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La relazione specifica tra sottotipi di propensione al disgusto e paure di contaminazione: uno studio preliminare su pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di patologia chirurgica, medica, molecolare e dell’area critica

Corso di Laurea Magistrale in

Psicologia Clinica e della Salute

LA RELAZIONE SPECIFICA TRA SOTTOTIPI DI PROPENSIONE AL

DISGUSTO E PAURE DI CONTAMINAZIONE:

UNO STUDIO PRELIMINARE SU PAZIENTI CON DISTURBO

OSSESSIVO-COMPULSIVO

Candidato

Relatore

Veronica Pace

Dott. Gabriele Melli

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Medico - Che fa, ora? Guardate, Si stropiccia le mani. Dama - Lo fa sempre: È come se cercasse di lavarle. L'ho vista insistere a far quella mossa Per quarti d'ora interi. Lady Macbeth - Un'altra macchia! [...] Via, maledetta macchia! Via, ti dico! [...]

Ah, saran mai pulite queste mani? [...] Qui sa ancora di sangue: Non varran tutti i balsami d'Arabia A profumar questa piccola mano.

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3 INDICE ABSTRACT………5 CAPITOLO 1 LA PAURA DI CONTAMINAZIONE………..7 1.1 Il timore di contaminazione……….……7

1.1.1. Cos’è il timore di contaminazione……….……7

1.1.2. La natura del timore di contaminazione ………...…….………8

1.1.3. Cause del timore di contaminazione………..………9

1.1.4. Conseguenze del timore di contaminazione………..……...………10

1.1.5. Le strategie di coping nel timore di contaminazione………...………11

1.2 Le forme di contaminazione………...………13

1.2.1 Contaminazione da contatto………13

1.2.2 Contaminazione mentale……….………15

1.3 Le forme di contaminazione mentale……….………18

1.3.1 Mental pollution………..………19

1.3.2 Self-contamination ……….………22

1.3.3 Morphing………..………...………24

1.3.4 Visual contamination……….……….25

CAPITOLO 2 IL RUOLO DEL DISGUSTO NELLA CONTAMINAZIONE MENTALE….……26

2.1 Contaminazione mentale e disgusto……….………26

2.2 Disgusto patogeno, sessuale e morale della Three Domains of Disgust Scale (TDDS)...32

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4 CAPITOLO 3 STUDIO SPERIMENTALE………42 3.1 Lo studio……….……….…………..42 3.2 Metodo……….…….……….…………42 3.2.1 Partecipanti……….……….…………42 3.2.2 Strumenti di misura………….………..……….……….43 3.2.3 Procedura………..….………..44 3.3 Risultati……….………..45 3.3.1 Correlazioni……….45

3.3.2 Analisi di regressione lineare gerarchica……….……….46

3.4 Discussione……….………47

BIBLIOGRAFIA………..……….50

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ABSTRACT

È possibile differenziare due tipologie di sensazioni di contaminazione: la contaminazione da contatto è la forma più nota, che nasce quando il soggetto entra (o pensa di essere entrato) fisicamente in contatto con una sostanza tangibile e inanimata considerata sporca o pericolosa. La contaminazione mentale è invece una sensazione emotiva di sporcizia interna diffusa, difficile da localizzare e da osservare che insorge in assenza di contatto con potenziali agenti contaminanti.Quest’ultima si associa a vari sentimenti negativi, tra i quali la paura, la vergogna, il senso di colpa, l’ansia e, in particolare, il disgusto (Rachman et al., 2015).

Il disgusto è una delle emozioni umane di base più importanti e ha numerose funzioni adattive. Tybur, Lieberman e Griskevicius (2009) hanno recentemente proposto la Three

Domains of Disgust Scale (TDDS), un questionario self-report che permette la valutazione

delle differenze individuali riguardo alla propensione al disgusto, tenendo in considerazione le pressioni della selezione naturale nel corso della storia evolutiva dell’uomo. Infatti, sono stati individuati tre tipi di disgusto, ciascuno funzionalmente specializzato per l’adattamento del soggetto: il disgusto patogeno, che motiva l’allontanamento dagli agenti patogeni portatori di malattie; il disgusto sessuale, che permette di evitare partner sessuali biologicamente inadeguati e comportamenti sessuali potenzialmente dannosi per il proprio successo riproduttivo; il disgusto morale, che motiva l’allontanamento da coloro che violano le norme sociali e usano comportamenti antisociali che danneggiano le relazioni all’interno del proprio gruppo sociale.

Tenendo in considerazione alcuni recenti studi (Deacon, & Olatunji, 2007; Edwards e Salkovskis, 2005; Woody, & Teachman, 2000) che confermano l’associazione tra il disgusto e la paura di contaminazione, è possibile arrivare a ipotizzare che il disgusto patogeno abbia un ruolo importante nella contaminazione da contatto ma non in quella mentale e che invece, il disgusto sessuale e morale giochino un ruolo importante nella contaminazione mentale (e non in quella da contatto). Dal momento che, fino ad ora, nessuno studio presente in letteratura ha valutato l'eventuale diverso ruolo che il disgusto patogeno, sessuale e morale hanno nella contaminazione da contatto e nella contaminazione mentale, lo studio presente si è proposto di indagare tale ipotesi.

Nello studio sono stati somministrati cinque questionari di autovalutazione ad un piccolo campione clinico (N=35) formato da individui con una diagnosi primaria di Disturbo

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Ossessivo-Compulsivo, per esplorare le relazioni esistenti tra la propensione ai tre tipi di disgusto e i sintomi di contaminazione da contatto e mentale, controllando i livelli di ansia e depressione.

Le analisi di correlazione e di regressione lineare gerarchica condotte, hanno parzialmente confermato le aspettative: in linea con le ipotesi di ricerca, i sintomi della contaminazione da contatto si sono rivelati strettamente associati al disgusto patogeno, che ne è risultato l’unico predittore significativo e i sintomi di contaminazione mentale si sono rivelati strettamente associati al disgusto sessuale, che ne è risultato l’unico predittore significativo ma, contrariamente alle aspettative, non è emersa nessuna associazione significativa con il disgusto morale.

Nonostante le sue molteplici limitazioni, lo studio corrente ha identificato delle relazioni che potrebbero beneficiare di un’ulteriore valutazione e potrebbero avere importanti implicazioni per la prevenzione e il trattamento del DOC, in particolare, nei casi in cui sia coinvolta la contaminazione mentale.

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CAPITOLO 1

LA PAURA DI CONTAMINAZIONE

1.1 IL TIMORE DI CONTAMINAZIONE

1.1.1 Cos’è il timore di contaminazione

La parola “contaminazione” trae origine dal corrispondente termine inglese “dirt” che significa “sporco”, il quale a sua volta deriva dalla parola “drit” che significa “escremento” (Ayto, 1990).

Quindi, sulla base etimologica della parola, la contaminazione può essere definita come la sensazione intensa, sgradevole e persistente di essere infettati, sporcati o messi in pericolo da parte di svariate fonti, con le quali il soggetto entra in contatto diretto o indiretto e che vengono considerate sporche, impure, infette o pericolose da parte del soggetto stesso, quali per esempio:

 Una persona (es. persone con una determinata malattia, come l’Aids);  Un luogo (es. bagni pubblici, ospedali);

 Un oggetto (es. rubinetti, maniglie delle porte);

 Sostanze organiche (es. cibo andato a male, prodotti del corpo come urina, escrementi, sangue, saliva, sperma);

 Sostanze chimiche (es. pesticidi) (Rachman et al., 2015).

Il disturbo psicopatologico per eccellenza che è caratterizzato da frequenti paure di contaminazione è il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC), in particolare, il DOC di tipo “cleaning” che si manifesta con compulsioni di pulizia, dovute a paure di contaminazione che spingono il soggetto a lavarsi compulsivamente, per cercare di eliminare la fonte della contaminazione. Questo dato, viene confermato da uno studio (Rasmussen & Eisen, 1992) condotto su un campione di 560 persone con DOC, in cui è emerso che il 50% di queste presenta una significativa paura di contaminazione. Anche lo studio condotto da Rachman e Hodgson (1980) su 82 pazienti del Maudsley and Bethlem Hospital di Londra conferma che il 55% di questi manifestava un’evidente paura per la contaminazione. Dati analoghi sono stati ricavati anche da altri numerosi studi (Antony et al., 1998).

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1.1.2 La natura del timore di contaminazione

Il timore di contaminazione è un fenomeno molto complesso, intenso e universale che varia nei suoi contenuti in base al contesto e alle credenze religiose e culturali di appartenenza del soggetto affetto. Esso può insorgere molto facilmente, con o senza contatto fisico e si diffonde molto velocemente. E’ difficile da controllare ma è molto persistente e viene mantenuto in vita dal comportamento e dalle credenze del soggetto (Rachman et al., 2015).

