UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MESSINA
DOTTORATO DI RICERCA IN STORIA E FILOLOGIA
CURRICULUM FILOLOGIA ANTICA E MODERNA XXIX CICLO
PER UNA NUOVA EDIZIONE CRITICA
DELL’EPITOME DI ATENEO
Tesi di Dottorato di
Annalisa LAVORO
Coordinatore:
Chiar.mo Prof. Vincenzo FERA
Tutor:
Chiar.ma Prof.ssa Maria CANNATÀ FERA
I
INDICE
Introduzione ... p. III
1. La tradizione manoscritta dell’Epitome ... p. 1
1.1 I codici ... p. 1
1.2 Il codice H ... p. 9
1.3 Il codice D ... p. 16
1.4 Il codice B e il ruolo di Damilas ... p. 24
2. Ipotesi sulla derivazione dei codici dell’Epitome dal Vaticanus deperditus
(x) ... p. 31
2.1 Il Laur. LX.2 (E) e l’edizione di Musuro ... p. 31
2.2 Varianti attestate nell’Epitome ... p. 36
2.3 La particolarità del codice C ... p. 39
3. Rapporti tra l’Epitome e il codice Marciano ... p. 45
3.1 Status quaestionis e considerazioni critiche ... p. 45
3.2 Ulteriori argomenti a favore della dipendenza ... p. 59
4. Caratteristiche dell’Epitome ... p. 67
4.1 Osservazioni preliminari ... p. 67
4.2 L’epitomatore e la struttura dei Deipnosofisti ... p. 76
4.3 Le citazioni ... p. 79
4.4 Aspetti linguistici e contenutistici ... p. 89
II
4.5 Elementi di originalità e cultura dell’epitomatore ... p. 101
4.6 Errori dell’epitomatore o dei copisti? ... p. 106
5. Prolegomeni per una nuova edizione ... p. 109
5.1 L’edizione di Peppink ... p. 109
5.2 Criteri editoriali ... p. 114
Conspectus siglorum ... p. 116
6. Apparato (ll. I-IX, XI-XV) ... p. 117
7. Athenaei Dipnosophistarum Epitome. Liber X ... p. 231
III
INTRODUZIONE
La nostra conoscenza dei Deipnosofisti di Ateneo di Naucrati, pervenutici
mutili della parte iniziale e con altre lacune minori, è parzialmente dovuta alla
fortunata conservazione di un’Epitome realizzata in ambiente bizantino a cavallo
tra l’XI e il XII secolo, quando era ancora possibile leggere per intero l’opera
originale. Il terminus ante quem è dato dall’arcivescovo Eustazio di Tessalonica,
che attinse al testo epitomato per commentare numerosi passi omerici dall’Iliade e
dall’Odissea. Sebbene non si possa ritenere un’opera autonoma dotata di un suo
peculiare valore letterario, essa tuttavia presenta delle caratteristiche che ne fanno
qualcos’altro rispetto al testo da cui è derivata. Prima di Simon P. Peppink, sul
finire degli anni ’30 del Novecento ne curò l’edizione in parte pubblicata
postuma, era stata presa in considerazione dagli studiosi unicamente come
‘costola’ che promanava dall’opera principale, da esaminare in funzione di quella.
Infatti, se ancora oggi l’unica edizione dell’Epitome è quella di Peppink, diverse
sono state nel corso dei secoli le edizioni dei Deipnosofisti nelle quali il testo
epitomato è stato adoperato ad integrazione di quello mancante nella tradizione di
Ateneo, in particolare l’inizio (libri I-III 73f) e due porzioni dell’XI libro, perduti
dopo la redazione dell’Epitome.
I mss. superstiti del testo plenior dipendono tutti da un archetipo del IX-X sec.
(Venetus Marcianus Graecus 447, siglato A) da cui è derivata una serie di
apografi tardi risalenti ai secoli XV-XVII. Se, dunque, non fosse esistita
l’Epitome avremmo avuto una conoscenza più ridotta dell’opera di Ateneo. Le
due tradizioni del testo sono legate a doppio filo tra di loro: chi si occupa di
Ateneo non può fare a meno di interessarsi anche all’Epitome e viceversa. I
IV
manoscritti di quest’ultima, sin dalla princeps di Musuro del 1514, hanno fornito
il loro contributo per integrare le lacune di cui si è detto, ma anche per la
constitutio textus della versione plenior; per questa ragione diversi studiosi sono
convinti che la fonte del testo epitomato sia indipendente dal Marciano, poiché
difficilmente l’epitomatore sarebbe stato capace di intervenire con buone
congetture. Se questa ipotesi fosse fondata, il valore delle varianti presenti
nell’Epitome sarebbe di gran lunga maggiore e andrebbe rivalutato.
Sebbene la mia indagine non abbia la pretesa di avere raggiunto una soluzione
definitiva, alcuni risultati potranno forse essere di qualche utilità ai fini della
presente discussione. Punto di partenza imprescindibile è un riesame della
tradizione manoscritta, essenzialmente reso necessario dal fatto che Peppink ha
pubblicato un’edizione dell’Epitome meritoria per alcuni aspetti ma non del tutto
affidabile, come vedremo, sotto diversi profili: essa anzitutto tralascia i primi due
libri, l’inizio del III
1e quelle parti del libro XI libro che erano state stampate da
Kaibel, l’editore teubneriano di Ateneo, a partire dall’Epitome; presenta inoltre
numerosi errori di trascrizione e scelte testuali opinabili. Per i primi due libri, a
parte Kaibel, le edizioni moderne di riferimento di Ateneo sono quella di
Desrousseaux, curata nel 1956 sulla base della collazione di tre manoscritti
dell’Epitome, e quella di Olson, il quale ha pubblicato tutto Ateneo negli ultimi
anni sulla base del testo di Kaibel integrato con la collazione personale dei
manoscritti
2. Non esiste, dunque, una vera e propria edizione dell’Epitome per i
primi due libri, poiché l’intento degli editori di Ateneo è stato quello di ricostruire
il testo originale e non pubblicare quello epitomato.
1 L’edizione di Peppink 1937, 3 inizia con le parole Θεόφραστος δὲ τρία γένη φησί.
2 Nel 2010 è stata pubblicata postuma la traduzione del I libro dei Deipnosofisti curata da Enzo Degani sulla base del testo critico di Kaibel.
V
Il mio lavoro di escussione della tradizione manoscritta
3ha riguardato per
intero i codici C (Parisinus Supplementum Graecum 841) ed E (Laurentianus
plut. LX.2), gli unici testimoni che contengono l’Epitome integralmente. Per i
libri I-III 74 la collazione integrale si è estesa anche a B (Laurentianus plut. LX.1)
e D (Parisinus gr. 3056), codici compositi che contengono la versione epitomata
solo all’inizio, mentre per il resto, essendo apografi del Marciano 447 (A),
riportano la versione integrale. Per completare il quadro relativo alla parte iniziale
di cui l’Epitome è l’unico testimone della tradizione, ho effettuato dei controlli
anche sul testo della princeps dei Deipnosofisti pubblicata a Venezia da Marco
Musuro nel 1514, poiché essa integra la lacuna iniziale della tradizione di Ateneo
con l’Epitome. Da questo confronto sono emersi dati che verranno illustrati nel
corso della trattazione e che evidenziano sostanzialmente come il codice E e
l’Epitome a disposizione di Musuro siano strettamente collegati, mentre una
stretta parentela si individua anche tra i codici B e D. Un altro esemplare
contenente l’Epitome, ma mutilo sino a III 82b, è stato collazionato integralmente
per i libri III-VII e per la restante parte sono stati effettuati controlli mirati: si
tratta del codice sinora noto come Hoeschelianus (da qui in poi H), trascurato
dagli studiosi, ma per il quale si auspicava da più parti un’ispezione che ne
determinasse la posizione stemmatica. Dalla collazione risulta che il codice è un
descriptus di E e, come tale, di nessun valore ai fini della constitutio textus.
Parallelamente a quest’indagine sulla tradizione dell’Epitome è stata effettuata
anche un’ispezione di parte della tradizione di Ateneo, volta a chiarire i rapporti
3 La collazione è stata effettuata mediante riproduzioni digitali e/o controlli on line per i codici disponibili. Attualmente sono consultabili on line i codici B ed E sul sito della Biblioteca Laurenziana, il codice D sul sito della Bibliothèque Nationale de France (BNF), il codice H sul sito della British Library.
