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Le sette vite del possesso di Savigny

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LE SETTE VITE DEL POSSESSO DI SAVIGNY Francesco Cirillo*

SOMMARIO: 1. - Savigny, il sistema e il Trattato del possesso; 2. - Le sette edizioni del possesso; 3. - Gans, Puchta e Jhering; 4. - Sette spunti dal trattato del

possesso.

1. - Savigny, il sistema e il Trattato del possesso.

All’inizio dell’Ottocento in Germania si aprì un dibattito sul rinnovamento del sapere giuridico: da un lato, la fazione più moderna e progressista spingeva per l’adozione di un unico codice per tutti i territori germanici sul modello del codice napoleonico del 1804; dall’altro si profilava una soluzione alternativa e conservatrice, principalmente legata al pensiero e all’azione di Friedrich Carl von Savigny. La soluzione alternativa si sostanziò nell’attuazione di un progetto collettivo di trattazione del sapere giuridico, secondo un metodo che consentisse di ricondurre le singole parti del diritto civile di tradizione romanistica ad un’unica struttura unitaria: un sistema del

diritto romano attuale, insegnato e professato dalle università tedesche. Per questa via

la Germania conseguì un’armonizzazione del diritto civile con strumenti accademici prima ancora di raggiungere l’unità politica e ritardò il passaggio al codice di oltre un secolo. Lo stesso BGB (1900), che a fatica può definirsi come un codice civile tedesco, risente della lunga stagione sistematica. La presenza di definizioni astratte, il dominio del negozio giuridico e della manifestazione di volontà e persino la divisione del testo in paragrafi (e non in articoli) rendono, infatti, il BGB una via di mezzo tra un codice ed un compendio di dottrina civilistica.

La vittoria della sistematica sulle altre forme di rinnovamento fu anche e soprattutto la vittoria di Savigny e della sua Scuola storica sui rivali. L’attuazione del piano partì dalla prima, più riedita e più fortunata opera di Savigny. Il Trattato del possesso fu il primo passo del tentativo di costruire per gradi, con il materiale della tradizione romanistica, un edificio del sapere giuridico, senza interrompere i legami con la tradizione e con il ruolo politico del ceto dei giuristi. La giurisprudenza come storia, la storia come sistema e il sistema come scienza giuridica erano i cardini di questo rinnovamento.1 Il Trattato del possesso fu pubblicato a più riprese in sette diverse edizioni, dalla prima del 1803, passando per cinque successive fino al 1837 e giungendo alla pubblicazione postuma nel 1865 a cura di Rudorff.2

* Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. Il lavoro è frutto di ricerche svolte presso il Max-Planck-Institut per la storia del diritto europeo a Francoforte sul Meno, durante un periodo di sei mesi di tirocinio.

1 Sul tema cfr. su tutti A. Mazzacane, Savigny e la storiografia giuridica tra storia e sistema, Napoli 1984, o J. Rückert, Savigny-Studien, Frankfurt/Main 2011.

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La storiografia ha spesso individuato almeno due fasi distinte della produzione dell’autore: nella prima avrebbe prevalso l’attività storiografica, nella seconda quella sistematica. Tuttavia, queste due attività possono essere ricondotte ad un comune programma, la cui attuazione fu ritmata dalle lezioni di metodologia sin dall’anno accademico 1802-18033. La lettura storiografica unitaria del rapporto tra la prima fase storica e la seconda fase di trattazione sistematica del materiale storicamente elaborato costituisce tuttora un nodo non sciolto nel dibattito storiografico degli studi savignyani. L’analisi delle modificazioni può offrire sul tema un nuovo punto di vista.

Ripercorrere le sette di vite di quest’opera è un modo per gettare luce sulle ragioni della singolare vittoria tedesca della Scuola storica, per attraversare rapidamente e diacronicamente l’attività scientifica di Savigny, sondando i luoghi originari del modo contemporaneo di pensare al diritto civile come ad un insieme di elementi riconducibili ad un’unico sistema.

2.- Le sette edizioni del possesso

La prima edizione de Das Recht des Besitzes fu conclusa nel 18034. Savigny allora appena ventiquattrenne era impegnato nei corsi di metodologia giuridica a Marburgo.

Nel trattato si profilava una singolare ricostruzione dell’istituto: il possesso era considerato per sua natura un fatto e per i suoi effetti un diritto, riconducibile alle obbligazioni da fatto illecito per via degli interdetti posti a sua tutela, ben lontano - quindi - dai diritti reali.