Il timore di contaminazione è caratterizzato da quattro qualità:

 Rapida acquisizione: subito dopo essere entrato in contatto con un oggetto, una sostanza o una persona contaminata, il soggetto sviluppa molto rapidamente le sensazioni della paura di contaminazione. Una volta acquisite, il soggetto crede che queste si possano diffondere molto rapidamente da oggetto a oggetto, da persona a persona, da persona a oggetto e da oggetto a persona.

 Contagio: le persone con paura di contaminazione temono di poter essere contagiate e di contrarre una malattia, tant’è che reputano il mondo in cui vivono costantemente pericoloso. Per tale motivo, adottano dei comportamenti di precauzione e di vigilanza, quali il lavaggio compulsivo e l’evitamento di persone e luoghi in cui potrebbero contrarre la malattia.

 Asimmetria della diffusione della contaminazione: così come un cucchiaino sporco può contaminare una bacinella di acqua pulita, una persona che crede di essere contaminata, può contaminare una persona o un gruppo allo stato puro, attraverso il contatto diretto o indiretto, ma il contrario non avviene, infatti, una persona pura non può ripulire una persona o un gruppo contaminato con il contatto diretto o indiretto (Anand, 1940).

 Non degradabilità: le sensazioni della contaminazione non degradano spontaneamente e non riducono nemmeno la loro intensità, e questo può far sì che la contaminazione diventi pervasiva. Ciò può essere facilmente spiegato attraverso l’esperimento mentale condotto da Tolin et al. (2004), secondo il quale se una matita contaminata entra in contatto con delle matite pure, il solito livello della contaminazione viene trasferito da matita a matita, mantenendo l’intensità originale della contaminazione e senza che questa venga ridotta. Il livello originario della contaminazione degli oggetti rimane tale anche con il passare del tempo e degli anni dal momento dell’avvenuta contaminazione (Coutghtrey et al., 2014).

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Come tutte le paure umane, il timore di contaminazione può essere rappresentato su un continuum che parte da una preoccupazione lieve e circoscritta, prosegue verso una paura moderata, per poi raggiungere una paura anormale per intensità, estensione, comportamenti e credenze e che è persistente e resistente alla normale pulizia.

Quindi, tutte le persone che entrano in contatto con una sostanza potenzialmente pericolosa possono provare ansia e paura, ma dal momento in cui la credenza diventa ricorrente, la percezione della minaccia è esagerata, le sensazioni provate diventano intense, persistenti e invasive e la persona cerca invano di rimuovere la sostanza minacciosa attraverso il lavaggio, senza dare ascolto all’esperienza appresa (insensibilità alle conseguenze), la paura che ne deriva va al di là del range di normalità, determinando un’alta probabilità di sfociare nella patologia (Rachman et al., 2015).

La sensibilità alla contaminazione dipende dalle credenze riguardanti la gravità delle minacce e la probabilità che queste possano minacciare la propria salute e dalla reattività della persona verso gli stimoli che evocano disgusto e paura. Quindi, se inizialmente il soggetto presenta una predisposizione alla paura per la contaminazione, questa si può trasformare nella paura della contaminazione vera e propria quando la persona vive delle esperienze traumatiche.

Però, bisogna tenere in considerazione che non tutti i sentimenti di contaminazione sono così eccessivi, irrazionali e disadattivi poiché la contaminazione da contatto con sostanze pericolose o disgustose è un’esperienza comune e universale che però non è condivisa dai bambini, durante la prima infanzia: tutti i bambini, infatti, cercano di toccare o addirittura di mangiare delle sostanze comunemente pericolose o disgustose (come gli escrementi) senza evitarne il contatto, semplicemente perché ignorano che queste possano essere fonti di infezione e ignorano anche il concetto stesso di infezione. Crescendo, gli adulti riescono a tollerare i prodotti del proprio corpo e dei propri figli, ma ciò non accade nei confronti dei prodotti corporei di altre persone o degli animali, perché credono che tutto ciò che viene prodotto dal corpo, non deve rientrarvi e ciò genera delle sensazioni di disgusto, timore di contaminazione e un forte bisogno di lavarsi (Douglas, 1966).

1.1.3 Cause del timore di contaminazione

Lo sviluppo del timore di contaminazione risulta essere molto simile allo sviluppo delle altre paure umane e per poterlo spiegare si fa riferimento a tre percorsi che sono uno la

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conseguenza dell’altro, seguiti dalla teoria sull’acquisizione della paura (Rachman, 1978, 1990). Questi tre percorsi sono:

1. Condizionamento classico;

2. Apprendimento vicariante o apprendimento osservativo;

3. Trasmissione e assorbimento di informazioni che inducono paura.

Un esempio illustrativo della trasmissione della paura, è dato dalla Sindrome del Koro, una malattia diffusa nel Sud-Est Asiatico, caratterizzata dalla paura dell’uomo di avere un restringimento degli organi genitali e un senso di morte imminente. Queste credenze furono in grado di generare e diffondere panico nella popolazione, infatti, dopo aver ricevuto la notizia che i Vietcong avevano contaminato il cibo, a Singapore si diffuse un’epidemia di Koro (Rachman, 2002).

Una descrizione più completa sulla teoria dell’acquisizione della paura può essere effettuata grazie alla presentazione di altri tre punti (Rachman, 1990, 2004, 2013):

1. Il timore di contaminazione può essere generato osservando le reazioni spaventate di altre persone che sono entrate in contatto con una sostanza contaminante (es. durante una gita in campagna, un paziente assistette alla caduta di un amico sul letame suino e da quel momento diventò molto sensibile allo sporco e iniziò a lavarsi compulsivamente);

2. Il timore di essere contaminato dal contatto con una sostanza sospetta può essere generato dalla trasmissione di informazioni negative e minacciose

(es. un paziente ricevette delle informazioni a riguardo di una persona che era morta dopo aver bevuto da una bottiglia contenente liquido per freni e da quel momento, iniziò ad evitare il contatto con qualsiasi tipo di sostanza chimica); 3. In base ai processi di condizionamento possono manifestarsi reazioni di disgusto

comparabili a quelle di paura. Quindi, molto probabilmente, la paura e il disgusto sono condizionati contemporaneamente.

1.1.4 Conseguenze del timore di contaminazione

Le conseguenze del timore di contaminazione possono essere di tipo cognitivo, emotivo, percettivo, sociale e comportamentale.

Le persone che presentano il timore di contaminazione tendono a modificare il modo di vedere loro stessi e il mondo, infatti, siccome si reputano particolarmente vulnerabili alla contaminazione, tendono ad allargare i loro parametri di pericolo e in modo proporzionale,

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riducono le aree in cui si sentono sicure. In questo modo, diventano sempre più sensibili alle possibili minacce di contaminazione e sviluppano anche ipervigilanza, in quanto qualsiasi stimolo percepito come contaminato genera nel paziente un forte senso di minaccia corrente. Le persone che si sentono “inquinate” presentano spesso anche un alto senso di responsabilità, in quanto si preoccupano notevolmente degli effetti che il loro “inquinamento” potrebbe avere sulle altre persone, mettendole in pericolo. Per tali motivi, i pazienti assumono dei comportamenti di evitamento.

L’elevata vulnerabilità che rende i pazienti ipervigilanti nei confronti della potenziale contaminazione, si ripercuote anche sulla memoria: le persone affette da DOC acquisiscono una memoria infallibile per gli eventi e le situazioni legate alla contaminazione. Infatti, ricordano perfettamente la presenza, la natura e la posizione precisa di una sostanza contaminante o di un potenziale pericolo, anche a distanza di molto tempo, perché se un oggetto è stato contaminato o rappresenta una minaccia, è buona cosa ricordare dove si trova, per evitarlo.

Ciò viene confermato dallo studio di Radomsky e Rachman (1999), dal quale emerge che i pazienti DOC con paura per la contaminazione mostrano superiori capacità di memoria relative agli episodi di contaminazione, rispetto ai soggetti ansiosi o ai soggetti non clinici di controllo. Infatti, gli autori riportano il caso di un paziente che ricordava la locazione di ciascuna sedia contaminata, il tipo della contaminazione, la descrizione della persona che vi era seduta sopra e quali oggetti aveva usato per poter rimuovere la sostanza contaminante.

1.1.5 Le strategie di coping nel timore di contaminazione

Quando il soggetto entra in contatto con sostanze potenzialmente dannose, sorge in lui il timore di essere stato contaminato e questa paura potrà generare a sua volta un forte bisogno di proteggersi che viene soddisfatto in differenti modalità, quali il lavaggio e l’evitamento.

