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IL MONDO SOCIALE DEI GENITORI MIGRANTI DELL'ALBANIA E DEI LORO FIGLI: TRASFORMAZIONI A CONFRONTO TRA VERONA E BIRMINGHAM

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA

DIPARTIMENTO TEMPO SPAZIO IMMAGINE SOCIETÀ

SCUOLA DI DOTTORATO DI STUDI UMANISTICI

DOTTORATO DI RICERCA IN

SCIENZE STORICHE E ANTROPOLOGICHE

CICLO XXIV

IL MONDO

SOCIALE

DEI

GENITORI MIGRANTI

DELL’ALBANIA

E DEI

LORO

FIGLI:

TRASFORMAZIONI

A

CONFRONTO

TRA

VERONA

E

BIRMINGHAM

Tutor:

Dottorando:

Prof.ssa Vanessa Maher

Dott. Sabaudin Varvarica

Coordinatore:

Prof. Gian Maria Varanini

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Abstract (italiano)

Il mondo sociale dei genitori migranti dell’Albania e dei loro figli: trasformazioni a confronto tra Verona e Birmingham

Gli approcci teorici riguardo la materia d’immigrazione dell’ultimo decennio in Europa, dai quali intendo prendere spunto, derivano da teorie sviluppate in Nord America. Gli studi legati alle prime e alle seconde generazioni migranti in Europa si riferiscono almeno a tre diverse tematiche teoriche a) l’esame delle opportunità che i contesti nazionali offrono in termini di inserimento e mobilità sociale; b) la nozione dei confini sfuocati e luminosi sviluppata da Richard Alba (2005), il quale sostiene che diverse forme di confini in termini di cittadinanza, religione, “razza” e lingua influenzano il processo di formazione identitaria nelle prime e nelle seconde generazioni c) l’analisi del fenomeno transnazionale. La natura e l’importanza dei legami con il Paese di provenienza delle prime generazioni incidono sull’atteggiamento e sulle modalità con cui le seconde generazioni si relazionano al Paese di origine dei genitori. Tale fenomeno avviene in modo complesso e discontinuo. Questo è dovuto a molteplici fattori che determinano di conseguenza la rilevanza del fenomeno stesso ed il suo ruolo nella formazione identitaria dei migranti. La tracciabilità delle pratiche transnazionali, l’individuazione delle modalità con cui esse avvengono, la riproduzione culturale che ne deriva permettono di cogliere trasformazioni sociali a cui genitori migranti e loro figli sono inevitabilmente soggetti.

Intendo seguire le linee teoriche sopra descritte, concentrandomi principalmente su contesti e eventi che vedono coinvolti i genitori migranti dell’Albania e i loro figli. Inoltre l’approccio riguarda due diversi contesti, quello di Birmingham in Gran Bretagna e quello di Verona in Italia, verso i quali si è verificato un flusso considerevole di immigrazione albanese dopo gli anni Novanta. L’intento è quello di allargare le conoscenze inerenti il fenomeno migratorio attraverso la comparazione, tracciare differenze e similarità nei processi migratori, identificare temi di rilevanza socioculturale e analizzarne gli effetti.

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Abstract (english)

The social world of Albanian migrant parents and their children: transformations to compare between Verona and Birmingham

The theoretical approacheswhich I intend to adopt regarding migration over the last decade in Europe, derive from theories that have been developed in North America. Studies related to the first and second generation migrants in Europe refer at least to three of them: a) an examination of the opportunities that national contexts provide in terms of inclusion and social mobility; b) the notion of blurred and bright boundaries that has been developed by Richard Alba (2005), who argues that different forms of boundaries in terms of nationality, religion, “race” and language influence the process of identity formation of the first and second generations c) the analysis of transnational phenomena. The nature and importance of the first generation links with the home country impact the attitudes and the way in which the second generation relate to the sending country of their parents. Such phenomena are complex and discontinuous. This is due to several factors which determine the relevance of the phenomenon itself and its role in the identity formation of migrants. The tracing of transnational practices, the singling out of the ways in which they occur, description of ensuing cultural reproduction would allow me to grasp the social transformations to which migrant parents and their children are inevitably subject.

I intend to follow the theoretical lines described above focusing mainly on situations and events in which Albanian migrant parents and their children are involved . In addition, the approach concerns two different European contexts towards which there was a significant flux of Albanian migration after the Nineties, Birmingham in Britain and Verona in Italy. The intent is to broaden knowledge on the phenomenon of migration through comparison, tracking differences and similarities in migration processes, identifying issues of socio-cultural relevance and analyzing their effects.

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Abstract (shqip)

Bota sociale e prindërve migrantë shqiptarë dhe fëmijëve të tyre: ndryshimet krahasuar mes Veronës dhe Birminghamit

Qasjet teorike lidhur me mërgimet e dhjetëvjeçarit të fundit në Europë, nga të cilat synoj të marr dhe shkas, burojnë nga teoritë e zhvilluara në Amerikën e Veriut. Studimet mbi brezat e parë e të dytë të migrantëve në Europë, prekin të paktën tre tematika të ndryshme, ndër të cilat: a) shqyrtimin e mundësive që kontekstet kombëtare japin në aspektin e përfshirjes dhe lëvizshmërisë sociale b) nocionin e kufijve të mjergulluar dhe të qartësuar, i hulumtuar nga Richard Alba (2005), i cili mbështet idenë se trajta të ndryshme kufijsh/caqesh prej nga perceptohet dhe përfytyrohet feja, kombësia, “raca” dhe gjuha ndikojnë në proçesin e formësimit identitar tek brezat e parë e të dytë c) analizën e dukurisë transkombëtare. Natyra dhe rëndësia e lidhjeve me vendin e origjinës së brezit të parë ndikon në qëndrimin dhe mënyrën në të cilën brezi i dytë lidhet me vendin e origjinës së prindërve. Dukuria është e ndërlikuar e me ndërprerje. Kjo, për shkak të shumë faktorëve që përcaktojnë, në përputhje me rrethanat, rëndësinë e dukurisë dhe rolin e saj në mbrujtjen identitare të migrantëve. Gjurmimi i përvojave transkombëtare, nxjerrja ne pah e mënyrave se si ato kryhen, me rishfaqjet kulturore që pasojnë na bëjnë të mundur të kuptojmë ndryshimet shoqërore, që prindërit migrantë dhe fëmijët e tyre u nënshtrohen pashmangshmërisht.

Kam ndërmend të ndjek vijat e mësiperme teorike, duke u përqëndruar kryesisht në ato situata dhe ngjarje ku janë të përfshirë prindërit migrantë shqiptarë dhe fëmijët e tyre. Përveç kësaj, studimi ka të bëjë me dy kontekste të ndryshme, njëri në Birmingham të Britanisë së Madhe dhe tjetri në Veronë të Italisë, ku ka pasur një rrjedhë të konsiderueshme të mërgimit shqiptar pas viteve nëntëdhjete. Kjo bëhet me qëllim për të zgjeruar njohuritë mbi dukurinë e mërgimit nëpërmjet krahasimit, për të pikasur dallimet dhe ngjashmëritë në proceset e mërgimit, për të njëjtësuar çështje me rëndësi shoqërore e kulturore dhe për të zbërthyer ndikimet e tyre.

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INDICE

Introduzione 1

Ringraziamenti 5

CAPITOLO I

ALBANIA E GLI ALBANESI: CENNI STORICI E COSTRUZIONE

IDENTITARIA 7 Dominazione romana 10 Cristianizzazione 11 Pericolo ottomano 12 Dominazione ottomana 14 Autonomia amministrativa 15 Islamizzazione 17 Indebolimento dell’Impero 18

