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RICERCA DEI FATTORI DI RISCHIO PER SVILUPPO DI VAP DA KLEBSIELLA PNEUMONIAE PRODUTTRICE DI CARBAPENEMASI IN PAZIENTI VENTILATI INVASIVAMENTE COLONIZZATI A LIVELLO RETTALE E TRACHEALE

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Facoltà di Medicina e Chirurgia

Scuola di Specializzazione in Anestesia e Rianimazione e Terapia Intensiva

Tesi di specializzazione:

RICERCA DEI FATTORI DI RISCHIO PER SVILUPPO DI VAP DA KLEBSIELLA PNEUMONIAE PRODUTTRICE DI CARBAPENEMASI

IN PAZIENTI VENTILATI INVASIVAMENTE E COLONIZZATI AL LIVELLO TRACHEALE E RETTALE

Candidato:

Relatore:

Dott.ssa Lara Vegnuti

Dott. Paolo Malacarne

Direttore: Prof. Francesco Giunta

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INDICE

INDICE Pag. 3

INTRODUZIONE Pag. 4

1 L’ANTIBIOTICO RESISTENZE: UN PROBLEMA PREOCCUPANTE Pag. 8

2 MECCANISMI DI RESISTENZA ENTEROBACTERIACEAE Pag. 11

2.1 Le betalattamasi Pag. 11

2.2 Le carbapenemasi Pag. 12

2.3 La Klebsiella Pneumoniae Carbapenemasi Resistente Pag. 13

3 METODI DI SCREENING E RILEVAZIONE CARBAPENEMASI Pag. 14

3.1 Concetti di MIC, Breakpoint ed ECOOFF Pag. 15

3.2 Tecniche di tipizzazione fenotipica e genotipica Pag. 17

4 EPIDEMIOLOGIA DE KLEBSIELLA PNEUMONIAEA PRODRUTTRICE DI

CARBAPENEMASI Pag.

20

5 RACCOMANDAZIONE PER EVITARE LO SPREAD DI KPC Pag. 23

6 LE VAP Pag. 26

6.1 Definizione Pag. 26

6.2 Patogenesi Pag. 26

6.3 Eziologia Pag. 27

6.4 Diagnosi Pag. 28

6.5 Nuova nomenclatura CDC Pag. 29

7 LE COLTURE DI SORVEGLIANZA Pag. 35

8 STUDIO Pag. 38

8.1 Materiali e metodi Pag. 38

8.2 Raccolta dei dati Pag. 40

8.3 Microbiologia Pag. 41

8.4 Analisi statistica Pag. 41

8.5 Risultati Pag. 42 9 DISCUSSIONE Pag. 50 10 CONCLUSIONE Pag. 53 TAVOLE Pag. 55 BIBLIOGRAFIA Pag. 58 RINGRAZIAMENTI Pag. 64

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INTRODUZIONE

In questa tesi si è intrapreso uno studio osservazionale retrospettivo finalizzato alla ricerca dell’esistenza di fattori di rischio, che aumentano la probabilità dei pazienti ricoverati in terapia intensiva, di sviluppare una polmonite da ventilatore con agente eziologico la Klebsiella Penumoniae produttrice di carbapenemasi. Si sono dunque correlati due problemi fondamentali che affliggono le terapie intensive:

o le VAP (Ventilator Associeted Penumonia) infezione con maggior impatto clinico in termini di mortalità e morbilità nelle ICU (Intensive Care Unit) (1-42)

o e le infezioni da batteri multiresistenti.(2)

La KPC dal punto di vista epidemiologico, diagnostico e terapeutico risulta essere un batterio gravato da elevata mortalità e contro il quale, purtroppo abbiamo a disposizione uno scarso armamentario farmacologico. Il suo dilagare inarrestabile ha suscitato allarme a livello mondiale.(3) L’antibiotico resistenza è stata dichiarata come massimo livello di criticità dall’Organizzaione Mondiale della Sanità (World Health Organization; WHO), dal Centro per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (The Centers For Disease Control and Prevention; CDC), dall’Istituto di Medicina (Institute of Medicine), dalla Società degli Infettivologi d’America (The Infectious Disease Society of America) e da numerose altre associazioni. (2,4,5) L’urgenza di affrontare questo problema deriva anche dai seguenti fattori:

o le case farmaceutiche non hanno sviluppato nuove molecole né nuove classi di antibiotici;

o l’utilizzo di quest’ultimi è esteso, diffuso e non controllato (6); o non vengono attuate negli ospedali misure di prevenzione. (7)

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Risulta pertanto importantissima l’esecuzione di colture di

sorveglianza, in particolare del tampone rettale per KPC al fine di fermarne la diffusione utilizzando misure d’isolamento e prevenzione verso i pazienti colonizzati(8). Anche l’utilizzo del broncoaspirato come coltura di sorveglianza nei pazienti intubati e ventilati è di rilievo per orientare il medico verso un’eventuale terapia empirica. (9-10) Sono già stati dimostrati fattori di rischio per l’insorgenza d’infezioni da KPC(11,13) tra cui i più rilevanti risultano essere: precedenti ospedalizzazioni, l’utilizzo di antibiotici specialmente carbapnemici, β-lattamici, chinolonici e cefalosporine a spettro esteso, il diabete mellito, la presenza di cateteri, la severità della malattia. La colonizzazione rimane un requisito essenziale per sviluppare l’infezione. Tuttavia in terapia intensiva, molti di questi pazienti presentano i fattori di rischio sopra elencati, ma solo una parte dei pazienti sviluppa una VAP da KPC. Lo scopo dello studio è stato perciò quello di rielaborare i dati dei vari pazienti infetti e colonizzati da KPC per individuare quei fattori che favoriscono davvero o che determinano, in alcuni di questi, l’insorgenza di una polmonite associata a ventilatore. Come detto prima infatti diviene importante capire quali sono i fattori di rischio e puntare a una prevenzione che risulta essere un’arma essenziale in un’epoca dove gli antibiotici stanno diventando inefficaci.

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Introduction

The rapid spread of carbapenemase-prodicing Klebsiella pneumoniae (KPC-Kp) as pathogen responsive of infections, expecially in intensive care units (ICU) has reached alarming levels worldwide.(2)

Active surveillance of patient colonization is recommended, using rectal swab screening (8). Identification of carriers is useful in order to prevent the spread over an institution using a strict contact precaution measures and physical or functional isolation of colonized patients.(3)

He VAP is the most frequent ICU infection (1) and often are caused by MDR microorganism such as KPC-Kp. In order to diagnose and treat earlier VAP in ICU, a surveillance of tracheal colonization in intubated or tracheotomized patients is proposed(9,10): in fact the knowledge of the microorganisms that colonize trachea, enables the starting of a prompt oriented empirie therapy, in case of VAP onset. (11).

Tumbarello et al.(12) described a predictive model for identification of hospitalized patients harboring KPC-Kp. Risk factors identified by multivariate analysis were: recent carbapenem and/or fluoroquinolone therapy in the previous month, recent surgery in the previous month, 2 previous acute-care hospitalization (in the previous year), indwelling urinary catheter, CVC, neutropenia and Charlson score ≥ 3.

Instead in ICU patients, risk factors only for rectal KPC-colonization were already described (13,14) previous ICU stay, COPD as co-morbidity, duration of hospitalization previous ICU admission, previous antibiotic use, expecially carbapenems, other beta-lactams, quinolones, and severity of acute illness. Host colonization is a prerequisite for the development of infection (15,16): however, only a minority of colonized patients develop KPC-Kp infection, but no study has evaluated so far

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risk factors for KPC-Kp VAP in tracheal and rectal colonized ICU patients.

The aim of the present study was to demonstrate the risk factors for KPC-Kp VAP onset, in rectal and/or tracheal KPC-Kp colonized ICU patients.

