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Il mondo floreale nella "Recherche" di Marcel Proust

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Academic year: 2021

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Introduzione

Sembrerebbe un gioco di parole, ma in realtà, nel lavoro da me svolto, sono andata alla ricerca di fiori nell’opera di Marcel Proust À la

Recherche du temps perdu. Ho svolto la ricerca nei primi due testi Du côté de chez Swann, À l’ombre des jeunes filles en fleur e nell’ultimo, Le temps retrouvé. Ho ricercato i fiori e li ho catalogati in ordine

cronologico di apparizione mettendo a punto un’antologia floreale commentata. Leggendo l’antologia ci possiamo sorprendere di come il motivo floreale nell’opera di Proust non sia soltanto un ornamento, ma un tema ricco e importante, una metafora essenziale. Le immagini che possiamo vedere sono un aiuto per focalizzare il fiore o la pianta dal punto di vista botanico. Un saggio introduttivo precede l’antologia floreale; il saggio tratta alcuni temi che ho ritenuto indispensabili conoscere per la comprensione dell’antologia. Inoltre è arricchito di immagini laddove è stato possibile. Ritengo infatti che l’immagine aggiunga qualcosa in più alla parola, che la completi. Dell’antologia fanno parte solo i primi due libri, perché ricchi di fiori; mentre il Temps

retrouvé è la conclusione, l’approdo, vedremo dove sono andati a finire

quei fiori che Proust ama tanto.

Legenda

CS=Du côté de chez Swann

JFF=À l’ombre des jeunes filles en fleur TR=Le temps retrouvé

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Proust

Auteuil, oggi un elegante quartiere residenziale del XVI arrondissement parigino, conservava, alla fine dell’Ottocento, la fisionomia di un villaggio immerso nel verde della campagna. Fu ad Auteuil, nella vecchia villa del prozio materno Louis Weil, circondata da un grande giardino all’inglese, che Marcel Proust nacque, il 10 luglio del 18711. Proust bambino, scrive Rosso, possiede una natura sensibile, malaticcia e, emarginato a causa della sua debolezza fisica dai giochi dei bambini della sua età, scopre la natura nei giardini della sua famiglia. Prima, il giardino dello zio materno a Auteuil, poi quello d’Illiers, vicino Chartres (la Combray della Recherche). La casa d’Illiers apparteneva allo zio di Proust, Jules Amiot; è là che la famiglia si recava ogni anno per le vacanze di Pasqua. La zia Amiot si trasformerà nel romanzo per suo nipote e per il mondo intero, nella zia Léonie. Questa casa aveva due giardini, uno dietro, fino a rue Saint-Hilaire, dove la famiglia la sera si riuniva seduta sotto il grande ippocastano; l’altro fuori le mura, più grande, chiamato Pré-Catelan, piccolo parco chiamato così dallo zio Amiot al quale apparteneva. Lì nel silenzio del parco Marcel si ritirava a leggere i suoi libri preferiti. È in questi giardini che è nata la vocazione letteraria di Proust, giardini nei quali si rifugiava a leggere per ore e ore, osservando la natura con attenzione.

La casa della tante Léonie vista dal giardino

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Il Pré-Catelan che diverrà il parco di Swann

Ma un altro momento era importante per lui, quello delle passeggiate. Le passeggiate infatti per Marcel non erano solamente un esercizio salutare ma anche un campo infinito di osservazione. Quest’attitudine all’osservazione e alla meditazione solitaria davanti alla natura lo caratterizzerà anche da adulto; il gusto per la botanica, suscitato in lui dal curato d’Illiers, che gli insegnò non solo il latino, ma anche i nomi di tutti i fiori del suo giardino, resterà vivo in lui tutta la vita2. Passeggiate,

