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Aggregati Sferulitici: Identificazione del proiettile responsabile di un impatto Tunguska-like al di sopra del continente antartico utilizzando i siderofili

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea Magistrale in

Scienze e Tecnologie Geologiche

Aggregati Sferulitici

Identificazione del proiettile responsabile di un impatto

“Tunguska-like” al di sopra del continente antartico utilizzando i siderofili

Antonio Ciccolella

Relatore Prof. Luigi Folco

Correlatore Dott. Maurizio Gemelli

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Abstract

The extraterrestrial material that falls on our planet is important for understanding: i) the contribution of the various celestial bodies of the solar system to the geochemical budget of Earth over time; ii) the mechanisms that drive asteroidal or cometary bodies towards the innermost regions of the solar system. The spherulitic aggregates TAM MM 06-14-17 and 20c.25 presented in this work are the only evidence to date of a major Tunguska-like meteoritic impact event which occurred over Antarctica ∼480 ka ago. They consist of fragile aggregates of µm-sized magnesioferrite-bearing silicate spherules with bulk composition and texture broadly similar to those of cosmic spherules. They were found within loose sediments accumulated on the glacially eroded ~million-years-old, granitic summit plateaus of the Victoria Land Transantarctic Mountains, known in literature as micrometeorite traps. Oxygen isotope data from literature corrected for terrestrial contamination suggest a broadly carbonaceous chondritic composition, typical of primitive objects in the Solar System like hydrous asteroids or comets. As yet, oxygen isotope data could not discriminate between the known classes of primitive materials, like CO, CV and CK carbonaceous chondrites. In order to refine the identification of the projectile type, I investigated key siderophile element ratios including highly siderophile elements (HSEs) ratios, obtained by ICP-MS, and moderately siderophile elements Ni-Co-Cr( - A u ) ratios, obtained by LA-ICP-MS and ICP-MS analyses in the bulk samples. Assuming that siderophile elements, particularly HSE, typically occur in negligible amounts in crustal rocks, ICP-MS data of HSEs demonstrate that for aggregates TAM MM 06-14-17 the values of Ir, Ru and Rh ratios (Rh/Ir = 0.35; Rh/Ru = 0.22; Ru/Ir = 1.59; Ru/Rh = 4.51) best describe the nature of the projectile. Element-ratio diagrams show that HSEs data of aggregates fall into or close the LL field. Likewise, Au and Ni-Co-Cr ratios, by LA-ICP-MS data, suggest an LL parentage. The differences between the literature isotopic oxygen data and siderophile data, in the classification of the projectile, suggest three main hypotheses: i) a fractionation process, caused by oxidation of single spherules; ii) a compositional heterogeneity of primary projectile; iii) a new primitive objects does’t known. To solve the inconsistency between the literature data and those obtained in this work, a solution would be to find more analyzable material, coming from different sites (Dome C and Victoria Land), re-determining the concentrations of the siderophile present on each single aggregate, especially for Os, Pt and Pd. Moreover, the application of isotopic analysis referring to Cr and Os, could solve this inconsistency.

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INDICE

Abstract

1.

Introduzione

………...………...1

1.1. Il flusso di materiale extraterrestre………1

1.2. Gli Aggregati Sferulitici……….…...2

1.3. Petrografia e mineralogia degli aggregati………...5

1.4. HSE e Ni-Co-Cr nell’identificazione del proiettile………..9

2.

Campioni e Metodi

………...12

2.1. Aspetto mineralogico del sedimento…....…………...………13

2.2. Procedimento e selezione...14

2.2.1. Materiale extraterrestre selezionato......15

2.3. SEM e FE-SEM...17

2.3.1. TAM MM 06 - 14 - 17...18

2.3.2. TAM MM 15 - 16...21

2.4. Strumentazioni utilizzate per l’identificazione del proiettile...23

2.4.1. Laser Ablation ICP-MS...23

2.4.2. ICP-MS...28

3.

Risultati

...30

3.1. Elementi siderofili e frazionamento...30

3.2. Ni, Co, Cr e REE come marker di una possibile contaminazione....33

(6)

4.

Discussione

...43

4.1. Dato ICP-MS e LA-ICP-MS...43

4.2. HSE nella determinazione del proiettile...44

4.3. Ni-Co-Cr nella determinazione del proiettile...47

4.4. Possibile frazionamento...49

4.5. Confronti sulla determinazione del proiettile...51

5.

Conclusioni

...54

Appendice...56

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1 - Introduzione

Il presente elaborato ha come oggetto d’indagine una particolare tipologia di materiale extraterrestre, conosciuta con il nome di Aggregati Sferulitici. Questi sono la sola evidenza di un impatto meteoritico “Tunguska-like” avvenuto al di sopra del continente antartico ∼480 ka fa. Essi consistono in fragili aggregati di sferule micrometriche che presentano composizione e tessitura simile a quelle delle sferule cosmiche. Sono stati scoperti in sedimenti glaciali vecchi di milioni di anni, nelle Transantarctic Mountains (Northern Victoria Land, Antartide), all’interno di strutture conosciute come micrometeorite trap. In questo lavoro di tesi ho cercato di far maggiore chiarezza sulla natura del proiettile responsabile della formazione degli aggregati, già documentati e studiati in precedenza, attraverso analisi su elementi in traccia ed elementi siderofili, e loro rapporti (HSE, Ni, Co, Cr).

1.1. Il flusso di materiale extraterrestre

Dal momento della sua formazione, avvenuta circa 4.56 miliardi di anni fa, il nostro Pianeta è stato ed è tuttora soggetto a fenomeni di accrezione planetaria. Sorvolando sul contributo dato dai corpi asteroidali e cometari di grosse dimensioni (che nei primi stadi della formazione planetaria hanno contribuito maggiormente all’evoluzione e sviluppo, sia in termini di massa e volume, che in termini geochimici, del pianeta Terra), si può affermare con certezza che il contributo maggiore e continuo nel tempo è attribuito a materiali extraterrestri di piccole dimensioni o contenute conosciuti come: meteoriti (da una decina di metri a 2 mm), micrometeoriti (da 2 mm a 50 μm) e IDP, interplanetary dust particles, (inferiori a 50 μm). Tra questi, il solo flusso stimato di materiale extraterrestre associato a micrometeoriti e IDP, sull’intera superficie terrestre, è di circa 40000 tonnellate annue, e solo una piccolissima parte di questo materiale riesce a sopravvivere ai processi d’alterazione terrestre o di entrata in atmosfera, preservandosi a noi (Genge et al. 2008; Taylor et al., Elements, 2016). Alcuni corpi meteoritici riescono a sopravvivere all’entrata in atmosfera impattando sulla superficie terrestre, creando crateri di dimensioni e forme differenti. Altre meteoriti tendono a disintegrarsi in atmosfera durante l’entrata, producendo grosse

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esplosioni a mezz’aria (air-burst), come quella avvenuta sul territorio di Tunguska (Siberia) nel 1908, considerata l’evento rappresentativo nel suo genere. Lo studio del materiale extraterrestre che annualmente precipita sul nostro Pianeta è importante non solo da un punto di vista sistematico, ma anche per la comprensione di come questi oggetti contribuiscano, nel tempo, al budget geochimico complessivo terrestre o planetario. Inoltre, essi ci aiutano a comprendere meglio i meccanismi che guidano corpi asteroidali o cometari verso l’interno del sistema solare, incrociando l’orbita terrestre.

Fig.1.1. Immagine BSE, ottenuta al SEM, dell’aggregato sferulitico TAM MM 06. L’esemplare è il meglio conservato tra quelli presenti e libero da incrostazioni d’alterazione. È possibile notare come in basso a sinistra la superficie tendenzialmente planare richiami molto l’aspetto di una paleo-superficie.

1.2. Gli Aggregati Sferulitici

Alcuni degli oggetti extraterrestri ritrovati all’interno dei ghiacci dell’EPICA-Dome C e del Dome Fuji (Narcisi et al. 2007; Misawa et al. 2010), e nel sedimento granitico recuperato durante la spedizioni PNRA del 2006, nel sito di Miller Butte (Rochette et al. 2008; van Ginneken et al. 2010), sono stati descritti come aggregati formati da ablation debris, originatisi molto probabilmente da un unico evento di tipo Tunguska, avvento al di sopra del continente antartico. L’età di questi aggregati è stimata attorno ai 480

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ka, compatibile con l’età mostrate dai campioni DF2691 del Dome F (Misawa et al. 2010) e L2 del Dome C (Narcisi et al. 2007), risalenti a 481 ka. La forma degli aggregati rinvenuti nel sito di Miller Butte varia da sub-angolare ad angolare, con superfici da irregolari a planari (fig.1.1). Proprio la presenza di queste superfici planari e irregolari (simili a zone di rottura) fanno supporre che questi frammenti derivino da un unico orizzonte deposizionale all’interno della micrometeorite trap e distrutto in seguito a rimaneggiamento e/o raccolta (van Ginneken et al. 2010). Nei siti Dome C e Dome F si rinvengono principalmente sferule libere (1-5 μm), disposte in specifici orizzonti nel ghiaccio antartico (con de orizzonti associati ad età differenti: 431 e 481 ka), composte principalmente da silicati ricchi in Mg e magnesioferrite dendritica, e solo occasionalmente si vedono raggruppate a formare dei piccoli aggregati (Narcisi et al. 2007; Engrand et al. 2010; Misawa et al. 2010).

