Corso di Laurea Magistrale in Biologia Applicata alla Biomedicina
NUOVI APPROCCI TERAPEUTICI PER IL
TRATTAMENTO DEL CANCRO PROSTATICO
ERG POSITIVO
Relatori: Candidata:
Prof. Aldo Paolicchi Azzurra Mutti Prof. Carlo Catapano
Dott.ssa Giuseppina Carbone
reprogramming of the transcriptome of prostate epithelial cells and interfering with its activity is likely to provide direct therapeutic benefit in ERG fusion positive prostate cancers. Novel mithramycin analogues (mithralogs) have shown activity in cancers with genetic rearrangements of ETS factors, such as ERG and FLI1, suggesting that the anti-transcription activity of this class of anticancer compounds could be particularly beneficial in tumors with similar pathogenesis. Accordingly, in this study we tested the activity of EC-8042, a novel mithralog that has demonstrated high efficacy and low toxicity, in cellular models of ERG fusion positive prostate cancer. ERG fusion positive cell lines (VCaP, NCI-H660) were used to evaluate the effects of EC-8042 on ERG activity, cell proliferation, clonogenicity and tumor-sphere formation. Treatment of VCaP and NCI-H660 cells with the EC-8042 inhibited cell proliferation and clonogenicity. EC-8042 drastically reduced tumor-sphere formation by VCaP cell. Mechanistically, EC-8042 mimicked the effects of genetic knockdown of ERG. We observed a significant depletion of ERG and his targets at the mRNA and protein level following treatment with EC-8042. Consistently, EC-8042 inhibited the ERG transcriptional activity in luciferase reporter assays and expression of relevant ERG target genes. |Furthermore VCaP cell long term treated with Enzalutamide shows a downregulation of oncogenic targets related to therapeutic resistance. For this reason, we can say that EC-8042 interferes with ERG-dependent pro-tumorigenic and pro-metastatic transcriptional program and may represent an effective strategy for the treatment of ERG fusion positive prostate cancer.
Introduzione
1. Il cancro prostatico
1.1 Struttura e funzione della ghiandola prostatica 1.2 Scoperta e diagnosi
1.3 Caratteristiche molecolari del cancro prostatico 1.4 Le proteine della famiglia ETS
1.5 La fusione TMPRSS2-ERG 1.6 Alterazioni molecolari 1.7 Il ruolo di EZH2 nel PCa 1.8 Il ruolo di PTEN nel Pca 2. La terapia farmacologica 2.1 Enzalutamide
2.2 Mitramicina e analoghi della mitramicina
Scopo della tesi
Materiali e metodi
1. Colture cellulari
1.1 Linee cellulari utilizzate
1.2 Passaggio delle cellule per le linee cellulari LNCaP, VCaP, DU145, 22RV1 e PC3
1.3 Passaggio delle cellule per la linea cellulare NCI H660 2. Saggi di vitalità
2.1 MTT assay 2.2 SRB assay 3. Saggi funzionali 3.1 Saggio clonogenico
3.2 Saggio della formazione delle prostato-sfere 4. Saggio luciferasico
5. Elettroforesi su gel di poli-acrilamide in codizioni denaturanti (SDS-PAGE) 6. Estrazione dell’RNA e quantificazione
Risultati
1. EC-8042 influenza la capacità proliferativa delle cellule tumorali prostatiche 2. EC-8042 influenza la capacità proliferativa delle cellule tumorali prostatiche ERG positive
3. EC-8042 influenza la capacità clonogenica delle cellule tumorali prostatiche 4. EC-8042 riduce l’attività trascrizionale di ERG
3. EC-8042 inibisce i geni regolari da ERG 4. EC-8042 inibisce direttamente ERG
4. EC-8042 agisce direttamente su ERG e sui target di ERG nella linea cellulare NCI H660
5. EC-8042 influenza il compartimento staminale, inibendo la produzione di prostato-sfere
6. Impatto di EC-8042 sulle cellule LT-Enzalutamide
Discussione
Bibliografia
1
IL CANCRO PROSTATICO
Il cancro della prostata (PCa) rappresenta la più comune neoplasia diagnosticata tra gli individui di sesso maschile negli Stati Uniti e la terza causa di morte, solo dopo il cancro del polmone e cancro del colon-retto. L’aumento del tasso di incidenza dalla fine degli anni ’80 all’inizio degli anni ’90, sono dovuti principalmente all’avvento del test per il dosaggio dell’antigene prostatico specifico (PSA), che ha permesso di incrementare la diagnosi di PCA nei suoi stadi inziali, evidenziando anche i casi “latenti”, casi destinati a non manifestarsi clinicamente [1].
In Italia, nel 2016 il cancro della prostata rappresentava ancora il 19% di tutti i tumori diagnosticati negli uomini, escludendo i tumori della cute (non melanomi). I dati forniti dai Registri Tumori del 2016 indicano come prima causa di morte per gli uomini il tumore del polmone (26%), seguito dal cancro del colon-retto (10%) e dal tumore della prostata (8%).
L’eziologia del carcinoma della prostata rimane ancora non del tutto chiarita, tuttavia la complessa interazione tra fattori genetici, ormonali e ambientali rende questa patologia indubbiamente di tipo multifattoriale.
Tra i fattori di rischio vi è in primo luogo l’età avanzata, infatti l’incidenza del PCa generalmente aumenta con l’età, solo il 25% e 37% dei casi sono diagnosticati prima dei 65 anni, rispettivamente in Europa e in U.S. [2], [3].
Altri fattori di rischio sono la storia familiare [4], [5], alti livelli di testosterone e IGF-1 [6] e una dieta con un eccessivo apporto di grassi, così come l’obesità. [7]. La variabilità dell’incidenza di PCa tra le popolazioni dell’Europa occidentale e nell’Asia orientale, dove si osservano tassi più bassi, è stata messa in relazione con la differente tipologia di alimentazione, in quanto nelle popolazioni asiatiche prevale una dieta ad alto contenuto di fitoestrogeni, antiossidanti e povera di lipidi [8].
1.1 Struttura e funzione della ghiandola prostatica
La prostata è una ghiandola tubulo-alveolare, che circonda l’uretra a forma piramidale, simile ad una castagna, situata nella piccola pelvi. La funzione biologica di questa ghiandola è quella di produrre ed emettere liquido prostatico, che, insieme alle secrezioni delle vescicole seminali, ghiandole bulbo-uretrali e dei testicoli forma il liquido seminale, il quale viene rilasciato durante l’eiaculazione. La prostata è composta dalla componente epiteliale, circondata da una componente stromale.
L’epitelio ghiandolare si divide in due strati: lo strato basale e lo strato secretorio-luminale. Questi due compartimenti sono divisi da una membrana basale. L'epitelio basale e luminale della prostata formano gli acini ghiandolari.
Figura 1: Organizzazione istologica delle cellule della ghiandola prostatica.
Nella figura sono mostrate le cellule epiteliali e le cellule neuroendocrine (NE). All’interno della componente stromale si trovano i vasi sanguigni e le terminazioni neuronali.
Lo strato basale è costituito da cellule indifferenziate e rappresenta il compartimento proliferativo del tessuto prostatico.
Nello strato luminale sono inserite cellule di tipo colonnare dalla morfologia allungata, responsabili della produzione e secrezione del PAP (Prostatic Acid Phosphatase), del PSA (Prostate-Specific Antigen) e della hK2 (Human Kallikrein-2) [9]. Le cellule luminali sono cellule non proliferative, differenziate ed esprimono alti livelli di AR (Androgen Receptor), di conseguenza la loro sopravvivenza è strettamente correlata all’azione stimolante degli androgeni (Nelson et al., 2003). All’interno del compartimento epiteliale diverse importanti funzioni sono controllate dall’azione degli androgeni, tra i quali la differenziazione, la proliferazione cellulare, il metabolismo e le funzioni secretorie [10].
Inoltre, è presente anche un altro tipo cellulare, il cui ruolo non è ancora stato completamente definito: le cellule neuroendocrine. Queste cellule, disperse tra le cellule basali e le luminali, sembra svolgano un ruolo importante nello sviluppo e differenziamento del tessuto prostatico (Long et al., 2005).
1.2 Scoperta e diagnosi
Secondo la classificazione offerta da Mc Neal, la ghiandola prostatica si può suddividere in tre regioni principali: la zona periferica, la zona centrale e la zona di transizione, caratterizzate da differenze sia biologiche che istologiche. Nella zona periferica origina in più del 70% il CaP, mentre nella zona di transizione solo il 20% circa e 1-5% nella zona centrale. Dei tumori che originano dalla zona periferica la quali totalità (95%) sono adenocarcinomi di tipo acinare [11].
Il CaP è una patologia contraddistinta da un lungo periodo di latenza e da una lenta progressione, per cui sebbene la scoperta del PSA (Antigene Specifico della Prostata) come marcatore tumorale sierico abbia rivoluzionato la diagnosi del cancro alla prostata, l'effettiva utilità di quest'esame rimane ancora tuttora discussa, in quanto non è in grado di distinguere tra forme indolenti organo-confinate e le forme più aggressive: è ampiamente dimostrato che anche in caso di ipertrofia prostatica si evidenzino aumentati livelli sierici di PSA, così come si possono avere bassi livelli iniziali di siero PSA e manifestare un cancro alla prostata aggressivo (N. Terada, S. Akamatsu et al).