pesca, barca, lettura: questi sembrano essere stati i principali svaghi del ragazzo e dell’adolescente; è proprio perché si era impregnato con gioia di ogni minuto di quella vita campagnola, di ogni istante di Illiers che Proust ha dedicato loro le pagine poetiche di Combray. Di quella vita l’aveva affascinato tutto, dal dettaglio topografico alla vita botanica, ai riti culinari, alla sempiterna passeggiata. Tutto è stato non soltanto osservato ma assorbito come da una spugna. A Parigi la sua vita è più lussuosa, la campagna rappresenta la poesia quotidiana, Auteuil appartiene al ramo materno, Illiers all’eredità paterna.3 Proust consultò molti testi di botanica per le sue descrizioni dei fiori e della vegetazione nella Recherche. Daudet gli fu di grande aiuto, e molte lettere tra i due scrittori hanno i fiori come tema: Marcel verificava con Lucien che le date di fioritura di fiori e piante del romanzo coincidessero senza errori con quelli naturali. Ma lasciamo parlare Lucien Daudet che fu uno dei

2 Geffriaud Rosso J., L’univers floral de Marcel Proust, Pisa, Libreria Goliardica,1995, pp. 11-12. 3 Tadié J.Y., Marcel Proust, Paris, Gallimard, 1996, p.26.

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più cari amici di Proust: “Il aimait tantôt la nature comme on aime un spectacle et tantôt comme on aime quelqu’un, et, sa santé le privant déjà de la regarder et de l’aimer à son gré, il ne laissait perdre aucune occasion de prendre d’elle ne fût-ce qu’un échantillon, même à Paris. Le temps de traverser en voiture la Place de la Concorde ou l’un des ponts, il voyait dans un soleil couchant, un croissant de lune, un reflex d’arbres ou de lumières, la beauté définitive qu’un autre regard aurait mis des heures à voir mal. Il forçait sa vision à être rapide et universelle; ses yeux recueillaient avec un magnifique grossissement ce que son génie classerait, décanterait et définirait ensuite pour nous le rendre avec la beauté native, la fleur première, mais enrichies par une opération magique de ce même génie. Cet amour de la nature et cette privation forcée de la nature sont, je crois, la cause de l’importance condensée qu’elle prend dans son œuvre; […] Et le regret informulé qu’on éprouve de ne pas pouvoir emporter cette vision, presque douloureuse à force d’acuité, est le même qu’éprouvait Marcel Proust quand il enregistrait ces pommiers et ces poiriers en fleurs, ces aubépines et ces églantiers, ces lilas, cette mer avec ses vagues, ce ciel avec ses nuages, sachant qu’il s’agissait pour lui d’une heure privilégiée mais dangereuse, prise sur sa santé, sur sa vie, et qu’il devait, en quelques instants, faire une provision, peut-être la dernière”4.

Per Proust la natura è essenzialmente vegetale e in cima alla gerarchia Proust ha messo i fiori. Essi sembrano conoscere tutte le risposte alle domande che si pone il protagonista. Proust non cita mai un fiore, senza descriverlo, senza conferirgli delle azioni, delle intenzioni. Il regno vegetale diviene un regno di esseri favolosi, i quali hanno diritto a tutti gli onori del romanzo e potrebbero figurare individualmente nell’indice dei personaggi della Recherche5.

Meunier, dice che non si distaccherà dall’idea di Gilles Deleuze secondo il quale À la Recherche du temps perdu è il racconto di una vocazione letteraria e continua Meunier, la botanica è il mezzo pittorico impeccabile di Proust, una metafora essenziale. I personaggi della

Recherche obbediscono tutti alla legge della botanica; nella Recherche

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l’esperienza degli uomini non serve, non c’è morale o lezione di vita. Il personaggio non cambia, non cerca di migliorarsi e la botanica mostra questo: non si cambia, Odette è e rimane una cocotte. La botanica conduce alla verità del romanzo; gioca il ruolo di una metafora che, come ogni metafora in Proust permette di accedere alla verità dell’opera6.