Fig.1.2. Immagine BSE dell’aggregato sferulitico 20c.25, sezionato e osservato al FE-SEM (M. van Ginneken et al. 2010). La sezione mostra la natura porosa degli aggregati, in cui si osservano le singole sferule, di diversa dimensione e tipologia petrografica, precariamente sostenute in quasi totale assenza di matrice.

L’ipotesi dello scenario Tunguska-like è rafforzata non solo dalla grande dispersione areale (2 x 106 km2) in cui si disperdono questi oggetti, ma anche dalla loro concentrazione in un determinato orizzonte (Dome C e Dome F), in cui si registra un

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flusso di materiale extraterrestre annuo di circa 4 - 5 unità di grandezza superiore a quello comune (Narcisi et al. 2007). Una volta dedotta la natura di tipo condritica del corpo impattore, per gli aggregati di Miller Butte, è stata stimata la sua massa, compresa tra i 108 e 1011 kg in relazione ad una densità compresa tra 2 g/cm3 e 3.5 g/cm3 (van Ginneken et al. 2010). Un oggetto con simili caratteristiche, durante l’attraversamento atmosferico, va incontro in maniera progressiva a frammentazione, seguita da fusione e successiva esplosione (air-burst) tra i 30 e 15 km d’altezza (Shuvalov and Artemieva, 2002), generando una nube ardente (plume) da cui si formerebbero per condensazione le singole sferule. Tracce dell’interazione atmosferica e da parte dei ghiacci sono osservabili in termini isotopici dell’O (van Ginneken et al. 2010; 2012; Misawa et al. 2010). Grazie ai valori isotopici su 17O e 18O è stato possibile, correggendo l’impronta data dal materiale terrestre presente, classificare il proiettile impattore originario come un corpo condritico carbonioso CO-CV-CK (van Ginneken et al. 2012). È importante sottolineare che simili eventi possono occorrere circa ogni 100 ka sul continente antartico (Bland and Artemieva, 2006), e che la mancata corrispondenza tra l’età registrate nei livelli L1 e L2 del Dome C, come anche nel Dome F, è imputata semplicemente a due eventi diversi (Engrand et al. 2010; Misawa et al. 2010; van Ginneken et al 2012).

Fig.1.3. Immagini BSE di diverse tipologie petrografiche di sferule presenti nell'aggregato 20c.25. Le immagini BSE sono state ottenute al FE-SEM. B) DM-type, con magniesioferrite dendritica; C) POM-type, con olivina e magniesioferrite porfiriche; D) POMF-type, sono framenti di sferule POM; E) FO-type, olivina “piumata”; F) CC-type, criptocristallina; G) BO-type, olivina barrata (M. van Ginneken et al. 2010).

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1.3. Petrografia e mineralogia degli aggregati

Le dimensioni di questi aggregati sono comprese tra i 600-200 μm, ma sono state anche documentate, da van Ginneken et al. 2010, dimensioni di circa 800 μm. Con l’osservazione degli aggregati TAM MM 06, 14, 17 e 26 al SEM è stato possibile notare come la quench-texture, ben levigata, sulla superficie delle sferule non sia diversa da quella osservata sulle sferule cosmiche di tipo-S e G. Ciò è indice che si tratti della loro superficie originaria, non ancora interessata da alterazione. La superficie dell’aggregato, infatti, laddove si è in condizioni di debole o alterazione assente, rispecchia quella originaria. Inoltre sulle loro superfici è possibile riconoscere due differenti tessiture: una dendritica e l’altra porfirica (van Ginneken et al. 2010). Gli aggregati oltre a essere costituiti da sferule, contengono del detrito e cristalli di origine terrestre di varia grandezza (uguali o inferiori alla decina di micrometri). I dati presenti in letteratura, ottenuti con X-ray diffraction, (van Ginneken et al. 2010) indicano che le fasi cristalline presenti in questi aggregati includono: il 7% di jarosite e il 10% di minerali provenienti dal bedrock, a cui si aggiungono un 55% di magnesioferrite e 25% di olivina forsteritica. Vi è anche la presenza di alcuni frammenti di tefra vulcanici, la cui natura acida o mafica non è indicata. L’alterazione acquosa e la contaminazione da parte del bedrock sono molto evidenti nella frazione fine degli aggregati, con presenza di minerali d’alterazione come: jarosite, analcime, gesso e fasi amorfe (van Ginneken et al. 2010). La jarosite si sviluppa per alterazione acquosa della componente extraterrestre ricca in Fe. La poca matrice presente, che funge da collante sia per i frammenti che per le sferule, è costituita da materiale discontinuo a granulometria molto fine, costituita anch’essa da sferule della dimensione di pochi micrometri e da solfati, come gesso e jarosite, indice d’alterazione secondaria. Da un punto di vista petrografico e classificativo, le sferule contenute negli aggregati mostrano differenti tipologie tessiturali (fig.1.2), pur mantenendo la medesima mineralogia. In ordine di abbondanza si osservano le seguenti tipologie petrografiche:

Dendritic Magnesioferrite-type (DM). È la tipologia di sferule dominante e meglio rappresentativa degli aggregati (fig.1.3B; 1.4A). Queste, infatti, oltre ad essere presenti in dimensioni rilevanti, con diametro compreso tra 60-20 μm, costituiscono una componente principale della matrice a grana fine, con sferule

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mesostasi di silicati criptocristallini-vetrosi nella quale sono presenti dei cristalli dendritici idiomorfi di magnesioferrite. La natura dendritica della magnesioferrite, e lo stato vetroso della mesostasi, indica che la sferula ha raggiunto delle temperature di formazione-fusione, di circa 1500°C, come osservato sperimentalmente (A. Toppani et al. 2001).

Fig.1.4. Immagini BSE (FE-SEM) dell’aggregato 20c.25. A) Particolare dell’aggregato in cui è possibile osservarne le componenti più abbondanti: sferule DM-type, cristalli di magnesioferrite o ossidi di Fe liberi. Al centro dell’immagine è presente una concrezione di jarosite con all’interno sferule DM-type. B) Particolare del bordo dell’aggregato con la presenza di una sferula di tipo FO in cui si osservano gli orientamenti cristallini della magnesioferrite che dipartono dall’olivina centrale, conferendone appunto la particolare forma “piumata” (feathered).

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Porphyritic Olivine Magnesioferrite-type (POM). È la seconda tipologia di sferule più abbondante (fig.1.3C-D; 1.5A), composte da microfenocristalli di olivina zonata, generalmente euedrale (indica un temperatura di formazione di 1350°C), e cristalli di magnesioferrite, da dendritica a euedrale (A. Toppani et al. 2001). La percentuale in volume della magnesioferrite può essere molto variabile: questa infatti può presentarsi o di piccole dimensioni dispersa nella porzione silicatica, come mostrato dalle fig. 1.3C, 1.5A, o presentarsi con formazioni dendritiche molto sviluppate tanto da creare diramazioni a losanga (fig.1.6A). Il diametro di queste sferule si aggira intorno ai 10 μm, ma sono presenti frammenti di sferule, di 65 μm, definiti come POMF, nelle quali sono presenti dei vuoti attribuiti a forme negative di cristalli di olivina più grandi.

Feathered Olivine-type (FO). Sono meno abbondanti e sono sferule dal diametro medio di 40 μm, costituite da microfenocristalli elongati di olivina con presenza, sui bordi dei cristalli, di intercrescita di magnesioferrite, immerse in una mesostasi vetrosa (fig.1.3E).

Cryprocrystalline-type (CC). Sono sferule che presentano una tessitura omogenea, causata da una matrice composta da cristalli nanometrici di silicati ricchi in Mg (olivina), ossidi di Fe e magnesioferrite (fig1.3F).

Barred Olivine-type (BO). Ponendosi tra le meno comuni, sono sferule di dimensioni superiori a 30 μm e sono costituite da barre di cristalli scheletrici di olivina, con sporadici cristalli di magnesioferrite, immerse in una mesostasi vetrosa (fig.1.3G).

Escludendo tutte le sferule con dimensione inferiore a 3 μm, come riportato da van Ginneken et al. 2010, la loro frequenza può essere così suddivisa: DM-type al 81.6%, POM+POMF-type al 16.8%, FO+BO-type al 0.8% e CC-type al 0.8%. Mentre per le abbondanze volumetriche si ha: POM+POMF-type al 59%, DM-type al 37%, FO+BO-type al 3% e CC-FO+BO-type al 1%.

