomia totale associata o meno a linfoadenectomia cervicale. Questa scelta è argomentata dal fatto che con questo approccio chirurgico è stato possibile eseguire la terapia medico nucleare che ha consentito:

- la cura nel 65% dei pazienti del gruppo 1 e nel 100% dei pazienti del gruppo 2;

- l’individuazione di metastasi polmonari fino ad allora rimaste occulte (in particolare nel gruppo 2 dove in 5/18 pts l’Rx risultava negativo per metastasi polmonari presenti invece nello studio WBS post-terapia). Questo evento ha inoltre comportato una ristadiazione dei pazienti stessi dimostrando, in accordo con i dati della letteratura, la maggior aggressività a distanza del tumore radio indotto rispetto a quello non radio indotto;

-la possibilità di documentare la persistenza di malattia nel 35% dei pazienti attraverso il dosaggio della tireoglobulina.

Inoltre le complicanze post-chirurgiche, argomento usato a favore della chirurgia conservativa, si sono verificate solamente nell’8% dei pazienti del gruppo 1 sottoposti a

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tiroidectomia totale contro il 28% dei pazienti del gruppo 2 che avevano subito più di un intervento.

Il nostro lavoro dimostra perciò il ruolo chiave della terapia medico-nucleare nella cura del CDT nei pazienti pediatrici, in particolar modo in quello radioindotto.

Ad oggi restano ancora da consolidare i dati relativi alla “giusta” attività da somministrare nei pazienti pediatrici. In questi pazienti è indicata l’esecuzione di uno studio dosimetrico e la scelta di una attività personalizzata al fine di ridurre al minimo la dose.

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Fig 1 WBS dopo30 mCi di 131I: residuo post-chirurgico

Fig 2: WBS post- 80 Mci Diffusa iodofissazione polmonare bilaterale e

Figura

Tab. 3 Classificazione DeGroot post-WBS

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