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L'utilizzo della cannabis nella terapia del dolore: risultati, analisi e sviluppo del progetto regionale ligure

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Scuola di specializzazione in Farmacia

Ospedaliera

L’utilizzo della Cannabis nella terapia del

dolore: raccolta, sviluppo, analisi dei risultati

del progetto regionale Ligure

Relatore: Maria Cristina Breschi Relatore:Rosanna Carniglia

Candidato: Francesca Gallelli

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1. Introduzione : il dolore

1.2 Fisiopatologia del dolore

2. Cannabis Sativa

3. Il sistema endocannabinoide

3.1. Endocannabinoidi

3.2. Cannabinoidi Sintetici

3.3. Fitocannabinoidi

3.4. Terpeni

3.5. I recettori

4. Farmacocinetica

5. Usi

6. Normative di riferimento

7. Obiettivi e illustrazione del progetto

8. Pazienti e metodi

9. Risultati preliminari

10. Conclusioni e prospettive future

11. Biografia

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1. INTRODUZIONE

La IASP l’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (International Association for the Study of Pain - 1986) definisce il dolore come “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno. E’ un esperienza individuale e soggettiva, a cui convergono componenti puramente sensoriali (nocicezione) relative al trasferimento dello stimolo doloroso dalla periferia alle strutture centrali, e componenti esperenziali e affettive, che modulano in maniera importante quanto percepito".1,2,3

Tale definizione sottolinea la natura sia fisica che emotiva del dolore.

Il dolore è un fenomeno multidimensionale con componenti sensoriali, fisiologiche, cognitive, affettive, comportamentali e spirituali. Le emozioni (componente affettiva), le risposte comportamentali al dolore (componente comportamentale), le credenze, le attitudini spirituali e culturali al dolore e il controllo del dolore (componente cognitiva) alterano la modalità in cui l’esperienza dolorosa è vissuta (componente sensoriale) modificando la trasmissione dello stimolo doloroso (spiacevole) al cervello (componente fisiologica).

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1.2. FIOPATOLOGIA DEL DOLORE

Classificazione fisiopatologica

Vi sono due principali tipi di dolore: nocicettivo e neuropatico. La distinzione clinica tra i due è utile per il diverso approccio terapeutico.

Il dolore nocicettivo insorge quando il danno tissutale attiva specifici recettori del dolore chiamati nocicettori, che sono sensibili allo stimolo doloroso, cioè della trasmissione degli impulsi (trasmissione di dolore) al sistema nervoso centrale. I nocicettori possono rispondere a calore, freddo, vibrazione, stimolo tensivo e sostanze chimiche rilasciate dai tessuti in risposta a privazione di ossigeno, distruzione o infiammazione dei tessuti. Questo tipo di dolore si suddivide in somatico e viscerale, a seconda della localizzazione dei nocicettori attivati.

• Il dolore somatico, che decorre dai nervi somatici attraverso i gangli spinali, è causato dall’attivazione dei nocicettori sui tessuti superficiali (cute, mucosa di cavo orale, naso, uretra, ano, ecc) oppure profondi, come ossa, articolazioni, muscoli o tessuto connettivo. Ad esempio, tagli e stiramenti che causano distruzione di tessuto producono dolore somatico superficiale, mentre i crampi muscolari, dovuti a scarsità di ossigeno, producono un profondo dolore somatico.

• Il dolore viscerale, che decorre attraverso i gangli simpatici paravertebrali attraverso il ramo comunicante bianco per raggiungere il corpo neuronale sito nel ganglio spinale, è causato dall’attivazione dei nocicettori localizzati nei visceri (organi interni del corpo inclusi in una cavità, come gli organi toracici e addominali). Può verificarsi in seguito ad infezione, distensione da fluidi o gas, tensione o compressione, solitamente per tumori solidi.

Il dolore neuropatico è causato da danni strutturali e disfunzioni delle cellule nervose nel sistema nervoso periferico o centrale (SNC). Qualsiasi processo che

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causa danni alle strutture nervose, come quelli metabolico, traumatico, infettivo, ischemico, tossico o condizioni patologiche immuno-mediate . 4

Il dolore neuropatico può essere sia periferico (come diretta conseguenza di una lesione o di una patologia che colpisce il sistema nervoso periferico, il ganglio della radice dorsale o la radice dorsale) o centrale (come diretta conseguenza di una lesione o di una patologia dell’SNC). Tuttavia, non è sempre possibile una distinzione netta.

Il dolore neuropatico è associato a diversi tipi di disfunzione sensoriale, come definito nella Tabella (1.1.)4

Dolore misto: Il dolore neuropatico può coesistere insieme al dolore

nocicettivo. In alcune condizioni patologiche, i pazienti possono avere dolore misto che consiste in dolore somatico, viscerale e neuropatico insieme o separatamente in momenti diversi. I diversi meccanismi patofisiologici descritti sopra possono attivarsi insieme producendo un dolore misto. Esempi al riguardo sono rappresentati da danni tissutali e nervosi da trauma, ustioni (che coinvolgono la cute e le terminazioni nervose) e il cancro, che causa una compressione nervosa esterna tanto quanto danno ai nervi da infiltrazione.

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La distinzione clinica tra dolore nocicettivo e neuropatico è basata sull’origine anatomica dello stimolo, sia esso ben localizzato o diffuso, e sul carattere del dolore (acuto, sordo, o urente).

In alcune situazioni dolorose, i meccanismi patofisiologici del dolore non sono compresi a fondo e/o non possono essere dimostrati. Questo tipo di dolore è spesso erroneamente definito psicogenico. Benché sia noto che i fattori psicologici influenzino la percezione del dolore, il dolore puramente psicogenico è molto raro.

La classificazione del dolore basata sulla durata: viene comunemente definito acuto un dolore di durata inferiore a 30 giorni, e cronico un dolore superiore a tre mesi. Tuttavia, tali definizioni sono arbitrarie e non sono essenziali per decidere le strategie di trattamento.

I sintomi e le cause dei due tipi di dolore possono sovrapporsi e i fattori patofisiologici possono essere indipendenti dalla durata. La distinzione tra dolore acuto e cronico basata sulla durata può pertanto essere problematica. Il dolore acuto compare improvvisamente, è percepito subito dopo una lesione, è di intensità severa, legato ad esempio ad intervento chirurgico, trauma, o ad una patologia infettiva intercorrente. Insorge in seguito a lesione tissutale che stimola i nocicettori e generalmente scompare quando la lesione guarisce.

Il dolore cronico è continuo o ricorrente e persiste oltre il normale periodo atteso di guarigione3. Il dolore cronico può iniziare come dolore acuto e

persistere per lunghi periodi o ripresentarsi a causa della persistenza dello stimolo doloroso o dell’aggravamento ripetuto di una lesione o mantenersi in seguito alla stimolazione nocicettiva anche quanto la causa iniziale si è limitata. Può anche insorgere e persistere in assenza di patofisiologia identificabile o di patologia cronica grave. Il dolore cronico può influenzare negativamente tutti gli aspetti della vita quotidiana, come le attività fisiche, la frequenza

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scolastica/lavorativa, il sonno, le interazioni familiari e le relazioni sociali, e può provocare angoscia, ansia, depressione, insonnia, fatica o cambiamenti di umore, come irritabilità e comportamento adattivo negativo.

E’ rappresentato soprattutto dal dolore che accompagna malattie ad andamento cronico (reumatiche, ossee, oncologiche, metaboliche).E’ un dolore difficile da curare pertanto richiede un approccio globale e frequentemente interventi terapeutici multidisciplinari, gestiti con elevato livello di competenza e specializzazione.

Il dolore episodico o ricorrente può verificarsi in modo intermittente per un lungo periodo di tempo. Gli episodi dolorosi possono variare per intensità, qualità e frequenza nel tempo e sono pertanto imprevedibili. Questo tipo di dolore può essere indistinguibile dal dolore acuto ricorrente, ma può avere un impatto più grave sul benessere fisico e psicosociale del paziente. Gli esempi di questo tipo di dolore comprendono emicrania, dolore episodico per anemia a cellule falciformi e dolore addominale ricorrente. Il dolore persistente e quello ricorrente possono coesistere, specialmente in presenza di anemia a cellule falciformi.

