1
Candidato:
Alfredo Mari
Relatori:
Ch.ma Prof.ssa Carmelina Spanò
Ch.ma Prof.ssa Paola Bonfante
Correlatori:
Ch.mo Dott. Andrea Andreucci
Ch.ma Dott.ssa Debora Fontanini
A.A. 2013/2014
Università di Pisa
Dipartimento di Biologia
Corso di Laurea in
Biotecnologie Molecolari e Industriali
Tesi di Laurea Specialistica
Profilo di espressione e caratterizzazione di geni relativi
alla difesa nello stadio presimbiotico dell’interazione
mutualistica micorrizico-arbuscolare in Lotus japonicus
2
Riassunto analitico
La simbiosi micorrizica arbuscolare è un tipo di interazione mutualistica che si stabilisce tra l’80% delle piante superiori e il phylum dei Glomeromycota. Lo scopo della simbiosi è il reciproco beneficio apportato dallo scambio di nutrienti tra ospite e fungo mediante una struttura arboriforme detta arbuscolo. I nutrienti coinvolti nello scambio sono principalmente fotosintati dell’ospite e minerali del fungo, in primis il fosfato. Una migliore comprensione delle modalità grazie alle quali la simbiosi si stabilisce e dei determinanti molecolari che ne controllano le sorti sarebbe di grande aiuto in termini di un uso più razionale e parsimonioso di concimi, soprattutto fosfatici, in agricoltura. Il focus del mio lavoro di tesi si concentra sullo stadio presimbiotico dell’interazione, quando i due organismi non sono ancora in contatto, ma nella rizosfera si scambiano segnali, che sono alla base del dialogo chimico e biochimico. E' stato dimostrato che il fungo rilascia molecole quali lipochitooligosaccaridi che causano una riprogrammazione trascrizionale all’interno della radice dell’ospite in 24-48 h, e molecole a catena più corta come chitooligosaccaridi, che producono una risposta intensa e localizzata, quale il calcium spiking. Poichè queste molecole sono correlate strutturalmente con la chitina che è comune sia a funghi patogeni sia a simbionti, agendo come MAMP, la domanda che attualmente viene posta è: come fa la pianta a distinguere se i segnali fungini provengono da un organismo amico o da uno nemico? Abbiamo ipotizzato in prima istanza che la lunghezza della catena chitinica possa determinare una risposta symbiont-like, se breve (CO5) o pathogen-like se più lunga (CO8).
Un esperimento già avviato di microarray su Lotus japonicus trattato con Germinating Spore Exudate (GSE) del simbionte AM Gigaspora margarita aveva già permesso di identificare un set di geni correlati con la difesa e teoricamente assimilabili a geni inducibili da patogeni. In base alle disponibilità di mutanti presenti sulla piattaforma LORE1 sono stati selezionati tre geni correlati alla difesa ed espressi con pattern differenti a due time points di 24 e 48 ore dopo trattamento con GSE di G.margarita.
Oggetto della tesi è stato pertanto quello di caratterizzare LjMATE1, LjCAT PER, e LjQOX sotto tre profili: fenotipico, di quantificazione del trascritto e di localizzazione sito-specifica. E' stato studiato anche un marker delle attività ormonali relativi alle gibberelline (LjAMY). Per descrivere le risposte scatenate in Lotus da un fungo patogeno e poterle confrontare con quelle di un fungo simbionte,
L.japonicus è stato trattato con GSE di un patogeno: Colletotrichum trifolii, CO5, CO8 a time points di
1-24 e 48 ore; i trascritti sono stati studiati tramite q-PCR Real Time, dopo trasformazione sono stati effettuati sulle piante di Lotus saggi GUS- promoter. Alcuni esperimenti sono stati effettuati anche dopo micorrizazione, verificata con metodiche morfologiche.
I risultati ottenuti suggeriscono un possibile ruolo di LjMATE1 come marker precoce dei processi simbiotici, considerato che il pattern di espressione in presenza di GSE patogena si discosta alquanto da quello prodotto in presenza di GSE di simbionte. Inoltre, si tratta dell’unico gene che mostra tessuto specificità nell’espressione a seguito del trattamento con CO8 o GSE patogena, localizzandosi nei tricoblasti e nelle aree rizodermiche della radice. LjCAT PER e LjQOX mostrano alcune differenze in termini di timing del profilo di espressione a seguito dei due trattamenti, GSE patogena e simbionte, tuttavia la loro versatilità nella regolazione dello stress ossidativo rende difficile l’identificazione di un ruolo preciso nei processi simbiotici.
Il marker LjAMY infine, pur essendo affidabile in termini di sensibilità, non rivela un chiaro ruolo delle gibberelline nelle tappe precoci dei processi simbiotici o patogenici.
Una prima risposta alla domanda posta in partenza sembra quindi poter essere fornita da questo lavoro di tesi, che individua in LjMATE1 un candidato promettente come marker dei processi simbiotici, anche se la sua funzione all’interno dell’interazione resta da comprendere appieno.
3
Indice
1. Introduzione ... 5
1.1 Le interazioni pianta fungo ...5
1.1.1 La risposta a funghi patogeni ... 6
1.1.2 Le micorrize arbuscolari ... 8
1.2 Le tre fasi della simbiosi ...10
1.2.1 Lo stadio presimbiotico ... 11
1.2.1.1 Il CSSP ...11
1.2.1.1 I recettori Lys-M ...12
1.2.1.2 Effettori downstream ...13
1.2.2 Signaling: dalla pianta al fungo ... 15
1.2.3 Signaling: dal fungo alla pianta ... 15
1.2.3.1 Calcium Spiking: CO5 e CO8...17
1.2.3.2 Il processo di segnalazione cambia il trascrittoma della pianta ospite ...21
1.2.3.3 A tempi diversi corrispondono risposte diverse...22
1.3.1 La qualità dello scambio di nutrienti è determinante nello sviluppo della simbiosi ... 23
1.4 Approcci analitici allo studio dell’interazione ...25
1.5 Da dove parte il lavoro di tesi ...27
1.6 Scopo del lavoro e disegno sperimentale ...29
2. Materiali e Metodi ... 32
2.1 Materiale vegetale e fungino ...32
2.2 Esperimento di valutazione del fenotipo micorrizico ...33
2.3 Esperimento di quantificazione dei trascritti ...34
2.3.1 Estrazione dell’RNA ... 34
2.3.2 Produzione del c-DNA e Real Time RT-PCR ... 36
2.4 Esperimento di localizzazione sito-specifica ...37
4
2.4.2 Trasformazione delle piante wt e selezione ... 40
2.4.3 Saggio GUS ... 42
3. Risultati ... 44
3.1 Fenotipizzazione dei mutanti LORE1 ...44
3.2 Quantificazione dei trascritti mediante q-RT PCR ...46
3.3 Localizzazione tessuto/sito-specifica ...52
3.3.1 In fase presimbiotica LjMATE1 ha un profilo tessuto specifico ... 53
3.3.2 A micorrizazione in atto, l’espressione di LjMATE1 è aspecifica ... 55
3.3.3 Il marker LjAMY indica assenza di intervento delle gibberelline nel signaling precoce ... 56
4. Discussione ... 58
4.1 Il possibile ruolo di LjMATE1 nelle prime fasi della simbiosi AM ...59
4.2 Le modalità di espressione di LjQOX e LjCAT PER non escludono loro ruoli nella fase presimbiotica ...62
4.3 LjAMY e gibberelline, un’altra open question ...65
5. Conclusioni ... 67
5
1. Introduzione
1.1 Le interazioni pianta fungo
I regni Plantae e Fungi si trovano in natura molto spesso in contatto. Le caratteristiche di questo rapporto interattivo possono essere di natura simbiontico-mutualistica o parassitaria a seconda che il beneficio dell’interazione sia rispettivamente reciproco o riservato solo al simbionte a spese dell’ospite. Nel quadro delle interazioni mutualistiche, l’esempio più diffuso in natura va sotto il nome di micorriza. Tale termine fu coniato da Frank nell’anno 1884, per indicare un’associazione tra radici e funghi, senza darne un significato funzionale. Solo qualche anno dopo, nel 1887, tale interazione fu definita da de Bary come una simbiosi da considerarsi sporadica e legata al ciclo vitale della pianta.
Al contrario oggi sappiamo che si tratta di un fenomeno estremamente comune nel regno vegetale, dal momento che si stima a oltre l’80% delle piante terrestri instauri stabilmente questo tipo di simbiosi con i loro partner fungini.