Dalle analisi sulle concentrazioni degli elementi maggiori presenti in letteratura, ottenute attraverso l’EPMA (van Ginneken et al. 2012), si osserva che quella relativa a SiO2 è dominante, con concentrazioni comprese tra 32.3 wt% e 40.4 wt% (con una

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e 31.2 wt% (con una media del 26.4 wt%), e il FeO con concentrazioni comprese tra 21.8 wt% e 33.5 wt% (con una media di 26.8 wt%). Questi tre ossidi variano in relazione alla tipologia in esame, ovvero alle rispettive proporzioni mineralogiche tra olivina forsteritica e magnesioferrite presenti. Per le BO-type si osserva infatti la maggior concentrazione di SiO2 e MgO rispetto al FeO, per la maggior quantità di

olivina rispetto la magnesioferrite; mentre le DM-type mostrano un arricchimento in FeO e impoverimento in SiO2 e MgO, tipico della presenza di magnesioferrite. Tutte le

sferule presentano concentrazioni in NiO tra lo 0.66 wt% e 1.72 wt%, come anche per Na2O che è presente in concentrazioni comprese tra 0.39 wt% e 1.46 wt%, fatta

eccezione per le sferule CC-type, più arricchite in Na, con concentrazioni di 4.86% (van Ginneken et al. 2010; 2012).

Fig.1.5. Immagini BSE (FE-SEM) dell’aggregato 20c.25. A) Un frammento di sferula POM-type (POMF) in cui sono riconoscibili i singoli fenocristalli di olivina e i cristalli euedrali di magnesioferrite. L’olivina inoltre presenta una zonatura interna tra bordo e nucleo. B) Particolare di un frammento di POM-type

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Fig.1.6. Immagini BSE (FE-SEM) dell’aggregato 20c.25. A) Particolare di un frammento di sferula caratterizzata da dendriti di magnesioferrite e microcristalli di ossidi di Fe (Cr-Ni) immersi in una mesostasi vetrosa, in cui si può osservare una disposizione di cristalli prismatici lungo la vecchia superficie della sferula, mentre l’interno è caratterizzato da cristalli dendritici. B) Particolare di incrostazione di jarosite contenente sferule DM-type di dimensione inferiore a 1 μm.

1.4. HSE e Ni-Co-Cr nell’identificazione del proiettile

Gli elementi conosciuti come siderofili denotano un comportamento geochimico tale da partizionarsi preferibilmente nella fase metallica rispetto quella silicatica (Palme, 2008). Gli elementi con un coefficiente di ripartizione prossimo a 10000 sono chiamati altamente siderofili (HSE) e includono: Re, Os, Ir, Ru, Pt, Rh, Pd e Au, mentre quelli con un coefficiente di ripartizione con uno e due ordini di grandezza più bassi sono detti

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anche da litofilo (Kramers, 1998; McDonough and Sun, 1995). Il loro ampio utilizzo nell’identificazione del proiettile extraterrestre deriva dall’evidente arricchimento di questi elementi nelle meteoriti primitive, mentre presentano delle concentrazioni piuttosto basse riferite alla UCC e PUM (Palme et al. 1980; Schmidt et al. 1997; Wedepohl, 1995; Becker et al. 2006; Palme and O'Neill 2004). Sebbene sia raro che dei frammenti sopravvivano ad un impatto, i proiettili dispersi dopo l’evento, e il materiale brecciato, possono comunque contenere una memoria geochimica del corpo impattore originario. Infatti il materiale del proiettile viene incorporato all’interno dei prodotti da impatto in concentrazioni basse (<1 wt%), ma tali da aumentare le normali concentrazioni riferite alla crosta terrestre (Koeberl et al., Elements, 2012). Usando gli HSE, partendo da un target che mostra una bassa concentrazione di questi, è possibile misurare il contributo extraterrestre inferiore anche allo 0.1%, facendo luce sulla natura del corpo impattore che può essere indicativo di un corpo condritico o ferroso. Le acondriti non contenendo significative concentrazioni di HSE, si prestano meno ad essere individuate (Koeberl et al., Elements, 2012). Per quanto concerne i moderatamente siderofili, le condriti mostrano alte concentrazioni in Cr, mentre le meteoriti ferrose mostrano una grande variabilità per questo elemento ma con concentrazioni 100 volte più basse rispetto a quelle condritiche (Buchwald, 1975). Combinando il Cr con Ni e Co, si possono avere prove sull’effettiva identificazione del proiettile. Alte concentrazioni di Co e Ni, su basse concentrazioni di Cr, indicano un proiettile ferroso (Janssens et al. 1977). Alte concentrazioni di Cr, su basse concentrazioni di Ni e Co, possono indicare un impattore di tipo acondritico differenziato, sebbene sia difficile in questi casi individuare la componente extraterrestre da una terrestre mafica o ultramafica (Palme, 1980). Poiché le concentrazioni degli HSE sono spesso eterogenee all’interno dei corpi meteoritici, concentrandosi principalmente in nugget, è necessario possedere la giusta quantità di materiale analizzabile (diversi grammi) per ottenere un dato attendibile (Tagle et al. 2005). L’utilizzo degli HSE, nell’identificazione del proiettile, non si limita alla sola osservazione delle concentrazioni elementari presenti, ma comporta la combinazione degli elementi ottenuti in differenti rapporti, in modo da descrivere dei campi riferiti a ciascuna tipologia condritica (anche se non tutti i rapporti restituiscono la stessa risoluzione nell’identificazione del tipo di proiettile). Generalmente vengono utilizzati

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dai 7 ai 14 rapporti, a cui si aggiungono Ni, Co, Cr e Au (Tagle et al. 2006; 2008). L’uso dei singoli HSE per tali rapporti non è casuale, ma segue una logica dettata dalle temperature di condensazione mostrate dai singoli elementi, le quali rispecchiano i processi di frazionamento avvenuti all’interno della nebulosa protosolare (Horan et al. 2003). HSE refrattari, con basse temperature di condensazione (come Rh e Pd), se combinati con HSE ultrarefrattari, con alte temperature di condensazione, (come Re, Os, Ir, Ru) offrono una miglior discriminazione tra i vari gruppi e tipologie condritiche. Invece, per quanto riguarda la strumentazione impiegata per il loro studio, si vede l’utilizzo di spettrometri di massa, come l’ICP-MS (Inductively Coupled Plasma Mass Spectrometry) e NTI-MS (Negative Thermal Ionization Mass Spectrometry) (Fischer-Gödde et al. 2010).

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2 - Campioni e Metodi

I campioni di sedimento esaminati per la ricerca di aggregati sferulitici, in questo lavoro di tesi, sono stati trovati all’interno di una micrometeorite trap, sulla cima piatta di un nunatak nel sito di Miller Butte (72°42.078’S - 160°14.333’E), sui Monti Transantartici della Northern Victoria Land, durante la spedizione PNRA del 2006 (fig.2.1). In particolare per micrometeoritic trap s’intende una serie di fratture, giunti o delle piccole aree depresse del bedrock, di dimensioni decimetriche, che sono state successivamente, in parte, riempite da del detrito molto fine depositatosi dai rilievi circostanti (Rochette et al. 2008). In questi punti di raccolta e accumulo, il sedimento campionato rimane preservato per periodi molto lunghi, confermato dall’età di alcune microtectiti australasiane (ca.0.8 Ma) trovate al loro interno (Folco et al. 2008).

Fig.2.1. Mappa della Victoria Land (Google Earth Images) con la localizzazione dei vari siti d’interesse per il ritrovamento di meteoriti e micrometeoriti (modificato da Folco et al. 2008).

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Inoltre dalla quantità di cosmonuclidi presenti nel sedimento è stato possibile stimare un’età d’esposizione totale di ca.2-3 Ma (Welten et al. 2008). La ricerca di queste trappole è stata facilitata anche attraverso l’uso di un gradiometro magnetico, durante le spedizioni PNRA del 2003-2004, permettendo di registrare le più piccole variazioni di intensità e orientamento del campo magnetico su larga scala (Folco et al. 2006; Rochette et al. 2008). Sulla superficie del bedrock granitico queste piccole depressioni (larghe 10-30 cm e profonde 5-15 cm) possono essere totalmente vuote o, per le più grandi (ca.0.07 m2), essere riempite per un terzo da del detrito granitico. Queste cavità riempite dal sedimento producono un massimo magnetico locale, identificato dal gradiometro, che è imputato essenzialmente alla presenza di materiale extraterrestre micrometeoritico (con alta suscettibilità magnetica, in assenza di meteoriti (Rochette et al. 2008). Durante la spedizione del 2006 la quantità di materiale (<2 mm) prelevato dai giunti granitici è stata di 177 kg, proveniente da diverse aree: Frontier Mountains, Timber Peak e Miller Butte (Rochette et al. 2008). Il sito di Miller Butte è localizzato al confine con il plateau polare antartico, nella parte sommitale del ghiacciaio Rennick (fig.2.1.). L’area è priva di ghiacci e presenta una superficie erosa e levigata dall’azione glaciale passata. Tutta la superficie si estende per 4 km2 a 2600 m di altitdine a ca.400 m al di sopra dei ghiacci circostanti. La geologia circostante è rappresentata da corpi granitoidi, da grana fine a grossolana, apliti e pegmatiti dell’Harbour Complex.