Il dolore episodico intenso (“breakthrough pain”) è caratterizzato da un aumento temporaneo della severità del dolore al di sopra di un livello basale di dolore pre-esistente, ad esempio nel caso in cui il paziente stia assumendo farmaci contro il dolore e abbia un buon controllo dello stesso con un regime analgesico stabile e improvvisamente sviluppi una esacerbazione acuta del dolore. Si presenta solitamente in modo improvviso, con intensità severa e di breve durata. Un certo numero di episodi di dolore episodico intenso possono verificarsi quotidianamente. È una caratteristica nota del dolore oncologico, ma si verifica anche in condizioni dolorose non maligne.

Il dolore episodico intenso può verificarsi in modo inaspettato e indipendente da qualsiasi stimolo, ad esempio in assenza di un evento che lo precede o di un

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fattore ovvio precipitante. Il dolore incidente o il dolore dovuto a movimento ha un una causa identificabile. Il dolore può essere indotto da semplici movimenti, come la camminata, o da movimenti fisici che lo acuiscono, come sollevare un peso, tossire o urinare. Anche le procedure diagnostiche o terapeutiche possono causare un dolore incidente. Il dolore da fine dose si ha quando il livello ematico del farmaco scende al di sotto del livello analgesico minimo di efficacia verso la fine di un intervallo di dosaggio.

La classificazione eziologica non ha molta rilevanza ai fini del meccanismo e del trattamento del dolore, dal momento che la classificazione è comunemente basata sul tipo di malattia che lo provoca, maligna o non maligna.

Classificazione anatomica: Il dolore è spesso classificato in base alla localizzazione corporea (come testa, schiena o collo) o alla funzione anatomica del tessuto colpito (ad es. miofasciale, reumatico, scheletrico, neurologico e vascolare). Tuttavia, la localizzazione e la funzione indicano solo la dimensione fisica e non prendono in considerazione il meccanismo sottostante . Per questo motivo, benché la classificazione anatomica possa essere utile per diverse diagnosi, non offre un modello per il trattamento clinico del dolore.

Terapie convenzionali

L‟Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1996 ha proposto una scala di valutazione del dolore in prima istanza di tipo oncologico e successivamente adottata anche come linea-guida per il trattamento del dolore muscoloscheletrico. Questa scala consta di tre livelli:

 Dolore lieve (valutazione del dolore secondo scala visuo-analogica (VAS) da 1-4): è suggerito trattamento con FANS o paracetamolo ± adiuvanti;  Dolore di grado lieve-moderato (VAS 5-6): è suggerito trattamento con

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 Dolore grave o da moderato a grave (VAS 7-10): è suggerito trattamento con oppioidi forti (es morfina) ± FANS o paracetamolo ± adiuvanti (1) La scala fornisce una strategia per alleviare il dolore mediante l’utilizzo di farmaci con crescente potenza analgesica in base all’intensità del dolore riferita dal paziente, ad essi si possono aggiungere i farmaci adiuvanti che comprendono sostanze che possono migliorare l’analgesia o controllare gli effetti collaterali; possono essere utilizzati ad ogni step per migliorare la sintomatologia complessiva. La corretta valutazione del dolore è fondamentale per un trattamento efficace. 5

Naturalmente sono tutti farmaci con possibili effetti collaterali, talora gravi. I F.A.N.S. possono dare disturbi gastrici fino all'ulcera, specie se assunti per lunghi periodi come nel caso di dolori cronici. Gli oppioidi danno quasi sempre stitichezza anche grave, spesso nausea, torpore ed è sempre possibile, anche se rara, la depressione respiratoria.

La scelta terapeutica va sempre considerata in base all’eziopatogenesi del dolore.

Nuove strategie terapeutiche, basate sulle recenti scoperte dei recettori cannabinoidi, aprono le porte ad un approccio alternativo per la cura del dolore cronico.

Sempre più interesse mondiale acquisisce l’utilizzo della Cannabis sativa.

2. LA CANNABIS SATIVA

Negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha fornito una serie di informazioni sui possibili usi medici di alcuni componenti della cannabis per coadiuvare il trattamento di alcune patologie o ridurre fastidiosi sintomi correlati a varie malattie (nausea, vomito ecc.). Purtroppo gli studi scientifici in merito agli effetti analgesici della cannabis sugli umani sono disomogenei, con casistiche

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ridotte e importanti differenze riguardanti i dosaggi e le preparazioni : alcuni si riferiscono alla via inalatoria, altri a quella orale e endovenosa. 6

A fronte di questa disomogeneità delle sperimentazioni e della pratiche clinica, si assiste ad una loro sempre maggiore, espansione a livello mondiale, con conseguente dimostrazione dell’efficacia terapeutica dei cannabinoidi. A questo proposito, dalle pubblicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), risulta che i medicinali cannabinoidi trovano indicazione nel trattamento della nausea e del vomito in pazienti affetti da neoplasie ed AIDS, sottoposti a cure con farmaci antiblastici e antivirali7.

Altri usi terapeutici si stanno studiando in sperimentazioni cliniche sull’uomo e riguardano il trattamento dell’asma e del glaucoma, inoltre, la ricerca ne sta valutando l’attività antidepressiva, anticonvulsivante, antispasmodica, antitumorale e come stimolanti dell’appetito.

Per quanto riguarda l’utilizzo antalgico l’uso di cannabis terapeutica per il trattamento del dolore oncologico refrattario alle terapie con oppioidi è molto controverso anche se da alcune sperimentazioni scientifiche risulterebbe utile a ridurre i dosaggi di morfina e i suoi analoghi nei trattamenti cronici. La necessità di aumentare sistematicamente i dosaggi degli analgesici oppiacei può portare alla comparsa di effetti indesiderati, talvolta anche di grave entità, come il blocco intestinale, pertanto la contemporanea somministrazione degli oppiacei con i derivati della cannabis ridurrebbe la probabilità dell’instaurarsi di tali effetti indesiderati.8

Per quanto riguarda l’utilizzo a scopo antalgico ancora molto è da conoscere. Ricerche sperimentali hanno dimostrato che i cannabinoidi agiscono sulla trasmissione nervosa degli stimoli nocicettivi (via ascendente) e sulla via inibitoria di modulazione della trasmissione, sia a livello centrale che periferico. Questo filone di ricerca è importante perché gli stimoli dolorosi prolungati portano ad una serie di cambiamenti biochimici con alterazioni neuronali

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espresse clinicamente dalla distorsione della sensibilità e persistenza del dolore non controllati da altri analgesici, come per esempio la morfina . 9

Caratteristiche generali della cannabis sativa

Il sistema di Cronquist, per la classificazione delle Angiosperme (o Magnoliophyta), include la Cannabis sativa L. (Linnaeus), nome botanico della Canapa, nella famiglia delle Cannabacee (Cannabaceae o Cannabinaceae), appartenente all’ordine delle Urticali, rientrante nella sottoclasse Hamamelidae, facente parte della classe Magnoliopsida. 10

La Cannabis sativa, in normali condizioni di coltivazione, è una pianta annuale, cioè impiega un anno a compiere il proprio ciclo vitale.

Inoltre, salvo rari casi di ermafroditismo le piante di canapa sono dioiche, cioè nella stessa specie crescono piante con caratteristiche sessuali distinte, maschili o femminili. Le piante con caratteristiche maschili hanno solitamente un fusto più alto, (che raggiunge anche i 4 metri) e sottile rispetto a quelle che presentano caratteristiche femminili.

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I preparati psicoattivi come l'hashish e la marijuana sono costituiti dalla resina femminile essiccata (6-10% THC) e dalle infiorescenze femminili essiccate e sminuzzate (2-5% THC).