2 Le edizioni in lingua originale: F. C. Von Savigny, Das Recht des Besitzes. Eine civilistische

Abhandlung, Gießen 1803, 495. riedita anche come Das Recht des Besitzes, Baden-Baden 2011, 339; Das Recht des Besitzes. Eine civilistische Abhandlung, zweite, vermehrte und verbesserte Auflage, Gießen

1806, 560; Das Recht des Besitzes. Eine civilistische Abhandlung, dritte, vermehrte und verbesserte

Auflage, Heyer, Gießen 1818, 602. Mit Vorerinnerung zur dritten Ausgabe; Das Recht des Besitzes. Eine civilistische Abhandlung, vierte, vermehrte und verbesserte Auflage, Gießen 1822, 539. Mit Vorrede zur vierten Ausgabe; Das Recht des Besitzes. Eine civilistische Abhandlung, fünfte, vermehrte und verbesserte Auflage, Gießen 1827, 623; Das Recht des Besitzes. Eine civilistische Abhandlung, sechste, vermehrte und verbesserte Auflage, Gießen 1837, 688; Das Recht des Besitzes. Eine civilistische Abhandlung, siebente, aus dem Nachlasse des Verfassers und durch Zusätze des Herausgebers vermehrte Auflage, di

Adolf Friedrich Rudorff, Wien 1865, 688.

3 Di cui si leggono i noti appunti dei fratelli Grimm. Per una storia del ritrovamento del fondo, H. Kantorowicz, “Savigny’s Marburger Methodenlehre”, in ZSRom.53, 1933, 465-471. Editi in F. C. von Savigny, Vorlesungen über juristische Methodologie 1802-1842, a cura e con introduzione di Aldo Mazzacane, Frankfurt/Main 1993, 83-131. Su questi studi si fondano le principali ricerche volte a superare la lettura di due Savigny, il giovane storico romantico e il maturo sistematico classicista. In questo senso in G. Marini, Friedrich Carl von Savigny, Napoli 1978, 52-71, sulla scia del famoso giudizio di Wieacker, secondo cui nelle lezioni di metodologia comparissero tutti i principali elementi fondamentali della produzione successiva salvo la connessione del diritto con l’intera cultura: il concetto kantiano di diritto e la conseguente autonomia del diritto stesso, il programma di un’elaborazione storica e filosofica della scienza del diritto, i tratti fondamentali della teoria ermeneutica, in F. Wieacker,

Privatrechtsgeschichte der Neuzeit, 2. Aufl., Göttingen, 1967, 81 ss.

4 I. Shnack, Der Briefwechsel zwischen Friedrich Carl von Savigny und Stephan August Winkelmann (1800 – 1804), Berlin 1984, 164, lettera di Savigny del 9 giugno 1803. Savigny riportava che i lavori terminarono per Pasqua, ovvero l’inizio di aprile del 1803.

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Nella prima sezione del trattato sul concetto del possesso era condensato il nucleo dell’opera. Questa sezione risentì maggiormente di modificazioni quantitative (nel 1837 guadagnava circa ottanta pagine rispetto all’edizione del 1803) e qualitative. Notevole fu l’espansione della bibliografia delle fonti, sia antiche (in ragione dei ritrovamenti e delle conquiste in campo filologico), sia coeve, con riguardo agli effetti sul contenuto del trattato.

Il contenuto di ogni sezione dell’opera aumentò progressivamente. Variazioni della quantità e della qualità non erano necessariamente sempre connesse: la seconda e la quinta edizione presentavano aggiunte corpose, ma la terza, appena più lunga della precedente, si caratterizzava per un più intenso mutamento del contenuto.

Le principali differenze fra le prime due edizioni consistevano in alcune specificazioni di delucidazioni di dettaglio o ancora in diverse scelte linguistiche, ma nella seconda non si presentavano novità significative sotto il profilo del contenuto.5 La terza edizione appariva ben dodici anni dopo la precedente. Gli anni che separavano l’elaborazione a Berlino di questa edizione dalla precedente erano stati di certo densi di avvenimenti rilevanti, tanto per la storia universale, quanto per la carriera e la produzione di Savigny. Intanto le guerre napoleoniche avevano inasprito il sentimento antifrancese in Germania con conseguenti forme primigenie di nazionalismo. Savigny nel 1808 era diventato professore a Landshut e aveva infittito i rapporti non troppo amichevoli con Nikolaus Thaddäus von Gönner il quale aveva utilizzato per la prima volta in senso critico l’espressione historische Rechtschule,

Scuola storica del diritto.6 Subito dopo la fondazione dell’università di Berlino (1809/1810), Humboldt si era poi assicurato la docenza di Savigny, che presto era diventato prima membro dell’Accademia delle Scienze (1811), poi anche rettore della stessa università (1812/1813). 7 Il clima di dibattitto politico sulla codificazione e una polemica innescata prima da un contributo di Rehberg8, proseguita in una nota recensione di Thibaut, apparsa come anonima, sulla necessità di un diritto civile

generale per la Germania, avevano poi stimolato la pubblicazione del Beruf, 9 il

pamphlet polemico in cui confluivano spunti di riflessione che erano stati concepiti per

un’introduzione di un più ampio volume (la futura Geschichte).