A tutt’oggi la definizione della scelta terapeutica viene valutata secondo la combinazione di diverse indagini: l’esplorazione rettale (ER), la valutazione dei livelli di PSA e nuovi marcatori come il PCA3, il cui mRNA non codificante risulta inespresso nel 95% dei casi di tumore alla prostata, tecniche di immagini come l’ecografia transrettale e la tomografia computerizzata (TC) e infine l’agobiobsia prostatica.
L’utilizzo del punteggio di Gleason (Gleason score), che si basa sulla valutazione della struttura delle cellule prostatiche, il grado di differenziazione e l’infiltrazione nello stroma, risulta importante per la scelta terapeutica del paziente. Il Gleason assegna un punteggio che va da 1 a 5: punteggi bassi corrispondono a tumori con scarsa tendenza a diffondersi a distanza e risultano per cui anche con una migliore prognosi [11].
1.3 Caratteristiche molecolari del cancro prostatico
Il cancro della prostata è una patologia altamente eterogena, risultato di un accumulo di alterazioni somatiche, genetiche ed epigenetiche.
Durante il processo di trasformazione, le cellule si evolvono gradualmente dal fenotipo iniziale di epitelio normale al fenotipo maligno: negli anni sono stati identificati diversi pathway molecolari, meccanismi di attivazione di oncogeni e disattivazione di oncosoppressori implicati nello sviluppo e nella progressione del PCa.
La neoplasia prostatica intraepiteliale (PIN) è una lesione non invasiva pretumorale, dell'epitelio duttulo-acinare e, specialmente nella forma high-grade (HGPIN), è stata ampiamente riconosciuta come marcatore precursore per l’adenocarcinoma prostatico [12], [13].
1.4 Le proteine della famiglia ETS
I fattori di trascrizione (TFs) sono proteine nucleari, che legandosi sul DNA in specifiche regioni regolatorie, promuovono l’iniziazione della trascrizione negli eucarioti.
Il primo membro ad essere caratterizzato della famiglia ETS (E26 Transformation Specific) fu v-ets, un oncogene di fusione GAG-MYB-ETS nel retrovirus trasformante aviario E26 (E-Twenty-Six) in grado di indurre nei polli leucemia eritroblastica e mielobalstica [14]. L'identificazione di ETS-1 come proteina di fusione oncogenica nel virus E26 ha portato alla scoperta di un legame tra il cancro e i fattori di trascrizione ETS. In seguito, molte altre proteine contenenti il dominio ETS sono state identificate in diversi organismi. Sulla base di queste ricerche è stata individuata una delle più grandi famiglie di fattori trascrizionali, denominata famiglia dei geni ETS (E26 Transformation Specific) che ad oggi comprende 27 componenti, come mostrata in figura 3.
Figura 3: Schema dei domini strutturali dei diversi fattori ETS. La famiglia dei fattori di trascrizione ETS è caratterizzata da un dominio altamente conservato, che consiste in circa 80 aminoacidi, in grado di riconoscere sequenze di DNA con motivo GGAA/T. In questa figura sono inoltre mostrati il dominio “pointed” (PNT) ed il dominio transattivante (TAD); il dominio inibitorio (ID) A/T dominio di legame (A/T) ed il dominio repressore (RD). Oettgen P. Regulation of vascular inflammation and remodelling by ETS factors. Circ Res. 2006 (99: 1159-1166)
I membri della famiglia ETS condividono un dominio di legame al DNA che consta di circa 85 aminoacidi il quale media il legame a sequenze di DNA ricche in purine, caratterizzate da una sequenza centrale GGAA/T ed adiacente ad essa vi è un nucleotide addizionale, che permette di distinguere il legame dei diversi membri della famiglia ETS. Un altro dominio conservato in 11 proteine su 27 dei fattori ETS è il dominio “pointed” (PNT) che media l’interazione proteina-proteina e altre funzioni, tra cui l’eterodimerizzazione e l’oligomerizzazione [15], [16].
Il dominio ETS è composto da 3 α-eliche e 4 β foglietti e la struttura deputata al legame con il DNA coinvolge i residui localizzati nell’elica α3, la porzione tra β3 e β4 e il loop tra α2 e α3 [15].
La famiglia dei fattori di trascrizione ETS media molteplici importanti funzioni biologiche tramite la loro attività trascrizionale, tra cui la differenziazione, crescita e proliferazione cellulare, nonché apoptosi ed ematopoiesi. Inoltre questa famiglia di fattori di trascrizione risulta importante in diverse vie di trasduzione, tra le quali la via di Ras/Raf/MAPK e PI3K/Akt.
Le proteine ETS regolano geni che sono coinvolti sia nel ciclo cellulare che nella senescenza. Differenze strutturali e funzionali del dominio ETS determinano la diversa attività trascrizionale di ciascuna proteina ETS: alcuni agiscono da attivatori, altri da repressori della trascrizione, altri mostrano entrambe le attività [14], [15].
Figura 4: Funzione dei ETS FTs nei processi biologici.
I fattori di trascrizione ETS svolgono funzioni biologiche importanti per l’omeostasi cellulare e non è sorprendente che si trovino frequentemente alterati nella genesi e progressione neoplastica. Molti geni che controllano la normale crescita e differenziazione cellulare sembrano essere sotto il controllo di questi geni, tra cui le proteine cicline e Cdk, proteine responsabili della corretta progressione del ciclo cellulare, Bcl-2, fattore anti-apoptotico essenziale per la sopravvivenza cellulare, proteine coinvolte nei fenomeni di migrazione ed invasione metastatica come la Vimentina e proteine implicate nei processi di angiogenesi (Integrine, VEGF) [17].
L’alterazione nell’espressione dei geni della famiglia ETS, sotto forma di overespressione, amplificazione e traslocazione sono frequenti in numerose patologie maligne. Diversi studi hanno dimostrato la presenza di queste deregolazioni in tumori soldi come il cancro della prostata, dove si assiste a frequenti riarragiamenti cromosomiali che riguardano geni della famiglia ETS: ERG in particolare ma anche ETV1, ETV4. Nel tumore di Ewing in più del 95% dei casi è stata riscontrata una traslocazione t(11;22) (q24;q12) che causa la formazione di proteine chimeriche aberranti [18]–[20].
La loro deregolazione favorisce quindi la progressione e metastatizzazione del tumore, per cui i geni che codificano per le proteine ETS possono risultare interessanti target per una selettiva terapia contro diversi tipi di cancro.
1.6 La fusione TMPRSS2-ERG
Nel 2005 Tomlins e collaboratori sono stati i primi ad identificare la fusione genica tra il gene TMPRSS2 (Transmembrane Protease Serine 2) e geni della famiglia ETS nel cancro della prostata. Questa fusione coinvolge il promotore del gene TMPRSS2 e vari fattori di trascrizione ETS. La più frequente traslocazione riguarda il gene ERG (TMPRSS2-ERG).
Il gene TMPRSS2 (21q22.3) codifica per una proteina transmembrana, altamente espressa dall'epitelio normale della ghiandola prostatica umana. Esso si trova costitutivamente espresso in quanto si trova sotto controllo degli ormoni androgeni, funzione mediata dagli elementi responsivi agli androgeni (ARE) che si trovano nel promotore del gene stesso [21].
La proteina nucleare ERG (Ets-related gene) è una proteina di circa 41 kDa, fattore di trascrizione della famiglia ETS capace di legare il DNA e promuovere o reprimere l’espressione di diversi geni implicati nella differenziazione e proliferazione cellulare, angiogenesi, apoptosi e invasività [22].
La fusione più comune rappresentata dal gene TMPRSS2 con ERG (21q22.2) riscontrata in più del 50% dei casi, mentre TMPRSS2 con altri fattori ETS (ETV-1, ETV-4, ETV-5) risultano con una frequenza di circa 2%. Queste fusioni portano alla trascrizione dell’intera proteina ERG o ETV-1 (7p21.2) , ETV-4, ETV-5 sotto controllo androgenico [23]–[25].
Una delezione di circa 2.8 Mb nel loco 21q22 tra i geni TMPRSS2 ed ERG porta il gene ERG sotto il controllo androgenico, determinato dalle regioni AREs che si trovano nel promotore TMPRSS2. In alcuni casi più rari la fusione può
Figura 5: Meccanismo di formazione della fusione del gene TMPRSS2-ERG.
A. Burdova, J. Bouchal, S. Tavandzis, and Z. Kolar, “TMPRSS2-erg gene fusion in prostate cancer,” Biomed. Pap., vol. 158, no. 4, pp. 502–510, 2014.
Studi in vitro hanno dimostrato tuttavia che si possono creare ibridi differenti a seconda degli esoni coinvolti: Clark e collaboratori hanno individuato 14
trascrizioni ibride di TMPRSS2-ERG, che possono includere gli esoni 1, 2 e 3 di TMPRSS2 fusi agli esoni 2, 3, 4, 5 o 6 di ERG. Cinque di questi ibridi tuttavia non erano in grado di produrre una proteina ERG integra in quanto presenti codoni di stop in-frame [26].
