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Ottimizzazione Locale di Traiettorie con Vele Elettriche

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Academic year: 2021

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(1)

Universit`

a di Pisa

Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Aerospaziale

Tesi di Laurea

Ottimizzazione Locale di Traiettorie con Vele Elettriche

Relatori Candidato

Prof. Giovanni Mengali Andrea Span`o Prof. Alessandro A. Quarta

Ing. Marco Bassetto

(2)

In ogni secolo gli essere umani hanno pen-sato di aver capito definitivamente l’Univer-so e, in ogni secolo, si `e capito che avevano sbagliato. Da ci`o segue che l’unica cosa cer-ta che possiamo dire oggi sulle nostre attuali conoscenze `e che sono sbagliate.

Isaac Asimov (c. 1920–1992) Grande come l’Universo, Mondadori, 1988

(3)

Sommario

In questa tesi viene mostrato l’impatto che pu`o avere sulla ricerca spaziale l’u-tilizzo di un innovativo sistema propulsivo a bassa spinta, la vela elettrica. La spinta viene generata dall’interazione tra il vento solare e i cavi elettricamente carichi che costituiscono la vela. In particolare, gli ioni positivi vengono devia-ti dal campo elettrostadevia-tico, con un potenziale di circa 20 kV mantenuto da un cannone elettronico, cedendo una parte della loro quantit`a di moto alla vela. Il vantaggio principale consiste nel poter generare una spinta continua senza la ne-cessit`a di consumare propellente. `E possibile inoltre modificare il modulo e la direzione della spinta cambiando rispettivamente il potenziale elettrico dei cavi e l’orientamento del piano nominale della vela. Annullando il potenziale, la vela non genera la spinta.

Dopo un’introduzione sui principali sistemi propulsivi a bassa spinta, vengono presentati i principali modelli di accelerazione propulsiva proposti fino ad oggi e le equazioni differenziali che regolano il moto di una sonda sottoposta all’accele-razione gravitazionale del Sole e alla spinta della vela. In seguito sono mostrate le leggi di controllo che permettono di ottimizzare la variazione di un singolo elemento orbitale, e infine viene descritto come queste leggi possano essere com-binate per raggiungere una certa configurazione finale desiderata.

Il lavoro svolto in questa tesi ha due obiettivi principali. Il primo consiste nel mostrare come il tempo di volo viene modificato al variare delle condizioni fina-li e dell’accelerazione propulsiva della vela, in modo da poter valutare quando `

e conveniente utilizzarla e quanto deve essere performante. Il secondo consiste nell’utilizzare le leggi localmente ottime per analizzare alcuni scenari di missione di interesse scientifico e confrontare i tempi di volo cos`ı ottenuti con quelli deter-minati attraverso la procedura di ottimizzazione globale o con quelli ricavati con altri sistemi propulsivi.

Il primo scenario analizzato `e il trasferimento Terra-Marte. Questa scelta `e det-tata dall’importanza del Pianeta Rosso nel futuro prossimo dell’esplorazione

(4)

spa-ii

ziale; infatti, NASA e SpaceX hanno l’obiettivo di creare un avamposto umano sul pianeta Rosso entro il 2030 e per farlo `e necessario portare tutto il materiale necessario a costruire le infrastrutture e a mantenere in vita gli abitanti.

Gli altri due scenari analizzati riguardano i trasferimenti verso le comete 67/P Churyumov-Gerasimenko e 1/P Halley; la prima appartiene alle comete gioviane ed `e stata studiata dalla missione Rosetta/Philae dell’ESA, mentre la seconda appartiene alla fascia di Kuiper, situata oltre l’orbita di Nettuno, e richiederebbe un’enorme quantit`a di propellente, o numerosi flyby con i pianeti del Sistema Solare, per essere raggiunta con gli attuali sistemi propulsivi. Lo studio di questi oggetti `e fondamentale nella ricerca spaziale perch´e potrebbero nascondere in-formazioni riguardanti sia l’origine del Sistema Solare, sia l’origine della vita sul nostro pianeta.

(5)

iii

Ringraziamenti

Ringrazio prima di tutto il Prof. Giovanni Mengali per avermi consentito di fare la tesi sulla Meccanica del Volo Spaziale, una materia che mi ha sempre affascina-to. Un ringraziamento al Prof. Alessandro Quarta per la pazienza e l’aiuto che mi ha dato durante lo svolgimento della tesi. Grazie a Marco Bassetto per i suoi con-sigli, la sua simpatia e per avermi seguito nanche nei periodi in cui non stava bene.

Un grazie gigante va alla mia famiglia per avermi sostenuto fino ad oggi e avermi permesso di raggiungere questi risultati, senza di loro non sarebbe stato possibile.

Un grazie sincero va a tutti i miei amici per avermi sopportato e supportato durante questi anni, li ringrazio per i momenti felici che ho trascorso con loro e per quelli che dovranno ancora arrivare.

(6)

Indice

Sommario i

1 Introduzione 1

1.1 Sistemi Propulsivi a Bassa Spinta . . . 1

1.1.1 Razzi a propellente liquido . . . 2

1.1.2 Razzi elettrotermici . . . 3

1.1.3 Razzi elettrostatici . . . 5

1.1.4 Razzi elettromagnetici . . . 7

1.1.5 La vela solare . . . 8

1.2 La Vela Elettrica . . . 10

1.3 Confronto tra i sistemi propulsivi . . . 11

2 Modello di Accelerazione Propulsiva 14 2.1 Il Modello r−7/6 . . . 14

2.2 Modello Raffinato . . . 15

2.2.1 Modulo dell’accelerazione . . . 15

2.2.2 Direzione dell’accelerazione . . . 16

2.3 Evoluzione del Modello Raffinato . . . 18

2.3.1 Modulo dell’accelerazione . . . 18

2.3.2 Direzione dell’accelerazione . . . 18

2.3.3 Interpretazione geometrica del modello raffinato . . . 19

2.4 Confronto con i Modelli Precedenti di Accelerazione . . . 21

2.5 Componenti dell’accelerazione propulsiva nel sistema RTN . . . 22

3 Equazioni del Moto 24 3.1 Equazioni di Perturbazione . . . 25

3.1.1 Formulazione mediante i parametri orbitali classici . . . 25

3.1.2 Elementi orbitali equinoziali modificati . . . 26

(7)

INDICE v

3.1.4 Formulazione mediante i parametri classici in funzione dei MEOE 29

4 Ottimizzazione Locale e Leggi di Controllo Localmente Ottime 30

4.1 Ottimizzazione Locale . . . 30

4.1.1 Accelerazione propulsiva tridimensionale . . . 31

4.1.2 Accelerazione propulsiva bidimensionale . . . 32

4.2 Ottimizzazione Locale di un Singolo Elemento Orbitale . . . 33

5 Implementazione dell’Ottimizzazione Locale 37 5.1 Ottimizzazione Locale di Due Elementi Orbitali . . . 37

5.1.1 Ottimizzazione del semiasse maggiore e dell’eccentricit`a . . . . 37

5.1.2 Ottimizzazione dell’inclinazione e dell’ascensione retta del no-do ascendente . . . 38

5.1.3 Differenza tra orbita di partenza circolare ed ellittica . . . 39

5.2 Controlli per Ridurre il Tempo di Volo . . . 41

5.2.1 Controlli nel caso an= 0 . . . 41

5.2.2 Controlli nel caso at= 0 . . . 43

5.2.3 Considerazioni finali . . . 45

5.3 L’Algoritmo Genetico . . . 45

5.3.1 In cosa consiste l’algoritmo genetico . . . 45

5.3.2 Come funziona l’algoritmo genetico . . . 46

5.3.3 Obiettivi e impostazioni dell’algoritmo genetico . . . 48

5.3.4 Risultati dell’ottimizzazione tramite algoritmo genetico . . . . 50

5.4 Ottimizzazione Locale Tridimensionale . . . 55

6 Scenari di Missione 59 6.1 Trasferimento Terra-Marte . . . 59

6.1.1 Analisi e risultati . . . 60

6.1.2 Confronto altri sistemi propulsivi . . . 61

6.2 Rendezvous con la Cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko . . . 65

6.2.1 La missione Rosetta/Philae . . . 66

6.2.2 Trasferimento con vela elettrica . . . 68

6.2.3 Differenze tra l’orbita terrestre e l’orbita di parcheggio . . . . 69

6.2.4 Confronto con i risultati presenti in letteratura . . . 76

6.3 Rendezvous con la cometa 1P/Halley . . . 77

6.3.1 Prima fase . . . 77

6.3.2 Seconda e terza fase . . . 79

6.3.3 Quarta fase . . . 84

6.3.4 Riepilogo e confronto con i risultati presenti in letteratura . . 85

(8)

INDICE vi

Bibliografia 98

Elenco delle Figure 101

(9)

Capitolo

1

Introduzione

L’obiettivo di questo capitolo introduttivo `e quello di presentare brevemente i principali sistemi propulsivi a bassa spinta, dedicando particolare attenzione alla vela elettrica, il sistema propulsivo studiato in questa tesi. Per ogni sistema verr`a spiegato il principio di funzionamento e le prestazioni che pu`o raggiungere. Infine verr`a fatto un confronto numerico fra i sistemi propulsivi tradizionali e la vela elettrica.