Dalla terza edizione il numero dei contributi bibliografici aggiuntivi cresceva

5 Così ad esempio l’aggiunta di una pagina con alcune considerazioni sull’emptio possessionis, la

conductio possessionis, il precarium possessionis, il depositum possessionis e il commodatum possessionis, in cui si sostiene che queste formule non alludessero a ipotetiche traslazioni di possesso

giuridico (il che avrebbe ricondotto l’istituto a una nozione affine a quella di un diritto trasmissibile e perciò antitetica a quella savignyana). La presenza di queste formule avrebbero piuttosto riguardato la validità di contratti altrimenti invalidi, aventi a oggetto il trasferimento di un possesso non nel senso originario, ma nel senso successivamente sviluppato e abusato di proprietà presuntiva, cfr in Das Rechts

des Besitzes, II Aufl.,27.

6 Su cui vedi brevemente la voce „Gönner, Nikolaus Thaddäus Ritter von“, (Bamberg 1764 – München 1827), in Allgemeine Deutsche Biographie, 6. Aufl. 9. Bd.

7 Cfr, C. Vano, Il nostro autentico Gaio, Napoli 2000, pp. 109 ss.

8 A. W. Rehberg, Über den Code Napoleon und essen Einführung in Deutschland, 1814.

9 F.C. von Savigny, Vom Beruf unsrer Zeit für Gesetzgebung und Rechtswissenschaft, I ed. Heidelberg, 1814.

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notevolmente.10 L’infoltimento dell’orizzonte bibliografico corrispondeva soprattutto alla progressiva apertura di un dibattito conseguente sia al successo dell’opera, sia alle condizioni generali di avanzamento degli studi giuridici.

La scoperta dei commentari di Gaio a Verona nel 1816, per mano di Niebuhr e sotto la guida di Savigny stesso, offriva poi per la prima volta un’occasione d’oro: la

Scuola storica aveva trovato una fonte pura ed integra del diritto romano. Visione

filologica della giurisprudenza, trattazione storica della stessa e recupero dell’unità del molteplice nel sistema11 potevano finalmente misurarsi con materiale autenticamente romano. Tuttavia, la scoperta di Gaio offriva poche, e forse minime, novità per il trattato del possesso. La teoria del possesso ne usciva sorprendentemente illesa. Tuttavia, a titolo eseplificativo, in Gaio mancava una vera distinzione tra diritti reali e obbligatori. Ciò avrebbe potuto comportare una diversa costruzione del sistema generale del diritto romano attuale. Ma il giudizio che Savigny rendeva delle capacità scientifica di Gaio, in parte ne limitava la sua utilità. La stessa tripartizione gaiana (personae, res, actiones) non appariva, agli occhi di Savigny, significativa sotto il profilo sistematico.

Subito dopo il ritrovamento di Gaio, e secondo un giudizio autorevole in conseguenza della lettura dei commentari gaiani12, compariva però nella sistematica savignyana la nozione di Vermögensrecht (diritto patrimoniale), sostituendosi al

Sachenrecht (diritto reale). La terza edizione optava quindi per una categoria più ampia

e relegava il Sachenrecht nel solo significato di diritto con oggetto cose corporali, in contrapposizione all’Obligationenrecht nel senso di diritto personale. Ne conseguiva una cascata di effetti sotto il profilo sistematico apprezzabili solo ad un’analisi più specifica del contenuto dell’opera.

Anche la quarta e la quinta edizione, così come le precedenti, non apportarono significativi cambiamenti: si approfondiva un’elaborazione storica in vista di una definitiva trattazione sistematica di tutto il diritto civile.

Intanto, le lezioni d’introduzione alle pandette, eredi di quella di metodologia, continuavano a scandire con ciclicità semestrale le tappe del percorso: la connessione

10 Si teneva innanzitutto conto di alcuni lavori Mackeledey e dell’allievo Bickel, cui si sommavano cambiamenti notevoli. Erano aggiunti, a titolo d’esempio, quelli di Chlum, Wenck, Dabelow, Planck, Lange, Hufeland e Zachariae.

11 Adopero qui i tre momenti come descritti nella Methodologie 1802/1803, in Vorlesungen über

juristische methodologie 1802-1842, cit., 70: philologische Ansicht der Jurisprudenz […] Historische Behandlung der Jurisprudenz […] System: Einheit des durch die Interpretation bearbeiteten Mannigfaltigen.