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1. L’ANTIBIOTICO RESISTENZE: UN PROBLEMA PREOCCUPANTE

Negli ultimi anni si sono susseguiti numerosi report sulle resistenze batteriche, l’ultimo è americano ed è intitolato “Antibiotic Resistance Threats in the United States 2013”. Rilasciato dal centro per il controllo e prevenzione delle malattie (The Center for Diseas Control And Prevention CDC)(3) il documento ha lo scopo di rilevare l’importanza di questo emergente e sempre più dilagante problema. Il report molto vasto e articolato, oltre a raccogliere dati (incidenza, mortalità, costi) sullo sviluppo delle nuove resistenze, elenca anche una serie d’indicazioni su come ognuno, dai pazienti ai dottori, può essere attivo nel prevenire e cercare di rallentare/fermare questa piaga. Il bisogno di pubblicare il documento e di disegnare un quadro generale della situazione deriva dal fatto che le resistenze stanno diventando un grosso e spaventoso problema negli ospedali (in particolare nelle terapie intensive) non solo da un punto di vista clinico, ma anche economicamente.(17) Risulta quindi necessario soffermarci su questo aspetto, perché gli antibiotici rappresentano davvero dei farmaci salvavita e possono fare la differenza per i pazienti. In un’intervista il dott. Steven Solomon, (18) direttore del reparto sulle resistenze batteriche del CDC, rileva il fatto che il documento sia rivolto anche ai non professionisti per risvegliare l’attenzione su un problema che rischia di condurci a un ritorno all’era preantibiotica. Nel documento vengono individuati 18 microrganismi che rappresentano una grossa sfida come resistenze per la salute pubblica. Questi microrganismi sono stati divisi in tre gruppi:

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9 URGENT THREATS MINACCIA URGENTE SERIOUS THREATS MINACCIA GRAVE CONCERING THREATS MINACCIA PREUCCUPANTI  CLOSTRIDIUM DIFFICILE  ENTERBACTERIACEAE CARBAPENASI RESISTENTI  NESSERIA GONORRHOEAE  ACINETOBACTER MULTIRESISTENTE  CAMPILOBACTER MULTIRESISTENTE  CANDIDA RESISTENTE AL FLUCONAZOLO  ESBL  ENTEROCOCCO VANCOMICINA RESISTENTE  PSEUDOMONAS AERUGINOSA MULTIRESISTENTE  SALMONELLA TYPHI E NONTYPHI MUTIRESISTENTE  SHIGHELLA MULTIRESISTENTE  STAFILOCOCCO METICILLINO RESISTENTE  TUBERCOLISI MULTIRESISTENTE.  STAFILOCOCCO AUREUS VANCOMICINA RESISTENTE (VRSA)  STREPTOCOCCO DI GRUPPO A RESISTENTE ALLA ERITROMICINA  STREPTOCOCCO GRUPPO B RESISTENTE ALLA CLICNDAMICINA

Tabella 1: Batteri più pericolosi che hanno sviluppato multi-resistenze

Come si può vedere le enterobacteriaceae carbapenemasi resistenti rientrano nel gruppo che necessita di un trattamento urgente. Infatti il rischio della loro diffusione è alto e, rapidamente, stanno diventando

intrattabili. Si riportano nella figura 1 i dati sulla stima del problema.

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Dalle informazioni raccolte nella prima parte del 2012 circa il 4% degli ospedali di breve degenza ha un paziente con una grave infezione da CRE, mentre almeno il 18% degli ospedali a lunga degenza hanno una di queste infezioni. Circa 140.000 infezioni negli Stati Uniti sono legate alle enterobacteriaceae di queste 9000 sono carbapenasi resistenti. Circa la metà delle batterimie finiscono con la morte del paziente. A oggi l’infezione da KPC ricopre circa 11% delle infezioni da enterobacteriaceae.(3,19,20)

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2. MECCANISMI DI RESISTENZA ENTEROBACTERICEAE

Le enterebacteriaceae sono germi Gram negativi asporigeni. Sono ubiquitari, ma prevalentemente si ritrovano nell’intestino sia animale che umano. Fanno parte di questa famiglia numerosi generi : E.Coly; Shighella; Salmonella; Citobacter, Klebsiella, Enterobacter, Proteus, Morganella, Yersinia. Sono responsabili nella maggior parte dei casi di infezioni del tratto gastoenterico e tratto urinario, ma nei pazienti defedati possono dare luogo a infezioni sistemiche, polmoniti e meningiti. L’uso non appropriato degli antibiotici ha portato all’insorgenza di diversi meccanismi di resistenza. I più importanti sono legati a enzimi capaci di idrolizzare l’anello beta lattamico. La loro comparsa risale agli anni quaranta. L‘azione di queste molecole dette “penicillasi” può essere contrastata dall’utilizzo degli inibitori suicidi delle penicillasi come sulbactam o acido clavulanico. Da qui l’esigenza di sviluppare nuovi farmaci e l’arrivo sul mercato delle cefalosporine di III^ e IV^ generazione, dei carbapenemici e dei monobattami. A questo però i batteri hanno risposto con una pletora di nuove “ lattamasi”- che includono extended spectrum β-lactamasis ESBL, plasmid mediated Amp C enzime e le carbapenasi. A tutt’oggi si conoscono circa 890 enzimi capaci di innescare multiresistenza.(21,22,23)

2.1 β-lattamasi

Le beta lattamasi possono essere divise in 4 classi (dalla A alla D) in base alla loro struttura primaria (classificazione secondo Ambler). In base allo spettro di substrati su cui agiscono e alla loro suscettibilità agli inibitori, possono essere invece divise in una serie di gruppi funzionali. Le classi A e C sono le più comuni e hanno un residuo di serina. La classe B comprende le metallo β-lattamasi. Le classi A e D

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sono mediate dai plasmidi, la B e la C sono quasi sempre codificate da geni cromosomici e perciò rimangono confinate solo a particolari specie batteriche. (21,22,23,24) La tabella che segue riguarda le varie molecole responsabili delle resistenze e le loro caratteristiche. (25)

Tabella 2. La tabella illustra le principali lattamasi, la calsse a cui appartengono, i batteri in cui più frequantemente si possono riscontrare e gli antibiotci su cui agiscono.

2. 2 Le carbapenemasi

La maggior parte delle carbapenemasi sono enzimi acquisiti codificati da geni posti su plasmidi. Possono essere espressi a vari livelli e avere diversi meccanismi attivi contro i beta lattamici. Il livello di espressione delle beta lattamasi e l’associazione con altri meccanismi di resistenza (compresenza di ESBL o la presenza di AmpC o la down regulation delle porine) porta a un enorme range di fenotipi resistenti. Le carbapenemasi appartengono alle classi A (serine-carbapenasi), B

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(metallo-carbapemasi) e D(OXA-carbapenemasi) di Ambler.(23) Fino a pochi anni fa erano non comuni, ma oggi giorno stanno inizando a essere sempre più frequenti.

CLASSE A 9 FAMIGLIE (KPC, SME, NMC-A, IMI, PER,GES, SFO, SFC, IBC)

CLASSE B 6 FAMIGLIE (VIM, GIM, SIM, NDM, IMP,SPM)

CLASSE D 2 FAMIGLIE (OXA, PSE)

Tabella 3: Geni delle carbapenemasi.

Sono attive non solo contro le oxymino-cefalosporine ma anche contro i carbapenemici. Le varie famiglie sono elencate nelle tabella 3. Tra queste le più diffuse e pericolose sono: le IMP-carbapenemasi trasmesse attraverso un plasimide (ne sono state identificata circa 17 varietà). Individuate per la prima volta nel 1990 in Giappone, si sono diffuse in oriente e nel 1997 sono state ritrovate anche in Europa, Canada e Brasile. Una seconda e crescente famiglia delle carbapnemasi è chiamata VIM è stata riportata in Italia nel 1999 (comprende circa 10 famiglie). Dall’Europa si è diffusa nel sud america, in oriente e negli Stati Uniti. Si hanno poi gli enzimi plasmidici KPC 1, 2 e 3 e infine le OXA tipo β hanno attività carbapenasi resistente aumentata(24) in alcuni ceppi da meccanismi addizionali di reistenza che riguardano le porine responsabili dell’efflusso o l’impearmibilità ad alcuni farmaci. La loro diffusione sta dilagando soprattutto per la capacità di questi batteri di passarsi attraverso i plasmidi.

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2.3 La Klebsiella Pneumonia Carbapenasi Resistente.