VI
tra i testimoni. Anzitutto alcune lezioni dell’Epitome sono state confrontate con
quelle del Marciano; è stato altresì condotto un esame dei marginali di mano
diversa che si reperiscono nel codice D (per la parte in cui è un apografo del
Marciano): il confronto con i codici C e B ha permesso di individuare in Demetrio
Damilas l’autore delle correzioni apportate, sulla base del testo dell’Epitome, al
Par. gr. 3056. Il dato sopra enucleato lascia presumere che si sia verificato, in età
umanistica, un fenomeno di contaminazione (che possiamo documentare appunto
nel caso di Damilas) tra le due tradizioni, quella di Ateneo e quella dell’Epitome,
quest’ultima adoperata per correggere e integrare il testo amplior. Ma vi è motivo
di credere che si sia verificata una contaminazione anche in senso inverso. Si
potrebbe così spiegare, sia a seguito di contaminazione sia per interventi di
correzione, la presenza di alcune varianti nell’Epitome, che gli studiosi tendono a
collocare indietro nel tempo sino a farle risalire ad un ipotetico manoscritto
parallelo al Marciano che sarebbe stata la fonte della versione epitomata e di cui
oggi non si conserva alcuna traccia. La parentela tra B e D è stata inoltre
confermata da controlli mirati (ll. III-IX), dai quali emerge che B non poté
derivare da A come si è ritenuto fino ad ora.
La collazione condotta sui testimoni del testo epitomato di cui si presentano i
risultati in questo lavoro ha consentito, oltre che di ridefinirne i rapporti e
confermare l’ipotesi di una comune derivazione da un archetipo identificato dagli
studiosi con un codice vaticano perduto (x), anche di integrare, correggere e
precisare gli apparati critici delle edizioni di Peppink (ll. III-XV), Desrousseaux
(ll. I-II) e Kaibel (ll. III 72a-73e, XI 781c-784a e 466d). Quella di Desrousseaux,
in particolare, presenta un apparato molto dettagliato: per tale ragione si è scelto
VII
di riferire i dati di collazione a questa edizione piuttosto che a quella più recente di
Olson il cui apparato è più ridotto. Si offre inoltre uno specimen di edizione del X
libro.
Desidero ringraziare sentitamente la mia tutor, professoressa Maria Cannatà
Fera, che con la professionalità e il rigore che la contraddistinguono ha seguito il
mio lavoro in questi anni di Dottorato non facendomi mancare utili suggerimenti
che hanno arricchito il mio percorso di studi. Un ringraziamento va anche ai
valutatori della mia tesi, professori Franco Giorgianni e Fabio Vendruscolo, per
le loro osservazioni.
1
1. LA TRADIZIONE MANOSCRITTA DELL’EPITOME
1.1.
I
CODICIIl testo dell’Epitome ci è tramandato da codici di età umanistica. Alcuni lo
trasmettono integralmente, altri solo per i primi due libri e l’inizio del III, mentre
poi proseguono riproducendo la versione amplior: in questi ultimi il ricorso
all’Epitome è stato determinato proprio dalla necessità di integrare la parte
mancante nella tradizione plenior. Dal momento che le due tradizioni, quella
plenior e quella epitomata, sono intrinsecamente connesse fra loro, in questa sede
si fornirà anche qualche breve informazione sui codici dell’Ateneo integrale.
Il principale testimone dell’opera è il Venetus Marcianus gr. 447 (A), un
manoscrittto in minuscola antica e di grande formato (400 × 270 mm) in cui la
scrittura è distribuita su due colonne di 43 righe ciascuna
1. Venne portato in Italia
da Giovanni Aurispa nel 1423 già mutilo della prima parte
2e fu acquistato dal
cardinale Bessarione, come si evince dall’ex libris al f. IIv. Allo stato attuale
consta di 372 fogli; il testo è preservato a partire da III 74a (στελεωραφανίδας
κτλ.). Poco leggibili a causa dell’umidità e dei danni del tempo risultano i fogli
finali; nel corpo del codice, inoltre, vi sono altre due lacune materiali nell’XI
libro
3. Nei margini e nell’intercolumnio è presente un corposo apparato di lemmi
4,
1 Sul codice Marciano cfr. Mioni 1985, 221-222; Arnott 2000, 42-45.
2 Cfr. la lettera di G. Aurispa ad Ambrogio Traversari datata al 27 agosto 1424: «Naucratici cuiusdam atheniensis volumen quoddam maximum nec adhuc finitum de coenis», in Sabbadini 1931, 12-13.
3 La prima dopo il f. 214 (XI 781a-d) e la seconda dopo il f. 239 (XI 502b). Gli editori moderni hanno colmato queste lacune con l’Epitome.
2
di notevole importanza per la storia della trasmissione dell’opera di Ateneo e per
la stessa constitutio textus, in quanto talora essi preservano lezioni poziori rispetto
al testo. Il manoscritto conserva residui di una divisione dell’opera in trenta libri,
che coesiste a fianco di quella in quindici verosimilmente voluta dall’autore
5. Il
copista è stato identificato da Wilson in Giovanni il Calligrafo, i cui manoscritti
datati oscillano fra l’895 e il 917
6. Dal codice Marciano derivano, direttamente o
indirettamente, tutti gli altri manoscritti che tramandano la versione integrale del
testo
7: essi presentano le medesime lacune di A (dovute alla caduta di fascicoli o
fogli), a cui poi aggiungono errori propri ed omissioni. Due di questi vanno presi
qui in considerazione, in quanto colmano la lacuna dei libri iniziali attingendo al
testo dell’Epitome:
- B (Laurentianus plut. LX.1). Si tratta di un codice di lusso, come rivelano non
solo il formato (225 × 335 mm) ma anche la pergamena finissima, l’eleganza delle
iniziali rubricate e ornate e l’accuratezza della scrittura, che presenta poche
correzioni, tutti elementi che portano a supporre una committenza di alto livello,
forse da parte della famiglia Medici
8. Si compone di 342 fogli; la scrittura è
allocata su 36 righe per pagina. Contiene il testo dell’Epitome sino a III 74d, poi
riproduce il testo plenior. L’integrazione nasce con tutta probabilità dall’esigenza
di copiare un testo il più completo e corretto possibile, forse per soddisfare una
5 Secondo Kaibel 1887-90, vol. I, XXII e XXXIX (ma già prima di lui Schweighäuser) e altri (cfr. Peppink 1936, XIV sg.), l’opera di Ateneo aveva subito un processo di epitomazione da parte di un editore della prima età bizantina (VI-VII secolo), che sarebbe autore anche del prologo premesso all’opera. Di recente gli studiosi si sono pronunciati a favore dell’ipotesi di una divisione in trenta posteriore ad Ateneo, nata dall’esigenza di ripartire l’opera contenuta in trenta rotoli di papiro (vd. Letrouit 1991, 37 sgg.; Rodriguez 2000). Ne deriva che il testo che noi leggiamo nel Marciano, se si eccettuano le lacune materiali, contiene la versione originale dell’opera senza riduzioni.
6 Wilson 1962.
7 A notarlo fu per primo Schweighäuser 1801-5, vol. I, CI; cfr. anche Cobet 1845 in Hemmerdinger 1989, 107 e Dindorf 1870, 88 sgg. che chiuse definitivamente le questione. 8 Così ipotizza ad es. Di Lello Finuoli 2000, 143.
3
precisa richiesta del committente. Il copista è stato identificato da Canart
9in
Demetrio Damilas, il cosiddetto librarius Florentinus
10, che sembrerebbe averlo
copiato in una data posteriore all’agosto 1491, quando si era già trasferito da
Firenze a Roma
11.