12 Uno spunto nella direzione dell’analisi dei rapporti effettivi tra i commentari gaiani e il sistema savignyano era offerto in un lavoro sistematico civilistico del giovane Wieacker. Oggi in F. Wieacker, ,

Zivilistische Schriften (1934-1942), a cura di Christian Wollschlägen, Frankfurt/Main 2000, „Zum System

des deutschen Vermögensrecht. Erwägungen und Vorschläge“, 382 ss., già in Leipziger

wissenschaftlicher Studien, Heft. 126, Leipzig 1941. Il contributo tuttavia non tiene minimamente conto

dello slittamento semantico in tesi e dei suoi effetti, così come di altre analoghe considerazioni circa la categoria del diritto patrimoniale, che tuttavia esplicitamente l’autore offre, cfr. in F.C. von Savigny,

Politik und neuere Legislationen. Materialen zum „Geist der Gesetzgebung“, a cura di Joachim Rückert e

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dei tre elementi, sistematico, storico ed esegetico, tornava così periodicamente ad accompagnare i primi contatti con la giurisprudenza degli studenti13.

La nuova bibliografia della quinta edizione vedeva però diverse novità: la fortuna internazionale dell’opera soprattutto attraverso Warnkoenig14 e l’emersione lenta di nuove questioni sul possesso di beni immateriali e la quasi possessio (Albert e Rosshirt) e in ultimo i tentativi sistematici di Koch di ricondurre nel diritto comune il diritto prussiano di più recente formazione.15

La sesta edizione appariva dopo la pubblicazione di due nuovi volumi della

Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter (il quinto del 1829 eil sesto del 1831),

dell’inizio dei lavori al System (1836). Venivano in rilievo numerose aggiunte bibliografiche cui facevano riferimento altrettanti richiami all’interno dell’opera.

Innanzitutto compariva lo scritto di Puchta sulla collocazione dell’istituto16, come pure il contributo di Rudorff sul fondamento giuridico degli interdetti. Il dibattitto si ampliava indagando le problematiche della teoria psichica del possesso con Schröter, con Bartels sul possesso derivato, con Güyet e con lo stesso Warnkönig sull’animus

possidendi.

Con Hasse entrava sulla scena del dibattito un’analisi nella prospettiva dell’actio; in chiave più marcatamente processual-civilistica. Una lettura sull’origine storica era quella offerta da Huschke. Rauh affrontava una storia della dottrina da un angolo visuale giuridico-filosofico.

Nella prima sezione si aggiungevano nella sesta edizione diciotto nuove pagine sulla classificazione del possesso17. L’autore tornava a definire l’ambiguità del possesso: esso si presenta come un indifferente giuridico18, cioè come il solo dominio

fattuale su una cosa19, o ancora come un non-diritto20.

La novità di maggiore rilievo della sesta edizione richiede un’ulteriore analisi delle posizioni dogmatiche con cui Savigny aveva inteso confrontarsi, con riferimento ai principali autori21, che avevano trattato di recente e diversamente il problema della collocazione.

Infine, la prefazione dell’edizione postuma del 1865 curata da Rudorff segnalava aggiunte di due tipi: innanzitutto quelle dell’autore per quanto fosse apparso nei lavori dei precedenti trent’anni; poi, quelle dello stesso Rudorff, il quale aveva tentato di integrare la più recente letteratura in materia possessoria. La settima edizione non

13 Cfr. diffusamente in Savigny, Methodologie 1802-1842, cit., 196-203.

14 M. L. A.Warnkoenig, Analzse du traité de la possesion par M. de Savigny, Liège 1824, prima anche pubblicata a brani nella rivista Thémis.

15C. F. Koch, Versuch einer systematischen Darstellung der Lehre vom Besitze nach Preussischem Recht,

in Vergleichung mit dem gemeinem Recht, Berlin 1826.

16 G. Puchta, Georg, Zur welcher Classe von Rechten gehört das Besitz?, Rhein. Museum, 1829. 17 Savigny, Das Recht des Besitzes, VI ed., 40-58.

18 Cit. ein rechtliches Indifferent, 40.

19 Cit. factische Herrschaft über eine Sache, 40.

20 Ancora letteralmente cosecondo la traduzione italiana di Conticini, Nichtrecht (verschieden von

Unrecht), ibid..

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conteneva però rilevanti novità poiché gli appunti di Savigny presentavano informazioni non ancora ordinate22.

3.- Gans, Puchta e Jhering.

È ora il caso di soffermarsi su alcune delle posizioni alternative a quella savignyana.