La Klebsiella è un batterio Gram-negativo. Ha forma di bastoncino, è dotata di capsula e priva di flagelli. Frequentemente presente nel materiale fecale umano, può anche provocare polmonite batterica. E’ comunemente coinvolta in infezioni nosocomiali del tratto urinario e delle ferite chirurgiche. Possiede anch’essa delle β-lattamasi. La KPC è una molecola della classe A di Ambler e utilizza una serina per facilitare l’idrolisi dell’anello beta lattamico: KPC inattiva le penicilline, le cefalosporine i monobattami, i carbapenemici e è debolmente inibita sia dall’acido clavulanico che dal tazobactam. L’enzima KPC è posizionato in un plasmide e spesso nello stesso si ritrovano meccanismi addizionali di multiresistenza (ESBL, resistenza agli aminoglicosidi e fluorichinolonici). Attualmente sono conosciute 10 varianti, da KPC-2 alla KPC-11. È inoltre preoccupante che tale enzima sia stato ritrovato in altre specie di Gram negativi.(26,27,28,29,30,31,32,33)

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3.METODI DI SCREENING KPC

3.1 Concetti di MIC, breakpoint e eco-off

Il metodo standard per misurare l’attività antimicrobiotica in vitro è la determinazione della MIC, cioè la concentrazione minima inibente di quel determinato antibiotico, che rallenta e inibisce la crescita batterica, valutata dopo 18-24 ore di incubazione come assenza di crescita. La quantità di batteri inoculata è 5x105 CFU/ml. La MIC si può calcolare con la diluizione in brodo o usando E-test strisce di carta con concentrazioni scalari di antibiotico.

Figura 2. Test di suscettibilità mediante E-test. Il numero sulla striscia rappresenta la MIC (µg/ml) per l’antibiotico in questione. IP=imipenem, MP=merropenem, ETP=ertapenem

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Per le MIC ci sono dei valori che permettono di caratterizzare i vari antibiotici e classificarli come resistenti, intermedi e sensibili a un determinato batterio. Questi valori sono detti break-point. I due principali enti che pubblicano questi valori sono Eucast agenzia europea non controllata dalle case farmaceutiche e CLSI, americana, in cui le case farmaceutiche hanno potere decisionale.(35,36) Eucast ha anche introdotto un importante concetto, quello di ECOOFF o cut-off epidemiologico che separa la popolazione selvaggia (che non presenta meccanismi di resistenza) dalle altre invece che potrebbero avere dei batteri multiresistenti. Dal 2011 in Europa vengono considerati i breakpoint eucast consultabili gratuitamente sul sito. Le MIC dei carbapenemici nei casi di enterobacteriaceae produttrice di carbapenemasi hanno dei valori più bassi rispetto ai break-point clinici. Tuttavia l’ECOFF come definito da Eucast può essere usato per scoprire i ceppi produttori di carbapenemasi. I valori appropriati di cut off sono mostrati nella tabella seguente.

CARBAPENEMICI MIC (mg/dl) Diametri sui dischi di diffusione in mm

S/I breakpoint Screnning cut-off

S/I breakpoint Screnning cut-off

Meropenem ≤2 ≥0.12 ≥22 ≤25

Imipenem ≤2 ≥1 ≥22 ≤23

Ertapenem ≤0.5 ≥0.12 ≥25 ≤25

Tabella 4. È da notare che per aumentare i livelli di specificità di imipenem e ertapenem i valori di cut-off sono una diluizione più alta rispetto ai correnti ECOFF.

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3.2 Tipizzazione fenotipica e genotipica

Dopo aver identificato una ridotta suscettibilità ai carbapenenmici, l’Eucast indica di eseguire test di suscettibilità per la tipizzazione fenotipica e, se possibile, genotipica. Il metodo di inibizione su disco è ormai validato è messo in commercio da MAST e Rosco. I dischi o le tavole contengono meropenem +/- vari inibitori degli enzimi. Se queste molecole sono aggiunte ai dischetti dei carbapenemici, un aumento dell’alone d’inibizione dimostra la presenza di carbapenemasi. Tra questi abbiamo l’acido borico che inibisce la classe A delle carbapenemasi, l’acido dipicolinico che inibisce le classi B delle carbapenemasi. Non ci sono attualmente inibitori per le classi D delle carbapenemasi. La cloaxacillina inibisce AmpC Beta lattamasi ed è stata aggiunta al test per differenziare l’iperproduzione di AmpC associata alla perdita di porine dalla presenza di carbapenemasi. L’algoritmo per interpretare questi test con inibitori è esposto nella figura 3. Il più grande difetto di questi test sono i tempi, la risposta è valutabile dopo 18 ore. Perciò nuovi metodi più rapidi sono al vaglio.(34)

Figura 3. Algoritmo per la identificazione carbapenemasi.

APBA=acido boronico aminopenilico, PBA=acido boronico fenilico DPA=acido dipicolinico EDTA=acido etilenediaminotetracetico ( in tutti i test gli inibitori delle β-lattamasi aggiunti ai dischi o alle tavole contengono meropenem).

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Tramite quest’algoritmo si possono differenziare le carbapenemasi di classe A, quelle di classe D e non-carbapenemase (ESBL e AmpC con perdita di porine). Al presente non ci sono inibitori per l’enzima OXA-48. La temicillina ha un alto livello di resistenza (MIC>32 mg/l) è stato proposto come marker della oxa-48, anche se non è specifico. Pertanto a oggi non si può con la tipizzazione fenotipica identificare la presenza di OXA-48. Segue la tabella per l’interpretazione del metodo fenotipico.

Tabella 5. Tabella per l’interpretazione fenotipica delle carbapenemasi.

Il test di Hodge non è raccomandato poiché i risultati sono difficili da interpretare, la specificità è bassa e in alcuni casi la sensibilità è subottimale.

Β-lattamasi Il sinergismo osservato come incremento del diametro (mm) con 10µg di meropenem

Temocillina MIC>32 mg/L o zona di

diametro<11mm

DPA/EDTA APBA/PBA DPA+APBA CLX

MBL + - - - Variabile

KPC - + - - Variabile

MBL+KPC Variabile Variabile + - Variabile

OXA-48-LIKE - - - - AmpC+ perdita di porine - + - + Variabile ESBL+perdita di porine - - - - NO

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Ci sono oggi dei metodi più rapidi che possono essere utili per identificare le carbapenemasi e danno risultati in poche ore. Uno di questi chiamato Carba NP test si basa sul fatto che l’idrolisi delle carbapenemasi fa passare il colore della colonia da rosso a giallo. Questo metodo è stato validato con colonie batteriche che crescono su terreni agar Muller Hilton, agar arricchito con sangue e altri terreni selettivi. Non è validato sui terreni Drigalisky o McConkey. Tra i test d’identificazione fenotipica convenzionali va anche ricordato l’E-test che si basa sull’utilizzo di strisce di carta sulle quali sono disposti gli antibiotici con concentrazioni scalari.(37) Le strisce sono appoggiate sull’agar, dove i batteri sono stati seminati; la MIC si legge dopo 18-24 ore d’incubazione come l’intersezione dell’alone d’inibizione ellittico con la striscia (Figura 5). Tale metodo può essere utilizzato anche per determinare il sinergismo tra due antibiotici.

Infine si può fare l’identificazione genotipica, la maggior parte è basata sull’amplificazione di determinate sequenze del genoma batterico. Dopo aver individuato le sequenze, si confrontano con quelle ormai numerose, disponibili nelle banche genomiche. Restano, tuttavia diversi svantaggi quali, non poter identificare nuove varianti di beta lattamasi, un alto costo dei test e l’esecuzione solo in laboratori di riferimento. (38)

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4 EPIDEMIOLOGIA NEL MONDO

Il primo isolamento di KPC si è avuto nel 1996 in North Carolina – USA. Da qui si sono poi registrati casi in New York City, Pensylvania e Texas. Il primo caso di KPC al di fuori degli Stati Uniti d’America è stato segnalato in Israele. La pandemia ha poi coinvolto Brasile, Argentina fino a raggiungere l’Europa dove il paese più colpito è la Grecia. Anche Cina e Brasile presentano una buona casistica d’infezioni legati a KPC. Le aree endemiche sono: nord est degli Stati Uniti, Israele, Colombia e Grecia. In Italia, il batterio è arrivato per trasferimento, in una terapia intensiva ligure, di una paziente italiana ricoverata in un ospedale israeliano per un politrauma accorso durante una vacanza. La paziente era stata colonizzata durante la degenza nella terapia intensiva israeliana. Il primo caso “autoctono” è stato registrato nel 2008 presso l’ospedale universitario di Firenze e ha interessato una paziente con un’infezione intra-addominale complicata. In questo caso la paziente non aveva avuto contatti con aree endemiche per KPC e l’unico fattore epidemiologico che è stato chiamato in causa sono stati due medici israeliani che si trovavano per uno stage presso la terapia intensiva dove era ricoverata la paziente. Il tampone rettale dei due medici, a due mesi di distanza, era risultato negativo.