1.1

Sistemi Propulsivi a Bassa Spinta

Sono tre i principali sistemi propulsivi che possono essere utilizzati nell’ambiente spaziale:

• motori a razzo, chimici o elettrici;

• vela solare;

• vela elettrica.

Fra questi i motori a razzo possono essere classificati a seconda del processo di accelerazione che genera la spinta o a seconda del generatore che fornisce energia al sistema propulsivo. Un parametro che permette di confrontare le prestazioni di questi generatori di spinta `e la velocit`a efficace di scarico, definita come segue:

ve=

k ~T k ˙

m (1.1)

dove k ~T k `e il modulo della spinta agente sul razzo e ˙m `e la portata di propellente. Nell’ambiente spaziale `e ragionevole assumere che la spinta sia l’unica forza agente sul satellite quando il razzo `e acceso. La velocit`a efficace di scarico dipende dalla tipologia del sistema propulsivo ed `e spesso assunta costante. Maggiore `e questo

(10)

1.1 Sistemi Propulsivi a Bassa Spinta 2

valore, maggiore risulta l’impulso totale fornito dal sistema a parit`a di massa di carburante, come vedremo pi`u avanti.

Nel caso di razzi classificati in base al processo di accelerazione, la spinta pu`o essere ottenuta mediante:

• processi gasdinamici, ve∼pT /M, dove T `e la spinta ed M la massa molare

dei prodotti di scarico;

• processi elettrostatici, ve ∼p2qV /m, dove (q, m) sono la carica e la massa

delle particelle accelerate mentre V `e la differenza di potenziale del sistema;

• processi elettromagnetici, ve ∼ I2/ ˙m, dove I `e la corrente ed ˙m la portata

in uscita.

La forma di energia fornita ai generatori di spinta pu`o essere:

• nucleare, che sfrutta solo i processi gasdinamici;

• chimica, tramite propellente solido o liquido, che sfrutta solo processi ga-sdinamici;

• elettrica, che pu`o sfruttare processi gasdinamici, elettrostatici o elettroma-gnetici.

I razzi nucleari non vengono mai utilizzati con un generatore che fornisce questo tipo di energia poich´e risulta pi`u conveniente alimentare un razzo elettrico, che ha valori pi`u alti della velocit`a efficace di scarico; inoltre, per motivi di sicurezza, l’energia nucleare viene utilizzata solo quando non ci sono alternative valide. I razzi chimici a propellente solido vengono impiegati solo per applicazioni ad alta spinta, mentre i propellenti chimici a propellente liquido sono pi`u flessibili e la loro spinta varia da valori molto bassi a valori molto alti. I razzi elettrici, cos`ı come la vela elettrica e la vela solare, sono esclusivamente sistemi propulsivi a bassa spinta. La Fig. 1.1 mostra la classificazione dei motori a razzo.

Passiamo ora a descrivere singolarmente i sistemi propulsivi a bassa spinta.

1.1.1 Razzi a propellente liquido

I componenti principali di questo sistema propulsivo sono: i depositi di carburan-te, la camera di combustione e l’ugello. La pressione in camera di combustione deve essere quella pi`u alta possibile poich´e permette di ottenere maggiori velocit`a di scarico:

T = ˙m ve' Au(pe− p0) + ˙m vex (1.2)

dove Au `e la sezione di uscita dell’ugello, pe`e la pressione di scarico, p0 = 0 `e la

(11)

1.1 Sistemi Propulsivi a Bassa Spinta 3

Figura 1.1: Classificazione dei razzi (Figura tratta da: [1]).

la portata in uscita, vex`e la velocit`a di scarico.

La pressurizzazione in camera di combustione viene generata da turbomacchine o tramite pressurizzazione dei serbatoi. Nel caso spaziale, escludendo i lanciatori, si preferisce ricorrere alla seconda opzione. La camera di combustione deve essere sufficientemente lunga da permettere lo svolgimento delle reazioni chimiche tra i propellenti ma non troppo lunga in modo da non appesantire il satellite e gene-rare inutili perdite di carico. La funzione dell’ugello, un condotto convergente-divergente, `e quella di accelerare il gas di scarico a velocit`a supersoniche in modo da convertire la pressione statica in energia cinetica e generare cos`ı la spinta. Questi sistemi, nel caso di bassa spinta, possono essere utilizzati per controllare l’assetto del satellite, mentre nel caso di spinta medio-alta possono costituire il sistema propulsivo principale. La velocit`a efficace di scarico ve di questi sistemi

varia di solito fra i 2000 e i 3500 m/s. Nel caso di razzi bipropellente per satel-liti gli ossidanti pi`u comuni sono acqua ossigenata e tetrossido di azoto (N2O4),

mentre i comburenti pi`u comuni sono idrazina (N2H4) e metano. Nel caso di

razzi monopropellente si usa idrazina o acqua ossigenata. La Fig. 1.2 mostra lo schema di un razzo bipropellente liquido con serbatoi pressurizzati.

1.1.2 Razzi elettrotermici

In questa categoria rientrano i getti a resistenza e i getti ad arco. Il funzionamen-to `e lo stesso dei razzi a propellente liquido ma in questo caso il propellente viene

(12)

1.1 Sistemi Propulsivi a Bassa Spinta 4

Figura 1.2: Schema di un razzo bipropellente liquido con serbatoi pressurizzati (Figura tratta da: [2]).

portato ad alte temperature non da una combustione ma da una serie di resisten-ze elettriche (getti a resistenza) o da una scarica tra due elettrodi di tungsteno (getti ad arco).

I getti a resistenza [3] hanno una velocit`a efficace di scarico che non supera i 3500 m/s, per`o il loro funzionamento `e molto semplice e non richiede voltaggi elevati, rendendo questo tipo di propulsori adatti per controllare l’assetto di un satellite ma anche per l’inserimento in orbita e il deorbiting dei satelliti in LEO. I propel-lenti pi`u comuni sono ammoniaca, idrazina (N2H4), acqua e anidride carbonica. I

vincoli principali agenti su questo sistema sono dovuti alla temperatura massima raggiungibile in camera di combustione, che non pu`o superare i 3000 ◦C. I getti a resistenza sono stati fra i primi motori ad essere utilizzati nella storia della propulsione elettrica spaziale; infatti molte configurazioni risalgono agli anni ’60 e il primo volo spaziale risale al 1965 (Air Force Vela satellites). Tuttavia il loro utilizzo su satelliti commerciali cominci`o negli anni ’80 con il lancio della costel-lazione INTELSAT-V.

I getti ad arco [3] possono svolgere gli stessi compiti dei getti a resistenza ma in modo pi`u efficace, essendo un’evoluzione di questi ultimi. I getti ad arco sono stati utlizzati per la prima volta nella costellazione Telstar-4, lanciata in orbita geostazionaria nel 1993, e la loro velocit`a efficace di scarico varia tra i 5000 e i 10000 m/s. Il gas pu`o raggiungere temperature di 10000 K dato che non `e a contatto con le pareti della camera in cui avviene la scarica. I propellenti pi`u comuni sono idrazina e ammoniaca. La Fig. 1.3 mostra uno schema di questi razzi. Anche in questo caso la spinta si ricava dalla (1.2).

(13)

1.1 Sistemi Propulsivi a Bassa Spinta 5

(a) (b)

Figura 1.3: Razzi elettrotermici: (a) schema di un getto a resistenza (Figura tratta da: [4]); (b) schema di un getto ad arco (Figura tratta da: [5]).

1.1.3 Razzi elettrostatici

Fanno parte di questa tipologia i motori a ioni con griglia, i propulsori elettrici a emissione di campo (FEEP), i motori a colloidi e i motori a effetto Hall.

Nei motori a ioni con griglia [6] gli ioni vengono generati grazie a un bombarda-mento elettronico nella camera di scarica. Al centro di questa camera cilindrica `

e presente un catodo che emette elettroni mentre la parete esterna `e formata da un guscio anodico. All’interno della camera `e presente un campo magnetico ra-diale e azimutale che vincola gli elettroni a girare intorno al catodo della camera abbastanza a lungo da ionizzare il gas propellente immesso al suo interno e di-rezionarlo, una volta ionizzato, verso le griglie di accelerazione presente a valle. Di solito vengono utilizzate due griglie: la prima, lo schermo, `e mantenuta a un potenziale positivo abbastanza elevato in modo da migliorare il processo di estra-zione degli ioni e aumentare l’intensit`a di corrente che pu`o essere mantenuta; la seconda `e mantenuta a un potenziale pi`u basso e accelera gli ioni positivi alla velocit`a voluta. Il raggio ionico proveniente dalla griglia di accelerazione va neu-tralizzato altrimenti gli ioni tornerebbero all’interno della camera e non verrebbe generata la spinta. Questo avviene grazie a un flusso di elettroni generato in un altro catodo all’esterno della camera di scarica. I propellenti pi`u utilizzati sono xenon, mercurio e cesio. I primi utilizzi di questi razzi nello spazio risalgono al 1997 con il satellite americano per le telecomunicazioni Intelsat 5, in cui il mo-tore a ioni venne utilizzato per il mantenimento dell’orbita geostazionaria, e al 1998 con il lancio della costellazione giapponese COMETS in cui vennero usati i motori a ioni per NSSK (North South Station Keeping). Per quanto riguarda le prestazioni, questi motori presentano velocit`a efficaci di scarico che variano tra 25000 e 50000 m/s.