Verso le Guerre Mondiali 19

Nazionalismo albanese 21

Verso l’indipendenza 22

Prima Guerra Mondiale 24

Monarchia di Re Zog 25

L’occupazione fascista 28

Ascesa di Hoxha 29

L’Albania comunista 32

Perestrojka (перестройка) e la fine della dittatura 34

Albania democratica e la legacy di Hoxha 35

Occidentalizzazione del Paese 38

“Cultura” come concetto nella società odierna albanese 39

Conclusione 42

CAPITOLO II

MIGRAZIONE DEGLI ALBANESI: LE FASI E I RISPETTIVI CONTESTI

STORICI 43

XV- XIX secolo 43

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Durante il 1945-1990 49

Dopo gli anni Novanta 49

Politiche migratorie in Europa 51

Push and pull factors della migrazione albanese 52

Immigrazione albanese in Italia 53

Stato di accoglienza 54

Sistema di welfare e associazionismo italiano 55

Integrazione lavorativa e gettito fiscale 57

Rimesse/effetti 57

Immigrazione albanese in Inghilterra 59

Migrazione di ritorno 62

Conclusione 64

CAPITOLO III

MIGRAZIONE: DALLE TEORIE CLASSICHE ALL’OGGETTO DI

STUDIO IN ANTROPOLOGIA 67

Il dibattito transatlantico sul fenomeno migratorio 68

Il dibattito sulla seconda generazione 73

La seconda generazione: concetto e terminologia 75

Approcci teorici 76

Costruire confini e identità:il caso del relativismo antropologico 80

Identità migranti 87

Conclusione 90

CAPITOLO IV

IL MONDO SOCIALE DEI GENITORI MIGRANTI DELL’ALBANIA E DEI LORO FIGLI: TRASFORMAZIONI A CONFRONTO TRA VERONA

E BIRMINGHAM 91

Metodologia, gruppi d’interesse e spazi dell’indagine 92

Approccio teorico 96

Politiche nazionali e “gestione” dei migranti 97

Discorso politico e mediatico 101

Esclusione/Inclusione legale 105

Esclusione/Inclusione sociale 108

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Sfera pubblica 113

Interazione con l’Altro/a 117

Ambito familiare 120

Rapporto con il Paese di origine – genitori migranti e figli 124

Continuità/discontinuità culturale 130

Potere e role-taking 130

Mantenimento/modifiche della lingua 131

Scuola, società e diversità linguistica 133

Conclusione 134

CAPITOLO V

RIFLESSIONI SULLA METODOLOGIA

DELLA RICERCA SUL CAMPO 135

Difficoltà della ricerca 136

Come definire/legittimare l’argomento della ricerca? 138

Quale approccio utilizzare per costruire dati? 145

Entrare nel campo: quali sono i limiti e i rischi dell’immersione? 149

Quale la distinzione tra ricerca e vita privata? 153

L’etica della ricerca 156

Essere outsider/insider non dipende da dove vieni! 158 Posizione del ricercatore: quale posizionamento sul campo? 161

Vantaggi e svantaggi 163

Conclusione 165

CONCLUSIONI 167

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Introduzione

Il filo conduttore di questa ricerca è stato la relazione intergenerazionale e la trasformazione nel corso del tempo dell’identità e senso di appartenenza dei migranti albanesi e dei loro figli in due contesti diversi, Verona in Italia e Birmingham in Inghilterra. In che modo i migranti albanesi scelgono di adattarsi al nuovo contesto e come si esprimono i cambiamenti nelle loro identità? Come si riflettono i nuovi modi di essere e di pensare nelle loro pratiche quotidiane? Per avere delle risposte mi sono mosso attraverso una serie di contesti sociali, partecipando quanto possibile in quelle situazioni/eventi in cui i migranti albanesi sono maggiormente coinvolti. Ho tentato di comprendere le loro modalità di partecipare ai diversi tipi di relazioni che instaurano con altri attori sociali, con i luoghi, gli spazi ed il tempo.

La ricerca si è proposta non solo di indagare sugli “archivi di esperienze vissute” (Appadurai 1996:11), ma anche di articolarsi come “etnografia multi-situata”, al fine di rintracciare differenze e similarità tra i vari contesti in campo sociale transnazionale.

Nonostante le dinamiche transnazionali non riguardino tutti gli immigrati, lo studio dell’immigrazione non può essere effettuato in un’ottica unidirezionale e solo in relazione al Paese di accoglienza. Il processo migratorio infatti, non è mai stato un processo solo di assimilazione anzi, gli studi e le ricerche, in particolare quelli effettuati negli ultimi due decenni, hanno dimostrato che i migranti, in modi diversi, partecipano e sono coinvolti in attività e pratiche sociali transnazionali nonostante i confini degli Stati nazione continuino a rappresentare tuttora delle barriere politiche e culturali. Nell’attuale panorama globale, la contemporaneità di presenza e coinvolgimento degli immigrati in più società, ha fatto sì che questi nuovi spazi siano fluidi e costantemente soggetti a delle variazioni/rielaborazioni (Basch 1994, Levitt, Schiller 2004, Pries 2005, Smith 2005).

Gli spazi in questione coinvolgono migranti e non in quanto flussi di persone, danaro e “rimesse sociali” (idee, norme, pratiche, identità) producono nuovi tipi d’interazione con effetti trasformativi anche sulla vita di quelle persone che non sono in movimento (Levitt 2001). Le condizioni per essere coinvolti in pratiche sociali attraverso i confini territoriali esistono anche nel caso della migrazione albanese. Per evidenziare i fattori molteplici che incidono sulla vita di prime e seconde generazioni ho individuato alcuni luoghi e spazi frequentati dai migranti albanesi (anche a livello transnazionale) e attraverso l’osservazione partecipante, ho tentato di cogliere la visione, soprattutto dei

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genitori e degli adulti migranti di “ prima generazione”, della propria esperienza e della loro situazione attuale. Ho dedicato particolare attenzione al modo in cui i contesti d’arrivo e di partenza entrano in relazione e evidenzio gli effetti dialettici e bidirezionali che ne derivano assieme alla produzione di nuovi spazi sociali. In questo rapporto, secondo la mia esperienza migratoria1, si trovano anche le ragioni per cui il senso di identificazione e la formazione identitaria dei migranti possano articolarsi e manifestarsi in modi diversi.

Questo lavoro è diviso in cinque capitoli che sono articolati nel modo seguente. Nel primo capitolo mi occupo di una breve introduzione storica e sociologica dell’Albania individuando quei fattori e fenomeni oggettivi e soggettivi che hanno segnato le sorti del Paese e dei suoi abitanti. Inoltre, metto in evidenza una serie di caratteristiche peculiari a cui vanno ascritte la mutevolezza e la variabilità della formazione identitaria e del senso di appartenenza tra gli Albanesi.

Nel secondo capitolo illustro il fenomeno della migrazione albanese, le sue varie fasi e i rispettivi contesti storici evidenziandone le cause e gli effetti. Pertanto, l’approccio all’analisi del fenomeno dopo gli anni Novanta in Italia e in Gran Bretagna , nello specifico a Verona e a Birmingham, è diacronico ovvero tale che si propone di tracciare l’evoluzione storica del fenomeno e di evidenziare possibilmente alcuni intrecci e combinazioni rispetto alle cause e agli effetti del passato e del presente.

Nel terzo capitolo presento alcuni degli approcci teorici del fenomeno migratorio partendo dal concetto antropologico classico di gruppo etnico/umano, di cultura e di identità, comprese le innovazioni teoriche che hanno visto mutare col passare del tempo tali concetti, per giungere infine alla svolta metodologica della disciplina nello studio multi situato della migrazione odierna.

Nel quarto capitolo prendo in esame le trasformazioni sociali che hanno investito i migranti albanesi in relazione alle sfere d’impatto - politico, culturale ed economico - sia nel Paese di partenza che in quelli di accoglienza. Il materiale raccolto sul campo va analizzato e interpretato in un’ottica comparativa tra il contesto di Verona e quello di Birmingham, ma prende anche in considerazione le zone di Albania dalle quali i migranti sono partiti. Non si intende di proporre un’etnografia esauriente dei singoli luoghi, ma

1 La mia esperienza migratoria e la lunga ricerca introspettiva richiesta anche per la mia formazione come mediatore culturale e educatore mi hanno sicuramente portato a maturare una certa consapevolezza relativa alla mia personale metamorfosi identitaria, processo che mi sembra sia ancora in corso. Certo, l’esperienza personale mi ha spinto ad affrontare questo studio in una prospettiva transnazionale.

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come ho accennato prima, vuole tracciare eventuali similarità e differenze tra i vari contesti nazionali rispetto alle trasformazioni sociali a cui i migranti albanesi sono stati soggetti finora.

L’ultimo capitolo è dedicato ad alcune riflessioni inerenti la metodologia della ricerca sul campo, la quale si è rivelata complessa non solo per via del mio posizionamento come “insider/outsider” ma, soprattutto, è stata condizionata dalle modalità e dai contesti in cui è avvenuta anche l’interazione con i soggetti studiati.

L’osservazione partecipante e le interviste a Birmingham, che coprono il periodo da maggio a giugno 2010, sono state effettuate nei luoghi più comunemente frequentati dagli Albanesi e in particolare: bar caffètterie, Snooker club, campi di calcetto, associazione albanese e la sede del British Refugee Council. I contatti con gli interlocutori sono stati resi possibili grazie a intermediari albanesi, i quali a loro volta hanno volutamente ed intenzionalmente avviato una comunicazione circolare presso la comunità albanese in loco. Ciò è avvenuto in tre fasi: la prima grazie a una mia vecchia conoscenza, Adrian Jegeni2; la seconda attraverso una ricerca su internet3 che mi ha portato a conoscere la MEAF (Midlands Ethnic Albanians Foundation); la terza grazie a uno scambio di comunicazioni con Gëzim Alpion, sociologo di origine albanese, professore ordinario presso l’Università di Birmingham. Ho potuto parlare con alcune donne della loro esperienza in Gran Bretagna tramite l’insegnante della lingua albanese, operatrice presso MEAF, a Birmingham. Abbiamo fatto un’uscita collettiva con le mamme e i bambini in occasione della festa internazionale dei bambini, organizzata dalla stessa associazione (2 giugno 2010). Va aggiunto un contatto significativo con una donna albanese presso il British Refugee Council di Birmingham, operatrice della stessa istituzione.