- D (Parisinus gr. 3056). Il codice consta di 224 fogli. Appartenne ad Ermolao
Barbaro II il Giovane, che ne copiò personalmente, come si desume dalla sua nota
autografa
12, la parte più ampia nel 1482 (ff. 1r-2v (indice), 44r-223r): essa
contiene il testo di Ateneo da III 74a sino a tutto il libro IX (411a); in origine
dovette esistere un secondo tomo
13, oggi perduto, con i libri rimanenti. La parte
iniziale, contenente il testo dell’Epitome fino a III 73f, fu copiata dal segretario di
Ermolao, Tommaso Zanetelli
14. Si tratta di un manufatto destinato ad un uso
erudito: la scrittura è, in entrambe le parti, una corsiva senza nessuna pretesa
estetica. Nella porzione di testo copiata da Ermolao sono presenti numerose
9 Canart 1977-79, 290.
10 Per tale definizione, cfr. Harlfinger 1971, 203, 222-226, 228, 232-2, 417; cfr. anche Canart 1977-79, 285.
11 Cfr. Speranzi 2010, 230 nota 39, che cita la lettera di Lorenzo dei Medici a P. Alamanni (3 agosto 1491) parzialmente trascritta da Gentile 1994, 91 (Archivio di Stato di Firenze, Medici Tornaquinci, 3, 135). In questa lettera, il Medici comunica di aver saputo che presso la Biblioteca Vaticana si trovano dei testi di Ateneo e Stobeo, e chiede all’Alamanni di adoperarsi presso il bibliotecario, Giovanni Lorenzi, in modo che se ne possano trarre delle copie.
12 f. 223r : ἐγράφη ταῦτα καὶ τὰ λοιπὰ ὧν ἡ ἀρχὴ «Ἀλλ'ὤσπερ δείπνου», παρ' ἐμοῦ τοῦ Ἑρμολάου τοῦ Βαρβάρου τοῦ Ἐνετοῦ ἐν ἡμέραις λζ', Ἠρξάμεθα δὲ ἀπὸ τετάρτης τοῦ ὀκτωβρίου μηνὸς 1482 ἐν ταῖς Ἐνετίαις, καὶ ἐτελέσαμεν τῇ ἐννάτου (sic pro -ῃ) τοῦ ἑπομένου μηνὸς τουτέστιν τοῦ νοεμβρίου. ὁ Θεὸς εὖ οἶδα ὅτι μόνος ἐβοηθήσατο ἡμῖν εἰς τοῦτο τὸ ἔργον. Nel margine superiore del f. 1r si legge: Hic liber est Hermolai Barbari equitis et doctoris Zacharie equitis et procuratoris s. Marci filii: q(ui) numquam vendatur, sed penes familiam sit cum ob auctoris excellentiam, tum q(uia) manu Hermolai scriptum est diebus 20, et aliis diebus 17 liber alter Athenaei.
13 Cfr. f. 223r., immediatamente sopra la sottoscrizione: ζήτει τὸ λοιπὸν τῆσδε τῆς βίβλου, ὅπερ ἄρχεται ἀπὸ τούτου τοῦ μέρος οὗ ἡ ἀρχὴ «Ἀλλ’ὡσπερ δείπνου γλαφυροῦ ποικίλην εὐωχίαν» καὶ τὰ λοιπά. Ἰησοῦς Χριστός.
14 La nota di mano dello stesso patrizio veneziano al f. 1r recante la data 1489 ha indotto Zorzi 2003, 83-4, a ritenere che la copiatura da parte dello Zanetelli fosse avvenuta in quell’anno. Ringrazio Fabio Vendruscolo per avermi comunicato alcuni risultati di una sua indagine oggetto di una prossima pubblicazione, in base ai quali la data del 1489 andrebbe riferita in realtà alla lettura che il Barbaro fece del testo plenior e non alla copiatura da parte dello Zanetelli che verosimilmente copiò a Roma, a parere di Vendruscolo, successivamente al maggio 1490 i libri I-III 73f.
4
annotazioni marginali, in parte dello stesso copista, in parte, come vedremo,
dovute ad una mano diversa, che in più punti interviene anche a correggere e
integrare il testo.
Quattro sono invece i manoscritti che tramandano esclusivamente il testo
dell’Epitome:
- C (Parisinus Suppl. gr. 841): codice pergamenaceo in minuscola di 203 fogli, un
tempo detto Sedanensis, custodito a Parigi presso la Bibliothèque Nationale de
France. La scrittura è disposta su un’unica colonna di 34 righe con ampi margini
laterali, nei quali vengono talvolta riportati con inchiostro rosso i nomi degli
autori citati nel testo o gli argomenti via via trattati
15. Il codice venne adoperato
dagli editori di Ateneo a partire da Schweighäuser; presenta varianti interlineari di
mano dello stesso copista, identificato da Paul Canart
16ancora in Demetrio
Damilas, copista del Laurenziano LX.1. Si è generalmente portati a ritenere che C
derivi, come tutti gli altri mss. superstiti dell’Epitome, da un Vaticanus deperditus
(x), che stando agli inventari della Vaticana del 1475 conteneva «Aristotelis
Phiseomonia de rebus inauditis [i.e. Physiognomonica e De mirabilibus
auscultationibus], et Heliani historie varie libri XIIII. De Republica ex libris
Heraclidis non nulla. Plutarchi vite decem oratorum; et convivia Athenei in eodem
volumine»
17. Sappiamo che Damilas prese in prestito questo codice nel
1502-1503, come risulta dalla ricevuta della Biblioteca Vaticana, sulla quale è annotata
15 Nei primi due libri si riscontrano alcuni marginali contenenti porzioni di testo di cui il codice, come vedremo, è l’unico testimone. Vd. il § 2.3.
16 Canart 1977-79, 287-89.
17 Cfr. Canart 1977-79, 318. Potrebbe trattarsi dello stesso codice a cui fa riferimento Lorenzo de’ Medici nella citata lettera all’Alamanni in cui il Magnifico chiede copia di Ateneo e “Stombeo”. Il Vaticano infatti doveva contenere anche Stobeo, cfr. pag. 5 n. 22.
5
anche l’avvenuta restituzione
18. Si è pertanto ipotizzato che egli se ne sia servito
come modello di C, che andrebbe dunque datato a questo periodo
19. Diverse sono
le varianti sopralineari di mano dello stesso copista coincidenti con quelle che
Questenberg (il copista del Laurentianus LX.2, vd. sotto) registra sul suo
esemplare, ma rispetto a quest’ultimo, con il quale come vedremo condivide
molte affinità, in taluni casi Damilas riporta solo la variante che in Questenberg è
soprascritta.
- E (Laurentianus plut. LX.2): codice cartaceo di 401 fogli. Il testo dell’Epitome
occupa i fogli 7-399 e ciascuna pagina contiene una colonna di 25 righe. Vi sono
marginalia in greco (in inchiostro rosso quelli che riportano i nomi degli autori
citati), vergati per lo più dallo stesso copista
20; è presente anche qualche
marginale in latino
21. Il copista è stato identificato da Clara Aldick
22in J. Aurelius
Questenberg, che risulta aver preso in prestito il Vaticanus deperditus nel 1494 e
averlo restituito nel 1495
23; come per C, anche per E questa circostanza viene
considerata determinante ai fini della datazione
24. Per quanto attiene ai marginali
di mano dello stesso copista, talvolta si tratta di varianti introdotte o meno da
18 Cfr. Bertòla 1942, 60, 8-10: «A dì 3 de hotubre 1502. Io Demetrio de Mediolano confeso avere in presteto da la libraria del papa libro 1 in greco, nele quale sono più opere, videlicet Eliano et Atineo ex papiro in zalo, e per pegno ho lasato uno Salterio greco mio, fodrato de veluto roso, e prometo restituirlo per mese uno. - R(estituit) die XXX ianuarii 1503».
19 Così Canart 1977-79, 287-89.
20 Il codice presenta anche marginali di mano diversa attribuiti a Poliziano, cfr. Fryde 1996/II, 557. 21 E. g.: C. Callicola (f. 108r), Accupenser (f. 189r), Amystis (f. 272r).
22 Aldick 1928, 4.
23 Mercati1933, 437-61, in part.450; Canart 1977-79, 319. Dai registri di prestito della Vaticana, pubblicati dalla Bertòla 1942, 83, 20-24, si legge: «Ego Iacobus Aurelius, litterarum apostolicarum sollicitator, accepi commodo a domino Iohanne Fonsalida bibliothecario apostolico palatino librum graecum ex papyro copertum coreo albo in quo continentur quaedam fragmenta Eliani τῆς ποικίλου ἱστορίας et pleraque alia, videlicet ex Atheneo et Stobeo, quem librum promitto restituere ad omnem beneplacitum, die VIII iulii 1494 – Restituit die 17 aprilis».