L’origine di questa simbiosi sembra essere davvero antica; fossili datati a oltre 400 milioni di anni fa di Aglaophyton major (Taylor 1995) mostravano già associazioni similari, in quanto all’interno delle cellule corticali di queste piante ora estinte si possono distinguere strutture riconducibili all’arbuscolo, anche se non localizzate nella parte radicale, dato che Aglaophyton major è provvisto di soli rizomi. Una delle più interessanti conclusioni che emerge dai dati fossili è che la simbiosi micorrizica precedette lo sviluppo stesso delle radici (Bonfante & Genre 2008). Su queste basi si ipotizza un ruolo determinante di queste associazioni simbiotiche nella colonizzazione della terraferma da parte delle prime piante superiori.
In questo contesto si parla spesso dell’associazione tra fungo e pianta come di un fenomeno co-evolutivo: dal punto di vista fungino, la relativa scarsità a livello del suolo di fonti di carbonio prontamente utilizzabile (organico non umificato), unita alle scarse potenzialità dei funghi micorrizici come saprotrofi, ha determinato una ricerca di fonti di carbonio a livello degli organi sotterranei (rizoma o radice) sotto forma di fotosintati provenienti dall’apparato aereo. D’altra parte, in corrispondenza della rizosfera, la tendenza dei gruppi fosfato all’interno del suolo a rendersi insolubili sia a pH acido che a pH basico, causa la formazione di una
6
zona carente di fosfati proprio in corrispondenza delle radici, richiedendo un meccanismo efficiente di recupero del nutriente e in grado di esplorare il maggior volume di terreno possibile.
Per questi motivi, l’intensa ramificazione del micelio fungino e i diversi composti chelanti e gli acidi organici che molti funghi sono in grado di secernere fanno sì che l’ associazione pianta- fungo risulti altrettanto vantaggiosa per l’organismo vegetale.
1.1.1 La risposta a funghi patogeni
La maggior parte degli organismi appartenenti al regno dei Funghi tuttavia intrattiene con l’organismo vegetale rapporti di parassitismo, basti pensare ai generi Rhizoctonia,
Fusarium, Colletotrichum, Ustilago, etc. per citare solo qualche esempio. Anche in
questo caso le relazioni pianta/funghi sono di tipo nutrizionale, ma questi ultimi usano il vegetale come fonte di zucchero attraverso svariate strategie.
A seconda delle caratteristiche del ciclo riproduttivo e nutritivo del patogeno, si distinguono funghi biotrofi obbligati, che richiedono cioè cellule vive dell’ospite per potersi moltiplicare e nutrirsi grazie a strutture anatomiche apposite (austorii); necrotrofi, che si nutrono e moltiplicano solo dopo aver ucciso la cellula ospite, e infine emibiotrofi, che richiedono cioè in un primo momento la vitalità della cellula ospite, ma la sua successiva morte per la corretta riproduzione.
Data l’importanza per l’uomo e per l’ambiente dell’impatto dei patogeni sulle piante, le loro interazioni sono state studiate in modo molto approfondito, passando dalla descrizione del processo di infezione all’identificazione dei meccanismi di segnalazione tra pianta e fungo. Come si sa da molto tempo, le piante hanno evoluto un meccanismo di difesa ai patogeni che si realizza attraverso l’acquisizione di geni di resistenza. Al contrario, i patogeni attaccano la loro preda grazie a geni di virulenza. Fin dagli studi del genetista Flor (1971) questi processi (nella teoria detta “gene for
gene”) sono stati largamente usati dai breeder vegetali (Parisi et al., 1993; Fabre et
al., 2012) per la selezione di varietà resistenti ai diversi patogeni fungini e non, come ad esempio il caso di Malus floribunda selezionato per la resistenza a Venturia
inaequalis (Parisi et al., 1993).
Le basi molecolari del meccanismo “gene for gene” sono state chiarite dalla genetica molecolare, che ha permesso di identificare dapprima i prodotti genici dei geni di
7
resistenza nella pianta e poi di virulenza nei patogeni (De Wit 1992; Ackerveken et al., 1991) , e hanno permesso di chiarire il dialogo molecolare che si instaura nelle interazioni , ad esempio tra piante e batteri /funghi patogeni (Gassmann et al., 2012). Tale dialogo è riassunto da quello che ormai è diventato uno schema classico: lo
Zig-Zag proposto da Jones & Dangl nel 2006 (Figura 1.1) che ha avuto larghe conferme
sperimentali
La reazione dell’ospite nei confronti dell’attacco patogeno avviene a seguito del riconoscimento di determinate molecole che fungono da “firma” della presenza del patogeno, si tratta in genere di peptido-glicani componenti della parete cellulare batterica, o chitina, presente nella parete cellulare fungina, oppure beta glucani caratteristici della parete di oomiceti. Tali molecole sono dette PAMPs (Pathogen Associated Molecular Patterns) (Thomma et al., 2011), le quali sono percepite da una vasta gamma di recettori, e spesso co-recettori, detti PRR (Pattern Recognition Receptors), la cui funzionalità e concentrazione sono finemente regolate dalla cellula , e insieme danno luogo alla cosiddetta PTI (PAMPs Triggered Immunity), le cui note caratteristiche sono un picco nella produzione di specie reattive dell’ossigeno e nella concentrazione di calcio (Oldroyd 2013). Quello che è noto attualmente, oltre a questi
due “burst”, è la presenza rilevante di una cascata enzimatica attivata da talune classi di MAP chinasi, anche se il loro ruolo nella produzione di ROS resta da chiarire nel dettaglio (Oldroyd 2013).
Figura 1.1 PTI, PAMPS, Effector Triggered Immunity e Hypersensitive Response nell'interazione
8
Se la PTI rappresenta il primo livello di difesa dell’ospite, il secondo livello è costituito dalla cosiddetta Effectors Triggered Immunity, (ETI) innescata in risposta a quelli che sono definiti effectors, agenti enzimatici o molecole rilasciate dal patogeno per superare la PTI. Gli effectors conducono spesso l’ospite alla cosiddetta
Hypersensitive Response (HR) e quindi apoptosi della cellula colpita (Bittel et al.,
2007).
Dato che la maggior parte dei patogeni è costituita da microorganismi, si preferisce molto spesso parlare di MAMPs (Microbe Associated Molecular Patterns) e quindi di MTI, dalle medesime caratteristiche sopraccitate per PAMPS e PTI.
Tra i vari recettori classificabili come PRR, quelli che hanno ricevuto maggiore attenzione nel corso degli anni sono senza dubbio i recettori detti Lys-M (Lysin motif), a funzione sia recettoriale (Lys-M RLP) che chinasica (Lys-M-RLK), in quanto in grado di innescare la risposta MTI (Jones &Dangl 2006). Tuttavia dati molto più recenti stanno dimostrando che recettori con Lysin motif sono coinvolti nella segnalazione tra piante e i loro simbionti radicali, siano essi batterici o fungini (Gough & Cullimore 2011). Questi dati prefigurano dei processi di segnalazione simili nelle interazioni patogene, in quelle delle simbiosi nodulari e micorriziche (Gough & Cullimore 2011), aprendo molte domande su come la pianta distingue amici da nemici. Un carattere comune sembra tuttavia essere l’ attività recettoriale sui monomeri di N-Acetil Glucosammina (Gust et al., 2012).
1.1.2 Le micorrize arbuscolari
Tra le diverse tipologie di simbiosi micorrizica che si trovano comunemente nella maggior parte degli organismi vegetali, nonché oggetto del mio lavoro, sono le micorrize arbuscolari (AM).
Si tratta di una simbiosi nella quale il micelio fungino penetra attraverso il tessuto epidermico radicale, attraversando il primo strato di cellule per assumere poi crescita intercellulare fino ad arrivare al’interno del parenchima corticale, sede in cui si osserva la formazione dell’arbuscolo, struttura altamente ramificata dalla forma simile ad un albero, donde la definizione “arbuscolare”. L’ospite risponde alla presenza del fungo attraverso un processo di “accomodation” che si realizza attraverso la formazione di quello che viene chiamato Apparato di Pre-Penetrazione (PPA) prima, (Genre et al., 2005) a cui segue la formazione di una membrana perifungina che avvolge il fungo intracellulare durante tutte le sue fasi,
9
anche quella arbuscolare: tale membrana viene definita periarbuscolare (PAM). La biogenesi di tale membrana e la creazione del corrispondente spazio di interfaccia è stato e continua ad essere oggetto di dettagliati studi (Bonfante 1981; Ivanov et al., 2012; Balestrini & Bonfante 2014.). È attraverso quest’ultima struttura che avvengono gli scambi di nutrienti ragione della simbiosi.
I funghi coinvolti in questo tipo di simbiosi sono da anni identificati come appartenenti al phylum monofiletico dei Glomeromycota (Schüßler et al., 2002) anche se più recentemente la loro classificazione è stata profondamente cambiata (Oehl et al., 2011; Redecker et al., 2013).