(14)

1.1 Sistemi Propulsivi a Bassa Spinta 6

La propulsione elettrica a emissione di campo (FEEP) crea un grande campo elet-trico sulle pareti di una fessura circolare in cui il propellente scorre per capillarit`a; il dispositivo nel suo complesso viene chiamato emettitore. Questo processo per-mette di ionizzare direttamente un metallo che si trova in fase liquida e di creare un raggio ionico che pu`o essere accelerato a velocit`a estremamente elevate da un campo elettrico presente tra l’emettitore e un elettrodo acceleratore. Come nel caso dei motori a ioni con griglia, il fascio ionico va neutralizzato con un fascio di elettroni provenienti da un catodo neutralizzatore. Il propellente utilizzato `

e il cesio, che ha una grande massa atomica, basso potenziale di ionizzazione e basso punto di fusione (28.4 ◦C). Il FEEP pu`o essere utilizzato per il corretto dispiegamento e mantenimento dei cavi della vela elettrica [7]. Tuttavia ad oggi questo sistema non ha mai volato nello spazio.

I motori a colloidi hanno lo stesso principio di funzionamento dei FEEP ma al posto di accelerare ioni di cesio vengono accelerate piccole gocce di un liquido elettricamente carico. Questo sistema ha volato per la prima volta nel 2015 con la missione dell’ESA LISA Pathfinder, in cui questi motori hanno dovuto man-tenere il satellite a una distanza fissa dalla Terra per permettere lo studio delle onde gravitazionali.

L’effetto Hall [6] si manifesta in un qualsiasi acceleratore elettromagnetico ope-rante con una densit`a di plasma sufficientemente bassa o con un campo magnetico sufficientemente alto, in queste condizioni la corrente indotta devia dalla direzione del campo elettrico e acquisisce una componente nella direzione ~E × ~B [8]. Questo effetto deriva dalla capacit`a della corrente elettronica di eseguire gran parte del loro moto cicloidale sotto l’effetto incrociato del campo elettrico e magnetico pri-ma di trasferire la loro quantit`a di moto alle particelle pi`u pesanti, che vengono poi accelerate in direzione del campo elettrico. Anche in questo caso `e necessario neutralizzare il fascio di ioni in uscita con un fascio di elettrodi prodotto dal ca-todo neutralizzatore. In una situazione ideale il campo magnetico `e puramente radiale, il campo elettrico `e puramente assiale e la corrente `e strettamente azi-mutale, generando quindi una spinta puramente assiale. Il propellente che viene normalmente utilizzato `e lo xenon. La velocit`a efficace di scarico varia fra 14000 e 24000 m/s. Il primo volo di questi motori risale 1971 sul satellite russo Meteor in cui fu usato il modello SPT-60. I motori a effetto Hall sono, insieme ai motori a ioni con griglia, i motori elettrici pi`u affidabili e pi`u utilizzati in ambito spaziale. La Fig. 1.4 mostra gli schemi dei motori descritti in questo paragrafo. Per questi razzi la spinta `e data dalla eq. (1.2).

(15)

1.1 Sistemi Propulsivi a Bassa Spinta 7

(a) (b)

(c) (d)

Figura 1.4: Razzi elettrostatici: (a) schema di un motore a ioni con griglia (Figura tratta da: [9]); (b) schema di propulsore a emissione di campo (Figura tratta da: [10]); (c) schema di un motore a colloidi (Figura tratta da: [1]); (d) schema di un motore a effetto Hall (Figura tratta da: [1]).

1.1.4 Razzi elettromagnetici

Rientrano in questa categoria i motori magnetoplasmadinamici (MPDT) e i mo-tori a plasma pulsato (PPT).

Gli MPDT basano il loro funzionamento sulla forza di Lorentz: quando una ca-rica q si muove con una velocit`a ~u in presenza di un campo elettrico ~E e di un campo magnetico ~B non subisce solo l’accelerazione dovuta al campo elettrico ma la forza agente su di essa risulta: ~F = q  ~E + ~u × ~B[11]. Gli MPDT hanno un catodo centrale e un anodo cilindrico che forma la camera di scarica. Un arco elettrico fra i due elettrodi ionizza il gas propellente per generare il plasma. Il campo magnetico `e autogenerato dalla corrente elettrica che ritorna alla fonte di potenza attraverso il catodo, producendo la forza di Lorentz che spinge il plasma in direzione assiale fuori dal motore. Non `e necessario un catodo neutralizzatore perch´e la forza di Lorentz accelera nella stessa direzione e verso sia gli ioni che

(16)

1.1 Sistemi Propulsivi a Bassa Spinta 8

gli elettroni, quindi il flusso in uscita ha una carica globale nulla. La spinta T generata da questo motore `e data da [11]:

T = b J2 (1.3)

dove b dipende dalla geometria e J `e la corrente nel motore. Il propellente pi`u comune `e il litio e si possono ottenere velocit`a efficaci di scarico tra i 15000 e i 45000 m/s. Il primo e unico volo di un MPDT nello spazio risale al 1995, a bordo del Japanese Space Flyer Unit come parte dell’Electric Propulsion EXperiment (EPEX). Nonostante lo scarso impiego fino ad oggi, questi motori sono oggetto di uno studio intenso per risolvere i molti problemi di instabilit`a che li affliggono dato che potrebbero raggiungere velocit`a efficaci di scarico dell’ordine di 100000 m/s e delle spinte superiori a qualsiasi altro motore elettrico che pu`o essere uti-lizzato nel settore spaziale.

Nei PPT [3] la superficie di un blocco polimerico, di solito teflon, viene erosa da una scarica intermittente provocata da due elettrodi posizionati vicino al propel-lente. Il materiale asportato viene accelerato dalla forza di Lorentz autoindotta. Questo propulsore `e stato il primo motore elettrico ad operare in orbita: infatti nel 1964 la sonda sovietica Zond-2 ha usato questi motori per il controllo di asset-to del satellite. Gli Stati Uniti hanno utilizzaasset-to per la prima volta questi moasset-tori nel 1968 per EWSK (East West Station Keeping) del satellite LES-6. Attualmen-te questi motori possono avere velocit`a efficaci di scarico fino a 14000 m/s [12]. In Fig. 1.5 sono mostrati gli schemi di MPDT e PPT.

1.1.5 La vela solare

La vela solare, o vela fotonica, sfrutta la quantit`a di moto dei fotoni costituenti la radiazione solare che vengono riflessi dalla suoerficie della vela. Il modulo dell’accelerazione propulsiva puramente radiale che questo sistema `e in grado di fornire varia secondo la seguente formula [14]:

a = ηpsA

m (1.4)

dove:

• η `e l’efficienza della vela;

• ps `e la pressione di radiazione solare;

• A `e l’area della superficie riflettente della vela;

(17)

1.1 Sistemi Propulsivi a Bassa Spinta 9

(a)

(b)

Figura 1.5: Razzi elettromagnetici: (a) schema di un motore magnetoplasmadina-mico (Figura tratta da: [1]); (b) schema di un motore a plasma pulsato (Figura tratta da: [13]).

La pressione di radiazione solare alla distanza di una unit`a astronomica dal Sole risulta:

ps=

2 Is

c (1.5)

dove Is= 1367 W/m2`e la costante solare mentre c = 299792458 m/s `e la velocit`a

di propagazione della luce nel vuoto. L’efficienza della vela solare `e il rapporto tra l’accelerazione propulsiva effettiva e quella che si avrebbe nel caso di vela ideale, in cui la riflettivit`a `e pari a 1 e la riflessione perfettamente speculare. Poich´e il flusso solare scala con una legge del tipo r−2, l’accelerazione ottenibile con una vela solare diventa [14]:

~a = η2 IsA c m r r 2 (ˆr · ˆn)2ˆn (1.6) dove:

• r⊕ = 1 AU `e la distanza media della Terra dal Sole;

(18)

1.2 La Vela Elettrica 10

• ˆr `e il versore radiale locale;

• ˆn `e il versore normale al piano nominale della vela.

La prima sonda a volare con successo usando la vela solare come sistema pro-pulsivo primario `e stata IKAROS della JAXA, lanciata il 21 maggio 2010, con l’obiettivo di effettuare un sorvolo ravvicinato del pianeta Venere, avvenuto circa sei mesi dopo il lancio. Per questo sistema propulsivo non `e possibile definire una velocit`a efficace di scarico dato che non consuma carburante e la massa del satellite rimane costante. La Fig. 1.6 mostra una ricostruzione al computer della sonda IKAROS vicino a Venere.

Figura 1.6: Ricostruzione grafica della sonda IKAROS vicino Venere (Figura tratta da: [15]).

1.2

La Vela Elettrica

La vela elettrica genera una spinta sfruttando la quantit`a di moto delle particelle elettricamente cariche che costituiscono il vento solare. Esse sono prevalentemen-te protoni, elettroni e particelle α che si allontanano dal Sole alla velocit`a media di 400 km/s. Nelle vicinanze della vela queste particelle interagiscono con un campo eletrostatico generato a bordo del veicolo spaziale grazie a una rete di cavi elettricamente carichi, scambiando con essi quantit`a di moto.