6
γρ(άφεται)
25, ma più spesso ripropongono la lezione del testo scritta in altra
forma
26. Di questa seconda tipologia di annotazioni ho tentato di fornire una
possibile spiegazione in altra sede
27, ipotizzando che in quei casi il Questenberg,
forse non sicuro della lezione che aveva trascritto nel corpo della pagina, indicasse
a margine quello che leggeva sul suo modello, a garanzia – se vogliamo – di
quanto aveva scritto. Rispetto al codice C presenta più varianti sopralineari di
mano del copista. Si vedano più avanti altre considerazioni in merito alla sua
derivazione e datazione.
- H
28(Londinensis, British Library, Royal, Lond. gr. 16 D X) è un codice cartaceo
in minuscola di 256 fogli (305 × 205 mm, 28 righi per pagina), custodito alla
British Library e noto come Hoeschelianus dal nome di David Hoeschel, il
curatore della Biblioteca Augustana nel 1593, che ne fu il possessore. Il copista è
stato identificato in Michele Damaskinos, che lo avrebbe copiato intorno al primo
quarto del XVI secolo
29. Vi sono annotazioni marginali, in greco e in latino, per la
maggior parte non attribuibili a Michele Damaskinos. Il codice è mutilo in
principio come aveva già rilevato Casaubon
30, che se ne servì per la sua edizione
di Ateneo, ed inizia a III 82b con le parole εὔχυλα, θρεπτικώτερα δὲ τῶν μήλων
(f. 2r); nel margine superiore dello stesso foglio è presente un’annotazione
25 E. g. f. 113v, 291r. 26 E. g. f. 111v, f. 261v.
27 Sull’argomento rimando al mio articolo pubblicato sulla rivista on line del Dottorato di ricerca in Scienze storiche, archeologiche e filologiche dell’Università degli Studi di Messina, «Peloro» I, 1, 2016, 9 e n. 21.
28 La denominazione è mia.
29 Su identificazione e datazione si veda Harlfinger in Canart 1977-79, 290 n. 3; Gamillscheg - Harlfinger1981, nr. 279; Pattie – McKendrick 1999, 245.
30 Casaubon 1600, 1: «Est in manibus nostris beneficio doctissimi, optimi, integerrimique viri Davidis Hoeschelii id opus integrum, primo libro excepto et secundi parte: tantum enim fere ab Epitome Hoescheliana abest a fronte praecisum, quantum extat libris editis insertum». L’informazione fornita da Casaubon è inesatta perché la lacuna del codice comprende non il primo libro e parte del secondo, ma i primi due e parte del terzo.
7
recenziore che segna la corrispondenza con l’edizione basileense di Ateneo curata
nel 1535 da Bedrot ed Herlin
31. Dopo Casaubon nessuno si è interessato al codice
ed alle sue relazioni con gli altri manoscritti della tradizione; recentemente ha
preso corpo la necessità di indagare su tale aspetto, onde verificare la possibilità
che esso possa contribuire alla constitutio textus dell’Epitome
32. Mi soffermerò
più avanti su questo punto con maggiore ampiezza di informazioni.
- R (Würzburg, Universitätsbibl., M.p.gr.f. 1, Erbacensis 4). Questo testimone,
quasi dimenticato presso l’archivio erbacense, fu collazionato per la prima volta
da Clara Aldick che lo denominò Reuchlinianus. È un codice di pergamena di 244
fogli; il testo dell’Epitome occupa i fogli 1-237. Reuchlin ne commissionò la
copiatura a Questenberg per destinarlo al vescovo Dalberg, ma una volta avutolo
tra le mani lo trattenne con sé. La datazione dev’essere antecedente al 1503, anno
della morte del vescovo. L’esame condotto dalla Aldick ha evidenziato che si
tratta di un codice descriptus da E copiato fedelmente secondo il modus operandi
del Questenberg, che dunque in questo caso copiò un manoscritto vergato di sua
mano. Stando alla studiosa, R fu probabilmente utilizzato per l’edizione
Bedrot-Herlin
33.
Nell’intricato groviglio delle relazioni che caratterizza tutta la tradizione
manoscritta di Ateneo, rappresentata come abbiamo detto da A, dai suoi apografi
diretti o indiretti e dai codici dell’Epitome, un nodo da dipanare concerne le
31 «Athenaei locus, unde hic ἀκέφαλος codex orditur, extat libro tertio pag. 41, v. 46, edit. Basil.». Nelle pagine del manoscritto si rinvengono anche riferimenti numerici a pagine che corrispondono proprio all’edizione basileense.
32 Significative le parole di Arnott 1964, 269: «This manuscript may still repay investigation in view of the present uncertainty of its relation to the other manuscripts of the epitome»; Cfr. Canart 1977-79, 290 n. 3; Di Lello Finuoli 2000, 147.
8
relazioni di parentela tra i vari testimoni, argomento non ampiamente dibattuto da
quando Schweighäuser dimostrò che tutti i mss. contenenti la versione plenior
derivavano in qualche modo dal Marciano
34e tanto bastò. Per quanto riguarda i
mss. dell’Epitome, come si è già detto, l’opinione comune è che essi derivino tutti
indipendentemente, e in tempi diversi - ivi compresi i due codici compositi (BD)
per la parte in cui copiano la versione epitomata - dallo stesso modello, ossia il
citato Vaticanus deperditus. I codd. BCE sono stati collazionati per i primi due
libri da Desrousseaux, il quale li adoperò per la sua edizione di Ateneo
35e giunse
alla conclusione che essi, in quella parte, rappresentano dei testimoni indipendenti
tra di loro verosimilmente discesi dal Vaticano. Riguardo a D ed H, l’ipotesi è
sostanzialmente quella appena indicata
36, ma in assenza tuttavia di un esame
comparativo con gli altri esemplari. Occorre pertanto, in via preliminare, accertare
quale sia la posizione di D ed H nello stemma codicum. Infine, non va trascurata
l’analisi dei primi libri dell’edizione di Musuro curata sulla base del testo
epitomato
37, perché sarà un ulteriore tassello al mosaico che va componendosi.
34 Vd. supra nota 6. 35 Desrousseaux 1956.
36 Cfr. Canart 1977-79, 291, il quale ipotizza che forse Ermolao fece copiare la prima parte di D a Roma verso il 1490: «la source de D serait, encore une fois, le manuscrit disparu de la Vaticane». 37 Dopo Φρύνιχος δ’ ἐν τραγαῖς φησὶ σικύδιον ὑποκοριστικῶς (74a) nell’edizione si legge έχρι τοῦδε τὰ τῆς ἐπιτομῆς· ἐντεῦθεν αὐτὸς ὁ ἀθήναιος.
9
1.2
I
L CODICEH
La collazione da me effettuata sul codice H ha permesso di acclarare che in
esso confluiscono gli errori
38e tutte le lacune peculiari di E, a cui si aggiungono
ulteriori inesattezze, errori, banalizzazioni ed omissioni; al contrario, non ho
riscontrato l’esistenza di lacune comuni con C e con R
39assenti in E, né di errori
congiuntivi con C. Osserviamo i seguenti dati:
Lacune
40di EH vs. C:
V 189a
οὐ γὰρ τῆς οἰκίας – καὶ μεγάλα
V 193a
γελοῖοι – χρόνον
VI 274d
καὶ ἀφειδῶς – τῶν ἁλιευόντων
VII 280a
καὶ τὰ σοφὰ – ἡδονάς
V I 287a
ὡς τὸν κίθαριν – ἰχθύν
VII 306e
ἄριστοι – μυξῖνοι
VII 308e
καὶ μὴν ἐν ἄλλοις – πλῶτές τε
VIII 348d-e
ἀνθρώπους – πολλοὺς
IX 386c
41οὐδὲν ἐσθίει – ἔμψυχον
X 422f
καὶ παρ’ ἄλλοις – παραδειπνεῖν
X 447e
τοῦ θαλίαι – φύσιν
Χ 513f-514a μέρος – τοῦ ἐνιαυτοῦ
XII 517c
ἔστι – δεδικάσθαι
Χ 550f
τοῖς πολίταις – τὸ σῶμα
XIV 468e-469b λαγώοις – διαχρῶ
XIV 661b
οἷς – ἐπάγει αλαίφατος
38 Tranne rarissimi casi in cui H ha la lezione corretta vs. E: es. III 108b ἐγείρει Η, ἐσείρει Ε; VI 274c τριῶν πλείονας τῶν H, τριῶν πλείονας τὸν CE. Si tratta però, come si vede, di poche eccezioni, consistenti in errori banali facilmente emendabili ope ingenii da un copista.