Nel suo System des Römischen Civilrechts in Grundrisse23 del 1827, Eduard Gans aveva già posto il possesso a capo dei diritti reali e quindi in contrasto con la posizione di Savigny, in una sistematica considerata erede della filosofia hegeliana24. A ben vedere, un ruolo di assoluta preminenza della signoria della volontà era comune a Hegel e a Savigny, ma nel primo il possesso si poneva come mero antecedente logico della proprietà. 25 Tuttavia Gans, da giurista, condivideva la comune nozione di tutela possessoria in qualche modo radicata nella sola dimensione fattuale. Il sistema di Gans aveva quindi mediato la posizione del filosofo: il possesso andava collocato nelle premesse logiche della proprietà, con una certa tutela giuridica dovuta a ragioni empiriche. Nel 1839 Gans arrivò poi ad accusare Savigny di essersi sottratto allo scontro ideale. 26 Il possesso si presentava, a suo dire, dapprima come un fatto, ma come un fatto dietro cui si sarebbe celato un rapporto. Fattualità e il significato giuridico si sovrapponeva allora come diversi stadi e gradi (Stadien und Stufen) della fenomenologia del concetto giuridico. Il possesso, quindi, si mostrava per Gans come un diritto più debole. La collocazione savignyana del possesso nelle obbligazioni ex

maleficio si poteva quindi riferire forse al solo sistema romano. Ma nuovi sistemi del

diritto, invece, avrebbero dovuto classificare il diritto romano secondo la ragione moderna e non viceversa. 27

Non solo Savigny, in questo contributo, guadagnava una critica serrata e puntuale, ma il coinvolgimento era esteso anche a coloro che proprio la sesta edizione del Besitz aveva chiamato in causa, Puchta Rudorff, poi Hasse, quindi Thaden e Huschke. La polemica tra Gans e Savigny assunse allora una dimensione notevole fino

22 Cfr. nota di Rudorff a p. 24 della Einleitung: Die Aufzeichnungen des Verfs. Enthielten nur noch nicht

geordnete Notizen über die zunächst nach der 6. Aufl. erschienenen Schriften. [A.d.H.].

23 E. Gans, System des Römischen Civilrechts in Grundrisse, Berlin 1827.

24 Sul tema mi limito a richiamare l’articolo di J. Rückert, „Thibaut – Savigny – Gans: Der [sechsfache] Streit zwischen “historischer” und “philosophischer” Rechtsschule“, in Savigny-Studien, già apparso come Eduard Gans (1797-1839). Politischer Professor zwischen Restauration und Vormärz in

Deutsch-französische Kulturbibliothek, Bd. 15, Leipzig 2002; C. Bertani, Eduard Gans (1797-1839) e la cultura del suo tempo, Napoli 2004 e „Das Erbrecht in weltgeschichtlicher Entwickelung (1824-35)“ von Eduard

Gans. Das erste Zeugnis vom Einfluss Hegels auf die Privatrechtsgeschichtsschreibung“, in

Rechtsgeschichte, 11, 2007, 110–138.;, M. H. Hoffheimer, Eduard Gans and the Hegelian Philosophy of Law, Dordrecht 1995; il meno recente articolo di P. Braun, „Der Besitzrechtsstreit zwischen F. C. Von

Savigny und Eduard Gans - Idee und Wirklichkeit einer juristischen Kontroverse“, in Appendice ai

Quaderni fiorentini, vol. IX, 1980, 457-506.

25 Il confronto è oggetto di grande interesse nella storiografia, basti pensare a M. Brutti, “La sovranità del volere nel sistema di Savigny”, Quaderni fiorentini, IX, 1980, 265 ss, o ancora A. Schiavone, Alle origini

del diritto borghese. Hegel contro Savigny, Bari 1984.

26 E. Gans, Ueber die Grundlage des Besitzes, Berlin 1839, 64. 27Ancora in Gans, Ueber die Grundlage, cit. 18.

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al punto da avere risonanza anche in ambienti non scientifici. 28