Il lavaggio è un comportamento compulsivo che viene considerato anche come un tentativo di rimuovere o perlomeno ridurre la sostanza contaminante percepita, con la quale il soggetto è entrato in contatto, perché questa può minacciare la salute fisica, la salute mentale e la vita sociale. Infatti, la paura di essere contaminati genera una forte urgenza di lavarsi (“Evita se puoi, ma lavati se non puoi”): è un’urgenza dominante, ripetitiva, irrazionale a cui è molto difficile resistere e che porta la persona a pulire non solo se stessa ma anche i propri oggetti. Tale comportamento ritualistico viene messo in atto assumendo priorità su tutti gli altri

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comportamenti, perché il paziente agisce in un’ottica di prevenzione in cui cerca di eliminare tutte quelle sostanze percepite come minacciose e inquinanti.

La più comune forma di pulizia compulsiva è il lavaggio delle mani, che di solito è meticolosa, bizzarra, ritualistica, difficile da controllare e viene sempre ripetuta in modo completo, rendendo difficile l’adattamento della persona alla vita quotidiana. Spesso, tale pulizia diventa robotica e stereotipata e alle volte, i pazienti si lamentano di aver dimenticato come lavarsi normalmente e chiedono ad altre persone di mostrarglielo per poterglielo ricordare.

Questo lavaggio compulsivo, che è anormale, avviene principalmente a livello delle mani perché la maggior parte dei contatti che noi abbiamo con l’ambiente esterno, e quindi anche con le sostanze sporche o nocive, avviene proprio attraverso le mani.

Di solito, il lavaggio prevede l’uso di sapone e acqua calda, ma talvolta può essere accompagnato da disinfettanti, con lo scopo di rimuovere la sostanza contaminate.

Però, questo tipo di lavaggio può essere pericoloso perché può portare alla rimozione di oli naturali presenti sulla pelle, rendendo la pelle stessa secca, screpolata e facile al sanguinamento, con formazione di escoriazioni e ferite. Nonostante tali evidenze, alcuni pazienti continuano a lavarsi compulsivamente perché credono che effettuare questa procedura in modo ripetuto e per molto tempo, riesca ad eliminare la sostanza contaminante e a prevenire la diffusione della contaminazione (“Se non pulisco le mie mani, potrò diffondere la contaminazione in tutta la casa”), per cui, per i pazienti è anche fondamentale portare a termine il rituale per scampare il pericolo.

Altri tentativi per poter prevenire la contaminazione includono:

 L’uso di vestiti protettivi (guanti, tenere separati i vestiti per casa e quelli per uscire, usare fazzoletti di carta per toccare i rubinetti);

 “Isolamento” delle proprie mani, usando i gomiti o i piedi per aprire le porte;  Eliminazione di tutte le fonti di un potenziale pericolo come pesticidi e fluidi

anti-gelo (“Evita se puoi, ma scappa se non puoi”).

Purtroppo però, i rituali di pulizia non saranno mai sufficienti per raggiungere i risultati attesi dal soggetto e quindi, di fronte all’incapacità di controllare la contaminazione, le persone provano disperazione: percepiscono il loro comportamento e il loro pensiero come anormale, incontrollabile, estremo e irrazionale e si sentono strane e mentalmente instabili (Rachman et al., 2015).

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Le persone con timore di contaminazione possono evitare di toccare qualsiasi cosa che venga percepita come contaminante, se questa non è stata ancora lavata accuratamente. In questo modo, la persona si crea un ambiente sicuro (es. la sua casa), ma con l’andar del tempo, avrà la sensazione che nessun posto sia davvero sicuro e esente dalla contaminazione, in quanto spesso la persona reputa che gli altri membri della famiglia non abbiano la stessa sensibilità alla contaminazione e che quindi non prendano le sue stesse precauzioni. Quindi, la persona inizierà gradualmente ad effettuare numerosi evitamenti fino a restringere i suoi spazi vitali a quei pochi posti che reputa più sicuri, per esempio, tenderà a trasformare la sua stanza in un “santuario personale” che viene considerato non solo un luogo sicuro, ma anche il più sicuro di tutta la casa e farà di tutto per assicurarsi che questo posto rimanga incontaminato. Esistono inoltre dei luoghi che la persona reputa più contaminati rispetto ad altri, come i bagni pubblici e le cliniche in cui si trovano persone con malattie a trasmissione sessuale. Inoltre, siccome i pazienti con Disturbo Ossessivo-Compulsivo presentano un alto senso di responsabilità, sono molto motivati a proteggere dal pericolo della contaminazione, non solo se stessi, ma anche gli altri, mettendo in atto degli espedienti per prevenirne la diffusione, infatti, cercano di mantenere l’ambiente e le proprie mani pulite dai germi e dallo sporco, prima di entrare a contatto con altre cose o persone (Rachman et al., 2015).

Però, nonostante le persone provino a controllare la paura di contaminazione attraverso l’uso di tecniche di evitamento, è possibile notare che in realtà, la paura non decade, ma anzi tende ad aumentare e a diffondersi rapidamente e ampiamente, quindi, è possibile dire che, al massimo, questi metodi possono contenere la diffusione della contaminazione e limitarne i danni (Rachman et al., 2015).

1.2 LE FORME DI CONTAMINAZIONE

All’interno del timore di contaminazione è possibile differenziare due differenti tipologie di contaminazione: la contaminazione da contatto, a cui comunemente ci si riferisce quando si parla di DOC e di cui abbiamo parlato sinora, e la contaminazione mentale.

1.2.1 Contaminazione da contatto

La contaminazione da contatto è la forma più comune e universale di contaminazione e nasce quando il soggetto entra fisicamente in contatto con una sostanza nota, tangibile e inanimata considerata sporca o pericolosa.

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Il sito in cui la persona identifica il sentimento di contaminazione è focalizzato sulla pelle e soprattutto sulle mani, ma poi, la contaminazione può diffondersi velocemente alle altre parti del corpo e può essere trasmessa anche ad altre persone.

Le sensazioni negative che prova il soggetto quando entra in contatto con una sostanza contaminante sono delle esperienze normali e universali, ma che, nel caso della contaminazione per contatto, possono diventare molto intense, persistenti e invasive, fino a sfociare in un vero e proprio problema psicologico. Tali sensazioni non contengono un elemento morale, come invece accade nella contaminazione mentale, e sono localizzate in una determinata parte del corpo (nella maggior parte dei casi, le mani).

Tra le sensazioni negative che il soggetto può provare vi sono la paura, la repulsione, la nausea, l’ansia e soprattutto, il disgusto. Infatti, il disgusto è la sensazione maggiormente diffusa nella contaminazione perché esistono molti stimoli in grado di generarlo, i quali però non trasmettono paura perché di solito, le paure non sono accompagnate dall’elemento del disgusto. In genere, nella contaminazione da contatto, il disgusto nasce di fronte a stimoli olfattivi (es. fetore emanato da rifiuti corporei, cibo andato a male), visivi (es. vedere una sostanza in putrefazione) oppure può sorgere dopo aver preso contatto con la stessa sostanza disgustosa. Il disgusto può essere accompagnato anche da reazioni fisiche quali nausea, conati di vomito e vomito. In queste condizioni, il soggetto cercherà di andare a rimuovere la sensazione del disgusto attraverso la pulizia, in seguito alla quale, la persona non percepirà più nessuna minaccia, non vedrà più lo sporco e non sentirà più odori sgradevoli (Rachman et al., 2015).

Un’altra sensazione molto comune è la paura che di solito si manifesta con reazioni fisiche quali il cuore in gola, sudorazione, tremiti e respiro affannoso. Anche nel caso della paura, così come nel disgusto, l’olfatto gioca un ruolo molto importante. Però, nel caso della paura per la propria salute (es. paura di contrarre l’Aids), in cui la persona teme di essere contaminata dal contatto fisico con una sostanza sporca, la paura può essere alleviata ma non può essere rimossa soltanto con la pulizia perché il soggetto crede che il virus e i germi responsabili siano invisibili e di conseguenza, anche difficili da rimuovere con certezza. Per questo motivo, la persona affetta

 Può temere la tensione e lo sconforto prodotti toccando lo sporco;

 Può temere gli sforzi e la concentrazione richiesti per effettuare la pulizia compulsiva;

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 Si sente incapace di controllare le proprie sensazioni alla contaminazione;  Crede di essere sempre in costante pericolo.