Ingrandimento del fiore femminile di Cannabis Sativa; ben evidenti sono i "cristalli" di resina

Nella pianta di cannabis i cannabinoidi sono presenti in forma chimicamente acida (acidi cannabinoidici), pertanto nell’inflorescenza fresca o essiccata “cruda” non ci sono i principi attivi THC e CDB, ma TCHA e CBDA. Quando viene applicato sufficiente calore (ma anche ossigeno e luce solare) gli acidi cannabinoidici vengono trasformati attraverso decarbossilazione nei relativi cannabinidi “neutri” THC e CBD. Anche i composti non decarbossilati possiedono un’attività terapeutica. Recenti studi hanno dimostrato che l’ingestione della cannabis cruda, si è rivelata efficace in alcuni casi poiché il THCA veniva convertito nell’organismo umano in THC o il CBD veniva convertito in THC.43

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3. IL SISTEMA ENDOCANNABINOIDE E LE SUE FUNZIONI

In base alla localizzazione dei recettori cannabinoidi nell’organismo, è stato ipotizzato che il sistema endocannabinoide sia coinvolto in un gran numero di processi fisiologici:

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Funzioni Descrizione delle risposte mediate dal sistema endocannabinoide

Funzioni cognitive superiori

Attenzione, memoria, apprendimento Emozioni

Capacità di prendere decisioni (decision making) e controllo del comportamento

Controllo motorio Controllo e coordinazione del movimento

Mantenimento della postura corporea e dell’equilibrio Percezione del dolore e

gratificazione

Sensibilità agli stimoli dolorosi Sensibilità agli stimoli piacevoli

Neuroprotezione Azione protettiva del SNC dalla sovrastimolazione o sovrainibizione esercitata da altri neurotrasmettitori

Sviluppo cerebrale Sviluppo neuronale

Controllo della plasticità sinaptica Funzioni immunitarie Attività immunomodulatoria

Infiammazione Funzioni sessuali e fertilità

Processi di maturazione degli spermatozoi Interazioni con la funzione ovarica

Effetti sulla libido

Gestazione Attecchimento dell’embrione

Meccanismi che regolano le prime fasi della gravidanza Equilibrio energetico Regolazione dell’assunzione di cibo

Modulazione dell’omeostasi metabolica Regolazione dell’appetito Modulazione della sensazione di sazietà

Sensibilità viscerale, nausea e vomito

Funzioni endocrine Modulazione della secrezione di ghiandole endocrine Funzioni cardiovascolari Risposta vascolare (azione vasodilatatoria e ipotensiva) Regolazione cellule

neoplastiche

Ruolo del sistema endocannabinoide nella regolazione dei processi di proliferazione cellulare alla base della crescita dei tumori

Funzioni in cui è coinvolto il sistema endocannabinoide in normali condizioni fisiologiche.

I cannabinoidi possono modulare l’umore e le trasmissioni nervose (incluso il dolore) inibendo il rilascio di una vasta gamma di neurotrasmettitori sia periferici che centrali (inclusa l’acetilcolina,la noradrenalina, la dopamina,la 5 idrossitriptamina, l’acido gammaaminobutirrico, glutammato, colecistochinine ecc) e producendo numerosi effetti sistemici. Tab.1

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Tab.1 Effetti sistemici

Cardiovascolari :

 Tachicardia , ipotensione,

 riduzione della funzionalità cardiaca : LVED,EF Stroke index

CNS :

 deficit cognitivi: percezione,memoria,tempo di reazione,ordinazione

Polmonari:

bronco dilatazione

Gastrointestinali

riduzione della motilità, rallentamento dello svuotamento gastrico

Muscoloscheletrici

riduzione di forza muscolare

Endocrini

nell’uso cronico riduzione della produzione di testosterone e sperma

Altri

 riduzione della pressione endooculare, arrossamento congiuntivale (via inalatoria)

Il meccanismo antiemetico e promotore dell’appetito e immunomodulatore non è stato ancora totalmente chiarito.

Studi clinici hanno mostrato l’utilità terapeutica di alcuni cannabinoidi, ma at-tualmente le uniche indicazioni per le quali dei cannabinoidi sono approvati come farmaci in alcuni Paesi sono il trattamento della nausea e del vomito indotti dalla chemioterapia, la stimolazione dell’appetito in pazienti con ano-ressia correlata all’AIDS e la spasticità da sclerosi multipla. L’uso terapeutico della cannabis, dei suoi estratti o di analoghi cannabinoidi esogeni è infatti limitato dagli effetti psicotropici ad essi correlati e al loro potenziale di sviluppare abuso negli assuntori, specie negli adolescenti. 42

I derivati della cannabis hanno numerose potenzialità terapeutiche, come illustrato nello schema sottostante, dove vengono citate indicazioni accettate, indicazioni in fase di studio e alcune ipotesi di meccanismo che rappresentano

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un potenziale terapeutico attualmente privo però di solide evidenze scientifiche.

Indicazioni accettate

Nausea e vomito in chemioterapia

Stimolazione dell’appetito nei pazienti con anoressia AIDS-correlata

Spasticità dovuta a sclerosi multipla

Indicazioni in corso di studio

Terapia del dolore Sclerosi multipla Glaucoma Malattie psichiatriche Traumi cerebrali/Ictus Sindrome di Tourette Glioblastomi Artrite reumatoide

Malattie infiammatorie croniche intestinali (morbo di Crohn, colite ulcerosa)

Epilessia

Disturbi del sonno Disturbi della vescica Asma bronchiale

Altre potenziali indicazioni

Sindromi da astinenza nelle dipendenze da sostanze da cannbinoidi

Allergie

Patologie tumorali

Malattie autoimmuni (lupus eritematoso)

Malattie neurodegenerative (morbo di Alzheimer, corea di Huntington, morbo di Parkinson

Patologie cardiovascolari (aterosclerosi, ipertensione arteriosa) Sindromi ansioso-depressive

Spasticità nelle lesioni midollari (tetraplegia, paraplegia) Prurito

Potenziali campi di utilizzo terapeutico della cannabis12,13,14.

L’importanza del ruolo dei cannabinoidi endogeni nello sviluppo

cerebrale

Oltre al suo noto coinvolgimento in specifiche funzioni corporee, il sistema endocannabinoide ha un ruolo importante in processi fondamentali dello svi-luppo15. Il rilascio dei cannabinoidi endogeni controlla la plasticità sinaptica,

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funzio-namento delle connessioni tra neuroni (sinapsi), di instaurarne di nuove e di eliminarne alcune, in molte aree cerebrali comprese la neocorteccia, l’ip-pocampo, il cervelletto, e i gangli della base. Il signaling endocannabinoide ha un ruolo fondamentale nelle sinapsi con un chiaro continuum d’azione, dallo stabilirsi delle sinapsi nell’inizio del neurosviluppo alla funzione delle sinapsi nel cervello adulto39.

Il sistema endocannabinoide, infatti, è presente nel Sistema Nervoso Centrale fin dalle prime fasi di sviluppo cerebrale, ed esso possiede un ruolo rilevante nell’organizzazione cerebrale durante la vita pre- e postnatale16. Recenti

evidenze indicano, infatti, che gli endocannabinoidi intervengono durante il neurosviluppo. Sono coinvolti nel controllo della genesi dei neuroni, nella proliferazione dei progenitori neurali, nella migrazione e nella specificazione fenotipica dei neuroni immaturi influenzando la formazione di complessi circuiti neuronali 39.

Infine, l’importante ruolo svolto dal sistema endocannabinoide durante lo sviluppo neuronale, suggerisce chiaramente come una sua eventuale perturbazione, ad esempio attraverso l’utilizzo di fitocannabinoidi, possa influire in modo anche drammatico sul sistema nervoso durante lo sviluppo. I cannabinoidi o cannabinoli sono sostanze chimiche accomunate dalla capacità di interagire con i recettori cannabinoidi e si possono presentare sotto tre forme : endocannabinoidi-cannabinoidi sintetici-fitocannabinoidi.

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3.1. Endocannabinoidi

Sono piccole molecole segnale che utilizzano gli stessi recettori di membrana a cui si lega anche il principale costituente psicotropo della cannabis, il THC (Δ9-tetraidrocannabinolo). Gli endocannabinoidi hanno natura lipidica e derivano da un acido grasso polinsaturo, l’acido arachidonico. Essi vengono prodotti a partire da precursori biosintetici di tipo fosfolipidico.

Nell’encefalo agiscono come neuromodulatori.

Tra gli endocannabinoidi sino ad ora identificati ci sono:  l’anandamide (N-arachidonoiletanolamide, AEA),  il 2-arachidonoilglicerolo (2-AG),

 il 2-arachidonilglyceril etere (noladin etere),  la O-arachidonoil-etanolamina (virodamina),  e la N-arachidonoil-dopamina (NADA).

Anandamide e NADA non si legano solo ai recettori cannabinoidi, ma condividono con la capsaicina, (un principio attivo contenuto nel peperoncino) la capacità di stimolare i recettori vanilloidi (TRPV1).

I primi due endocannabinoidi isolati, anandamide e 2-AG, sono stati i più studiati.