Tale phylum presenta alcuni aspetti biologici molto particolari: le spore contengono centinaia di nuclei, le ife sono cenocitiche, e non si conoscono fenomeni di riproduzione sessuata, anche se geni coinvolti nella meiosi fungina sono espressi durante il ciclo vitale del fungo (Tisserant et al., 2012). Inoltre, per ciò che riguarda il loro approvvigionamento di nutrienti, si tratta di biotrofi obbligati. Non sono in grado di acquisire sostanze organiche dai substrati, ma dipendono integralmente dalla pianta ospite per la nutrizione carboidratica. Di conseguenza non riescono a completare il loro ciclo in assenza dell’ospite.
A livello evolutivo questo potrebbe considerarsi come uno svantaggio, compensato però dal fatto che non esiste una stretta specificità nell’instaurarsi del rapporto trofico né da parte del fungo AM né da parte dell’ospite. Per esempio Funnelliformis intraradices, è in grado di micorrizare molteplici piante tra cui Allium cepa, Acacia holosericea, Linum usitatissimum, Vigna unguiculata,e Lycopersicon esculentum.
Recenti risultati prodotti mediante il sequenziamento del genoma di Rhizophagus irregularis (Tisserant et al., 2013) hanno evidenziato sia un basso tasso di polimorfismi che una relativamente bassa complessità a livello genomico. Il biotrofismo obbligato dei funghi AM sarebbe allora da riferire ad una perdita di funzionalità di geni codificanti enzimi di degradazione della parte vegetale e nell’inattivazione di loci codificanti tossine (Tisserant et al., 2013).
10
1.2 Le tre fasi della simbiosi
Nell’instaurarsi della simbiosi distinguiamo generalmente tre stadi:
fase presimbiontica che richiede la segnalazione tra i partner
colonizzazione della radice
funzionamento della simbiosi
Il primo si definisce come quel momento del rapporto che non consta di un contatto fisico tra i due organismi, tra i quali si intrattiene tuttavia una complessa comunicazione chimica i cui principali attori sono molecole bioattive presenti negli essudati del fungo da una parte, e dell’ospite dall’altra.
Per ciò che invece riguarda la colonizzazione, nel caso delle simbiosi AM, essa si traduce negli eventi di contatto alla superficie radicale, con la formazione degli ifopodi fungini, seguiti dalla penetrazione radicale grazie a ife inter- o intracellulari; esse portano alla crescita intercellulare delle ife, e alla loro successiva penetrazione all’interno della cellula con relativa formazione dell’arbuscolo (Figura 1.2). (Bonfante & Genre 2012)
11
Infine il funzionamento della simbiosi si identifica in una serie di eventi fisiologici e metabolici che permettono lo scambio dei nutrienti.
1.2.1 Lo stadio presimbiotico
Quando ancora non è presente alcun tipo di contatto tra i due organismi, l’evento di maggior rilievo risiede nella intensa comunicazione molecolare, la quale porta, attraverso un aumentato tasso di ramificazione del fungo, al contatto tra i due partner e da qui alla colonizzazione, attraverso gli stadi già presi in esame. La via principale attraverso cui questa comunicazione ha luogo è il cosiddetto Common Symbiosis Signaling Pathway CSSP (Oldroyd 2013)
1.2.1.1 Il CSSP
Con l’acronimo CSSP si fa riferimento a quello che viene definito Common Symbiosis Signaling Pathway. Tale definizione è emblematica se consideriamo che molti passaggi, a partire dai recettori di membrana agli effettori downstream si
trovano ad essere un passaggi cruciali tanto nella simbiosi nodulare quanto nella simbiosi AM (Oldroyd 2013). La tipologia di segnalazione molecolare a cui il CSSP fa riferimento è di tipo calcio-dipendente (Oldroyd 2013), e si realizza Figura 1.3 Il Common Symbiosis Signaling Pathway coinvolge un set di trasportatori e canali
12
grazie ad un numero di componenti molecolari molti dei quali ben conosciuti, riassunti in Figura 1.3.
La denominazione dei singoli elementi genici cambia da specie a specie, ma potendo riassumere nell’ordine si hanno:
Recettori Lys-M (NFP: Nod Factor Perception)
SYMRK/DMI2 (a seconda se si tratti di L. japonicus / M. truncatula) recettori con attività chinasica
CASTOR e POLLUX canali nucleari, i primi effettori downstream del complesso recettoriale NFP/SYMRK
CCaMK/DMI3 (a seconda se si tratti di L. japonicus / M. truncatula) proteina calcio calmodulina dipendente agisce insieme a CYCLOPS.
NSP2-RAM2, fattori di trascrizione, ultimi effettori downstream.
1.2.1.1 I recettori Lys-M
A ulteriore conferma di quanto detto sopra sulla condivisione delle medesime vie di segnalazione relative sia a patogeni che a simbionti, non stupisce ritrovare quali
fattori recettoriali di primo piano ancora i rettori Lys-M, in particolar modo, per ciò che riguarda Lotus japonicus, la famiglia di recettori NFP, recettore accoppiato a proteine G eterotrimeriche (den Hartog 2001) ad azione transfosforilasica
13
(Fig.1.4). La centralità di NFP nell’inizio tanto della simbiosi nodulare come di quella micorrizica, non è attualmente in discussione (Maillet et al., 2011), anche se resta da chiarire quale sia il ruolo effettivo dello stesso durante la colonizzazione AM (Oldroyd 2013).
1.2.1.2 Effettori downstream
Un evento caratteristico nelle prime fasi di sviluppo della simbiosi AM è senza dubbio la presenza di oscillazioni nella concentrazione di Ca a livello nucleare (Ehrhardt et al., 1996; Kosuta et al., 2008), in quello che viene definito Calcium spiking. Alla base di tale oscillazione vi è l’attivazione del complesso recettoriale NFP, di concerto con il recettore ad attività chinasica SYMRK/DMI2 (a seconda se si tratti di L. japonicus / M. truncatula), il quale, insieme a HMGR, enzima coinvolto nella produzione di mevalonato (Oldroyd 2013), agisce da tramite tra la semplice ricezione di membrana e l’effettiva trasduzione del segnale al nucleo (Kevei et al., 2007) (Fig 1.4).
Tutti gli altri effettori downstream rispetto a NFP-SYMRK si trovano sulla membrana nucleare, e tra questi un ruolo essenziale è svolto dai canali CASTOR e
POLLUX. Detti canali tuttavia mostrano scarsa affinità per il calcio, mostrando invece spiccata affinità per lo ione K. Per spiegare l’effettivo avvenimento dell’oscillazione è necessario considerare l’ATPasi Ca dipendente, MCA8 dalle funzioni di trasportatore (Oldroyd 2013).
14
L’oscillazione ha quindi luogo una volta che CASTOR e POLLUX, depolarizzata la membrana dell’ ER, provocano l’attivazione di MCA8, e la liberazione di calcio a partire dal sink d’elezione, cioè l’ER stesso. Il tutto sotto l’input primario del complesso SYMRK/NFP (Fig 1.5).
L’ultimo effettore facente parte del CSSP è CCaMK, una proteina calcio-calmodulina dipendente e serina-treonina chinasi, nota in M.truncatula come DMI3. Si tratta di un fattore tra i più rilevanti, dato che ad una sua inattività corrisponde la mancata attivazione di oltre il 73% dei geni necessari all’instaurarsi della simbiosi AM (Schmitz & Harrison 2013).
CCaMK può essere attivata direttamente dalla concentrazione crescente di Ca,
attraverso il legame con diversi domini EF, oppure dalla Calmodulina, a sua volta attivata a seguito di Calcium spiking, attraverso uno specifico dominio CaM. (Oldroyd 2013) (Fig 1.6).