2.1. Aspetto mineralogico del sedimento

I campioni esaminati si presentano come un sedimento sabbioso mal cernito, con granulometria da grossolana a fine, in cui i singoli clasti (cristalli) non hanno subito un notevole trasporto ed abrasione. Ciò indica che la zona sorgente del materiale è prossima alla zona di deposizione. Ciascun campione presenta una composizione moderatamente eterogenea dal punto di vista mineralogico, ma in generale la maggior parte del sedimento di tutti i campioni osservati ha avuto origine dall’erosione di corpi granitoidi e aplitici circostanti, con mineralogia tipica dei granitoidi dell’Harbour Complex. Non trascurabile è la presenza di frammenti di tefra, sia felsici e probabilmente mafici, che si vedono concentrati negli estratti

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magnetici prima citati. Nel campione 20c la composizione mineralogica del sedimento è composta principalmente da quarzo, 70%, (da incolore a giallognolo) e nella restante parte da miche e feldspati, con presenza di micrometeoriti, sferule cosmiche, microtectiti e materiale vulcanico fortemente disperso. Gli estratti magnetici dei campioni 50bio e 50bis sono molto simili fra loro per composizione mineralogica. Anche qui il quarzo è il minerale più abbondante, 40%, seguito da muscovite, biotite cloritizzata, 20%, feldspati, 15%, granato, 15%, mentre il restante 10% è composto da tormalina nera. La componente extraterrestre e vulcanica è maggiore rispetto al campione 20c. Per quanto riguarda l’estratto magnetico del campione h50 si ha un’abbondanza del 60% di muscovite e biotite, a cui segue il 30% di tormalina nera e il restante 10% solo da quarzo e feldspati, la componente extraterrestre e vulcanica è presente in concentrazioni maggiori rispetto ai precedenti campioni.

2.2. Procedimento e Selezione

In precedenza, il sedimento dei campioni 20c, 50bio, 50bis e h50 è stato sottoposto ad asciugatura, attraverso una pompa a vuoto. Successivamente, una volta asciugato il sedimento, si è proceduto alla setacciatura dello stesso. La granulometria del sedimento non setacciato comprende un range tra 2 mm e <100 μm, di conseguenza sono stati utilizzati dei setacci da 800, 400, 200 μm. Una volta setacciati, i campioni sono stati osservati con l’ausilio di un stereomicroscopio, all’interno di una vaschetta di metallo, aiutandosi con un pennino metallico a punta fine per la selezione del materiale d’interesse, per poi posizionarlo su di un vetrino da petrografia. La prima frazione osservata, 1000-800 μm, è stata scartata subito dopo la prima operazione di osservazione sotto microscopio, in quanto molto grossolana e con concentrazioni di materiale extraterrestre assai basse. Gli intervalli granulometrici su cui si è maggiormente lavorato sono: 800-400 μm e 400-200 μm, dai quali sono stati estratti un numero considerevole di oggetti extraterrestri (micrometeoriti, sferule cosmiche e aggregati sferulitici) e microtectiti. L’intervallo più redditizio è rappresentato dalla frazione 400-200 μm, mentre l’intervallo granulometrico più fine, <200 μm, è stato scartato per questo lavoro di tesi, per una

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notevole difficoltà nel riconoscere e selezionare gli aggregati sferulitici. Dall’operazione di setacciatura è stata esclusa a priori anche la porzione granulometrica superiore al millimetro. È utile intanto precisare che per quanto riguarda i campioni: 50bio, 50bis e h50 (a differenza del campione 20c), si tratta di estratti magnetici, in cui le concentrazioni e proporzioni dei minerali non rispecchiano quelle d’origine del sedimento, in quanto questo si vede più arricchito in minerali contenenti Fe e Mg. Tale procedura è di ausilio, e spesso fondamentale, nella concentrazione di materiale extraterrestre per la sua successiva selezione. Poiché la procedura analitica programmata prevede la distruzione completa degli aggregati tramite analisi all’ICP-MS, è stato scelto un aggregato precedentemente studiato da van Ginneken et al. 2010 (20c.25), destinato ad analisi di tipo non distruttivo (LA-ICP-MS).

2.2.1. Materiale extraterrestre selezionato

Di seguito sono riportati i numeri sulle concentrazioni e proporzioni delle varie categorie di oggetti extraterrestri selezionate dai campioni di sedimento: 20c, 50bio, 50bis e h50. Le lettere, associate al numero del campione, corrispondono al numero di vetrini da petrografia utilizzati durante la raccolta degli oggetti.

Campione 20c (A). 400-200μm. Su 123 g di sedimento, sono stati identificati un totale di 205 oggetti. Di questi: 153 microtectiti, 46 sferule cosmiche di tipo-S e 6 sferule cosmiche di tipo-G.

Campione 50bio (A-B). 400-200μm. Su 4.4 g di sedimento, sono stati identificati un totale di 682 oggetti. Di questi: 2 microtectiti, 32 micrometeoriti unmelted, 12 micrometeoriti partially-melted, 601 sferule cosmiche di tipo-S, 16 sferule cosmiche di tipo-G e 3 sferule cosmiche di tipo-I.

Campione 50bis (A). 800-400μm. Su 8.4 g di sedimento, sono stati identificati un totale di 451 oggetti. Di questi: 2 microtectiti, 7 micrometeoriti umelted, 8 micrometeoriti partially-melted, 426 sferule cosmiche di tipo-S, 7 sferule cosmiche di tipo-G e 1 aggregato sferulitico.

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Campione h50 (A,B,C,D,E,F). 400-200μm. Su 3.2 g di sedimento, sono stati identificati un totale di 4737 oggetti. Di questi: 4 microtectiti, 162 micrometeoriti unmelted, 47 micrometeoriti partially-melted, 4348 sferule cosmiche di tipo-S, 11 sferule cosmiche di tipo-G, 160 sferule cosmiche di tipo-I e 5 aggregati sferulitici.

Su 6052 oggetti trovati, sono state selezionate 60 micrometeoriti (Tab.F), tra cui potenziali aggregati sferulitici, e solo 6 sono stati identificati come presunti aggregati sferulitici (TAM MM 06, 14, 15, 16, 17, 26), ovvero solo lo 0.099% di tutto il materiale presente. Questa bassa concentrazione del materiale oltre che essere legata alla rarità dell’oggetto in questione, può dipendere anche da un errore basato sul riconoscimento degli aggregati, in quanto la selezione iniziale si presenta a carattere qualitativo. Successivamente si è proceduto con l’osservazione al SEM, del materiale da me selezionato, al fine di confermare la natura degli aggregati.

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2.3. SEM e FE-SEM

Per l’identificazione degli aggregati, tra il materiale selezionato, è stato utilizzato un microscopio elettronico a scansione (SEM) Hitachi (Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa), modello TM3030Plus Tabletop (Fig.2.2), capace di fornire ingrandimenti da 15x a 60000x. Equipaggiato di un tavolino portacampioni con movimenti di ± 17,5 mm in X e ± 17,5 mm in Y, con lo spessore massimo del campione supportato di 50 mm, e con inclinazione massima di 45°. Si è lavorato in condizioni di tensione di accelerazione di 15 kV. Le osservazioni BSE (fig.2.3-8) effettuate tramite questo strumento hanno consentito d’identificare, tra gli oggetti candidati, degli aggregati sferulitici effettivi (TAM MM 06-14-17), descrivendone la loro morfologia e caratteristiche, separandoli così da micrometeoriti e tefra vulcanici. Il detector BSE ad alta sensibilità e il detector SE, danno la possibilità di ottenere immagini composite BSE/SE, con risoluzione digitale da 640 x 480 pixel a 1.280 x 960 pixel.

Fig.2.2. SEM Hitachi, modello TM3030Plus Tabletop del Dipartimento di Scienze della Terra di Pisa.

Con un microscopio elettronico a scansione con sorgente ad emissione di campo (FE-SEM), comprensivo di: modalità ambientale FEI Quanta 450 ESEM FEG ed equipaggiato di: un sistema microanalitico a dispersione di energia (EDS) Bruker, QUANTAX XFlash Detector 6|10 e un sistema di analisi di diffrazione di elettroni retrodiffusi (EBSD) Bruker, QUANTAX EBSD; sono state ottenute immagini BSE al dettaglio sulla sezione del campione 20c.25, precedentemente immerso in una resina epossidica, sezionato e lucidato per l’osservazione petrografica.

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2.3.1. TAM MM 06 - 14 - 17 - 26

Gli oggetti in esame, confermati come aggregati sferulitici (SphAgg), presentano una forma da angolare a sub-angolare, con dimensioni di 600 μm (T.M.06, fig.2.3A), 500 μm (T.M.14, fig.2.4A), 300 μm (T.M.26, fig.2.6A) e 250 μm (T.M.17, fig.2.5A). Risultano composti da una porzione fine di componente terrestre (1-2 μm), formata da materiale granitico ricco in Si, Al, Na e K (cristalli di quarzo, feldspati e muscovite), e da una porzione fine extraterrestre (1-5 μm) formata da micro-sferule di tipo DM.

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Fig.2.4. TAM MM 14, immagini BSE (SEM).