La variante piu comune degli mRNA trascritti, la cui presenza è di circa 86% nei tumori che presentano la fusione, è la variante T1/E4, la quale contiene l’esone 1 di TMPRSS2 e gli esoni 4-11 di ERG. Questa fusione porta alla traduzione di una proteina tronca. La variante T2/E4, che comprende gli esoni 1-2 di TMPRSS2 fino agli esoni 4-11 di ERG, risulta in frame con l’ORF di ERG e porta alla trascrizione dei primi 5 amminoacidi di TMPRSS2 ma manca dei primi 12 amminoacidi della proteina ERG. Tuttavia questa delezione non pregiudica la funzionalità biologica della proteina, in quanto rimangono inalterati i domini funzionali di ERG: il dominio di legame con il DNA (dominio ETS), il dominio coinvolto nella dimerizzazione della proteina (dominio PNT, “pointed”), il
dominio transattivante CTD, e la capacità della proteina di reclutare altri fattori di trascrizione rimangano immutati [26]–[28].
Figura 6: Struttura degli ibridi TMPRSS2-ERG. Le sequenze che appartengono al gene TMPRSS2 sono in colore blu, quelle in rosso appartengono ad ERG. Le regioni evidenziate in chiaro sono quelle non tradotte. J. Clark et al., “Diversity of TMPRSS2-ERG fusion transcripts in the human prostate.,” Oncogene, vol. 26, no. 18, pp. 2667–73, 2007.
Wang et al., hanno inoltre mostrato come alcune isoforme della proteina chimerica influenzino in modo particolare la progressione del carcinoma prostatico: le isoforme che comprendono l’esone 1-2 di TMPRSS2 e l’esone 4 di ERG consentono la progressione del tumore verso uno stadio più aggressivo e metastatico [24].
Numerosi studi hanno dimostrato che la fusione TMPRSS2-ERG è associata ad una bassa sopravvivenza nei pazienti con cancro prostatico rispetto ai pazienti in cui non è presente questa fusione. Inoltre, tumori TMPRSS2-ERG presentano alto Gleason score e presenza di metastasi ossee [29], [30]. Nonostante ciò il solo biomarcatore TMPRSS2-ERG non risulta sufficientemente specifico e sensibile per diagnosticare il cancro della prostata, ma in combinazione con i parametri di
PSA sierico e PCA3 urinario, l’accuratezza nella diagnosi di PCa aumenta sia in sensibilità (80%) che in specificità (90%) [31].
Negli ultimi anni oltre ai marcatori tumorali di tipo diagnostico, si è reso
necessario l’utilizzo di marcatori prognostici, in grado di predire la severità della malattia e la gestione della terapia oncologica.
Sebbene la ricerca scientifica negli ultimi anni abbia fatto notevoli progressi nell’individuare e caratterizzare le alterazioni genetiche coinvolte nel cancro della prostata e la fusione TMPRSS2-ERG risulti con una frequenza piuttosto elevata, il valore prognostico della fusione genica TMPRESS2-ERG rimane ancora un argomento fortemente discusso nella letteratura corrente. Questo potrebbe essere in parte dovuto all’origine multifocale del cancro prostatico e all’elevata
eterogeneità che si riscontra anche a livello istologico. Secondo Konishi e collaboratori il cancro prostatico potrebbe avere origine da tumori multifocali di vario grado che mano a mano si uniscono a formare una lesione unica [32].
1.7
Alterazioni molecolari
Una delle alterazioni precoci riscontrate di frequente sembra essere la perdita del gene oncosoppressore NKX3.1. Questo gene, controllato dall’azione degli androgeni, è localizzato nella regione cromosomica 8p21 e codifica per una proteina in grado di legarsi al DNA e reprimere l’espressione di proteine secretorie come il PSA [36]. La sua perdita è associata ad un aumento dell’instabilità genomica ed è considerata un evento iniziatore nella carcinogenesi prostatica [37]. Anche la sovraespressione del gene MYC sembra essere un evento frequente e precoce e si ritrova maggiormente nel HGPIN e negli adenocarcinomi prostatici localizzati. Sia in vitro che nei modelli animali è stato inoltre dimostrato che MYC può essere attivato dalla fusione TMPRSS22-ERG [37]. Questa fusione tra il gene Transmembrane Protease, Serine 2, che si trova sotto il controllo androgenico e l’oncogene ERG (ETS-related gene), porta all’espressione di tutta la proteina ERG e si ritrova in più del 50% dei tumori della prostata [20]. ERG fa parte della famiglia dei fattori di trascrizione ETS, i quali sono in grado di legare specificatamente regioni genomiche contenenti i motivi di base GGA(A/T) (Nye et al., 1992). La progressione tumorale del cancro della prostata è inoltre sostenuta dal Recettore per gli Androgeni (AR), il cui gene è localizzato sul braccio lungo del cromosoma X. AR è un recettore steroideo, il quale media gli effetti biologici degli androgeni. La sopravvivenza cellulare durante il normale sviluppo della prostata, dipende principalmente dal recettore androgeno (AR). In assenza del suo ligando AR si trova prevalentemente nel citoplasma, associato con un complesso formato da proteine chaperone e heat-shock proteins; il legame con il suo ligando, il dihydrotestosterone, promuove la dissociazione da tale complesso, la sua dimerizzazione e la traslocazione del recettore all’interno del nucleo, dove si lega a sequenze chiamate Androgen Response Element (ARE), le quali sono contenute nella regione regolatoria di geni targets.
Interessante notare che già nel 2007, Massie e collaboratori avevano dimostrato l'arricchimento di motivi ETS adiacenti ai siti di legame AR. In seguito è stato dimostrato che siti di legame di AR e di ERG sono sovrapposti, in particolare nelle regioni di enhancer di diversi geni target. ERG trovandosi quindi overespresso nelle
cellule tumorali prostatiche presumibilmente attiva un programma di trascrizione aberrante di AR, modificando il normale ruolo svolto da questo recettore [38]. Il meccanismo molecolare con cui le due proteine interagiscono rimane tuttavia ancora largamente incompreso.
Figura 7: Meccanismo di azione dell'Androgen Receptor
Traslocazioni cromosomiche che coinvolgono ERG, ETV1, ETV4, ETV5 (fattori di trascrizione appartenenti alla famiglia ETS) con geni la cui espressione è regolata dalla presenza degli androgeni come ad esempio TMPRSS2, porta ad una espressione inappropriata, androgeno-dipendente, dei geni della famiglia ETS [39].
AR AR
ARES MRNA
Figura 8: In presenza di androgeni il gene TMPRSS2 viene over-espresso. In seguito alla traslocazione, il promotore di TMPRSS2 regola l’espressione dei geni della famiglia ETS, tra i quali ERG.
Una delle caratteristiche principali che si ritrova nella progressione tumorale nel cancro della prostata è il passaggio da uno stato di androgeno-dipendenza ad un fenotipo irreversibile di androgeno-indipendenza. Sebbene il meccanismo molecolare il tale transizione non sia ancora pienamente compreso, tale modificazione riveste un ruolo chiave poiché la castrazione chimica o chirurgica, che comporta una soppressione degli androgeni, produce inizialmente una sensibile regressione tumorale. Tuttavia, nonostante le buone risposte iniziali, in una fase successiva il tumore smette di rispondere a tale terapia e progredisce in uno stato androgeno-indipendente, che risulta infine fatale [40].
Ad ogni modo la sola overespressione di ERG sembra essere insufficiente per l’acquisizione di un fenotipo aggressivo: la perdita di PTEN o la disregolazione del pathway PI3K/AKT sono fattori essenziali per la progressione tumorale [41], [42]. PTEN (Phospathase and Thensin Homologue) è un gene oncosoppressore che si trova sul cromosoma 10q23 e codifica per una proteina responsabile della defosforilazione e inattivazione del PIP3 (fosfatidilinositolo 3,4,5-trisfosfato), il quale se attivo, agisce da ancora lipidica e determina l’attivazione della proteina chinasi AKT, coinvolta nell’inibizione apoptotica e nella proliferazione cellulare. Di conseguenza PTEN inibisce la cascata di AKT, contrastando l’attività di PI3K sul secondo messaggero PIP3. La perdita di PTEN porta quindi ad una sopravvivenza e migrazione cellulare maggiore, così come ad una aumentata proliferazione [43].
Diversi studi hanno dimostrato inoltre che anche il gene dell’E-Caderina, il gene CDH1, risulta represso in molte neoplasie epiteliali, tra cui il cancro della prostata. Questa proteina è un recettore transmembrana che media l’adesione cellulare in modo Ca-dipendente, nonché la motilità delle cellule epiteliali. La ridotta produzione dell’E-Caderina è associata a diversi tipi di tumori, tra cui quello della mammella e della prostata, ed in quest’ultimo è stata associata ad una ridotta sopravvivenza dei pazienti [44],[45]. I meccanismi che portano alla diminuita produzione di questo oncosoppressore sono molteplici: dalle mutazioni nel gene CDH1, che causano la produzione di una proteina non funzionante [45], a modificazioni epigenetiche e di repressione trascrizionale, causate dalla overespressione del gene EZH2 [46].