Secondo le simulazioni plasmadinamiche [16] [17], la forza esercitata su un cavo elettricamente carico `e pari a circa 500 nN/m a un potenziale V = 20 kV e a una

(19)

1.3 Confronto tra i sistemi propulsivi 11

distanza di una unit`a astronomica dal Sole; quindi bisogna usare cavi molto lun-ghi per avere livelli di spinta accettabili. Per esempio, con una lunghezza totale dei cavi pari a 2000 km, si avrebbe una spinta di 1 N. Se la massa complessiva del satellite fosse pari a 1000 kg si avrebbe un’accelerazione di 1 mm/s2.

Il potenziale elettrico dei cavi `e mantenuto da un dispositivo chiamato electron gun, che emette nello spazio una corrente continua di elettroni ed `e alimentato da pannelli solari o da generatori a radioisotopi (RTG). L’electron gun arriva a consumare circa 1000 W [7] di potenza nel caso pi`u gravoso considerato in cui la massa del carico utile `e mpay = 300 kg e l’accelerazione massima fornita a una

unit`a astronomica `e ac = 1 mm/s2. Quindi la vela elettrica non `e un sistema

propulsivo passivo come la vela solare. La Fig. 1.7 mostra uno schema della vela elettrica.

Figura 1.7: Schema della vela elettrica (Figura tratta da: [18]).

A differenza della vela solare, la vela elttrica permette di modulare la spinta cam-biando il potenziale elettrico dei cavi o addirittura di spegnerla quando necessario. L’unico modo per spegnere la vela solare `e ruotarla in modo che il versore normale al piano nominale della vela sia perpendicolare al versore radiale; questa manovra richiede un sistema di controllo di assetto abbastanza complesso.

Utilizzando una vela la spinta ottenibile `e molto bassa ma `e disponibile per tutta la durata della missione; questo `e un grosso vantaggio per le missioni di lunga durata che richiederebbero molto propellente con razzi chimici. Nel prossimo pa-ragrafo vengono confrontati i sistemi propulsivi a bassa spinta.

1.3

Confronto tra i sistemi propulsivi

Prima di tutto `e necessario riportare l’equazione monodimensionale del razzo (o equazione di Tsiolkowsky), che mette in relazione la variazione di velocit`a di un

(20)

1.3 Confronto tra i sistemi propulsivi 12

satellite con la massa di propellente necessaria a effettuare la manovra [19]:

∆v = ve ln  1 + mp mf  (1.7) dove:

• ve `e la velocit`a efficace di scarico definita dalla eq. (1.1);

• mp `e la massa di carburante consumata durante la manovra;

• mf `e la massa complessiva del satellite alla fine della manovra.

Questa espressione non si pu`o applicare se il satellite `e spinto da una vela elet-trica o solare; in questo caso `e necessario definire una velocit`a efficace di scarico equivalente per poter confrontare le vele con gli altri sistemi propulsivi [14].

ve= ∆v ln  m0 m0− mprop  = Rtf t0 a dt ln  m0 m0− mprop  (1.8) dove:

• m0 `e la massa complessiva del satellite;

• mprop `e la massa della vela;

• a `e l’accelerazione propulsiva;

• (t0, tf) sono gli istanti in cui viene rispettivamente accesa e spenta la vela.

Assumendo che l’accelerazione sia costante durante tutta la durata della manovra, l’eq. (1.8) diventa: ve= a (tf − t0) ln  m0 m0− mprop  (1.9)

Utilizzando i dati presenti in [7], con un’accelerazione di 1 mm/s2 e un carico utile di 300 kg si ottiene:

ve= 0.308 · 10−3∆t m/s2= 10000 m/s se ∆t = 1.029 anni (1.10)

In questo caso la variazione complessiva di velocit`a indotta dalla vela `e:

∆v = veln  m0 m0− mprop  = 3080 m/s. (1.11)

Per ottenere la stessa variazione di velocit`a con un propulsore chimico che ha una velocit`a efficace di scarico di 3000 m/s bisogna avere:

mp mf = exp ∆v ve  − 1 = 1.792 ⇒ mp = 1311 kg se mf = m0− mprop (1.12)

(21)

1.3 Confronto tra i sistemi propulsivi 13

Questi numeri stanno a dimostrare che la scelta della vela elettrica `e giustificata in scenari di lunga durata e permette di risparmiare tonnellate di carburante. Spesso, per risparmiare carburante vengono effettuate manovre di incontro iper-bolico con alcuni pianeti del Sistema Solare. Con una vela elettrica o solare la capacit`a di generare spinta `e illimitata e si possono evitare gli incontri iperbolici, semplicando notevolmente le traiettorie di trasferimento interplanetarie.

(22)

Capitolo

2

Modello di Accelerazione Propulsiva

Le prestazioni di una vela elettrica sono definite in base all’accelerazione caratteri-stica, cio`e il massimo modulo dell’accelerazione propulsiva ottenuto alla distanza di riferimento di una unit`a astronomica dal Sole. Essa non tiene conto delle rapide fluttuazioni del vento solare e quindi deve essere considerata un valore nominale [20].

L’attuale sviluppo tecnologico consente di produrre una vela in grado di generare una spinta di 1.16 N [7] [21], quindi l’accelerazione caratteristica ottenibile varia in funzione della massa del veicolo spaziale su cui questa spinta agisce.

In questo capitolo vengono descritti i principali modelli di spinta proposti fino ad oggi, dedicando particolare attenzione al modello usato per ottenere i risultati descritti in questa tesi. Viene anche fatto un confronto tra il modello utilizzato e gli altri modelli proposti.

2.1

Il Modello r

−7/6

In base ai primi studi condotti da Pekka Janhunen [22] la spinta puramente radiale ottenibile con una vela elettrica `e proporzionale a r−7/6 ed `e data da:

~a = ac r r 7/6 ˆ r (2.1) dove: • ac`e l’accelerazione caratteristica,

• r⊕ = 1 AU `e il semiasse maggiore dell’orbita terrestre, r `e la distanza della

vela dal Sole,

(23)

2.2 Modello Raffinato 15

Nel caso generale, in cui la spinta non `e puramente radiale, bisogna introdurre l’angolo di cono α, cio`e l’angolo compreso tra la direzione dell’accelerazione e la radiale locale [23]. L’accelerazione propulsiva diventa:

~a = ac r r 7/6 ˆ a (2.2)

L’assetto della vela `e definito dall’angolo di assetto, cio`e l’angolo acuto formato tra la direzione normale al piano nominale della vela e il versore radiale locale:

αn= arccos (ˆr · ˆn) ∈ h 0, π 2 i (2.3)

In particolare, in base alle simulazioni plasmadinamiche [24], la forza propulsiva agisce lungo la bisettrice dell’angolo di assetto. Per la necessit`a di prevenire possibili instabilit`a meccaniche correlate ad un valore troppo grande dell’angolo di assetto, esiste un valore massimo ammissibile di αn (αnmax) [25]:

αn= arccos (ˆr · ˆn) ≤ αnmax ' 70

(2.4)

2.2

Modello Raffinato

Intorno al 2010, ulteriori indagini hanno messo in evidenza una variazione del modulo dell’accelerazione propulsiva secondo una legge del tipo r−1 [17] [21]:

~a = ac r r  ˆ a (2.5)

Il modello descritto in questa sezione si basa sui risultati delle analisi numeriche ottenute da Yamaguchi e Yamakawa [26]. In questo modello il modulo dell’ac-celerazione varia come r−1 e dipende dall’angolo di assetto della vela; inoltre la direzione di applicazione della spinta non coincide con quella della bisettrice del-l’angolo di assetto.

2.2.1 Modulo dell’accelerazione

Il modulo dell’accelerazione `e definito dalla seguente relazione:

a = acγ r r  τ (2.6) dove: • ac`e l’accelerazione caratteristica,

(24)

2.2 Modello Raffinato 16

• γ `e un coefficiente adimensionale che dipende da αn

• r⊕ = 1 AU `e il semiasse maggiore dell’orbita terrestre, r `e la distanza della

vela dal Sole,

• τ `e il parametro di accensione della vela:

– τ = 1 se la vela `e accesa – τ = 0 se la vela `e spenta

dove per vela “accesa” o “spenta” si intende una situazione in cui la vela fornisce (o non fornisce) una spinta propulsiva. In linea di principio il parametro τ pu`o variare con continuit`a tra 0 e 1, in funzione del potenziale elettrico dei cavi, ma per questa tesi bengono considerati solo i valori estremi 0 e 1.

Il parametro γ `e il rapporto tra il modulo dell’accelerazione e il massimo valore dell’accelerazione ottenibile alla distanza r considerata:

γ = k~ak ac(r⊕/r)

(2.7)

Il parametro γ dipende dall’angolo di assetto αn. La seguente formula `e ottenuta

per interpolazione dei dati delle simulazioni plasmadinamiche [26]:

γ = c6αn6 + c5α5n+ c4α4n+ c3α3n+ c2α2n+ c1αn+ c0 (2.8)

dove l’angolo αn`e espresso in gradi. I valori dei coefficienti adimensionali ci sono

riportati nella Tab. 2.1.

i 0 1 2 3 4 5 6

ci 1 6.904·10−5 -1.271·10−4 7.027·10−7 -1.261·10−8 1.943·10−10 -5.896·10−13 Tabella 2.1: Valori dei coefficienti ci.

Si pu`o osservare dalla Fig. 2.1 che il modulo della spinta si ridure circa del 50% quando αn= 90 gradi.