Entrambe le porzioni fini non risultano sostenute da alcuna sorta di matrice, apparendo debolmente coese. La frazione mediamente più grossolana è rappresentata da sferule di dimensioni comprese tra 8 e 40 μm, con microtessiture superficiali dendritiche (fig.2.3C) e porfiriche (fig.2.3D), e da cristalli euedrali e sub-euedrali di quarzo, k-feldspati e muscovite di dimensioni comprese tra i 10 e 100 μm, provenienti dal complesso granitico dell’Harbour. Inoltre vi sono frammenti, di pochi micrometri, di materiale granitico e vulcanico (tefra) associati al

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vulcanismo regionale (fig.2.3B - 2.4D). Sparsi nella frazione a grana fine si osservano localmente dei cristalli isolati di 0.5 μm, di forma prismatica euedrale, associati a ossidi di Fe e/o magnesioferrite. L’alterazione presente in ciascun aggregato è causato dall’interazione con componenti acquose e saline date dalla fusione della neve circostante.

Fig.2.5. TAM MM 17, immagini BSE (SEM).

Il rispettivo grado di alterazione, in cui si presentano gli aggregati, è variabile ed è possibile associare ad ogni aggregato un distinto stadio. Il grado di alternazione mostrato cresce nel rispettivo ordine: T.M.06 < T.M.14 < T.M.17 < T.M.26. Osservando le differenze delle corrispettive superfici degli aggregati T.M.06 e T.M.17. È possibile notare come l’aggregato T.M.06 sia il più fresco, dei quattro riportati, e libero da evidenti segni d’alterazione, che si limitano solo in modeste porzioni a livello della matrice (fig.2.3B). L’aggregato T.M.17, diversamente, è ricoperto per ca.60% della sua superficie da un’incrostazione secondaria formata da minerali d’alterazione come gesso e jarosite (fig.2.5B-C-D), confermati dalla presenza di S attraverso microanalisi sul campione 20c.25. L’alterazione presente sulle sferule (spessa pochi centesimi di μm) si limita alla sola copertura, lasciando

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intatta la loro struttura e morfologia. L’aggregato T.M.14 presenta un grado d’alterazione intermedio tra i due prima descritti (fig.2.4E-F), mentre l’aggregato T.M.26 mostra uno stadio avanzato d’alterazione tale da non permettere il quasi totale riconoscimento delle sferule presenti (fig.2.6B).

Fig.2.6. TAM MM 26, immagini BSE (SEM).

2.3.2. TAM MM 15 - 16

Per i presunti aggregati sferulitici designati come TAM MM 15 e 16 non c’è stata possibilità di giungere a una conferma sulla loro natura. Quest’ostacolo analitico è rappresentato dal pessimo stato di conservazione in cui versano gli oggetti. Come per i precedenti aggregati, essi mostrano una forma da angolare a sub-angolare con una superficie generalmente da irregolare a ondulosa. Ciò che differenzia questi oggetti dai precedenti è il loro grado d’alterazione, che si presenta in uno stadio nettamente più avanzato, fino a mascherare totalmente evidenze morfologiche e tessiturali degli oggetti. È possibile individuare una componente fine molto simile a quella osservata nei precedenti aggregati, che molto probabilmente è della medesima natura. Riguardo alla presenza di sferule, nei due oggetti non si osserva nessuna tipologia riscontrata precedentemente. L’oggetto T.M.15 mostra delle morfologie superficiali simili, in forma, a delle presunte sferule, e la maggior parte di esse, nonostante si presentino molto alterate (da jarosite e gesso), mostrano una superficie riconducibile a delle DM e POM-type (fig.2.7B-D). Le presunte DM-type si vedono corrose per effetto dell’alterazione, con la componente silicatica e/o vetrosa deteriorata, mentre la magnesioferrite dendritica si presenta più resistente

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all’alterazione emergendo dalla porzione erosa (fig.2.7C). L’oggetto T.M.16 (fig.2.8A) presenta delle incrostazioni di minerali secondari d’alterazione e possibili bordi di magnetite (fig.2.8B), mascherando del tutto possibili caratteristiche chiave.

Fig.2.7. TAM MM 15 , immagini BSE (SEM). Presunte sferule avvolte da minerali d’alterazione.

Fig.2.8. TAM MM 16, immagini BSE (SEM). la superfice dell’oggetto è molto più simile ad una micrometeorite che ad un aggregato sferulitico.

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2.4. Strumentazioni utilizzate per l’identificazione del proiettile

Per la determinazione delle concentrazioni di elementi in traccia e di elementi siderofili, presenti all’interno degli aggregati sferulitici, mi sono servito di metodi d’indagine mai utilizzati in precedenza per questo tipo di oggetti. Per questo lavoro di tesi ho utilizzato i campioni da me estratti (TAM MM 06-14-17) per ottenere le concentrazioni di elementi altamente siderofili e alcuni moderatamente siderofili (Cr, Co, Ni, Mo, Ru, Rh, Pd, Sn, Sb, W, Re, Os, Ir, Pt, Au), mediante analisi ICP-MS. Diversamente, è stato utilizzato un campione già esistente (20c25) per ottenere le concentrazioni di elementi maggiori e in traccia (con maggiore riferimento a REE e Ni, Co, Cr), mediante analisi LA-ICP-MS.

2.4.1. Laser Ablation-ICP-MS

Con l’utilizzo del LA-ICP-MS (Laser Ablation-Inductively Coupled Plasma-Mass Spectrometry), del CNR di Pavia (fig.2.10), è stato possibile ottenere le concentrazioni di 38 elementi in traccia presenti all’interno del campione 20c.25. Il vantaggio di questo genere di analisi in situ è l’alta precisione del dato causando solo una ridotta distruzione del campione. Lo strumento consiste di un PerkinElmer SCIEX ELAN DCRe-quadrupole ICP-MS. L’ablazione del materiale avviene tramite un fascio laser UP213 deep-UV YAG ad alta energia, a 266 nm (Brilliant, Quantel) e con una frequenza di 10 Hz (Tiepolo et al., 2003), tale da generare una sublimazione delle porzioni più superficiali del campione solido. La dimensione dello spot è stato fissato a un diametro di 50 μm (per campioni di dimensioni >100μ) e un’energia di 2.5 mW. Le analisi sono state eseguite in sei punti diversi del campione 20c.25 (fig.2.9) e le concentrazioni ottenute (Tab.2.1a,b,c) sono state suddivise in tre gruppi di dati, per ciascun elemento, in base al contenuto in REE (ppm): sei dati LowREE, cinque dati HighREE e sei dati AllREE. La modalità di acquisizione del dato è avvenuta in peak-hopping con tempo di permanenza di 10 ms, a diverse profondità nel campione. Le analisi consistono in un minuto di segnale in background e un minuto di ablazione. L’ICP-MS è stato impostato in modo tale da ottimizzare i conteggi e minimizzare la produzione di ossidi e la formazione di ioni doppiamente

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carichi (ThO/Th < 0,7%), dopo il riscaldamento per 1 ora. Inoltre, la calibrazione dello strumento si è basata sull’ottenimento di Ni, Co, Cr e REE. L’elaborazione dei dati è stata eseguita con il software Glitter (van Achterbergh et al. 2001).

Fig.2.9. Immagine BSE dell’aggregato 20c.25 (ottenuta al FE-SEM del laboratorio CISIM del Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale dell’Università di Pisa), successiva alle analisi LA-ICP-MS. E’ possibile notare (in rosso) i sei punti su cui ha agito il laser con l’ablazione termica, focalizzandosi maggiormente su sferule di grosse dimensioni (ca.50 μm), come mostrato dal confronto con la fig.1.2 .

Qualità del dato LA-ICP-MS e standard utilizzati

Come standard esterno ed interno sono stati utilizzati rispettivamente NIST SRM 612 (Pearce et al. 1997), sintetico, e 29Si. L’accuratezza e la precisione del dato, per ogni elemento acquisito, sono state valutate attraverso gli standard BCR-2G USGS (http://minerals.cr.usgs.gov/geochem/basaltbcr2.html e Gao et al. 2002) e NIST SRM 612, risultando migliore, rispettivamente, del 7% e ±10%. Il frazionamento strumentale è stato tenuto sotto controllo monitorando il rapporto U/Th per lo standard NIST SRM 612 (Folco et al. 2018). I detection limit sono riportati nella Tabella A.

