• Non ci sono risultati.

Analisi prestazionale di impianti di potenza per lo sfruttamento di risorse geotermiche ad alta e media entalpia

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Analisi prestazionale di impianti di potenza per lo sfruttamento di risorse geotermiche ad alta e media entalpia"

Copied!
89
0
0

Testo completo

(1)

POLITECNICO DI MILANO

Scuola di Ingegneria Industriale

Corso di Laurea Magistrale

in Ingegneria Energetica

Analisi prestazionale di impianti di potenza per lo

sfruttamento di risorse geotermiche a media e alta entalpia

Relatore:

Prof. Davide BONALUMI

Tesi di Laurea Magistrale di: Gioele RIVABENE Matr. 841748

(2)
(3)

Non alla pietra tocca fissare il suo posto, ma al Maestro dell’opera che l’ha scelta. Paul Claudel

(4)
(5)

Ringraziamenti

Ringrazio la mia famiglia e tuti gli amici che mi hanno sostenuto in questi anni.

(6)
(7)

Indice

RINGRAZIAMENTI ... 1

INDICE ... 3

SOMMARIO / ABSTRACT ... 5

1. INTRODUZIONE ... 7

1.1. STRUTTURA DELLA TERRA ... 7

1.2. GRADIENTE TERMICO ... 8

1.3. FABBISOGNO ENERGETICO E PRODUZIONE GEOTERMICA ... 10

1.4. BREVE STORIA ... 12

1.5. OBIETTIVI ... 14

2. TIPOLOGIE DI IMPIANTO E STRATEGIA SOTTERRANEA ... 15

2.1. CLASSIFICAZIONE DELLE RISORSE GEOTERMICHE ... 15

2.2. UTILIZZI DELLA FONTE GEOTERMICA ... 16

2.2.1. Cicli diretti ... 19 2.2.2. Cicli indiretti ... 22 2.2.3. Cicli ibridi ... 24 2.3. POZZO E SERBATOIO ... 26 2.3.1. Metodi di esplorazione ... 26 2.3.2. Modellazione serbatoio ... 26 2.3.3. Simulazione pozzo ... 28 2.3.4. Accoppiamento pozzo-serbatoio ... 29

2.3.5. Simulazione in Aspen Plus ... 29

3. SIMULAZIONI IN ASPEN PLUS ... 31

3.1. ASPEN PLUS ... 31

3.2. CICLO DIRETTO ... 31

3.2.1. Flash ad un livello di pressione ... 32

3.2.2. Flash a due livelli di pressione ... 36

(8)

3.3.1. Ciclo semplice a vapore saturo ... 39

3.3.2. Ciclo recuperativo a vapore saturo... 42

3.3.3. Ciclo supercritico ... 44

3.3.4. Ciclo a 2 livelli di pressione ... 45

3.4. IMPIANTO IBRIDO ... 46

4. ENHANCED GEOTHERMAL SYSTEM... 48

4.1. SCHEMA DI IMPIANTO ... 48

4.1.1. Fluido vettore e sottosuolo ... 48

4.1.2. Cattura della CO2 ... 49 4.1.3. Ciclo di potenza ... 50 4.2. ANALISI RISULTATI ... 50 5. ANALISI RISULTATI ... 55 5.1. ORC... 55 5.1.1. Ciclo semplice ... 56 5.1.2. Ciclo recuperativo ... 60

5.1.3. Ciclo a due livelli di pressione ... 64

5.2. FLASH ... 68

5.3. IBRIDO ... 73

6. CONCLUSIONI ... 77

NOMENCLATURA E ACRONIMI ... 81

(9)

Sommario / Abstract

In questo lavoro vengono studiate le prestazioni delle principali tecnologie per la generazione di potenza da pozzi geotermici. Dopo una introduzione sulle origini e classificazione delle fonti geotermiche e una panoramica sulle varie tipologie di impianto oggi esistenti, è stata fatta un’analisi prestazionale degli impianti con l’ausilio del software di simulazione Aspen Plus. Gli impianti a ciclo diretto presi in considerazione sono stati: a singolo flash, a doppio flash, a singolo flash con separazione della CO2

all’uscita dal pozzo. Dalle analisi risulta che il singolo flash sia molto penalizzato ad alte concentrazioni di anidride carbonica e basse temperature del fluido, condizione nelle quali è meglio utilizzare gli altri due impianti. Il principale svantaggio dei cicli diretti è il contatto diretto tra il fluido geotermico e le macchine dell’impianto, inoltre può esserci il rischio di rilascio di gas inquinanti nell’ambiente. Sono stati quindi analizzati degli impianti binari in cui il ciclo di lavoro, in questo caso un organic Rankine cycle, è accoppiato al fluido geotermico che circola in un sistema chiuso, senza rischio di perdite in ambiente. Sono stati presi in considerazione tre tipologie di ORC: semplice a vapore saturo, recuperativo, e a due livelli di pressione. L’analisi è stata fatta per diversi fluidi di lavoro allo scopo di stabilire quale si comporti meglio alle varie temperature del fluido geotermico (110°C, 130°C, 150°C). Infine sono stati studiati due impianti innovativi: un impianto ibrido flash-ORC nel quale il liquido geotermico uscente dal flash ancora molto caldo viene raffreddato fornendo calore ad un ORC, incrementando così la potenza e il rendimento dell’intero impianto; e un Enhanced Geothermal System nel quale l’anidride carbonica proveniente da un impianto USC è usata come fluido vettore di calore all’interno di un pozzo hot dry rock, la CO2 calda viene prima fatta espandere in una

turbina a gas e quindi raffreddata in un impianto ORC standard.

In this work, I have analyzed the performances of the main technologies for geothermal power generation. After an introduction on the origins and classifications of geothermal sources and an overview of the various types of plants existing today, I have made a performance analysis of the plants with the aid of Aspen Plus, a simulation software. I studied three direct power plant: single flash, double flash and single flash with carbon dioxide separation at the exit from the well. Analysis shows that high concentrations of carbon dioxide and low temperatures of the fluid penalize single flash, in these conditions is better to use the other two plants. The main disadvantage of direct cycles is that the geothermal fluid comes into direct contact with the engines of the plant, and there may be the risk of release of polluting gases into the environment. Therefore, I have analyzed a binary system with the work cycle, in this case an organic Rankine cycle, coupled to a closed geothermal loop. I studied three types of ORCs: simple saturated steam, recuperative, and two pressure levels. I have analyzed different working fluids in order to determine which one behaves better at the various temperatures of the geothermal fluid (110 ° C, 130 ° C, and 150 ° C). Finally, I studied two innovative plants: a flash-ORC hybrid system and an Enhanced Geothermal System. In the first plant, hot geothermal liquid from the flash is the heat source for an ORC, thus increasing the power and efficiency of the entire system. In the EGS plant, the carbon dioxide from a USC

(10)

becomes a heat source for a standard ORC. PAROLE CHIAVE: - Aspen Plus - Impianto geotermico - Energia geotermica - Organic Rankine Cycle - Enhanced geothermal system - Impianto a flash KEYWORDS: - Aspen Plus - Geothermal plant - Geothermal energy - Organic Rankine Cycle - Enhanced geothermal system - Flash plant

(11)

1. I

NTRODUZIONE

L’energia geotermica è il calore proveniente dall’interno della Terra. Vulcani, fumarole, geyser, sorgenti termiche, sono i fenomeni naturali più evidenti che ci danno prova di questa energia. A partire dalla fine del 1700, quando l’uomo iniziò a scavare le prime miniere, ci si rese conto che la temperatura saliva con la profondità degli scavi. Oggi sappiamo che il calore proviene dal decadimento degli isotopi radioattivi dell’uranio, del torio, e del potassio, al quale si aggiunge il calore primordiale del pianeta.

1.1.

STRUTTURA DELLA TERRA

(12)

Come si può vedere in Figura 1.1 la struttura della Terra si può dividere, semplificando, in quattro parti: NUCLEO INTERNO, NUCLEO ESTERNO, MANTELLO e CROSTA. La crosta ha come limite superiore la superficie terrestre e come limite inferiore il mantello, si divide in continentale e oceanica, la principale differenza è lo spessore: 70 km per la prima e 4 km per la seconda. Al di sotto troviamo il mantello, che ha uno spessore di 2900 km e una temperatura che varia dai 500 ai 4000°C. In questa zona avvengono i moti convettivi responsabili della deriva dei continenti. Il nucleo, con uno spessore di circa 3500 km, si divide in nucleo esterno, liquido e con temperature che raggiungono i 4000 °C, e in un nucleo interno più caldo e denso a causa delle elevate pressioni. Le caratteristiche sono riassunte nella Tabella 1.1.

Tabella 1.1 – Caratteristiche struttura terrestre

1.2.