2.2.2 Direzione dell’accelerazione

La direzione di applicazione dell’accelerazione data dalla vela elettrica `e definita da due angoli: l’angolo di cono α e l’angolo di clock δ.

L’angolo di cono dell’accelerazione α `e definito come l’angolo compreso tra la direzione della spinta e la direzione radiale locale. Esso dipende dall’assetto della vela secondo la seguente espressione [26]:

(25)

2.2 Modello Raffinato 17 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 1.1

Figura 2.1: Valori del parametro γ nel modello raffinato.

i 0 1 2 3 4 5 6

bi 0 4.853·10−1 3.652·10−3 -2.661·10−4 6.322·10−6 -8.295·10−8 3.681·10−10 Tabella 2.2: Valori dei coefficienti bi.

dove, nuovamente, l’angolo di assetto `e espresso in gradi. I valori dei coefficienti adimensionali bi che compaiono nell’equazione sono riportati nella Tab. 2.2.

La Fig. 2.2 riporta il grafico di α in funzione dell’angolo di assetto αn. In base

a questo modello la spinta appartiene a un cono coassiale con la congiungente Sole-Terra e di angolo di semiapertura di poco inferiore a 20 gradi. Dalla Fig. 2.2 si osserva che a ciascun valore di α corrispondono due valori di αn. L’angolo di

assetto corrispondente alla spinta massima `e quello minore, per valori compresi tra 0 e 55 gradi. Per prevenire instabilit`a meccaniche si pone un vincolo sul massimo valore dell’angolo di assetto, il quale non deve eccedere i 60 gradi. L’angolo di clock δ `e l’angolo compreso tra la proiezione della spinta sul piano orizzontale locale e la direzione del momento angolare ~h dell’orbita osculatrice, misurato in senso orario con il Sole alle spalle. Il momento angolare ~h `e il prodotto vettoriale tra la posizione ~r e la velocit`a ~v:

~h = ~r × ~v (2.10)

(26)

2.3 Evoluzione del Modello Raffinato 18 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20

Figura 2.2: Valori del parametro γ nel modello raffinato.

2.3

Evoluzione del Modello Raffinato

In questa sezione viene descritto il modello utilizzato per ottenere i risultati de-scritti in questa tesi. La legge di controllo `e sempre proporzionale a r−1 e dipende dall’angolo di assetto della vela. Inoltre la direzione della spinta non coincide con la direzione della bisettrice dell’angolo di assetto. Il vettore accelerazione `e definito da [23]: ~a = τ ac 2 r r  [ˆr + (ˆr · ˆn) ˆn] (2.11) dove ˆn `e il versore normale al piano nominale della vela.

2.3.1 Modulo dell’accelerazione

Il modulo dell’accelerazione `e sempre definito dalla (2.6), la differenza sta nella definizione del parametro γ [23]:

γ = k~ak τ ac(r⊕/r) = √ 1 + 3 cos2α n 2 (2.12)

dove αn `e l’angolo di assetto.

2.3.2 Direzione dell’accelerazione

L’angolo di cono α non `e pi`u definito dalla (2.9) ma dalla seguente [23]:

α = arccos ~a · ˆr a  = arccos  1 + cos2αn √ 1 + 3 cos2α n  (2.13)

(27)

2.3 Evoluzione del Modello Raffinato 19

dove αn `e l’angolo di assetto.

L’angolo di clock δ `e definito come nel modello raffinato e varia fra 0 e 360 gradi.

2.3.3 Interpretazione geometrica del modello raffinato

Questo modello si presta a un’importante interpretazione grafica [23]. Prima di procedere `e necessario definire le componenti normalizzate dell’accelerazione:

       ˜ ar= k~ark ac(r⊕/r) ˜ at= k~atk ac(r⊕/r) (2.14) dove:

• ˜ar`e la componente radiale normalizzata,

• ˜atnon `e allineata con il versore ˆet ma `e la componente perpendicolare alla

radiale locale.

La componente ˜ar = ˜ar(˜at) descrive una semicirconferenza nel piano (˜at, ˜ar) con

raggio R e centro C = (0, d). Quindi, un vettore che parte dall’origine e termina su un generico punto P appartenente alla semicirconferenza rappresenta, quando τ = 1, l’accelerazione propulsiva adimensionale

˜

~a = ~a ac(r⊕/r)

il cui angolo di cono α coincide con l’angolo compreso tra l’asse delle ordinate e il segmento oP, mentre l’angolo di assetto αn coincide con la met`a dell’angolo

compreso tra l’asse delle ordinate e il segmento CP. Tutto questo `e illustarto nella Fig. 2.3.

Questo approccio grafico si pu`o utilizzare anche per determinare l’assetto otti-male che massimizza la proiezione di ~a lungo la direzione di un vettore ~p. Questo equivale a massimizzare il funzionale:

J = ~a · ~p (2.15)

La massima proiezione di ~a/τ lungo ~p si ottiene tracciando il segmento PH che `

e sia tangente alla semicirconferenza che perpendicolare a ~p. Poich´e CP e oH sono segmenti paralleli, segue che αp = 2α∗n, dove αp `e l’angolo compreso tra

l’asse delle ordinate e il segmento oH, mentre α∗n `e l’angolo di assetto ottimo che massimizza il differenziale.

Se il vettore ~p appartiene alla zona grigia, allora si verifica la condizione τ = 0, come mostrato in Fig. 2.4. Queste considerazioni valgono anche per il modello

(28)

2.3 Evoluzione del Modello Raffinato 20

Figura 2.3: Interpretazione geometrica del modello raffinato (Figura tratta da: [23]).

Figura 2.4: Interpretazione geometrica di massimizzazione di ~a · ~p nel modello raffinato (Figura tratta da: [23]).

(29)

2.4 Confronto con i Modelli Precedenti di Accelerazione 21

raffinato descritto nella sezione precedente, solo che d ed R assumono rispettiva-mente i valori di 0.7477 e 0.2523.

2.4

Confronto con i Modelli Precedenti di Accelerazione

Molti modelli assumono che l’accelerazione vari come r−7/6mentre in realt`a essa varia come r−1. Un modello dell’ultimo tipo garantisce prestazioni migliori a distanze maggiori di 1 AU mentre offre prestazioni peggiori per r < 1 AU, come mostrato in Fig. 2.5. In questo confronto `e stato imposto γ = 1 e vale se si usa lo

0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 5.5 6 0.8 0.85 0.9 0.95 1 1.05 1.1 1.15 1.2 1.25 1.3 1.35

Figura 2.5: Rapporto del modulo dell’accelerazione a parit`a di accelerazione caratteristica e per γ = 1 tra il modello raffinato e il modello r−7/6.

stesso valore di accelerazione caratteristica per entrambi i modelli. Il parametro γ deve essere posto uguale a uno poich´e nel modello raffinato l’accelerazione va-ria in funzione dell’angolo di assetto mentre nel modello r−7/6 essa varia solo in funzione di r. Inoltre esiste una differenza per quanto riguarda l’angolo di cono: nel modello raffinato α `e minore di 20 gradi mentre nel modello r−7/6 il limite superiore `e assunto per motivi di stabilit`a uguale a 35 gradi.

Come `e stato detto nella sezione precedente, la differenza tra il modello raffinato e la sua evoluzione sta nella dipendenza del parametro γ e dell’angolo di cono in funzione dell’angolo di assetto. Questa differenza `e minima ed `e illustrata nelle Fig. 2.6 e 2.7.

(30)

2.5 Componenti dell’accelerazione propulsiva nel sistema RTN 22 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9 1 1.1 modello raffinato evoluzione

Figura 2.6: Confronto fra i valori del parametro γ nel modello raffinato e nella sua evoluzione. 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 modello raffinato evoluzione

Figura 2.7: Confronto fra i valori assunti dall’angolo di cono α nel modello raffinato e nella sua evoluzione.

2.5

Componenti dell’accelerazione propulsiva nel sistema

RTN

Definiamo le componenti dell’accelerazione propulsiva nel sistema di riferimento RTN. Il sistema di riferimento RTN `e un sistema di riferimento non inerziale,

(31)

2.5 Componenti dell’accelerazione propulsiva nel sistema RTN 23

ortonormale e con l’origine coincidente con il centro di massa della vela. I versori che compongono la terna RTN sono ˆer, ˆet ed ˆen:

• ˆer`e il versore radiale, parallelo e concorde con la congiungente Sole-vela,

• ˆen `e il versore normale, parallelo e concorde con il versore ˆh relativo al

momento angolare dell’orbita osculatrice,

• ˆet`e il versore tangenziale, definito in modo da formare con gli altri due una

terna levogira: ˆet= ˆen× ˆer

Nel caso pi`u generale le tre componenti di accelerazione sono tutte diverse da zero.

Le componenti di accelerazione possono essere espresse in termini del modulo dell’accelerazione e degli angoli α e δ con le seguenti relazioni, valide sia per il modello raffinato, sia per la sua evoluzione:

         ar= a cos α

at= −a sin α sin δ

an= a sin α cos δ

(2.16)

In alcuni casi particolari, quando il piano di applicazione della spinta `e quello orbitale o quello perpendicolare al piano orbitale, `e possibile ottenere dei modelli bidimensionali, pi`u comodi da utilizzare da un punto di vista computazionale. In questi casi non `e definito l’angolo δ, mentre si assume che l’angolo di assetto appartenga all’intervallo [−60, 60] gradi.