A Verona, dove risiedo da molti anni, la ricerca si è svolta in due periodi, prima e dopo il soggiorno in Inghilterra. Il contatto con la comunità albanese a Verona è avvenuto grazie a delle conoscenze acquisite per motivi di lavoro. Questi contatti derivavano da precedenti richieste del tribunale di traduzione e asseverazione di documentazione dalla

2 Con cui abbiamo fatto insieme l’intero percorso degli studi a Tirana, in Albania, e che attualmente risiede a Kidderminster (GB) con la sua famiglia. Adrian mi ha messo a conoscenza di una sala biliardo, Churchills Snooker Club, molto frequentato dagli Albanesi di Birmingham.

3 www.meaf.org.uk è il sito web dove si documentano diverse attività promosse dal MEAF a partire dal 2005. Durante il periodo di visiting studentship all’Università di Manchester, nel mese di febbraio 2010, scrivo all’Associazione, chiedendo formalmente di avere accesso alla comunità come ricercatore dell’Università degli Studi di Verona. La risposta è stata tempestiva. Dopo aver concordato un appuntamento con Dritan Dema, il presidente dell’Associazione MEAF, ci siamo incontrati a Birmingham il 20 marzo 2010. L’incontro è avvenuto al Bullring.

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lingua albanese a quella italiana, dal coinvolgimento in attività del Comune per promuovere la conoscenza delle presenze straniere in loco, dalla frequentazione estemporanea dei bar frequentati da molti Albanesi, dalle visite effettuate al centro servizi Western Union, gestito da un signore albanese ed infine passando il tempo con conoscenti albanesi in un parco cittadino. Ho svolto delle interviste in un campo sportivo, “Amicizia”, in via Torbido (Borgo Venezia)4. Inoltre, mi sono avvalso di una conoscenza acquisita all’Università, di una donna albanese sui trent’anni, laureanda in Scienze d’Educazione, la quale mi ha permesso di accedere ad altri contatti, in particolare con una donna albanese di professione parrucchiera, la quale presta servizio a domicilio alle sue connazionali. Tutte queste persone sono state degli interlocutori e interlocutrici preziosi. Tengo a precisare che nel contesto veronese ho cercato di colloquiare maggiormente con persone che non conoscevo prima, piuttosto che con quelli già conosciuti; questo per avere uno sguardo “nuovo“ durante il lavoro sul campo.

Questa ricerca, in tutte le sue fasi, si è rivelata complessa, non solo per via dell’oggetto dello studio, ma anche per quelle situazioni sinistre oppure imprevedibili nelle quali mi sono imbattuto e che, indubbiamente, hanno condizionato il piano del lavoro e il mio posizionamento sul campo. Questo ha richiesto più volte la messa in discussione, che personalmente ho avvertito e accettato con l’aumentare della consapevolezza rispetto all’oggetto e ai soggetti dello studio.

4 In occasione del 11° torneo di calcio “Un pallone come il mondo” promosso da CSI (Centro Sportivo Italiano) di Verona.

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Ringraziamenti

Questo lavoro è stato reso possibile grazie al sostegno finanziario della Fondazione Cariverona e al supporto didattico ricevuto durante il corso di dottorato presso il Dipartimento TeSIS e la Scuola di Dottorato in Studi Umanistici.

Ringrazio la mia Tutor, Prof.ssa Vanessa Maher, che mi ha incoraggiato ad intraprendere il percorso di studio e di ricerca antropologica e che ha sempre creduto in me; i Coordinatori del corso di dottorato in Scienze Storiche e Antropologiche, Prof. Giampaolo Romagnani e Prof. Gian Maria Varanini per il loro sostegno; Prof. Gabriel Sala e Prof.ssa Rosanna Cima, che sicuramente hanno contribuito alla mia formazione come mediatore linguistico culturale; Prof. Russell King dell’Università di Sussex, che mi ha consigliato di condurre ricerca sul campo a Birmingham; Prof.ssa Sarah Green dell’Università di Manchester, che durante il periodo di visiting studentship si è resa disponibile a revisionare il mio progetto di ricerca e ad introdurmi alla vasta letteratura britannica sulla materia d’immigrazione; Dott. Massimo Modesti, caro amico e pedagogista interculturale, che ha sempre dimostrato curiosità e interesse nel discutere con me questioni della ricerca.

Grazie a Dritan Dema, Presidente dell’Associazione MEAF di Birmingham; Prof. Gëzim Alpion, sociologo di origine albanese presso l’Università di Birmingham; Orjeta Kolonja e Marsela Hoxha, entrambe insegnanti di lingua albanese; Adrian Jegeni, caro amico di vecchia data, per l’aiuto che mi hanno dato durante il soggiorno a Birmingham. A loro devo veramente l’accesso alla comunità degli Albanesi. Ringrazio i miei interlocutori per la fiducia e il tempo che mi hanno dedicato durante il lavoro di ricerca sul campo.

Grazie a Alban Saraçi, Presidente dell’Associazione Iliria di Verona; Adelina Sinjari, laureata in Scienze dell’Educazione all’Università degli Studi di Verona; Laert Çela, Presidente dell’Unione degli studenti albanesi a Verona, che in varie occasioni si sono attivati per introdurmi a nuovi gruppi di interlocutori provenienti dall’Albania. Ringrazio Saraçi e Çela per la proficua collaborazione riguardo l’apertura della scuola albanese presso la 1^ Circoscrizione a Verona e tutti i genitori migranti, alcuni dei quali anche miei interlocutori, che hanno accolto con entusiasmo l’iniziativa; l’idea della scuola albanese per la nuova generazione degli Albanesi a Verona si è potuta materializzare anche grazie ai risultati di questo lavoro.

Un ringraziamento particolare va alla cara Celeste Zorzi per aver condiviso con me l’irrequietezza e l’incanto della conoscenza dell’Altro/a.

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Un pensiero affettuoso va ai miei nipoti, Ridio e Klaudia, che vivono e studiano a Tirana. Mi auguro che Klaudia possa trovare in queste pagine delle risposte alla domanda che mi fece anni addietro quando era ancora piccola: “Zio, perché te ne vai, perché non rimani qui con noi?”.

Infine, rivolgo l’invito ai miei cugini, Daniele e Ergys, che vivono e studiano a Castel Goffredo (MN), a comprendere le scelte e a non dimenticare i sacrifici dei loro genitori in terra altrui (në dhé të huaj).

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CAPITOLO I

Albania e gli Albanesi: cenni storici e costruzione identitaria

Costretti sempre a dichiarare fedeltà al dominatore hanno disimparato a conoscere se stessi!

Albania: “Antica terra dei Pelasgi5 e degli Illiri” si legge in vari testi della storia antica: gli Albanesi stessi sono abituati ad essere fieri del loro nome di Illiri! Quella degli Illiri era una civiltà antica sospesa tra quella greca e romana. A differenza dei vicini greci e romani, non sembra che gli Illiri abbiano documentato vicende dell’epoca in una lingua diversa da quella greca oppure latina. Scavi archeologici6, studi linguistici7 e vari documenti storici8 testimoniano la presenza illirica nell’area che oggi comprende anche l’attuale Albania.

L’Albania è situata nella parte occidentale della penisola Balcanica, sulla costa occidentale dell’Adriatico. Ha una superficie di 28 748 km quadrati e 3 255 891 abitanti. Confina con il Montenegro a Nord Ovest, il Kosovo a Nord Est, la Macedonia ad Est, la Grecia a Sud e con l’Adriatico e lo Ionio all’Ovest. L’attuale forma di governo è quella della repubblica parlamentare con capitale Tirana. Tra gli abitanti della Repubblica d’Albania vi sono i seguenti gruppi etnici: Albanesi 95%, Greci 3% e altri 2% di Serbi, Macedoni, Bulgari e Montenegrini. Esistono inoltre altre minoranze quali i Bosniaci musulmani, gli Ashkali detti gli “Egiziani albanesi”, i Valacchi (o Arumeni), i Gorani e i Rom; vi sono anche una piccola comunità armena ed una ebraica a Tirana. Di questi l’80% si dichiarano musulmani, il 10% cattolici e un altro 10% ortodossi. Le religioni più praticate in Albania sono il Cristianesimo e l’Islam. Gli Albanesi si definiscono Shqiptarë e la loro patria Shqipëria, mentre la lingua parlata e scritta é shqip. Culturalmente parlando, gli Albanesi costituiscono due gruppi: gli Albanesi del Nord chiamati Gheg e gli Albanesi del Sud chiamati Tosk.