Tutto ciò, può suscitare a sua volta un senso di fallimento che causa stress e che alimenta il senso di minaccia nel lungo termine per la propria stabilità mentale, facendo abbandonare al paziente la speranza di vivere una vita normale (Rachman et al., 2015).

Per quanto riguarda le strategie di coping, il soggetto cerca di far fronte alle sensazioni di contaminazione usando dei rituali di lavaggio compulsivo per cercare di eliminare la sostanza contaminante oppure cerca di evitare di toccare eventuali sostanze contaminanti come gli animali o la spazzatura e di evitare i luoghi in cui la sostanza contaminante potrebbe trovarsi, come i bagni pubblici, perché tutto ciò viene considerato dal soggetto come fonte di sporcizia e quindi, può portare a un maggiore rischio di contrarre infezioni.

Nella contaminazione da contatto, possiamo distinguere tre sottotipi, che talvolta, possono sovrapporsi:

 La contaminazione da malattie, agenti patogeni e germi;

 La contaminazione da inquinamento e sporcizia, come rifiuti, bendaggi e garze usate, materiale organico in degrado, scarti umani o animali e fluidi corporei (es. sangue, saliva o sperma);

 La contaminazione da sostanze dannose (es. pesticidi) (Rachman et al., 2015).

1.2.2 Contaminazione mentale

Il termine “Inquinamento della mente”, è stato usato per la prima volta nel 1666 da John Bunyan, per descrivere i suoi pensieri blasfemi e maliziosi che venivano interpretati da lui stesso come un peccato satanico, fino al punto di generare in lui un forte senso di inquinamento che minacciava la sua vita da uomo onesto e religioso, rendendola angosciante e oltraggiosa.

La contaminazione mentale è una forma di contaminazione meno comune rispetto a quella da contatto e viene definita come un senso di contaminazione psicologica che implica una sensazione emotiva di sporcizia interna la quale

 Non è direttamente osservabile da altri;

 È difficile da localizzare in un punto preciso del corpo;

 È riferita come qualcosa di diffuso: essa può diffondersi interamente, non solo nel corpo della persona già affetta, ma può essere trasmessa anche a una persona, un

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oggetto o un posto associato alla fonte primaria della contaminazione, che può diventare a sua volta la fonte secondaria di contaminazione.

Quindi, anche il sito di tale contaminazione non può essere ben definito e localizzabile, come accade invece nel caso della contaminazione da contatto, e per questo motivo, i tentativi di lavaggio risultano poco efficaci (Rachman et al., 2015).

Inoltre, è possibile riscontrare una legame significativo tra queste sensazioni di contaminazione e il disturbo post-traumatico da stress, in quanto le paure di contaminazione che si trovano alla base di questi disturbi sembrano essere collegate alla presenza di pensieri intrusivi che nascono dalla spiacevole sensazione di sporco interiore (contaminazione mentale), derivante a sua volta da una violazione subita dal soggetto (de Silvia & Marks, 1999). Infatti, queste sensazioni di contaminazione mentale possono insorgere quando il soggetto ha subito una violazione fisica (es. abuso sessuale) o psicologica (es. umiliazioni, tradimenti) da parte di una persona (il violatore) con cui è stata a contatto diretto o indiretto. Nel caso in cui si sia verificato un contatto indiretto con il violatore, la contaminazione mentale viene indotta da eventi mentali come ricordi, pensieri, immagini, accuse, insulti, atti impuri, minacce o umiliazioni inaccettabili o qualsiasi altra cosa associata al violatore. Quindi, a differenza della contaminazione da contatto in cui la fonte della contaminazione è una sostanza tangibile e inanimata, nella contaminazione mentale la fonte è una persona che di solito viene reputata moralmente sporca, infatti, in questo tipo di contaminazione è presente un elemento morale.

A questa contaminazione si associano anche sentimenti negativi, come paura, vergogna, senso di colpa, repulsione, rabbia e disgusto nei confronti del violatore, imbarazzo, impurità morale, autocriticismo, bassa autostima, dubbio su se stessi e talvolta, possono sorgere anche pensieri di vendetta. Per esempio, la persona affetta potrebbe sentirsi moralmente sporca se vede materiale pornografico, se tocca gli oggetti o i vestiti di persone immorali, se sta a contatto con persone strane, con una cattiva reputazione, con bassi principi morali, che usano un cattivo linguaggio o che adottano un cattivo comportamento. Oppure, nel caso di una violazione fisica, come uno stupro, la vittima può percepire una sensazione di inquinamento e di distress mentale così invasiva, intensa, persistente e intollerabile, tanto da convincersi che i fluidi corporei dello stupratore siano rimasti dentro di lei anche a distanza di molti anni dalla violazione, danneggiandola per sempre (Rachman et al., 2015).

Inoltre, è stato riscontrato che nella contaminazione mentale, la paura e il disgusto possono interagire insieme, infatti in uno studio recente è emerso che queste due sensazioni sono

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moderatamente associate, soprattutto nei pazienti con DOC (Deacon & Olatunji, 2007; Woody & Teachman, 2000). Questo dato viene ulteriormente confermato da uno studio condotto sui pazienti DOC (Melli et al., 2014), in cui è stata trovata una correlazione statisticamente significativa tra la contaminazione mentale, la propensione al disgusto e i sintomi del DOC. In particolare, nel caso della contaminazione mentale, è stato riscontrato che il disgusto aumenta la paura nei confronti del violatore.

Inoltre, a differenza della contaminazione da contatto in cui l’attenzione viene spostata dai fattori interni a quelli esterni, nella contaminazione mentale, l’attenzione viene portata sul violatore e anche sui luoghi e oggetti ad esso associati, e successivamente, la vittima sposta l’attenzione su di sé, cercando di individuare i segni dell’avvenuta contaminazione che confermeranno i suoi timori.

Di fronte alla sensazione di contaminazione interna, il soggetto mette in atto delle strategie di coping, che però nella contaminazione mentale possono presentare delle problematiche che nella contaminazione da contatto non si verificano: siccome il sito della contaminazione non è ben localizzato e non è limitato solo alle mani, come invece accade nel caso della contaminazione da contatto, il lavaggio compulsivo localizzato risulta essere inefficace per raggiungere la sensazione di sollievo desiderata dal soggetto. Quindi, il soggetto potrà avvalersi di docce prolungate e di altri mezzi con lo scopo di “neutralizzare” le proprie sensazioni di contaminazione. Infatti, ricorrerà frequentemente a dei comportamenti di neutralizzazione interna, come il conteggio, la preghiera, la ripetizione di frasi e i rituali di purificazione (es. bere molta acqua per eliminare la sporcizia percepita). Questi metodi hanno un’origine teologica-morale, perché in passato quando una persona entrava in contatto con un luogo, una persona, un oggetto impuro oppure dopo aver avuto un pensiero altrettanto impuro, si diceva che era stata “inquinata” e per poter rimediare a ciò, si consigliava di mettere in atto degli espedienti di tipo religioso, che non avevano nessuna valenza clinica, come la preghiera, il perdono, le offerte, l'esame di coscienza, gli atti di carità, la confessione, l'esorcismo, il pentimento e la rinuncia.

Inoltre, nel caso della contaminazione mentale, la vittima cercherà di usare delle tecniche di evitamento del violatore e mano a mano che la minaccia della contaminazione diventa sempre più evidente, la persona cercherà di evitare anche il contatto con i vestiti e altri oggetti appartenenti al violatore e cercherà di evitare di frequentare i posti e le persone a lui associate (Rachman et al., 2015).

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18 Contaminazione da

contatto

Contaminazione mentale Cosa è Sensazione di sporcizia

esterna

Sensazione di sporcizia interna

Quando si manifesta

Soggetto entra in contatto fisico con una sostanza contaminante

Soggetto subisce una

violazione fisica/psicologica da parte di un violatore Fonte di contaminazione - È nota e tangibile - È una sostanza contaminante e sporca

- Non è nota né tangibile - È una persona moralmente sporca

Sito di contaminazione È localizzato sulla pelle e sulle mani

Non è ben localizzabile

Strategie di coping

- Lavaggio compulsivo - Evitamento di sostanze contaminanti

- Evitamento dei luoghi in cui la sostanza potrebbe trovarsi

- Lavaggio come simbolo di purificazione (anche se non è molto efficace)

- Comportamenti di neutralizzazione interna - Evitamento del violatore e di tutto ciò che è associato a lui

Tipi

- Contaminazione da malattie, agenti patogeni, germi - Contaminazione da sporcizia - Contaminazione da sostanze dannose - Mental Pollution - Self-Contamination - Morphing - Visual Contamination

1.3 LE FORME DI CONTAMINAZIONE MENTALE

La contaminazione mentale si può manifestare in quattro forme differenti: Mental Pollution, Self-Contamination, Morphing e Visual Contamination.