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Figura 3. Distribuzione geografica della pandemia da KPC.

E’ noto che il gene codificante per l’enzima carbapenemasi risiede in un plasmide batterico. Nel primo caso di KPC isolato in North Carolina - USA, il batterio isolato era resistente a tutti i β-lattamici, ma la minima concentrazione inibente (MICs) ai carbapenemici era ridotta dopo l’aggiunta di acido clavulanico (inibitore delle β-lattamasi). La scoperta di questo plasmide codificante per le β-lattamasi, KPC-1, è stata seguita dalla descrizione di altre mutazioni plasmidiche. Per quanto riguarda l’Europa, lo spread si è avuto intorno alla metà degli anni novanta ed era prevalentemente legata a P. Aeuroginosa. Nel 2000 invece la Grecia si è trovata ad affrontare l’epidemia di Verona-integron-encoded metallo-β-lactamase (VIM) di K. Pneumonia seguita poi da un’epidemia di Klebsiella Pneumonia Carbapenemase produttrice. In Grecia e in Italia dal 15 al 60% delle KPC non sono più suscettibili ai carbapenemici. Un'altra carbapenemasi molta diffusa nei paesi asiatici e in particolare in India è la New Delhi

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lattamasi (NDMs). Nel 2009 la frequenza di ceppi di K. Pneumoniae resistenti ai carbapenemici era al di sotto dell’1-2% nella maggior parte dei paesi europei, oggi invece in Grecia e a Cipro la frequenza è elevata e pari, rispettivamente, a 43,5% e a 17%. In Italia, si è osservato un trend in drammatico aumento: mentre nel 2009 solo l’1,3% dei ceppi di K. Pneumoniae isolati dal sangue era resistente, questa percentuale è salita al 16% nel 2010 e al 26.7% nel 2011. Dal punto di vista della sanità pubblica questa condizione è preoccupante perché la rapida diffusione di KPC è soggetta a essere la fonte di molte infezioni nosocomiali, soprattutto in pazienti gravemente compromessi, ed è nota la sua capacità di acquisire e trasferire i caratteri di resistenza anche alle altre Enterobacteriaceae. (39,40)

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5.RACCOMANDAZIONI PER EVITARE LO SPREAD DI KPC

Seguono l’elenco delle raccomandazioni che si possono trovare nel documento: linee guida per la gestione e il controllo del rischio infettivologico e misure di riduzione della trasmissione dei batteri Gram-negativi multiresistenti nei pazienti ospedalizzati della Società Europea di Microbiologia Clinica e Malattie Infettive. Sono stati descritti per quanto riguarda la KPC metodi di trasmissione attraverso mani dai pazienti colonizzati, ma anche attraverso la catena alimentare. (41)

Interventi Evidenza Raccomandazione Note

Lavaggio mani (Hand Hygiene HH)

Bassa Forte Nonostante non esistano grossi studi specifici per KPC, gli autori del documento ritengono che HH, dimostratosi efficace per molti altri organismi, possa trovare applicazione anche per quanto riguarda i microorganismi MDR. Pertanto è consigliato di attuare programmi di educazione HH per ridurre la trasmissione di MDR-K. Pneumoniae. Gli operatori sanitari dovrebbero essere incoraggiati a eseguire HH a base di alcol, da effettuare prima e dopo ogni contatto con il paziente. Sapone e lavaggio delle mani sono necessari quando le mani sono visibilmente sporche, come ad esempio fluidi corporei o secrezioni. Monitoraggio degli HH, conformità e feedback per gli operatori sanitari dovrebbero essere eseguita per ottenere una maggiore compliance. Dettagliate indicazioni su come monitorare e migliorare HH conformità sono forniti dalle linee guida dell'OMS (livello di raccomandazione classificato come IA-IB)

Precauzioni e limitazione di contatto (Contact

Moderata Forte Implementare CP per tutti i pazienti colonizzati, in tutti gli ambiti ospedalieri, in modo da ridurre il rischio di acquisizione.

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Precautions) Operatori sanitari che si occupano di

pazienti colonizzati o infetti con MDR-K. Pneumoniae devono indossare guanti e camici prima di entrare nella stanza e dovrebbe rimuovere questi, subito dopo il contatto con il paziente e quindi eseguire HH. Sulla sua efficacia attualmente però non ci sono prove disponibili.

Codici di riconoscimento-allerta

Moderata Forte Usare un codice di allerta per identificare tempestivamente i pazienti già noti come colonizzati all'ammissione in ospedale o in reparto ed effettuare screening dei pazienti ricoverati.

Camere d’isolamento

Moderata Forte Isolare colonizzati e infetti in una stanza singola per ridurre il rischio di acquisizione di MDR-K. Pneumoniae. L'attuazione della stanza d’isolamento deve prestare comunque attenzione visto la possibilità d’insorgenza di effetti collaterali, quali complicazioni cliniche dovute alla riduzione dei contatti tra medici e infermieri, tra medici e pazienti, della qualità della vita, ei possibili effetti psicologici.

Piani di educazione

Moderata Non obbligatoria Condurre programmi educativi per assicurare che il personale sanitario capisca perché è importante limitare la diffusione d MDR-K. pneumonia. Garantire regolari incontri multidisciplinari per l'attuazione degli interventi, rivedere, verificare l'aderenza per riportare i dati locali e le risposte a tutti gli operatori sanitari e altro personale interessato.

Pulizia degli ambienti (environmental cleaning EC)

Moderata Non obbligatoria Implementare procedure regolari EC, che comprendono detergenti o disinfettanti, secondo la pratica locale per ridurre la velocità di trasmissione. Garantire la pulizia delle attrezzature, del paziente e dell’ambiente. Quando possibile, dedicare apparecchiature mediche esclusive per i pazienti colonizzati o infetti con MDR-K.

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Tabella 6: Raccomandazioni base in condizioni di endemia da MDR- Klebsiella Pneumonia.

Pneumoniae. Attrezzature in comune dovrebbero essere disinfettati tra l'uso su pazienti diversi.

Sterwardship degli antibiotici

Molto bassa Non obbligatoria Gli autori tuttavia consigliano di prendere in considerazione questo tipo di politica.

Programmi di prevenzione e controllo delle infrastrutture

Moderata Non obbligatoria Non ci sono prove a disposizione per fornire consigli pro o contro, l'intervento. Tuttavia, gli autori suggeriscono la fornitura di supporto amministrativo, comprese le risorse economiche e umane, per prevenire e controllare MDR-K. trasmissione Pneumoniae entro la struttura sanitaria. Utilizzare le risorse di salute pubblica per sostenere l'avvio di interventi IPC all'interno ospedali.

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6.VAP

6.1 Definizione

Si definisce VAP (Ventilator Associated Pneumonia) una polmonite noscomiale che compare in un paziente connesso a un ventilatore meccanico da almeno 48 ore. Il cut off delle 96 ore di ventilazione è generalmente riconosciuto come limite per distinguere le VAP a insorgenza precoce da quelle tardive. Il nostro interesse verso questo tipo di patologia è legata al fatto che le polmoniti nosocomiali rappresentano una delle infezioni ospedaliere con maggior impatto clinico in termini di mortalità e morbilità e nelle ICU colpisce nel 90% dei casi, pazienti sottoposti a ventilazione meccanica. (1,42,46) Inoltre più del 25% delle infezioni in ICU sono Vap. Uno studio multicentrico EU-VAP/CAP, che ha coinvolto 27 ICU di nove differenti nazioni eruopee, ha recentemente segnalato un dato di prevalenza di VAP tra il 4% e il 38% con un’incidenza complessiva di 18,3 episodi per 1000 giorni di ventilazione con un significativo incremento della durata della ventilazione meccanica della degenza in ospedale in ICU e dei costi complessivi del ricovero.(43) La mortalità di una VAP varia del 24% fino al 50% ma se a questo si aggiunge che il patogeno che la sostiene è multiresistente si sale fino al 76%.(44) Capire l’impatto di queste infezioni è difficile ma una recente metanalisi ha mostrato che il rischio di mortalità viene aumentato dalla VAP di circa due volte.