Cronologia e tipologia dei fiori

Nell’antologia da me redatta ho catalogato i tipi di fiori e alberi presenti nei primi due libri della Recherche. Sono in ordine cronologico di apparizione. Di un fiore può essere messo in risalto il profumo, o il piacere dato dal tatto, o la bellezza ricevuta alla vista. All’inizio troviamo: i fiori dell’infanzia di Combray: iris, aubépines, nymphéas,

fuchsias, lilas, coquelicot e bleuets, boutons d’or e tre alberi: marronnier, tilleul e pommier. Questi formano il “paradiso” di Combray,

il paradiso perduto nell’età adulta, sono il ricordo dell’infanzia, dei giorni felici che rimarranno per sempre nel cuore del Narratore. Questi infatti, a parte il biancospino, li troveremo solo in Du côté de chez Swann. Il biancospino infatti è l’unico che è presente sia in Du côté de chez

Swann, À l’ombre des jeunes filles en fleur e nel Temps retrouvé. Dai

fiori dell’infanzia si passa ai fiori dei salotti, delle donne, in particolare una, la più bella, la più sensuale; potremmo dire bella e sensuale quanto falsa e bugiarda: Odette de Crécy. Siamo catapultati, dice Barnes, in un mondo artificiale, dove regna lo snobbismo, l’egoismo, la maldicenza e dove Swann conoscerà tutte le sofferenze dell’amore e della gelosia. Non solo non c’è posto per uno solo dei fiori del paradiso di Combray, ma solamente due fiori sono nominati : i crisantemi e le orchidee, i fiori preferiti da Odette : fiori di serra, fiori alla moda, simbolo

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di sensualità ma anche di una donna che vive nella menzogna e che sembra ignorare che cosa sia un sentimento vero7. I fiori di Odette de Crécy, chrysanthèmes, violettes, roses, orchidées, li troviamo sia in Du

côté de chez Swann, quando il Narratore racconta la storia d’amore tra

Swann e Odette avvenuta prima che lui nascesse, sia in À l’ombre des

jeunes filles en fleur nel capitolo dedicato a Odette che è divenuta

Madame Swann. Anche l’œillet lo troviamo sia in Du côté de chez

Swann che in À l’ombre des jeunes filles en fleur. Nella prima parte di Du côté de chez Swann vediamo anche il bouquet campestre di

Legrandin, uno snob che invita a pranzo il Narratore usando una metafora floreale. Ancora in ordine cronologico troviamo il lys,

l’anémone e l’acacia : questi sono solo in Du côté de chez Swann,

mentre gli ultimi, laurier, boules de neige e géranium sono solo in À

l’ombre des jeunes filles en fleur.

È utile procedere ora ad un excursus sulla tipologia dei fiori che troveremo nell’antologia : i fiori che formano il paradiso di Combray sono tutti fiori selvatici, che crescono spontaneamente senza l’intervento dell’uomo, sono liberi, vivono all’aperto, sono parte della natura ; e Proust emoziona perché anima i fiori, dà loro una vita propria, un pensiero, sono compartecipi reali della narrazione. L’iris (giaggiolo) è un fiore molto profumato e anche sensuale, Odette lo porta sul cappello come fiore reciso ; l’iris comunque è un fiore rustico che cresce spontaneamente nelle campagne. Il biancospino, il fiore preferito dal Narratore, è un arbusto che cresce comunemente nelle siepi, nei boschi, i cui fiori in primavera lo rivestono di un mantello bianco. Le

ninfee sono fiori acquatici che il Narratore trova costeggiando il fiume

Vivonne, i fiori sono molto grandi, galleggianti, colorati che sbocciano di giorno e si chiudono la notte. Le fucsie sono piante proprio da decorazioni per le finestre, le troviamo arrampicarsi infatti sulla facciata della Chiesa di Combray, hanno fiori vivaci, allegri, colorati. I lillà sono arbusti, alberetti, i cui fiori profumati sbocciano alla fine della primavera. I papaveri e i fiordalisi sono sempre nominati insieme, sono fiori di