All’azione di CCaMK partecipa anche l’effettore CYCLOPS, attivato mediante fosforilazione dalla stessa CCaMK.(Oldroyd 2013). La sua funzione resta ancora da chiarire del tutto, soprattutto l’aspetto riguardante l’attivazione dei geni relativi alla simbiosi, se cioè essi siano attivati dallo stesso CYCLOPS oppure dalla modificazione di CCaMK a seguito del legame col medesimo (Oldroyd 2013). L’effettore finale del pathway è costituito dai fattori di trascrizione NSP2 e RAM1-2, i qual legano il complesso della RNA polimerasi e danno il via alla riprogrammazione trascrizionale. (Oldroyd 2013). Ultimamente, a ennesima riprova dell’estrema associazione dei pathways nodulari e micorrizici, sta emergendo un possibile ruolo anche di NSP1, fattore fino a poco tempo fa ritenuto Figura 1.6 Il complesso trascrizionale attivato da CCaMK è diversamente costituito a seconda che si
15
responsabile soltanto degli eventi relativi alla simbiosi con Sinorhizobium meliloti (Delaux et al., 2013)
1.2.2 Signaling: dalla pianta al fungo
Se il CSSP è la via che permette alla pianta di rispondere ai segnali che arrivano dai suoi microbi simbiotici, nella rizosfera deve avvenire anche l’opposto: il fungo deve percepire e interpretare dei segnali bioattivi che arrivano dalla pianta. Finora alcune classi di molecole di produzione vegetale sono state identificate: tra questi gli strigolattoni, ormoni prodotti a partire da carotenoidi complessi mediante le diossigenasi CCD7 e 8 (Yoneyama et al., 2013) e già ben noti per la loro capacità di induzione della germinazione di piante parassite come Striga e Orobanche (Ruyter-Spira et al., 2012). Tale classe di ormoni ricopre un ruolo di primo piano nell’induzione alla ramificazione ifale e alla germinazione delle spore delle Glomeraceae (Akiyama et al., 2005; Besserer et al., 2006). Gli strigolattoni non sono tuttavia le uniche sostanze in grado di elicitare una risposta di ramificazione diffusa, dal momento che anche alcuni acidi grassi come il 2-idrossidecanoico o il tetraidrossidecanoico sono in grado di sortire una risposta paragonabile (Nagahashi & Douds 2011).
Ritornando ai più conosciuti SL, la loro biosintesi e la loro esportazione risultano essere correlate rispettivamente alla corretta espressione dei geni NSP1 e 2, (Liu 2011), e da trasportatori ABC come PDR1 (Kretzschmar 2012).
L’ultimo passaggio della fase presimbiotica per ciò che riguarda l’ospite è la trascrizione di RAM1 e 2, l’uno codificante un TF della famiglia GRAS, mentre il secondo, attivato dal primo, è una Glicerolo 3 fosfato acil transferasi (GPAT) Entrambi sono responsabili della preparazione ed esportazione di monomeri di cutina, necessari al fungo AM per la corretta costruzione dell’ifopodio, ma anche aventi un importante ruolo nel riconoscimento dei patogeni (Wang et al., 2012)
1.2.3 Signaling: dal fungo alla pianta
A partire dal lavoro di Navazio e collaboratori (2007), è stato reso noto che l’essudato di germinazione di spore (GSE) AM era in grado di generare una variazione della concentrazione di calcio all’interno delle cellule dell’ospite. Tale variazione è stata poi più dettagliatamente descritta come un fenomeno di calcium
16
spiking (Oldryod 2013; Kosuta et al., 2008). In tempi successivi sono state dettagliatamente caratterizzate una classe di molecole segnale dette Myc-LCO (Maillet et al., 2011); si tratta di Lipochitooligosaccaridi caratterizzati da una lunga catena polisaccaridica legata a monomeri di N-acetil glucosammina, visibili in Figura 1.7.
Nel medesimo lavoro è stata evidenziata la forte attività promotrice degli LCO nella simbiosi AM, attraverso il rilievo di un aumento superiore al 104% di colonizzazione in terreno arricchito con LCO. Una iniziale distinzione di queste molecole in solforilate e non (sLCO e nsLCO) ha portato alla definizione di una attività promotrice decisamente maggiore delle catene solforilate rispetto a quelle non solforilate.
Ulteriori test su D.carota hanno portato all’evidenziazione che tale attività promotrice della simbiosi è rintracciabile anche in coltura di radici (Root Organ Colture, ROC), sia con Myc-LCO naturalmente estratti che sintetici, solforilati o non. È stata così evidenziata la non necessarietà dell’apparato aereo nella azione stimolatrice della simbiosi AM da parte dei Myc-LCO.
Un tratto caratteristico dei Lipochitooligosaccaridi è stato scoperto essere, ancora da Maillet et al., 2011, l’induzione della ramificazione radicale nell’ospite.
In questo frangente, la distinzione tra Myc-s-LCO e Myc-ns-LCO pare essere non trascurabile.
Da un lato, le catene non solforilate stimolano la ramificazione radicale seguendo la via più propriamente “AM” del CSSP, ossia il branching è ottenuto in maniera dipendente da DMI1,2,3, NSP2, e RAM1, tutti fattori chiave del CSSP coinvolto nella simbiosi AM.
17
Dall’altro invece, le catene solforilate (frazione decisamente più attiva dei LCO) stimolano la ramificazione seguendo più la via “Nodulare” del CSSP, in quanto sono in grado di sortire un branching in maniera strettamente dipendente da NSP1, fattore chiave della segnalazione dei Nod-factor.
L’interesse suscitato in ragione delle qualità di tali Myc-LCO, ha subito portato allo studio di una possibile riprogrammazione trascrizionale dovuta alle stesse molecole, e qui si inquadra il lavoro di Czaja e collaboratori (2012).
Quello che è stato osservato è stata una preliminare attività segnalatoria di base dei Myc-LCO a due time points (6 e 24 h), In ogni time point si è osservata l’attivazione di MtENOD, gene utilizzato come marker nelle prime risposte a segnalazioni simbiotiche esterne.
I dati prodotti da questo esperimento sono stati di grande interesse: in primo luogo è stato osservato come diverse miscele di Myc-s-LCOe Myc-ns-LCO vadano a stimolare set di geni diversi tra loro, successivamente è stato provato come i Myc-LCO siano in grado di attivare l’espressione di geni intimamente legati con la segnalazione simbiotica tanto nodulare come micorrizica, come è per l’attivazione di ERN1, fattore downstream di DMI3, o di PUB1, fondamentale nel riconoscimento dei Nod factors.
Infine, forse il dato più interessante ai fini di questo lavoro di tesi che emerge dall’analisi di Czaja et al., (2012), è il fatto che nessun gene dello sviluppo arbuscolare viene attivato a partire dalla stimolazione di Myc-LCO, e allo stesso tempo, l’azione degli LCO risulta strettamente dipendente dai fattori chiave del CSSP DMI3 e NFP, e in buona parte dipendente da NSP1. Questi ultimi dati, se da un lato ci sottolineano ancora una volta come le due tipologie di simbiosi (nodulare e micorrizica) siano intimamente collegate (NSP1 è riferibile al pathways dei Nod-LCO), dall’altro aprono numerosi interrogativi se pensiamo che i mutanti nfp sono comunque in grado di intrattenere simbiosi mutualistica AM in maniera non dissimile dal wild type. Ecco quindi che si sono cercate diversi agenti attivi nella segnalazione presimbiotica.
1.2.3.1 Calcium Spiking: CO5 e CO8
In una vasta gamma di classi e ordini il fenomeno del calcium spiking svolge un ruolo di segnalazione in grado di raggiungere grandi velocità all’interno della
18
cellula, ed è molto spesso il primo segnale tangibile di avvenuta ricezione e trasduzione della segnalazione molecolare, ormonale, o non (Meyer & Stryer 1991). Svolge quindi un ruolo di rilievo all’interno delle prime fasi dei processi simbiotici del regno vegetale, in special modo della nodulazione, (Ehrhardt et al., 1996, Harris et al., 2007), nonché nelle prime fasi della simbiosi AM, come già accennato nel paragrafo relativo al CSSP (Genre et al., 2008).
E’ interessante pertanto notare che tale evento viene registrato durante le prime fasi dei processi simbiotici che coinvolgono le piante: è infatti considerato quale marker della nodulazione segnalando l’avvenuta percezione del Nod-factor da parte del pelo radicale dell’ospite, (Ehrhardt et al., 1996; Oldroyd et al., 2000); è stato poi scoperto essere alla base della segnalazione del processo corrispondente nella più datata simbiosi AM, come già accennato nel paragrafo relativo al CSSP (Kosuta et al., 2008).
Quello che è importante notare, è che il fenomeno di Calcium spiking durante l’instaurarsi della simbiosi AM viene registrato quando le cellule atricoblastiche percepiscono il fungal exudate (Chaboud et al., 2011), ma anche in risposta a oligomeri di N-acetil glucosammina (Genre et al., 2013). Questi, per le loro caratteristiche definiscono una seconda via di segnalazione che in parte probabilmente si distacca da quella seguita dai Myc-LCO, sebbene ne condivida alcuni recettori ed effettori downstream (Schmitz & Harrison 2013).
La ragione per cui tali Chitooligosaccaridi (CO) sembrano percorrere una via differente, è innanzitutto l’indipendenza nell’elicitazione del Calcium spiking dal già citato NFP (Chabaud et al., 2011; Genre et al., 2013). Tuttavia, tale indipendenza risulta parziale, non prescindendo da fattori già citati come DMI1 e 2, (Genre et al., 2013).