Poco tempo dopo la pubblicazione, Gans moriva a quarantadue anni. Per lungo tempo la storiografia vi si è rivolta trattandolo come un semplice epigono hegeliano o una figura di raccordo tra Hegel e Marx, e solo più recentemente gli si è dedicata una maggiore attenzione. La sua scomparsa prematura e la fortuna della Scuola storica hanno determinato una colpevole disattenzione nei suoi riguardi, ma le sue intuizioni più felici sopravvissero. Così, ad esempio, le codificazioni contemporanee (specialmente nel BGB dove il possesso precede la proprietà, ma anche nel codice italiano del 1942 dove la segue) hanno in parte premiato la collocazione gansiana del possesso all’interno dei diritti reali. In un articolo apparso nel Rheinisches Museum29 Puchta aveva poi mosso una debole critica alla teoria savignyana, sostenendo il maestro avesse solo indicato cosa producesse il possesso sotto il profilo delle conseguenze e non cosa esso fosse essenzialmente. Il possesso appariva a Puchta innanzitutto un diritto sulla propria volontà, a protezione dell’inviolabilità della propria persona. Per Savigny invece l’inviolabilità della propria persona veniva in evidenza solo dal momento dell’azione illecita altrui in rapporto alla cosa. La sottile differenza comportava una distanza non da poco: in un caso il possesso era chiaramente un diritto, nell’altro, con Savigny, un mero fatto con conseguenze giuridiche. Savigny liquidava lo scritto di Puchta affermando che questa distanza fosse soltanto sistematica (sic!) e non veramente relativa al fondamento del possesso. Tuttavia l’autore in questo caso aggirava troppo gentilmente questa discrasia con l’allievo.

Alcuni, come Brutti, hanno persino sostenuto che le premesse di Puchta fossero da ricondurre ad Hegel, e contemporaneamente che quindi segnassero una profonda lontananza da Savigny. Indipendentemente dalla diagnosi che si voglia far propria delle ascendenze di Puchta30, il dato dell’alterità della posizione di Savigny era piuttosto inequivoco: nel possesso savignyano fatto e diritto s’invertivano nel fondamento della tutela. In fondo, lo stesso Puchta faticava a negare la diversità di vedute: si può dire che quasi si fosse sottratto a una propria dimostrazione della natura del possesso31, poiché questo terreno era stato fortemente marcato dalla presenza del suo maestro. Tuttavia, la teoria di Puchhta trattava il possesso chiaramente come un diritto e anche i giuristi romani gli apparivano del medesimo parere. Non si è di certo mancato di notare sin da subito che questi si fosse allontanato dall’indagine del diritto romano positivo per

28 Definita Der gelehrte Streit zwischen des hiesigen Professoren Gans und Savigny nella Leipziger

Allgemeine Zeitung 1839, 470, confluita nel Morgenblatt für gebildete Leser, 33°, Berlin 1839, diretto dal

commerciante di vini Louis Drucker.

29 G. Puchta, Rheinisches Museum, vol. III, 1829, 289 ss.

30 Dell’influsso personale su Puchta di Hegel anche in Wieacker, Privatrechtsgeschichte, vol. II, 78 ss. Puchta era stato allievo di Hegel al Gymnasium.

31 „Wenn ich bisher auf Rudorff’s Einwürfe [relative a a questa omissione] nichts erwiedert habe, so geschah dies aus Furcht, durch wiederholtes Besprechen einer für mich interessanten Sache zu missfallen“ in Rudorff (a cura di) Georg Friedrich Puchta's Kleine civilistische Schriften, Leipzig 1851, 259 ss.

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affidarsi alla filosofia del diritto32. La posizione di Puchta potrebbe anche essere definita come una correzione di carattere hegeliano della sistematica savignyana. Così come Gans, d’altronde, aveva ammesso una tutela giuridica possessoria in un sistema giuridico di carattere più marcatamente hegeliano (e con ciò aveva ricondotto il possesso comunque a uno stadio iniziale e logicamente preordinato della proprietà), così Puchta, all’interno delle architetture sistematiche della scuola storica, aveva depurato l’istituto possessorio dal quel fondamento fattuale, arbitrario e pregiuridico, qualificandolo essenzialmente come diritto.

Un ulteriore e più significativo attacco alla teoria savignyana – quello definitivo – comparve solo dopo la morte dell’autore. In un contributo apparso nel 1868 Rudolph von Jhering33 tornava ad animare la polemica sul possesso. 34 La storiografia più risalente ha spesso confermato una stabile lettura della scienza giuridica tedesca, secondo cui la sistematica sarebbe stata dapprima posta al centro proprio dalla riflessione savignyana, poii epurata in un astratto concettualismo da Puchta e infine indirizzata da Jhering verso l’orizzonte funzionale degli interessi politici, secondo la successione spesso evocata tra Scuola storica, giurisprudenza dei concetti e

giurisprudenza degli interessi. Se tuttavia questa lettura può aver mortificato una certa

complessità dell’opera di Puchta, il giudizio sull’anticoncettualismo di Jhering sembra ancora da confermare35. La prima traccia di una conferma è resa dalla scelta di due specifici oggetti d’indagine nella sua riflessione civilistica: la culpa in contahendo36 e la

teoria del possesso37. Entrambi gli istituti frequentano un territorio scivoloso per il formalismo puro, un luogo in cui meri fatti aspirano a conseguenze di diritto. La critica di Jhering muoveva quindi da premesse diverse da quelle savignyane: il confine tra il fatto e il diritto è il luogo in cui emerge il rapporto funzionale della norma rispetto al contesto.38 L’istituto del possesso, per Jhering, non era fondato per deduzione dalla

32 Così la critica rivolta da un recensore anonimo della Leipziger Literaturzeitung, 1832 n° 281, al contributo di Puchta nella Rheinisches Museum für Jurisprudenz.