39 Le lacune di R indicate dalla Aldick 1928, 9 non si registrano in H. Per quella del I libro non è possibile un riscontro su H, mutilo di quella parte.
40 Mancano dall’elenco le lacune di E nei libri I-II. Essendo H mutilo in principio, il confronto è impossibile.
10
Lacune di C
42vs. EH:
V 202c
πηχῶν τεσσαράκοντα καὶ ναὸς ἐπίχρυσος
VII 285b
καὶ ἀφρώδης – λεπτή
VII 299c
δ’ ἐν τῷ περὶ ζῴων
Χ 544d
καὶ τῆς Ἀρετῆς
Χ 563c
ἐμέ – πένης
Χ 584e
εἰς ποίαν – εἰπόντος
Esempi di errori e singole omissioni di H in comune con E vs. C:
III 87c
δυσεκκριτώτεροι C, δυσκεκριτώτεροι EH
III 107c
καρίδα C καρῖδα Peppink, καρδία EH
III 122f
κρήνη C, κρίνη EH
IV 145a
ἐκ παλαιοῦ C, ἐκαλ῀ EH
IV 158c
ἕψειν punctis additis C, εὑρεῖν EH
IV 161c
οἱ σοφοὶ C, οἱ φιλόσοφοι EH
IV 167f
Ἀρισταγόρας C, Ἀρτισταγόρας EH
IV 179a
οἰκίαν C, σικίαν EH
V 191c
τέκνον C, τέκενον EH
VI 222a
Ἀντιφάνης C, γρ. Ἀντιφάνης Ε
mg, Ἀριστοφάνης EH H
mgVI 232b
ἐπὶ πολὺ C, ἐπιστολὴν ΕΗ
VI 255a
Ἀντιόχου C, Ἀντιγόνου EH
VI 270f
φθέγγομαι C, φέγγομαι EH
VIII 345d
ἐπὶ πλείω C, πλείω ΕΗ
IX 390a
στάσιν C, om. EH
Χ 411b
παίζων C, om. AEH
Χ 422d
εἰπούσης C, ὑπούσης ΕΗ
X 434f
τὴν γονήν C, γονήν EH
X 435c
εἶχε περὶ αὐτὸν C, εἶχε τὲ αὐτὸν ΕΗ
X 438d
ἐχρημάτιζε C, ἐχοημάτιζε (-ζεν Η) ΕΗ
XI 490b
ἀλλὰ τὰς λειάδος C, ἀλλὰ λειάδος ΕΗ
XII 512c
ὀκλαδίας C, ὀλκαδίας ΕΗ
XII 528a
πλείω C, πλούτῳ Peppink A, πλούω punctis additis EH
XII 534c
ὐποδήματα C, ὑποδείγματα ΕΗ
Χ 535a
Ἀξίοχος C, Ἀξιόλοχος ΕΗ
XII 535f
πολυτελεστάτης C, πολυτελεστάτου ΕΗ
XII 540d
ακαίνας C, ακοίνας ΕΗ
42 L’elenco comprende lacune di più di due parole. CH condividono parzialmente, ma indipendentemente l’uno dall’altro, una lieve omissione: a 368d (in Peppink 367d) E ha τὸν κωλῆνα καὶ κωλῆν Ἀττικοὶ. In questo caso C ha κωλῆν Ἀττικοὶ, Η τὸν κωλῆν Ἀττικοὶ.
11
Χ 556f
Ἡρόδωρος C, Ἡρόδοτος ΕΗ
XIII 565d
ξύρεσθαι C, ξύθεσθαι ΕΗ
Χ 566c
καθίστων C, καθίστον ΕΗ
XIII 592c
έφαλος C, λέαρχος ΕΗ
Χ 594d
συκῆ C, συζῆ Ε Ε
mgΗ
Esempi di errori e singole omissioni di C vs. EH:
VIII 333c
οσειδώνιος ὁ Στωικὸς ΕΗ, οσειδώνιος ὁ ἱστορικὸς C
VIII 345d
Ἴστρος EH, ἱστορεῖ C
Χ 374a
δυσκολαίνων ΕΗ, om. C
Χ 384a
χηνῶν ΕΗ, χυνῶν C
IX 387c
ὥς φησι EH Peppink, ἔφη C
Χ 388e
συστέλλονται ΕΗ, συστέλλουσι C
XI 447a
Διὶ EH, om. C
Χ 497f
Ῥοδιὰς ΕΗ, δοριὰς C
Χ 500a
Ἡρακλεωτικοὶ ΕΗ, Ἡρακλεωτικαὶ C
Χ 505a
ἐνηνόχασιν (punct. add. E) ΕΗ, [spat. vac.]χασιν punctis additis C
XII 510b
φήσας ΕΗ, om. C
Χ 512a
οἱ τὴν ἡδονὴν τιμῶντας ΕΗ, ἡδονὴν τιμῶντας C
Χ 517b
ἀεὶ ΕΗ, om. C
Χ 540d
κατασκευασάμενος ΕΗ, κατασκευάμενος C
XIII 569b
γυμνὰς ΕΗ, om. C
Χ 579e
πρὸς τὴν Γνάθαιναν ΕΗ, πρὸς Γνάθαιναν C
XIV 657e
χηνίζειν ΕΗ, χρονίζειν C
XV 700d
πανὸς δὲ ΕΗ, φανὸς δὲ C
I dati sopra riportati dimostrano inequivocabilmente una stretta affinità tra H e il
Laurenziano LX.2
43. Si potrebbe formulare l’ipotesi che essi derivino
indipendentemente da una fonte comune: H presenta però errori e omissioni che
non si riscontrano in E, mentre non avviene il contrario
44:
43 Non impensieriscono sporadici accordi irrilevanti tra H e C: es. III 112f κυπρίους ΗC vs. κυπαρίους E (immediatamente sopra E ha correttamente υπρίων ἄρτων); V 163a τλάμων CH vs. τάμων E; XI 468e ἐκπέταλον CH vs. ἐκπέτταλον Ε; X 427e οἱ παλαιοὶ CH vs. οἱ πάλαι E Peppink.
44 Salvo qualche eccezione di poco conto e che non incide sui rapporti stemmatici, perché, come si vede dai casi esemplificati alla nota precedente, si tratta di errori di E che H poteva correggere abbastanza facilmente.
12
III 113b
σκηρᾶς (punctis additis C) CE, σκληρᾶς Peppink, σκυρᾶς H
117a
Βυζαντίου CE, Βιζαντίου H
III 124d
Δωρίων CE, Δωρί E
mg, Δωρίτων H
IV 130e
τέρας CE, τό κρέας H
IV 130e
θερμὴν παρέθηκε CE, μεγάλην ἔθηκε H
IV 147a
λιπαρῶπα τράπεζαν CE, λιπαρῶ παρὰ τράπεζαν H
IV 152f
ἀνθρώποις CE, om. H
V 220e
Ἀσπασίας CE, ἀσπίδος H
VI 249b
σύζωντας CE, συζωνιάς H
VI 258a
μαλακοκόλαξ CE E
mg, om. H
VI 263a
τελευτῶν CE, τῶν σελευτῶν H
VI 263f
κλαρώτας CE, καὶ ἀρώτας H
VI 264d
όμων CE, om. H
VII 276f
Δωρόθεος CE, Θεόδωρος H
V 279b
μεθύοντα CE, εἰπέ μοι Η
45Inoltre, nel codice londinese vi sono errori di copiatura e lacune
46, incluse quelle
dovute ad omoteleuto e saut du même au même,
che si spiegano perfettamente
ammettendo che sono stati favoriti dalla disposizione del testo in E. Gli esempi
che seguono serviranno a chiarire meglio la deduzione:
1)
a III 114f-115a in H f. 15r si registra la lacuna, dovuta a saut du
même au même, da κρίνον καὶ a καλεῖται δέ
47. In E f. 90v, le parole della
lacuna di H si trovano ai righi 4-5; in più, la collocazione dei due καλεῖται
δέ nella pagina di E (in corrispondenza esatta alla fine dei due righi) può
aver contribuito all’errore di H;
45 Qui il copista riporta per errore εἰπέ μοι che aveva copiato poco prima.
46 Per l’elenco completo delle lacune dei libri III-VI, ben 23, rinvio al mio articolo, «Peloro» I, 1, 2016, 15 ss. nel quale evidenziavo già la posizione del codice H rispetto ad E. Esempi di altre lacune di H: VII 284d οἱ ναυτικοὶ – Ἐρατοσθένης φησίν; XII 519e χρυσοῖς – διασκευάσταντας (-τὰς C, -τες Ε).