7 Barnes A., Le jardin de Marcel Proust: pour le cinquantenaire des “jeunes filles en fleurs”, “Modern

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campo e i fiori blu dei fiordalisi contrastano piacevolmente con il rosso acceso dei papaveri ai quali spesso si accompagnano. I bottondoro colpiscono per i loro fiori gialli che abbelliscono in primavera i prati con la loro vistosa fioritura. Poi abbiamo tre alberi : l’ippocastano, albero con portamento maestoso ed elegante, alto, con una chioma folta, viene usato in giardini molto grandi dove la sua imponenza crea vaste zone d’ombra ; infatti a Combray è l’ « amico » fedele che ripara dal sole il Narratore in caldi pomeriggi d’estate, presente in giardino dove la famiglia si riunisce, è una presenza importante, un punto fermo. Il tilleul è un albero molto longevo che può raggiungere i 200 anni di età, è una pianta ornamentale per viali, i cui fiori sono molto profumati e si utilizzano per gli infusi ; vedremo come le foglie di tiglio che servono per preparare l’infuso sono proprio quelle che il Narratore vedeva in avenue de la Gare. Il melo, un albero da frutto con i suoi bellissimi fiori bianchi e rosati. Passando ai fiori più raffinati, i fiori amati da Odette abbiamo la

rosa, da sempre considerata simbolo di eleganza e bellezza ; sul tronco

e sui rami porta numerose spine che concorrono a difenderla, può essere coltivata in piena terra, nei giardini o per fiori recisi ; infatti nella

Recherche la troviamo sia nel giardino della nonna, sia come fiore

reciso. I crisantemi, sono coltivati per l’industria dei fiori recisi ; la coltura del crisantemo ebbe la sua massima diffusione a partire dal X secolo in Giappone ove un crisantemo divenne ed è tuttora emblema araldico della famiglia imperiale. Le orchidee, sono con i crisantemi i fiori preferiti da Odette ; eleganti e raffinate, queste piante da appartamento vengono assoggettate alla coltura artificiale di serra, dato il grande valore ornamentale che hanno rapidamente assunto ; le

cattleya soprattutto sono molto ricercate per la bellezza dei fiori. Le violette, hanno foglie cuoriformi, i fiori sono molto profumati, crescono

nei boschi all’ombra dei cespugli ma si possono anche coltivare per farne un fiore reciso ; le troviamo nel salotto di Odette o appuntate al suo corpetto. Il garofano è un fiore coltivato per fiore reciso, è un elemento di seduzione, di eleganza. Il giglio appartiene allo stesso gruppo botanico dell’iris, è un fiore selvatico che cresce nei campi. Un giglio stilizzato è ancora oggi considerato lo stemma

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della città di Firenze; probabilmente il fiore che si voleva rappresentare era l'iris, in quanto le colline che circondavano la città erano piene di questi fiori che crescevano spontaneamente. L’anemone è una pianta erbacea comune nei boschi e sui terreni incolti. L’acacia è un arbusto coltivato a scopo ornamentale; i fiori molto vistosi per il numero, sono disposti per lo più in spighe. Molte acacie vengono coltivate per l’industria del fiore reciso sotto il nome generico di mimosa.

L’alloro è un albero sempreverde di grandi dimensioni con foglie molto aromatiche. I palloni di maggio sono fiori spontanei chiamati così perché a Maggio portano grandi infiorescenze di fiori bianchi. Il geranio è la pianta più comune nelle nostre città e può essere sia selvatico, sia coltivato in vaso o in piena terra; i suoi fiori sono colorati.

Possiamo dire per concludere, che Proust nella Recherche disegna un quadro della natura che tocca i cuori, leggendo si percepisce il piacere che prova vedendo un fiore o respirando un profumo. Anche se sono fiori semplici tutto è trasformato dal ricordo, ma la trasformazione rispetta sempre le caratteristiche di un fiore o di un albero, la fioritura, la stagione, ma lui arricchisce, li carica di un qualcosa in più, di una vita propria, di un’anima.