5 Toynbee, nel trattare l’argomento ricorre a dei termini come “enigma”, “ipotizzabile”, “incerto”, “offuscato” (Toynbee 1956 vol. 1:408-15).

6 Iliria dal 1971 – Periodico scientifico, Centro Ricerca Archeologica; Korkuti 1971; ibid., 1985. 7 Leibnitz (1646-1717); Thunmann (1746-1778); von Hahn (1811-1869); Bopp (1791-1867); Meyer (1850-1900); Pedersen (1867-1953); Jokl (1877-1942); Lambertz (1882-1963); Schirò (?‘-1928); Çabej (1908-1980).

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Va sottolineato che le varie tesi sulla discendenza illirica degli Albanesi non sono del tutto convincenti. Infatti alcuni studiosi9 escludono categoricamente che gli Albanesi

siano discendenti degli Illiri. Le varie tesi, in contrasto tra loro, sembrano in ogni caso voler ricostruire una storia antica avvolta nel mito e scarsamente basata su documentazione disponibile10. In genere si è teso a individuare gli Illiri in termini negativi, mettendo in evidenza il fatto che senza dubbio non erano Celti, Daci o Traci, e neppure Greci o Macedoni, popoli stanziati rispettivamente a Nord, a Est e a Sud del loro territorio (Trbuhović 1971, Stipčević 1986).

Le descrizioni che abbiamo degli Illiri e del loro sistema di vita provengono da fonti “esterne”, ma ciò che ha reso la situazione ancora peggiore, condizionando il verdetto della storia, è il fatto che molti scrittori greci e romani sembrano fare a gara nel parlarne con disprezzo e avversione. […] Le categorie, quali “ellenizzata”, in toto o in parte, e “romanizzata” [etichettate alla popolazione illirica], trasmettono infatti, nozioni semplicistiche secondo le quali ogni innovazione e sviluppo materiale si sarebbero diffusi da un centro progredito a una periferia più primitiva tramite una molteplicità di contatti diretti. […] [Con tanta probabilità] una storia attendibile ed esauriente degli Illiri rimarrà fuori dalle nostre possibilità anche nell’immediato futuro (Wilkes 1992:19-20).

Secondo lo storico italiano Biagini, sulle origini di questa popolazione “si confrontano due tesi, l’una che la vorrebbe arrivata nei Balcani in genere e nell’attuale spazio albanese in particolare, dalla Lusazia, nella Polonia occidentale, l’altra che la vorrebbe autoctona della zona balcanica” (Biagini 1998: 10).

9 In particolare Dott. Kaplan Resuli Burović, il quale sostiene che le tesi avanzate da alcuni studiosi stranieri come Paul, Hirt, Vaigand, Tomashek, Georgiev, Puscariu ed altri si contrappongono in modo scientifico a quanto sostenuto finora sulla discendenza degli Albanesi dagli Illiri (The Macedonian Daily Newspaper Vest - 25.02.2003). Con lui concordano anche gli studiosi albanesi come Fatos Lubonja, Adrian Vehbiu e Adrian Qosa.

10 Tirta (2003) fa cenno di alcune testimonianze di filosofi, geografi e storici dell’antichità come: Erodoto in (Herodoti, Istorija, Leningrad, 1972); Thucydides in (Thucydides, L’Historie de

Thucydide de la Guerre du Péloponese, 1714 Paris, vol 1,2); Polibio in Historiae, Varronis M.T. in De re rustica, Livio in (Tit Livi, Ab urbe condita, Paris 1915-1920); Plinio in (C.Plini Secundi Naturalis historiae, Paris, 1892), Plutarco in (Plutarchi, Vitae paralelae, Paris 1915); Appiano di

Alessandria in Historia romana, Romë 1939; Tolomeo in (Claudii Plotemeai, Geographiae vol. I, Paris, 1883) ecc. da cui hanno preso vita anche le varie tesi sulla discendenza illirica degli Albanesi. Tirta si riferisce inoltre anche ad alcuni studi fatti nell’Ottocento da G. Thumnan, J. G. von Hahn; J. F. Fallmerayer ed altri; vedi in particolare ( Hahn, J. G. von, Albanesische Studien, Wien 1853).

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Molto probabilmente mito e realtà, sia della storia antica [albanese], ma più probabilmente quelli medievali e moderni, hanno inciso fortemente sulla percezione che gli Albanesi hanno di loro stessi e degli altri. A confronto con i loro vicini dei Balcani, gli Albanesi stentano ad identificarsi come soggetto storico. Essendo stati storicamente sotto l’influenza di varie culture e di diverse religioni, gli Albanesi sono stati costretti a sopravvivere all’assimilazione piuttosto che coltivare una coscienza collettiva storica.

Dalla dominazione romana a quella ottomana in particolare, gli Albanesi hanno subito prima la cristianizzazione (latina e bizantina) e poi l’islamizzazione ottomana per arrivare al lungo periodo del comunismo in cui erano soggetti ad uno Stato totalitario e alla sua ideologia che comportava la laicizzazione di massa.

Perfino il mito delle origini sembra essere una creazione del romanticismo albanese del XVIII secolo, un escamotage trovato dagli aspiranti fondatori della nazione per evitare di essere inglobati dai loro vicini. Durante i lunghissimi cinque secoli di dominazione ottomana gli Albanesi erano considerati Turchi11 e si differenziavano probabilmente dai Turchi stessi solo perché parlavano un’altra lingua. Non vi è una vera storia dell’Albania, che per altro non esisteva ancora in quel periodo dal momento che faceva parte dell’Impero ottomano; ragion per cui, anche il nazionalismo albanese è arrivato molto tardi rispetto al resto dei Balcani. Il mito delle origini si è esteso fino agli ultimi secoli, raggiungendo dimensioni irreali particolarmente durante il periodo del nazionalcomunismo albanese.

Ripercorriamo sommariamente le fasi storiche che il Paese ha attraversato nei secoli ponendo particolare attenzione a quei fattori e fenomeni oggettivi e soggettivi che hanno segnato le sorti del Paese e dei suoi abitanti: percezione collettiva unitaria, dominazioni straniere, assimilazione/soggiogazione, religionizzazione coercitiva, strategie di sopravvivenza, alleanze, cause/ideali maggiori – eroi (inter) nazionali, coscienza nazionale, mito delle origini, creazione dello Stato albanese - le guerre mondiali, l’instaurazione del comunismo, il Blocco comunista, la venerazione di Stalin, le rotture e le alleanze all’interno del Blocco, l’isolamento, la democrazia ed infine, il patronage europeo.

11 Mi riferisco alle difficoltà annunciate dagli studiosi albanesi in riferimento alla mancanza di documenti storici relativi ai primi secoli del dominio ottomano in Albania; gli studiosi osmanologi ritengono che sia difficile stabilire se alcuni personaggi storici di questo periodo siano di origine albanese o altra; vedi Egro 2010.

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Dominazione romana

La popolazione illirica consistette in numerose tribù, tra l’altro divise tra loro, che non riuscirono a creare uno Stato unitario. Le regioni illiriche erano entrate in contatto con la civiltà ellenica già nella prima metà del 600 a.C. I rapporti12 tra le due civiltà furono

caratterizzati da una costante conflittualità. Con l’ascesa della Macedonia come principale potenza dei Balcani, larga parte dei territori illirici vennero occupati. Con la morte di Alessandro il Grande nel 323 a.C. giunse alla fine anche l’unione tra il regno di Macedonia, dell’Epirio e quello dell’Illiria.

Occorre sottolineare che tra le rispettive popolazioni non correva buon sangue. Non risulta inoltre sia esistita una simpatia reciproca tra questi tre Stati e la Grecia. Vi sono testimonianze riguardo ad alcune critiche e lamentele che i Romani indirizzarono agli Illiri in considerazione delle loro imprese di pirateria13. Sempre con riferimento all’Illiria e ai suoi rapporti con i vicini, Strabo, nella sua geografia della penisola, ribadisce che l’Illiria “veniva evitata a causa delle maniere rudi e delle pratiche abituali dei suoi abitanti” (Strabo 1889 7:5.10).

Tra il 229 e 169 a.C. Roma s’impadronì dell’Illiria meridionale, Epirio compreso. La soggiogazione avvenne tra il 156 a.C. e il 9 d.C. La romanizzazione dell’Illiria, oltre ad imprimere la propria civiltà nelle popolazioni (Korkuti 1971), comportò anche la costruzione di acquedotti e in particolare di strade come la Via Egnatia che da Durazzo via Macedonia arrivava fino a Bisanzio (Frashëri 1899:11; Strabo 1899, 7.7.4). Gli Illiri si assoggettarono all’Impero romano pur mantenendo le loro caratteristiche culturali (Drita 1938, 3). Faranno parte più tardi della Guardia Pretoriana e si distingueranno per loro imprese imperiali.