Il modo in cui la contaminazione mentale si manifesta, dipende dal tipo di soggetto che ci troviamo di fronte: generalmente,

 Le vittime di tradimenti personali sono più vulnerabili a sviluppare la Mental Pollution;

 I pazienti che sono tormentati da immagini o pensieri sessuali ripugnanti e intrusivi sono più vulnerabili a sviluppare la Self-Contamination;

 I pazienti che hanno un debole senso di identità sono più vulnerabili a sviluppare la paura per il Morphing (Rachman et al., 2015).

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1.3.1 Mental Pollution

La Mental Pollution è un tipo di contaminazione mentale che viene provocata dal contatto diretto o indiretto con una persona (il violatore). La violazione a cui si fa riferimento può essere di natura fisica o psicologica e le forme più comuni con cui si manifesta sono le offese, il degrado, l’umiliazione, la denigrazione, le critiche, il tradimento, il maltrattamento, le violenze, la dominazione e la manipolazione (Rachman et al., 2015). Spesso, queste due forme di violazione possono anche coesistere, come nel caso dell’abuso sessuale che viene realizzato tramite un contatto diretto tra il violatore e la vittima (violazione fisica), ma dove le sensazioni di contaminazione provate dalla vittima si manifestano senza contatto fisico (violazione psicologica) (Fairbrother & Rachman, 2004).

Quando si verifica una violazione fisica o psicologica, la vittima diventa preda di una doppia ingiustizia a cui dovrà far fronte durante la terapia: non solo è stata offesa dal violatore, ma è stata anche lasciata con un problema psicologico da risolvere. Inoltre, il fatto di essere strumentalizzato, toccato e umiliato durante l’esperienza di abuso, sviluppa nella vittima dei sentimenti di contaminazione mentale e le fa provare delle sensazioni negative, come rabbia, avversione, disgusto e desiderio di vendetta nei confronti del suo violatore, il quale viene considerato come un nemico e come una persona moralmente ripugnante (Badour et al., 2012).

Queste sensazioni non degradano spontaneamente ma anzi, persistono per molto tempo anche in seguito all’evento traumatico (Rozin & Fallon, 1987). Infatti, secondo lo studio di Ehlers e Clark (2000), le vittime continuano a manifestare i sintomi post-traumatici perché hanno la sensazione di provare una minaccia corrente per la propria sicurezza. Anche nello studio di Steil et al. (2011), condotto su 9 donne vittime di un abuso sessuale durante l’infanzia, è stato riscontrato come queste continuassero a manifestare sintomi post- traumatici durante l’età adulta. Infatti, si sentivano contaminate e provavano disgusto nei confronti del proprio corpo perché credevano che i fluidi del violatore fossero rimasti dentro di loro. Grazie ad un trattamento terapeutico basato sull’uso di tecniche quali la ristrutturazione cognitiva e la “riscrittura” delle immagini connesse al trauma, le vittime sono state aiutate a capire che le cellule dermiche del loro corpo erano state ricostruite, e quindi, non c‘era in loro più nessuna traccia fisica del violatore (infatti, le cellule dermiche si ricostruiscono ogni 4-6 settimane).

Possiamo inoltre notare che le sensazioni di cui abbiamo parlato, si possono diffondere generando nel soggetto la necessità di lavarsi; la vittima cercherà anche di mettere in atto dei

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comportamenti di evitamento nei confronti del suo violatore e di tutto ciò che può essere legato al trauma (es. violatore, oggetti del violatore, luogo dell’incidente), che però, quando non vanno a buon fine, determineranno la ricomparsa dei sentimenti di contaminazione (Rachman, 2010).

Però, è importante sottolineare che queste situazioni di contaminazione sono molto comuni e la maggior parte delle persone, nonostante abbia fatto esperienza di un trauma, non sviluppa il disturbo post-traumatico da stress o nessuna significativa contaminazione mentale, probabilmente perché ha una maggiore resilienza, a differenza degli altri pazienti che sembra abbiano una maggiore sensibilità alle sensazioni di contaminazione, sulla base della quale sviluppano delle sensazioni intense e abnormi (Ehlers & Clark, 2000). Inoltre, il contenuto della contaminazione mentale non è mai casuale perché sorge da una particolare violazione subita dalla persona e dipende da come la persona interpreta la violazione, le azioni e le caratteristiche del violatore (Rachman et al., 2015).

Riprendendo il caso dell’abuso sessuale, possiamo andare a citare alcuni studi che ne permettono una maggiore comprensione.

Già nel 1925, Janet ipotizzò che la contaminazione mentale potesse essere causata dallo shock emozionale provato durante una violazione fisica o psicologica, tant’è che il ricordo della stessa violazione poteva far scaturire nel soggetto delle sensazioni di sporcizia (34%), distress e urgenza nel lavarsi (24%) (Rachman et al., 2015).

Sulla base di tali dati, è stato infatti notato che gli abusi sessuali possono causare la contaminazione mentale, anche in misura maggiore rispetto alle violazioni non sessuali come il furto e l’accoltellamento (Badour et al., 2012; de Silva & Marks, 1999; Gershuny et al., 2003). Ciò accade perché l’abuso sessuale è molto più intrusivo e viola i confini personali con molta più facilità. Infatti, le vittime descrivono la presenza di sensazioni di sporcizia interna che persistono anche dopo molto tempo dall’avvenuta aggressione e che:

 Sono inaccessibili e difficili da localizzare;

 Possono essere riattivate grazie a eventi mentali, come il ricordo del trauma, oppure dal contatto con persone o oggetti associati all’esperienza traumatica, anche se la loro rievocazione può avvenire senza il contatto stesso;

 Sono caratterizzate da elementi morali che ne ostacolano l’attenuazione mediante rituali di lavaggio (Fairbrother & Rachman, 2004).

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In letteratura troviamo molti altri casi in cui la contaminazione mentale si sviluppa dopo una violenza fisica (de Silva & Marks, 1999; Gershuny et al., 2003), tra cui lo studio di Fairbrother e Rachman (2004), in cui vennero coinvolte 50 donne, alle quali venne chiesto di immaginare una violenza, come ricevere un bacio non consensuale (paradigma del bacio sporco). I risultati mostrano che questa violazione personale provoca:

 Delle sensazioni di sporcizia interna (tipiche della contaminazione mentale);  Un forte bisogno di pulirsi la bocca e di fare gargarismi (ciò accade in una minoranza

di partecipanti) (Elliott & Radomsky, 2009; Fairbrother et al., 2005; Herba & Rachman, 2007);

 Delle emozioni negative, in particolare il disgusto (Rachman et al., 2012).

Queste sensazioni vengono influenzate da alcune valutazioni cognitive del soggetto, come per esempio,

 Le credenze sul grado di violazione subita (es. il comportamento immorale intrapreso, il tradimento, l’immaginazione del senso di sporcizia interna);

 Valutazioni associate alla responsabilità;

 Le percezioni del violatore (es. la moralità/immoralità del carattere, la pulizia fisica) (Elliott & Radomsky, 2009, 2012; Fairbrother, Newth & Rachman, 2005; Herba & Rachman, 2007; Rachman et al., 2012).

Un ulteriore esperimento ha dimostrato che la contaminazione mentale e i rituali di lavaggio possono essere evocati anche da atteggiamenti che non necessariamente comportano violazioni fisiche, come per esempio rievocare dei ricordi indesiderati associati al tradimento e all'immoralità oppure indossare degli indumenti che appartengono a persone immorali (Coughtrey, Shafran, & Rachman, 2014; Lee et al., 2013).

Mark Boschen (2013) ha notato che le reazioni dovute all’immaginazione di un bacio non consensuale sono state influenzate dalle credenze e dalle interpretazioni dei partecipanti, in seguito alle quali, i partecipanti si sono sentiti violati. Boschen ha rilevato anche che il “lavaggio mentale” è molto più efficace nel rimuovere le sensazioni di contaminazione mentale rispetto al lavaggio fisico.

Inoltre, le due repliche successive dell’esperimento di Fairbrother e Rachman hanno dimostrato che le cognizioni associate alla violazione, alla responsabilità personale e al tradimento sono dei fattori altamente predittivi delle sensazioni di contaminazione (Elliott & Radomsky, 2009, 2013).

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Anche nello studio di Coughtrey et al. (2014), condotto confrontando la popolazione non clinica e la popolazione con diagnosi di DOC, si conferma che chiedendo ai partecipanti di ricordare un’esperienza personale di violenza, come una denigrazione o un’umiliazione, si possono generare delle sensazioni di contaminazione interne e diffuse in tutto il corpo e non solo circoscritte alle mani, accompagnate dal bisogno di lavarsi immediatamente.