Stanti questi risultati è interessante notare come solo alcune classi di CO, diversi a seconda della catena carboniosa, siano più o meno coinvolti nel signaling. Come si può notare ancora da Genre e collaboratori (2013), i CO a quattro e cinque atomi di carbonio sembrano i migliori elicitori. In più, la loro funzione di segnalazione sembra confermata dal fatto che l’applicazione di strigolattoni sul fungo AM, sortisce come effetto la produzione selettiva di CO4/5 e non di altri CO (Genre et al., 2013).
19
L’ultima conferma che i CO4/5 sono coinvolti nel calcium spiking attraverso la segnalazione del CSSP arriva dal fatto che un effetto paragonabile a quello ottenuto con CO4/5 è ottenibile anche da Myc-LCO, ma solo a concentrazioni cento volte superiori. Per ciò che riguarda i NF, non sembrano elicitare alcun tipo di spiking in ROC, e in assoluto nessuna reazione in termini di Calcium spiking si ha nei mutanti nfp, mentre CO4/5 sono in grado di elicitare Calcium spiking anche nei knockout nfp (Schmitz & Harrison 2014).
L’indipendenza di CO4/5 da NFP, sebbene confermata negli studi citati sopra, sembra non essere così stretta nel caso di applicazioni a concentrazioni superiori, (Walker et al., 2000).
Il passaggio logico immediatamente successivo è come la pianta distingua i CO4/5 provenienti dal simbionte o da un eventuale patogeno. Attualmente vi sono molte ipotesi che tuttavia finora sono solo di carattere speculativo.
Ciò che è stato verificato è che la presenza di CO4 presente nella Germinating Spore exudate GSE di un patogeno come Colletotrichum trifolii è del tutto paragonabile a quella del fungo AM Gigaspora rosaea. Tuttavia l’essudato del primo fungo non è in grado di innescare un Cacium spiking paragonabile per intensità e regolarità dei picchi di concentrazione in termini a quello provocato da G. rosea neanche qualora alla stessa GSE si aggiungano quantità supplementari di CO4 (Genre et al., 2013): gli autori hanno interpretato tale mancata risposta con una potenziale presenza nella GSE del patogeno di inibitori del complesso recettoriale di CO4/5.
Un approccio sperimentale in grado di fornire un quadro complessivo più chiaro è quello di prendere in considerazione le reazioni difensive MTI innescate dalle chitine presenti nelle pareti dei patogeni. Studi su riso hanno evidenziato che non differentemente da NF, anche i recettori delle chitine (CERK) sono recettori di tipo LysM RLK, e preferiscono legarsi a chitooligosaccaridi a catena lunga (CO8). Gli stessi CO8 sono responsabili della dimerizzazione del CERK e quindi alla base della produzione di una risposta difensiva da parte dell’ospite (Shibuya et al., 1996, Liu et al., 2012).
Considerando il ruolo pressappoco identico di CO4 e CO5, il risultato di Genre et al., (2013) sembra contraddire il risultato di Liu et al., (2012), ove si evidenzia
20
come una soluzione di CO8 arricchita di CO4 sia in grado di attenuare la risposta immune favorendo la risposta CS. Resta dunque ancora dibattuta la possibilità di un ruolo effettivo nella segnalazione svolto da miscele di CO5-CO8 a diversi rapporti, data la discordanza degli studi in merito (Genre et al., 2013; Schmitz & Harrison 2013).
È doveroso tuttavia aggiungere che quest’ultima ipotesi riempirebbe diversi vuoti interpretativi quali la presenza di un Lag phase, dovuto alla soppressione da un lato della risposta MTI e della contestuale attivazione delle reazioni tipicamente AM. Caso emblematico è quello rappresentato dalle chitinasi. In un lavoro di Salzer e collaboratori (2000), si evidenzia come, prese in considerazione cinque classi di chitinasi, nell’instaurarsi dell’interazione AM vengano progressivamente moltiplicate quelle appartenenti alla classe III, mentre quelle specifiche della risposta patogena, ossia le classi I, II e IV non subiscono alterazioni. In più, le chitinasi III-2 e III3 risultano a un livello di espressione notevolmente elevato, quando il loro livello di espressione basale è pari a zero. Questo farebbe pensare, nell’ottica dell’ipotesi del rapporto fra i CO, a un ruolo di tali enzimi anche nella soppressione della risposta MTI, forse proprio attraverso il taglio della catena CO8 (Salzer et al., 2000).
Altri candidati per il ruolo di determinanti upstream sono senza dubbio i Myc-LCO, i quali agirebbero ancora una volta in sinergia con i complessi NFP e DMI, con azione tra loro opposta: studi aventi questa ipotesi come focus hanno dimostrato che mutanti nfp sembrano essere infatti maggiormente suscettibili a infezioni e attacchi patogeni, mentre mutanti dmi3 presentano significativa sovraespressione di diversi geni correlati alla difesa (Rey et al., 2013). Questo sembrerebbe confermare l’azione inibitoria da un lato di DMI e eccitatoria di NFP in riguardo all’attivazione dei processi di difesa, e presupporrebbe una fine regolazione operata dagli effectors, probabilmente quindi non solo attraverso l’inibizione diretta (come per ERF19), ma anche attraverso il CSSP, tramite i già noti DMI e NFP.
21
1.2.3.2 Il processo di segnalazione cambia il trascrittoma della pianta ospite
L’ultimo passaggio che determina il passaggio tra signaling e inizio vero e proprio della simbiosi AM è la riprogrammazione trascrizionale che da questo tipo di
segnalazione deriva.
Va sottolineato che allo stato attuale, quali agenti responsabili di tale riprogrammazione, almeno per ciò che riguarda lo stadio presimbiotico, sono stati utilizzati solamente i già noti Myc-LCO, (Czaja et al., 2012; Hogekamp & Kuster 2013) sia solforilati che non, escludendo di fatto tutte le altre pur molteplici vie sopracitate.
Dai dati disponibili, è noto che le classi di geni coinvolte nella riprogrammazione da parte di Myc-LCO sono numerose, ma distinte alquanto strettamente a seconda del grado di avanzamento della simbiosi preso in esame. Come emerge dal lavoro di Czaja et al., (2012), più di 512 geni risultano essere espressi a seguito dell’ applicazione di Myc-LCO, sia solforilati che non, e di questi solo 49 continuano la loro espressione anche negli stadi successivi della simbiosi; la loro azione è dunque da considerarsi preponderante nello stadio presimbiotico (Figura 1.8).
22
Inoltre, l’induzione all’espressione genica sembra non essere condizionata dalla presenza di altre strutture come ifopodi, ma solo dalla presenza di Myc-LCO (Hogekamp & Kuster 2013)
È necessario precisare che la presenza di Myc-s-LCO, Myc-ns-LCO, e infine NodLCO dà luogo a espressione set genici differenti e specifici; tuttavia una larga parte di essi è comune, a riprova ancora una volta dell’alto tasso di interazione delle vie di segnalazione simbiotiche (Bucher et al., 2014). In questo contesto, la maggior parte degli elementi genici comuni consiste in quelli necessari al CSSP, come CCaMK, NFP, DMI2, NSP1 (Bucher et al., 2014).
Gli altri set ad essere coinvolti sono sostanzialmente fattori di trascrizione, principalmente della classe dei MYB e NAC (Czaja et al., 2012; Bucher et al., 2014).
Per il momento non è possibile affermare che tale riprogrammazione dei trascritti durante la fase presimbiotica influisca sulla corretta formazione dell’arbuscolo se non in via del tutto indiretta; sembra piuttosto maggiormente plausibile che l’effetto dei Myc-LCO, in ipotesi insieme a quello di effectors e CO4/5 si limiti allo stadio presimbiotico e branching (Bucher et al., 2014).
1.2.3.3 A tempi diversi corrispondono risposte diverse
Un punto importante è quello relativo alla tempistica e all’interconnessione tra ognuna delle risposte che abbiamo sopra citato. Sappiamo che a seguito della segnalazione chimica fungina gli eventi di innalzamento irregolare della concentrazione di calcio, noti come Calcium transient sono i primi a manifestarsi, e coprono l’arco di secondi (Navazio et al., 2007). Risposte immediatamente successive, che si svolgono nell’arco di minuti sono invece l’accumulo di ossido di azoto nel tessuto radicale (Calcagno et al., 2012), e contemporaneamente, il già citato calcium spiking (Kosuta et al., 2008; Chabaud et al., 2011). Eventi tardivi, che richiedono il trascorrere di interi giorni, sono infine quelli che riguardano la scomparsa degli amiloplasti all’interno del tessuto radicale in seguito a colonizzazione (Gutjahr et al., 2009).