33 Impossibile offrire un quadro soddisfacente della letteratura su quest’autore. Qui brevemente rinvio ai numerosi contributi di H. Coing, , o i più recenti di O. Behrends, Rudolf von Jhering, der Rechtsdenker

der offenen Gesellschaft. Di grande rilievo per l’oggetto di indagine anche se specificamente rivolto al

rapporto tra Jhering e Puchta, vedi H. P. Haferkamp, Georg Friedrich Puchta und die

“Begriffsjurisprudenz”, Frankfurt/Main 2004, pp. 26-44. Un’analisi rivolta alla comparazione

metodologica dei principali giuristi tedeschi nel volume collettaneo a cura di Joachim Rückert e Lena Foljanty, Methodik des Zivilrechts von Savigny bis Teubner, Baden-Baden 2012, II. Aufl., in cui ritrovo un utile contributo di R. Seinecke, dal titolo “Methode und Zivilrecht beim “Begriffsjuristen” Jhering (1818-1892)”, 123-150.

34 Mi riferisco a R. von Jhering, Rudolph, Ueber den Grund des Besitzesschutzes. Eine Revision der

Lehre vom Besitz., Jena 1868.

35 Per una lettura in tal senso rinvio alla monografia di L. M. Lloredo Alix, Rudolph von Jhering y el

paradigma positivista, Madrid 2012.

36 Cfr. R. von Jhering, , „Culpa in contahendo oder Schadenersatz bei nichtigen oder nicht zur Perfektion gelangten Verträgen“, in Jahrbücher für die Dogmatik des Heutigen römischen und deutschen

Privatrechts, IV, 1860, pp. 1-112.

37 Ancora al cit. Über den Grund, ma anche al precedente contributo “Beiträge zur Lehre vom Besitz”, in

Jahrbücher für die Dogmatik des Heutigen römischen und deutschen Privatrechts, IX, 1868, 1-196, e al

più tardo Der Besitzwille. Zugl. e. Kritik d. herrschenden juristischen Methode, Jena 1889. 38 Ampiamente in F. Casavola, “Jhering su Savigny”, Quaderni fiorentini, IX, 1980, 69 ss.

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necessità di tutelare la dimensione fattuale e pischica della signoria su un bene. La funzione sociale della tutela possessoria era la medesima della proprietà: la tutela però era stata estesa anche a situazioni in cui si fosse già manifestata la necessità della sanzioni senza però che si desse la piena proprietà. Il possesso appariva, quindi, come un fatto a cui era presuntivamente estesa una protezione analoga a quella della proprietà. Allora, l’elemento psichico, che in Savigny distingueva efficamente il possesso dalla mera detenzione e spiegava le vicende traslative, perdeva in Jhering ogni rilievo ed era sostituito da una distinzione normativa sulla legittimità o l’illeggittimità del titolo. Tutti gli elementi della riflessione savignyana erano rideclinati da Jhering in modo profondamente diverso: la scienza giuridica poteva trattare il diritto romano come un organismo naturale nei suoi meccanismi fisiologici e patologici; la dogmatica poteva sostituire ai concetti astratti un nuovo orizzonte pragmatico, una filosofia giuridico-sociologica39. In questa prospettiva, la signoria della volontà non poteva più rivendicare una centralità sistematica e dal diritto soggettivo si tornava a spostare l’attenzione sul diritto oggettivo.

L’affermazione piena della posizione di Jhering precedette di poco la stagione codificatoria di fine secolo. Per questa semplice ragione la teoria possessoria savignyana non influì su alcuna legislazione. Non potè farlo sui codici già in vigore nel primo Ottocento: per ovvie ragioni non sul Bayerisches Landrecht, in vigore dal 1756 al 1900 in quasi tutta la Baviera e sull’ALR del 1794; nemmeno però sul Badisches Landrecht, 1809/10 che seguiva il modello francese; né sull’ABGB del 1811/12.