In altri studi presenti in letteratura, è stato riscontrato che le vittime di un abuso sessuale, al contrario delle vittime di una violazione fisica, hanno dei punteggi alti nelle misure riguardanti la contaminazione mentale (Adam et al., 2014), tanto da ipotizzare che l’esperienza di un abuso sessuale sia uno dei principali predittori cognitivi della contaminazione mentale stessa (Ishikawa et. al, 2013), e che la contaminazione mentale sia un mediatore della gravità dei sintomi post-traumatici (Adams et al., 2014). Inoltre, la maggior parte delle sensazioni di sporcizia insorge dopo che è stato subito lo stupro (Ishikawa et al., 2013).

Secondo Olatunji et al. (2008), esistono delle cognizioni post-traumatiche che mediano l'associazione tra la contaminazione mentale e i sintomi post-traumatici a seguito di un trauma sessuale e tra queste troviamo:

 Le cognizioni legate alla vergogna di sé;  Le convinzioni negative sul sé;

 Le credenze negative sul mondo.

Esistono anche degli altri fattori di vulnerabilità cognitiva che presentano delle associazioni con la contaminazione mentale, quali:

 Le credenze distorte sulla responsabilità;

 Le credenze sulla fusione pensiero-azione: il soggetto crede che pensare ad un'azione inaccettabile equivale a svolgere l'azione stessa o aumenta la probabilità che questa accada (Shafran, Thordarson , & Rachman, 1996; Cougle et al., 2008).

1.3.2 Self-contamination

Nella Self-Contamination, la fonte della contaminazione è la persona stessa e quindi, la persona si sente maggiormente in pericolo poiché ci sono molte più possibilità di contaminazione rispetto agli altri tipi di contaminazione.

Le sensazioni di questo tipo di contaminazione mentale possono essere dovute a degli scontri che si verificano tra i propri valori morali e alcune esperienze ripugnanti e immorali, quali:

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 Svolgimento di un’azione moralmente inaccettabile (es. guardare filmati pornografici, ricerca di materiale pedopornografico su internet, masturbazione, tradimento del partner);

 Presenza di immagini o pensieri ripugnanti e intrusivi, a tema sessuale (es. incesto, molestie a bambini, sogni erotici), religioso (es. azioni blasfeme) o di desiderio di far male a qualcuno. Questi pensieri intrusivi che contribuiscono all’insorgenza della Self-Contamination assomigliano molto alle ossessioni (Rachman, 2003), infatti, spesso, il fenomeno della contaminazione e quello delle ossessioni possono sovrapporsi, anche se, tutto sommato, solo la minor parte delle ossessioni è capace di generare i sentimenti di contaminazione (Rachman, 2006).

Inoltre, sembra che esista una correlazione significativa tra le ossessioni e la depressione (Ricciardi & McNally, 1995; Suhterland et al., 1983): ciò ha portato ad ipotizzare che i sentimenti di Self-Contamination abbiano una maggiore propensione a variare in relazione al tono dell’umore della persona, infatti, la contaminazione mentale può emergere più facilmente durante i periodi di depressione.

Di solito, le persone con la Self-Contamination presentano un senso di moralità molto elevato, per il quale risultano essere molto scrupolose e cercano di mantenere la propria purezza morale e fisica.

Talvolta, le persone si percepiscono pericolose non solo nei propri confronti, ma anche nei confronti degli altri: esse riconoscono di avere impulsi e pensieri capaci di nuocere alle altre persone. Infatti, si sottopongono spesso all’autocritica e provano un forte senso di colpa, vergogna e disgusto verso se stessi, che portano a loro volta a un aumento delle sensazioni di contaminazione mentale. Inoltre, nel caso in cui le vittime siano incapaci di difendersi (come anziani, disabili e adolescenti), provano un forte senso di stress e disagio perché tali impulsi e pensieri sono in contrapposizione con i propri ideali di moralità, e quindi, devono essere soppressi (Berman et al.; 2012; Rachman, 2013).

È necessario sottolineare che nella contaminazione mentale, gli eventi mentali che la caratterizzano sono unici nel loro significato per ciascun individuo, visto che ognuno tende ad effettuare una valutazione prettamente personale. Infatti, ciò è riscontrabile anche in un famoso esempio di contaminazione mentale presente in letteratura, riguardante la Lady Macbeth di Shakespeare, la quale sentendosi in colpa per l’omicidio del Re Duncan di Scozia, cercò invano di cancellare tali pensieri peccaminosi e di rimuovere la macchia di sangue immaginaria, lavandosi compulsivamente le mani, ma senza raggiungere mai la

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quiete desiderata. Infatti, la donna si rese presto conto che nonostante le sue mani non contenessero più nessuna traccia di sangue, nulla avrebbe potuto cacciare via l’odore del sangue che lei continuava a percepire sulle sue mani come segno indelebile della sua azione. Quanto descritto da Shakespeare nella tragedia del Macbeth ha trovato conferma sperimentale in uno studio (Zhong & Liljenquist, 2006) in cui è stata dimostrata un’associazione tra la pulizia fisica e la pulizia morale: se il soggetto viene esposto a eventi immorali, la sua integrità morale può essere messa in pericolo e quindi, il soggetto cerca di proteggersi attraverso il lavaggio, perché anche se non esiste un reale sporco esterno, il lavaggio acquisisce una funzione simbolica di “purificazione”. Quindi, sembra che la pulizia fisica sia il mezzo per realizzare la pulizia morale del soggetto, la quale permette il ripristino della propria purezza morale, senza la necessità di mettere in atto altri comportamenti compensatori, come essere altruistici con gli altri o aiutare chi è in difficoltà.

1.3.3 Morphing

Spesso il timore della contaminazione è sostenuto dal morphing. Alla base del morphing c’è la credenza secondo la quale le malattie mentali e, più in generale, le caratteristiche di una persona possano essere contagiose e quindi, trasmissibili. Ciò significa che il paziente crede che una caratteristica sgradevole appartenente ad una persona indesiderata (es. persone mentalmente instabili, disfunzionali, disprezzate, marginali, che vivono ai bordi della comunità, di basso rango sociale, strane, immorali, sporche, con cattiva reputazione o dipendenti da sostanze), possa essergli trasmessa tramite il contatto fisico diretto o attraverso la vista (visual contamination), tanto che il paziente avrà paura che la sua identità possa essere cambiata e, nei casi più gravi, che lui possa essere addirittura trasformato (“morphed”) in una persona simile a quella indesiderata.

La paura di essere contaminati da tali persone può aumentare con la durata dell’esposizione e nella minor parte dei casi, può essere provocata anche da stimoli uditivi, come parlare al telefono con persone immorali o non desiderate.

Secondo le credenze del paziente, ciò non può accadere se il contatto avviene con persone che appartengono a ranghi sociali elevati, in quanto non vengono percepite come delle probabili minacce, né vengono viste come fonte di timore per il morphing.

Nonostante nei momenti di quiete la persona affetta riconosca l’irrazionalità di questi timori, l’intensità della paura non diminuisce ed inoltre, nella persona si possono attivare delle sensazioni di disprezzo e disgusto morale nei confronti delle persone indesiderate, che

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cercherà oltremodo di evitare e di stargli lontano. Allo stesso tempo, la persona può provare un forte senso di imbarazzo nell’ammettere di essere disgustata da determinate classi di individui; un’altra sensazione ricorrente è la vergogna verso se stesso perché avendo queste credenze, la persona pensa che gli altri possano considerarla come razzista o pregiudizievole. Inoltre, poiché la paura del morphing può essere intrusiva e distruttiva, tutto ciò potrà inficiare le capacità della persona nel concentrarsi, fino ad interferire con il lavoro e la vita sociale (Rachman et al., 2015).

1.3.4 Visual Contamination

La visual contamination è una forma particolare di morphing secondo la quale le caratteristiche indesiderate di persone immorali possono essere trasmesse al paziente attraverso la sola vista di queste persone, evocando in lui la paura di diventare come loro. Inoltre, ci sono delle similitudini tra la visual contamination e le credenze sul pensiero magico, infatti Frazeer (1922), uno degli esponenti principali del pensiero magico, aveva teorizzato due principi che lo caratterizzano:

 Influenza a distanza: “la magia esiste tra un uomo e la sua porzione di persona; chi ottiene il possesso delle parti di quella persona (es. unghie, capelli) può far funzionare la sua volontà sulla persona a cui sono stati tagliati”. Sulla base di tale principio, così come i nemici possono essere offesi a distanza tramite il danno delle loro cose (capelli, unghie, vestiti), anche le persone possono essere psicologicamente danneggiate a distanza attraverso la vista, come nel caso del morphing.