Nel 2016 Ma et al. Hanno inoltre dimostrato che la perdita di funzionalità di questa proteina può diminuire gli effetti della terapia farmacologica con chemioterapici attraverso l’attivazione del pathway ERK, Akt e JAK.
EZH2, Enhancer di zeste homolog 2, rappresenta la subunità catalitica del Polycomb Repressive Complex 2 (PRC2), un complesso multiproteico che promuove la repressione genica attraverso la metilazione della cromatina, attraverso la trimetilazione dell'istone H3 sulla lisina 27. EZH2 è stato trovato sovra-espresso o amplificato in diversi tipi di tumori, e ciò suggerisce che EZH2 possa agire da oncogene (Bracken AP et al., 2006). Inoltre, Varambally et al., nel 2002, hanno evidenziato come l’upregolazione di EZH2 sia un evento piuttosto frequente nel cancro della prostata di tipo metastatico.
È stato inoltre dimostrato che la fusione TMPRSS22-ERG induce la sovraespressione di EZH2, in particolare nei casi metastatici aggressivi, e di particolarmente interessante è stato trovato che geni conosciuti precedentemente come target di EZH2, come ADRB2, CDH1, DAB2IP, SNCA e SOCS sono stati scoperti associati al fattore di trascrizione ERG. [47]–[50]. Queste osservazioni sostengono quindi l’ipotesi che un aumento dell’espressione di EZH2 risulti rilevante nella progressione del cancro prostatico.
Una delle caratteristiche principali nella progressione tumorale è la resistenza all’apoptosi. Un altro gene la cui espressione risulta soventemente aumentata nel cancro della prostata è il fattore anti-apoptotico Bcl-2, presente nel 50% dei tumori metastatici e non più rispondenti all’azione degli androgeni. Questo gene è normalmente espresso nell’epitelio prostatico ghiandolare, confinato alle cellule epiteliali basali [51]. Bcl-2 è un regolatore negativo della morte programmata, e si trova frequentemente aumentato in regioni della prostata dove non verrebbe normalmente espresso, come nelle cellule di tipo luminale, dove risultano espressi anche a bassi livelli di AR nucleare [52]. La sua deregolazione è in grado quindi di aumentare la sopravvivenza cellulare in modo incontrollato.
1.8 Il ruolo di EZH2 nel PCa
Il DNA eucariotico è organizzato in unità ripetitive, chiamate nucleosomi, composti da proteine basiche istoniche attorno alle quali si avvolge il DNA, carico negativamente, in modo analogo a quello di un filo avvolto attorno ad una bobina. Ogni nucleosoma è formato da due coppie di istoni: H2A, H2B, H3, H4. Il DNA associato a proteine prende il nome di cromatina. L'imballaggio di DNA in cromatina consente alla cellula di regolare l'espressione genica: rimodellamenti nella struttura locale della cromatina possono facilitare o impedire l'accesso delle proteine coinvolte nell’attività trascrizionale. L’accesso dei macchinari di trascrizione al DNA richiede che la struttura della cromatina sia in forma aperta. Modificazioni possono derivare sia dall’idrolisi dell’ATP, grazie a complessi proteici che modificano la struttura dei nucleosomi, oppure grazie a modificazioni covalenti che coinvolgono le proteine istoniche, in particolare acetilazione metilazione, che creano una modifica nella carica elettrostatica degli istoni. [53], [54]. Le proteine del gruppo Polycomb (PcG) e le proteine del gruppo Trithorax (TrxG) regolano il pattern di espressione di molti geni mediante metilazione dei residui di lisina delle code istoniche. In particolare, le proteine del gruppo Polycomb sono associate a silenziamento genico mentre quelle del gruppo Trithorax sono coinvolte in aumento della trascrizione genica [54].
Le proteine del gruppo Polxcomb (PcG), identificate per la priva volta in Drosophila melanogaster, sono fattori regolatori della trascrizione, altamente conservati. Le proteine PcG formano due complessi multimerici distinti, PRC1 e PRC2. Nei mammiferi, PRC2 è formato da: EZH2 (Enhancer di Zeste 2), SUZ12 (of zeste 12) e EED (Embryonic Ectoderm Development). EZH2 e EZH1 hanno attività catalitica ed inducono mono, di- e trimetilazione dell’istone 3 sulla lisina 27 (H3-K27). Questa modificazione facilita l’ancoraggio delle proteine CBX dell’altro complesso, PCR1, che, una volta assemblati, catalizzano la ubiquitinizzazione dell’istone H2A e completano così il silenziamento genico, limitando l'accessibilità sia dei fattori di trascrizione che delle proteine coinvolte nel rimodellamento della cromatina, come SWI/SNF [55].
Figura 2: EZH2 è una proteina enzimatica del complesso PRC2, che catalizza la trimetilazione dell'istone H3 alla lisina 27. Insieme a PRC1, HDAC e DNMT, EZH2 induce la compattazione della cromatina e silenziamento epigenetico dei geni chiave che controllano invasione e proliferazione cellulare durante la tumorigenesi. EZH2 può essere regolata a livello trascrizionale tramite E2F, p53 e Myc, a livello post-trascrizionale (da microRNAs) e tramite fosforilazione mediata dalla protein-chinasi Akt.
Y. A. Yang and J. Yu, “EZH2, an epigenetic driver of prostate cancer,” Protein and Cell, vol. 4, no. 5. pp. 331– 341, 2013.
Le proteine del gruppo Polycomb (PcG) tramite la loro funzione di regolatori epigenetici svolgono un ruolo importante della trascrizione che hanno ruoli chiave nel mantenimento dell’identità e differenziazione cellulare [56]. In particolare, è stato dimostrato che nelle cellule staminali embrionali di topo e nelle cellule embrionali umane di tipo fibroblastico TIG3, le proteine PcG silenziano in modo epigenetico numerosi geni coinvolti nella regolazione dello sviluppo cellulare e guidano la differenziazione delle cellule staminali adulte in diverse linee cellulari [57]. EZH2 regola, mediante la sua attività metilasica, anche il gene dell’ E-Caderina (CHD1), la cui riduzione trascrizionale è critica per la transizione epiteliale-mesenchimale (EMT) e sembra rivestire un ruolo importante nella formazione delle metastasi [54].
Non risulta insolito che EZH2 si trovi frequentemente deregolato in diversi tipi di tumori soldi, tra i quali nel cancro al seno di tipo metastatico, cancro della vescica, tumore gastrico, cancro polmonare e carcinoma epatico [54].
un livello di Gleason elevato, livelli di PSA elevati ed aumentata proliferazione cellulare. Si trova inoltre frequentemente più elevato nei cancri prostatici di tipo metastatico rispetto ai tumori primari [46], [58].
Studi condotti nei laboratori dell’Istituto Oncologico di Ricerca a Bellinzona hanno dimostrato come l’espressione della proteina EZH2 sia sotto il controllo del fattore trascrizionale ERG. Infatti è stata notato un aumento sia linee cellulari che nei tumori prostatici esprimenti ERG (ERGhigh), rispetto alle linee cellulari ed ai tumori con nessuna alterazione ETS (NoETS). Mediante analisi computazionale e esperimenti di immunoprecipitazione della cromatina (Chip), è stato osservato che, nella linea cellulare VCaP (positiva alla traslocazione TMPRSS2-ERG) e in campioni clinici ERGhigh, ERG era in grado di legarsi al promotore del gene EZH2, inducendone la trascrizione. Nello stesso lavoro è stato dimostrato come l’induzione di EZH2 da parte di ERG determina una ridotta espressione del gene oncosoppressore Nkx3.1, fattore di trascrizione prostata-specifico. L’overespressione di EZH2 nel tumore della prostata contribuisce quindi al silenziamento di Nkx3.1 portando alla progressione neoplastica [42].
1.9 Il ruolo di PTEN nel PCa
PTEN (Phospathase and Thensin Homologue) è un gene oncosoppressore, scoperto nel 1971 che si trova sul cromosoma 10, nel locus 10q23.2. Questo gene codifica per una proteina responsabile dell’inattivazione del PIP3 (fosfatidilinositolo 3,4,5-trisfosfato), il quale se attivo, agisce da ancora lipidica e determina l’attivazione della proteina chinasi AKT, coinvolta crescita cellulare ed alla resistenza all'apoptosi [21].
PTEN si trova frequentemente deleto o ipoespresso in diversi tipi di cancro, incluso il carcinoma del colon-retto e nella Sindrome di Cowden, una malattia genetica rara, caratterizzata da mutazioni a livello germinale di questo gene [60], [61]. Nei cancri prostatici, si ritrova frequentemente alterato in particolare in stadi avanzati del tumore e nei tumori di tipo metastatici resistenti alla castrazione [62].