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Combray

Combray è l’infanzia del Narratore, il piccolo paradiso da ritrovare: il giardino, la casa, i biancospini sono fuori dal tempo, nell’eternità, si può chiuderli a chiave, dice Bernard Gros, come fa il Narratore “dans une petite pièce sentant l’iris” (CS, I, I, p.12)8. Combray rinasce da una tazza di tè (Cfr. p. 49). Infatti le cose capitali non nascono mai, nella

Recherche, dagli sforzi dell’intelligenza e della volontà che fanno

impallidire le cose. Ma chi regala il dono? Chi fa risvegliare i ricordi chiusi nella tazza di tè, nelle pietre ineguali, nel suono del cucchiaio, nell’asciugamano rigido? Proust lo dice con chiarezza: dipende dal caso; Proust sostiene che il ricordo è l’atto più necessario e libero della nostra vita. Esso è l’atto più necessario perché noi non scegliamo di ricordare: subiamo la forza del ricordo, che sale in noi con una violenza quasi meccanica. È l’atto più libero, perché ignora l’abitudine e le sue ripetizioni. Al Narratore, nel Temps retrouvé, proprio nel momento in cui tutto sembra perduto, giunge l’avvertimento destinato a cambiare la sua vita e a far sì che si senta improvvisamente pronto a intraprendere l’opera d’arte per la quale era ormai sicuro di non possedere alcun dono. Si parte quindi da una crisi, però non è con la volontà o l’intelligenza che lo scrittore può diventare creativo, ci vuole un contatto con una forza sconosciuta, un richiamo. Nella crisi arriva un avvertimento che ci può salvare, è come una scossa; la sola porta in cui si può entrare per la salvezza è quella in cui urtiamo per caso.

Il Narratore è stato invitato ad una festa dal principe di Guermantes; indietreggiando bruscamente per non essere investito da una vettura, inciampa nel selciato sconnesso del cortile di palazzo Guermantes e quando, recuperato l’equilibrio, posa il piede su una selce un po’ meno alta della precedente, è invaso da una felicità simile a quella provata assaporando un giorno un pezzetto di madeleine intinto in una tisana. Come allora il sapore della madeleine aveva evocato l’intera Combray, così ora questa sensazione, identica a quella provata posando il piede su due lastre ineguali del battistero di San Marco, evoca la luce della piazza e l’intera Venezia. . È la stessa sensazione, ma questa volta

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vuole cercare una spiegazione a questa estasi, stavolta è deciso a risolvere l’enigma. Il Narratore riceve in seguito altri segnali. Poiché è in corso un concerto e la principessa ha dato ordine che le porte rimangano chiuse durante l’esecuzione di ogni pezzo, un maggiordomo lo fa accomodare in un salottino attiguo al buffet e il rumore di un cucchiaio che urta contro un piatto, identico a quello del martello d’un operaio contro la ruota del treno, riporta di colpo il Narratore davanti al filare di alberi visto il giorno prima quando un ferroviere aveva battuto la ruota del treno in aperta campagna. Terzo segnale: il tovagliolo che il maggiordomo gli ha portato e con cui il Narratore si asciuga la bocca, ha esattamente la stessa rigidità dell’asciugamano usato il giorno del suo primo arrivo a Balbec; e di colpo, con il cuore pieno di gioia, gli sembra di essere, anziché nel palazzo del principe di Guermantes, di fronte alla vastità verde e azzurra dell’oceano.

Cos’hanno in comune le tre sensazioni appena descritte? Che il passato diventa presente. Proust lo chiama il “miracolo dell’analogia”: lui solo ha il potere di far ritrovare i giorni passati, il tempo perduto, davanti a cui gli sforzi della memoria volontaria e dell’intelligenza sono vani. La gioia che prova in quei momenti rende la morte indifferente perché si entra in una sfera di eternità che è quella dell’opera d’arte. La felicità di cui le rivelazioni sono portatrici è dunque la felicità di godere dell’essenza delle cose al di fuori del tempo, felicità che trasforma istantaneamente chi la prova in un essere extratemporale dove la parola morte non ha alcun senso. Trova il tempo allo stato puro e grazie all’opera d’arte che è la sola che può vincere il tempo, esso viene eternizzato. Solo l’arte riesce a trasformare un’esperienza così estatica in una definitiva. Si può dire che l’opera d’arte ci preesiste, che noi dobbiamo solo scoprirla. Il proprio libro un grande scrittore non deve inventarlo quanto tradurlo, poiché esiste già dentro di lui, lo scrittore è come un “plongeur qui sonde” (TR, p.186). Noi di solito viviamo in superficie, ci fermiamo all’apparenza ma c’è il rischio di morire senza aver colto e vissuto quella che è la vera vita. La vita vera, la sola pienamente vissuta, dice Proust, è la letteratura. Solo in un atteggiamento creativo in cui si va al di là dell’apparenza, in cui si cerca