(27)

27

6.2 Patogenesi

Le VAP così come le HAP (Hospital Acquried Pneumoniae) s’instaurano per perdita del delicato equilibrio tra i germi colonizzanti il tratto orobronchiale e i meccanismi difensivi innati dell’albero bronchiale e del parenchima polmonare. Il tubo tracheale può portare germi che popolano la cavità orofaringea nel tratto bronchiale a causa della manovra d’intubazione (Early Onset VAP), ma anche la stessa permanenza del tubo, attraverso la perdita del riflesso della tosse, le lesioni mucosali indotte dalla cuffia e la formazione di un biofilm batterico sulla propria superficie, rappresentano una soluzione di continuità cruciale per l’avanzamento della flora patogena nelle basse vie respiratorie. La VAP può originarsi per diretta inalazione della flora orofaringea o per migrazione oltre il piano glottico, per le microfissurazioni che separano la cuffia dalla mucosa tracheale. Il punto di criticità rimane quindi lo spazio sottoglottico. Altri meccanismi come l’embolizzazione alveolari di colonie batteriche aggregatesi nel biofilm del tubo, l’aspirazione di aerosol contaminanti e la localizzazione polmonare di un processo ematogeno sono possibili ma, più rari. È noto come i pazienti critici in UTI modifichino la flora microbica commensale a favore dei germi maggiormente patogeni come appunto i Gram negativi enterici. Infine l’innalzamento del PH dello stomaco dei pazienti critici è un pabulum per la risalita dei batteri enterici facilitati anche dalla posizione supina e dalla presenza del sondino oro/nasogastrico. (1,47) Si deve anche ricordare che esistono altri numerosi fattori che possono causare o facilitare l’instaurarsi di una VAP e oltre a essere legati alle caratteristiche del paziente possono essere anche fattori esogeni. Schematicamente vengono illustrati i vari fattori di rischio per VAP. (48)

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28

Fattori di rischio del paziente

Fattori di rischio legati all’ospedalizzazione

Fattori di rischio correlati alla terapia farmacologica

Età avanzata Ustioni

Malattie polmonari croniche Fumo

Coma

Colonizzazione gastrica Immunosoppressione Stato di alterata coscienza

Genere maschile Malnutrizione Malattie neuromuscolari

Insufficienza d’organo Colonizzazione orofaringea Insufficienza respiratoria acuta

post operatoria Trauma Setticemia Sinusite Malattie croniche Broncoscopie Intubazione in emergenza Intubazione endotracheale Nutrizione enterale Cambi frequenti dei circuiti del

ventilatore Aspirazioni gastriche Alta frequenza di antibiotico

resistenze

Ospedalizzazione maggiore di 5 giorni

Intubazione a lungo termine Ventilazione meccanica

Accessi venosi centrali Sondino naso gastrico

Re-intubazione Posizione supina Chirurgia toracica Tracheotomia Trasferimenti da UTI ad altri

reparti

Antiacidi Antibiotico terapia nei

precedenti 90 giorni Sedazione eccessiva

Inibitori di pompa Corticosteroidi

Curari

Esposizione agli antibiotici in particolare cefalosporine di III^

generazione Trasfusioni Antagonisti dei recettori H2

Tabella 7. Fattori di rischio per VAP.

6.3 Eziologia

La tipologia di microrganismi responsabile di una VAP è strettamente legata ai fattori di rischio che il paziente ha per l’acquisizione di germi nosocomiali, multiresistenti. La distinzione tra polmoniti precoci e tardive aiuta nella stratificazione del rischio. Per quanto riguarda le

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HAP; le VAP e HCAP rispetto a quelle comunitarie sono generalmente polimicrobiche e soprattutto sempre più frequentemente sono dovute a patogeni multiresistenti. Dai dati internazionali raccolti nel quinquennio 2004-2008, i batteri coinvolti sono: Saphilococcus Aureus (di cui il 50% può essere MRSA), Pseudomonas Aureoginosa (che può esprimere una down regolation delle porine sulla superficie o delle pompe di efflusso sulla membrana o metallo-βlattamasi), Klebsiella spp, Eschierichia Coly Acinetobacter Baumanni, Enterectobacter (tutti possono possedere ESBL, AMPc e carbapnenemasi mediate da plasmidi). (45) Negli ultimi anni, infatti, le forme resistenti di questi patogeni stanno aumentando ed è il motivo per cui le VAP stanno avendo un crescente impatto clinico ed economico. La resistenza ai carbapenemici lascia come scelta terapeutica solo molecole di vecchia generazione come la colistina.

6.4 Diagnosi

Si può sospettare una VAP quando in un paziente, alla comparsa di un nuovo e persistente infiltrato radiografico polmonare si associano chiari segni di flogosi (febbre, leucocitosi/leucopenia, secrezioni tracheobronchiali purulente) e una diminuzione dell’ossigenazione. Un’ipodiafania, però, può essere dovuta a molte altre cause. Nei malati in terapia intensiva non è sempre facile individuare una polmonite, per questo Pugin et altri hanno proposto uno score CPIS Clinical Infectius Pulmonary Score da utilizzare come algoritmo nei pazienti a rischio di polmonite nei pazienti in ICU. (46)

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PARAMETRI VALORI SCORE

Temperatura 36.5-38.4 38.5-38.9 <36 o >39 0 1 2 Leucociti 4000-11000/mm3 <4000 o >11000/mm3 >500 granulociti 0 1 2

Secrezioni tracheali Nessuna Presenti Non purulente 0 1 2

Segni radiografici Nessuno infiltrato Infiltrato diffuso Localizzato 0 1 2 Risultati delle colture

Nessuna o moderata crescita Crescita moderata o florida

Crescita moderata o florida con identificazione patogeno 0 1 2 Stato di ossigenazione >240 o ARDS <240 e assenza di ARDS 0 2

Tabella 8. The clinical pulmonary infection score (CPIS).

Utilizzando sei parametri (febbre, leucocitosi, qualità dell’aspirato tracheale, ossigenazione, immagine radiografica e colture delle secrezioni tracheali) hanno riportato un dato di sensibilità del 93%.

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Tuttavia l’indice incorre nel rischio di risentire del giudizio interindividuale pertanto l’esecuzione del BAL può aumentare l’accuratezza e può essere utile sia a scopo diagnostico sia terapeutico per impostare una corretta terapia. I tempi di coltura portano a un ritardo con tempi di refertazione più lunghi. Nel caso di colture quantitative vanno considerati i cut off che sono 106 per il tracheoaspirato e 104 UFC per bronco lavaggio (BAL). Tuttavia l’esposizione a precedenti terapie antibiotiche potrebbe portare a una riduzione considerevole della carica microbica di sotto al valore soglia per una VAP. Anche il CDC propone il suo schema per la diagnosi di polmonite. (50)Qui sotto vengono riportati l’algoritmo per l’identificazione di una polmonite da batteri comuni e i dati di laboratorio specifici.

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Utile nello sviluppo d’infezioni batteriche è il monitoraggio dei biomarker come la pct, anche se nel caso delle VAP il suo ruolo non è ancora definito. Infatti, in uno studio francese in 74 casi di VAP si è visto che i valori di PCT rilevati sia il giorno della diagnosi sia, il giorno precedente e durante l’evoluzione, non correlavano bene con lo sviluppo della VAP.

6.4 Nuova classificazione CDC

Recentemente il CDC ha pubblicato a luglio del 2013, nuovi criteri per identificare VAP “possibile” e “probabile”. Lo scopo è di ottenere dei dati più sensibili e più precisi su quelle che sono le infezioni da ventilatore. Due giorni consecutivi con parametri stabili o in decremento delle impostazioni del ventilatore (PEEP o FIO2) seguiti almeno da un aumento considerevole di questi valori in almeno due giorni successivi con un peggioramento dei valori di ossigenazione, identificano una VAC (Ventilatored Associated Condition). Molte delle VAC sono associate a polmoniti, a edema polmonare, atelectasie, o ARDS. Queste patologie hanno bisogno di prevenzione e di altre strategie rispetto a una polmonite da ventilatore. Il secondo step dell’algoritmo diagnostico è definito IVAC cioè una “infezione correlata a complicanze da ventilatore” (Infecton-Relataed Ventilator-Associated Complication), individua un sottogruppo di VAC che potrebbero essere legate a un’infezione. Questo stato è caratterizzato da un processo infiammatorio con febbre, aumento della conta dei globuli bianchi e uno o più nuovi antibiotici per almeno 4 giorni. Presenza di secrezioni purulente (dove le secrezioni purulente si definiscono la rilevazione con metodi semiquantitativi o quantitativi di neutrofili su uno striscio per colorazione di Gram) e culture positive inseriscono il paziente in

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una possibile o probabile VAP. Pazienti che presentano solo uno dei due fattori (o secrezioni purulente o culture positive) sono una “possibile polmonite da ventilatore”. Se invece presentano entrambi, in particolare, la positività a colture effettuate a livello delle basse vie aeree, sono una probabile polmonite da ventilatore. Questi nuovi criteri sono stati adottati dagli Stati Uniti perché le VAP sono prese come indicatori di qualità degli ospedali e la loro prevenzione è un goal importante per la sicurezza e la qualità delle cure nel malato. (51)

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Quest’approccio sembra più appropriato per identificare le VAP. Due fattori sono importanti nell’algoritmo: il primo che l’evidenza radiografica di polmonite non è più inserita nei criteri diagnostici e secondo che solo i dati di VAC e IVAC potranno essere riportati per studi o report, essendo dati legati strettamente alla ventilazione e alla prescrizione di antibiotici sono dati difficili da alterare o manipolare. Ciò porterà ad avere dati più precisi e validi che faciliteranno i confronti tra i vari ospedali e, ancora più importante, miglioreranno la qualità di cura nei malati delle terapie intensive.