GRADIENTE TERMICO

È stato stimato che il calore proveniente dall’interno della Terra, considerando una temperatura alla superficie di 15°C, sia di 12,6 x 1024 MJ e che il calore della sola crosta sia di 5,4 x 1021 MJ, una grandissima quantità di energia. Non tutta riesce ad essere sfruttata, infatti servono delle condizioni morfologiche favorevoli per avere un fluido vettore che trasporti il calore dalle profondità della crosta fino alla superficie.

Inoltre il calore non è uguale su tutta la superficie terrestre, il flusso di calore medio è pari a 65 mW/m2 con un gradiente di temperatura pari a 1,5-3°C/100 m, ma ci sono zone particolari, dove la crosta è più sottile, dove si incontrano due zolle, dove l’attività sismica è elevata, in cui si ha un’anomalia positiva del flusso di calore; queste sono le zone ideali per sfruttare l’energia geotermica.

Temperatura [°C] Spessore [km] Densità [g/cm3] Crosta continentale 15 - 500 0 -70 2,6 Crosta oceanica 500 - 3000 0 - 4 > 3,2 Mantello 3000 - 4000 2900 3,3 - 5,6 Nucleo esterno > 4000 1300 9,3 Nucleo interno 5400 1200 13

(13)

Figura 1.2 - Sistema geotermico naturale

(14)

1.3.

FABBISOGNO ENERGETICO E PRODUZIONE GEOTERMICA

In Italia il fabbisogno di energia è pari a circa 310 TWh (dati 2015) e la produzione di energia geotermica copre meno del 2% di questo fabbisogno. Ciononostante l’Italia è uno dei Paesi con la maggior produzione di energia da fonte geotermica come possiamo vedere dalla figura 1.4

La quasi totalità dell’energia geotermica italiana, pari a circa 5900 GWh, è prodotta in toscana nelle zone di Larderello – Traviale e Monte Amiata.

(15)

Un confronto può essere fatto anche con le altre principali energie da fonti rinnovabili: biomasse, solare, idroelettrico, eolico. Il vantaggio che il geotermico ha sulle altre rinnovabili è la certezza della fonte, caratteristica che solare eolico e idroelettrico non hanno. Ovviamente la fonte geotermica va sfruttata in modo sostenibile, cioè la velocità di consumo deve essere minore della velocità di rigenerazione. Dai Grafici 1.1, 1.2 e 1.3 si può vedere che in Italia il geotermico ha uno spazio di tutto rispetto tra le rinnovabili.

Figura 1.5 - Zone di produzione in Italia

(16)

1.4.

BREVE STORIA

Il primo tentativo di produrre energia geotermica fu proprio italiano: nel luglio del 1904 il principe Piero Ginori Conti, proprietario dell’industria boracifera di Larderello, sfruttò il calore delle acque ricche di boro per produrre energia con una macchina a motore alternativo alla quale era collegata una dinamo. La temperatura del fluido geotermico era di circa 150°C ed era estratto ad una profondità di 300 metri, per una potenza generata di circa 10kW.

Grafico 1.2 - produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile-Europa

(17)

Questa prima macchina non funzionò a lungo a causa dell’azione corrosiva dei gas acidi e dei solidi contenuti nel vapore. La macchina venne migliorata introducendo una sezione di separazione dei solidi e dei gas acidi, nel 1908 il signor Conti riusciva a produrre tutta la potenza necessaria alla sua fabbrica. Nel 1913 venne inaugurata la prima centrale a energia geotermica da 250 kW e nel 1942 la potenza installata raggiunse i 127.650 kW. Nel frattempo anche nel resto del mondo si sviluppò questa nuova tecnologia: nel 1919 venne perforato il primo pozzo geotermico in Giappone; nel 1921 il primo negli stati uniti, a the Geysers in California; nel 1958 il primo impianto termoelettrico entrò in funzione in Nuova Zelanda e nel 1959 in Messico. [1]

Figura 1.6 - Piero Ginori Conti con la prima dinamo a vapore, 1904

(18)

1.5.

OBIETTIVI

In questo lavoro di tesi verranno analizzate e confrontate diverse tipologie di impianto geotermico per la generazione di energie elettrica:

 Impianto diretto a flash con uno o due livelli di pressione  Impianto indiretto con ORC (organic rankine cycle)  Impianto ibrido flash / ORC

 Impianto EGS (enhanced geothermal system)

(19)

2.

TIPOLOGIE

DI

IMPIANTO

E

STRATEGIA

SOTTERRANEA

In questo capitolo faremo una panoramica degli impianti comunemente utilizzati per la generazione di energia elettrica da fonte geotermica e una revisione degli studi fatti per modellare il pozzo e il serbatoio.

2.1.

CLASSIFICAZIONE DELLE RISORSE GEOTERMICHE

Ci sono diversi modi per classificare le risorse geotermiche, la più usata si basa sull’entalpia. L’entalpia da un’idea del contenuto energetico del fluido ed è proporzionale alla sua temperatura, i fluidi vengono classificati in bassa, media e alta entalpia. Nella Tabella 2.1 vediamo la classificazione fatta da diversi ricercatori in base alla temperatura.

Muffler e Cataldi Hochstein Benderitter e Cormy Nicholson Axelsson e Gunnlaugsson Risorsa a bassa entalpia < 90°C <125°C <100°C <150°C <190°C

Risorsa a media entalpia 90-150°C 125-225°C 100-200°C - -

Risorsa ad alta entalpia >150°C >225°C >200°C >150°C >190°C

Tabella 2.1 – Classificazione entalpica risorse geotermiche

Un’altra classificazione viene fatta in base alla pressione del pozzo: se la pressione è maggiore della pressione di saturazione si parla di sistemi ad acqua dominante, quando la pressione è minore si parla di sistemi a vapore dominante.

I sistemi ad acqua dominante sono i più diffusi, in essi l’acqua liquida è la fase continua, la temperatura è compresa tra i 125°C e i 225°C e da essi viene estratta acqua calda o miscele di acqua e vapore.

Nei sistemi a vapore dominante coesistono nel serbatoio acqua liquida e vapore, che è la fase continua, la temperatura è più elevata rispetto ai liquido dominanti e si estrae vapore secco o surriscaldato. Sono poco diffusi sistemi di questo tipo, i più famosi sono a Larderello e a the Geysers in California.

Un’ultima classificazione si può fare in base allo stato di equilibrio del serbatoio, ci sono sistemi dinamici e sistemi statici. Nei sistemi dinamici c’è un continuo apporto di fluido che entra nel serbatoi, si scalda ed esce caldo sotto forma di acqua calda o vapore. Il calore viene scambiato per conduzione e convezione, ci deve essere uno strato di rocce

(20)

permeabili che permetta il passaggio del fluido, le temperature sono di norma molto elevate. I sistemi statici, di norma a liquido dominante, sono detti anche geo-pressurizzati, sono formati da rocce impermeabili che creano una specie di pentola a pressione sotterranea, il calore si trasmette per conduzione.

Ci sono anche altri due tipi di serbatoi geotermici molto meno diffusi: hot dry rocks e sistemi magmatici. Gli hot dry rocks sono serbatoi secchi nei quali può essere iniettato un fluido come acqua o CO2 (EGS). I sistemi magmatici sono serbatoi in prossimità della camera magmatica di un vulcano, questi sistemi sono ancora in via di sperimentazione.

2.2.

UTILIZZI DELLA FONTE GEOTERMICA

Il calore proveniente dal sottosuolo può essere usati in svariati modi in base all’entalpia del fluido di trasporto. Il diagramma di Lindal mostra per quali attività può essere sfruttato il calore geotermico in funzione della temperatura.

(21)

Come possiamo vedere dalla Figura 2.1 la temperatura minima necessaria per una centrale che produca energia elettrica è di circa 70°C, anche se per essere economicamente vantaggiosa la temperatura deve essere di almeno 100°C. I fluidi geotermici con temperature inferiori possono essere sfruttate per le lavorazioni industriali o per la climatizzazione.

Le tecnologie usate per produrre energia elettrica si possono dividere in due grandi categorie: cicli diretti e cicli indiretti. Nei cicli diretti il fluido di lavoro è anche il fluido vettore del calore, il vapore proveniente dal sottosuolo viene direttamente mandato in turbina, di questa categoria fanno parte gli impianti a contropressione, gli impianti a flash e quelli a vapore secco. Nei cicli indiretti il fluido vettore viene usato per scaldare il fluido di lavoro che quindi verrà mandato in turbina, di questa categoria fanno parte gli impianti binari: ORC e kalina.

Nei grafici 2.1 e 2.2 si può vedere la suddivisione delle diverse tecnologie ad oggi adottate.

(22)

Grafico 2.2 - Impianti geotermici installati, 2014

(23)

2.2.1. Cicli diretti

Come si può vedere dal Grafico 2.1 i cicli diretti rappresentano la grande maggioranza della potenza geotermica installata.