Al contrario di altri mediatori chimici cerebrali, non sono prodotti all'interno delle cellule neuronali, ma attraverso multiple vie biosintetiche, vengono prodotti on demand , ossia solo quando necessario, a partire da precursori fosfolipidici di membrana, e quindi rilasciati dalle cellule. Dopo il rilascio sono rapidamente disattivati per la ricaptazione nelle cellule e quindi metabolizzati. In particolare, per l'anandamide il meccanismo comunemente accettato prevede l'idrolisi enzimatica, catalizzata da una fosfolipasi di tipo D, di un precursore fosfolipidico, l'N-arachidonoil-fosfatidiletanolammina (NArPE). I processi biosintetici che portano alla formazionedel 2-arachidonoilglicerolo

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(2-AG) possono seguire meccanismi diversi, ma l'ipotesi più consistente è quella che prevede la formazione di un di-acil-glicerolo che viene poi idrolizzato a 2AG

attraverso l'azione di una fosfolipasi di tipo C

Sono biosintetizzati attraverso l’azione di enzimi calcio-sensibili. Essi vengono biosintetizzati ‘a richiesta’, cioè solo quando l’aumento della concentrazione del calcio citoplasmatico (che accompagna gran parte delle perturbazioni fisiopatologiche delle cellule), oltrepassa una soglia tale da attivare gli enzimi biosintetici. Questi, agendo su fosfolipidi di membrana, producono gli endocannabinoidi per l’immediato rilascio all’esterno della cellula. Anche a causa della natura fortemente lipidica, che non consente loro una facile diffusione nella matrice extracellulare, gli endocannabinoidi svolgono

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un’azione principalmente locale, sia sulla stessa cellula che li ha prodotti, sia su cellule limitrofe, a seconda di dove siano localizzati i recettori CB1 e CB2.

Una volta sintetizzati, gli endocannabinoidi vengono immediatamente rilasciati dallacellulae si legano airecettori cannabinoidipresenti su cellule limitrofe o sulla stessa cellula che li ha prodotti, comportandosi così come mediatori autocrinioparacrini.

In particolare si è ipotizzato che gli endocannabinoidi si comportino damessaggeri retrogradi: sintetizzati nellacellula postsinaptica, andrebbero ad attivare irecettori CB1degliassonidella cellula presinaptica.

In tal modo, essi ricoprono un ruolo importante in vari tipi di plasticità sinaptica e nei processi cognitivi, motori, sensoriali e affettivi a essi correlati. Inoltre, in alcune condizioni patologiche, acute o croniche, dell’SNC, come durante l’epilessia o nelle malattie neuroinfiammatorie e neurodegenerative, gli endocannabinoidi, attivando recettori sia CB1 sia CB2, possono svolgere un ruolo pro-omeostatico e neuroprotettivo. Come tutti i segnali chimici, anche gli endocannabinoidi sono soggetti a mancata regolazione, così da contribuire all’eziologia o ai sintomi di alcune patologie.

Endocannabinoidi come neuromodulatori retrogradi e neuroimmuno modulatori nell’SNC

Il principale enzima biosintetico del 2-AG, la diacilglicerololipasi α, è spesso situato nell’SNC, sulle spine dendritiche postsinaptiche. Il CB1, unitamente al principale enzima che degrada il 2-AG, la monoacilglicerolo lipasi, è invece localizzato nei pressi delle terminazioni assonali che stabiliscono contatti sinaptici con le suddette spine dendritiche. Questa giustapposizione di enzimi metabolici e recettori per il 2-AG è in perfetto accordo con il ruolo di neuromodulatore retrogrado proposto per questo endocannabinoide, prevalentemente sulla base di esperimenti di elettrofisiologia.

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Tale meccanismo può essere indotto sia dalla forte depolarizzazione del neurone postsinaptico (che, essendo accompagnata dall’ingresso di ioni calcio, stimola direttamente la diacilglicerololipasi a e quindi la produzione e il rilascio del 2-AG), sia dalla stimolazione dei recettori metabotropici postsinaptici di alcuni neurotrasmettitori, quali il glutammato (recettori mGluR1, mGluR5) e l’acetilcolina (recettori muscarinici M1, M3). Tali recettori, di contro, stimolano la cascata della fosfolipasi C, con produzione di diacilgliceroli precursori per il 2-AG, e di inositolo-trifosfato che mobilizza il calcio intracellulare dal reticolo endoplasmatico. Mediante questo meccanismo, la forte depolarizzazione del neurone postsinaptico, o anche la sua stimolazione da parte di neurotrasmettitori rilasciati da una particolare terminazione assonale, produce endocannabinoidi che possono agire a ‘ritroso’ su recettori CB1, localizzati sulla stessa terminazione (meccanismo omosinaptico) o su quelle adiacenti (meccanismo eterosinaptico).

La stimolazione del recettore CB1, a sua volta, inibisce l’attività dei canali del calcio voltaggio-dipendenti e quindi riduce l’ingresso di calcio; questo determina inibizione dell’esocitosi di vescicole secretorie, con conseguente riduzione del rilascio dei neurotrasmettitori dalla terminazione assonale. Tale meccanismo può sia potenziare (mediante inibizione del rilascio del neurotrasmettitore inibitorio GABA) sia deprimere (mediante inibizione del rilascio del neurotrasmettitore eccitatorio glutammato), la neurotrasmissione tra due o tre neuroni, per un periodo di tempo breve (secondi) o anche a lungo termine, partecipando a fenomeni di plasticità sinaptica, quali il potenziamento a lungo termine o la depressione a lungo termine. Qualora l’azione locale degli endocannabinoidi abbia invece come bersaglio non i neuroni, ma cellule gliali e microglia, la stimolazione di recettori CB1 e soprattutto CB2 ne regola numerose importanti funzioni, quali la migrazione e l’attivazione, il rilascio di

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citochine pro- e antinfiammatorie e la capacità di regolare la neurotrasmissione mediante rilascio o sequestro di neurotrasmettitori.

Espletata la loro azione biologica, gli endocannabinoidi verranno inattivati mediante meccanismi di degradazione o di riciclo regolatienzimaticamente. Tali processi prevedono: la “ricaptazione” (reuptake) perdiffusione passivaattraverso la membrana cellulare o mediata da carrierspecifico,

l'idrolisi intracellulare enzimatica e il riciclo dei prodotti

diidrolisineifosfolipididi membrana.

L'enzimaresponsabile dell'idrolisidell'anandamide, laFatty Acid Amide Hydrolase(FAAH), in alcune condizioni è responsabile anche dell'idrolisidel

2-AGper il quale, comunque esistono anche altreidrolasi più o meno selettive.

E’ grazie alla scoperta dei recettori endogeni per i cannabinoidi che la ricerca farmaceutica ha prodotto i derivati sintetici e la medicina sta rivalutando i preparati galenici ottenuti da parti della pianta di C. sativa.

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3.2. Cannabinoidi sintetici

Come indicato dal nome, sono molecole analoghe ai cannabinoidi naturali, ma di natura sintetica. Vengono cioè progettate nell’ambito della ricerca scientifica e sintetizzate nei laboratori chimico-fermaceutici con l’obbiettivo di individuare molecole che conservino alcune proprietà del THC , privandole però degli effetti psicotropi . 37

Struttura chimica del THC

Tra questi preparati sono attualmente in commercio un derivato sintetico del delta-9-tatraidroacannabinolo Nabilone, nome commerciale Cesamet ,

e una variante sterochimica del delta-9-tatraidrocannabinolo il Dronabinol, commercializzato negli USA come Marinol e disponibile anche nell’Unione Europea come farmaco generico. Entrambi sono registrati per il trattamento

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della nausea e del vomito nei pazienti in chemioterapia antitumorale e non sono in commercio in Italia .

3.3. Fitocannabinoidi

Delle centinaia di composti chimici presenti nella pianta di C. sativa ad oggi ne sono stati identificati una settantina, di cui i due tipi più rilevanti per gli effetti terapeutici sono: il THC (tetraidrocannabinolo) agonista parziale di entrambi i recettori, responsabile degli effetti psicotropi e il CBD (cannabidiolo), l’altra molecola attiva, che sembrerebbe avere proprietà protettive antipsicotiche a controbilanciare alcuni degli effetti del THC.

I fitocannabinoidi naturali sono idrocarburi aromatici contenenti ossigeno. A differenza della maggior parte dei farmaci e delle droghe, incluso gli oppiacei, la cocaina, la nicotina e la caffeina, essi non contengono nitrogeni e quindi non sono alcaloidi. In passato si pensava che i fitocannabinoidi fossero presenti nella pianta di cannabis (Cannabis sativa L.).