La delezione del gene di PTEN svolge un ruolo critico nella progressione del cancro della ghiandola prostatatica: modelli murini transgenici mostrano che la sola overespressione di ERG non è sufficiente per far sviluppare lesioni pre-neoplastiche, ma in assenza di PTEN si osserva una progressione da HGPIN ad un adenocarcinoma invasivo [41]. Anche nei tumori umani la fusione TMPRSS-ERG risulta frequentemente associata alla perdita di PTEN, e l’espressione aberrante di questi due geni promuove l’insorgenza di un fenotipo più aggressivo [63].
Importante sottolineare che la perdita di PTEN, provoca un’aumentata attivazione di AKT, proteina citosolica capace di andare a fosforilare diversi substrati, tra i quali EZH2 nel residuo amminoacidico ser21. Ciò riduce l'affinità di EZH2 verso l'istone H3, che si traduce in una diminuzione della metilazione dell’ H3, comportando una diminuzione del silenziamento genico normalmente indotto da EZH2 [64]. Queste modificazioni a livello molecolare sembrano quindi essere cruciali per la progressione a fenotipo maligno del carcinoma prostatico.
2.
LA TERAPIA FARMACOLOGICA
Il carcinoma prostatico costituisce, sia dal punto di vista clinico che biologico, una patologia piuttosto eterogena. Il tipo di trattamento del cancro prostatico dipende essenzialmente dalle caratteristiche proprie del tumore, quali dimensioni, grado di aggressività, localizzazione nonché dalle condizioni generali e la storia clinica del paziente. Dal punto di vista clinico la malattia può presentarsi localizzata alla sola ghiandola prostatica o di tipo metastatico, sintomatica o asintomatica. Circa l’80% dei pazienti a cui è stato diagnosticato un tumore resistente alla castrazione sviluppa metastasi ossee. Il coinvolgimento delle metastasi ossee è associato ad un deterioramento significativo della qualità di vita del paziente e ad una prognosi infausta [65].
Le scelte terapeutiche principali per il cancro prostatico localizzato sono essenzialmente:
o La “sorveglianza attiva”, un controllo periodico del paziente che consiste nella valutazione di alcuni parametri come il livello di PSA, esame rettale e biopsia (raccomandato per pazienti a basso rischio: Gleason Score di grado 1, PSA < 10 ng/ml e tumore confinato alla ghiandola prostatica; o Prostatectomia, ovvero rimozione totale o parziale della prostata; o Radioterapia.
Queste procedure possono essere supportate da chemioterapia (principalmente Flutamide e Goserelin) se i linfonodi risultano compromessi [66]–[68].
Nel caso che il paziente risulti avere un cancro di tipo metastatico la rimozione chirurgica della ghiandola prostatica non risulta evidentemente sufficiente.
Il testosterone, prodotto in gran parte dalle cellule di Leyding situate nei testicoli e in misura minore nella corteccia del surrene, ricopre un ruolo fondamentale nella crescita delle cellule tumorali prostatiche. Per questo motivo, la scelta principale nei decenni passati ricadeva sulla rimozione chirurgica dei testicoli. A tutt’oggi tuttavia l’effetto di questo ormone viene preferibilmente neutralizzato mediante la
somministrazione di medicamenti, terapia denominata “terapia ormonale” o “castrazione chimica”.
Questa può essere effettuata tramite l’utilizzo di diversi farmaci:
o Agonisti di LHRH/GnRH (Goserelin acetate, Leuprorelin acetate, Triptorelin acetate): queste molecole, conosciute anche come agonisti dell'ormone di rilascio dell'ormone luteinizzante (LHRH), sono proteine sintetiche, strutturalmente simili all’ormone endogeno LHRH, capaci di legarsi al recettore dell’LHRH nella ghiandola pituitaria. Nelle prime settimane dalla somministrazione questi agonisti stimolano la produzione di ormone luteinizzante. Tuttavia, la presenza continua di elevati livelli di agonisti LHRH provoca nella ghiandola pituitaria un meccanismo per il quale dopo poco si ha l’interruzione della produzione dell’ormone luteinizzante, che impedisce a sua volta la produzione di testosterone. o In combinazione con l’utilizzo di agonisti di LHRH/GnRH, possono essere
somministrati antagonisti di LHRH/GnRH (come il Degarelix), i quali impediscono il legame dell’ormone LHRH ai suoi recettori nella ghiandola pituitaria.
o Oltre ai medicamenti sopracitati, è presente un’altra classe di antagonisti non steroidei del recettore per gli androgeni: Non-Steroidal Anti-Androgens (NSAAs), come il Bicalutamide, Flutamide, Nilutamide [69], [70].
Tuttavia la maggior parte dei pazienti sottoposti a soppressione ormonale, oltre a risentire di diversi effetti collaterali, tra i quali la perdita della libido, disfunzione erettile, depressione, anemia e osteoporosi, dopo 2/3 anni dalla terapia sviluppano resistenza, condizione definita “resistenza alla castrazione” che risulta fatale nell’arco di 20-24 mesi. Il meccanismo per il quale le cellule tumorali diventano resistenti non è stato ancora chiarito del tutto, ma si pensa che l’ablazione ormonale fornisca un vantaggio di crescita selettivo, in questo modo le cellule tumorali possono iniziare a riprendere la loro crescita incontrollata [68], [71].
Negli ultimi anni, lo studio del cancro prostatico resistente alla castrazione (CRPC) ha portato alla rivalutazione del ruolo svolto dal recettore degli androgeni (AR) nella progressione del carcinoma prostatico anche durante lo stadio di
androgeno-indipendenza. Numerose evidenze scientifiche dimostrano come le cellule tumorali in questa fase siano in grado di adattarsi ad ambienti con bassi livelli di testosterone, poiché in grado esse stesse di produrre androgeni, attraverso mutazioni di amplificazione del gene del recettore, che consentono alle cellule CRPC di essere ipersensibili a bassi livelli di androgeni, o mutazioni nel gene CYP17A1, enzima coinvolto nella via biosintetica che porta alla sintesi degli steroidi o ancora splicing alternativo, che rendono l’AR in grado di attivarsi anche in presenza di ligandi differenti dal testosterone [72]–[74].
Negli ultimi anni, diversi studi clinici randomizzati, hanno valutato l’aggiunta di combinazioni di diversi trattamenti, insieme alla terapia ormonale classica, al fine di eliminare le cellule tumorali residue.
Per il trattamento del cancro prostatico resistente alla castrazione (CRPC) il trattamento terapeutico ricade preferenzialmente sull’utilizzo di farmaci chemioterapici come il Docetaxel e Cabazitaxel, che fanno parte della famiglia dei taxani (molecola isolata negli anni '60 dalla corteccia di alberi di tiglio e approvata come farmaco per il trattamento del cancro ovarico refrattario dalla Food and Drug Administration nel 1992), il 223RaCl2 (95% α; 5% β-/γ), farmaco palliativo utilizzato per i pazienti che mostrano metastasi ossee e i Non-Steroidal Anti-Androgens (NSAAs) di seconda generazione come Enzalutamide e gli inibitori dell’enzima CYP17A2, Abiraterone acetate.
2.1
Enzalutamide
Da diversi decenni la terapia preferenziale per il trattamento dell’adenocarcinoma prostatico è la terapia di deprivazione androgenica, ottenuta mediante l’impiego di agonisti e antagonisti dell’ormone LH-RH.
Enzalutamide (MDV3100), messo in commercio con il nome di Xtandi® dalla società farmaceutica Astellas Pharma US, è un farmaco approvato in più di 40 Paesi per il trattamento di pazienti con carcinoma della ghiandola prostatica di tipo metastatico [75].
Enzalutamide è un antiandrogeno di seconda generazione che fa parte della famiglia dei farmaci definiti NSAAs: antagonisti non steroidei del recettore per gli androgeni. Questa molecola lega il recettore degli androgeni, in modo più potente rispetto ai farmaci di prima generazione, poiché oltre a competere con il 5α-diidrotestosterone, metabolita biologicamente attivo del testosterone, MDV3100 impedisce anche la traslocazione del recettore degli androgeni dal citoplasma al nucleo in modo da impedire un'ulteriore trascrizione di geni sottoposti al controllo androgenico necessari per la proliferazione delle cellule di carcinoma della prostata [76], [77].
Figura 3: struttura di Enzalutamide
Tuttavia dopo circa un anno dalla terapia sia con Abiraterone acetato (ZYTIGA®, Janssen) che Enzalutamide, il 75% -85% dei pazienti sviluppano resistenza con entrambi gli agenti, che risulta infine con esito infausto.
I meccanismi per il quale i pazienti possono diventare resistenti alla terapia con questi due farmaci sono diversi: una causa è stata identificata nell’aumentata sintesi
dell’ormone testosterone sia all’interno del tumore che nelle ghiandole surrenali e produzione di mutazioni attivanti il gene AR (V1, V11, V12 a AR-V14, AR-V567es e AR-V7); le isoforme più comunemente riscontrate nel PCa sono le varianti AR-V7 e ARv567. Una seconda causa è stata identificata nell’attivazione aberrante dei recettori per il glucocorticoide e del progesterone, i quali possono stimolare la trascrizione di geni sotto controllo androgenico. Recenti studi mostrano inoltre come siano presenti anche meccanismi indipendenti dal recettore per gli androgeni, come l’attivazione di pathway biologici implicati nella crescita e proliferazione cellulare (pathway Wnt, pathway AKT) [78].