Se la spinta appartiene al piano orbitale l’accelerazione normale `e nulla e le re-stanti componenti possono essere riscritte come:

         ar= a cos α at= a sin α an= 0 (2.17) con α > 0 ⇔ ~a · ˆet≥ 0 e α < 0 ⇔ ~a · ˆet< 0.

Se invece la spinta appartiene al piano perpendicolare al piano orbitale la com-ponente tangenziale si annulla e le restanti componenti diventano:

         ar= a cos α at= 0 an= a sin α (2.18) con α ≥ 0 ⇔ ~a · ˆen≥ 0 e α < 0 ⇔ ~a · ˆen< 0.

(32)

Capitolo

3

Equazioni del Moto

In questo capitolo vengono descritte le equazioni che regolano la variazione dei parametri orbitali della vela durante la sua traiettoria. La vela `e trattata come un punto materiale soggetto alla forza gravitazionale dell’attrattore principale, il Sole, e all’accelerazione propulsiva della vela stessa. A ogni istante lo stato del satellite `e totalmente definito dai sei parametri orbitali classici, che sono:

• a `e il semiasse maggiore

• e `e l’eccentricit`a

• i `e l’inclinazione orbitale

• ω `e l’argomento del perielio

• Ω `e l’ascensione retta del nodo ascendente

• ν `e l’anomalia vera

La massa del sistema rimane costante durante tutto il percorso visto che la vela non consuma propellente.

L’intensit`a del campo gravitazionale del Sole alla distanza di una unit`a astronomi-ca vale cirastronomi-ca 5.93 mm/s2. Alla stessa distanza l’accelerazione massima propulsiva della vela coincide con la sua accelerazione caratteristica; in questa tesi il massimo valore di accelerazione caratteristica considerato `e 1 mm/s2, dunque all’incirca 6

volte pi`u piccola dell’attrazione gravitazionale del Sole. In questa situazione `e ragionevole trattare l’accelerazione della vela come un’accelerazione di disturbo e quindi utilizzare le equazioni di perturbazione, che verranno descritte nella pros-sima sezione.

(33)

3.1 Equazioni di Perturbazione 25

3.1

Equazioni di Perturbazione

3.1.1 Formulazione mediante i parametri orbitali classici

Nel seguito sono riportate le equazioni di disturbo, le quali esprimono le derivate temporali dei parametri orbitali classici in funzione di un’accelerazione di distur-bo, le cui componenti sono ar, at e an espresse nel sistema RTN, descritto nel

capitolo precedente [19].                                                    da dt = 2 s a3 µ (1 − e2) [e sin ν ar+ (1 + e cos ν) at] de dt = r p µ

[sin ν ar+ (cos ν + cos E) at]

di dt = r p µ cos u 1 + e cos ν an dω dt = r p µ  −cos ν e ar+ 2 + e cos ν e (1 + e cos ν)sin ν at− sin u cot i 1 + e cos ν an  dΩ dt = r p µ sin u (1 + e cos ν) sin ian dν dt = h r2 + 1 eh[p cos ν ar− (p + r) sin ν at] (3.1) dove:

• µ = 1.3271244 · 1020 m3/s2 `e il parametro gravitazionale del Sole

• p = a 1 − e2 `e il semilato retto • E = 2 arctanr 1 − e 1 + etan ν 2  ` e l’anomalia eccentrica

• u = ω + ν `e l’argomento della latitudine

• h `e il modulo del momento angolare

• r `e la distanza dal corpo attrattore

Si osservi che le derivate di ω e ν diventano singolari quando l’eccentricit`a tende a zero mentre la derivata di Ω diventa singolare quando l’inclinazione tende a zero o a 180 gradi. Per superare questa limitazione si utilizzano altre variabili di stato, eqivalenti alle prime, che vengono definite Elementi Orbitali Equinoziali Modificati (MEOE).

(34)

3.1 Equazioni di Perturbazione 26

3.1.2 Elementi orbitali equinoziali modificati

Gli elementi orbitali equinoziali modificati possono essere espressi in termini degli elementi orbitali classici e viceversa [28] [29].

Conversione dai parametri classici a quelli equinoziali

                                   p = a 1 − e2 f = e cos (Ω + ω) g = e sin (Ω + ω) h = tan i 2cos Ω k = tan i 2sin Ω L = ν + Ω + ω = Ω + u (3.2)

Conversione dai parametri equinoziali a quelli classici

                                     a = p 1 − f2− g2 e =pf2+ g2 i = 2 arctan√h2+ k2 tan Ω = k h tan ω = gh − f k f h + gk ν = L − Ω − ω (3.3)

3.1.3 Formulazione mediante i parametri equinoziali

Le equazioni scalari di perturbazione espresse mediante i parametri equinoziali possono essere espresse in forma vettoriale come segue [20] [27]:

d~x dt = A~a + ~c (3.4) dove: ~ x = p f g h k L T (3.5)

(35)

3.1 Equazioni di Perturbazione 27

`

e il vettore degli stati,

~a = ar at an

T

(3.6) `

e il vettore accelerazione propulsiva,

~c =√µ p  1 + f cos L + g sin L p 2  0 0 0 0 0 1 T (3.7) A = r p µ                           0 2p 1 + f cos L + g sin L 0

sin L (2 + f cos L + g sin L) cos L + f 1 + f cos L + g sin L −

g (h sin L − k cos L) 1 + f cos L + g sin L

− cos L (2 + f cos L + g sin L) sin L + g 1 + f cos L + g sin L f (h sin L − k cos L) 1 + f cos L + g sin L 0 0 1 + h 2+ k2 cos L 2 (1 + f cos L + g sin L) 0 0 1 + h 2+ k2 sin L 2 (1 + f cos L + g sin L) 0 0 h sin L − k cos L 1 + f cos L + g sin L                           (3.8) Esplicitando l’equazione vettoriale (3.4) si ottengono le derivate temporali dei parametri equinoziali:                                                                        dp dt = r p µ 2p 1 + f cos L + g sin Lat df dt = pp/µ

1 + f cos L + g sin L[(1 + f cos L + g sin L) sin L ar+

+ f + 2 cos L + g cos L sin L + f cos2L at+ (gk cos L − gh sin L) an



dg dt =

pp/µ

1 + f cos L + g sin L[− (1 + f cos L + g sin L) cos L ar+

+ g + 2 sin L + f cos L sin L + g sin2L at+ (f h sin L − f k cos L) an

 dh dt = r p µ 1 + h2+ k2 cos L 2 (1 + f cos L + g sin L)an dk dt = r p µ 1 + h2+ k2 sin L 2 (1 + f cos L + g sin L)an dL dt = rµ p (1 + f cos L + g sin L)2 p − r p µ k cos L − h sin L 1 + f cos L + g sin Lan (3.9)

(36)

3.1 Equazioni di Perturbazione 28

Tenendo conto che p > 0 e 1 + f cos L + g sin L = p/r si pu`o concludere che le derivate (3.9) non diventano mai singolari.

Le equazioni (3.9) si semplificano notevolmente nel caso in cui alcune componenti di accelerazione sono nulle. La componente radiale non si pu`o annullare se non spegnendo la vela. Nel caso in cui la componente normale `e nulla e la spinta appartiene al piano orbitale le (3.9) diventano:

                                                       dp dt = r p µ 2p 1 + f cos L + g sin Lat df dt = pp/µ

1 + f cos L + g sin L[(1 + f cos L + g sin L) sin L ar+ + f + 2 cos L + g cos L sin L + f cos2L at

 dg

dt =

pp/µ

1 + f cos L + g sin L[− (1 + f cos L + g sin L) cos L ar+ + g + 2 sin L + f cos L sin L + g sin2L at

 dh dt = 0 dk dt = 0 dL dt = rµ p (1 + f cos L + g sin L)2 p (3.10)

Se invece `e la componente tangenziale ad annullarsi le (3.9) si riscrivono come:

                                                           dp dt = 0 df dt = pp/µ

1 + f cos L + g sin L [(1 + f cos L + g sin L) sin L ar+ + (gk cos L − gh sin L) an]

dg dt =

pp/µ

1 + f cos L + g sin L [− (1 + f cos L + g sin L) cos L ar+ + (f h sin L − f k cos L) an] dh dt = r p µ 1 + h2+ k2 cos L 2 (1 + f cos L + g sin L)an dk dt = r p µ 1 + h2+ k2 sin L 2 (1 + f cos L + g sin L)an dL dt = rµ p (1 + f cos L + g sin L)2 p − r p µ k cos L − h sin L 1 + f cos L + g sin Lan (3.11)

(37)

3.1 Equazioni di Perturbazione 29

Infine, nel caso in cui la spinta sia solo radiale le equazioni (3.9) assumono la seguente forma:                                              dp dt = 0 df dt =pp/µ (sin L ar) dg dt =pp/µ (cos L ar) dh dt = 0 dk dt = 0 dL dt = rµ p (1 + f cos L + g sin L)2 p (3.12)

3.1.4 Formulazione mediante i parametri classici in funzione dei MEOE

Derivando le (3.3) `e possibile ottenere le derivate degli elementi orbitali classici in funzione degli elementi orbitali equinoziali modificati e delle loro derivate [27]. In questo modo si ha un’alternativa alle (3.1), che assumono la seguente forma:

                                                       da dt = ˙ p 1 − f2− g2 + 2pf ˙f + g ˙g (1 − f2− g2)2 de dt = f ˙f + g ˙g p f2+ g2 di dt = 2  h ˙h + k ˙k  (1 + h2+ k2)h2+ k2 dω dt =  ˙gh + g ˙h − ˙f k − f ˙k  (f h + gk) + ˙f h + f ˙h + ˙gk + g ˙k  (f k − gh) (f h + gk)2+ (f k − gh)2 dΩ dt = ˙kh − k ˙h k2+ h2 dν dt = ˙L − ˙Ω − ˙ω (3.13)

(38)

Capitolo

4

Ottimizzazione Locale e Leggi di Controllo

Localmente Ottime

In questo capitolo viene spiegato in cosa consiste la procedura di ottimizzazione locale e come si pu`o applicare al problema del calcolo di una traiettoria.