Oltre 60 cannabinoidi sono stati individuati nella cannabis, cannabigerolo (CBG), cannabicromene (CBC), cannabidiolo (CBD), Δ9 -THC ed cannabinolo (CBN) sono i più rappresentati. La distribuzione dei cannabinoidi varia nei differenti ceppi di cannabis ed in genere solo tre o quattro cannabinoidi si trovano in una pianta in concentrazioni superiori allo 0.1%.

Il Δ9-THC è in larga parte responsabile degli effetti farmacologici della cannabis, incluse le sue proprietà psicoattive per la sua azione sui CB1, sebbene altri composti della pianta contribuiscano a taluno di questi effetti, in particolar modo il CBD, un fitocannabinoide non psicoattivo, poiché sembra non legarsi né ai recettori CB1 né ai CB2 in concentrazioni apprezzabili, ma influenza l’attività di altri target come canali ionici recettori ed enzimi con potenziali

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effetti anti-infiammatori, analgesici, antinausea, antiemetico, ansiolitici e antipsicotici, anti ischemico, antiepilettico.

3.4. I terpeni

La cannabis contiene quindi, un’enorme quantità di principi attivi. Su oltre 600 composti ad oggi identificati troviamo di grande importanza i terpeni (oltre 200), oltre che idrocarburi, flavonoidi, acidi grassi, alcoli, aldeidi e altri ancora. I terpeni sono la classe di sostanze chimiche con il più vasto assortimento di odori e sapori. I principali terpenoidi si trovano in abbondanza in natura, contribuendo in modo determinante alla qualità di frutta e verdura e sono coinvolti nella sintesi di sostanze biochimiche diverse come vitamine, ormoni, oli e cannabinoidi.

Nella cannabis i terpeni sono prodotti nei tricomi insieme agli altri cannabinoidi e costituiscono il 10-20% degli oli estraibili dalla pianta.

La produzione di terpeni varia notevolmente con le condizioni ambientali, anche all’interno di una stessa varietà.

La cannabis è fra le piante con la più grande complessità di terpeni e le sue combinazioni aromatiche e terapeutiche sono infinite.

Ad oggi se ne sono identificati più di 120 tipi differenti.

I terpeni sono composti volatili, responsabili del tipico odore della cannabis, esplicano diverse attività terapeutiche dirette o di supporto i cannabinoidi. Gli aromi che noi percepiamo e che variano durante la fioritura e l’essiccazione sono quelli di pino, frutti di bosco, agrumi e spezie, ma anche formaggio, gasolio e mille altri. I terpeni estratti dalle piante sono i componenti più importanti degli oli essenziali utilizzati in fitoterapia, alimentazione e cosmetica.

Il risultato della combinazione fra terpeni e cannabinoidi è chiamato effetto entourage, ed è dimostrato da numerosi studi scientifici che può modificare

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significativamente l’azione dei principali principi attivi, THC e CBD, ottimizzandone gli effetti terapeutici o modulandone quelli indesiderati.

Infatti numerosi studi hanno dimostrato come a parità di dosaggio, la somministrazione di cannabinoidi puri privi di terpeni, dia risultati inferiori e maggiori effetti collaterali.

A seconda della metodica di estrazione utilizzata, si potranno ottenere diversi prodotti, ognuno dotato di attività terapeutica differente a seconda della quantita di THC, CBD, THCA CBDA e terpeni (anche la forma acida può avere attività terapeutiche) presenti nel prodotto finale.

Fra gli effetti dei terpeni attualmente allo studio troviamo le proprietà antimicrobiche, antiossidanti, anticancerogene38 (si oppone all’azione di un

agente cancerogeno), analgesiche, antinfiammatorie, antidepressive, sedative. L’effetto entourage spiega il motivo per cui l’infiorescenza o l’estratto di cannabis risulta più efficace rispetto ai cannabinoidi sintetici, ma i freni posti finora alla ricerca sulla cannabis hanno impedito di conoscere a fondo le sinergie fra terpeni e cannabinoidi.

Alcuni produttori di estratti, selezionatori di varietà e sementieri hanno recentemente cominciato a pubblicare le analisi sui profili terpenici dei propri prodotti e non solo quelle sui cannabinoidi.

Fatta eccezione per le cultivar ad alto contenuto di CBD, le proporzioni fra THC e i cannabinoidi minori, sono generalmente simili fra i diversi ceppi. La differenza negli effetti medicinali e psicoattivi deve quindi provenire in gran parte dal rapporto fra THC e profilo terpenico.

A differenza dei cannabinoidi, tutti i principali terpeni presenti nella cannabis (mircene, alfa-pirene, beta-cariofillene) possono essere trovati in abbondanza in natura.

Il pinene è il terpene responsabile dell’odore degli aghi di pino e delle sue resine e in diverse varietà di cannabis è impossibile non accorgersi della sua

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presenza proprio per l’odore molto marcato che sprigiona. È il componente principale della trementina e si trova in molti oli essenziali; come il mircene ed il limonene, oltre che nella cannabis è contenuto in altri vegetali compresi il rosmarino, la salvia e l’eucalipto.

Il pinene può aumentare la concentrazione mentale e l’energia nonché agire come espettorante, broncodilatatore (il fumo sembra espandersi nei polmoni) e antisettico topico.

Intrugli a base di foglie di piante che lo contengono sono stati utilizzati per migliaia di anni nella medicina tradizionale per conservare e ripristinare la memoria. Ha inoltre ottime capacità antinfiammatorie ed antiossidanti. Ci sono due tipi di pinene, Alpha, che troviamo negli aghi di pino e nel rosmarino e cannabis e Beta che troviamo in aneto, prezzemolo, rosmarino, basilico, achillea, rosa e luppolo.

Uno studiopubblicato sul British Journal of Pharmacology nel 2011 e condotto da Ethan Russo40 ha rilevato che l’alfa-pinene ha proprietà anti-infiammatorie

che possono essere efficaci in malattie infiammatorie come artrite, morbo di Crohn, sclerosi multipla e cancro. Lo studio ha concluso che l’alfa-pinene e tutti i terpeni presenti nella cannabis agiscono insieme in sinergia per aumentare il valore terapeutico.

Un altro studio del 2015effettuato in vitro ed in vivo su cellule umane di carcinoma epatocellulare 41(la forma più comune di cancro al fegato, ndr), ha

confermato questi effetti: i risultati mostrano che la crescita del tumore viene inibita sia in vivo che in vitro.

Probabilmente il risultato più significativo delle ricerche condotte fino ad oggi è che il pinene, e tutti i terpeni agiscono in modo sinergico con altri terpeni, nonché con i cannabinoidi e le altre sostanze contenute nella cannabis, per equilibrare al meglio i benefici e ridurre al minimo gli effetti collaterali. 17

(28)

3.5. I RECETTORI

Ad oggi sono stati identificati due tipi di recettori cannabinoidi, recettori CB1 e CB2.

Hanno differenti meccanismi di signaling e distribuzione tissutale.

Entrambi i recettori appartengono alla ampia famiglia dei recettori accoppiati alla proteina G di tipo inibitorio(GPCR), localizzati sulla membrana citoplasmatica, con un sito di legame, specifico per gli endocannabinoidi, situato in un dominio extracellulare immerso nel doppio strato lipidico; in questo modo si spiega perché molecole di natura lipidica, quali gli endocannaboidi e il THC, possano legarvisi con alta affinità.

L’attivazione dei recettori cannabinoidi causa inibizione dell’adenilciclasi e quindi, inibizione della conversione di ATP ad AMP ciclico (cAMP), inibizione dei canali Cav (CB1) e attivazione dei canali del Potassio (GIRK), con iper-polarizzazione.

I recettori cannabinoidi CB1 sono tra i più abbondanti e più ampiamente distribuiti nell’encefalo.

Sono costituiti quindi da una catena polipeptidica formata da sette segmenti trans membrana.

Il ruolo dei recettori cannabinoidi è essenzialmente quello di regolare il rilascio di altri messaggeri chimici.

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I recettori CB1 si trovano principalmente sulle cellule nervose di encefalo,

midollo spinale e sistema nervoso periferico, ma sono presenti anche in alcuni organi e tessuti periferici tra cui ghiandole endocrine, ghiandole salivari, leucociti, milza, cuore e parte dell’apparato riproduttivo, urinario e gastrointestinale.

