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Un mondo di oggetti. Antonio Costa, La mela di Cezanne e l’accendino di Hitchcock. Il senso delle cose nei film, Einaudi, Torino 2014

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RECENSIONI

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CINERGIE

il cinema e le altre arti

Cinergie, il cinema e le altre arti

129

Cinergie uscita n°8 novembre 2015 | ISSN 2280-9481

Un mondo di oggetti

Antonio Costa, La mela di Cezanne e l’accendino di Hitchcock.

Il senso delle cose nei fi lm,

Einaudi, Torino 2014

La mela di Cezanne e l’accendino di Hitchcock è l’ultimo

importante lavoro di Antonio Costa.

Il titolo è una citazione dalla monumentale opera audiovisiva di Jean luc Godard Histoire(s) du

cinéma (1988-1998). Le mele di Cézanne sono

quelle dipinte dal pittore evocate da Woody Allen in

Manhattan (1980) come una delle dieci cose per cui vale

la pena vivere, mentre l’accendino è quello di Delitto

per delitto di Alfred Hitchcock (Strangers on a Train,

1951). Secondo Godard quello che verrà ricordato da milioni di persone sarà l’accendino di Hitchcock, non le mele di Cézanne, poiché il cinema possiede la forza di ammaliare un pubblico potenziale vastissimo, molto più grande di quello della pittura.

Il sottotitolo, Il senso delle cose nei fi lm, si propone di raccontare il ruolo delle cose (degli oggetti) nella costituzione dell’universo fi lmico e nella formazione del nostro immaginario cinematografi co. Indagare il cinema attraverso la prospettiva degli oggetti che compaiono nelle inquadrature è un metodo sorprendente per capire il senso e la costruzione dei fi lm; il regista ci induce sempre a osservare gli oggetti, è proprio del mezzo cinematografi co dare la possibilità allo spettatore di scrutare ogni elemento della scena fi lmica, che tende a inquadrare (quasi) tutto, cosa impossibile per altre arti. “L’unità minima della lingua cinematografi ca sono i vari oggetti reali che compongono l’inquadratura” (p.27) scrive Costa che, nel suo volume non ci parla di un particolare autore, attore o genere, né di una precisa cinematografi a nazionale. La storia del cinema è vista invece attraverso la categoria degli esistenti (p. XIII) – prendendo in prestito una defi nizione di Casetti e Di Chio (1990) – ovvero ciò che esiste all’interno del fi lm: i personaggi e soprattutto le “cose”. L’autore non intende proporre neanche una teoria degli oggetti, ma vuole defi nire il loro ruolo nella formazione e nello sviluppo dell’immaginario collettivo cinematografi co. Gli oggetti, all’interno di un’opera fi lmica riescono a parlarci non solo della riproduzione del reale, ma sono caricati di una funzione “strumentale, narrativa, simbolica, plastica (o estetica)” (p.34).

La mela di Cezanne e l’accendino di Hitchcock, che ha il grande merito di poter essere letto con la

passione con cui si legge un romanzo, segue una ripartizione in tre parti (che potremmo anche chiamare atti): La prima introduce i termini e le teorie utili all’analisi in oggetto (p.5-50), si dedica ai quattro elementi costitutivi del linguaggio cinematografi co: terra, acqua, aria e fuoco (p.51-94) e affronta la storia del cinema secondo una prospettiva mirata all’individuazione delle “cose” (pp. 95-172). Un esempio è quello del treno e della stazione ferroviaria, elementi fondamentali del cinema delle origini e del genere

western. Se il cinema muto si concentra sul rapporto confl ittuale tra gli oggetti e i personaggi, favorendo

la produzione di farse comiche alla maniera di Chaplin e di Keaton, negli anni Cinquanta e Sessanta, soprattutto nel cinema italiano, con l’aumento generalizzato dei consumi si sviluppa un inedito rapporto

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Cinergie uscita n°8 novembre 2015 | ISSN 2280-9481

tra fi lm e oggetti in virtù di una nuova concezione del design.

Proprio partendo da un oggetto di design, lo spremiagrumi di Philippe Starck creato per la ditta Alessi nel 1990, si può osservare, da una parte, la derivazione dall’immaginario cinematografi co dell’oggetto, che ricorda i tripodi alieni inventati da Herbert Wells per il suo La guerra dei mondi, dall’altro si può scoprire la presenza di questo questo utensile in diversi fi lm, mettendone in evidenza il contesto sociale, professionale o, semplicemente, un uso pratico narrativo.

Nella seconda parte (pp. 173-262), Antonio Costa analizza una categoria particolare di oggetti: i dispositivi ottici, accomunati al cinema dalla funzione del “vedere”. A questa categoria le fi nestre, gli occhiali, gli specchi, le lenti e altri dispositivi. Sono oggetti capaci di innescare un meccanismo autorifl essivo che porta lo spettatore a porsi domande sulla natura del linguaggio visivo; la fi nestra, per esempio, è un dispositivo straordinario capace di mettere in relazione esterno e interno, simbolo stesso dell’essenza del cinema. Tutti ricordiamo la fi nestra come espediente narrativo del capolavoro hitchcockiano La

fi nestra sul cortile (Rear Window, 1954), ma l’autore ci illustra anche il valore (simbolico e non) del vetro

da cui parte lo straziante fl ashback di Alba tragica (Le jour se lève, 1939) di Marcel Carné o quello da cui ha inizio La Gerusalemme liberata (1918) di Enrico Guazzoni.

Nella terza parte (pp. 273-320) l’autore ci propone un piccolo dizionario di oggetti ricorrenti nei fi lm, come l’automobile, la bicicletta, la caffettiera, il cappello, il Juicy Salif, il libro, la panchina, il pianoforte, le scarpe, la tazzina da caffè, lo Zippo. L’intento non è certo quello di offrire una panoramica completa degli oggetti nel cinema. Costa si concentra su un gruppo di oggetti esemplari (che rivelano oltretutto i suoi personali amori cinematografi ci), per dimostrare l’applicabilità delle metodologie e dei modelli interpretativi descritti nei capitoli precedenti e lascia al lettore la possibilità di richiamare alla memoria altri, infi niti, oggetti attivando le sue personali competenze spettatoriali.

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