IMPIANTO A CONTROPRESSIONE

L’impianto a contropressione è senza dubbio il più semplice ed economico: il vapore proveniente dal pozzo, dopo essere stato separato dalla fase liquida, viene fatto espandere nella turbina e rilasciato direttamente nell’ambiente. Il rendimento è minore rispetto ad un impianto a condensazione visto che la turbina può espandere solo fino alla pressione atmosferica, inoltre rilasciando il vapore in ambiente si rischia di esaurire velocemente il fluido vettore e si rilasciano gas come l’H2S e la CO2.Per queste ragioni

gli impianti a contropressione sono pochi e di piccole dimensioni, vengono usati come impianti pilota per produrre elettricità da pozzi sperimentali durante lo sviluppo del campo geotermico.

IMPIANTO A VAPORE SECCO

Questo tipo di impianto può essere usato solo in presenza di sistemi geotermici a vapore dominante, quindi quando il vapore all’uscita dal pozzo è secco o surriscaldato. La maggior parte di questi impianti si trovano in Italia, a Larderello, e in California a the Geysers. Sono impianti con una maggiore complessità rispetto a quelli in contropressione: bisogna aggiungere un condensatore, con relativa torre di raffreddamento se non si è nelle vicinanze di un corso d’acqua, un sistema di separazione e compressione dei gas

(24)

incondensabili, un sistema di riniezione del fluido geotermico nel sottosuolo. È necessario un tempo di costruzione almeno doppio rispetto ad un impianto a contropressione con costi nettamente superiori.

IMPIANTO A FLASH

Figura 2.3 - Schema di impianto a vapore secco, Larderello

(25)

Gli impianti a flash coprono oltre il 60% della potenza geotermica prodotta e rappresentano il 40% degli impianti esistenti. L’unica sostanziale differenza con un impianto a vapore secco è che il fluido che esce dal pozzo è o liquido o una miscela liquido-vapore, per questa ragione è necessario operare un flash prima di mandarlo in turbina. Nella camera di flash avviene una laminazione isoentalpica e una separazione del liquido dal vapore. Il liquido uscente dal flash può essere mandato in una seconda camera a pressione più bassa oppure, come vedremo più avanti, può essere sfruttato in un ciclo binario.

Figura 2.5 - Schema di impianto con doppio flash

(26)

2.2.2. Cicli indiretti

I cicli indiretti, detti anche binari, rappresentano il 14% della potenza totale installata. Il successo di questi impianti è dovuto al fatto che possono sfruttare le sorgenti a bassa e media entalpia (T > 80°C), che rappresentano circa il 70% dell’intera energia sotterranea [2]. In questa tipologia di impianto sia il fluido di lavoro che il fluido vettore non entrano mai a contatto con l’ambiente, con evidenti vantaggi anche dal punto di vista ambientale.

IMPIANTO ORC

Nell’impianto ORC si utilizza un fluido organico che viene fatto evaporare in uno scambiatore e mandato in un ciclo Rankine standard. Ci sono numerose ragioni per cui un ciclo ORC è favorito rispetto ad un ciclo diretto:

 Non si forma acqua allo stato liquido nella turbina, con gravi danni erosivi;  Possibilità di usare pressioni massime più basse, con riduzione dei costi

dei componenti che lavorano ad alte pressioni;

 Elevata efficienza isoentropica della turbina con un limitato numero di stadi, dimensioni ridotte e costi di produzione competitivi;

 Possibilità di scegliere la pressione di condensazione limitando le dimensioni dei componenti che lavorano a bassa pressione[3]

Gli impianti binari vengono costruiti in maniera modulare, con moduli che vanno dalle poche centinaia di kWe ai MWe, in questo modo si abbattono i costi di produzione e i costi specifici sono indipendenti dalle dimensioni dell’impianto, infatti si possono mettere più moduli in serie per soddisfare la potenza richiesta.

(27)

Per sfruttare al meglio la fonte di calore si può anche fare un ciclo ORC con due livelli di pressione, il fluido geotermico prima passa per gli scambiatori di alta pressione e poi in quelli di bassa pressione.

Figura 2.8 - Diagramma T-s ciclo ORC a due livelli di pressione

(28)

IMPIANTO KALINA

Figura 2.10 – Schema impianto Kalina

Recentemente è stato sviluppato un nuovo sistema binario che utilizza come fluido di lavoro una miscela di acqua e ammoniaca. La miscela, dopo essere passata dall’evaporatore, viene separata: la fase vapore entra in turbina mentre quella liquida viene raffreddata in un recuperatore di alta pressione prima di essere miscelata al resto del fluido proveniente dalla turbina. Il fluido di lavoro passa quindi da un recuperatore di bassa pressione, viene condensato e ricomincia il ciclo. L’impianto kalina ha un rendimento leggermente superiore a quello ORC, però presenta una complessità impiantistica superiore.

2.2.3. Cicli ibridi

Gli impianti ibridi sono solamente in fase di sperimentazione, in essi si uniscono diverse tecnologie, normalmente il liquido caldo proveniente dal primo flash di un impianto tradizionale viene sfruttato per scaldare il fluido di lavoro di un ciclo indiretto.

(29)

Figura 2.11 – Schema impianto ibrido flash-ORC, Denizli, Turchia

(30)

2.3.

POZZO E SERBATOIO

Oltre il 50% del costo di un impianto geotermico è dovuto all’esplorazione e costruzione del pozzo, per questa ragione è conveniente utilizzare, ove possibile, pozzi petroliferi esauriti[4].

2.3.1. Metodi di esplorazione

Gli studi geologici e idrogeologici sono il punto di partenza di ogni programma di esplorazione, essi hanno delle funzioni molto importanti: valutazione della potenza della risorsa, estensione del campo geotermico, posizionamento dei pozzi esplorativi e di produzione, costruzione di un modello realistico del sistema geotermico, dati utili durante lo sfruttamento del serbatoio.

La prospezione geochimica, cioè l’analisi chimica delle acque e dei gas delle manifestazioni geotermiche, serve a stabilire se il sistema geotermico è a liquido o a vapore dominante, a prevedere la temperatura minima del serbatoio, a determinare le caratteristiche chimiche del fluido, a individuare l’origine dell’acqua di ricarica.

La prospezione geofisica ha lo scopo di ottenere i parametri fisici delle formazioni geologiche profonde, come la temperatura, la conducibilità elettrica, la velocità di propagazione delle onde elastiche, la densità e la suscettibilità magnetica. I metodi sismici, gravimetrici e magnetici possono dare molte informazioni sulla forma, dimensioni, profondità e altre importanti caratteristiche delle strutture geologiche profonde che potrebbero costituire un serbatoio geotermico, ma danno poche indicazioni sulla presenza all’interno di queste strutture dei fluidi, che costituiscono l’obiettivo della ricerca geotermica. Essi sono pertanto i più utili per definire i dettagli nelle fasi finale dell’esplorazione, prima che siano posizionati i pozzi esplorativi. Informazioni sull’esistenza di fluidi geotermici nelle strutture geologiche si possono ottenere dalle prospezioni elettriche ed elettromagnetiche, che sono più sensibili di altri metodi alla presenza di questi fluidi e alle variazioni di temperatura.

La perforazione dei pozzi esplorativi è la fase finale di ogni programma di esplorazione ed è il solo metodo che permette di definire con certezza le caratteristiche di un serbatoio geotermico e di valutarne il potenziale. I dati forniti dai sondaggi esplorativi hanno lo scopo di verificare le ipotesi ed i modelli elaborati con i risultati dell’esplorazione di superficie. Essi inoltre devono confermare che il serbatoio è produttivo e contiene fluidi in quantità adeguata e con caratteristiche adatte all’utilizzazione prevista.

2.3.2. Modellazione serbatoio

La modellazione numerica del pozzo geotermico è di fondamentale importanza nella fase di design dell’impianto di potenza, serve a predire la produttività del serbatoio, la sua sostenibilità e gli effetti di riniezione. Per la costruzione del modello è di fondamentale la definizione di un data-set storico in cui si conoscano le proprietà geologiche delle rocce (porosità, densità, calore specifico, permeabilità, conduttività termica) e le proprietà fisiche dei fluidi (calore specifico, densità e conduttività termica).

(31)

È evidente che per una modellazione accurata ci deve essere molta interdisciplinarietà tra ingegneria, termodinamica, geofisica e geochimica.

Lo sviluppo di un modello numerico segue due direzioni principali: stato naturale indisturbato e scenari di utilizzo. La prima fase del modello dovrebbe riprodurre la struttura geologica del serbatoio con le condizioni idrauliche, termiche, meccaniche e chimiche specifiche. A questo punto dovrebbe esserci un passaggio di calibrazione in cui, con un processo iterativo si confrontano i parametri con il modello fisico prima elaborato. La durata della risorsa è il risultato della seconda parte del modello numerico: gli scenari di utilizzo. Il modello può accoppiare diverse equazioni di trasporto, riferite alla massa, al calore e alla composizione chimica. In figura 2.12 si può vedere lo schema concettuale per sviluppare un modello numerico.