Molti recettori CB1 sono espressi sulle terminazioni nervose centrali e periferiche ed inibiscono il rilascio di altri neurotrasmettitori. Così l’attivazione dei recettori CB1 protegge il sistema nervoso centrale da sovrastimolazione o sovrainibizione da parte di neurotrasmettirori.

I recettori CB1 sono espressi particolarmente nelle regioni dell’encefalo che sono responsabili del movimento (gangli basali, cervelletto), dei processi

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mnestici (ippocampo, corteccia cerebrale) e della modulazione del dolore (alcune zone del midollo spinale, la sostanza grigia periacquiduttale) mentre la loro espressione a livello del tronco encefalico è bassa, il che può spiegare la mancanza di mortalità acuta cannabis-correlata. Il bulbo spinale controlla, tra le altre cose, la respirazione e la circolazione.

Distribuzione dei recettori CB1 nel cervello. Nello specifico, le aree indicate con i puntini neri sono quelle in cui maggiormente si lega il cannabinoide esogeno THC modificandone il normale funzionamento e sviluppo.Fonte: NIDA.

CB1 sono distribuiti nel SNC corteccia cerebrale ippocampo gangli della base

cervelletto (sistema nervoso centrale) quindi l’attivazione ne determina: Analgesia spinale e sovra spinale; Modulazione processi di memoria; Alterazione ormonale ipofisaria; Inibizione dei movimenti; Regolazione appetito.

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Si trovano principalmente nei neuroni, soprattutto nella parte terminale degli assoni, ad indicare l’importante ruolo di questi recettori nella modulazione degli effetti euforizzanti, ma anche della loro azione antiemetica, antiossidante, ipotensiva, immunosoppressiva, antinfiammatoria, analgesica, antispastica e come detto, stimolante dell'appetito.

I recettori CB2 sono presenti principalmente a livello periferico, in particolare

nelle cellule del sistema immunitario, tra cui i leucociti, la milza e le tonsille., timo, pancreas, leucociti e nel tratto gastroenterico.18

.

Collegato ad Adenilato ciclasi attraverso la Gi, ai canali GIRK, ma non ai CaV (non espressi nelle cellule immunitarie)

Azioni immediate: antinocicezione periferica; Inibizione crescita tumorale; Processi infiammatori; Risposta immunitaria.

Una delle funzioni dei recettori CB2 nel sistema immunitario è la modulazione del rilascio di citochine, che sono responsabili delle risposte infiammatorie e della regolazione del sistema immunitario. Dal momento che i composti che attivano selettivamente i recettori CB2 (agonisti dei recettori CB2 ) non esplicano effetti psicoattivi, essi sono diventati oggetto di studi sempre più numerosi per l’uso terapeutico dei cannabinoidi, in particolare per quanto riguarda gli effetti analgesici, antinfiammatori e antitumorali.19

Il Δ9 -THC ha approssimativamente eguale affinità per i recettori CB1 E CB2 , mentre l’anandamide ha una selettività marginale per i recettori CB1.

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FARMACOCINETICA

Assorbimento

E’ determinata dalla via di somministrazione:

Quando inalata gli effetti farmacologici sono più rapidi ed intensi, ma meno prolungati: dal polmone passa nel sangue e in 15’ massimo al cervello, quando si ha la massima manifestazione degli effetti psichici e fisici, con una durata massima di 3-4 ore.

L’assorbimento per via inalatoria è quindi rapido e completo, e dipende dal numero di inalazioni, dall’intervallo da un’inalazione e l’altra, dalla durata delle inalazioni, dalla capacità polmonare, e dal riscaldamento della sostanza,

necessario per la decarbossilazione dei cannabiboidi e quindi la trasformazione nella loro forma attiva.

Sconsigliato il fumo per le conseguenze dannose sul polmone, quali alterazioni delle membrane mucose e riduzione della resistenza alle infezioni. Oltre al fatto che un riscaldamento eccessivo porterà alla decomposizione del THC in CBN (cannabinolo) con un conseguente aumento dell’attività sedativa o effetti di “intontimento”. Per limitare il danno provocato dai prodotti di combustione, e per il fatto che il 40% del THC viene degradato dalle temperature raggiunte (800°C), viene utilizzato il vaporizzatore.

La biodisponibilità (intesa come quantità di THC che dalla sostanza vegetale raggiunge il circolo ematico) è del 30-50%.

Le somministrazioni vanno ripetute 1-2 volte al giorno aspettando 5-15 minuti fra un'inalazione e l'altra. Dopo una settimana si raggiunge una concentrazione costante di principi attivi e si può rivalutare il dosaggio se si dimostrasse insufficiente.

L’assunzione per via orale (decotto) rende meno prevedibile il tempo di raggiungimento del circolo ematico e la sua concentrazione.

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Gli effetti si hanno dopo 30-90 minuti con effetto massimo raggiunto dalle due o quattro ore più tardi. Gli effetti durano dalle quattro alle otto ore. L’assorbimento è completo ma solo una frazione 10-20% raggiunge la circolazione sistemica, questo soprattutto per l’effetto primo passaggio epatico, che porta alla formazione di un metabolita l’11-idrossi-THC.

Bere una tazza/die calda, inizialmente una volta sola, preferibilmente alla sera. Va ricordato che scegliendo questa via di somministrazione si impiegheranno due settimane prima di raggiungere il massimo effetto, e solo allora se non si è ottenuto beneficio si potrà prescrive un'altra tazza (0,250 Lt) da bere anche al mattino.

La biodisponibilità di THC è del 5-20% e del CBD del 13-19%: il picco ematico di concentrazione è raggiunto in 1-3 ore dall'assunzione.

Per arrivare allo steady state del dronabinolo occorreranno due settimane.

Distribuzione

Dopo l’assorbimento, le sostanze cannabinoidi sono distribuite in tutto l’organismo. La concentrazione più precoce avviene negli organi maggiormente irrorati come cervello, polmoni, cuore e reni. Una quota di dronabinolo si deposita nel grasso e i suoi metaboliti si legano alle proteine plasmatiche. Il volume di distribuzione è 10 Lt/Kg di peso corporeo.

Eliminazione

Nel fegato gli isoenzimi CYP2C9 e CYP3A4 del citocromo P450 convertono il dronabinolo a 11-idrossi-THC (11-OH-THC), metabolita biologicamente attivo. 11-OH-THC viene poi convertito in 9-carbossi-THC (THC-COOH) , biologicamente inattivo e altri metabolici.

L’emivita di eliminazione del dronabinolo e del 11-OH- THC è di 25-36 ore. I metaboliti del dronabinolo sono presenti nelle urine anche settimane dopo l’ultima assunzione.

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Interazioni

La Cannabis può dare effetti cumulativi e di potenziamento se assunta contemporanemanente ad alcool, benzodiazepine, oppiacei. Se assunta in forma di decotto si ha un effetto di primo passaggio che può interferire con i farmaci metabolizzati dagli isoenzimi CYP2C9 e CYP3A4, tra i quali antibiotici macolidi, antimicotici, calcio antagonisti, inibitori della proteasi HIV, amiodarone e isoniazide. Può inoltre interferire con i farmaci che si legano alle proteine plasmatiche.

Effetti collaterali Acuti

Gli effetti collaterali psichici conosciuti sono sedazione, euforia ("high"), disforia, paura di morire, sensazione di perdere il controllo, diminuzione della memoria, alterata percezione del tempo, depressione, allucinazioni.

Nel caso di forti effetti di questo tipo la persona colpita va portata in un posto tranquillo e rassicurata che non sta succedendo niente di grave e che presto questi effetti passeranno. La cognizione e la performance psicomotoria sono indebolite. Una discreta riduzione di performance psicomotoria può essere osservata fino a 24 ore dopo la somministrazione di THC.

Effetti collaterali fisici possono anche essere: secchezza delle fauci, disturbi del movimento, debolezza muscolare, cattiva articolazione della parola, aumento della frequenza cardiaca, diminuzione della pressione arteriosa in posizione eretta (la cannabis è un vasodilatatore), anche con capogiri. In posizione orizzontale, la pressione arteriosa può essere leggermente aumentata. Altri effetti collaterali meno frequenti sono nausea e cefalea. Tutti gli effetti collaterali acuti sono dipendenti dalla dose e in genere scompaiono entro alcune ore o da 1 a 3 giorni senza trattamenti specifici.