47 καλεῖται δὲ [κρίνον καί σχῆμα τί χορικῆς ὀρχήσεως. καλέῖται δὲ] καὶ κτλ. Questo e l’esempio di III 94a vengono discussi nel mio articolo in «Peloro» I, 2016, 12-14.
13
2)
a IV 145b dopo οἱ μὲν H copia erroneamente in luogo di ἔξω
δειπνοῦσιν le parole εἴσω μετὰ, che in E si trovano al rigo 13 del f. 106v
(ovvero il rigo successivo a quello da copiare) in corrispondenza esatta ad
εἴσω μετὰ. Il copista accortosi subito dell’errore le espunge e riprende
regolarmente;
3)
a VI 225f dopo προσφάτους μὲν H copia per errore τῆς ὀσμῆς
λαβὼν, ma poi espunge. Le parole espunte da Damaskinos si trovano in
E
48nel rigo precedente, allo stesso punto rispetto a quello che H avrebbe
dovuto copiare;
4)
a XII 524e Damaskinos salta le parole ὥστε οὐδένων ἄδακρυς ἡ
τῆς δουλείας ὑπουργία γινομένη, ma accortosi dell’errore le ricopia a
margine: esse corrispondono esattamente a un rigo di E
49;
5)
a III 94a i codici presentano il testo disposto in questo modo
50:
E 80v, 12-14 καὶ διαυγεστέραν ποιεῖ καὶ καθαρωτέραν. ἡ μὲν οὖν ἐμβύθιος πίννα διαυγεστάτην ποιεῖ καὶ καθαρωτέραν καὶ μεγάλην γεννᾷ μαργαρῖτιν H 7v, 3-5 καὶ διαυγεστέραν ποιεῖ ∙καὶ καθαρωτέραν καὶ μεγάλην γεννᾷ μαργαρῖτιν‚. ἡ μὲν οὖν ἐμβύθιος πίννα διαυγέστατα ποιεῖ καὶ καθαρω τέραν ποιεῖ μαργαρῖτιν
Appare evidente anche in questo caso che la disposizione del testo di E è
all’origine dell’errore di copiatura di H. Mentre Damaskinos sta copiando dal suo
antigrafo, dopo διαυγεστέραν ποιεῖ copia καὶ καθαρωτέραν attingendolo dal rigo
successivo di E (f. 80v r. 13), dove si trova in corrispondenza con καὶ
48 f. 146v, rigo 7. Un errore simile si verifica nel XIV libro (627e) in cui Damaskinos copia a margine τὰς ἐπικηρυκείας ποιοῦνται καταπραύνοντες, salto per omoteleuto favorito dalla disposizione delle parole in E (f. 368v, righi 5-6).
49 f. 318r, rigo 16.
50 Nella trascrizione è stata mantenuta la disposizione del testo così come si trova nella pagina dei mss.; la punteggiatura e l'ortografia sono state normalizzate, i compendi sono stati sciolti. Le espunzioni sono indicate tra doppie parentesi quadre.
14
καθαρωτέραν del rigo 12, e prosegue con καὶ μεγάλην γεννᾷ μαργαρῖτιν del rigo
14. Quando si rende conto di avere sbagliato, espunge quello che aveva già
copiato e riprende da ἡ μὲν οὖν ἐμβύθιος πίννα ecc. del rigo 13. La correzione
genera l’omissione del primo καὶ καθαρωτέραν; inoltre, a questo si aggiungono
altre imprecisioni: la lezione διαυγέστατα in luogo di διαυγεστάτην
51, l'aggiunta di
un secondo ποιεῖ prima di μαργαρῖτιν
52e l’omissione di καὶ μεγάλην γεννᾷ.
A corollario di queste dimostrazioni, si può considerare inoltre che varie volte H
presenta lezioni e compendi scritti nella stessa forma grafica di E
53, oppure errori
dovuti a compendi di E sciolti male
54; ripropone anche molti marginali di E, tra
cui le annotazioni introdotte da σημείωσαι esattamente negli stessi punti in cui si
trovano in E
55. In genere nel Londinese vengono recepite dal modello le
correzioni a lezioni che in un primo momento Questenberg aveva scritto in
maniera erronea. Il comportamento invece di fronte a varianti sopralineari o
marginali di mano di Questenberg
56appare incostante: qualche volta Damaskinos
copia la variante marginale di E che migliora il testo
57, in altre non sembra
tenerne conto
58. In presenza di varianti sopralineari o marginali sempre
51 Derivata da un errata interpretazione della lezione διαυγεστάτ di E. 52 μαργαρίτιν EH.
53 Stessa forma grafica e compendio: e. g. VI 256f συναμφιακῶς EH (συνημφιακῶς C Peppink); Compendi: e. g. VI 264b ὀμολογίας; XII 528a πλούω punctis additis EH.
54 E. g. VI 268e γιγάντες H, γιγάντ() E, γιγάντων C Peppink.
55 Cfr. f. 186r E e f. 88r H; XV 702a ὄαρι EH, γρ. ὄαρ Emg Hmg. In C, in corrispondenza di tali
passi, non si rinviene nulla nel margine.
56 Su questo argomento si discuterà diffusamente più avanti.
57 Es.: a IV a 142a H copia ἔλθοιεν dal margine di E in luogo di ἔλθουσιν, presente nell’antigrafo nel corpo della pagina.
58 Es.: VI 222a Ἀριστοφάνης EH Hmg, γρ. Ἀντιφάνης Εmg, Ἀντιφάνης C. Non sembra rilevare ai
fini di una presunta derivazione da un altro ms., a fronte di tutti i dati sinora presentati, il fatto che talvolta H riporti solo una variante quando in E ve ne sono due: potrebbe trattarsi di una scelta di Damaskinos o di una sua trascuratezza.
15
appartenenti a Questenberg, H riporta solitamente una sola lezione
59, sebbene vi
sia qualche deroga, come ad esempio a VII 320a dove in H, analogamente a CE,
si legge ἀγκυλοκώλων (con τόξ soprascritto su κώλ). Vi sono poi interventi
successivi appartenenti a mano diversa da quella del copista, per lo più segnati nel
margine e quasi tutti nei primi libri, ad esempio:
III 90b
τὴν τροφὴν CH Peppink, τὴν τροφὸν E, τροφὸν F. H
mg, τηθὴν A
III 91b
σπατάνων CEH, σπατάγγων Α, σπαταγγ- H
mgIII 97a
φωνῆς ΑCEH
mg, om. H
III 99d
Αἴγιναν EH
mg, γρ. λιγίναν Ε
mg(ead. man.), λιγίναν CH, λιγιναν
A
ac, Αἴγιναν Α
pc(al. man.)
III 101f
καθηγεμὼν ACE, καθαγεμὼν H, καθηγε- H
mgIII 102d
ἰατρικῆς ACEH
mg, ἡ ἀτρικῆς H
III 109e
δαιτυμόσιν CH
mg, δαιτομόσιν E, δαιτὸν μόσιν H, deest in A
IV 134a
παραμασύντην H
mg, παραμασυν | την Α, om. CEH
IV 166b
γοῦν CEH, γῆ ΑH
mgIV 179b
μνηστήρων ACEH
mg, μνηστηρίων H
IV 184a
Mαρσύας CE, μασύας H, F. Mαρσύας H
mg,
αρσύαν A (al.
struct.)