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7. LE COLTURE DI SORVEGLIANZA

Le colture di sorveglianza sono una continua sistematica raccolta e interpretazione dei dati microbiologici, il cui scopo è di migliorare e implementare il controllo delle infezioni per elaborare nuove strategie atte a prevenirle. Esse possono essere così definite:

LOCALI: servono a creare database dei trend di resistenza locale e individuare insorgenza di nuovi meccanismi di resistenza all’interno dell’ospedale. Lo scopo è adattare le linee guida o crearne specifiche per le proprie realtà, in modo da ottenere strategie di controllo delle infezioni cucite addosso alla propria situazione;

DEL PAZIENTE: hanno lo scopo di rivelare e annotare lo stato di colonizzazioni o d’infezioni di un malato, in modo da mettere in atto le protezioni di barriera, l’isolamento ed eventualmente inizio di una terapia empirica o la correzione di quest’ultima alla luce dei nuovi dati. Differiscono dalle colture diagnostiche che invece sono mirate, campionate a livello del sito di sospetto clinico dell’infezione e prelevate dai cosiddetti “dee site” evitando di campionare invece i “contaminated sites”. Le colture di sorveglianza possono essere effettuate su normali campioni indipendentemente dal sospetto clinico e vengono fatte preferibilmente nei siti di colonizzazione che generalmente sono superficiali. Il fine è di permettere di documentare la presenza di alcuni batteri per limitarli e evitare che portino a infezioni.

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Figura 5. Siti per colture di sorveglianza e siti per colture diagnostiche.

L’uso delle colture di sorveglianza è una pratica ormai diffusa e negli anni del diffondersi dei batteri multi resistenti, diversi sono stati gli articoli che hanno mostrato come le colture di sorveglianza sono componenti essenziali di una strategia multifattoriale, per cercare di proteggere i pazienti (52). Nel 2008 il CDC per prevenire lo spread delle enterobacteriaceae ESBL consigliava di sviluppare e implementare protocolli per ottenere culture di sorveglianza attive (ASC). Nei pazienti che ricevono un supporto ventilatorio prolungato, la colonizzazione con microorganismi ospedalieri è comune e come Valenti e Brusselaers (53-54) suppone, l’infezione è preceduta dalla colonizzazione. Il ritardo nell’iniziare una terapia antibiotica può peggiorare l’outcome così come, però un inappropriato uso di antibiotici a largo spettro può far insorgere multiresistenze. Per questo motivo il conoscere o intuire il patogeno, che causa la mia polmonite, in anticipo può aiutare il clinico a intraprendere la giusta terapia. Da

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questo concetto le colture di sorveglianza su tracheo o bronco aspirato effettuate in assenza di segni d’infezioni possono avere rilevanti implicazioni cliniche per il paziente. L’obiettivo è stato quello di mostrare negli anni che le colture di sorveglianza possono essere una guida per impostare la terapia una volta comparsa l’infezione. Molti studi (9) hanno dimostrato la validità di tale ipotesi, ma per avere un buon riscontro si devono implementare e creare dei protocolli intensivi di sorveglianza (10). Negli anni si è giunti alla conclusione che esse possono guidare la terapia, poiché possono prevedere, in particolare per Pseudomonas Aeuroginosa e MRSA nel 75-80% dei casi, il patogeno responsabile della Vap o della batteremia. Devono però essere eseguite almeno due o più, volte la settimana. Si ha inoltre un’alta corrispondenza se le colture di sorveglianza sono state eseguite entro 72 ore dall’insorgenza dell’infezione. Le colture diagnostiche rimangono comunque obbligatorie. L’inizio della terapia empirica ragionata deve prevedere uno spettro di antibiotici diverso rispetto a quello che si ritrova nelle varie linee guida.

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38

8 STUDIO

8.1 Materiali e Metodi

Per individuare dei fattori di rischio specifici, associati all'acquisizione di VAP da KPC nei pazienti ricoverati in terapia intensiva KPC - colonizzati, è stato eseguito uno studio retrospettivo caso-controllo. I dati sono stati raccolti presso la terapia intensiva del pronto soccorso (10 posti letto) dell’Azienda Ospedaliera Pisana (AOUP). L’ospedale di Pisa è un ospedale universitario, di terzo livello con 1440 posti letto e un numero di ricoveri in UTI di oltre 350 casi anno. Dal 2011 per controllare lo spread nosocomiale di KPC, ogni paziente all’ingresso in UTI era sottoposto a colture di sorveglianza attiva due volte a settimana: al ricovero su ogni malato veniva eseguito un tampone rettale di screening per KPC e tracheoaspirato per i pazienti intubati. La ricerca della colonizzazione rettale è stata effettuata al fine di isolare i pazienti colonizzati con KPC (trasferimento dei pazienti positivi in box dedicati; da 1 fino a 4 posti letto). L’esecuzione del tampone tracheale è stata utilizzata sia per isolare il paziente colonizzato, sia anche per orientare un’eventuale terapia antibiotica empirica in caso d’insorgenza di VAP. Tutti i pazienti risultati positivi alla colonizzazione (sia tracheale, rettale, che entrambe) tra il gennaio 2011 e dicembre 2013, sono stati inclusi nello studio. I criteri di esclusione sono stati:

 età ≤ 18 anni

 Colonizzazione da KPC o VAP da KPC già nota al momento del ricovero in terapia intensiva

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-presentavano doppia colonizzazione (sia tracheale sia rettale)

-non erano andati incontro a nessun episodio di polmonite associata al ventilatore.

I casi sono stati invece individuati tra:

- pazienti che hanno sviluppato una VAP da KPC con un precedente campione rettale e tracheale positivo senza in quel momento segni d’infezione.

Tutti i pazienti definiti come “casi” con colonizzazione a livello rettale o tracheale e un successivo VAP da KPC sono stati inclusi nello studio. Quando un paziente ha avuto diversi episodi di VAP da KPC, solo il primo è stato considerato. Il match tra casi e controllo è stato di 1 a 2. La VAP da KPC è stata definita come un’infezione polmonare secondo i criteri del Center for Disease Control and Prevention (CDC) National Healthcare Safety Network (NHSN) (50), con isolamento dai campioni laboratoristici come agente eziologico la KPC con una concentrazione ≥ 104 CFU nel BAL e ≥ 106 CFU nell’aspirato tracheale. Il match tra i casi e i controlli, nel rapporto di 1 a 2 è stato fatto tendendo in considerazione i seguenti parametri:

o Tempo di follow-up, definito come il tempo a rischio di sviluppare una VAP da KPC dopo il test di screening positivo (i controlli hanno avuto lo stesso tempo di controllo dei loro match case). o Tempo di rilevazione colonizzazione tracheale KPC primaria (+ /

- 2 giorni)

o Età entro 5 anni o Stesso sesso

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o Periodo di rischio (+/- 2 giorni). Per periodo di rischio s’intende, nel gruppo denominato come “casi” il numero di giorni intercorsi dalla prima coltura di sorveglianza positiva e lo sviluppo della VAP, mentre nei pazienti definiti come “controlli” come numero di giorni da quando un paziente è stato identificato colonizzato fino alla non diagnosi d’infezione.