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A lungo termine

E' descritto lo sviluppo di tolleranza per molti degli effetti, tra cui gli effetti psichici, le alterazioni psicomotorie, gli effetti su cuore e circolazione, gli effetti sul sistema endocrino, la pressione endo-oculare, e gli effetti antiemetici.

La tolleranza può apparire entro alcune settimane con dosi ripetute, in misura diversa per i diversi effetti.

La cannabis ha potenzialmente la capacità di determinare dipendenza (addiction). Tab.2

Tab.2 Criteri diagnostici per la dipendenza da sostanze -secondo Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 4th edition

Dipendenza = modalità patologica d’uso di sostanza che conduce a menomazione o a disagio clinicamente significativi,

come manifestato da tre o più delle condizioni seguenti, che ricorrono in qualunque momento dello stesso periodo di 12 mesi :

tolleranza, così definita

 il bisogno di dosi notevolmente più elevate della sostanza per raggiungere l’intossicazione o l’effetto desiderato

 un effetto notevolmente diminuito con l’uso continuativo della stessa quantità della sostanza astinenza, come manifestata da ciascuno dei seguenti

o comparsa della caratteristica sindrome astinenziale sostanza-specifica

o la stessa sostanza o una strettamente correlata è assunta per attenuare o evitare i sintomi di astinenza o la sostanza è spesso assunta in quantità maggiori o per periodi più prolungati rispetto a quanto

previsto dal soggetto

o desiderio persistente e tentativi infruttuosi di ridurre o controllare l’uso della sostanza

o una grande quantità di tempo viene spesa in attività necessarie a procurarsi la sostanza ad assumerla o a riprendersi dai suoi effetti

o interruzione o riduzione di importanti attività sociali , lavorative o ricreative a causa dell’uso della sostanza

o uso continuativo della sostanza nonostante la consapevolezza di avere un problema persistente o ricorrente, di natura fisica o psicologica, verosimilmente causato o esacerbato dalla sostanza

Da dati epidemiologici emerge che circa il 10% dei consumatori abituali ne diventano dipendenti (meno che per l’ alcool 15%, la nicotina 32% e gli oppioidi 23%).

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Il decorso di una psicosi può essere influenzato sfavorevolmente. In persone vulnerabili, l'esordio di una psicosi può essere accelerato o scatenato.20

I cannabinoidi possono avere effetti complessi sugli ormoni sessuali maschili e femminili, di scarsa rilevanza con dosi terapeutiche. Occasionalmente sono stati descritti cicli mestruali senza ovulazione e riduzione della produzione di sperma.21

In studi su animali, alte dosi di THC sopprimono diversi aspetti del sistema immunitario. Anche a basse dosi, sono stati riscontrati effetti sia immunosoppressivi che immunostimolanti .

Overdose

Una overdose può causare depressione o sentimenti di paura o anche panico, normalmente questi sintomi spariscono spontaneamente in qualche ora.

Poiché i recettori dei cannabinoidi non sono presenti nei centri del respiro, non c’è rischio di depressione respiratoria.

La gestione dell’overdose prevede l’uso di benzodiazepine (diazepam ev) e beta bloccanti (propanololo ev) per la tachicardia.

Si consiglia di mantenersi idratati, bevendo acqua o succhi di frutta a piccoli sorsi e lentamente.

4. USI

Negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha fornito una serie di informazioni sui possibili usi medici di alcuni componenti della cannabis per coadiuvare il trattamento di alcune patologie o ridurre fastidiosi sintomi correlati a varie malattie (nausea, vomito ecc.). Purtroppo gli studi scientifici in merito agli effetti analgesici della cannabis sugli umani sono disomogenei, con casistiche ridotte e importanti differenze riguardanti i dosaggi e le preparazioni : alcuni si riferiscono alla via inalatoria , altri a quella orale e endovenosa. 22

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A fronte di questa disomogeneità delle sperimentazioni e della pratiche clinica, si assiste ad una loro, sempre maggiore, espansione a livello mondiale , con conseguente dimostrazione dell’efficacia terapeutica dei cannabinoidi. A questo proposito, dalle pubblicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), risulta che i medicinali cannabinoidi trovano indicazione nel trattamento della nausea e del vomito in pazienti affetti da neoplasie ed AIDS, sottoposti a cure con farmaci antiblastici e antivirali7.

Altri usi terapeutici si stanno studiando in sperimentazioni cliniche sull’uomo e riguardano il trattamento dell’asma e del glaucoma, inoltre, la ricerca ne sta valutando l’attività antidepressiva, anticonvulsivante, antispasmodica, antitumorale e come stimolanti dell’appetito.

Per quanto riguarda l’utilizzo antalgico, l’uso di cannabis terapeutica per il trattamento del dolore oncologico refrattario alle terapie con oppioidi è molto controverso, anche se da alcune sperimentazioni scientifiche risulterebbe utile a ridurre i dosaggi di morfina e i suoi analoghi nei trattamenti cronici . La necessità di aumentare sistematicamente i dosaggi degli analgesici oppiacei può portare alla comparsa di effetti indesiderati, talvolta anche di grave entità, come il blocco intestinale, pertanto la contemporanea somministrazione degli oppiacei con i derivati della cannabis ridurrebbe la probabilità dell’instaurarsi di tali effetti indesiderati.8

La pianta di C. sativa contiene al suo interno una settantina di principi attivi, l’unico riconosciuto ad azione stupefacente è il THC. Il secondo principio attivo principale, con interessanti proprietà terapeutiche è il cannabidiolo (CBD), un cannabinoide non psicoattivo, cioè privo di effetti sul cervello. Il CDB non solo è utile per alleviare spasmi e dolori muscolari, ma è anche in grado di modulare l’azione del THC a livello cerebrale prolungandone la durata d’azione e limitandone gli effetti collaterali. L’effetto di modulazione del CDB e di altri

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cannabinoidi – assenti nelle preparazioni sintetiche – potrebbe spiegare la minore efficacia dei farmaci di sintesi.

In Italia il primo farmaco a base di cannabinoidi approvato è stato il Sativex (decreto GU del 30 aprile 2013) . E’uno spray oromucosale composto dai due principi attivi THC e CBD , estratti dalla pianta C. sativa. E’ soggetto a registro AIFA per il controllo della spasticità nella Sclerosi Multipla, quando altri trattamenti non hanno ottenuto beneficio o si sono verificati eccessivi effetti collaterali .

Sono inoltre attualmente reperibili alcuni tipi di preparati con concentrazioni standardizzate, prodotte dall’azienda olandese Bedrocan

®

(BE sono le iniziali del fondatore, DRO significa disidaratatto/secco, CAN cannabis), che produce 6 varietà di cannabis a uso medico che vengono messe a disposizione da parte del ministero della Salute dei Paesi Bassi. Ognuna è etichettata con un livello standardizzato di 3 cannabinoidi: THC, CBD e CBN.

Bedrocan (THC 19% e CBD1%)

Bedrobinol (THC 12% e CBD minore dell’1 %) Bediol (6.5 % THC e CBD 8%).

Bedrocan® è considerata cannabis del tipo sativa. Il suo livello di THC è

standardizzato al 19%, con un livello di CBD inferiore all'1%. È la cannabis più ampiamente utilizzata tra quelle offerte dal ministero olandese ed è stata utilizzata maggiormente nella ricerca rispetto ad altre varietà.

Bedrobinol® è considerato una sativa. Il suo livello di THC può essere

considerato mediamente forte, standardizzato al 13,5%, con un livello di CBD inferioreall'1%.

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Bediol® presenta un livello di THC da basso a medio, standardizzato al 6,5% e

un livello medio di Cannabidiolo non psicoattivo (CBD), standardizzato all'8%. Gli effetti del CBD sono chiaramente diversi dal THC. Il Bediol è disponibile in

formato granulare. Anche il Bediol è considerato del tipo sativa.

Bedica ® è considerata cannabis della varietà indica . Contiene una quantità

media di THC, attorno al 14%, con meno dell'1% di CBD. Le differenze caratteristiche tra le varietà di Indica e Sativa è riscontrabile nella presenza di composti odorosi (terpeni) nella pianta. Ad esempio, una simile quantità elevata di mircene è presente in Bedica ®, mentre nelle altre tre varietà essa non è riscontrabile o lo è in misura minima. Il mircene è noto per avere un effetto calmante. Bedica ® è anche disponibile in formato granulare.