Figura 2.13 – Schema concettuale per la simulazione numerica del serbatoio

I principali parametri da inserire nella simulazione sono:

 Porosità (ф), definito come il rapporto tra il vuoto e il volume totale;  Permeabilità (k), proprietà delle rocce che rappresenta la capacità di essere

attraversate dai fluidi, è importante per determinare la produttività del giacimento;

 Densità (ρ);

 Conduttività termica;  Calore specifico.

Il flusso del fluido geotermico può essere studiato attraverso la legge di Darcy, la velocità del fluido v è così definita:

(32)

𝑣 =𝜇𝑘(∇𝑝 − 𝜌𝑔∇𝑧) (1) Dove k è la permeabilità, μ la viscosità e g l’accelerazione di gravità.

Per un fluido laminare l’equazione (1) può essere semplificata in questo modo: ∆𝑃 = [𝜇𝐿 𝜌𝐴] 𝑚̇ 𝑘 = 𝑆 𝑚̇ 𝑘 = 𝑅𝑚̇ (2)

Ad una fissata profondità S (viscosità cinematica media) è costante. R è una costante di proporzionalità e può essere vista come un parametro del serbatoi che descrive come il fluido fluisce sottoposto ad una certa variazione di pressione.[5]

Uno dei software più usati per la simulazione dei serbatoi è TOUGH2, che utilizza un metodo a discretizzazione finita. Esso risolve le equazioni di bilancio di massa ed energia che descrivono i flussi di fluido e calore nei mezzi porosi. Lo scambio termico avviene per conduzione e convezione. Come prima cosa viene riprodotto lo stato indisturbato del sistema con in dati che si hanno a disposizione, le condizioni iniziali sono il gradiente termico e la distribuzione della pressione. A questo punto vengono simulati differenti scenari, le condizioni al contorno possono essere il flusso di calore dal fondo, la temperatura in cima o in fondo al serbatoio, flussi di fluido naturali o per iniezione. [6], [7]

2.3.3. Simulazione pozzo

Per simulare il pozzo vengono usati diversi software come HOLA, FLOWELL, WELLSIM, queste sono le equazioni che governano il flusso all’interno dei tubi:

CONSERVAZIONE DELLA MASSA:

d𝑚̇

d𝐿 = 0 (3)

Dove 𝑚̇ è la portata massica [kg/s] e L la lunghezza del tubo [m];

CONSERVAZIONE DEL MOMENTO:

d𝑃 d𝐿− d𝑃 d𝐿(𝑓𝑟𝑖) − d𝑃 d𝐿(𝑎𝑐𝑐) − d𝑃 𝑑𝐿(𝑝𝑜𝑡) = 0 (4)

Le diverse componenti della pressione sono così definite:

∆𝑃 ∆𝐿𝑝𝑜𝑡 = (𝜌0+𝜌𝐿)𝑔 2 (5) ∆𝑃 ∆𝐿𝑎𝑐𝑐 = (𝜌𝑣2)0−(𝜌𝑣2)𝐿 ∆𝐿 (6)

(33)

CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA:

d𝐸

d𝐿+ 𝑄 = 0 (7)

Dove E è il flusso totale di energia dentro il pozzo, somma di calore, energia cinetica e potenziale; Q è il calore perso lungo il tubo.

2.3.4. Accoppiamento pozzo-serbatoio

Per determinare la produzione bisogna accoppiare la simulazione del serbatoio con quella del pozzo. In Figura 2.13 è mostrato lo schema logico: fissata la pressione di uscita dal pozzo, il simulatore di pozzo elabora una serie di portate ed entalpie e per ciascuna calcola una pressione alla base del pozzo mediante le equazioni (4) - (6). I valori di pressione vengono caricati nel simulatore del serbatoio, il quale attraverso la legge di Darcy (1) calcola una nuova portata. Viene ricavata per interpolazione anche la pressione alla base del pozzo. Il processo prosegue con iterazione Newton-Raphson fino a quando le portate calcolate dai due simulatori convergono ad un valore comune. [8]

Figura 2.14 – schema di iterazione simulazione pozzo – serbatoio 2.3.5. Simulazione in Aspen Plus

Per le analisi dei diversi impianti il pozzo è stato simulato con l’ausilio di un software di simulazione, Aspen Plus, che verrà trattato nel capitolo successivo. Per

(34)

simulare le perdite di pressione nel serbatoio si è utilizzata una valvola, così come suggerito da D.Bonalumi [9], che impone una caduta di pressione secondo l’equazione (2) con R pari a 0,4 bar/kg*s. Il pozzo ha una lunghezza di 1000 m e un diametro di 0,339 m, è stato simulato in Aspen selezionando dal “model palette” il componente “PIPE” e selezionando all’interno delle impostazioni avanzate le correlazioni di Beggs-Brill, che sono quelle più utilizzate in campo geotermico.

Figura 2.15 - Layout pozzo Aspen Plus

Nella simulazione sono state imposte le condizioni all’uscita dal pozzo per ricavare quelle all’interno del serbatoio.

110°C 130°C 150°C T in 110,0128 130,1844 150,3902 p in 135,1233 134,812 135,1356 Tabella 2.2 - condizioni nel serbatoio per l'impianto ORC

(35)

3.

SIMULAZIONI IN ASPEN PLUS

In questo capitolo verranno analizzati diversi impianti geotermici con l’ausilio di un software di simulazione.

3.1.

ASPEN PLUS

Le simulazioni degli impianti sono state fatte con AspenPlus v8.8, che è un software avanzato di simulazione per l’industria di processo. All’interno del pacchetto Aspen Properties c’è una vasto database di proprietà fisiche e chimiche di svariate specie prese dal National Institute of Standards and Technology (NIST), sono presenti anche numerosi metodi e modelli termodinamici per il calcolo delle proprietà fisico-chimiche.

Il programma presenta una interfaccia grafica di facile utilizzo. Il primo step è l’individuazione delle specie e del modello termodinamico che si intende utilizzare per la simulazione. Nell’apposita sezione si disegna lo schema dell’impianto, si inseriscono i vari componenti, si collegano tra loro con i flussi di materia e si impostano le caratteristiche necessarie (rendimenti, temperature, pressioni…). A questo punto è sufficiente stabilire eventuali opzioni di calcolo, cosa che può essere fatta con l’ausilio di Excel o Fortran, che sono integrati col software. Aspen simula l’impianto e ricava una soluzione rispettando le equazioni del bilancio di momento, massa ed energia, è inoltre molto comodo anche per fare velocemente delle analisi di sensitività dell’impianto.

3.2.

CICLO DIRETTO

Sono stati analizzati due impianti con flash, a singolo e doppio livello di pressione che, come abbiamo visto nel precedente capitolo, rappresentano il 60% della potenza installata. Gli impianti presi come riferimento per validare le simulazione ed estrapolare i dati sono stati:

 l’impianto di Kizildere-Denizli in Turchia[10],[11],[12],[13];  l’impianto di Krafla in Islanda[14];

 l’impianto di Fengshun in Cina[15];  l’impianto di Germencik in Turchia[16]

(36)

Parametri

Temperatura ambiente 15°C

Fluido di condensazione Acqua Rendimento isoentropico turbina 0,75 Rendimento isoentropico pompe 0,8 Rendimento isoentropico compressore 0,8 Temperatura interrefrigerazione compressore 35°C Pressione fluido geotermico 115 bar Pressione uscita turbina 0,11 bar 𝑚̇ Geo 100 kg/s

Tabella 3.1 – Parametri cicli flash 3.2.1. Flash ad un livello di pressione

Figura 3.1 – Layout impianto singolo flash Aspen Plus

Il fluido geotermico proveniente dal pozzo è acqua con una certa concentrazione massica di CO2, si è deciso di usare come modello termodinamico l’Electrolyte

Non-Random-Two-Liquid (ENRTL), validato da dati sperimentali presenti in letteratura.[9] L’analisi è stata condotta con un fluido geotermico proveniente da un pozzo alla pressione di 115 bar e a diverse temperature (150°C, 175°C e 200°C) e concentrazioni di CO2 (1,5% e 3%). La simulazione del pozzo è stata illustrata alla fine del precedente

capitolo. Il fluido proveniente dal pozzo entra in un flash adiabatico in cui la pressione è fatta variare per ottenere la potenza massima, dalla sezione “separatori” è stato selezionato il modello “Flash2”. Il vapore viene fatto espandere nella turbina fino ad una pressione di 0,11 bar, come suggerito in letteratura. Per simulare il condensatore è stato scelto dal “model palette” un “Multistream Heat Exchanger (MHE)” nel quale circola acqua di raffreddamento che può provenire da un fiume o, in sua assenza, da una torre evaporativa; è stato considerato un consumo elettrico del condensatore pari all’1% del calore scambiato. All’uscita dal condensatore la CO2 viene separata e compressa in un

(37)

compressore (modello “Mcompr”) a 3 stadi con interrefrigerazione. Il liquido uscente dal flash e il liquido uscente dal separatore vengono compressi, uniti al gas uscente dal compressore e quindi riniettati nel pozzo.