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Acquisizioni 15 s centrali 25 s iniziali > 1 min >45 s iniziali > 1 min 20 s iniziali 35.70 35.70 35.70 35.70 35.70 35.70 Li 10.93 13.12 12.84 12.30 11.17 21.19 Be 3.72 3.07 2.27 3.67 4.07 1.05 B 25.65 16.17 20.94 24.54 23.58 33.46 Na 8714.81 12565.81 12794.56 8715.24 9493.47 11971.18 MgO 9.07 7.98 7.66 8.58 8.65 7.69 CaO43 1.46 2.26 1.62 1.47 1.45 2.12 CaO44 1.61 2.19 1.59 1.56 1.49 2.08 Sc 12.08 13.33 11.74 11.54 11.67 12.98 TiO2 0.16 0.18 0.15 0.15 0.16 0.17 V 95.81 84.81 98.87 95.10 105.46 107.36 Cr 3831.46 3295.83 4662.64 3977.76 3833.83 4252.47 Co 534.61 426.77 477.90 463.51 457.58 483.04 Ni 11167.66 8867.88 11223.93 9948.34 8984.03 9328.65 Cu 141.43 118.37 133.42 156.80 115.92 146.88 Zn 336.33 291.74 370.07 357.87 314.73 453.89 Ga 14.45 14.64 15.88 14.04 13.22 15.17 Ge 30.01 28.01 39.16 35.61 28.98 42.62 As 4.40 5.99 6.09 5.63 7.27 7.50 Rb 32.50 23.04 21.93 19.25 18.49 21.97 Sr 98.76 156.76 101.48 102.41 100.48 110.05 Y 4.89 4.79 5.00 4.66 5.68 5.72 Zr 27.35 22.64 24.03 20.79 32.87 24.51 Nb 2.83 3.71 3.17 2.97 3.14 3.87 Cs 2.02 2.66 2.99 2.88 2.02 2.15 Ba 28.67 24.51 19.20 21.96 21.37 23.85 La 7.53 7.47 6.42 7.34 6.95 7.19 Ce 9.77 9.07 9.04 9.02 9.59 8.70 Pr 1.92 1.77 1.78 1.65 1.87 2.06 Nd 6.66 7.25 6.86 6.45 7.44 7.24 Sm 1.18 1.51 1.28 1.27 1.63 1.67 Eu 0.19 0.35 0.26 0.22 0.25 0.37 Gd 1.41 1.37 1.04 1.20 1.11 1.40 Tb 0.22 0.24 0.22 0.21 0.25 0.20 Dy 1.14 1.41 0.99 1.22 1.40 1.09 Ho 0.20 0.22 0.23 0.20 0.24 0.25 Er 0.55 0.49 0.50 0.51 0.55 0.50 Tm 0.07 0.08 0.08 0.09 0.08 0.07 Yb 0.40 0.56 0.45 0.47 0.60 0.55 Lu 0.06 0.10 0.06 0.06 0.09 0.08 Hf 0.62 0.58 0.58 0.49 1.04 0.55 Ta 0.13 0.41 0.29 0.27 0.23 0.21 W 0.44 1.00 0.76 0.58 0.60 1.14 Au <0.044 0.09 0.07 <0.024 0.06 0.24 Pb 4.06 5.38 4.58 4.53 3.82 5.23 Th 1.32 1.26 1.23 1.26 1.83 1.51 U 9.11 9.76 10.55 11.15 12.54 10.85 ∑REE 31.30 31.88 29.20 29.91 32.04 31.37 Cr/Ni 0.34 0.37 0.42 0.40 0.43 0.46 Co/Ni 0.05 0.05 0.04 0.05 0.05 0.05 SiO2 - Standard Interno LA-ICP-MS - LowREE

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Acquisizioni 20 s iniziali 20 s centrali 10 s finali 20 s finali No zone 20 s centrali 35.70 35.70 35.70 35.70 35.70 35.70 Li 18.28 46.36 25.67 21.96 12.72 Be 4.38 5.00 <0.85 3.91 5.52 B 23.81 20.23 31.26 25.61 25.29 Na 10329.19 12509.46 11607.71 11061.71 9588.42 MgO 7.20 6.07 5.70 9.15 7.69 CaO43 1.66 1.27 1.23 1.26 2.57 CaO44 1.61 1.31 1.21 1.45 2.58 Sc 13.65 9.99 11.24 10.41 12.84 TiO2 0.17 0.16 0.18 0.19 0.23 V 94.02 64.80 85.15 80.41 86.84 Cr 3531.29 2594.32 3011.41 3424.79 2610.85 Co 420.71 316.43 366.28 422.61 350.60 Ni 8932.24 6842.69 7721.04 9069.57 7041.52 Cu 147.38 103.00 129.92 123.70 92.40 Zn 389.49 250.07 318.33 277.05 216.23 Ga 16.63 15.74 19.02 17.16 12.72 Ge 31.11 28.03 33.87 31.68 21.49 As 5.89 8.22 5.53 5.18 7.29 Rb 36.69 80.20 51.40 39.74 21.42 Sr 122.97 98.45 102.15 98.64 175.35 Y 8.61 12.04 7.29 5.31 7.52 Zr 80.88 72.98 86.13 44.47 53.74 Nb 10.00 22.49 9.76 8.34 9.17 Cs 4.14 6.26 5.66 5.69 1.74 Ba 43.63 22.55 40.93 39.71 29.69 La 16.87 15.25 12.08 11.54 15.21 Ce 23.71 26.17 20.75 17.80 26.56 Pr 3.54 3.24 2.56 2.25 3.75 Nd 11.72 11.92 10.08 8.64 15.60 Sm 2.17 2.54 1.88 1.40 2.70 Eu 0.41 0.10 0.21 0.29 0.57 Gd 2.50 2.05 2.16 0.83 2.48 Tb 0.28 0.43 0.30 0.17 0.32 Dy 1.83 2.33 1.41 1.00 1.50 Ho 0.32 0.43 0.28 0.19 0.35 Er 0.90 0.99 0.72 0.50 0.74 Tm 0.13 0.15 0.12 0.08 0.11 Yb 0.90 0.98 0.70 0.51 0.70 Lu 0.13 0.15 0.08 0.06 0.10 Hf 1.90 2.19 1.67 0.89 1.06 Ta 0.88 2.09 1.06 0.59 0.50 W 1.37 0.85 0.23 0.75 0.45 Au <0.055 <0.038 <0.056 <0.035 <0.035 Pb 7.70 13.06 8.17 6.08 4.86 Th 3.20 4.47 2.71 2.16 5.93 U 13.89 10.21 12.71 10.17 12.23 ∑REE 65.41 66.72 53.32 45.26 70.70 Cr/Ni 0.40 0.38 0.39 0.38 0.37 Co/Ni 0.05 0.05 0.05 0.05 0.05 LA-ICP-MS - HighREE SiO2 - Standard Interno

(33)

Acquisizioni 35.70 35.70 35.70 35.70 35.70 35.70 Li 17.01 25.92 14.54 15.01 10.81 12.84 Be 3.13 3.90 1.89 4.01 3.37 2.85 B 22.81 17.55 21.88 24.33 21.31 23.46 Na 9461.82 13324.02 12511.90 9500.58 9913.20 10679.55 MgO 8.08 7.17 7.40 8.84 8.76 8.10 CaO43 1.50 1.84 1.57 1.42 1.50 2.28 CaO44 1.55 1.83 1.54 1.54 1.54 2.34 Sc 12.49 11.72 11.64 11.26 11.56 12.33 TiO2 0.16 0.18 0.16 0.17 0.15 0.18 V 93.83 78.40 96.76 90.25 102.22 94.96 Cr 3706.51 3021.81 4410.89 3823.74 3907.75 3397.44 Co 477.38 382.25 460.18 453.86 457.73 431.16 Ni 10312.05 8181.10 10707.78 9725.18 9195.89 8638.08 Cu 153.64 108.98 133.30 146.81 117.06 115.19 Zn 374.17 280.22 361.43 337.84 312.10 313.46 Ga 15.61 15.96 16.19 15.09 13.21 13.64 Ge 32.81 28.42 38.17 34.45 28.70 32.68 As 4.96 6.50 6.40 5.63 6.65 6.94 Rb 32.93 48.10 25.54 24.89 18.52 19.18 Sr 109.22 124.94 101.95 101.58 96.84 136.67 Y 5.79 7.71 5.26 4.89 5.40 6.87 Zr 41.20 49.72 30.72 27.11 30.99 41.16 Nb 5.46 12.11 3.97 4.42 3.06 6.42 Cs 3.57 4.59 3.28 3.64 1.87 1.67 Ba 32.24 30.26 22.06 26.71 20.54 24.66 La 10.45 11.79 7.16 8.01 6.49 9.83 Ce 13.89 19.21 10.45 11.47 9.01 15.56 Pr 2.34 2.59 1.88 1.80 1.74 2.45 Nd 8.70 10.12 7.14 6.94 7.00 9.63 Sm 1.80 2.05 1.34 1.36 1.51 1.84 Eu 0.33 0.24 0.25 0.24 0.26 0.35 Gd 1.74 1.69 1.16 1.12 1.08 1.79 Tb 0.25 0.29 0.22 0.20 0.23 0.23 Dy 1.32 1.72 1.06 1.23 1.36 1.33 Ho 0.23 0.27 0.23 0.19 0.23 0.29 Er 0.60 0.81 0.55 0.50 0.55 0.65 Tm 0.10 0.12 0.09 0.08 0.08 0.11 Yb 0.67 0.81 0.59 0.65 0.59 0.69 Lu 0.09 0.13 0.06 0.08 0.07 0.09 Hf 0.95 1.35 0.72 0.60 0.97 1.00 Ta 0.47 1.18 0.37 0.35 0.20 0.42 W 0.85 0.87 0.67 0.59 0.52 0.58 Au <0.053 0.06 0.06 <0.028 0.07 0.07 Pb 5.52 8.89 4.91 4.96 3.68 4.54 Th 1.82 2.79 1.38 1.50 1.77 3.10 U 10.78 10.62 10.81 10.69 11.66 10.63 ∑REE 42.50 51.84 32.19 33.86 30.21 44.84 Cr/Ni 0.36 0.37 0.41 0.39 0.42 0.39 Co/Ni 0.05 0.05 0.04 0.05 0.05 0.05 LA-ICP-MS - AllREE SiO2 - Standard Interno

(34)

Fig.2.10. Panoramica del laboratorio di LA-ICP-MS di Pavia - Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e Istituto di Geoscienze e Georisorse (IGG).