La procedura di ottimizzazione locale consiste nel determinare i valori dei para-metri di controllo che istante per istante massimizzano o minimizzano una com-binazione lineare delle derivate degli elementi orbitali classici. L’ottimizzazione globale, invece, ricerca la soluzione che minimizza il tempo volo per muoversi dal-la configurazione iniziale a queldal-la finale; ogni configurazione `e totalmente definita dai valori assunti dagli elementi orbitali classici.

Il vantaggio di utilizzare leggi localmente ottime consiste nel semplificare note-volmente il problema dal punto di vista matematico e computazionale, riducendo i tempi di calcolo. Diversamente, la procedura di ottimizzazione globale `e pi`u complessa e richiede pi`u tempo di calcolo ma riesce a trovare la soluzione che minimizza il tempo di volo tra la configurazione iniziale e quella finale. I risul-tati ottenuti tramite l’ottimizzazione locale possono essere usati successivamente come un punto di partenza per la ricerca dell’ottimo globale.

Inoltre, in questo capitolo vengono mostrate delle leggi di controllo localmente ottime da applicare a un problema bidimensionale e ne vengono illustrati i limiti di validit`a.

Nella prossima sezione viene spiegato come applicare la procedura di ottimizza-zione locale al calcolo di una traiettoria.

4.1

Ottimizzazione Locale

La procedura di ottimizzazione locale consiste nel determinare i valori dei para-metri di controllo che istante per istante massimizzano o minimizzano una

(39)

combi-4.1 Ottimizzazione Locale 31

nazione lineare delle derivate degli elementi orbitali classici [27]. Questo equivale a massimizzare o minimizzare il seguente:

J = ba d (a/a0) dt + be de dt + bi di dt + bω dω dt + bΩ dΩ dt (4.1) dove:

• a0 `e il semiasse maggiore dell’orbita di parcheggio e

• {ba, be, bi, bω, bΩ} sono dei pesi scalari adimensionali.

Questa definizione `e molto generale e si adatta a diversi tipi di problemi, in par-ticolare quelli in cui `e richiesto un controllo contemporaneo di diversi elementi orbitali. Di solito non tutti i coefficienti sono diversi da zero, la scelta dipende dal tipo di problema che bisogna affrontare.

La ricerca dell’ottimo locale viene accompagnata dalla risoluzione delle (3.9), te-nendo delle leggi (3.2) e (3.3) di conversione dai parametri classici a equinoziali e viceversa.

Per definire il metodo di ottimizzazione locale distinguiamo due casi. Nel pri-mo, pi`u generale e computazionalmente pi`u gravoso, l’accelerazione ha tutte e tre le componenti RTN diverse da zero e la ricerca della legge localmente ottima consiste nel determinare i valori assunti istante per istante dalle tre variabili di controllo αn, δ e τ . Nel secondo una delle componenti dell’accelerazione `e

nul-la e i tempi di calcolo si riducono notevolmente. In questo caso, essendo noto a priori il piano di applicazione della spinta, le variabili di controllo sono solo αne τ .

4.1.1 Accelerazione propulsiva tridimensionale

Sia x un generico parametro orbitale classico. Allora la sua derivata rispetto al tempo `e funzione dei parametri equinoziali e dei parametri di controllo αn, δ e τ :

dx dt =

dx

dt (p, f, g, h, k, L, αn, δ, τ ) (4.2) La procedura di ottimizzazione locale consiste nel determinare la terna (αn, δ, τ )

tale da massimizzare (o minimizzare) dx/dt, fissati i valori p, f , g, h, k ed L. Nel caso generale di accelerazione propulsiva tridimensionale il dominio per la ricerca del massimo (o minimo) `e definito come:

         αn∈ [0, 60] gradi δ ∈ [0, 360] gradi τ = {0, 1} (4.3)

(40)

4.1 Ottimizzazione Locale 32

In particolare, noti i valori di p, f , g, h, k ed L `e possibile definire per quali valori di αn e δ la funzione dx/dt `e massima (o minima). Dovendo ricercare il

minimo assoluto di una funzione di due variabili, si pu`o utilizzare la funzione MATLAB ”fminsearch” [31], la quale calcola il minimo di una funzione scalare di pi`u variabili a partire da una stima iniziale.

La determinazione del parametro di accensione τ viene fatta in base al segno del massimo (o minimo) di dx/dt. Si supponga di voler massimizzare la variazione locale del parametro x. Sia (αnmax, δmax) il punto di massimo nel dominio di

definizione. La sua derivata temporale deve essere positiva. Se questa condizione `

e verificata allora la vela `e mantenuta accesa, in caso contrario la strategia pi`u conveniente da utilizzare nell’istante considerato `e quella di spegnerla.

       dx dt (αnmax, δmax) > 0 ⇒ τ = 1 dx dt (αnmax, δmax) < 0 ⇒ τ = 0 (4.4)

4.1.2 Accelerazione propulsiva bidimensionale

Abbiamo visto che la componente normale di accelerazione propulsiva non pro-duce alcuna variazione del semiasse maggiore e dell’eccentricit`a, mentre l’inclina-zione e l’ascensione retta del nodo ascendente variano solo in presenza di un’ac-celerazione normale diversa da zero. L’unica eccezione `e l’argomento del perielio, per il quale tutte le componenti dell’accelerazione danno un contributo alla sua variazione locale.

Sia x un generico parametro orbitale classico. Allora, noto il piano di applicazione della spinta, la derivata temporale di x non dipende dal parametro di controllo δ:

dx dt =

dx

dt (p, f, g, h, k, L, αn, τ ) (4.5) La procedura di ottimizzazione locale consiste nel determinare la coppia (αn, τ )

tale da massimizzare (o minimizzare) dx/dt, fissati i valori di p, f , g, h, k ed L. Nel caso di accelerazione propulsiva bidimensionale il dominio per la ricerca del massimo `e definito come:



αn∈ [−60, 60] gradi

τ = {0, 1} (4.6)

In particolare, noti i valori di p, f , g, h, k ed L `e possibile definire per quali valori di αn la funzione dx/dt `e massima (o minima). Dovendo ricercare il minimo

as-soluto di una variabile si pu`o ricorrere alla funzione MATLAB ”fminbnd” [33], la quale ricerca il minimo di una funzione scalare di una variabile una volta definiti

(41)

4.2 Ottimizzazione Locale di un Singolo Elemento Orbitale 33

gli estremi superiore e inferiore in cui effettuare la ricerca. La determinazione del parametro di accensione τ viene effettuata come nel caso di spinta tridimensiona-le. Se si vuole per esempio ottimizzare la variazione di a o di e `e lecito assumere a priori che la spinta normale sia nulla, mentre se si vuole ottimizzare la variazione di i oppure Ω `e lecito imporre che sia nulla la componente tangenziale.

Tuttavia, nel caso di ottimizzazione bidimensionale, esiste un modo per evitare di calcolare il minimo del diffenziale (4.1) ad ogni iterazione. Questo processo verr`a illustrato nella prossima sezione.

4.2

Ottimizzazione Locale di un Singolo Elemento

Orbi-tale

Come detto in precedenza, quando il vettore ~a `e vincolato ad appartenere al piano orbitale (an= 0) o al piano (ˆer, ˆen) (at= 0), l’angolo δ pu`o assumere solo

due valori: δ = {π/2, 3π/2} nel caso an = 0; δ = {0, π} nel caso at = 0. In

questi casi δ pu`o essere rimosso dalla terna di variabili di controllo, assumendo αn ∈ [−αnmax, αnmax], con la condizione aggiuntiva sign(αn) = sign(~a · ˆet) if

an= 0, oppure sign(αn) = sign(~a · ˆen) if at= 0 [27].