Un meccanismo di resistenza risultato particolarmente rilevante nella resistenza a Enzalutamide e Abiraterone acetato è stata identificato nella presenza di una particolare variante del recettore per gli androgeni, AR-V7, trovato elevato nelle cellule tumorali prostatiche circolanti (CTCs). Studi clinici hanno inoltre dimostrato che la presenza di AR-V7 è associata a prognosi negativa nei pazienti dopo trattamento con Enzalutamide o Abiraterone [79].
2.2 Mitramicina e analoghi della mitramicina
Le nuove linee di ricerca farmacologica si sono rivolte all’identificazione di agenti in grado di ridurre l'insorgenza di resistenza alle terapie. Tra questi si annoverano agenti denominati analoghi della mitramicina.
La Mitramicina (MTM), originariamente estratta come metabolita prodotto dal batterio Streptomyces agrillaceus, esercita la sua funzione antitumorale mediante il legame al DNA nelle sequenze ricche di guanosina e citosina (C-G), inibendo per competizione il legame di diversi fattori di trascrizione, tra i quali Sp1, il quale svolge un ruolo critico nella regolazione di molti processi fisiologici [80].
Le sequenze ricche in GC sono presenti in diversi geni, e rappresentano il sito di riconoscimento famiglia di fattori di trascrizione Kruppel-simile (KLF), composta non solo da Sp1 ma anche da altri attivatori della trascrizione genica: Sp2, Sp3, Sp4, LKLF, BKLF, GKLF e molte altre proteine [81].
La sua efficacia nell’inibire diversi fattori di trascrizione ha riscontrato interesse nel corso degli anni, ma all’azione antitumorale erano associati importanti effetti collaterali tossici, tra i quali anoressia, nausea, vomito, febbre, anomalie comportamentali e tossicità sia a livello renale che epatico. Ciò ha portato alla decisione di sospendere utilizzo di questo composto come farmaco antitumorale [82].
Gli studi clinici condotti sulla Mitramicina A hanno aperto la strada a nuove ricerche che hanno portato alla sintesi di nuove molecole più potenti, con proprietà farmacologiche e tossicologiche migliori rispetto al composto iniziale, chiamati mitramicina-analoghi.
Nel nostro laboratorio sono stati quindi valutati composti derivati dalla Mitramicina, MTM-SDK e MTM-SK, ottenuti grazie a tecniche di ingegneria metabolica, come mostrato in figura 11. Questi composti si sono rilevati più potenti come inibitori dei fattori di trascrizione Sp rispetto al composto di partenza sia in saggi in vitro, in cellule tumorali prostatiche, che in vivo. Dai saggi effettuati in xenograft MTM-SDK e MTM-SK hanno dimostrato di avere anche migliori
proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche rispetto a MTM [83], [84].
Tra i composti più promettenti nel trattamento del carcinoma prostatico vi è la molecola EC-8042, un analogo della mitramicina, prodotto dalla ditta Entrechem, una società spagnola le cui ricerche sono incentrate sulla ricerca e sviluppo di farmaci antitumorali, mediante ingegneria genetica, derivanti dal metabolismo batterico.
A B
Diverse ricerche scientifiche hanno rilevato come questo composto, derivato dalla Mitramicina, risulti egualmente efficace ma con minori effetti tossici e collaterali. Come l’MTM-A, lega preferibilmente sequenze ricche di GC, risultando ancora un potente inibitore di Sp1.
EC-8042 ha mostrato una significativa attività antitumorale contro svariati modelli tumorali: cancro del seno, sarcomi dei tessuti molli e cancro ovarico.
In particolare, studi effettuati sia in vivo sia in vitro su campioni di carcinoma del seno triplo-negativo hanno evidenziato un modello biochimico compatibile con l'arresto di G2 delle cellule trattate con il farmaco, impedendogli così di entrare nella fase mitotica. Oltre agli effetti del composto EC-8042 sul ciclo cellulare, il farmaco si è visto indurre anche apoptosi cellulare [85]–[87].
Il carcinoma della ghiandola prostatica è una delle patologie a più alta frequenza e rappresenta la terza causa di morte nei maschi dopo i 50 anni di età. Sebbene la ricerca scientifica abbia fatto notevoli passi avanti nella definizione di nuove terapie farmacologiche per questo tipo di tumore, nella maggior parte dei pazienti sottoposti a soppressione ormonale si assiste alla evoluzione in una forma di cancro prostatico resistente alla terapia anti-androgenica (CRPC) e capace di metastatizzare in diversi organi (mCRPC), risultando purtroppo in esito fatale. Questi dati evidenziano come sia quindi ancora importante lo sviluppo di nuove terapie, mirate ed efficaci, atte a ridurre il tasso di mortalità specifico del PCa. Il carcinoma della ghiandola prostatica è associato a numerose alterazioni geniche ed epigenetiche. Tra queste modificazioni, la traslocazione TMPRSS2-ERG si trova in più del 50% dei casi di tumore e rappresenta la fusione genica più frequente nel cancro prostatico. Diversi studi hanno mostrato come la fusione TMPRSS2-ERG si associ ad una ridotta sopravvivenza e alla progressione metastatica. Ricerche a livello molecolare hanno evidenziato come tumori della prostata con espressione aberrante di ERG mostrino attivazione di molteplici proteine ed alterazioni molecolari associate alla progressione tumorale. Per questo motivo la proteina ERG può essere considerata un importante bersaglio
terapeutico per il trattamento del carcinoma prostatico.
È importante trovare strategie per antagonizzare gli effetti oncogenici della proteina ERG. Studi condotti nel nostro laboratorio hanno rivelato una stretta associazione tra attivazione di ERG ed alterazioni trascrizionali e epigenetiche. La nostra ricerca si è rivolta all’identificazione di agenti in grado di bloccare gli effetti dell’attivazione di ERG a livello transcrizionale. Tra questi agenti si annoverano farmaci derivati dalla mitramicina (MTM), un antibiotico con nota attività antitumorale. La MTM e i suoi analoghi esercitano la loro funzione antitumorale mediante il legame al DNA a livello di sequenze ricche di guanosina e citosina (GC), inibendo per competizione il legame di diversi fattori di
trascrizione, quali i fattori della famiglia di Sp1, che svolgono un ruolo critico nella regolazione di molti processi cellulari.
Gli studi clinici condotti sulla MTM hanno aperto la strada a nuove ricerche che hanno portato alla sintesi di nuove molecole (denominate mithra-analogs) più potenti, con migliori proprietà farmacologiche e tossicologiche rispetto al composto iniziale. Tra i composti più promettenti, per il suo migliorato indice terapeutico, vi è l’analogo EC-8042, prodotto mediante modifiche genetiche del metabolismo dei batteri che producono la MTM.
Lo scopo di questo progetto di tesi è stato quello di valutare il composto EC-8042 in cellule di cancro prostatico con specifico interesse per le cellule prostatiche VCaP e NCIH660 che presentano la traslocazione TMPRSS2-ERG.
In conclusione noi riteniamo che gli studi qui descritti aiuteranno a stabilire una terapia più efficace e saranno in grado di apportare apprezzabili benefici clinici nei pazienti che presentano specifici sottotipi tumorali, quali TMPRSS-ERG positivi e carcinomi prostatici resistenti alla terapia androgenica.
1
Colture Cellulari
Le colture cellulari costituiscono sistemi semplificati in vitro, rispetto all’organismo di origine, utilizzate nel campo della ricerca di base.
Le cellule che derivano direttamente da un tessuto o un organismo sono dette colture primarie.
Tuttavia, queste cellule hanno una limitata capacità replicativa e tendono a diventare "senescenti", quindi attraverso manipolazioni di tipo fisico, chimico o biologico vengono “immortalizzate”, cioè diventano in grado di replicarsi
indefinitamente in coltura e possono essere utilizzate come modelli sperimentali. Le cellule vengono piastrate in apposite fiasche e periodicamente esaminate per controllarne la confluenza. Quando queste raggiungono un certo grado di confluenza vengono divise e aggiunto nuovo terreno fresco. Queste cellule, derivando dalla coltura precedente, vengono chiamate colture secondarie. Per mantenere le cellule nelle condizioni ottimali di crescita vengono usati
incubatori che forniscono una temperatura costante di 37°C e il corretto apporto di CO2 (5%). Gli incubatori riproducono le condizioni fisiologiche in cui le cellule si trovano nell’organismo.
Il trattamento e mantenimento delle colture cellulari è eseguito sotto cappe a flusso laminare, le quali forniscono le adeguate condizioni di sterilità.