Di seguito nei grafici 3.1 – 3.6 è presentata la potenza netta in funzione della pressione di flash alle varie temperature e concentrazioni di anidride carbonica.

Grafico 3.1- Potenza netta vs pressione di flash a 200°C e 1,5% di CO2

(38)

Grafico 3.3– Potenza netta vs pressione di flash a 150°C e 1,5% di CO2

(39)

Si nota che con una temperatura del pozzo pari a 150°C e 3% di CO2, la potenza netta sia molto bassa.

Grafico 3.5– Potenza netta vs pressione di flash a 175°C e 3% di CO2

(40)

T geo [°C] Pressione flash [bar] Potenza turbina [kW] Potenza pompa1 [kW] Potenza pompa2 [kW] Potenza compressore [kW] Calore condensatore [kW] Potenza netta [kW] ƞI ƞII 150 1,08 2378,82 163,27 16,12 630,70 20614,06 1362,59 2,34 % 11,7 7% 175 1,66 3608,90 268,83 34,71 710,56 25831,82 2336,48 3,39 % 15,3 5% 200 2,24 5163,64 254,22 45,17 714,82 32921,72 3820,22 4,77 % 19,6 8%

Tabella 3.2 – Risultati impianto singolo flash con 1,5% di CO2

T geo [°C] Pressione flash [bar] Potenza turbina [kW] Potenza pompa1 [kW] Potenza pompa2 [kW] Potenza compressore [kW] Calore condensatore [kW] Potenza netta [kW] ƞI ƞII 150 1,16 2439,27 277,03 25,00 1396,33 20526,73 535,65 0,91 % 4,55 % 175 1,68 3698,83 264,84 33,63 1409,21 26417,93 1726,98 2,47 % 11,16 % 200 3,39 5279,17 245,91 38,35 1414,64 29181,75 3288,45 4,01 % 16,51 % Tabella 3.3 – Risultati impianto singolo flash con 3% di CO2

3.2.2. Flash a due livelli di pressione

(41)

Per aumentare la potenza dell’impianto si può sfruttare l’acqua calda uscente dal primo flash e mandarla in un secondo flash a pressione inferiore. I parametri dell’impianto rimangono sostanzialmente identici a quelli precedenti, la pressione di uscita dalla turbina di alta pressione si impone uguale alla pressione del secondo flash tramite un “calculator”. Il fluido uscente dalla turbina di alta pressione viene miscelato con il vapore uscente dal secondo flash e mandato nella turbina di bassa pressione. Come per il caso precedente tutti i liquidi e i gas vengono compressi e riniettati. Le pressioni dei due flash vengono fatte variare in modo da ottenere la potenza netta massima.

Di seguito la tabella coi risultati: 150°C 1,5% 175°C 1,5% 200°C 1,5% 150°C 3% 175°C 3% 200°C 3% Pressione flash1 [bar] 2 3,5 4,5 2 3,5 5,25 Pressione flash2 [bar] 0,55 0,875 0,875 0,55 0,875 0,875 Rendimento I 3,23% 4,90% 6,66% 1,94% 3,81% 5,79% Rendimento II 16,28% 22,20% 27,18% 9,72% 17,23% 23,86% Potenza netta [kW] 1883,68 3379,46 5276,07 1145,14 2667,01 4750,89

Tabella 3.4 – Risultati impianto doppio flash

3.2.3. Flash con separazione di CO2 pre-turbina

(42)

Visti gli scarsi risultati ottenuti dal ciclo a singolo flash a basse temperature e alte concentrazioni di CO2, è stato studiato un diverso layout dell’impianto, seguendo quello

fatto da D.Bonalumi [9]. Il fluido uscente dal pozzo, prima di essere mandato al flash, viene raffreddato in una sorta di demister, simulato con due “flash2” collegati in serie, nel quale la maggior parte della CO2 viene separata e poi compressa in un normale

compressore. La perdita di pressione nel demister è dell’1% mentre la temperatura di uscita viene fatta variare insieme alla pressione di flash per ottenere la potenza netta massima. Il resto dell’impianto rimane invariato rispetto ai casi precedenti.

Di seguito la tabella con i risultati:

150°C 1,5% 175°C 1,5% 200°C 1,5% 150°C 3% 175°C 3% 200°C 3% Pressione flash1 [bar] 0,72 1 1 1 1 0,83 Temperatura demister [°C] 65 90 90 70 80 85 Rendimento I 0,99% 2,74% 2,62% 1,43% 2,07% 2,12% Rendimento II 4,96% 12,42% 10,81% 7,15% 9,36% 8,74% Potenza netta [kW] 574,46 1890,66 2098,57 842,61 1448,71 1740,04

Tabella 3.5 – Risultati impianto a singolo flash con layout 2

3.3.

ORGANIC RANKINE CYCLE

(

ORC

)

Gli impianti ORC coprono il 14% della potenza installata però rappresentano quasi la metà degli impianti installati. Sono state analizzate quattro tipologie di impianto: ciclo semplice a vapore saturo, ciclo recuperativo a vapore saturo, ciclo supercritico e ciclo a due livelli di pressione. Sono stati presi in considerazione diversi fluidi di lavoro, scelti tra quelli più utilizzati in letteratura. I parametri scelti per la modellazione degli impianti sono stati estrapolati da un paper di Astolfi [3] nel quale è presente una dettagliata review di numerosi impianto ORC. Il modello termodinamico scelto e consigliato dalla letteratura è stato il modello Peng-Robinson[17]. Di seguito le tabelle con le proprietà dei fluidi selezionati e i parametri degli impianti.

(43)

Tabella 3.6 – Proprietà dei fluidi ORC

Parametri

Temperatura ambiente 15°C

Fluido di condensazione Acqua/aria Rendimento isoentropico turbina 0,85 Rendimento isoentropico pompe 0,65 Rendimento elettrico 0,98 Temperatura minima riniezione 70°C Temperatura di condensazione 30°C ∆T Pinch point 10°C 𝑚̇ Geo 100 kg/s

Tabella 3.7 – Parametri impianti ORC 3.3.1. Ciclo semplice a vapore saturo

Figura 3.4 – Layout impianto ORC semplice a vapore saturo Aspen Plus

FLUIDO MM [g/mol] Tcr [C°] Pcr [bar]

R134a 102 101 40,6 R245fa 134 154 36,51 Isobutano 58,12 135,9 36,8 N-pentano 72,15 196,5 33,7 N-esano 86,18 234,4 30,3 HCFO 130,5 166 37

(44)

La prima analisi è stata fatta su un ciclo semplice a vapore saturo. Si è deciso di non surriscaldare il vapore poiché in Astolfi [3] si è visto che il ciclo saturo è il più performante per un ORC. Il fluido geotermico riscalda il fluido di lavoro passando per un evaporatore e quindi per un economizzatore. Per questi due componenti sono stati selezionati dall’apposita sezione due “Multistream Heat Exchanger”, nell’economizzatore è stato definito un subcooling di 0,1°C mentre all’evaporatore è stato imposto che il vapore uscente sia saturo. Questi valori sono stati scelti seguendo uno studio fatto da Q.liu [18], nel quale la temperatura di pinch point consigliata è pari a 10°C, tale valore è stato imposto tramite una design spec che fa variare la portata di fluido di lavoro. Per evitare il fenomeno di silica scaling, cioè la precipitazione di silice e conseguente incrostazione dei tubi, si è imposto che la temperatura di riniezione non scenda al di sotto di 70°C, scartando i risultati sotto quella soglia. La turbina espande fino al raggiungimento di quella pressione che permette al fluido di lavoro di condensare a 30°C. Il condensatore, ad acqua o ad aria in base alle disponibilità, è stato simulato sempre con un MHE block e si considera consumi una potenza elettrica pari all’1% del calore scambiato. La pressione di ingresso in turbina, e di conseguenza la temperatura di evaporazione, è fatta variare per ottenere la potenza netta massima. L’analisi è svolta per tre diverse temperature del fluido geotermico (110°C, 130°C e 150°C), di seguito i grafici con i risultati della potenza netta in funzione della pressione per i diversi fluidi analizzati.