La riprogrammazione trascrittomica invece si colloca in una tempistica intermedia, come già emerge dai lavori di Czaja e collaboratori (2012), ma soprattutto dal
23
lavoro in via di pubblicazione di Giovannetti e collaboratori, dato che si svolge nell’arco di ore.
Il fatto singolare, è che l’azione di un insieme così complesso di sostanze bioattive come la GSE fungina è stata fino ad oggi sperimentata solo nei riguardi di fenomeni di calcium spiking (Kosuta et al., 2008; Chabaud et al., 2011), calcium transient (Navazio et al., 2007) o di scomparsa degli amiloplasti, (Gutjahr et al., 2009). Mai fino ad ora è stata impiegata GSE fungina per valutarne le capacità in termini di riprogrammazione trascrizionale.
1.3.1 La qualità dello scambio di nutrienti è determinante nello
sviluppo della simbiosi
Come riassunto in Gutjahr & Parniske, (2013), il fenotipo di colonizzazione può essere definito come Arum type o Paris type, a seconda che l’arbuscolo si trovi in posizione terminale o intercalare rispettivamente, in rapporto con l’ifa. Va detto tuttavia che il fenotipo più ricorrente è di tipo misto Arum-Paris. Gli eventi che succedono alla prima formazione dell’arbuscolo sono uno spostamento del nucleo dell’ospite in posizione laterale, e un articolato processo di invaginazione della
Figura 1.9 I geni espressi a seconda dell'avanzamento del processo di colonizzazione (Gutjahr &
24
membrana cellulare, permesso da un’intensa attività dell’apparato di Golgi, a formare quella che sarà definita Membrana periarbuscolare (PAM) (Genre et al., 2008).
La riprogrammazione trascrizionale che precede e accompagna la formazione dell'arbuscolo e la sua successiva ramificazione è notevole, anche se a tutt'oggi poco compresa (Gutjahr & Parniske, 2013), i punti fermi fino ad ora individuati riguardano i geni VAMP, della famiglia degli SNARE, essenziali per la creazione di una interfaccia a livello della membrana, VAPYRIN, dalla funzione fino ad ora decisamente poco caratterizzata, anche se si può dire con ragionevole sicurezza che la loro funzione è determinante nella prima ramificazione dell'arbuscolo, come si nota in Figura 1.9. Infine si conoscono una nutrita serie di trascritti rintracciabili soltanto nelle cellule che contengono l'arbuscolo. Tali trascritti possono essere suddivisi in due gruppi, da un lato quelli appartenenti allo sviluppo primordiale dell' arbuscolo, come Sbt, e altri invece presenti sono in un secondo momento, ad arbuscolo cioè formato, come il trasportatore di Fosfato PT4, che è considerato il marker delle funzionalità della simbiosi o le acquaporine NIP (Gutjahr & Parniske 2013).
Da non trascurare è la localizzazione cellulare di tali proteine: sebbene infatti la PAM sia il sito d'elezione per la maggior parte di essi, tra cui i vari trasportatori di esosi, e dello stesso Pt4, altre proteine, ad esempio quelle del tipo Blue Copper protein, sono presenti soprattutto nella membrana che riveste il tronco principale dell'arbuscolo (Schmitz & Harrison 2013; Gutjahr & Parniske 2013) e non nelle membrane che circondano le ramificazioni arbuscolari, suggerendo che la PAM abbia una elevata eterogeneità (Schmitz & Harrison 2013). Inoltre altre proteine importanti per la simbiosi come le NIP coinvolte nel passaggio di acqua sono presenti su sistemi di membrane che interconnettono la membrana nucleare al reticolo, (Giovannetti et al., 2012) o ancora, per alcuni trasportatori di polioli (Schmitz & Harrison 2013) Plt, presenti invece nel RE.
Una volta formatasi completamente la struttura arbuscolare, essa sopravvive all’interno della cellula ospite per un tempo medio di circa due/tre giorni, anche se il turnover può accorciarsi fino a 24h (Gutjahr & Parniske 2013) periodo durante il quale avvengono la maggior parte degli scambi nutritivi.
25
I fotosintati procedono in direzione del fungo, il quale ne organizza lo stoccaggio in forma di trealosio mentre diversi nutrienti minerali, dai fosfati ai composti azotati, prevalentemente in forma di ione ammonio procedono in direzione opposta, verso l’ospite, (Bago et al., 2000).
La variabilità dei tempi del turnover arbuscolare trova la sua ragione proprio in questo scambio di nutrienti. L’arbuscolo è mantenuto in vita dall’ospite solo e soltanto in relazione a quanto efficientemente riesce a rifornire l’ospite di nutrienti inorganici, in primis per ciò che riguarda il fosfato (Gutjahr & Parniske 2013). Quest’ultima relazione è tanto stretta da portare all’identificazione quale marker affidabile per la vitalità dell’arbuscolo un trasportatore del fosfato (PT4) (Gutjahr & Parniske 2013).
Non solo, l’apporto di fosfato da parte fungina pare ancora di più il cardine per il mantenimento della simbiosi se pensiamo che mutanti KO per il trasportatore PT4 hanno un fenotipo micorrizico severo, portando cioè ad arbuscoli scarsamente ramificati che collassano in tempi molto precoci (Harrison et al., 2002) Inoltre le condizioni del terreno ad alto contenuto di fosfato risultano pregiudizievoli per il mutualismo AM (Balzergue et al., 2011).
Infine, è stato recentemente scoperto come lo sviluppo e la vitalità dell' arbuscolo non possa prescindere da un preciso dosaggio ormonale. In particolare (Floss et al.,. 2013) dimostra come le GA svolgano un ruolo di regolatore negativo dello sviluppo arbuscolare, attraverso il complesso signaling delle DELLA proteins, elementi repressori delle GA che risultano necessarie per il corretto instaurarsi della simbiosi e per lo sviluppo dell’arbuscolo. (Floss et al., 2013)
1.4 Approcci analitici allo studio dell’interazione
Nel corso degli anni gli eventi relativi alle fasi sia precoci che tardive della simbiosi AM sono state studiate in diversi modi, a partire dai macroarray di Harrison & Dixon (1993) per poi stabilizzarsi nell’utilizzo del microarray e dei saggi quantitativi di qPCR, talvolta con l’aiuto di strumenti come il laser microdissector (Guether et al., 2009; Hogekamp et al., 2013; Czaja et al., 2012).
26
Come è evidente dall’analisi di Salvioli et al., (2013), l’epoca in cui ci troviamo tuttavia vede come protagonista quasi indiscusso il sequenziamento di nuova generazione (NGS).
Le diverse piattaforme di sequenziamento high-throughput hanno permesso in questi anni la pubblicazione a costo ridotto di molti genomi, ma non solo. Quello che per il presente lavoro interessa maggiormente, è piuttosto l’utilizzo di queste tecnologie soprattutto per ciò che riguarda la parte trascrittomica, con riferimento ai noti RNA-Seq, i quali permettono, più ancora che il sequenziamento di mRNA o di miRNA (Salvioli et al., 2013), peraltro di grande interesse nella simbiosi AM soprattutto in riferimento all’assimilazione del fosfato (M. Bucher, comunicazione personale).
Forse per la grande mole di dati da gestire che i moderni RNA seq comportano, un approccio di tipo è a tutt’oggi ancora in fase embrionale nello studio dei funghi AM, e quindi, della simbiosi stessa.
La ragione di tale mancanza di opportunità risiede anche nella ancora embrionale qualità dell’analisi statistica, nella scarsa economicità delle repliche che tale approccio richiede, e anche, talora, in errori di sequenziamento (Salvioli et al., 2013).
La strada che si sta percorrendo attualmente è ancora legata ad approcci di vecchia generazione, anche se il cambiamento è in atto, e in rapido sviluppo. In ogni caso, quale che sia il mezzo prediletto per l’analisi delle interazioni simbiotiche, la direzione seguita dalla maggior parte della comunità scientifica al giorno d’oggi è sicuramente di tipo olistico e più improntata allo studio della biologia delle interazioni, piuttosto che allo studio meccanicistico dei singoli eventi (Salvioli et al., 2013). Un approccio che veda quindi andare di pari passo trascrittomica, proteomica e metabolomica, attraverso le nuove tecniche NGS sembra essere il prossimo futuro, anche per le interazioni micorrizico-arbuscolari.
27
1.5 Da dove parte il lavoro di tesi
Il lavoro oggetto di questa tesi prende corpo principalmente dall’interesse per la
Figura 1.10 Geni diversamente regolati in Lotus japonicus a seguito di trattamento con GSE di G.
28
riprogrammazione trascrittomica a carico dell’ospite e si inserisce sulla scia dei già citati lavori di Czaja et al., 2012 e Hogekamp et al., 2013, i quali hanno delineato una prima panoramica su tale riarrangiamento legato all’instaurarsi della simbiosi AM. In questi lavori tuttavia, sono stati testati, almeno per ciò che riguarda lo stadio presimbiotico, soltanto i Myc-LCO nelle loro forme solforilate o non.