12 “Questo fu il pretesto per dichiarare guerra al regno d’Illiria. Con la fine della Terza Guerra Macedone finisce anche il Regno d’Illiria. I Romani dividono il territorio illirico in tre Stati. 13 “state of robbers and pirates” (Jacques vol. 1 2009:122).

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Cristianizzazione

Con l’affermazione del cristianesimo14, che venne diffuso in Albania sin dai primissimi secoli, il processo di cristianizzazione15 riuscì senza particolari ostacoli (Lavardin 1621; Hecquard 1857). Con la divisone invece dell’Impero nel 395 d.C. le province del Nord Illiria rimasero nella diocesi di Illyricum, politicamente ed ecclesiasticamente parte dell’Impero d’Occidente, mentre quelle facenti parte della diocesi di Macedonia si unirono permanentemente all’Impero d’Oriente. Vi è un particolare curioso riguardo questa divisione ovvero sebbene queste ultime province fossero politicamente dipendenti da Costantinopoli, esse rimasero in termini ecclesiastici dipendenti da Roma (Harnack 1908).

I territori popolati dagli Illiri divennero così una posizione strategica ovvero un ponte tra Oriente e Occidente, tra cultura latina e greca. Gli Illiri furono costretti a sopravvivere in un territorio di incontro e scontro tra la cultura greca e quella romana (Smith 1876). L’influenza sia dell’elemento greco orientale sia di quello latino occidentale fu inevitabile, anche se va sottolineato un certo predominio16 del mondo latino romano.

A partire dal 580 d.C. seguirono le invasioni dei Goti, dei Bulgari, degli Unni e degli Slavi17. L’Impero d’Oriente si attivò per rafforzare la sua presenza nei territori dell’odierna Albania e dell’Epiro. Vennero donate terre ai funzionari civili e militari e nel frattempo concessi dei privilegi agli ecclesiastici.

Nacque il feudalismo. I feudatari albanesi, di fronte alle continue invasioni e guerre, non riuscirono ad avviare processi unitari (Durham 1909; ibid 1921; Pouq 1826). Il declino di Bisanzio permise la creazione del principato autonomo di Arbanon18 (Diturija

14 “…[18]non oserei infatti parlare di ciò che Cristo non avesse operato per mezzo mio per condurre i pagani all'obbedienza, con parole e opere, [19]con la potenza di segni e di prodigi, con la potenza dello Spirito. Così da Gerusalemme e dintorni fino all'Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo” (San Paolo, Lettera ai Romani, Epilog 15:19).

15 L’esistenza del Cristianesimo nei Balcani è riscontrabile negli atti che portano la firma dei tredici vescovi partecipanti al primo concilio ecumenico del mondo cristiano tenutosi a Nicea nel 325 d.C., convocato dall’Imperatore Costantino I con lo scopo di istituzionalizzare la collaborazione tra Episcopato e Impero. “ Tre dei vescovi firmatari provenivano da zone molto vicine all’odierna Albania” (Harnack 1908:13).

16 riguardo l’adozione di lettere latine più tardi nel Medioevo.

17 “[…] le popolazioni slave cominciano a stabilirsi all’interno dei confini dell’Impero e già all’inizio del VIII secolo gli Slavi hanno tolto all’Impero il controllo delle province occidentali della penisola balcanica: occupando gli spazi territoriali lasciati vuoti dalle emigrazioni delle popolazioni illiriche e romane diventano l’etnia dominante nella penisola. La mescolanza di etnie avviene in misura maggiore o minore a seconda che si tratti del nord o del sud della vecchia Illiria; nel sud, dove più marcata è stata l’influenza greca e romana, si mantengono meglio i caratteri delle precedenti popolazioni” (Biagini 1998: 12).

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75). Le pressioni esercitate da Venezia, la Serbia, l’Impero bulgaro, il Despotato d’Epirio e l’Imperatore di Nicea furono una minaccia costante per i nobili locali. L’Albania venne conquistata dal regno di Sicilia nel 1272 e re Carlo d’Angiò diventò re d’Albania. Il regno si rafforzò esercitando il controllo del territorio tramite la classe dirigente composta da feudatari francesi e italiani, i quali più tardi si allearono con lo zar serbo Stefano Dušan (1331-1355) della dinastia di Nemanja. Questo determinò la fine della sovranità angioniana.

La Serbia diventò la potenza militare più forte dei Balcani. L’assenza di un potere centrale costrinse i nobili feudatari ad iniziare una politica di espansione attraverso matrimoni e guerre; queste politiche provocarono una forte instabilità.

Pericolo ottomano

Gli Ottomani iniziarono la conquista dei Balcani sin dal 1300 (Gibbon 1860). Furono sconfitti da Vukasin Mrnjacević nella pianura del Kosovo nel 1370. Un anno più tardi, gli Ottomani sconfissero i Serbi e i loro alleati sul fiume Marcia nella piana della Sava. Il 28 giugno 1389 l’esercito ottomano, guidato dal Sultano Murad I, sconfisse le truppe di Lazzaro e di Giorgio II Balsha. Il vassallaggio per i nobili feudali fu inevitabile tranne per quelli che continuarono a rimanere fedeli al Sultano; tra questi Lekë Dukagjini da cui prende il nome la legge consuetudinaria, il Kanun, che regolava la vita, soprattutto nelle campagne e nelle montagne dell’Albania. Il 1400 segnò lo scisma d’Oriente.

Importante sottolineare l’apparizione della figura di Scanderbeg19 nella scena degli eventi mondiali dell’epoca. La guerra turco-ungherese, in particolare la battaglia di Nish contro i rivoltosi ungheresi guidati da John Hunyades il 3 novembre 1443, richiese

19 “Viene inviato a corte come ostaggio all’età di nove anni a causa dell’infedeltà del padre Giovanni Castriota verso il Sultano; verrà circonciso, gli verrà dato un nome mussulmano e verrà istruito alla fede mussulmana. Frequenta le scuole militari turche. Gli verrà affidato il compito di allenare l’elite della Guardia Imperiale, i Giannizzeri. Personaggio carismatico e grande condottiero. Stratega e capace di unificare le forze albanesi nella lotta contro i Turchi. In seguito i papi lo chiameranno Athleta Cristi, Venezia scriverà il suo nome nel libro delle nobiltà, Vivaldi gli dedicherà un’opera, su di lui verranno scritti migliaia di libri in varie lingue” (Brescia e Sejko 2008).

La letteratura sulla figura di Scanderbeg è vasta. Vale la pena qui aggiungere il nuovo libro uscito di recente, nel 2009, “Skanderbeg Der neue Alexander auf dem Balkan” con autore Oliver Jens Schmitt; la traduzione del libro in albanese dall’accademico A. Klosi (suicidatosi qualche mese fa) ha suscitato molte polemiche in Albania non solo su livello accademico ma anche popolare – che sia questa una reazione evidente da parte degli Albanesi di voler resistere ad ogni costo alla demitizzazione della loro storia e ignorare i fatti documentati in mancanza di vere repliche altrettanto documentate? Sebbene i contenuti “abbiano offeso” la sensibilità degli Albanesi il libro rimane un materiale storico prezioso con fonti e bibliografia ricchissime.

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l’impiego di molte truppe nella campagna anti-ungherese. Con l’allontanamento delle truppe turche dall’Albania la popolazione di Arbëria colse l’occasione per ribellarsi agli Ottomani. Scanderbeg20 ritirò le sue truppe dal campo di battaglia e recandosi in patria per

impossessarsi del principato di suo padre, cui governatore era diventato Sabel Pasha, proclamò il principato libero d’Albania il 28 novembre 1443 e creò la Lega albanese di carattere esclusivamente militare. Il Senato veneto non vide di buon occhio il tentativo di Scanderbeg di formare un Stato unitario in territorio albanese in quanto questo poteva rappresentare un pericolo al possesso veneto di alcune città costiere nel territorio.

Nonostante Scanderbeg avesse tentato di trasformare la Lega in uno Stato centralizzato, non riuscì nei suoi intenti a causa delle divisioni interne. Il potere interno di Scanderbeg venne minato, oltre che dalle continue razzie turche e dalla ribellione dei feudatari, anche dalle carestie che colpirono la popolazione sul finire degli anni Sessanta del Millequattrocento.

Con la sua morte all’inizio del 1468, tanti suoi fedeli emigrarono in Calabria (dalle Marche in giù, Puglia, Calabria e Sicilia). La resistenza contro gli Ottomani continuò anche dopo la sua morte. Le truppe ottomane riuscirono a riconquistare Krujë (roccaforte del principato) e nel 1506 gli Albanesi vennero sconfitti in modo definitivo.