2.4.2. ICP-MS

Le concentrazioni di 15 elementi siderofili (Tab.2.2), sui campioni TAM MM 06-14-17, sono state determinate mediante inductively coupled plasma-mass spectrometry (ICP-MS) (Perkin Elmer NexION 300x) presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa. Ciò ha comportato la distruzione completa, tramite dissoluzione in soluzione acida, degli aggregati sferulitici selezionati (TAM MM 06-14-17), del peso complessivo di 178 μg. La dissoluzione in acido è avvenuta in contenitori PFA in una soluzione formata da: 0.4 ml di aqua regia, composta da 0.1 ml di acido nitrico (HNO3) e 0.3 di acido cloridrico (HCl), e 0.4 ml di acido

fluoridrico (HF). La soluzione è stata così lasciata in una stufa da laboratorio, a 100°C, per le successive 24 ore. In seguito il composto rimasto è stato posizionato su di una piastra riscaldante. Il composto ottenuto viene nuovamente diluito in una provetta, in una soluzione di 4 ml con acido nitrico al 2% (1 ml di HNO3 su 50ml di

H2O). La soluzione in provetta è stata disposta in un portacampioni. Per la

calibrazione, le soluzioni campionate sono state misurate mediante standard esterno riferito al campione geochimico internazionale BE-N (basalto alcalino).

(35)

Mo Ru Rh Pd Sn Sb W Allende 1.382 0.926 0.166 0.389 0.452 0.078 0.242 TAM 06-14-17 3.584 0.627 0.139 1.240 7.801 1.638 5.244 Re Os Ir Pt Au Cr Ni Co Allende 0.055 0.156 0.653 1.275 0.081 2593 13166 648 TAM 06-14-17 0.019 0.035 0.395 1.234 1.019 2536 5833 292

Tabella 2.2. Concentrazioni (μg/g) degli elementi altamente e moderatamente siderofili ottenuti con ICP-MS.

Qualità del dato ICP-MS e standard utilizzati

I detection limit, riferiti agli elementi siderofili ottenuti, sono più bassi rispetto le normali concentrazioni condritiche in termini di ng/ml (Tab.A). L’accuratezza del dato utilizzato è stata testata su uno standard sintetico internazionale riferito alla composizione di Allende (CV3) e successivamente confrontata con dati presenti in letteratura. Le concentrazioni ottenute dallo standard di riferimento utilizzato (Tab.2.2), sono state confrontate com la Smithsonian Allende mostrata nel lavoro di M. Fischer-Gödde del 2010. La fig.2.11 mostra come i trend degli HSE delle rispettive Allende combacino, fatta eccezione per Os e Pd. Questi infatti non presentano una buona corrispondenza con lo standard di riferimento, con un dato analitico del tutto non rappresentativo per l’Os.Cinque HSE (Re, Ir, Ru, Pt, Rh) su sette mostrano una buona corrispondenza con lo standard utilizzato. La distruzione completa del campione TAM MM 06-14-17 ha comportato una limitazione sulla riproducibilità del dato.

Fig.2.11. Pattern degli altamente siderofili (HSE) ottenuto dalle analisi ICP-MS. In grigio lo

(36)

3 - Risultati

3.1. Elementi siderofili e frazionamento

I dati ICP-MS e LA-ICP-MS (Tab.3.1 - Tab.A) riferiti rispettivamente ai campioni TAM MM 06-14-17 e 20c.25, sui siderofili (W, As, Au, Sb, Ga, Ge, Sn) e altamente siderofili (Re, Ir, Ru, Pt, Rh, Pd), sono stati confrontati con quelli presenti in letteratura riferiti alle condriti (Scott and Taylor, 1983; Horan et al. 2003; Tagle and Berlin, 2008; Fischer-Gödde et al. 2010; Grady, Pratesi and Cecchi, 2014) (fig.3.1).

Fig.3.1. Concentrazioni degli elementi maggiori, minori e in tracce delle rispettive classi condritiche (modificato da: Grady, Pratesi and Cecchi, 2014).

Il palladio, impoverito nel campione Allende, si presenta arricchito nell’aggregato TAM MM 06-14-17 (Tab.3.1). Diversamente, le concentrazioni (μg/g) ICP-MS normalizzate riferite ai restanti HSE: Re (0.469), Ir (0.842), Ru (0.909), Pt (1.334) e Rh (1.055), descrivono un trend generalmente appiattito tipico di un corpo di natura condritica (simile più ad una condrite ordinaria di tipo LL che ad una condrite carboniosa di tipo CV) (fig.3.2). Ciò non si osserva nei restanti siderofili, ottenuti sempre tramite ICP-MS, in cui non si osserva nella distribuzione delle abbondanze un pattern composizionale di tipo condritico. La distribuzione degli elementi (fig.3.2.) sembra delineare una sorta di frazionamento, mostrando un comportamento anomalo legato ad un arricchimento nei termini più volatili come:

(37)

Au (6.884 ppm), Sb (11.297 ppm) e Sn (4.79 ppm), ed un impoverimento nei termini più refrattari come Re, Ir, Ru (e probabilmente anche Os) (fig.3.3), fatta eccezione per il W (54.627 ppm), contrariamente a ciò che si osserva nei trend condritici (Grady, Pratesi and Cecchi, 2014) (fig.3.1). Anche i siderofili più volatili, come Ga (1.51 ppm) e Ge (0.92 ppm), ottenuti con LA-ICP-MS, mostrano concentrazioni più alte rispetto quelle tipice condritiche (fig.3.3). Successivamente, mettendo a confronto le abbondanze ottenute tramite LA-ICP-MS di alcuni siderofili (W, Ni, Co, Cr, Au), con i valori ICP-MS degli stessi, è stato possibile osservare alcune discordanze sulle loro concentrazioni. Le abbondanze normalizzate di Ni, Co, Cr ottenute con LA-ICP-MS, risultano leggermente più alte (rispettivamente di: 0.909, 0.924, 1.516 ppm) rispetto a quelle ottenute con ICP-MS (0.535, 0.569, 0.967 ppm), mentre le abbondanze riferite a W e Au mostrano concentrazioni inferiori a quelle ICP-MS di un ordine di grandezza: da 54.583 a 7.844 ppm per W, e da 6.892 a 0.770 ppm per Au (fig.3.3). Questi due elementi vanno trattati con la giusta cautela, in quanto la strumentazione LA-ICP-MS è stata calibrata per gli elementi: Ni, Co, Cr, REE. Per i valori di Sb, Sn, Ga e Ge non è stato possibile ottenere un confronto.

μg/g TAM 06-14-17ICP-MS normalizzati 20c.25

LA-ICP-MS normalizzati Allende ICP-MS normalizzati Cr 2536 0.967 3976 1.516 2593 0.988 Co 292 0.569 474 0.924 648 1.263 Ni 5833 0.535 9920 0.909 13166 0.121 Ga n.d. n.d. 14.500 1.507 n.d. n.d. Ge n.d. n.d. 30.000 0.920 n.d. n.d. Mo 3.580 3.730 n.d. n.d. 1.382 1.438 Ru 0.627 0.909 n.d. n.d. 0.926 1.341 Rh 0.139 1.053 n.d. n.d. 0.166 1.255 Pd 1.240 2.214 n.d. n.d. 0.389 0.695 Sn 7.800 4.785 n.d. n.d. 0.452 0.277 Sb 1.640 11.310 n.d. n.d. 0.078 0.541 W 5.240 54.583 0.753 7.844 0.242 2.524 Re 0.019 0.469 n.d. n.d. 0.055 1.375 Os 0.035 0.070 n.d. n.d. 0.156 0.315 Ir 0.395 0.842 n.d. n.d. 0.653 1.393 Pt 1.230 1.330 n.d. n.d. 1.270 1.378 Au 1.020 6.892 n.d. n.d. 0.081 0.544

Tabella.3.1. Concentrazioni ottenute e normalizzate (CI - Palme and Lodders et al. 2014) degli elementi siderofili ottenuti con ICP-MS e LA-ICP-MS. Le concentrazioni riferite alle analisi LA-ICP-MS rappresentano una media dei dati mostrati in tabella 2.1 del gruppo LowREE.

(38)

Fig.3.2. Abbondanze normalizzate degli HSE riferiti al campione TAM MM 06-14-17 (cerchi gialli) a confronto le abbondanze presenti in letteratura riferite alle CO (arancio chiaro Fischer-Godder et al. 2010; arancio scuro Tagle et al. 2008), CV (azzurro chiaro Tagle et al. 2008; azzurro scuro Fischer-Godder et al. 2010) e LL (in grigio chiaro Fischer-Godder et al. 2010; in grigio scuro Tagle et al. 2008).