V 185c
φιλοσοφίαν CEH, φιλίαν AH
mgNella maggior parte di questi casi il riscontro con il testo del Naucratita evidenzia
che gli interventi di altra mano in H devono essere ricondotti ad un confronto con
la tradizione dell’Ateneo plenior e non con quella epitomata. In particolare, a IV
134a la lezione παραμασύντην integrata nel margine di H non appartiene
all’Epitome (i codd. CE sono lacunosi in quel punto), ma al testo di Ateneo;
analogamente, σπαταγγ- a III 91b, γῆ a IV 166b, φιλίαν a V 185b sono lezioni di
Ateneo e non dell’Epitome
60. Per gli altri esempi la correzione probabilmente
59Es.: XIII 611e βρένθον sscr. ἀλαζόνειαν E, βρένθον H; X 419a αίνιος sscr. άλιος E, άλιος
Η; X 440d συμπίοισι E, γρ. συμποσίοισι Emg, συμποσίοισι H; III 92d ἄρτους EH, γρ. ἄρκτους
Emg.
60 È anche ad es. la lezione dei codd. BD e di P (Palatinus Heidelbergensis gr. 47), uno degli apografi del Marciano.
16
poteva avvenire anche in assenza di un confronto con altri testimoni. Ad ogni
buon conto, questi marginali rivelano che a un certo punto le due tradizioni sono
state sottoposte a confronto.
1.3
I
L CODICED
In riferimento al codice D, la collazione sistematica dei libri I-III 73f ha
portato alla luce numerosi elementi che pongono il codice in stretta relazione con
il Laurenziano LX.1 (B), copiato da Demetrio Damilas. Si osservino questi casi:
I 9d
Ἑλλήσποντον CE Mus.,Ἑλλήσποντα BD
9e
τοὺς πρώτους C, τοὺς spat. vac. BD, om. E, τοὺς βασιλεῖς
ἀποκαθίστησι Mus.
I 10c διέστειλε edd., διέστε punctis additis C, διε[spat. vac.] punctis
additis BD, διέστετ() punctis additis Ε
I 10d κωθωνιζομένῳ C Mus., κωθωνιζοιμένῳ punct. add. E,
κωθωνιζ[spat. vac.] BD
I 15d ἐναντίοι
edd., ἐναντίοι
σιC, ἐν μανία E Mus., ἐν[spat. vac.] BD
I 17b δυνατωτάτη δὲ παρ’ CE Mus., δυνατωτάτη παρ’ BD
I 17d ἀλλ’ CE Mus., om BD
I 17f
ἡγεμόνας εἰς Àı
ους΄ ἐκάθισεν CE, ἡγεμόνας ἐστιῶν ἐκάθισεν Mus.,
ἡγεμόνας ἐ[spat. vac.] ἐκάθισεν BD
18a
ἔξω λίνων ὗν κεντήσειεν] ἔξω λίνων [spat. vac.] κεντήσειεν ΒD,
ἔξω λίνων ὗν κεντήσειε C, ἔξω λίνων ὗν κεν (punctis additis) |
τήσειεν E, ἐξωλίνων* ὗνκεν τήσειεν Mus.
I 20a καὶ οήμων edd., καὶ οήμ() C, καὶ νοη[spat. vac.] BD, om. E
Mus.
I 20a ὁ ἡθολόγος edd., ὁ ἠθαλη() C, ὁ ἠ θ[spat. vac.]
61B, ὁ ἡει[spat.
vac.] D
I 20d Ἀριστόνiκος CE (comp.) Mus., Ἀριστ[spat. vac.] BD
22f
δίψαισ’ edd., δ’ἐδίψουν C, δ’ἐδι[spat. vac.] BD Mus, om. E
I 24b συμμετρίας CE Mus., συμμέτρως BD
I 25d παρέλιπε CE Mus., παρέλιπον BD
I 25f
καὶ ἰταλικὰς CE Mus., καὶ ἰατρικὰς BD
17
I 27d ἐξ Ἄργους CE Mus., ἐξ Ἄργου BD
I 28b ὃν σκοπὸν CE Mus, om. BD
I 28c
ᾶρες CE Mus., om. BD
I 28c πιθάκνια CE Mus., πιθάκκια BD
I 28d κρόμιον CE Mus., κρόμυ BD
I 29b βύβλινον CE Mus., κύκλιον BD
I 30c πέπονι (punctis additis C) CE Mus., πέττονι punctis additis BD
I 30d
αγοῦσσαι CE Mus., αγοῦσαι BD
I 30f
μεμαγμένη CE Mus., μεμιγμένη BD
I 30f
ἰσμαρικός CE Mus., ἰσμαρινὸς BD
I 31a φησὶ CE Mus., φῦ (φῡ D) punctis additis BD
I 31e Ἀμφίας edd., ἄμφιος CE Mus., ἄμφι BD
I 32a εἰς τὸ κεράμιον E Mus., edd., εἰς τοὺς κεράμους C, εἰς τὰ κεράμια
BD
I 32d ἀναγωγὸς CE Mus., ἀναγωγὴ BD
I 33c φησὶ CE Mus., φυτ΄ BD
II 35a ἐπώνυμον CE Mus., ἐπώκυμον BD
II 36e πότιμον CE Mus., πότμον BD
II 36f Ἄλεξις CE Mus., om. BD
II 36f οἶνος CE Mus., οἶνον BD
II 38a ὁ τῆς ἀληθείας CE Mus., ὄταν ἀληθείας BD
I 40a βασιλεὺς τὸν Ὀδυσσέα CE Mus., spat. vac. et punctis additis τὸν
Ὀδυσσέα BD
II 40f ἐκ πρώτης CE Mus., om. BD
II 43a ρούσῃ edd., προύση (punctis additis CE) CE Mus., π[spat. vac.]
BD
II 51a ἀλλὰ CE Mus., α[spat. vac.]ὰ BD
II 52e φησὶ ίκανδρος CE Mus., (φησὶ om.) ίκανδρος BD
II 55d βούλομαι CE Mus., βούλο[spat. vac.] BD
II 58c μνήμης CE Mus., spatium vacuum BD
II 62a καὶ (καὶ om. Mus.) ἡ τῶν CE Mus, om. BD
In aggiunta, il codice D presenta lacune e singole omissioni in maniera esclusiva:
I 3b
καλὴν BCE Mus., om. D
I 20e κόρδαξ, καὶ τῆς τραγικῆς, ἣ ἐκαλεῖτο BCE Mus, om. D
I 25c αὐτῶν BCE Mus., om. D
II 35a τὸ BCE Mus., ὁ D
II 46d τὰς BCE Mus., om. D
48f κρατῆρας ἀργουροῦς καὶ παιδίσκας ἐκατὸν καὶ BCE Mus., om. D
II 66a ὀνομάσαντα BCE Mus., om. D
18
Questi dati rispecchiano come una cartina al tornasole una stretta relazione tra i
due codici compositi nella parte contenente l’Epitome, ed inducono ad individuare
nel Laurenziano il probabile modello della copia dello Zanetelli. D, come si può
osservare chiaramente, presenta errori e lacune in comune con B, alle quali si
aggiungono lacune ed omissioni esclusive, a fronte di nessun contributo per la
tradizione del testo
62; secondariamente, a differenza di Damilas, lo Zanetelli
conclude la copiatura dell’Epitome a III 73f con le parole Φρύνιχος δ’ἐντραγείη
φασὶ σικύδιον ὑποκοριστικῶς (f. 42v), perché il resto lo aveva già copiato
Ermolao dalla versione amplior, e questo costituisce un’ulteriore riprova del fatto
che B, considerato che prosegue anche se per poco a copiare il testo epitomato,
non poté derivare dalla copia dello Zanetelli, ma semmai viceversa. È opportuno,
a questo punto, rivolgere la nostra attenzione ad un caso (II 58c) di errore di
copiatura di D: al f. 34v, r. 8 Zanetelli immediatamente dopo ἄλλα τε copia καὶ
ἀσφοδέλω μεγ’ ὄνειαρ τοῦτο ἀττικόν in luogo di καὶ δὴ καὶ ταῦτα κτλ., ma
l’errore viene subito espunto. Sul codice B le parole καὶ ˗ ἀττικόν si trovano il
rigo 22 del f. 28v quasi in corrispondenza di καὶ δὴ καὶ ταῦτα κτλ. del rigo 21 che
avrebbero dovuto essere copiate. Non possiamo avere la certezza che la
derivazione di D da B sia diretta, dal momento che l’errore poi corretto non
corrisponde a un rigo intero e potrebbe essere spiegato con un saut du même au
même, però questo caso suggerisce di prendere in seria considerazione l’eventuale
possibilità.