Quando il processo di ottimizzazione coinvolge un singolo elemento orbitale x ∈ {a, e, i, ω, Ω}, il valore localmente ottimo α?

n dell’angolo di assetto pu`o essere

trovato analiticamente imponendo la condizione necessaria:

∂ ∂αn  dx dt  = 0 (4.7)

dove la generica derivata dx/dt `e ottenuta dalle (3.1). La soluzione pu`o essere scritta in forma compatta come [27]:

         αn1 = arcsin   s kx2− kxpk2x+ 1 + 1 2 (k2 x+ 1)   αn2 = αn1− π 2 (4.8)

dove kx dipende dall’elemento orbitale.

                       ka= e sin ν 1 + e cos ν ke = sin ν (1 + e cos ν) e cos2ν + 2 cos ν + e kω = − (1 + e cos ν) cos ν (2 + e cos ν) sin ν ki = kΩ= 0 (4.9)

(42)

4.2 Ottimizzazione Locale di un Singolo Elemento Orbitale 34

I coefficienti ka, ke e kω sono stati ottenuti nel caso di spinta appartenente al

piano orbitale, mentre i coefficienti kΩ e ki valgono nel caso in cui la spinta

tan-genziale sia nulla. Il coefficiente kω assume un’altra espressione nel caso in cui

sia nulla la spinta tangenziale e non quella normale. Anche se {αn1, αn2} sono

funzioni di e e ν, il valore localmente ottimo dell’angolo di assetto α?ndeve tenere conto anche del segno delle derivate temporali degli elementi orbitali, che dipen-dono pure dall’argomento della latitudine u, vedi le (3.2). Il risultato `e mostrato graficamente nelle Fig. 4.1 - 4.5, dove l’eccentricit`a `e fatta variare all’interno dell’intervallo e ∈ [0.1, 0.9], corrispondente a orbite ellttiche. Da notare che le equazioni (4.8) e (4.9) sono valide per qualsiasi valore dell’eccentricit`a.

0 60 120 180 240 300 360 10 20 30 40 50 60 (a) 0 60 120 180 240 300 360 -60 -50 -40 -30 -20 -10 (b)

Figura 4.1: Valore dell’angolo di assetto α?n come funzione di (e, ν) per l’ottimiz-zazione di da/dt: (a) massimizl’ottimiz-zazione di da/dt; (b) minimizl’ottimiz-zazione di da/dt. (Figura adattata da: [27])

Dalla Fig. 4.1 risulta che il semiasse maggiore pu`o sempre essere aumentato (o diminuito) quando ν ∈ [0, π] rad (ν ∈ [π, 2π] rad), indipendentemente dal valore dell’eccentricit`a. Questo non vale all’esterno di tale intervallo di ν, quando l’ec-centricit`a eccede un valore di e = 0.3374 [27].

La Fig. 4.2 mostra che non `e possibile ottimizzare l’eccentricit`a per ogni valore dell’anomalia vera. In particolare, l’intervallo in cui una massimizzazione (mini-mizzazione) locale non pu`o essere effettuata `e leggermente dipendente dal valore dell’eccentricit`a. Da notare che le Fig. 4.1(a) e 4.1(b) e le Fig. 4.2(a) e 4.2(b) sono simmetriche rispetto al punto [π, 0] rad nel piano [ν, αn].

Anche l’ottimizzazione dell’argomento del perielio non `e sempre possibile. Guar-dando la Fig. 4.3(a) si nota che non `e possibile massimizzare ω intorno al perielio, mentre la Fig. 4.3(b) mostra che non si pu`o ridurre l’argomento del perielio quan-do la vela si trova vicino all’afelio. Dalla Fig. 4.3(b) si nota che l’angolo di assetto

(43)

4.2 Ottimizzazione Locale di un Singolo Elemento Orbitale 35 0 60 120 180 240 300 360 -60 -40 -20 0 20 40 60 (a) 0 60 120 180 240 300 360 -60 -40 -20 0 20 40 60 (b)

Figura 4.2: Valore dell’angolo di assetto α?

n come funzione di (e, ν) per l’ottimiz-zazione di de/dt: (a) massimizl’ottimiz-zazione di de/dt; (b) minimizl’ottimiz-zazione di de/dt. (Figura adattata da: [27])

0 60 120 180 240 300 360 -60 -40 -20 0 20 40 60 (a) 0 60 120 180 240 300 360 -60 -40 -20 0 20 40 60 (b)

Figura 4.3: Valore dell’angolo di assetto α?

n come funzione di (e, ν) per l’ottimiz-zazione di dω/dt: (a) massimizl’ottimiz-zazione di dω/dt; (b) minimizl’ottimiz-zazione di dω/dt. (Figura adattata da: [27])

ottimale per minimizzare l’argomento del perielio dipende solo leggermente dal-l’eccentricit`a

Il valore ottimo dell’angolo di assetto per l’ottimizzazione dell’inclinazione e del-l’ascensione retta non dipende dall’eccentricit`a ma `e funzione della latitudine u; inoltre questi elementi orbitali possono sempre essere massimizzati o minimizzati, come `e mostrato nelle Fig. 4.4 e 4.5.

(44)

4.2 Ottimizzazione Locale di un Singolo Elemento Orbitale 36 0 60 120 180 240 300 360 -60 -40 -20 0 20 40 60 (a) 0 60 120 180 240 300 360 -60 -40 -20 0 20 40 60 (b)

Figura 4.4: Valore dell’angolo di assetto α?n come funzione di u = ν + ω per l’otti-mizzazione di di/dt: (a) massil’otti-mizzazione di di/dt; (b) minil’otti-mizzazione di di/dt. (Figura adattata da: [27])

0 60 120 180 240 300 360 -60 -40 -20 0 20 40 60 (a) 0 60 120 180 240 300 360 -60 -40 -20 0 20 40 60 (b)

Figura 4.5: Valore dell’angolo di assetto α?

n come funzione di u = ν + ω per l’ottimizzazione di dΩ/dt: (a) massimizzazione di dΩ/dt; (b) minimizzazione di dΩ/dt. (Figura adattata da: [27])

(45)

Capitolo

5

Implementazione dell’Ottimizzazione Locale

In questo capitolo viene mostrato come vengono utilizzate le leggi di controllo localmente ottime e quali controlli vengono implementati per ridurre il tempo di volo. Verr`a spiegato perch´e questi ultimi sono necessari e si vedr`a come quelli descritti in questo capitolo rappresentino solo una delle molteplici soluzioni per ridurre i tempi di volo.

In seguito viene introdotto l’algoritmo genetico e ne vengono mostrati il funziona-mento, le impostazioni, i casi in cui `e stato applicato e i risultati prodotti grazie ad esso.

5.1

Ottimizzazione Locale di Due Elementi Orbitali

I risultati presentati nella sezione precedente possono essere introdotti nel proces-so di ottimizzazione locale in modo da aggirare la ricerca del minimo del funzionale J . La definizione del parametro di accensione τ rimane la stessa mostrata nelle (4.4) con l’unica differenza che in questo caso τ `e posto uguale a zero solo se non `e possibile ottimizzare entrambi gli elementi orbitali presi in considerazione. Prima di continuare `e necessario distinguere i due casi in cui si annullano rispet-tivamente la componente normale e tangenziale del’accelerazione. In questi casi le equazioni da utilizzare sono rispettivamente le (3.10) e le (3.11), che sono state integrate utilizzando il risolutore MATLAB ode113 [30].

5.1.1 Ottimizzazione del semiasse maggiore e dell’eccentricit`a

Nel caso in cui ad annullarsi `e la componente normale dell’accelerazione non si ha variazione di inclinazione del piano orbitale e dell’ascensione retta del nodo ascen-dente. I parametri che possono variare sono il semiasse maggiore a, l’eccentricit`a e e l’argomento del perielio ω. Fra questi si `e scelto di non ottimizzare

(46)

l’argo-5.1 Ottimizzazione Locale di Due Elementi Orbitali 38

mento del perielio poich´e si considera un’orbita di partenza circolare di raggio una unit`a astronomica. Quindi si pu`o compensare una variazione di ω semplice-mente cambiando il punto di partenza sull’orbita circolare. Per le caratteristiche dell’orbita di partenza l’anomalia vera iniziale, cos`ı come l’argomento del perielio iniziale, non pu`o essere definita ed `e arbitrariamente fissata a zero per permettere al codice di funzionare: ν0 = 0. La coordinata angolare che viene fatta variare per

cambiare la posizione di partenza sull’orbita circolare `e l’argomento del perielio inziale.

I pesi bae besono definiti istante per istante in modo da ottimizzare maggiormente

l’elemento orbitale pi`u distante dalla condizione finale:      ba= |a − af| af be= |e − ef| (5.1)

dove (af, ef) sono le condizioni finali da raggiungere e (a, e) sono i valori

istanta-nei del semiasse maggiore e dell’eccentricit`a. L’assetto ottimale `e definito come la media pesata degli angoli αnx che istante per istante ottimizzano a ed e rispetto

ai coefficienti bx:

αn=

baαna+ beαne

ba+ be

(5.2)

dove (αna, αne) sono ottenuti tramite le (4.8) e le (4.9). Tuttavia i tempi di volo

raggiunti con questo tipo di ottimizzazione sono troppo lunghi e bisogna ricorrere a dei controlli aggiuntivi, come spiegato nel paragrafo 5.2

5.1.2 Ottimizzazione dell’inclinazione e dell’ascensione retta del nodo ascendente

Nel caso in cui ad annullarsi `e la componente tangenziale dell’accelerazione non si ha variazione del semilato retto, con il semiasse maggiore e l’eccentricit`a che oscillano periodicamente fra un valore massimo ed un valore minimo mentre per l’argomento del perielio valgono le stesse considerazioni. Invece, i parametri che si vogliono ottimizzare sono l’inclinazione orbitale i e l’ascensione retta del nodo ascendente Ω.

Anche in questo caso i pesi bi e bΩ sono definiti in modo da ottimizzare

maggior-mente l’elemento orbitale pi`u distante dalla condizione finale:        bi = |i − if| π bΩ = |Ω − Ωf| 2π (5.3)

dove (if, Ωf) sono le condizioni finali da raggiungere e (i, Ω) sono i valori

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