20 La causa di ribellione verso la Sublime Porta da parte di Scanderbeg trova spiegazioni contraddittorie a seconda che si considerino i documenti scritti da storici mussulmani oppure da quelli romani cattolici. In riferimento alla questione “gli archivi testimoniano che egli era un buon mussulmano. Dopo la morte di sua padre (1432) il Sultano concede il principato di Krujë ad altro soggetto invece che invitarlo a prendere le veci di suo padre. E’ da quel giorno che egli si consegnò segretamente alla Chiesa romana nella speranza di trovarvi i mezzi per proseguire con i suoi progetti” (Dukagjin-Zadeh 1920:5-6). Un ufficiale mussulmano ridicolizzava la tesi che Scanderbeg era un “Generale della Croce” dichiarando che “Scanderbeg non lottò per la croce, ma per la sua patria; egli non fece guerra contro la religione dell’Islam, ma contro i Turchi. Va riconosciuto che Scanderberg era un maomettano e non vi è alcun fondamento per dire che egli diventò cristiano” (Zan i Naltë Aprile 1936:107-8). Per gli scrittori romani cattolici invece Scanderbeg fu battezzato nella Chiesa romana cattolica e che la sua circoncisione non ebbe alcuna importanza. Storici di matrice clericale sostengono invece che “egli, in veste di comandante turco, nutriva in segreto la determinazione per instaurare il Cristianesimo nel suo dominio; egli lottò ferocemente contro gli oppositori mussulmani, ma quando fu mandato in Grecia e Ungheria a lottare contro i cristiani moderò la sua ferocia risparmiando i cristiani ed evitando inoltre il sacrificio delle sue truppe” (Duponcet 1709:15-16). Storici come Giovio, Lavardin, Duponcet scrissero di Scanderbeg lodandolo come cristiano in quanto gli stessi erano studiosi di matrice clericale. Nonostante le tesi contraddittorie riguardo la sua appartenenza religiosa egli rimane un vero cattolico romano, questo anche alla luce dei titoli insignitogli dalla Chiesa.

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Dominazione ottomana

Nel 1478 l’Albania (Secretario 1560) cadde in mano ai Turchi e rimase sotto l’Impero ottomano fino al 1912. La vittoria ottomana creò ulteriori divisioni tra i signori locali (Cantacuscino 1551:20-23) – quelli che si opponevano al dominio ottomano e quelli che godevano di una relativa autonomia. Va ricordato che già nel Quattrocento gli Ottomani erano presenti nell’Albania meridionale, mentre Venezia si era impossessata del Nord (Scutari) che apparteneva alla Serbia – aggressione che fu causa di conflitti tra Venezia e la Sublime Porta.

Il periodo della dominazione ottomana ebbe un impatto indelebile nell’evoluzione della società albanese, che portò l’impronta non solo della popolazione nativa, ma anche delle politiche adottate dall’Impero in tutta la Penisola Balcanica. Infatti, nei lunghi anni di dominazione ottomana, le società ortodosso cristiane, cattoliche e mussulmane della regione vissero una accanto all’altra in relativa pace.

Con l’arrivo degli Ottomani la popolazione albanese era già divisa da barriere naturali in due gruppi distinti con dialetti diversi e con variazioni notevoli nelle rispettive strutture sociali. Gli Albanesi che vivevano nelle zone montuose al nord del fiume Shkumbin erano i Gheg21 (compresi gli Albanesi del Kosova) e quelli che vivevano nella pianura al sud del fiume erano i Tosk.

La popolazione albanese venne frammentata e passò sotto il controllo di varie autorità; la popolazione delle montagne rimase libera dai vincoli feudali. Gli Ottomani riuscirono ad introdurre la loro amministrazione oridinaria e il loro timar solo nel sud. Così i Gheg del nord e le comunità cristiane attorno a Himara e Suli (nel sud dell’Albania) godevano di un’autonomia virtuale in cambio del pagamento di un piccolo tributo-haraç agli amministratori della Sublime Porta. Al nord, ciascuna delle tribù cattoliche o mussulmane erano costrette ad eleggere un rappresentante tra i mussulmani di Shkodër. A tale rappresentante, chiamato bilimbash veniva assegnato il compito di mediare tra la tribù e la Porta, nonché quello di fare da avvocato in caso di disputa.

21 L’organizzazione sociale dei Gheg è di natura tribale basata sul sistema di stretti legami parentali all’interno del clan. Quelli invece che vivono nella pianura al sud del fiume Shkumbin sono i Tosk. Quest’ultimi, alla conquista ottomana, abbandonano il sistema sociale clanico in favore dell’organizzazione sociale basata sull’intero villaggio. Nonostante l’amministrazione ottomana classifichi gli Albanesi in Cattolici, Ortodossi oppure Turchi secondo il sistema di affiliazione religiosa chiamato millet , essi continuano a riconoscersi principalmente in base all’appartenenza ad un determinato clan- fis.

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Questa situazione fece aumentare la rivalità e la gelosia tra i vari clan e tribù. Ciononostante la maggioranza degli Albanesi continuarono a considerare l’amministrazione ottomana come garanzia di sicurezza dai probabili attacchi dei vicini slavi e greci.

Ogni azione che gli Albanesi intentarono con l’obiettivo di ottenere più diritti riguardò semplicemente la preservazione dei privilegi tradizionali oppure dei vantaggi locali, piuttosto che mirare all’emancipazione del dominio ottomano.

Autonomia amministrativa

Le divisone interne si accentuarono. L’Impero concesse ampia autonomia amministrativa ai capi feudatari in cambio di fedeltà alla Sublime Porta. Alle tribù della montagna venne lasciata la possibilità di governarsi con le leggi tribali a condizione che pagassero l’imposta su ogni nucleo familiare. Tale strategia, che prevedeva il mantenimento dell’autorità sul territorio in cambio della fedeltà alla Sublime Porta, si rivelò decisiva nelle divisioni interne della società albanese (Hecquard 1857).

L’Albania fu divisa in sette circoscrizioni, ognuna gestita da leggi consuetudinarie del luogo. Con la dominazione ottomana ebbe iniziò anche il processo di islamizzazione della popolazione, il quale provocò una frattura religiosa22. Nella battaglia di Kaçanik (2 gennaio 1690) i Turchi, i Tartari e gli Albanesi mussulmani combatterono contro le truppe imperiali, mentre i Serbi e gli Albanesi cristiani si allearono con l’Austria23.

Il Settecento fu caratterizzato da una lenta e costante decadenza dell’Impero ottomano come potenza militare a causa delle sconfitte subite nelle guerre con la Russia e l’Austria. I pascialati albanesi di Scutari e Janina provarono a sfruttare questo momento di debolezza dei Turchi, ma questi, alla fine del Settecento, riuscirono a dividere ulteriormente l’Albania in quattro circoscrizioni (Kosova, Scutari, Monastir e Janina). Lo Stato ottomano

22 “Durante la guerra di Vienna (1683-1699), quando le truppe degli Asburgo penetrano in Albania (1689), gli Albanesi mussulmani si uniscono a Mahmud pascià mentre i loro connazionali cristiani si schierano con il duca di Holstein che comanda le truppe imperiali e quelle serbe: uno schieramento dunque determinato dalla scelta religiosa piuttosto che da quella etnica” (Biagini 1998:23).

23 Gli Albanesi cristiani “[…] si ritirano verso Belgrado; con loro partono circa quarantamila famiglie serbe dal Kosovo e dalla Metohi e in queste aree si insediano, per volontà della Sublime Porta, gli Albanesi mussulmani che costituiscono, oggi,una delle minoranze più forte (circa due milioni) nel rivendicare l’autonomia da Belgrado in una sorta di definitiva scomposizione di quella che è stata la realtà della Jugoslavia dalla fine della prima guerra mondiale” (Biagini 1998:23).

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era dimostrato tollerante verso le varie popolazioni multietniche e multireligiose della regione24.

L’amministrazione ottomana era riuscita nel frattempo ad istaurare un assetto istituzionale estremamente complesso, ma efficace grazie alla combinazione di tradizioni socio-politiche mussulmane locali con gli elementi turchi e bizantini. Così gli spahi (cavalieri) ricevettero un timar dai 300 ai 500 acri di terra. Estese concessioni di terre chiamate zaimet and beylek furono feudi ereditari sotto l’amministrazione dei bey. L’insieme dei feudi di una regione costituirono il sanjak, il quale venne amministrato da un

sanjak bey. Il raggruppamento dei sanjak per provincia prese il nome di vilayet, il quale

venne amministrato da un vali ovvero un amministratore generale sotto il controllo diretto del governo centrale, la Porta. Questioni legate all’amministrazione locale competerono al

medjli oppure al consiglio, alla cui guida vi era un pasha. La maggioranza dei Turchi

ottomani erano mussulmani sunniti.