Grafico 3.7 – Potenza netta vs pressione ORC semplice 110°C

0 200 400 600 800 1000 1200 1400 0 5 10 15 20 25 30 P o ten za n et ta [k W ] pressione [bar]

T geo = 110 °C

(45)

Grafico 3.8 – Potenza netta vs pressione ORC semplice 130°C

Grafico 3.9 –Potenza netta vs pressione ORC semplice 150°C

500 700 900 1100 1300 1500 1700 1900 2100 2300 2500 0 2 4 6 8 10 12 14 16 P o ten za n et ta [k W ] pressione [bar]

T geo = 130 °C

N-pentano isobutano N-esano HCFO R245fa

1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 0 5 10 15 20 25 P o ten za n et ta [k W ] pressione [bar]

T geo = 150 °C

(46)

3.3.2. Ciclo recuperativo a vapore saturo

Figura 3.5 – Layout impianto ORC recuperativo Aspen Plus

Tutti i componenti del caso precedente, così come i parametri, rimangono invariati. Viene aggiunto un recuperatore di calore tra la turbina e il condensatore, anch’esso simulato con un MHE block; seguendo lo studio di Q. Liu [2] la temperatura di pinch point di questo componente è fissato a 5°C. Di seguito i grafici con i risultati della potenza netta in funzione della pressione per i diversi fluidi analizzati.

Grafico 3.10 – Potenza netta vs pressione ORC recuperativo 110°C

0 200 400 600 800 1000 1200 1400 0 2 4 6 8 10 12 P o ten za n et ta [k W ] pressione [bar]

T geo = 110 °C

(47)

Grafico 3.11 – Potenza netta vs pressione ORC recuperativo 130°C

Grafico 3.12 – Potenza netta vs pressione ORC recuperativo 150°C

500 700 900 1100 1300 1500 1700 1900 2100 2300 2500 0 2 4 6 8 10 12 14 16 P o ten za n et ta [k W ] pressione [bar]

T geo = 130 °C

N-pentano N-esano HCFO R245fa

1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 0 5 10 15 20 P o ten za n et ta [k W ] pressione [bar]

T geo = 150 °C

(48)

3.3.3. Ciclo supercritico

Figura 3.6 – Layout impianto ORC supercritico Aspen Plus

Per i due fluidi con temperatura critica più bassa, isobutano e R134a, è stata fatta anche la simulazione di un ciclo supercritico. I parametri sono uguali ai casi precedenti, all’uscita dell’evaporatore è stato preso un ∆T di approach point di 11°C, così come riportato da Moloney [19]. Le pressioni ridotte di ingresso in turbina vengono fatte variare da 1,1 a 1,6 per stabilire la potenza netta ottima dell’impianto. Di seguito una tabella con i risultati.

p [bar] W netta [kW] ƞcycle ƞ plant ƞII

Isobutano 150°C 42,6 4176,852 20,59% 7,35% 40,85% R134a 150°C 61,15 4144,835 21,53% 7,29% 40,54% R134a 130°C 65,68 2491,372 8,46% 5,16% 32,55%

(49)

3.3.4. Ciclo a 2 livelli di pressione

Figura 3.6 – Layout impianto ORC a due livelli di pressione Aspen Plus

Lo schema di impianto si complica rispetto ai casi precedenti: il fluido geotermico passa prima per l’evaporatore e l’economizzatore di alta pressione e poi per i rispettivi scambiatori di bassa pressione. Per la modellazione mi sono basato sullo studio di G. Manente[20] nel quale viene utilizzato un ∆T di superheating di 2°C all’uscita dell’evaporatore di alta pressione. La simulazione è stata confrontata con gli impianti reali di Bereket (Turchia) i cui dati sono qui presenti [21], l’impianto di Dora II (Turchia) [22] e l’impianto di Velika Ciglena (Croazia) [23]. Il fluido di lavoro uscente dalla turbina di alta pressione viene miscelato con il fluido uscente dall’evaporatore di bassa pressione e quindi mandato nella turbina di bassa pressione. Dopo essere stato condensato e compresso alla pressione di primo livello entra nell’economizzatore di bassa pressione, all’uscita viene separato da uno splitter: una parte del fluido entra nell’evaporatore di bassa pressione, l’atra viene pompata fino alla pressione di secondo livello e mandata nei rispettivi economizzatore ed evaporatore, e il ciclo prosegue. Viene aggiunta rispetto ai casi precedenti una seconda design spec che fa variare la frazione di portata che andrà nel ciclo ad alta pressione per mantenere un ∆T di pinch point nell’evaporatore di alta pressione di 10°C. Le pressioni di ingresso nelle due turbine vengono fatte variare in modo da ottenere la potenza netta massima. Tutti gli altri parametri e componenti rimangono invariati rispetto ai casi precedenti.

Di seguito in tabella 3.9 sono riportate le potenze nette massime alle diverse temperature per i vari fluidi analizzati:

(50)

110°C 130°C 150°C N-pentano 1460,051 2472,46 3772,469 Isobutano 1425,173 2519,113 4584,727 N-esano 1465,854 2552,959 3870,507 R245fa 1466,773 2565,053 3976,634 R134a 1760 3048,281 4590,87

Tabella 3.9 – Potenze nette ORC a doppio livello di pressione, kW

3.4.

IMPIANTO IBRIDO

Figura 3.7 – Layout impianto ibrido flash / ORC

Unendo le due tipologie di impianto viste fino ad ora, cioè il ciclo diretto a flash e il ciclo indiretto a ORC si può costruire un impianto ibrido. Come abbiamo visto all’inizio questo genere di impianto al momento è solo sperimentale, ho fatto riferimento ad uno studio di A.Dagdas [10]. Per semplificazione ho considerato solo il caso di fluido geotermico con concentrazione di CO2 all’1,5% e la pressione di flash ottimizzata al caso base. Il liquido

uscente dal flash viene sfruttato come fonte di calore in un ciclo ORC a vapore saturo esattamente uguale a quello visto in precedenza. Sono stati presi in considerazione quattro diversi fluidi di lavoro tra quelli visti prima: N-esano, HCFO, isobutano e R145fa; la pressione di ingresso in turbina è stata fatta variare in funzione della potenza netta ottima. Di seguito la tabella 3.10 con i risultati.

(51)

Isobutano HCFO N-esano R245fa

T in ORC [K] 373,27 373,27 373,27 373,27

Potenza netta ORC [kW] 717,896675 809,7047 801,22193 814,4215 150°C Potenza netta TOT [kW] 2080,48929 2172,297 2163,8145 2174,419

Rendimento I 0,03730347 0,037267 0,0371215 0,037348 Rendimento II 0,18790267 0,187719 0,1869863 0,188127

T in ORC [K] 386,31 386,31 386,31 386,31

Potenza netta ORC [kW] 1215,55253 1201,78 1183,7333 1212,173 175°C Potenza netta TOT [kW] 3552,03146 3538,259 3520,2122 3552,031

Rendimento I 0,05147797 0,051278 0,0510168 0,051429 Rendimento II 0,2333391 0,232434 0,2312488 0,233117 T in ORC [K] 395,9204 395,9204 395,9204 395,9204 Potenza netta ORC [kW] 1537,16201 1507,367 1481,6015 1524,775 200°C Potenza netta TOT [kW] 5357,38089 5327,586 5301,8204 5357,381

Rendimento I 0,06682442 0,066453 0,0661314 0,06667 Rendimento II 0,27396322 0,274436 0,2731088 0,273548

(52)

4. ENHANCED

GEOTHERMAL

SYSTEM

Gli Enhanced Geothermal System (EGS), tradotto impianti geotermici migliorati, sono impianti di ultima generazione che mirano ad incrementarne il rendimento. Con lo sviluppo delle tecniche di perforazione i costi sono diminuiti, gli EGS sfruttano infatti il calore proveniente da pozzi profondi dai 3 ai 10 chilometri quindi ad elevate temperature, anche superiore ai 300°C. Tramite dei processi chimici viene inoltre aumentata la permeabilità delle rocce. Nel pozzo possono essere iniettati acqua o gas che vengono poi estratti ad alta pressione e temperatura; uno dei principali vantaggi di questo tipo di impianto è l’ubicazione, infatti non è necessario che venga costruito in prossimità di risorse idrotermali naturali, basta che sia presente un fluido da utilizzare come vettore di calore. Gli svantaggi derivano dal costo maggiore per la trivellazione del pozzo e dal rischio di fenomeni sismici indotti, ancora oggi sotto studio. [24]

4.1.

SCHEMA DI IMPIANTO

Figura 4.1 – Layout impianto EGS, Aspen Plus

4.1.1. Fluido vettore e sottosuolo

Per questa analisi si è deciso di utilizzare come fluido vettore non l’acqua ma anidride carbonica, in particolare la CO2 proveniente da un impianto a carbone USC

(53)

(Ultra Super Critico) catturata per assorbimento con sistema CAP (Chilleda Ammonia Process). La portata di gas è stata presa da un documento dell’EBTF (European Bench-marking Task Force) nel quale l’impianto di riferimento ha una potenza di 758 MWe, un rendimento del 45,2% e una generazione di CO2 pari a 143 kg/s.[25]

Per le caratteristiche dei pozzi e del serbatoio si è fatto riferimento a due studi fatti da A.R. Mohan [26], [27]; i pozzi di iniezione ed estrazione sono lunghi 6095 metri, divisi ciascuno in tre pipe: il primo è lungo 3048 m con diametro di 0,445 m; il secondo è lungo 2133 m con diametro di 0,3175 m; il terzo è lungo 914 m con diametro di 0,2159 m. Nelle “Thermal specification type” ho selezionato “adiabatico”. Per quanto riguarda il serbatoio si sono fatte le stesse semplificazioni viste nel capitolo 2: è stato modellato come uno scambiatore di calore con una perdita di pressione di 6,3 bar, seguendo la legge di Darcy (2).