Dal momento che non è possibile escludere un effetto sulla riprogrammazione trascrittomica di secrezioni ulteriori rispetto ai già studiati Myc-LCO, come oligomeri di chitina (Genre et al., 2013), o i cosiddetti effectors (Kloppholtz et al., 2011; Tisserant et al., 2013), il focus dei lavori preliminari e quelli oggetto della mia tesi è andato quindi allargandosi a molecole atte a dare una risposta più realistica in termini di variazioni trascrittomiche.
Il lavoro immediatamente precedente lo studio oggetto di questo lavoro è stato dunque uno screening mediante microarray su tessuto radicale trattato con Germinating Spore Exudate (GSE) di Gigaspora margarita nei time point di 24 e 48h.
Il trattamento è avvenuto con GSE di G.margarita. L’ibridazione è stata condotta a partire dal c-DNA. I dati ottenuti sono stati quindi valutati secondo Deguchi et al., (2007). Sono stati selezionati solo i principali geni sovraespressi e sottoespressi, con un cut-off <-1 o >1 in termini di fold change e di FDR value <0,05.
Da questa analisi sono risultati 127 geni differentemente regolati dopo le 24 ore e 25 geni differentemente regolate dopo le 48 ore. 41 di questi geni relazionati alla difesa o alle risposte di tipo Red-ox mostrano una iperespressione nell’arco di 24 ore per poi essere drasticamente ipoespressi alle 48 ore, come è possibile vedere in Figura 1.10.
29
1.6 Scopo del lavoro e disegno sperimentale
L’ipotesi di partenza alla base di questo lavoro è che geni di Lotus japonicus risultati upregolati nella prime 24 ore dopo un trattamento con essudati provenienti dal fungo simbionte Gigaspora margarita possano essere coinvolti nelle fasi presimbiotiche dell’interazione. Essi potrebbero agire come marker precoci, a valle dei classici recettori chitin-binding e con motivi LYS-M (REF), ma tali da scatenare risposte trascrittomiche precoci. All’interno del loro profilo di
trascrizione (Lotus genome expression atlas Noble foundation
http://ljgea.noble.org/v2/), non appare infatti nessuna regolazione differenziale nel confronto tra radici di L.japonicus controllo e radici micorrizate
In questo contesto, i geni candidati scelti a partire dal microarray dovevano rispondere a due requisiti: essere regolati differentemente nel microarray ed avere mutanti KO disponibili, presenti sulla piattaforma di mutanti trasposonici LORE1 (http://users-mb.au.dk/pmgrp/; vedi materiali e metodi). Incrociando i due fattori, la scelta è risultata ridotta a tre candidati:
-CATionic PERoxidase precursor (abbr. LjCAT PER)
-Multidrug And Toxic compound Extrusion 1 (abbr. LjMATE1) -Quinone OXidase (abbr LjQOX)
I prodotti dei geni sopra citati sono chi più chi meno implicati nella risposta a patogeni. Nell’ottica di delinearne le caratteristiche, va detto che per il primo, LjCAT PER, studi su Arabidopsis ne hanno accertato in primo luogo il contributo nei passaggi finali della polimerizzazione della lignina (Shigeto et al., 2013); ma soprattutto, (studi su D. carota) sembra essere un enzima chiave nel processo di ossidazione dei composti organici mediante perossido di idrogeno (Wally et al., 2010). Questa capacità ne fa un eccellente strumento di resistenza nella lotta a patogeni di natura necrotrofa (Wally et al., 2010).
Per quanto riguarda LjMATE1, esso appartiene ad una classe di geni implicata nella resistenza principalmente a stress abiotici, tanto che in riso, una sua iperespressione determina la resistenza a concentrazioni tossiche di alluminio (Maron et al., 2010) Tuttavia il suo ruolo spazia dalla segnalazione successiva all’attacco patogeno
30
mediante salicilato (Nawrath et al., 2002), al trasporto di citrato nelle zone della radice nodulate Lotus japonicus (Takanashi et al., 2013).
Infine riguardo al terzo gene, è noto come le chinone ossido-reduttasi siano coinvolte nello scavenging nei confronti dei perossidi derivati dall’ossidazione dei lipidi (Mano et al., 2002). È stato reso noto come mutanti KO per talune q-ossido-reduttasi in Arabidopsis determinino la minore resistenza a funghi patogeni come S. sclerotiorum (Heyno et al., 2013), e un aumento dei trascritti regolati dalla via del salicilato a scapito di quelli regolati dal giasmonato (Heyno et al., 2013).
Lo scopo del mio lavoro è quindi quello di caratterizzare funzionalmente i tre geni, in modo tale da validare il loro profilo di espressione in relazione a:
micorrizazione: sarà valutato l’effetto dei geni selezionati sul fenotipo micorrizico
processo biologico: sarà confrontato il loro ruolo nel signaling dell’interazione simbiotica con quello dell’interazione patogena.
tessuto-specificità: sarà analizzata eventuale selettività dell’ espressione nei vari tessuti della radice.
Il primo punto consisterà nel verificare il fenotipo micorrizico nei mutanti, mentre il secondo richiederà la quantificazione dell’espressione genica attraverso un saggio q-PCR (Real time) predisponendo un set-up che preveda la comparazione di diversi trattamenti, in primo luogo testando l’attività di molecole come CO5 e CO8, ma soprattutto comparando la nota attività della GSE di Gigaspora con quella di un fungo patogeno. A questo scopo è stato scelto Colletotrichum trifolii, utilizzato in diverse occasioni quale efficace confronto con i funghi AM (Genre et al., 2009; Genre et al., 2013).
Considerando i dati presenti in letteratura a proposito del CS, predisponiamo un trattamento con CO5 e CO8 che non superi i 60 min (Genre et al., 2013), mentre per il trattamento con GSE di patogeno ripercorriamo i time point di 24 e 48h in modo tale da avere una comparazione più efficace con i dati dell’array.
Riguardo l’ultimo dei tre obiettivi, tale caratterizzazione sarà approfondita mediante l’utilizzo di un saggio GUS sul promotore di ciascun gene, al fine di
31
individuare eventuale espressione sito-specifica o tessuto specifica dei geni di interesse.
Inoltre, considerato il giustificato interesse della comunità scientifica riguardo il ruolo delle gibberelline nei processi micorrizzici (Floss et al., 2013), una strada che si è voluto percorrere parallelamente allo studio dei tre geni upregolati nell’array, ha riguardato la selezione di un elemento gibberellin-responsive che fungesse da marker dell’azione delle gibberelline. L’obiettivo sarebbe quindi caratterizzare un’ eventuale azione delle GA in risposta ai trattamenti effettuati (CO5, CO8, GSE di patogeno), collezionando così altri indizi su cosa accade, questa volta a livello ormonale durante Il signaling molecolare delle prime fasi della simbiosi AM. A questo scopo è stato preso a riferimento il lavoro di Gubler e collaboratori (1992), che identifica come marker efficace una α-amilasi di Oryza sativa. Quello che è stato fatto dunque è stato rintracciare tale gene nel genoma di Lotus japonicus, e da qui approntare, come per gli altri geni esaminati, un esperimento di q-RT PCR, e di colorazione GUS sull’intero apparato radicale. In questo modo auspichiamo che sarà possibile avere una panoramica ancora più approfondita riguardo la relazione tra l’azione delle GA e i processi di difesa scatenati dalla GSE di patogeno oppure dal CS dovuto al trattamento con CO5 e CO8.
32
2. Materiali e Metodi
2.1 Materiale vegetale e fungino
Semi di Lotus japonicus (Regel) K.Larsen, (WT Mg20) sono stati scarificati mediante soluzione concentrata di acido solforico per 1 min, dopo tre risciacqui in acqua sterile, la sospensione è stata trattata con soluzione sterilizzante di candeggina commerciale diluita 1:3, additivata con Triton X in rapporto 1:1000, per un tempo di 1 min.
I semi così trattati sono stati posti in incubazione overnight in acqua sterile a 4°C e il giorno seguente posti su terreno di agar-acqua 0,6%. In piastre Petri. La crescita è avvenuta in celle climatiche a 20°C, 60% di umidità e 14 ore di luce al giorno. I mutanti KnockOut per i tre geni sono stati ottenuti mediante la piattaforma LORE1 (CARB-Aarhus University) (Urbanski et al., 2011, Fukai et al., 2011), e, ottenuti nello stadio di plantule, sono stati cresciuti su sabbia sterile inoculata con Funnelliformis mosseae (Myc AgroLab 21110 Bretenière, France) in cella climatica alle medesime condizioni cui sopra, ed alimentata mediante soluzione Long Ashton a basso contenuto di fosforo (Hewitt 1966).