Fig.3.3. Abbondanze normalizzate dei siderofili ottenute con LA-ICP-MS (grigio) e ICP-MS (nero)

Se si dispongono le concentrazioni normalizzate di Renio, Os, Ir, Ru, Pt, Rh, Pd, W e Mo, in ordine di potenziale d’ossidazione crescente, si osserva, fatta eccezione per le concentrazioni di osmio e palladio, come le concentrazioni di tungsteno e molibdeno sono tra le più alte all’interno degli aggregati. Questo non è un caso vista la tendenza di questi due elementi a ripartirsi e concentrarsi in fasi ossidate, in

0.01 0.10 1.00 10.00 100.00 Re Os W Ir Ru Pt Rh Ni Co Pd Cr As Au Sb Ga Ge Sn ab u n d an ce / C I

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questo caso rappresentata dalla magnesioferrite. Per quanto riguarda il Pt, Ir, Rh, Ru e Re, si osserva un trend delle concentrazioni con un lieve decremento (fig.3.4), con il renio (terzo, tra gli elementi più ossidanti) che presenta concentrazioni più basse rispetto al platino (elemento, invece, poco reattivo in ambiente ossidante).

Fig.3.4. Abbondanze degli HSE-Mo-W in ordine crescente di potenziale d’ossidazione.

3.2. Ni, Co, Cr e REE come marker di una possibile contaminazione Per valutare un possibile ruolo svolto dalla componente terrestre, presente all’interno degli aggregati, nel processo di contaminazione o mixing con la componente codritica, sono stati impiegati elementi in traccia come Ni, Co, Cr e REE. Gli HSE sono stati esclusi da queste analisi in quanto è altamente improbabile che sia avvenuta una contaminazione con materiale granitico o mafico, questo perché le concentrazioni degli altamente siderofili riferiti ai due maggiori reservoir terrestri, UCC e PUM (Tab.3.2), sono tali da non influire sulla concentrazione HSE originaria (Palme et al. 1980; Wedepohl, 1995; Schmidt, 1997; Becker et al. 2006). Inoltre, i dati riferiti alle concentrazioni di Ni, Co, Cr degli aggregati TAM MM 06-14-17 ottenute con ICP-MS e dell’aggregato 20c.25 con LA-ICP-MS, sono stati impiegati per determinare la natura dell’impattore condritico. In particolare correlando le concentrazioni tra Ni, Co e Cr degli aggregati assieme a quelli relativi a UCC (Taylor and McLennan, 1995) e PUM (Palme and O'Neill, 2004), è stato possibile determinare l’attendibilità del dato in funzione dei principali reservoir terrestri, dimostrando o smentendo un possibile mixing tra questi e gli aggregati. Si

0.01 0.10 1.00 10.00 100.00 Pt Pd Ir Rh Os Ru Re Mo W ab u n d an ce / C I Potenziale d'ossidazione

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può osservare come i rapporti Co/Ni e Cr/Ni, riferiti agli aggregati, dimostrino una buona correlazione positiva (Co/Ni, r2 = 0.88; Cr/Ni, r2 = 0.81) sul totale dei dati LA-ICP-MS (fig.3.5). Inoltre è presente una buona relazione con le concentrazioni di UCC e PUM, queste, di molto inferiori a quelli extraterrestri degli aggregati, tale da far supporre (soprattutto per la coppia nickel vs cobalto) una possibile linea di congiunzione tra materiale terrestre e condritico.

Crosta Continentale Superiore (UCC) Mantello Primitivo (PUM)

Palme et al. 1980

Schmidt et al.

1997 Wedepohl, 1995 Becker et al. 2006

Palme and O'Neill 2004 Re 0.04 n.d. 0.04 - 0.48 0.35 ± 0.06 n.d. Os 0.05 0.03 ± 0.05 <0.50 3.90 ± 0.50 n.d. Ir 0.02 0.01 ± 0.01 0.002 - 0.043 3.50 ± 0.40 n.d. Ru n.d. 1.00 ± 0.60 0.30 - 3.30 7.00 ± 0.90 n.d. Pt n.d. 1.50 ± 0.60 n.d. 7.60 ± 1.30 n.d. Rh n.d. 0.40 ± 0.20 n.d. n.d. n.d. Pd 0.50 2.00 ± 0.50 <5.00 7.10 ± 1.30 n.d. Au 1.80 n.d. 0.10 - 2.50 1.90 ± 0.60 n.d. Ni 20 34 ± 10 n.d. n.d. 1860 Co 10 n.d. n.d. n.d. 102 Cr 35 n.d. n.d. n.d. 2520

Tabella.3.2. Concentrazioni dei moderatamente e altamente siderofili nei due principali reservoir terrestri. Concentrazioni in ppb e ppm.

Fig.3.5. Diagrammi di dispersione Ni vs Co-Cr, in cui sono messi in relazione i dati LA-ICP-MS, riportati anche le sorgenti UCC e PUM.

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Per una maggior comprensione riguardo il ruolo della componente terrestre all’interno degli aggregati è stato necessario analizzare gli elementi in traccia (Rb, Sr, Nb, Ta, Ba, REE, etc.) contenuti all’interno dell’aggregato 20c.25, con LA-ICP-MS.

Fig.3.6. Diagrammi di dispersione ΣREE vs Ni, Co, Cr, ottenuti con analisi LA-ICP-MS. A sinistra le correlazioni riferite ai singoli gruppi d’acquisizione (LowREE, HighREE e AllREE). A destra le correlazioni riferite ai gruppi nel loro insieme. Le concentrazioni riferite sugli assi sono espresse in ppm.

I dati LowREE mostrano delle concentrazioni ΣREE tra 29.199 e 32.036 ppm, con una media di 30.949 ± 1.138 ppm; i dati HighREE mostrano un range di valori più ampio del precedente, con concentrazioni comprese tra 53.320 e 70.699 ppm, e un valore medio di 60.281 ± 10.612 ppm; i dati AllREE presentano concentrazioni tra 30.210 e 51.838 ppm, con una media di 39.240 ± 8.497 ppm. L’attendibilità dei dati di ciascun gruppo (LowREE, HighREE, AllREE) è stata verificata mettendo in relazione le concentrazioni REE totali di ciascun gruppo con Ni, Co, Cr separatamente. Le

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correlazioni negative tra LowREE/Cr, HighREE/Co e AllREE/Ni, non mostrano un’ottima relazione tra REE e moderatamente siderofili, con i dati LowREE che presentano una buona correlazioni per il cromo (r2 = 0.78), ma assente o scarsa per cobalto (r2 = 0.03) e nichel (r2 = 0.47). I restanti dati mostrano discrete correlazioni negative (fig.3.6). Se invece correliamo tutti i valori REE con i mediamente siderofili, i rapporti ΣREE/Cr, ΣREE/Co e ΣREE/Ni tendono a presentare delle correlazioni negative discrete (ΣREE/Cr, r2 = 0.66; ΣREE/Co, r2 = 0.69; ΣREE/Ni, r2 = 0.59).Questo lascia supporre che vi sia una componente terrestre che influenzi la porzione extraterrestre della quale Ni, Co, Cr sono rappresentativi. Poiché le concentrazioni riportate dai dati LowREE sono più coerenti in termini di REE, mostrando un range di valori ristretto (29.199 - 32.036 ppm) contro i siderofili, sono stati scelti per rappresentare le concentrazioni degli elementi maggiori e in traccia riferite all’aggregato 20c.25, successivamente normalizzate (CI - Palme and Lodders, 2014) e messe a confronto con dei prodotti vulcanici e magmatici prossimi al sito di Miller Butte. In questo modo sono stati comparati tra loro i trend normalizzati delle REE riferiti: agli aggregati, ai prodotti mafici (basaniti, tefriti, fonotefriti e basalti alcalini) associati al magmatismo del Mt. Melbourne (Rocchi et al. 2002), a tefra acidi provenienti dal Talos Dome (Narcisi et al. 2016) attribuiti sia al Mt. Melbourne che al complesso delle Pleiades, e alle concentrazioni medie riferite alla UCC (Taylor and McLennan, 1995) (Tab.3.3). Seppur i trend mafici alcalini e acidi (UCC) tendono a sovrapporsi, il trend relativo agli aggregati risulta diluito e impoverito rispetto i precedenti. L’anomalia negativa in Eu (Eu/Eu* = 0.639) mostra un andamento simile a quello descritto dai termini acidi, mentre la presenza di un blando frazionamento delle HREE lo avvicina al trend dei mafici alcalini (fig.3.7). Questa impronta terrestre sul dato REE è dovuta alla scarsa concentrazione di elementi litofili nelle condriti, in questo caso bastano piccole concentrazioni di materiale terrestre affinchè queste risultino nelle analisi. Un ulteriore conferma, sulla natura delle REE e siderofili, è stata ottenuta mettendo a confronto le concentrazioni di tutti gli elementi maggiori e in traccia ottenuti (Sc, V, Cr, Co, Ni, Cu, Rb, Sr, Y, Zr, Nb, Cs, Ba, La, Ce, Pr, Nd, Sm, Eu, Gd, Tb, Dy, Ho, Er, Tm, Yb, Lu, Hf, Ta, Pb, Th, U) dalle analisi LA-ICP-MS per l’aggregato 20c.25, e messi a confronto con i prodotti mafici alcalini e acidi di letteratura prima citati.

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