4.1.2. Cattura della CO2

L’anidride carbonica uscente dall’impianto di cattura CAP viene prima compressa in un compressore interrefrigerato fino ad una pressione di 80 bar, viene quindi raffreddata e una volta liquida pompata fino a 110 bar. A questo punto il gas invece che essere stoccato viene mandato nel pozzo di iniezione e viene sfruttato per recuperare altra energia. All’uscita dall’EGS la CO2 deve essere ricompressa a 110 bar per poterla così

mandare allo stoccaggio.

Figura 4.2 – Diagramma di fase CO2

Comprimere la CO2 allo stato liquido è molto meno dispendioso rispetto a farlo in

quello gassoso, come si può vedere dal diagramma di stato in Figura 4.2 il punto critico dell’anidride carbonica è a 73,8 bar e 31,4°C, la metodologia adottata è stata quindi quella di portare il gas ad una temperatura di 31°C e quindi di comprimerlo tramite una pompa fino a 110 bar.

(54)

4.1.3. Ciclo di potenza

L’anidride carbonica che esce dal pozzo ad elevate temperature e pressioni viene fatta espandere in una turbina, per evitare di ricomprimerla si è scelto di espandere il gas fino ad un massimo di 75 bar. La CO2 ancora calda viene sfruttata in un ciclo ORC

semplice, come quello visto nel precedente capitolo, e uscita dall’economizzatore viene raffreddata fino a 31°C per poi essere riportata a 110 bar tramite una pompa.

Parametri

Temperatura ambiente 15°C

Fluido di raffreddamento Acqua Rendimento isoentropico turbina CO2 0,70

Rendimento isoentropico turbina ORC 0,85 Rendimento isoentropico compressore 0,8 Temperatura interrefrigerazione compressore 35°C ∆T pinch point ORC 10°C Temperatura condensazione 30°C 𝑚̇ CO2 143 kg/s

Tabella 4.1 – Parametri impianto EGS

Come per gli altri casi si considera che gli scambiatori consumino una potenza elettrica pari all’1% del calore scambiato. Il metodo selezionato per il calcolo delle simulazioni è il PENG-ROB.

4.2.

ANALISI RISULTATI

Sono stati presi in considerazione quattro valori di pressione di uscita dalla turbina a CO2, da 90 a 75 bar, scendendo con la pressione sotto il valore di 75 bar la turbina produrrà certamente più potenza però va inserito un compressore che, anche a causa della minor potenza da ORC, rende questa opzione svantaggiosa. Per quanto riguarda il ciclo ORC sono stati analizzati cinque fluidi di lavoro diversi: R245fa, HCFO, pentano, N-esano e isobutano; il ciclo è a vapore saturo e la pressione di ingresso in turbina viene fatta variare per trovare la potenza netta ottima. Vengono infine analizzate due temperature del serbatoio: 250°C e 300°C, nel primo caso il gas entra in turbina con una pressione di 305 bar e una temperatura di 187°C, nel secondo caso la pressione sale a 339 bar e la temperatura a 240°C.

(55)

Grafico 4.1 – Potenza netta EGS a 300°C

Grafico 4.2 – Potenza netta EGS a 250°C

Nei due grafici sopra riportati ci sono le potenze nette calcolate per ciascun fluido di lavoro alla pressione di uscita dalla prima turbina di 75 bar, come si può vedere dal grafico 4.3 quella è la pressione che massimizza la potenza netta dell’intero ciclo. Si nota che ad elevate temperature del serbatoio (300°C) l’ottimo di potenza si ottiene con l’isobutano, col quale si ottengono oltre 30 kW in più rispetto al fluido meno performante: l’N-esano. Se si abbassa la temperatura del serbatoio a 250°C si nota che le potenze nette rimangono sostanzialmente invariate per i diversi fluidi di lavoro, queste calano mediamente del 32% rispetto al caso precedente.

(56)

Grafico 4.3 – Potenza netta in funzione della pressione out turbina CO2, caso 300°C

Aumentando la pressione di uscita dalla turbina a CO2 aumenta la temperatura del

gas e quindi il calore reso disponibile al ciclo ORC, quindi se da un lato diminuisce la potenza prodotta dalla prima turbina, dall’altro aumenta quella prodotta dall’ORC. È interessante vedere come variano queste due potenze. Nei grafici 4.4 e 4.5 è stata confrontata per ciascun fluido di lavoro la differenza di potenza tra i due casi estremi, cioè tra una pressione di 75 bar e una di 90 bar.

(57)

Grafico 4.5 – Confronto potenze a Tgeo 150°C

In azzurro è rappresentata la differenza della potenza netta da ORC, mentre in arancione quella della turbina a gas al netto della pompa CO2 e della potenza necessaria allo

scambiatore di raffreddamento CO2. Vediamo che al diminuire della pressione di uscita

dalla turbina la potenza da ORC diminuisce, ma non tanto quanto aumenta quella prodotta dalla turbina stessa, che è quasi il doppio.

Grafico 4.6 – Confronto rendimenti alla potenza massima

Nel grafico 4.6 sono stati riportati i rendimenti dell’impianto per i diversi fluidi di lavoro alla potenza massima, calcolati come il rapporto tra la potenza netta e il calore entrante nel ciclo (8). Il pentano è il fluido con il rendimento migliore anche se la sua potenza netta non è la più alta. L’isobutano e l’R245fa sono i fluidi con il maggior incremento di rendimento nel passaggio da 250°C a 300°C. Il rendimento di secondo

(58)

principio è praticamente costante per i diversi fluidi e pari a 41% a 300°C e 39,5% a 250°C.

(59)

5.

ANALISI RISULTATI

Analizziamo ora i risultati ottenuti.

5.1.

ORC

Definiamo tre rendimenti da utilizzare per l’analisi di questo tipo di impianti: - Rendimento di primo principio o rendimento del ciclo

ƞ𝑐𝑦𝑐𝑙𝑒 = 𝑊𝑛𝑒𝑡𝑡𝑎 𝑄𝑖𝑛 = 𝑊𝑛𝑒𝑡𝑡𝑎 𝑚̇𝑔𝑒𝑜×(ℎ𝑖𝑛 − ℎ𝑜𝑢𝑡) (8) - Rendimento dell’impianto ƞ𝑝𝑙𝑎𝑛𝑡= 𝑊𝑛𝑒𝑡𝑡𝑎 𝑄𝑚𝑎𝑥 = 𝑊𝑛𝑒𝑡𝑡𝑎 𝑚̇𝑔𝑒𝑜× (ℎ𝑖𝑛− ℎ0) (9)

dove h0 è l’entalpia a T0 = 15°C e p0 = 1 atm

- Rendimento di secondo principio

ƞ𝐼𝐼 = ƞ𝑝𝑙𝑎𝑛𝑡× ƞ𝑙𝑜𝑟𝑒𝑛𝑡𝑧 (10) ƞ𝑙𝑜𝑟𝑒𝑛𝑡𝑧= 1 − 𝑇0 𝑇𝑚𝑙𝑔 = 1 − 𝑇0 (𝑇𝑖𝑛− 𝑇0) ln𝑇𝑖𝑛𝑇0 (11)

(60)

5.1.1. Ciclo semplice

Grafico 5.1 – Potenza netta e rendimento in funzione della pressione, 110°C

(61)

Grafico 5.3 – Potenza netta e rendimento in funzione della pressione, 150°C

Da questi primi grafici in cui si vede la dipendenza della potenza netta e del rendimento di primo principio dalla pressione di ingresso in turbina, si nota che le potenze massime, così come i rendimenti, siano tutte più o meno sullo stesso livello, fatta eccezione per l’R134a. Analizziamo ora i rendimenti di secondo principio.

(62)

Grafico 5.5 – Rendimento e Tmax in funzione della Tout, 130°C

(63)

In questi grafici (5.4, 5.5, 5.6) sono stati inseriti il rendimento di secondo principio e la temperatura di ingresso in turbina, cioè la temperatura massima del ciclo, in funzione della temperatura di uscita del fluido geotermico. La linea rossa verticale indica la temperatura limite di 70°C utile per evitare il fenomeno di incrostazioni di silicati. A bassa temperatura il rendimento ottimo si ottiene con temperature di riniezione inferiori a 70°C, man mano che la temperatura di ingresso del fluido geotermico aumenta sale anche la temperatura che porta ad avere il rendimento migliore, ne segue che le sorgenti più penalizzate dal limite tecnico di 70°C sono quelle a più bassa temperatura. Le temperature massime del ciclo salgono col salire della temperatura del fluido geotermico, è interessante notare come a 110 gradi i fluidi abbiano dei comportamenti sostanzialmente indifferenti, fatta eccezione per l’R134a, mentre a 150°C ci sono dei fluidi con prestazioni migliori di altri. Per capire meglio questa cosa sono utili degli istogrammi di confronto.