GSE di Colletotrichum trifolii 2 strain MUT 3930 (Richard O'Connell, BIOGER-CPP, 78850 Thiverval-Grignon, France), è stata prodotta facendo crescere il fungo a 23°C in assenza di luce per un periodo di 7 giorni in piastre Petri su mezzo Mathur’s modificato (0.1% estratto di lievito; 0.1% BactoPeptone; 1% saccarosio; 0.25% MgSO4 7H2O; 0.27% KH2PO4; 2% agar in 1 litro di acqua sterile distillata). Le spore sono state prodotte come indicato da Torregrossa et al.,. 2004. Mediante l’utilizzo della camera di Bürker, è stata ottenuta una sospensione di spore alla concentrazione di spore per 100 ml. Dopo incubazione in acqua sterile a 23°C per 24h, la sospensione è stata centrifugata a 5000 g per 15 min, mentre la GSE è stata raccolta e liofilizzata, e successivamente risospesa in 1 ml di acqua distillata sterile.
In merito ai chitooligomeri a catena corta, essi sono stati acquistati da Yaizu Suisankagaku Industry Corporation (Tokio, Japan). I CO8 sono stati gentilmente forniti da Dr. Naoto Shibuya della Meiji University, Kawasaki, Japan ad Andrea Genre. La preparazione delle soluzioni atte al trattamento degli apparati radicali wt
33
è stata effettuata analogamente a Genre et al., (2013), nei modi e nei tempi specificati in seguito.
2.2 Esperimento di valutazione del fenotipo micorrizico
La valutazione del fenotipo micorrizico è stata preceduta dall’accertamento dell’omozigosi delle mutazioni,
conseguito mediante PCR di
controllo della presenza dell’inserto trasposonico, agente della mutazione KO nella tecnologia LORE1, e collaterale assenza del gene WT intero, il programma utilizzato è riportato in tabella 1, i primer in tabella 2
I mutanti omozigoti così selezionati, sono stati fatti crescere come
descritto nel paragrafo precedente per un periodo di 60 giorni dalla germinazione. Le radici ottenute in questo modo sono state separate dal resto della pianta, risciacquate in acqua distillata e poste overnight in blu di cotone/acido lattico 0,1%, in seguito lavate ripetutamente con acido L-(+)-lattico 80% (Sigma Aldrich, St. Louis MO, USA) fino a completa espulsione del colorante in eccesso, il fenotipo micorrizico è stato infine valutato con metodo Trouvelot et al (1986).
)
Step Temperatura Durata Ripetizioni
1 95°C 3’ 2 95°C 30’’ 5x 3 72°C 1’15’’ 4 95°C 30’’ 10x 5 72°C68°C (-0,5°C a ciclo) 30’’ 6 72°C 45’’ 7 95°C 30’’ 20x 8 68°C 30’’ 9 72°C 45’’ 10 72°C 10’
Tabella 1 Programma di amplificazione LORE1
secondo le indicazioni del produttore
Gene code Den. Primer fwd wt Primer rev wt Primer rev trasposone
chr1.CM14 09.130.r2.d LjMATE1 CACCATTATTGC ATTCTTGGCAGT TTTG TGCTGCAGCCAT GAAACCAAGTG A CCATGGCGGTTCCG TGAATCTTAGG LjT09M09. 30.r2.a LjCAT PER GGCCCACACTTT CAAGCCCAACAA TTTGCAGGGATG TGATGCATCGGT CCATGGCGGTTCCG TGAATCTTAGG chr2.CM00 81.500.r2.d LjQOX TTCCAACTCCTC CAGCACCACCCA GGTGCTCATCAA GGTTGTGGCTGC CCATGGCGGTTCCG TGAATCTTAGG
Tabella 2 Primer LORE1 utilizzati per la genotipizzazione, l'annealing di tutte le sequenze è
34
2.3 Esperimento di quantificazione dei trascritti
2.3.1 Estrazione dell’RNA
L’intero apparato radicale, nel peso di 100 mg circa è stato separato dal resto della pianta e immediatamente congelato in azoto liquido in provette da 2 ml. Mediante l’utilizzo di biglie di acciaio, il tessuto è stato quindi polverizzato tramite Tissue Liser Retsch® per 2 min. L’RNA è stato quindi estratto utilizzando il protocollo “Twinings”, in primo luogo omogeneizzando il tessuto in polvere con 500µl per campione del buffer di estrazione riportato in Tabella 3.
Successivamente è stato purificato, precipitato e risospeso come segue:
1. Agitazione con vortex e aggiunta di pari volume di soluzione di Cloroformio-Alcool Isoamilico (24:1)
2. Agitazione con vortex e centrifugazione per 25 min a 14000 rpm a 4°C.
3. Trasferimento del surnatante in nuove provette da 2 ml e ripetizione dei passaggi 1 e 2.
4. Trasferimento del surnatante in nuove provette da 2 ml e aggiunta di 250µl di Fenolo acido e 250µl di Cloroformio-Isoamylalcool (24:1)
5. Ripetizione del passaggio 2
6. Trasferimento del surnatante in nuove provette da 1,5 ml e aggiunta di 100 µl di soluzione di LiCl 8M
7. Incubazione a -20°C overnight
8. Centrifugazione per 30 min a 14000 rpm a 4°C
9. Risospensione del pellet con 300µl di acqua distillata sterile e filtrata. 10. Incubazione a 65°C per 10 min
11. Aggiunta di 100µl i LiCl 8M
12. Agitazione con vortex e incubazione a -20°C overnight Buffer di Estrazione Concentrazione Tris HCl pH 9.0 80 mM
SDS 5%
LiCl 150mM
EDTA 50 mM
Tabella 3 Buffer di estrazione utilizzato nel protocollo
35
13. Ripetizione del passaggio 8
14. Lavaggio dei pellet con 400 µl di etanolo 70% diluito in acqua distillata sterile 15. Centrifugazione a 4°C a 14000 rpm per 5 min
16. Incubazione e asciugatura sotto cappa chimica per 5 min in ghiaccio 17. Risospensione in 30µl di acqua distillata sterile filtrata
18. Incubazione a 65°C per 10 min.
La qualità dell’RNA estratto è stata misurata mediante spettrofotometro assicurandosi che i rapporti tra le assorbanze A260/A280 ~ 2 e A260/A230 ≥ 2. La concentrazione media dei campioni è stata misurata a 90ng/µl. Il DNA genomico presente è stato trattato con DNAsi Turbo DNA-free™ (Ambion, Austin, TX, USA), seguendo le istruzioni del produttore. Per rivelare la presenza di DNA residuo eventualmente presente è stata effettuata una PCR di controllo con primers introne-specifici per la β-5 Tubulina (TM0371b.4/TC18284).
36
2.3.2 Produzione del c-DNA e Real Time RT-PCR
L’RNA così ottenuto è stato quindi processato mediante SuperScriptII® a partire da 1 µg di RNA, seguendo le indicazioni del produttore. La sintesi è stata condotta
mediante l’utilizzo di random primers.
La RT-PCR è stata effettuata servendosi di iCycler (Bio-Rad Laboratories, Hercules, CA, USA). Ogni rezione di PCR è stata svolta in un volume totale di 15 µl con SYBRmix (Bio-Rad Laboratories, Hercules, CA, USA) con il seguente programma: 95°C per 90 s, 40 cicli di 95°C per 15 s, 60–68°C per 30 s. In secondo luogo è stata prodotta anche una curva di melting (70 passaggi con un incremento di 0,5°C per 10 s a continua misurazione della fluorescenza), al termine di ogni corsa al fine di escludere prodotti aspecifici eventualmente generati (Ririe et al., 1997). Tutte le reazioni sono state ripetute almeno in tre repliche biologiche e almeno due repliche tecniche; i valori CT sono stati automaticamente calcolati dal software iCycler. Al fine di comparare differenti corse PCR e diversi campioni, i valori CT di ogni campione sono stati normalizzati con quelli relativi a UBQ10 (chr1.TM0487.4) (Guether et al.,. 2009).
Real time primers
Den. Primer Fwd Primer Rev Dim.
prodotto
LjMATE1 GTGACAGTGCTTACATCG TAACAAAGGTGACAAATCC 135 bp
LjCAT PER
CTGGAATTGTTTCTTGTG GTCTCTTCTGCCTAATCC 102 bp
Lj QOX TACAACTGATGGAGATGG CACTTTACTGTGTATTTCAGG 141 bp
LjAMY AATTAAGCCTACAAGCAC CACTTTCTTTCCCACAC 142 bp