1.1 Linee Cellulari utilizzate
In questo lavoro sono state utilizzate diverse linee cellulari, in base alle loro diverse caratteristiche (Tabella 1): LNCaP, DU145, 22RV1 e PC3 derivano da tumori di prostata o metastasi di tali tumori in diversi organi (Tabella 1). Il terreno utilizzato è l’RPMI 1640, medium basale contenente glucosio, L-Glutammina, 25 mM HEPES, vitamine e sali in soluzione acquosa, al quale vengono aggiunti
penicillina e streptomicina (1%) e FBS (Fetal Bovine Serum) al 10%. Nel terreno di coltura è anche presente il Rosso Fenolo, un indicatore di pH che ha un colore rosso-arancio a pH 7.3 che vira al gialloarancio a pH acido. Con il proliferare della crescita cellulare, in incubatore al 5% di CO2, il terreno tenderà al giallo a causa dell’acidificazione prodotta dal metabolismo cellulare.
La linea cellulare VCaP utilizza come terreno di crescita il DMEM (Dulbecco’s Modified Eagle’s Medium), addizionato con i componenti descritti in precedenza. Quando le cellule devono essere trasferite in nuove piastre è necessario che le cellule siano staccate dal fondo della piastra. Tale operazione viene effettuata grazie all’utilizzo di Tripsina, la quale degrada le proteine le proteine della matrice. In seguito, l’azione della Tripsina viene neutralizzata attraverso l’aggiunta di nuovo terreno contenente siero.
Le cellule NCI H660 non crescono adese alla parete della fiasca, ma sospese nel terreno di coltura senza aderire ad alcun supporto. Il terreno utilizzato per la loro crescita è l’RPMI-1640, addizionato dai seguenti componenti: 0.005 mg/ml Insulina, 0.01 mg/ml Transferrina, 30nM Sodium selenite, 10 nM Hydrocortisone, 10 nM beta-estradiolo, 2mM L-glutammina, 5% FBS.
Tabella 1 – Modelli cellulari di cancro prostatico. Fonte: ATCC – LGC Standards Partnership
ERG positivo Sensibilità agli androgeni Derivazione LNCaP NO SI Metastasi di linfonodo sopraclavicolare NCI H660 SI NO Metastasi di linfonodo
VCaP SI SI Metastasi vertebrale
PC3 NO NO Metastasi di osso
DU145 NO NO Metastasi di
cervello
1.2 Passaggio delle cellule per le linee cellulari LNCaP, VCaP,
DU145, 22RV1 e PC3
• Le cellule vengono osservate al microscopio per valutarne le condizioni e il livello di confluenza.
• Il terreno di crescita è quindi aspirato ed eliminato.
• Viene effettuato un lavaggio con circa 8mL di D-PBS (Dulbecco’s Phosphate Buffered Saline) per eliminare completamente il terreno, il quale inattiva l’azione della Tripsina.
• La Tripsina è aggiunta in quantità sufficiente a ricoprire la superficie della piastra.
• La piastra è incubata per 5-10 minuti a 37°C.
• Le cellule sono controllate direttamente o tramite microscopio in modo da valutare che si siano completamente staccate dalla superficie.
• La Tripsina viene inattivata grazie all’aggiunta del corretto terreno di crescita. • Le cellule sono seminate nelle nuove piastre secondo la diluizione voluta. • Le piastre vengono riposte nell’incubatore a 37°C.
1.3 Passaggio delle cellule per la linea cellulare NCI H660
Le cellule NCI H660 poiché non crescono adese alla parete della fiasca, ma sospese nel terreno di coltura senza aderire ad alcun supporto, non richiedono l’utilizzo di Tripsina.
Il terreno di coltura viene aggiunto all’aumentare della densità cellulare, ogni 2 o 3 giorni.
2
Saggi di vitalità
2.1
MTT assay
La valutazione della vitalità cellulare è stata effettuata tramite l’utilizzo un saggio colorimetrico che si avvale dell’utilizzo del composto MTT
(3-(4,5-dimetthylthiazolyl-2)-2,5-diphenyltetrazolium bromide, un sale di colore giallo che, in presenza dell’ enzima mitocondriale succinato deidrogenasi (SDH), viene convertito a Formazano, producendo un precipitato di colore blu-violetto.
Questa reazione può avvenire esclusivamente nelle cellule metabolicamente attive e il valore della densità ottica (O.D.), ottenuta mediante lettura spettofotometrica, è quindi correlata alla quantità di cellule vitali presenti.
Le cellule sono seminate in piastre da 96 pozzetti con terreno RPMI o DMEM, a secondo della linea cellulare utilizzata, e lasciate in incubatore a 37°C per tutta la notte.
Il giorno successivo le cellule sono trattate con DMSO (0.025%) e dosi crescenti di farmaco.
Al termine delle 72 ore o 7 giorni in ogni pozzetto vengono aggiunti 50uL di MTT (5mg/mL) e la piastra viene posta in incubatore per circa 3 ore. In seguito il media contenente l’MTT viene rimosso e addizionato 40µl di DMSO per
pozzetto.
La lettura spettrofotometrica della densità ottica è effettuata grazie al con Cytation 3 Cell Imaging Multi-Mode Reader alla lunghezza d’onda di 560 nm.
2.2
SRB assay
Anche in questo tipo di saggio le cellule sono seminate in piastre da 96 pozzetti con terreno RPMI o DMEM, a secondo della linea cellulare utilizzata, e lasciate in
incubatore a 37°C per tutta la notte. Il giorno successivo le cellule sono trattate con DMSO e dosi crescenti di farmaco.
L’SRB (0.025%) è un amminoxantene, di colore rosa brillante che, in condizioni leggermente acide, grazie ai due gruppi solfonici, è in grado di legare i residui basici proteici (Skehan et al., 1990).
Al termine delle 72 ore o 7 giorni in pozzetto sono aggiunti 100 µL di TCA (acido tricloroacetico) 10% (wt/vol) per un’ora almeno a 4°C. In seguito, il TCA viene eliminato lavando la piastra in acqua corrente e la piastra viene lasciata asciugare overnight.
Il giorno successivo per ogni pozzetto sono aggiunti 100 µL di SRB (0.057%) (wt/vol, in acido acetico 1%) per 30’ a temperatura ambiente. In seguito, l’SRB è rimosso tramite 3 lavaggi con acido acetico 1%.
Lasciata la piastra asciugare overnight, il colorante viene solubilizzato con Tris Base 10nM a pH 10.5 (100 µL per pozzetto) e la lettura della O.D. è misurata tramite spettrofotometro con lunghezza d’onda pari a 510 nm con Cytation 3 Cell Imaging Multi-Mode Reader.
Anche in questo caso, l’assorbanza è direttamente proporzionale alla quantità di cellule presenti in ciascun pozzetto.
3
Saggi funzionali
3.1
Saggio clonogenico
Il saggio clonogenico si basa sulla capacità di una singola cellula di formare colonie di almeno 50 cellule. Le cellule sono piastrate a bassa densità in piastre da 12 pozzetti e il giorno dopo vengono trattate con dosi crescenti di farmaco e DMSO come controllo (0.025%). Dopo 72 ore il terreno di crescita viene rimosso e sostituito con nuovo media addizionato di farmaco.
Dopo 10-15 giorni il saggio viene fermato grazie all’aggiunta di TCA (acido tricloroacetico) 10% e lasciato a 4°C per almeno un’ora.
Il TCA viene rimosso tramite acqua e TCA e lasciata asciugare overnight. Le immagini delle colonie sono state scattate con il sistema AlphaImager HP La conta delle colonie viene effettuata utilizzando il programma ImageJ.
3.2
Saggio della formazione di prostato-sfere
Lo sphere forming assay (SFA) è una tecnica che permette di determinare la presenza di cellule con caratteristiche staminali in una popolazione eterogenea, in condizioni di:
• Bassa densità;
• Non aderenza al substrato; • Assenza di siero.
Le cellule sono seminate con terreno MEMB (Mammary Epithelial Basal Medium, GIBCO®), privo di FBS in piastre da 12 pozzetti sul cui fondo è stata distribuita una matrice di polyhema (Poly-2-hydroxyethyl methacrylate, 1X) la quale non permette l’adesione delle cellule. Al terreno di crescita MEMB vengono
anche addizionati B27, FGF, EGF, Insulina. Tali nutrienti e fattori di crescita promuovono la crescita delle cellule con caratteristiche staminali.
Le cellule sono piastrate in una 6 well-plate a bassa densità (500 cellule per pozzetto) in 2 ml finale in modo da evitare la formazione di aggregati.
Le sfere che si sono sviluppate con dimensioni maggiori di 50 µM sono conteggiate tramite microscopio (Zeiss Microscope, con camera Canon EOS 450D e software EOS Utility), non senza prendere in considerazione gli aggregati cellulari.
SUPPLEMENTI ADDIZIONATI AL TERRENO MEBM:
Per 50 ml totali: 48 ml MEBM, 1 ml FGF (10 ng/ml), 1 ml B27 1X (GIBCO), 100 µl EGF (20 ng/ ml), 10 µl Insulina (5 mg/ml)
La matrice di polyhema viene preparata sciogliendo 20 ml di ETOH 95% e messa in incubatore overnight.
Il giorno seguente viene messo in ogni pozzetto 1 ml di poly-HEMA (Sigma) e la matrice lasciata asciugare overnight sotto cappa senza flussi di aria.