Grafico 5.7 – Confronto potenze nette

(64)

Dagli istogrammi si può notare che a basse temperature del fluido geotermico le prestazioni dei fluidi di lavoro siano tutte più o meno simili, tranne per l’R134a che è stato preso in considerazione solo per il caso a 110°C, visto la sua bassa temperatura critica, e presenta delle prestazioni di circa 5 punti percentuali superiore agli altri. Di seguito ho riportato una tabella con i rapporti Tcritica / Tgeo per ciascun fluido di lavoro.

Tabella 5.1 – Rapporto temperatura critica / temperatura fluido geotermico

A 110°C tutti i rapporti sono lontani da 1, tranne per l’R134a che infatti è l’unico fluido che si discosta dalla media, salendo a 130°C l’isobutano e l’R245fa sono i più vicini al valore unitario e quelli con le prestazioni migliori, stessa cosa vale a 150°C per isobutano, HCFO e R245fa. Per la scelta del fluido di lavoro è utile quindi guardare alla sua temperatura critica in funzione della temperatura del fluido geotermico che si ha a disposizione. A parità di rapporto il fluido con prestazioni migliori è quello con una maggiore massa molare.

5.1.2. Ciclo recuperativo

I fluidi analizzati in questo caso sono 4: N-esano, N-pentano, HCFO e R245fa; di seguito i grafici visti anche per il ciclo semplice con le potenze nette e i rendimenti in funzione della pressione di ingresso in turbina.

Grafico 5.9 – Potenza netta e rendimento in funzione della pressione, 110°C

110°C 130°C 150°C N-pentano 1,786 1,512 1,310 Isobutano 1,235 1,045 0,906 N-esano 2,131 1,803 1,563 HCFO 1,509 1,277 1,107 R245fa 1,400 1,185 1,027 R134a 0,918 0,777 0,673

(65)

Grafico 5.10 – Potenza netta e rendimento in funzione della pressione, 130°C

Grafico 5.11 – Potenza netta e rendimento in funzione della pressione, 150°C

Si può notare come l’incremento di potenza e rendimento siano minimi, sempre inferiori all’1% rispetto al caso base. Vediamo ora temperature e rendimenti di secondo principio.

(66)

Grafico 5.12 – Rendimento e Tmax in funzione della Tout, 110°C

(67)

Grafico 5.14 – Rendimento e Tmax in funzione della Tout, 150°C

(68)

Grafico 5.16 – Confronto rendimenti di secondo principio ciclo semplice-recuperativo

Dai grafici 5.12-5.16 si possono estrapolare diverse conclusioni:

 La potenza netta aumenta leggermente grazie al minore consumo elettrico del condensatore, che deve scambiare meno calore. Il fluido che più è avvantaggiato dall’introduzione del recuperatore è l’N-esano che, a bassa temperatura, raggiunge le prestazioni dell’HCFO;

 Nel ciclo semplice avevamo visto che alla Tgeo di 110°C il rendimento ottimo si

trovava a temperature di riiniezione inferiori al limite di 70°C. Con l’aggiunta del recuperatore i rendimenti massimi e le potenze massime si spostano oltre questo valore di temperatura, rendendo il ciclo più vantaggioso;

 Il fluido più avvantaggiato è l’N-esano, quello con le prestazioni migliori l’R245fa.

5.1.3. Ciclo a due livelli di pressione

I fluidi utilizzati per questa analisi sono stati: N-pentano, N-esano, isobutano, R245fa, R134a. Nei prossimi grafici (5.17 – 5.20) è presente un confronto di potenze tra ciclo semplice e ciclo a due livelli di pressione, per l’R134a sono stati usati i valori di potenza netta ottenuti tramite ciclo supercritico (valori contornati di rosso).

(69)

Grafico 5.17 – Confronto potenze nette a Tgeo 110°C

(70)

Grafico 5.19 – Confronto potenze nette a Tgeo 150°C

Grafico 5.20 – Confronto potenze nette ciclo a doppio livello di pressione

Dai questi grafici in cui si mettono a confronto le potenze ottenute dai vari fluidi alle tre diverse temperature Tgeo, è evidente che il ciclo a due livelli di pressione aumenti

la potenza generata dall’impianto. Il fluidi che ricevono maggior vantaggio da questo ciclo sono quelli che hanno temperatura critica inferiore alla Tgeo, infatti a 110°C il

(71)

temperature del fluido geotermico il ciclo a doppio livello di pressione è molto conveniente, questo può essere visto anche analizzando i rendimenti.

Grafico 5.21 – Rendimenti di secondo principio ciclo a doppio livello di pressione

Nel Grafico 5.21 vediamo l’aumento dei rendimenti di secondo principio all’aumentare della Tgeo, si nota chiaramente come l’isobutano sia molto favorito quando la temperatura

del fluido geotermico supera la sua temperatura critica.

(72)

Nel grafico 5.22 si vede come aumentano i rendimenti di ciascun fluido al passaggio da un ciclo semplice ad uno a due livelli di pressione, per le tre temperature Tgeo prese in

considerazione. Vediamo che non ci sono sostanziali differenze tra i diversi fluidi alle basse temperature, fatta eccezione per l’R134a. Quando la temperatura aumenta a privilegiarne maggiormente è l’isobutano.

5.2.

FLASH

Definiamo 2 rendimenti da utilizzare per l’analisi di questo tipo di impianto: ƞ𝐼 = 𝑊𝑛𝑒𝑡𝑡𝑎

𝑚̇𝑔𝑒𝑜×(ℎ𝑖𝑛− ℎ0) (12)

ƞ𝐼𝐼 = 𝑊𝑛𝑒𝑡𝑡𝑎

𝑚̇𝑔𝑒𝑜× [ℎ𝑖𝑛−ℎ0−𝑇0×(𝑠−𝑠0)] (13)

Dove h0 e s0 sono entalpia e entropia a T0 = 15°C e p0 = 1 atm.

Mettiamo ora a confronto le potenze e i rendimenti di secondo principio ottenuti con un impianto a singolo flash.

(73)

Grafico 5.24 – Confronto rendimenti ciclo a singolo flash

Dai grafici 5.23 e 5.24 si vede come l’aumento di concentrazione di CO2 penalizzi

notevolmente il ciclo a causa dell’elevato consumo di potenza da parte del compressore, tale penalizzazione si accentua col diminuire della temperatura del pozzo, infatti quando Tgeo è pari a 150°C il rendimento è quasi nullo e la potenza molto bassa.

Per risolve questo problema ho analizzato un secondo tipo di impianto, sempre a singolo flash ma con un layout differente.

(74)

Grafico 5.26 – Confronto potenze singolo flash, 3% CO2

(75)

Grafico 5.28 – confronto rendimenti singolo flash, 3% CO2

Dai diagrammi sopra riportati si può notare come il nuovo layout sia vantaggioso quando il fluido geotermico si trova a bassa temperatura e alta concentrazione di anidride carbonica, poiché il compressore post turbina consuma molta meno potenza. A basse concentrazioni di gas e ad alte temperature i vantaggi nel nuovo layout svaniscono, rendendo più conveniente l’impianto tradizionale.

(76)

Grafico 5.30 – Confronto potenze nette singolo-doppio flash, 3% CO2

Riferimenti

Documenti correlati

Facendo riferimento alla configurazione definita come standard nella quale si utilizza il “Fluido Zuccato” con una percentuale di perdita dello stesso pari al 5% ed

Se il volume d’acqua in esame è maggiore, così come nel caso della geometria utilizzata nell’ultima simulazione, la situazione migliora notevolmente: la

polmonari sono inoperabili al momento della diagnosi; la chemio- e la radioterapia hanno in questi casi un ruolo importante, ma palliativo, determinando un modesto miglioramento

8° Congresso Nazionale AME 4° Meeting congiunto con AACE Torino, 10-12 Ottobre 2008. - I pazienti con onT4-Tg

I vincoli avvertiti sono fondamental- mente le politiche sanitarie e le loro applicazioni, ma anche l’attività degli amministratori/amministrativi, la ripartizione delle risorse e

C.2 Impianti a vaso di espansione chiuso I generatori di calore alimentati con combustibile solido non polverizzato, installato negli impianti del tipo a vaso di espansione

Per i nuclei in cui sono presenti componenti tenuti al rispetto della condizionalità i canali di accesso ai percorsi di inclusione lavorativa e sociale sono due, o

Lo spettacolo (si afferma in quel periodo la spettacolarizzazione degli eventi teatrali) è in ogni caso un evento sociale, che avviene in un ambiente architettonicamente