 Legge di contatto o contagio: dal momento in cui le cose che sono entrate in contatto reciproco, queste continueranno ad interagire a distanza le une con le altre, anche quando il contatto fisico verrà interrotto. Quindi, nel caso della contaminazione, una volta che la persona è entrata in contatto con il violatore, continuerà sempre a rimanervi in contatto, e quindi ecco spiegato perché il lavaggio compulsivo e i rituali di purificazione non riescono a rimuovere definitivamente le tracce della contaminazione e perché le persone si sentano in pericolo anche a distanza.

I due principi magici si collegano nel seguente modo: se tutti i contatti con materiali, luoghi o persone contaminate continuano a esercitare la loro influenza anche quando il contatto fisico è evitato, e se la contaminazione opera a distanza, tutto ciò può condurre a un’espansione del contagio della contaminazione (Rachman, 2006).

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CAPITOLO 2

IL RUOLO DEL DISGUSTO NELLA CONTAMINAZIONE MENTALE

2.1 CONTAMINAZIONE MENTALE E DISGUSTO

Il disgusto è una delle emozioni umane di base più importanti (Darwin, 1872, 1965; Plutchik, 1962; Tomkins, & McCarter, 1964;) che emerge in risposta a sostanze potenzialmente dannose per la persona (es. feci, vomito) o di fronte ad atti moralmente o socialmente disgustosi (es. incesto, pornografia, mentire, rubare) (Olatunji, & Sawchuk, 2005). Infatti, la parola disgusto è formata da due parole “dis” e “gusto”, dove il prefisso “dis” ha un’accezione negativa, quindi il significato letterale è proprio “cattivo gusto”.

Il primo ad avere avuto l’intuizione a riguardo della funzione del disgusto è stato Darwin (1872-1965), il quale ha definito il disgusto come un’emozione che "si riferisce a qualcosa di rivoltante, in primo luogo in relazione al senso del gusto, come realmente percepito o immaginato vividamente; e secondariamente a tutto ciò che provoca una sensazione simile, attraverso il senso dell'olfatto, del tocco e della vista".

Secondo tale definizione, il disgusto è stato sviluppato inizialmente come meccanismo protettivo, necessario per prevenire l'ingestione orale di alimenti e sostanze contaminanti potenzialmente pericolose (es. rifiuti corporei di esseri umani e di altri animali). Quindi, il disgusto svolge una funzione primaria e specifica, in quanto funge primariamente da “tutore della bocca” (Rozin, & Fallon, 1987; Rozin, Haidt, & McCauley, 2000) e come emozione del rifiuto orale del cibo (Angyal, 1941).

Però, possiamo notare che il disgusto si estenda oltre l'incorporazione orale degli alimenti contaminati perché può essere provato anche di fronte a stimoli diversi dagli alimenti quali per esempio, lo smembramento di un corpo umano, la vista di un cadavere, gli atti sessuali non convenzionali (es. incesto), i comportamenti sessuali a rischio, le trasgressioni socio-morali (es. mentire, rubare) e le interazioni non cooperative all'interno del gruppo. Questo ci porta a pensare che il disgusto svolga una funzione di protezione e mantenimento del sé molto più ampia, infatti, difende l’uomo da qualsiasi forma di contaminazione (Haidt et al., 1997; Miller, 2004; Oaten, Stevenson, & Case, 2009; Rozin, Haidt, & McCauley, 2000;). Tutto ciò ci permette di dire che il disgusto è una delle più importanti emozioni che mediano il sistema di adattamento dell’individuo e che governa i comportamenti sociali e non sociali,

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permettendo di capire come l’uomo si rapporta con le altre persone appartenenti al nostro ambiente sociale (Curtis, Aunger, & Rabie, 2004).

Il disgusto presenta delle caratteristiche fondamentali, infatti ha un'espressione facciale universale e riconoscibile in tutte le culture (Ekman, 1992; Ekman, & Friesen, 1975): di fronte a una sostanza disgustosa, abbiamo la tendenza ad arricciare il naso, sollevare il labbro superiore e socchiudere gli occhi (Ekman, & Friesen, 1975, 1978). Queste azioni servono per diminuire la superficie esposta degli occhi e chiudere il più possibile le cavità nasali, in modo da proteggere le mucose della faccia maggiormente vulnerabili durante l'esposizione a stimoli potenzialmente pericolosi (Susskind et al., 2008). Questa configurazione facciale può essere osservata anche nei neonati, poche ore dopo il parto, in risposta a stimoli amari e ciò ci fa ipotizzare che la risposta di avversione sia innata (Steiner, 1973).

Il disgusto è anche caratterizzato da specifiche risposte che prevengono eventuali contaminazioni e malattie (Rachman, 2004; Rozin, Haidt, & McCauley, 1993; Woody, & Teachman, 2000), quali per esempio

 Risposte comportamentali (es. tentativi di fuga ed evitamento): l'individuo cerca di allontanarsi dallo stimolo disgustoso o di rimuovere lo stimolo da se stesso attraverso il lavaggio (Rozin, Haidt, & McCauley, 1999);

 Risposte cognitive: consistono in una sensazione di sporcizia e contaminazione;  Risposte fisiologiche: il disgusto è correlato con l'attivazione del sistema nervoso

autonomo parasimpatico (Ekman, Levenson, & Friesen, 1983; Levenson, 1992; Levenson, Ekman, & Friesen, 1990), il quale comporta l'aumento della salivazione (Angyal, 1941) che serve per svuotare la bocca dagli agenti contaminanti e per proteggere lo smalto dei denti e dei tessuti orali dai danni provocati dagli acidi dello stomaco durante il vomito (Ogren et al., 1987). Infatti, il disgusto è anche associato alla risposta fisiologica della nausea e del vomito (Rozin, & Fallon, 1987): la nausea è il segnale che ci protegge dall’ingestione di cibi tossici o contaminati e, se tali segnali preventivi falliscono, il vomito aiuta il corpo a liberarsi dall'ingestione dannosa (Stern, 2002).

Inoltre, i ricercatori hanno distinto ben due fattori di vulnerabilità legati al disgusto:

 Propensione al disgusto: è la tendenza dell’individuo a provare disgusto di fronte a una varietà di stimoli;

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 Sensibilità al disgusto: è la tendenza dell’individuo a percepire e interpretare l’esperienza del disgusto come negativa o dannosa ed è associata alla paura di sperimentare il disgusto (Olatunji et al., 2010; van Overveld et al., 2006).

Come abbiamo visto fino ad ora, la paura di contaminazione e il disgusto sono emozioni molto intese e spiacevoli dalle quali i soggetti tendono ad allontanarsi.

L’importanza di queste due emozioni viene riscontrata nel fatto che la paura di contaminazione e il disgusto sono associati tra loro e che, in alcuni casi di DOC, possono essere addirittura sovrapponibili (Deacon, & Olatunji, 2007; Woody, & Teachman, 2000). La paura di contaminazione e il disgusto possono condividere alcune caratteristiche peculiari: esistono stimoli potenzialmente contaminanti (es. bendaggi sporchi, cibo avariato) che possono provocare sia il disgusto che la paura di contaminazione, se il soggetto vi entra in contatto. Altri stimoli, invece sono causa esclusiva dell’una o dell’altra emozione: per esempio, esistono molti stimoli che possono provocare il disgusto, che però non generano paura, infatti, la maggior parte delle paure non comprende elementi di disgusto. In particolare, gli stimoli che di solito generano il disgusto sono visivi e olfattivi, infatti l’odore gioca un ruolo importante nella paura.

Inoltre, il disgusto e la paura possono portare a delle conseguenze simili tra loro, come il lavaggio compulsivo che serve per rimuovere la sostanza contaminante. Riguardo a ciò, però, possiamo notare delle differenze: il disgusto scompare immediatamente dopo la pulizia, in seguito alla quale l’eliminazione della sostanza contaminante viene confermata visivamente e dalla scomparsa del cattivo odore, invece, la paura permane e non si risolve grazie al lavaggio perché i fattori che la generano (es. germi e virus) sono difficili da localizzare e da rimuovere con certezza.