Bedrolite® La varietà non psicoattiva Bedrolite® è ora disponibile per uso

medico e di ricerca. Bedrolite è in fase di standardizzazione. Contiene circa il 9% di CBD e lo 0,4% di THC. E’ disponibile nei Paesi Bassi e negli Stati riforniti dal ministero della Salute dei Paesi Bassi.

CBD presenta proprietà farmacologiche distinte.

Bedropuur® è una varietà indica ad alto tenore di THC con meno dell'1% di

CBD. Bedropuur è disponibile solo in Canada e a scopo di ricerca.

In Regione Liguria viene attualmente utilizzato a scopo antalgico per le preparazioni galeniche magistrali Cannabis Flos var. Bedrocan® prodotto da Bedrocan BV su richiesta dell’ufficio della Cannabis medicinale (BMC) del

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Ministero della salute olandese; utilizza le infiorescenze della Cannabis ottenute dalla pianta femminile di tre specie distinte.

L’azienda olandese, garantisce standard chimici, in cui i cannabinoidi vengono forniti come soluzioni quantificate in etanolo con una purezza >98% (analisi UPLC). Tutti i prodotti sono corredati di Certificato d'Analisi.

Bedrocan offre test analitici di campioni di cannabis utilizzando metodi basati sulla Farmacopea Europea (FE) o standard correlati. I nostri metodi analitici convalidati sono stati descritti in una Monografia Olandese disponibile attraverso l'Ufficio olandese per la Cannabis a uso Medico (OMC). Sono disponibili i seguenti test: Profilo dei cannabinoidi (analisi HPLC, qualitativa o quantitativa); Contenuto di terpene (analisi GC); Qualità microbiologica (batteri e funghi); Qualità chimica: pesticidi, metalli pesanti (piombo, mercurio, cadmio), tossine fungali.

La produzione di cannabis in Bedrocan è interamente standardizzata, poiché gli scostamenti possono pregiudicare la composizione del prodotto. Il processo per la produzione di cannabis a uso medico è certificato ISO e soddisfa lo standard europeo di Buona Pratica Agricola (GAP). Il ministero della Salute dei Paesi Bassi conduce audit in relazione alle GAP con cadenza regolare. Inoltre, non vengono mai utilizzati pesticidi e lo stabilimento di Bedrocan è interamente alimentato da energia eolica.23

Metodi di somministrazione

La cannabis può essere assunta in modi diversi: per via inalatoria attraverso un dispositivo di vaporizzazione, o per via orale. Quest’ultima può comprendere sia preparati come decotto ed olio, ma anche preparazioni quali biscotti e torte.

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Poiché molti di questi preparati non sono mai stati approfonditamente studiati dal punto di vista scientifico, i risultati sono riconducibili alle esperienze reali dei pazienti.

Il riscaldamento è essenziale per la conversione dei cannabinoidi acidi nella loro forma farmacologicamente attiva, decarbossilata. La decarbossilazione avviene anche spontaneamente in tempi molto più lunghi, durante l’invecchiamento dei campioni di cannabis, come risultato dell’esposizione alla luce, alla temperatura dell’ambiente.

Cannabinoidi e terpeni quando inalati sono rapidamente assorbiti; i primi effetti si manifestano entro 5 minuti e svaniscono entro 3-4 ore. L’inalazione è quindi più adatta a pazienti che richiedono un onset rapido, come il trattamento di certi tipi di dolore, spasmi associati a sclerosi multipla o epilessia, nausea e vomito. L’inalazione avviene tramite un vaporizzatore, in cui la cannabis viene riscaldata ad alta temperatura (210°C) senza bruciare la pianta.

La vaporizzazione offre tutti i vantaggi (rapida insorgenza dell’effetto e rapida titolazione) della somministrazione per via inalatoria evitando i rischi connessi al fumo, oltre al fatto che fumando si può arrivare a temperature di circa 800°C, con conseguente degradazione di circa il 40% di THC 24. Anche se esistono molti

tipi di vaporizzatori, solo pochi sono stati sottoposti a controlli di qualità. Attualmente l’unico riconosciuto come dispositivo medico (in Canada e Germania) è il Volcano.

Per la somministrazione del decotto, attualmente utilizzata in Italia, fondamentale è la metodologia di preparazione: in acqua fredda si aggiunge subito la cannabis, si porta a ebollizione, e si continua l’ebollizione per il tempo stabilito.

La Metodica del Ministero della Salute nel Decreto 9 novembre 2015 prevede con l’uso di acqua per un tempo di 15 minuti. I passaggi sono:

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1. preparare acqua fredda in rapporto 1000:1 acqua/cannabis (es. per 100mg di cannabis, usare 100ml di acqua)

2. versare la dose di cannabis 3. portare a ebollizione

4. coprire con coperchio

5. mantenere l’ebollizione per 15 minuti Il Decreto non aggiunge altro.

Tale metodica è sconsigliata per diversi motivi:

i principi attivi della cannabis sono lipofili (grassi); l’acqua è un solvente idrofilo (acquoso) quindi pessimo per quanto riguarda la capacità di solubilizzare ed estrarre i cannabinoidi (una parte esce comunque dall’infiorescenza per questioni fisiche di osmosi e rimane sospesa in acqua).

I tempi di bollitura indicati dal Ministero sono insufficienti per avere la certezza che buona parte (sufficiente) del THC e CBD siano decarbossilati (in questo contesto, il termine può essere frettolosamente tradotto in “attivati”).

Studi olandesi hanno dimostrato come nella tisana alla cannabis così fatta, il contenuto di THCA sia fino a 5 volte superiore al THC (cioè il THC è 1/5 rispetto al THCA), poiché le temperature raggiunte sono minori rispetto a quelle di fumo, vaporizzazione o cottura in forno. Altrettanto per i tempi a cui la cannabis è sottoposta a queste temperature.

Se non velocemente bevuta dal momento della preparazione, i cannabinoidi presenti nella tisana con sola acqua tendono ad appiccicarsi sul fondo o ai lati del bicchiere/tazza; di conseguenza il paziente si beve acqua calda.

Con la quantità di acqua indicata dal Ministero, quasi certamente al termine dell’ebollizione rimarrà poca o (quasi) niente acqua.

Nel caso della Cannabis grezza in cartine, il residuo solido è stato filtrato. Potenziale THC attivato residuo, potrebbe essere rimasto nel materiale

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vegetale, motivo per cui si sconsiglia fortemente di filtrare il residuo, ma di ingerirlo insieme alla tisana.

Tutto questo si tradurrebbe in una apparente inefficacia della cannabis o ad un inutile necessità di incrementare le dosi , in considerazione del fatto che nel decotto preparato dal paziente NON è conoscibile la concentrazione reale di THC e/o CBD e che comunque questa sarebbe (valore medio) 1/5 del totale (es. circa 4mg di THC e circa 20mg di THCA nel Bedrocan oppure 1,5mg di THC e 6mg di THCA nel Bediol).

In considerazione dei problemi espressi nell’analisi precedente, la versione consigliata della tisana alla cannabis tende a ottimizzare alcuni punti, in particolare:

 tempi: vengono aumentati per permettere una maggiore decarbossilazione. Non c’è rischio di ottenere prodotti di degradazione (es. CBN dal THC) o di perdere terpeni, perchè la temperatura massima raggiunta è circa 100°C (oltre non si può andare, dato che l’acqua bolle)

 liquido solvente: poiché i cannabinoidi sono lipofili, si utilizza un solvente

in grado di sciogliere i cannabinoidi, tenendoli stabilmente in soluzione. Non volendo usare oli che sarebbero troppo pesanti e con altri problemi,il liquido migliore è il latte(meglio vaccino, ma anche di soia) in quanto è una emulsione, cioè una miscela di grasso in acqua, in grado di estrarre sia sostanza grasse che idrofile.

 quantità di liquido: rispetto al rapporto 1000 : 1, si prepara la tisana con

molto più liquido, sia per compensare le perdite di evaporazione, sia per ottimizzare l’estrazione (liquidi troppo concentrati non riescono ad estrarre tutte le sostanze).

 preparazione della cannabis: passaggio necessario con cui si tritura la cannabis per aumentarne la superficie di esposizione ovvero le parti di cannabis a contatto con il solvente. Questo favorisce sia la

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