Il governo mussulmano turco, teoricamente parlando, si atteggiò al Cristianesimo e ai cristiani25 conforme all’ingiunzione basilare “che non vi sia alcuna costrizione nella religione” (Rodwell 1909 2:257). Documenti storici testimoniano che i Turchi, in realtà, dimostrarono scarso rispetto verso

i luoghi sacri, facendo dei santuari e delle chiese luoghi di infamia e stalle per i cavalli. [Con inaudita violenza distruggono luoghi e oggetti di culto e maltrattano le suore nei monasteri] bestemmiano Dio dicendo “Se la vostra religione è buona perché non fa avvenire qualche miracolo adesso?” (Cantacuscino 1551:36).

Vi è un particolare di notevole rilevanza in riferimento alla presenza multi religiosa nei territori albanesi dell’epoca e al modo in cui alla popolazione veniva imposta l’identificazione in termini nazionali piuttosto che religiosi. La parola din nel vocabolario sia arabo che turco veniva definita come millet quando i due termini si distinguevano l’uno dall’altro in quanto la prima stava per religione o fede, mentre la seconda per nazionalità. Era comprensibile allora che ad un soggetto già diventato mussulmano gli si attribuiva l’essere “diventato Turco” (Frashëri 1938:8).

24 Vedi anche Instituts du Droit Mahométan sur la Guerre avec les infidèles di Kuduri , Abou-el-Husain-Ahmed-el 1829.

25 Vedi anche The Christians of Turkey: Their Conditions under Mussulman Rule (Denton 1876: 115-116).

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Islamizzazione26

La conversione all’Islam venne percepita dagli Albanesi prevalentemente come una questione nominale. In riferimento alla natura superficiale con cui gli Albanesi si convertirono all’Islam Bessarione scrisse: “Per loro ignoranza essi diventavano Turchi e adesso sono in realtà né Turchi né Cristiani” (Bessarione, 1911:473). Faik Konica, intellettuale e diplomatico albanese negli Stati Uniti dal 1926 al 1939, considerava il fenomeno del cripto-cristianesimo albanese come escamotage per sfuggire dalle controversie religiose; gli Albanesi, infatti, si comportavano in pubblico in maniera tanto ironica quanto disinvolta. La moglie di un ambasciatore britannico a Costantinopoli in riferimento agli Albanesi scriveva:

Questa gente che vive tra i cristiani e i maomettani, non essendo esperta in controversie, dichiara di essere assolutamente incapace nel giudicare quale religione sia la migliore. […] con molta prudenza segue entrambe [andando] in moschea il venerdì e in chiesa la domenica con il pretesto di potersi assicurare così la protezione del vero profeta nel giorno del giudizio; ma quale sia [il vero profeta] essi non sono in grado di stabilirlo in questo mondo (Konitza 1957:135).

Sotto la dominazione turca27 fu possibile continuare ad essere cristiani e questo comportò una serie di tasse in più e molte persone, per potere godere dei privilegi dei mussulmani, si dichiararono mussulmani, ma continuarono a professare i riti e le credenze del cristianesimo (Tomitch 1913:15). Si trattò quindi di una sorta di cripto cristianesimo. Questi soggetti furono chiamati “cristiani nascosti” ovvero laramani – un fenomeno diffuso particolarmente nella popolazione che viveva lungo la costa. Invece, nelle zone dell’entroterra, verso le quali gli Ottomani non mostravano particolare interesse, gli abitanti continuavano a professare liberamente la loro religione.

26 Dopo la morte di Scanderbeg e l’emigrazione degli Arbëresh in Italia la Chiesa è sensibile alla questione degli Albanesi; viene redatta l’enciclopedia Illiricum Sacrum del gesuita Francesco Riceputi vissuto tra 1695-1742. L’enciclopedia è frutto di un lavoro di documentazione e raccolta di documenti a partire dal XIII secolo, periodo che coincide con la costituzione delle comunità francescane in Albania.

27 La legge mussulmana impose agli infedeli ovvero ai non-mussulmani tre alternative: la conversione all’Islam, il pagamento di un tributo da parte dei cristiani i quali teoricamente rimanevano immuni alla domanda di conversione ed infine, la guerra a coloro che si rifiutavano ad adempiere alle richieste della Porta Sublime.

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In questo periodo si verificò anche una stretta identificazione dei guerrieri albanesi con i Giannizzeri- Yeniçeri (le nuove truppe), il cui braccio spirituale diventò

Bektashism-Bektaşilik28, una confessione religiosa mussulmana sufista. Essa professava una dottrina contraria alla divisione religiosa e insegnava l’amore per tutti, la fratellanza e l’unità. I mussulmani ortodossi sunniti criticano la fede bektashi e quanto i dervishi proclamano come “metà maomettana, metà cristiana”!

Va sottolineato comunque che la conversione degli Albanesi all’Islam fu dovuta principalmente alle precedenti fratture religiose (ancora prima dello scisma d’Oriente). Con l’indebolimento del Cristianesimo nei Balcani non si registrarono resistenze particolari alla conversione: anzi gli Albanesi, spesso e volentieri, aderendo a confessioni religiose diverse, misero in atto strategie da cui trarre vantaggio.

La visone materialistica degli Albanesi sembra abbia largamente prevalso su quella spirituale; probabilmente gli Albanesi fecero fatica a sganciarsi dal loro Paganismo!

Gli Albanesi da sempre, come anche adesso, di fronte alle due alternative rispetto all’interesse materiale e agli affari religiosi, preferiscono la prima alla seconda […]. La religione, Maomettismo e Cristianesimo, non si è radicata nel cuore degli Albanesi abbastanza profondamente in modo che egli, per motivi religiosi, possa disprezzare l’interesse materiale. La convinzione religiosa degli Albanesi è stata ed è più un mezzo che un fine. Il cambio della religione fino ai giorni nostri non è avvenuto (non si è realizzato) grazie a delle convinzioni interiori. Le ragioni sono da ricercare altrove. Solo un cieco può non vederle. L’arcivescovo Fan Noli ha perfettamente analizzato la psicologia della nostra nazione quando disse che in Albania abbiamo “quattro religioni diverse che non si sono radicate nel cuore di un popolo pagano” (Kortshës 1923:11).

Indebolimento dell’Impero

Nel XVIII secolo, con il riconoscimento delle potenze straniere (Russia, Austria, Francia e Italia) come “protettori” delle minoranze cristiane nei territori ottomani, si accentuò anche l’indebolimento dell’Impero29. Quest’ultimo optò per una nuova politica in funzione del mantenimento del proprio dominio sui territori piuttosto che proseguire nella repressione

28 Una descrizione della seta bektashi si può trovare in Islam in the Balkans (Norris 1993) ed in The

Non- Conformist Muslims of Albania (Hasluk 1925).

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delle insurrezioni delle popolazioni. Ai capi tribù e all’aristocrazia feudale mussulmana venne concessa l’autorità limitata amministrativa sulle regioni a condizione che questi dimostrassero fedeltà (cooperazione) verso la Porta; furono insigniti con titoli feudali come

pasha, bey e aga. Vi fu anche un ridimensionamento dei pascialati. La rivalità e le frazioni

interne furono in continuo aumento. Si passò così a due principali pascialati accentuando le distinzioni tra loro.

Con la decentralizzazione dell’amministrazione ottomana si istaurò anche l’anarchia feudale in gran parte delle regioni albanesi. I grandi feudatari (bej) delle varie regioni dell’Albania cominciarono a contare più sul proprio potere personale che su quello della Sublime Porta. I bej diventarono così i sovrani dei loro distretti fino alla creazione, alla metà del XVIII secolo, dei due grandi pascialati-paşalik (feudi), uno di Shkodër al nord affidato alla famiglia Bushati e l’altro di Janina al sud dell’Albania governato da Ali Pashë Tepelena (Vickers 1995:18-27).

Le nomine vennero fatte direttamente dalla Sublime Porta in cambio di servizi che entrambi le avevano reso fino allora. In questo periodo si verificarono anche i primi tentativi verso l’indipendenza dalla Porta.

Verso le Guerre Mondiali30

Durante il XIX secolo l’Europa fu soggetta ad una serie di cambiamenti che modificarono equilibri politici e sistemazioni territoriali producendo crescente instabilità, la quale a sua volta condusse alle due guerre balcaniche e in seguito ai due conflitti mondiali. La questione albanese nei Balcani tra il XIX e il XX secolo si complicò ulteriormente grazie agli eventi che presero vita sul piano internazionale.