Uno studio recente che conferma l’associazione tra il disgusto e la paura di contaminazione è quello condotto da Edwards e Salkovskis (2005), su un campione di soggetti non clinici, in cui è emerso che inducendo un aumento della paura (in questo caso, dei ragni), era possibile riscontrare anche un aumento delle reazioni di disgusto, ma non è vero il contrario, ovvero che le reazioni di disgusto non amplificano la paura. Però, il caso specifico della contaminazione mentale rappresenta un’eccezione a quanto detto, poiché è stato riscontrato che l’esposizione del soggetto a stimoli disgustosi tende a far aumentare la paura nei confronti del violatore e quindi, le sensazioni di contaminazione (Olatunji et al., 2010). Anche nello studio di Fairbrother e Rachman (2004) basato sull’applicazione del paradigma del bacio sporco, è emerso che chiedendo a delle donne di immaginare di ricevere un bacio

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non consensuale, possono insorgere non solo sentimenti di contaminazione e l’urgenza di lavarsi (Elliott, & Radomsky, 2009; Fairbrother et al., 2005; Herba, & Rachman, 2007), ma anche emozioni negative, in particolare il disgusto (Rachman et al., 2012).

Recentemente, è stato anche esaminato il legame secondo il quale la sensibilità al disgusto amplifica l'esperienza della propensione al disgusto, in relazione alla contaminazione mentale (Travis, & Fergus, 2015): i soggetti con un’elevata sensibilità al disgusto hanno anche una maggior probabilità di sperimentare delle reazioni di disgusto (van Overveld et al., 2006) che però vengono interpretate come dei segni di sporcizia interna, legate quindi alla contaminazione mentale (Coughtrey et al., 2013).

Secondo alcuni studi, sia la contaminazione mentale che il disgusto sono implicati nel disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) e nel disturbo post-traumatico da stress (DPTS) (Ojserkis, McKay, & Lebeaut, 2017; Olatunji et al., 2010) e qui di seguito riporteremo alcuni studi della letteratura che vanno ad indagare le relazioni tra questi costrutti.

Come già specificato in precedenza, il timore per la contaminazione è una caratteristica fondamentale del Disturbo Ossessivo-Compulsivo e questa forma di paura include anche la contaminazione mentale (Rachman, 2004). Inoltre, la contaminazione mentale presenta un’associazione con i sintomi ossessivo compulsivi e con il disgusto (Badour et al., 2014) e ovviamente, è elevata tra gli individui con un DOC legato ai timori per la contaminazione (Radomsky et al., 2014).

Sulla base di tali dati, Melli et al. (2014) hanno analizzato la relazione tra la propensione al disgusto e la contaminazione mentale in uno studio condotto su un campione di pazienti con DOC. I risultati hanno dimostrato che il 61.9% dei pazienti con DOC presenta delle sensazioni di contaminazione mentale, pertanto, la contaminazione mentale è un’esperienza comune nei pazienti con sintomi DOC relativi alla contaminazione. Infatti, dopo aver controllato l’ansia e i sintomi depressivi, sono state riscontrate correlazioni significative tra la propensione al disgusto, i sintomi DOC e la contaminazione mentale. Coerentemente con alcuni studi precedenti (Nicholson, & Barnes-Holmes, 2012; Olatunji, 2010), questi dati confermano che la propensione disgusto è un importante fattore affettivo che si trova alla base dell’insorgenza della paura di contaminazione e che contribuisce allo sviluppo del DOC (es. rituali di lavaggio) legato alla contaminazione mentale.

In particolare, la contaminazione mentale media parzialmente (parzialmente, perché probabilmente, all’interno di questa interazione sono coinvolti altri importanti mediatori) la

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relazione tra la propensione al disgusto e la paura di contaminazione nel DOC: quando il soggetto vive delle esperienze (es. violazioni fisiche o psicologiche, pensieri/immagini/impulsi immorali) che lo fanno sentire mentalmente contaminato e gli fanno provare delle forti sensazioni di sporcizia interna, si sentirà anche profondamente disgustato (se ha alta propensione al disgusto), e ciò potrà elicitare la manifestazione di sintomi ossessivo-compulsivi (es. evitamento, rituali di lavaggio), con lo scopo di proteggersi dagli stimoli potenzialmente pericolosi. Ma in verità, la propensione al disgusto non farà altro che rinforzare negativamente i sintomi ossessivo-compulsivi, determinando il mantenimento del DOC stesso (Carraresi et al., 2013; Melli et al., 2014).

Così come il Disturbo Ossessivo-Compulsivo, anche il Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS) può essere considerato un terreno fertile per analizzare le relazioni tra il disgusto e la contaminazione mentale. Infatti, la sensibilità al disgusto e i sentimenti di contaminazione mentale sono entrambi correlati ai sintomi post-traumatici da stress causati da un’esperienza di abuso sessuale (Badour et al 2011; Feldner et al. 2010; Petrak et al. 1997; Rusch et al. 2011; Shin et al. 1999).

Inizialmente, questi due costrutti sono stati studiati in modo indipendente l’uno dall’altro. Per quanto riguarda la relazione tra disgusto e DPTS, è stato notato che i soggetti che hanno subito dei traumi sessuali hanno mostrato degli elevati sentimenti di disgusto e la manifestazione di sintomi post-traumatici (Badour et al., 2011; Rüsch et al., 2011). Ciò viene confermato anche dal fatto che

 Gli adolescenti che hanno subito un abuso sessuale mostrano sei volte più probabilità di provare sentimenti di disgusto rispetto a quelli che hanno subito una violenza fisica (Feldner et al., 2010);

 La maggior parte delle donne vittime di un abuso sessuale riportano un continuo distress associato a sentimenti di disgusto verso se stesse (Petrak et al., 1997). In particolare, l'intensità del disgusto provata dalla vittima nei confronti del proprio violatore influenza la gravità dei sintomi post-traumatici sviluppati in seguito all'abuso sessuale e la paura sperimentata durante l’abuso stesso (Badour et al., 2012; Engelhard et al., 2011). Invece, per quanto riguarda la relazione tra contaminazione mentale e DPTS, è stato notato che le vittime di abusi sessuali possono sviluppare dei sentimenti di sporcizia interna che

 Sono correlati positivamente con la gravità dei sintomi post-traumatici (Fairbrother, & Rachman, 2004);

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 Mantengono i sintomi dello stress post-traumatico, aumentando le cognizioni negative maladattive su sé e sul mondo (Olatunji et al., 2008);

 Scatenano nel soggetto una forte urgenza di lavarsi che può persistere anche dopo l’avvenuto abuso (Fairbrother, & Rachman, 2004; Jung, & Steil, 2012; Rachman, 1994; Steil et al., 2011).

Studi più recenti hanno invece permesso di andare a studiare contemporaneamente la propensione al disgusto e i sentimenti di contaminazione mentale in relazione ai sintomi post-traumatici da stress causati da un trauma sessuale. Tra questi studi, riportiamo quello di Badour et al. (2013), condotto su un campione di donne con DPTS causato da una precedente esperienza di abuso sessuale, secondo il quale è emersa una correlazione significativa tra la gravità dei sintomi post-traumatici da stress relativi all’abuso subito con la sensibilità al disgusto e i sentimenti di contaminazione mentale.

Poi, lo studio recentissimo di Ojserkis, McKay, & Lebeaut (2017) ha permesso di supportare i risultati ottenuti dallo studio di Travis e Fergus (2015) precedentemente menzionato, secondo il quale la sensibilità al disgusto amplifica l'esperienza della propensione al disgusto in relazione alla contaminazione mentale, estendendo questa constatazione da un campione di persone esposte a un trauma generale a persone esposte a traumi specifici che hanno soddisfatto i criteri del DPTS.

I risultati ottenuti dagli studi appena citati possono essere interpretati nel seguente modo: quando il soggetto vive delle esperienze traumatiche come l’abuso sessuale (con rischio di sviluppare DPTS), tende a sperimentare dei forti sentimenti di disgusto (propensione al disgusto) che, a causa della sua elevata sensibilità al disgusto, verranno interpretati e interiorizzati come sensazioni negative di sporcizia interna, tipiche della contaminazione mentale. A questo punto, il soggetto cercherà di eliminare questa sensazione di contaminazione mentale usando comportamenti ossessivo-compulsivi (es. rituali di lavaggio, evitamento), con lo scopo di eliminare e proteggersi dagli stimoli potenzialmente pericolosi (Badour et al., 2013; Carraresi et al., 2013; Coughtrey et al., 2013; Ehlers, & Clark 2000; Fairbrother, & Rachman 2004; Melli et al., 2014; Olatunji et al. 2008; Radomsky, & Elliott, 2009; Steil et al. 2011). Quindi, la propensione al disgusto è un importante predittore affettivo dello sviluppo della contaminazione mentale (Badour et al., 2014).

In un recente esperimento condotto da Badour et al. (2014) è stata studiata anche la correlazione tra il disgusto peritraumatico provato verso se stessi e la contaminazione

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