Il follow-up è stato diviso in due fasi: la prima è stata calcolata come il periodo intercorso tra l’ammissione e la prima colonizzazione (tracheale e/o rettale); la seconda fase è stata calcolata come il periodo dalla prima colonizzazione all'acquisizione VAP per i “casi” e per i “controlli”, un periodo dello stesso numero di giorni compreso tra la prima colonizzazione e la dimissione.

8.2 Raccolta dei dati

I dati sono stati estratti dalle cartelle cliniche dei pazienti e dal database " ProSafe " (55). Il protocollo di studio è stato approvato dal Comitato Etico dell’Ospedale. Al fine di trovare possibili fattori di rischio predittivi per lo sviluppo di VAP da KPC nei pazienti colonizzati, sono state prese in considerazione le seguenti variabili continue e categoriali:

 ammissione da PS o reparto ospedaliero;

 comorbidità (diabete mellito, malattie cardiovascolari, renali, respiratori o malattie croniche neurologiche);

 lo stato immunologico;

 gli SCORE di gravità al momento del ricovero in terapia; intensiva (SAPS (56) e SOFA (57));

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41

 l'esposizione agli antibiotici (classe, durata della terapia, inizio precedente o dopo colonizzazione da KPC);

 infezioni diverse da VAP e diverse da KPC;

 l'esposizione ai dispositivi invasivi effettuati prima della colonizzazione da KPC o della ventilazione meccanica (catetere venoso centrale, catetere urinario ).

8.3 Microbiologia

Per quanto riguarda invece l’identificazione e i test di suscettibilità a Klebsiella Pneumoniae si è utilizzato il sistema automatizzato Vitek2® (Biomerieux Marcy l’Etoile Francia); là dove era sospettata una resistenza a ertapenem, si eseguiva test di conferma fenotipica con inibizione da acido fenilboronico e come ulteriore conferma E-test (AB BIodisk Solna Sweden). Le M.I.C. utilizzate sono state quelle pubblicate da EUCAST (37,38):breakpoint rispetto alla colistina (S ≤ 2, R > 2), ertapenem (S ≤ 0,5, R > 1), meropenem e imipenem (S ≤ 2, R > 8), fosfomicina (S ≤ 32, R > 32), gentamicina (S ≤ 2, R > 4), tigeciclina (S ≤ 1, R > 2). La presenza del gene KPC è stata determinata mediante MLST.

8.4 L'analisi statistica

I dati sono stati espressi come media deviazione standard, mediana, range interquartile e proporzioni, secondo i casi. I confronti sono stati eseguiti con t-test non appaiati, test di Mann-Whitney o il test del chi-quadro con correzione di continuità. Per valutare l'influenza della colonizzazione tracheale da KPC sulla VAP si è eseguita un'analisi di regressione logistica multivariata seguendo un modello di mediazione bayesiano, un modello d’indirizzamento incertezza, producendo una probabilità a posteriori per ogni modello predittivo.(58) Un’altra analisi

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42

multivariata è stata eseguita con la costruzione di un modello ad albero. Tutti i calcoli sono stati fatti con il software statistico R (59); Il pacchetto BMA è stato utilizzato per la regressione logistica multivariata, e il pacchetto RPART per l'albero di classificazione. Un valore di p < 0.05 è stato considerato significativo.

8.5 Risultati

Scopo dello studio: valutare e trovare fattori di rischio associati a KPC-kp VAP. Tra il primo gennaio 2011 e il 31 dicembre 2013 (36 mesi totali di studio) 1127 pazienti sono stati ammessi in UTI di questi 143 sono stati colonizzati (13%). Di questi 16 risultavano colonizzati solo a livello tracheale (11%), 43 colonizzati solo a livello rettale (30%), 84 invece con doppia colonizzazione (59%).

Figura 6. Percentuale di pazienti colonizzati da KPC-kp dopo ammissione in UTI.

86% 14%

Pazienti ammessi in UTI

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43

Figura 7. Percentuali dei pazienti colonizzati da KPC-kp colonizzati a livello tracheale, rettale o entrambi.

Sei pazienti tra questi 84, sei sono stati scartati per mancanza di follow up Durante la permanenza in terapia intensiva 26 dei 78 pazienti con doppia colonizzazione (33%) hanno sviluppato una VAP da KPC. La media d’insorgenza della polmonite associata al ventilatore da KPC è stata di 7 giorni dalla colonizzazione tracheale con un range interquantile da 3 a 10 giorni. Per il nostro studio sono stati considerati 58 pazienti consecutivi e confrontati con i 26 che hanno sviluppato la VAP. Tra questo pool a ogni VAP sono stati associati due casi controllo che presentassero le stesse caratteristiche. Ai pazienti valutati, spesso, è stata somministrata antibiotico terapia per profilassi (44/78- 56%) o per un’ infezione documentata (34/78- 44%):

 Peritoniti 8 pazienti

 Vap non KPC correlata 6 pazienti

 Batteriemie 6 pazienti

11%

30% 59%

Pazienti colonizzati

colonizzati solo a livello tracheale colonizzati solo a livello rettale colonizzati sia a livello rettale che tracheale

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44

 Fratture esposte 5 pazienti

 Polmoniti comunitarie 4 pazienti

 Infezioni urinarie legate al catetere 3

 Infezioni cute e tessuti molli 2 pazienti

 Meningiti 1.

La maggior parte dei pazienti ha ricevuto una combinazione di due o più antibiotici e solo alcuni hanno avuto una monoterapia. Gli antibiotici prescritti sono stati: tigaciclina, meropenem,colistinia,

gentamicina, fosfomicina, imipenem, piperacillina/tazobactam,

rifampicina, teicoplanina. Le caratteristiche dei pazienti sono schematicamente riassunte nella tabella seguente, non significative differenze sono state riscontrate ei due gruppi.

(45)

45

Tabella 10. Caratteristiche dei pazienti, microbiologia e outcome clinico Controlli non KPC-Kp VAP (n= 52) Casi KPC-Kp VAP (n= 26) P Maschi Femmine ( %) ( %) Età ± SD 61,5±19,9 59,5± 19,8 SAPS 2 Score 49,7±13,9 48,5±13,3 SOPA Score 8,5±3,8 8,7±3,7 Intubazione oro-tracheale 52/52 (100%) 26/26 (100%) Comorbidità * 31/52 ( 59,%) 15/26 ( 57,%) Ammissione in UTI: Cause mediche 20/52 ( 38,4%) 10/26 ( 38,5%) Cause chirurgiche 5/52 ( 9,6%) 3/26 ( 11,5%) Politrauma 27/52 ( 52.0%) 13/26 ( 50%)

Infezioni precedenti non KPC-Kp correlate 13/52 (25%) 21/26 (81%) <0.005

Durata media della terapia antibiotica prima

della colonizzazione tracheale KPC-Kp 3 [3 – 6] 7 [4 10] <0.005 Durata media della terapia antibiotica dopo

colonizzazione tracheale (range) 1 [0 – 3] 4 [2 – 5] <0.005 Il ∆ tra il tempo intercorso dall’ammissione alla

colonizzazione 8 [8 – 14] 8 [7 – 14] 0.2898 Il Δ tra il tempo di colonizzazione tracheale

con KPC-Kp VAP o la dimissione da ICU 7 [3 – 10] 7 [3 – 10] 1.00 * = scompenso cardiaco, tecniche di ultrafiltrazione, COPD e diabete mellito.

(46)

46

Durante la permanenza in UTI KPC-Kp VAP è stata sviluppata da 26 su 78 pazienti colonizzati. Utilizzando un’analisi multivariata con regressione logistica (modello Bayesiano) i fattori di rischio per lo sviluppo della polmonite associata al ventilatore da KPC, risultati statisticamente significativi sono stati:

 la presenza di una precedente infezione non KPC correlata (probabilità posteriore p(β≠0)=0.749, OR=6.42);

 il tempo tra l’ammissione e la colonizzazione tracheale, (probabilità posteriore p(β≠0)=0.687, OR=0.85), più lungo è il tempo che intercorre tra ingresso e colonizzazione minore è la probabilità di contrarre una VAP da KPC.

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Figura 7. Bayesian Model Averaging per una regressione logistica multivariata. Sono stati selezionati 14 modelli, i cinque migliori mostrano una probabilità posteriore cumulativa di 0.0734. La larghezza di ciascun modello è proporzionale alla sua probabilità a posteriori. Le zone di grigio stanno per valori postivi del coefficiente di predizione mentre le zone tratteggiate stanno per valori negativi.