Le potenze europee glissarono sulla questione dei Balcani non prestandole dovuta attenzione. Nonostante il Congresso di Vienna (1815) avesse già proclamato il principio di legittimità, le grandi potenze continuarono ad occuparsi solo marginalmente dei Balcani e delle dispute tra Russia, Austria e Turchia. I Serbi instaurarono un governo autonomo (dopo aver sconfitto i Turchi) e diventarono un esempio per Moldavia e Grecia. La Russia si mise in marcia verso Costantinopoli, ma venne fermata da Francia e Gran Bretagna. Le conquiste francesi nel Nord Africa e lo sviluppo dell’Egitto costituirono altri elementi di instabilità per l’Impero ottomano. La Russia subì una sconfitta a Sebastopoli e venne

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penalizzata al Congresso di Parigi (1856), il quale assicurò inoltre l’integrità dell’Impero ottomano. Negli anni Settanta Erzegovina, Bulgaria e Montenegro insorsero e la Russia ne approfittò dichiarando guerra al Sultano (1877). Rumeni, Bulgari, Montenegrini e Serbi lottarono a fianco dei Russi contro gli Ottomani. L’armistizio di Adrianopoli segnò la fine della guerra. Nel trattato di Santo Stefano (1878) all’Albania non si fece alcun cenno; gli Albanesi rimasero soggetti al governo ottomano. La Bulgaria ottenne l’autonomia e Serbia e Montenegro raggiunsero l’indipendenza.

I patrioti albanesi si trovarono tra due fuochi: sudditanza verso i vicini Slavi oppure sudditanza continua verso i Turchi. Di fronte a questo pericolo i patrioti albanesi a Costantinopoli costituirono un comitato segreto per la difesa dei diritti del popolo albanese. Si riunirono e convocarono una conferenza a Prizren solo tre giorni prima dell’inizio dei lavori del Congresso di Berlino e formarono la Lega albanese. Venne redatta una risoluzione contenente la formazione di un consiglio centrale per un governo autonomo, l’uso ufficiale della lingua albanese, l’istituzione di scuole in lingua albanese e la formazione di una milizia nazionale per l’autodifesa. La Lega spedì copia della risoluzione a Berlino con richiesta che la nazione albanese venisse riconosciuta (Skendi 1967).

Il Congresso di Berlino convocato da Bismarck si tenne il 13 giugno 1878. La richiesta della Lega albanese venne rigettata: “Non esiste una cosa come una nazione senza lingua” (Grameno 1925:58) fu la risposta. L’osservazione cinica di Bismarck “non vi è alcuna nazionalità albanese” comportò l’assegnazione dei territori albanesi a Serbia, Montenegro e Grecia. Venne concessa l’indipendenza a Serbia, Montenegro e Romania. La Macedonia rimase sotto il dominio turco. La Bosnia e l’Erzegovina vengono occupate dall’Austria e la Tunisia ottomana dalla Francia. Gli Albanesi rimasero sostenitori dei Turchi che restarono un difensore contro l’Austria e l’Italia per le quali l’Albania costituì un oggetto di desiderio. Nel 1896 l’accordo di Monza sancì l’impegno delle due potenze a mantenere lo status quo in Albania. L’Albania rimase povera. La Serbia si mise in cerca di alleanze per attuare un’azione anti-turca.

Le popolazioni balcaniche nutrirono sempre dei sospetti le une nei confronti delle altre; questo fu un grosso svantaggio delle popolazioni balcaniche, le quali non difficilmente si accorsero dei momenti di debolezza dell’Impero ottomano (Swire 1971: 36).

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La ribellione contro i Turchi covò per tutto il biennio 1909-191131. Prima della Prima Guerra Mondiale il Paese era economicamente arretrato. La divisione interna tra clan e tribù era accentuata e il potere era nelle mani dei capo tribù. La compresenza di confessioni religiose diverse e in contrasto fra loro aveva reso la questione sociale complicata. La popolazione cristiana odiava i mussulmani in quanto questi non nutrivano desideri nazionalisti dal momento che già godevano di privilegi ed erano sudditi fedeli al Sultano. Erano gli Albanesi del nord a coltivare l’unico sentimento nazionale.

Nell’autunno del 1911 l’Italia dichiarò guerra all’Impero ottomano per definire il contenzioso sulla Libia. Un gruppo di deputati albanesi con a capo Ismail bej Qemali chiese a Istambul la concessione dell’autonomia amministrativa all’Albania, ma questo avrebbe favorito l’Austria a raggiungere Salonicco. Le alleanze anti-turche degli Stati balcanici erano imminenti. Gli Albanesi, non essendo ancora un vero Stato, stentarono ad aderire in quanto il loro territorio avrebbe potuto essere ambito da Serbia, Montenegro e Grecia. Nel settembre del 1912 Serbia, Montenegro, Bulgaria e Grecia, uniti nella Lega Balcanica, dichiararono guerra alla Sublime Porta mentre gli Albanesi rimasero neutrali.

I capi albanesi, approfittando della situazione, proclamarono l’indipendenza dell’Albania; la triplice alleanza salvaguardò i confini albanesi e sigillò il loro accordo alla conferenza di Londra. L’Albania rimase indipendente e neutrale durante la guerra.

Nazionalismo albanese

Fu grazie ad alcuni patrioti albanesi che venne avviata una sorta di rivoluzione culturale per promuovere la coscienza nazionale e l’unità tra gli Albanesi. Occorreva innanzitutto costituire società nazionali (çeta kulturore)32 e sponsorizzare programmi di carattere

educativo e soprattutto comunicare alla gente in lingua albanese. La maggior parte di questi

31 La prima fase della ribellione avviene il 24 marzo 1911. La stampa italiana spinge i ribelli albanesi all’attacco delle blockhouses turche ingrandendo in seguito le notizie. Nella seconda fase si verificano divisioni tra i ribelli. Ciò indebolisce la resistenza e favorisce l’ingresso di Turgut Pascià a Scutari ponendo fine così alla seconda fase (il 16 aprile). Nella terza fase (il 1 maggio) gli insorti albanesi, tramite un manifesto del comitato centrale degli insorti, richiedono che l’Albania sia unificata. Inoltre avanzano la richiesta che le scuole albanesi debbano essere mantenute dalla Sublime Porta e che in tempo di pace i soldati combattano per l’Albania e non per i Turchi. Gli ottomani reagiscono fermamente di fronte a questi documenti e il Pascià ordina la sottomissione dei ribelli entro cinque giorni. La questione internazionale spinge la Turchia a sospendere le operazioni di repressione dei ribelli in Albania. Vi è in particolare la pressione austriaca; grazie al ruolo di mediazione dell’arcivescovo di Scutari gli animi si placano (Biagini 1998).

32 Il termine “çetë” sta per ‘banda/ceto’ – qui da essere inteso come sezione culturale. La lotta armata verso l’indipendenza comprende anche la rivoluzione culturale.

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patrioti era esiliata e risiedeva a Costantinopoli, in Romania, in Bulgaria, in Egitto, in Grecia e negli Stati Uniti. In questi paesi gli Albanesi erano numerosi dal momento che erano emigrati per motivi politici, religiosi ed economici (Skendi 1967:35).

L’esplosione dell’”albanesità” avvenne con il Congresso di Monastir detto il “Congresso dell’Alfabeto” (1908). Le promesse costituzionali dei Giovanni turchi prevedevano maggiore libertà per tutti i gruppi etnici nei Balcani, in particolare per gli Albanesi che erano stati severamente oppressi per un lunghissimo periodo. Vennero concesse la libertà religiosa, il libero uso della lingua albanese, l’apertura di scuole albanesi e la libertà di stampa.

Nonostante l’iniziale entusiasmo dei patrioti, questi dovevano ancora fare i conti con una popolazione estremamente frammentata. La stessa letteratura albanese, i cui scrittori avevano adottato l’uso di caratteri latini, greci, arabi, nonché di quelli cirillici, era sospesa tra Oriente e Occidente. Al Congresso di Monastir si decise a voto unanime la raccomandazione a tutti gli Albanesi di smettere con l’uso dell’alfabeto di Istanbul e di scrivere la loro lingua solo con l’alfabeto latino. I partecipanti si accordarono di riunirsi un paio di anni dopo in un secondo congresso a Janina per prendere in considerazione i problemi ortografici e quelli letterari e tentare la fusione dei due dialetti in una lingua uniforme.

Verso l’indipendenza

La Turchia aveva fallito e quindi chiese la pace mediante l’accordo firmato l’1 marzo, essendo costretta ad accettare le condizioni imposte dall’alleanza. I confini albanesi vennero contestati dagli Stati balcanici. Il Montenegro continuò ad assediare Scutari, ma venne bloccata da una dura reazione austriaca. Il 30 maggio venne firmato il Trattato di Pace e il Sultano affidò il futuro dell’Albania alle grandi potenze. La Conferenza scelse per l’Albania la forma del principato sovrano, autonomo ed ereditario. Gli Albanesi reclamarono la nomina del principe, ma non spettava a loro decidere. Nel frattempo gli Stati balcanici si divisero e si mossero guerra. Il 30 giugno iniziò la guerra tra Bulgari da una parte e Serbi, Greci e Romeni dall’altra. La Bulgaria chiese l’armistizio, e dal trattato di pace fu l’Impero ottomano a guadagnarci maggiormente. La Serbia approfittò del momento di caos per invadere l’Albania al fine di conquistarsi uno sbocco sul mare, ma venne

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