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Saggio luciferasico
Il saggio luciferasico è una tecnica che permette di monitorare l’espressione genica in cellule eucariotiche. Per la realizzazione del saggio luciferasico descritto in questa tesi, sono stati utilizzati due vettori, uno contenente il gene reporter promotore ETS e l’altro, utilizzato come controllo interno, Renilla. Le cellule sono co-trasfettate con i due plasmidi. Il giorno dopo la trasfezione le cellule sono state trattate con 100nM di EC-8042 per 24 e 48 ore.
L’attività luciferasica è stata misurata tramite l’utilizzo del kit Dual Luciferase assay (Promega) e normalizzata tramite attività della Renilla.
MATERIALI: • Cellule VCaP
• pGL3-ETS promoter reporter • pRenillaLuc SV40
Giorno 1: le cellule VCaP vengono piastrate 2×105 in 500 µl di mezzo senza P/S in una piastra da 48 pozzetti.
Giorno 3: Le cellule vengono transfettate:
1. 30µl OPTIMEM + 0.6 µl LIPOFECTAMINE
2. 30µl OPTIMEM + 100ng pGL3-ETS promoter reporter (100ng/µl) + 1.2 ng pRenillaLuc SV40 (10ng/µl).
Per ogni pozzetti sono addizionati 600 µl.
Giorno 4: Le cellule vengono trattate con EC-8042 100nM per 24 e 48 ore. Giorno 5/6: Viene effettuata la lettura dei campioni.
1. Le cellule sono lisate addizionando 30µl di buffer di lisi (diluito 1:5) e messo in agitazione per 15’;
2. Un’aliquota da 10 µl per ogni campione viene posta in una piastra da 96 pozzetti;
3. Viene addizionato 25 µl di LARII;
4. La piastra viene letta tramite luminometro Cytation 3 Cell Imaging Multi-Mode Reader.
5. Addizionati 25 µl di Stop e Glow + substrato
6. Piastra letta di nuovo tramite luminometro Cytation 3 Cell Imaging Multi-Mode Reader.
I dati sono stati normalizzati tramite rapporto di LARII (luc)/ Stop & Glow Substrate (Renilla).
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Elettroforesi su gel di poli-acrilamide in condizioni
denaturanti (SDS-PAGE)
L’elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di SDS (SodioDodecil-Solfato) è una tecnica molto diffusa per la separazione di proteine in base al loro peso molecolare.
In presenza di un campo elettrico i polipetidi migrano verso, le molecole con carica negativa tendono a spostarsi verso l’anodo e quelle con carica positiva verso il catodo, in base al loro peso molecolare.
I lisati cellulari sono stati preparati utilizzando la soluzione RIPA (25 mM Tris-HCL, 150 mM KCL, 5 mM EDTA, 1% NP40, SDS 0,1%, sodium deoxycholate 0,5%) addizionato con Na3VO410 mM (10X), PMSF (100X) cocktail inibitore delle proteasi e cocktail inibitore delle fosfatasi, entrambi (10X). I lisati sono stati quindi incubati per 20 minuti in ghiaccio e centrifugati a 10.000 rpm a 4 ° C per 15 minuti. Le proteine presenti nel sopranatante sono state raccolte e quantificate con il kit di analisi Pierce BCA (Thermo Scientific). Il kit BSA (Sigma-Aldrich) è stato utilizzato per la costruzione della curva standard e utilizzato per la quantificazione delle proteine presenti nel campione. L’assorbanza a 562 nm è stata effettuata tramite Cytation 3 Cell Imaging Multi-Mode Reader.
Le proteine vengono trattate con SDS, un forte detergente anionico, che si lega alle regioni idrofobiche, e rompendo i legami ad idrogeno ne provoca la denaturazione. In questo modo le proteine avranno una forma “a bastoncello” e saranno avvolte in modo uniforme da una carica negativa (1SDS/2 residui amminoacidici), che ne permette la migrazione verso l’anodo. Agenti riducenti, quali DTT e β-mercaptoetanolo, sono aggiunti per ridurre eventuali ponti disolfuro presenti nella struttura terziaria della proteina. Il loading buffer (4X, Laemmli sample buffer: 0.125 M Tris HCl, pH 6,8, 4% SDS, 10% 2-mercaptoetanolo, 0.004% blu di bromofenolo, 20% glicerolo) è stato aggiunto a 30 μg di proteine per ciascun campione. Dopo questo passaggio i campioni sono stati incubati a 65°C per 10minuti. Le proteine vengono separate tramite tecnica di elettroforesi SDS-PAGE (Sodium Dodecyl Sulfate PolyAcrilamide Gel Electrophoresis) tramite un gel di
policriamide al 10%, denominato “running buffer” (10X: 25mM Tris base, 1.92 M glicina, 0.1 % SDS), applicando un voltaggio costante di 100V per circa 2 ore. Dopo la corsa, tramite un processo di “elettroblotting”, le proteine vengono trasferite su una membrana di Polivinilidenfluoruro (PDVF). Questo è permesso grazie all’utilizzo di un transfer buffer 1X (10X: 250 mM Tris base, 1.92 M glicina, 0.1 % SDS) addizionato con 20% di metanolo e applicato un voltaggio costante di 100 V a 4̊ C per 1 ora e 20minuti. Questa tecnica permette il passaggio delle proteine dal gel alla membrana, senza la perdita dell’organizzazione presente nel gel.
Al termine del blotting, la membrana viene incubata con latte in polvere in TBS 1X (10X: 200mM Tris, 1.37M NaCl, ph 7.6) (10% in acqua distillata), in modo da prevenire la formazione di legami non specifici dell’anticorpo primario.
Dopo il bloccaggio, la membrana viene sciacquata con TBT-T (Tween 0.1%) e poi aggiunto l’anticorpo primario, specifico per la proteina di nostro interesse e lasciato agire overnight a 4°C.
Il giorno seguente viene aggiunto l’anticorpo secondario anti-specie specifico, diretto contro la porzione Fc dell’anticorpo primario. Solitamente gli anticorpi secondari sono marcati con un tracciante, che in presenza del suo substrato (Western Bright or Quantum ECL, Advasta-Witec) produce un prodotto chemioluminiscente.,
La chemioluminescenza è poi visualizzata e misurata grazie all’apparecchiatura e software FUSION SOLO S.
Tabella 2: anticorpi primari utilizzati per la tecnica di WB Anticorpo Azienda produttrice Diluizione Peso molecolare (kDa) Anti-GAPDH Sigma-Aldrich 1/10000 38
Anti-ά-tubulina Thermo Fisher
Scientific 1/10000 52
Anti-EZH2 BD Science 1/3000 100
Anti-ERG Santa Cruz 1/5000 55
Anti-MYC BD Science 1/1000 60
Anti-STAT3 tot CTS 1/2000 100/80
Anti-AR Millipore 1/10000 110
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Estrazione dell’RNA e quantificazione
Per ottenere la lisi cellulare, le cellule vengono lisate con 400/500 µl di Trizol (Invitrogen) e l’RNA viene estratto tramite il kit Direct-zol RNA MiniPrep kit (Zymo Research). Il Trizol permette la lisi cellulare, mantenendo integro l’RNA. Dopo questo passaggio, si aggiunge il cloroformio e si procede alla centrifugazione, in modo da ottenere una soluzione multifasica, dove nella fase acquosa è presente l’RNA di nostro interesse. A questo punto al campione viene addizionato etanolo al 100% in concentrazione 1:1.
Il kit di purificazione dell’RNA, grazie a delle colonne su cui sono presenti delle membrane ad alta, permette l’isolamento e la purificazione dell’RNA.
I campioni vengono quindi trattati con DNase I, la quale riduce la possibile contaminazione con DNA. Seguendo le istruzioni del kit, i campioni vengono
sequenzialmente lavati con specifici buffer e centrifugati. L’ultimo passaggio è l’eluizione del campione in un volume finale di 40 µL con acqua DNAase/RNAase-Free. La qualità e quantità del campione è determinata grazie allo strumento NanoDrop (Thermo Scientific), attraverso lettura spettrofotometrica a 260nm. Il campione può essere considerato puro per valori di assorbanza 260/280nm≥ 1.8 e 260/230nm≥ 2.
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Real time- quantitative PCR
L’RNA totale (20ng/campione) viene quindi analizzato tramite il kit QIAquick PCR Purification (Qiagen) grazie al programma StepOnePlus™ Real-Time PCR system (Life Technologies).
Tabella 3: Sequenze primers Real-Time PCR
ERG FWD: 5’-CTACAACGCCACATCCTTC REV: 5’-ATAAAAGCTGCACCCCCTGT EZH2 FWD: 5’-AGGACGGCTCCTCTAACCAT REV: 5’-CTTGGTGTTGCACTGTGCTT DAAM1 FWD: 5’-TGCACTTCCAGCTGAGAAAA REV: 5’-TCAGTGCTGTCTTTAAACTCTCT CAPDS FWD: 5’-CTCAGAAGCATGGCATGGATGA REV: 5’-GGCTGACTTTGGATCACAGACT