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l’esperienza vera, la materia inconscia, si può cogliere il senso della propria esistenza. Proust mette in contatto vita e opera. Infatti con la lettura dell’opera noi veniamo in contatto con l’io autentico dell’autore, nella vita pubblica si è mascherati; i mondi segreti affiorano solo nei momenti di rivelazione. È nell’opera che si trova la profondità dell’esistenza, l’esperienza vera. Dopo la rivelazione legata a questi eventi, ebbe un’altra rivelazione; comprese che la materia dell’opera d’arte è la sua vita passata. Questo materiale era stato immagazzinato, in modo inconsapevole dentro di lui, in un nucleo nutritizio. Il suo passato è come un seme che poi genererà la pianta (l’opera d’arte). La sua vita si può riassumere sotto il titolo: una vocazione.

Nel sistema della memoria entrano in gioco quattro sensazioni: l’odore e il sapore (nella tazza di tè e con la madeleine), il tatto (pietre ineguali, asciugamano), l’udito (rumore del cucchiaio). Attraverso questi sensi nella meccanica del ricordo c’è una visione allucinatoria del reale: seguendo la traccia dell’odore e del sapore Marcel vede la casa grigia di Combray e tutta la città, i fiori e le ninfee; seguendo l’impulso del tatto, egli vede l’azzurro profondo e la luce abbagliante di Venezia: seguendo il richiamo dell’udito, egli vede la linea d’alberi illuminata dal sole; seguendo di nuovo il tatto, egli vede il mare, la spiaggia l’albergo di Balbec. Proust ha intensificato ogni senso: portò il gusto, l’olfatto, l’udito, il tatto al massimo acume; e poi li concentrò tutti insieme sotto il dominio sovrano della vista9.

Tutto è sacro a Combray. In primo luogo la stanza di zia Léonie, invalida piena di manie che si diverte, dalla camera in cui vive reclusa a tiranneggiare la domestica Françoise e a seguire tutti i pettegolezzi della cittadina. Anche la natura è sacra. Se usciamo all’aperto nel mese di Maria scorgiamo i biancospini, ragazze trasformate in fiori, parte di quell’immenso libro delle metamorfosi che è il libro di Proust. Le

aubépines sono la suprema incarnazione dell’eterno femminino di

Proust. Per la prima volta scorgiamo i biancospini in chiesa, posate sull’altare. Quando li vediamo all’aperto lo spettacolo è ancora più sacro: qui tutta la natura è chiesa e la metamorfosi non ha limiti; in

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piena campagna i biancospini formano metaforicamente una serie di cappelle10. Il nonno mostra al Narratore uno spino rosa. Il rosa qui è il colore, ma apporta un sovrappiù al bianco verginale dei biancospini; è il colore della festa, della femminilità ( ricordiamo la dame en rose). E la femminilità che si libera dallo spino rosa annuncia la scena che segue. C’è un effetto di sorpresa, poiché si credeva tutta la famiglia assente. Poi un’interruzione della siepe determina una visione: c’è un abbondante decoro floreale, con giochi d’acqua multicolori; è su questa scena di festa che si rivela Gilberte Swann. Come Mlle Vinteuil era apparsa in simbiosi con i biancospini della Chiesa, Mlle Swann appare sullo sfondo della descrizione dei biancospini e dello spino rosa e i mezzo ai fiori del parco. Il suo nome viene a mescolarsi a questi fiori. Il biondo rossiccio dei suoi capelli richiama gli stami dei biancospini, le efelidi del viso, lo spino rosa. Il vestito di sua madre è bianco come i fiori della siepe. Proust associa strettamente i fiori alla femminilità11. Tra i rari avvenimenti che movimentano a Combray le vacanze del protagonista, vi sono le passeggiate, orientate o verso Méséglise, Tansonville e la tenuta di Swann, o verso la strada di Guermantes, dominata dal castello dei signori feudali del luogo. Al protagonista, le due strade paiono i simboli di due mondi destinati a non incontrarsi mai: il mondo della borghesia, in cui vive Swann, israelita, figlio di un agente di cambio, sposato con una donna dal passato oscuro e padre di Gilberte e il mondo dell’aristocrazia circondato da un alone di prestigio e di leggenda12. Le mete finali di entrambi sono all’inizio inaccessibili e irraggiungibili come l’orizzonte o l’entrata degli Inferi. Méséglise è il paesaggio di pianura e Guermantes è il tipico paesaggio fluviale; esse, dice il Narratore, rimarranno incancellabili e insostituibili per tutto il resto della sua vita, sono l’espressione del paese in cui vorrebbe vivere. Dalla parte di Méséglise sta l’amore, il peccato, la musica e da quella di Guermantes la società, la letteratura. Ma sono soprattutto due creazioni dello spirito che creano organizzazioni opposte dello spazio; ma esse si