Un’altra analisi è stata fatta costruendo un modello ad albero che evidenzia di nuovo come fattore di rischio la presenza di una precedente infezione non KPC correlata e un tempo d’intervallo tra l’ammissione e la colonizzazione tracheale minore di 7,5 giorni. Da questo modello però emerge anche un altro dato come fattore di rischio, ovvero una terapia antibiotica prima della colonizzazione tracheale maggiore di 7,5 giorni.

Infezione non KPC-Kp correlata

Tempo intercorso tra ammissione e colonizzazione tracheale

Tempo di durata antibiotico TP prima della colonizzazione

tracheale da KPC Kp

Tempo di durata antibiotico TP dopo la colonizzazione

tracheale da KPC Kp

Tempo tra colonizzazione tracheale e KPC – Kp VAP o

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Figura 8. Analisi multivariata con costruzione di un modello ad albero per lo sviluppo di VAP da KPC-kp

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9. DISCUSSIONE

Come abbiamo ripetuto in tutta la nostra tesi, avendo poche armi a nostra disposizione per combattere i batteri multiresistenti e soprattutto la Klebsiella Pneumoniae Carbapenemasi Prodruttice, trovare quali sono i fattori di rischio e quindi in un certo modo tutelare i pazienti più a rischio può forse permetterci di avere un diverso outcame. Molti studi sono stati condotti sui fattori che favoriscono la colonizzazione e l’infezione sia in interi ospedali (60-61) che nelle terapie intensive (13,14,62,63,64), ma nessuno sulla colonizzazione tracheale. Non esistono studi specifici sulla colonizzazione tracheale da Klebsiella e nessuno studio specifico sulle Vap. Da qui la nostra domanda: la colonizzazione tracheale aggiunge qualche rischio rispetto alla sola colonizzazione rettale. Dai nostri dati emerge che la presenza di KPC a livello oro tracheale è un requisito essenziale per sviluppare VAP dovuta a questo patogeno. Tuttavia non tutti i pazienti colonizzati andranno poi incontro a infezione. In precedenti studi caso controllo sono stati individuati altri fattori di rischio indipendenti per lo sviluppo di un’infezione a partire dalla colonizzazione rettale, tra questi si trovano:

 la presenza di un catetere venoso centrale;

 terapia antibiotica durante il periodo di follow up;

 diabete mellito;

 procedure invasive precedenti (CVC; catetere di Foley,

ventilazione meccanica nei tre mesi precedenti, ma non presente all’inizio del nuovo ricovero, tracheotomia, catetere vescicale);

 procedure invasive.

A oggi solo due studi (66,67) hanno fatto una comparazione tra pazienti colonizzati a livello intestinale che poi hanno sviluppato un’ infezione

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KPC correlata e quelli che invece non hanno avuto infezioni KPC-kp correlate. Nessuno dei due ha osservato solo i pazienti ricoverati in ICU, ma le popolazioni considerate comprendevano pazienti colonizzati di tutto l’ospedale, non selezionati o omogenei, molti dei quali affetti da gravi comorbidità come confermato da un elevato punteggio del Charlson Score, provenienti da case di riposo o assistenziali, di età avanzata e con colonizzazione rettale. In entrambi gli studi, circa il 10% dei pazienti erano colonizzati a livello rettale (Borer del 9%; Schechner 8,8% con colonizzazioni successive in altre sedi, 86% delle quali con infezione) e con un tempo tra colonizzazione e sviluppo di Infezione da 2 a 40 giorni (mediana di 20gg) per Borer, 3-27 gg (11 + / -7) per Schechner. Negli studi di Borer, l'esposizione alla penicillina antipseudomonas terapia (piperacillina-tazobactam) è stata uno dei fattori di rischio indipendenti per l'infezione KPC in pazienti colonizzati, mentre nello studio di Schechner l'esposizione al fluorochinoloni ma non carbapenemici o la combinazione inibitore b-lattamici/b-lactamese è stata un fattore di rischio indipendente statisticamente significativa. Nello studio di Schechner, il ricovero in terapia intensiva, la presenza di CVC ed esposizione precedente ad antibiotici, erano predittivi indipendenti di CRE in pazienti con precedente colonizzazione rettale. Nella popolazione oggetto del nostro studio tutti i pazienti, sia casi sia controlli presentavano quei fattori di rischio. È evidente quindi che tali fattori sono poco utili nella popolazione dei malati ricoverati in UTI. Nel nostro studio il tasso dei malati che sviluppano VAP da KPC-kp è circa 30%, molto più alto rispetto al 8%-9% dei due studi. Questo si spiega, probabilmente, con la compromissione maggiore che si ha nei pazienti intensivi, che, infatti, presentano tutti i fattori di rischio elencati nei due studi. Invece

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comparando il nostro dato del 30% con la percentuale ottenuta da altri studi per quanto riguarda gli altri Gram negativi, i dati si avvicinano: si riscontra un 30% per Pseudomonas e 31% per Acinetobacter. Un altro dato emerso dalla nostra analisi è il seguente: per i pazienti che hanno avuto una precedente infezione non KPC-kp correlata, si può ipotizzare che questo evento predisponga al successivo sviluppo di VAP a causa della pressione selettiva esercitata dagli antibiotici utilizzati per curare la prima infezione. A rafforzare questa spiegazione c’è anche il secondo fattore di rischio ricavato dall’analisi statistica, in altre parole l’esposizione ad antibiotici per otre 7.5 giorni. Tra i casi e i controlli si può vedere dai dati raccolti un’esposizione diversa (7 giorni vs 3 giorni). Un’esposizione di 7 giorni o più, indica l’utilizzo degli antibiotici come una terapia di un infezione, mentre una durata inferiore, mediamente 3 giorni, indica una semplice profilassi, non sufficiente per determinare pressione selettiva. Il timing della colonizzazione tracheale è il 3° fattore di rischio emerso da questo studio: a maggior rischio di sviluppare VAP sono quei malati che si colonizzano più velocemente (prima di 7,5 giorni dall’ingresso in terapia intensiva). Questo dato può essere spiegato dal fatto che più precoce è la colonizzazione maggiore nel tempo, è l’esposizione del paziente alla presenza dalla KPC a livello tracheale e quindi maggiore il rischio di una crescita della concentrazione batterica nel tempo. In particolare altre infezioni insorte in altre zone e sostenute da altri batteri che richiedono antibiotici determinano pressione selettiva. Dall’altro lato il perdurare della ventilazione porta a una diminuzione delle difese naturali del polmone. Il quarto fattore di rischio individuate è stato l’esposizione agli antibiotici successiva alla colonizzazione tracheale che è diversa tra i casi e i controlli: 4 giorni contro 1.

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10. CONCLUSIONE

Lo studio apre risvolti interessanti. Individuare i fattori di rischio che favoriscono lo sviluppo di una Vap da KPC, potrebbe aiutarci a proteggere tra i pazienti colonizzati quelli più a rischio, dirigere la terapia antibiotica in caso di VAP e cercare di incrementare le procedure di isolamento e di controllo. Nei pazienti con doppia colonizzazione diviene pertanto importante un corretto uso della terapia antibiotica e forse l’uso degli antibiotici per un tempo maggiore ai 7 giorni va attentamente valutato. L’utilizzo della procalcitonina potrebbe guidare il clinico a interrompere una terapia non appena i suoi valori scendano di oltre 80% o sotto la soglia della positività ed evitare così pressione selettiva sui batteri. Inoltre i metodi di barriera, l’isolamento, il lavaggio delle mani sono misure da implementare perché possono proteggere i nostri malati da KPC e ritardare il più possibile la colonizzazione, senza di essa infatti non è possibile sviluppare infezione. E’ evidente che in un’epoca in cui i farmaci risultano inefficaci verso i batteri trovare quali sono i fattori che rendono più fragile il mio malato può aiutarci nel creare strategie finalizzate al risparmio degli antibiotici limitando il problema a monte, evitando che il mio paziente venga esposto a questi patogeni multiresitenti. Rimane tuttavia da capire se sono solo gli antibiotici a facilitare l’insorgenza della mia Vap e se anche il sinergismo tra diversi organismi può portare a favorire in alcuni pazienti l’insorgenza di una polmonite da ventilatore. Aumentare il numero dei pazienti incluso nello studio, potrebbe fornirci nuovi dati.

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