Le solo proposte di codice in Assia (1842/1845) e in Baviera (1861/1864) rappresentarono luoghi di maggiore influenza della dottrina savignyana del possesso. Il primo, quello assiano, ancora più del secondo, offriva una definizione di possesso di stampo savignyano. Anche il Sächsiche BGB del 1863/65 restituiva al § 186 un possesso non distante dal trattato. Da ultimo, nelle Entwürfe zum deutschen BGB, il progetto di codice del 1888, il §797 restituiva una definizione con delle analogie al modello sassone e assiano.

Tuttavia, la versione definitiva del BGB nel 1900 trascurava completamente l’aspetto psichico, così centrale nella teoria savignyana. Jhering aveva ormai interrotto mezzo secolo di egemonia del trattato del possesso.

In altri termini, la fortuna di Savigny non può essere cercata – forse ovviamente – nei codici.

4.- Sette spunti dal trattato del possesso

Alla luce dell’indagine tratteggiata si possono definire almeno sette diversi spunti offerti dagli itinerari del trattato, in sette diverse direzioni:

1) I due savigny. L’analisi e il confronto delle edizioni dell’opera restituisce un’ulteriore prova della sostanziale unità dell’attività di Savigny e del

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radicamento delle varie fasi in un unico programma metodologico, in conformità con quanto affermato dalla storiografia più recente.

2) Il sistema. L’opera principale con cui l’opzione sistematica s’impose ai rivali non fu il Sistema del diritto romano attuale ma – per ovvie ragioni cronologiche – il trattato del possesso. In esso si ritrovano sin dalla prima edizione tutte le caratteristiche della Scuola storica e della prima fase della Pandettistica.

3) La collocazione. Nonostante la fortuna dell’opera e la sua centralità nella produzione del più importante autore tedesco di quella generazione di giuristi, la collocazione savignyana del possesso non trovò alcun seguito in altri autori significativi e in alcuna codificazione o intervento legislativo.

4) Il ruolo del diritto romano. Il diritto romano nella sistematica savignyana giocò un ruolo solo strumentale. Esso garantiva l’autonomia del diritto civile dalla politica ma non influenzava direttamente il contenuto e il sistema giuridico. Il ritrovamento delle Institutiones di Gaio non ebbe infatti alcun effetto sulla teoria possessoria.

5) Il contenuto. La teoria savignyana ebbe una lunga egemonia nel corso della prima metà del secolo, principalmente legata all’egemonia accademica e politica del suo autore. Non ci sono però epigoni effettivi del suo contenuto e ben più fortunate furono le intuizioni di altri autori minori.

6) Il metodo. Prescindendo dal contenuto, il metodo savignyano s’impose quale paradigma di un modo nuovo di trattare il diritto civile. A titolo esemplificativo, il trattato adottava categorie come manifestazione di volontà (Willenserklärung) ed è il primo testo ad adoperare la nozione di negozio

giuridico (Rechtsgeschäft, dalla terza edizione) con coperture semantiche del

tutto analoghe a quelle contemporanee.

7) Gli interdetti. La tematica possessoria – lungi dall’avere tinte pre-moderne – può dirsi centrale: il potenziamento delle situazioni di privilegio e l’aggiramento delle forme ordinarie di tutela, attraverso modelli processuali a velocità differenziata, ebbero anch’esse, al pari della tutela della proprietà terriera, un ruolo non marginale nell’emersione e nel rafforzamento delle nuove strutture giuridiche nel corso del diciannovesimo secolo.

Abstract. - Il Trattato del possesso di Savigny fu l’opera che ne segnò la fama, edita in sette edizioni dal 1803 al 1865. La sua storia offre un nuovo punto di vista sulla vita e sull’opera dell’autore, sull’ascesa della Scuola storica e sulla genesi della sistematica civilistica. Il confronto tra le edizioni conferma che le fasi della produzione savignyana fossero frutto di un comune programma metodologico. Il contemporaneo ritrovamento delle istituzioni di Gaio ebbe un rilievo minimo sui contenuti dell’opera di Savigny. Nononstanre la fortuna nazionale e internazionale dell’opera, essa non ha però lasciato tracce consistenti nella legislazione e nella dottrina attuali. Tuttavia, il metodo

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e le categorie adottati nella produzione savignyana si sono imposti quali paradigmi della dogmatica civilistica.

Abstract. – The Treatise on Possession was the most famous Savigny’s work, published in seven editions from 1803 to 1865. Its history offers a new point of view on the life and work of the author, on the rise of the Historical School in Germany and on the genesis of systematics in civil law tradition. A comparison among the editions confirms that the two phases of Savigny production were rooted in a common methodological program. The discovery of the Gaio Institutions had a minimal consequence on the contents of the work. However, despite the national and international reception of the work, it did not leave significative traces in the future legislation and doctrine. Nevertheless, Savigny’s production method and categories became recognized models of the legal science.

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