62 In un caso (II 64c) D ha una lezione che Desrousseaux presenta come una congettura propria (vd. app. ad loc.), ma si tratta di una lezione di non grande rilevanza: βολβίνας δ’ D vs. βολβίνας θ’ BCE. Non suscitano problemi pochissimi casi in cui D è in accordo con gli altri mss. contro B tra i quali: 5f καὶ περὶ CD vs. περὶ ΒΕ; I 25e Ὀδυσσέως CDE vs. Ὀδυσέως Β; I 34a τραγικὸς ποιητής CDE vs. τραγικῶς ποιητής B; I 30d επαδοῦσσαι B, επαδοῦσαι CD; 43e χιόνος DCE vs. χειόνος B; II 52a τὰ ἀκρόδρυα DE vs. τὰ ἀκρόδρια CB; II 55b ἐρέβινθοι DCE vs. ἐρέβιθοι B ἐρεβίνθους in B poco sopra); a I 4a ἱππεῦσι ε—— ἀγέλας CDE vs. ἱππεῦσι εἰς γέλας Bpc (ma ἱππεῦσι ε—
19
Dall’esame da me effettuato sui marginali dei libri III 74a-IX del codice D
63copiato nel 1482 da Ermolao Barbaro, emergono ulteriori dati utili a suffragare
l’ipotesi di una relazione tra i manoscritti delle due tradizioni, quella integrale e
quella epitomata. Gli esempi che vedremo sono tratti sia da Ateneo sia
dall’Epitome. Si consideri, in particolare, il seguente caso:
VII 302e: (Erifo, fr. 3 K.-A.)
†ταῦτα γὰρ οἱ † πένητες οὐκ ἔχοντες ἀγοράσαι
ὑπογάστριον θύννακος οὐδὲ κρανίον
λάβρακος οὐδὲ γόγγρον οὐδὲ σηπίας,
ἃς οὐδὲ μάκαρας ὑπερορᾶν οἶμαι θεούς.
1 ταῦτα γὰρ οἱ om. CE 4 μάκαρας] μακρανη AD, μάκαρας BCE et Dsl (al. man.), Eust. In
Od. 1720, 59
Il codice Marciano e D offrono concordemente la lezione corrotta μακρανη; D
presenta supra lineam la variante μάκαρας. La mano che è intervenuta a
correggere il palese errore è sicuramente diversa rispetto a quella di Ermolao. In
particolare, l’occhiello dell’alfa di μάκαρας è più ampio rispetto a quello che
solitamente traccia Ermolao, diversi sono il κ e la legatura αρ, il ς finale è molto
ampio e con un piccolo gancio in basso
64. Tale grafia non corrisponde né a quella
di Ermolao, come si è detto, né a quella dello Zanetelli, che copiò la prima parte
del codice nei cui margini si rinviene invece la grafia di Ermolao. Per quanto
riguarda la variante μάκαρας, essa è attestata, oltre che in Eustazio, nei codici
BCE, dunque questo rappresenta un interessante caso di contaminazione tra le due
tradizioni. Ma non è l’unico.
63 La collazione dei libri III 74a-IX di D ha riguardato in particolare i marginali; per quanto concerne il testo, sono stati effettuati dei controlli a campione.
20
Gli esempi che seguono attestano la presenza di una mano intervenuta a
margine del codice o nel corpo della pagina di D: rivelarne l’identità è di notevole
importanza per i rapporti tra le due tradizioni del testo.
1) III 91b: Ἀριστοτέλης δέ φησι (HA 530a 24 ss.) τῶν ἐχίνων πλείω γένη
εἶναι· ἓν μὲν τὸ ἐσθιόμενον, ἐν ᾧ τὰ καλούμενά ἐστιν ᾠά, ἄλλα δὲ δύο τό
τε τῶν σπατάγγων καὶ τὸ τῶν καλουμένων βρυσῶν. μνημονεύει τῶν
σπατάγγων καὶ Σώφρων (fr. 97 K.-A.) καὶ Ἀριστοφάνης ἐν Ὁλκάσιν
οὕτως (fr. 425 K.-A.)·
δαρδάπτοντα, μιστύλλοντα, διαλείχοντά μου
τὸν κάτω σπατάγγην
σπατάγγων (bis) et -γην AD (sed ad 1σπατάγγων alia manu γρ. σπατάνων Dmg;
2σπατάγγων et σπατάγγην sscr. ν supra γ D), σπατάνων B (bis) CE et -νην iid. μνημονεύει – Σώφρων om. CE μνημονεύει] μνημονεύει δὲ BD, καὶ Σώφρων] ὁ Σώφρων BD
In questo passo della Historia animalium di Aristotele citato da Ateneo e
dall’Epitome il cod. D (f. 54r), come il Marciano, presenta le lezioni σπατάγγων
65e σπατάγγην di mano di Ermolao, mentre le varianti σπατάνων e σπατάνην
l’una
nei margini, l’altra supra lineam (-ν-) sono attestate sia nell’Epitome sia in B
come lezioni in textu.
2) III 88b: ἐστὶ δ’ὁ μὲν κτεὶς τραχυόστρακος, ῥαβδωτός, τὸ δὲ τῆθος
ἀράβδωτον, λειόστρακον, ἡ δὲ πίνη λεπτόστομον, τὸ δὲ ὄστρεον
παχύστομον (Arist. HA, 528a 23 s.).
65 La forma che indica un tipo di riccio di mare è σπατάγγης,-ου secondo la testimonianza di Esichio (σ 1428 σπατάγγαι· οἱ μεγάλοι ἐχῖνοι οἱ θαλάσσιοι) e Fozio (α 529 Σπατάγγαι: ἰχθύες τινές· οἱ δὲ τοὺς μεγάλους ἐχίνους· οὕτως Ἀριστοφάνης). Cfr. LSJ s.v. In Polluce (VI 47) Bethe stampa σπάταγγας, una forma non documentata: dovrebbe essere acc. pl. di un sostantivo di 3a σπάταξ,-γγος, non documentato, ma si tratta di una sua correzione (i codici hanno πάταγγας, πάταγα, παταγας).
21
τραχυόστρακος Α, Dac ut vid. (sed –χος), τραχεόστρακος BCEDpc Eust. In Od. 1.151.12
Stallb. | ῥαβδωτός - λειόστρακον om. D, add. Dmg (al. man.)
Qui l’aggettivo τραχυόστρακος (‘dal guscio ruvido’) è stato corretto in D (f. 52r)
in τραχεόστρακος, forma attestata esclusivamente in Eustazio e in BCE.
3)
III 121f: πρὸς ὃν [scil. ύνουλκον] ὁ ὐλπιανὸς σχετλιάσας καὶ
τύψας τῇ χειρὶ τὸ προσκεφάλαιον ἔφη· “μέχρι πότε βαρβαρίζοντες οὐ
παύσεσθε; ἢ ἕως ἂν καταλιπὼν τὸ συμπόσιον οἴχωμαι, πέττειν ὑμῶν τοὺς
λόγους οὐ δυνάμενος;”
πέττειν ὑμῶν ABDpc (al. man.) CE, πέ Dac
Nel passo della cornice interna sopra riportato, nel quale Ulpiano sta redarguendo
Cinulco e i cinici, si può osservare che lo spazio vuoto del Parisinus gr. 3056
66(f.
181v) viene colmato dalla stessa mano responsabile degli altri interventi che
abbiamo visto e di quelli che vedremo.
4)
VII 324f: Διoκλῆς δ’ἐν τοῖς πρὸς λείσταρχον σκληρόσαρκον
εἶναί φησι τὴν τρίγλαν
λείταρχον A, corr. Schw., δ’ἐν - λείταρχον om. BCDE, φησι τὴν τρίγλαν om. D sed φησὶ τὴν τρίγλαν add. Dmg (al. man.)