10 Ibidem, p.273-274.

11 Milly J., Combray, Paris, Nathan, 1994, p. 68.

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attraggono come i termini opposti di un’analogia, che non hanno senso e valore fino a quando non si sono fusi nella quiete dell’Uno13.

Odette de Crécy

Conclusa l’evocazione del mondo di Combray, la Narrazione fa un passo indietro; la seconda parte, intitolata Un amour de Swann racconta l’incontro tra Swann e la sua futura moglie nella Parigi degli anni Settanta dell’Ottocento, circa due anni prima della nascita del protagonista. Swann è una figura di esteta sterile e seducente al tempo stesso: ama le arti, sarà infatti lui ad iniziare il Narratore all’amore per la pittura, regalandogli riproduzioni di Giotto e di altri pittori italiani, ma le ama da collezionista e da erudito, con una sfumatura di edonismo e di egoistico distacco. Spiritoso e raffinato, Swann conosce bene i Guermantes e la loro aristocratica cerchia; ma per uno scherzo del destino troverà il più grande amore della sua vita in un ambiente alquanto volgare, il “piccolo clan” dei Verdurin, ricchi commercianti con pretese intellettuali. È nel loro salotto che la sua superficiale simpatia per la demi-mondaine Odette de Crécy si trasforma in una passione dolorosa ed esclusiva; basta che Odette non compaia una sera, che susciti in lui con un’assenza imprevista un sentimento di angoscia, perché il destino di Swann sia segnato. Egli amerà Odette pur tanto inferiore a lui intellettualmente e socialmente e la gelosia alimenterà incessantemente il suo amore rendendolo tormentoso e invincibile. Alla cristallizzazione dell’amore contribuiranno i gusti artistici di Swann: egli supererà infatti un’iniziale indifferenza per l’aspetto fisico di Odette notando e valorizzando la sua somiglianza con una figura di Botticelli. Swann finirà con lo sposare Odette qualche anno dopo, quando ormai non l’amerà più; e riporterà ogni speranza e ogni affetto nella figlia Gilberte, bimba dai capelli rossi e dagli occhi neri in cui le misteriose

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leggi dell’eredità hanno intrecciato inestricabilmente la raffinata intelligenza paterna e la sorniona furbizia della madre14. Odette è e rimarrà sempre una cocotte, nel Temps Retrouvé vedremo che non è cambiata. Ha l'abitudine di usare, per snobismo, molte parole inglesi arrivando al punto che il Narratore è costretto a dirle che, non conoscendo l'inglese, non capisce quasi nulla di quello che la signora Swann dice. Come Albertine per il Narratore, essa è per Swann un essere sfuggente: divorato dalla gelosia, lui cerca sempre di scoprire la parte della sua vita che gli è sconosciuta, ma i costumi di lei gli rimangono sempre misteriosi. Ma Odette è anche, come Swann, una specie di artista, una grande artista della moda che fa di ciascuna delle sue toilettes delle vere opere d'arte. Un'artista dell'effimero, che crea, abbigliandosi, opere d'arte destinate a vivere lo spazio di un giorno. A partire dal suo incontro con Odette, Swann soffre. Una sera Swann arriva tardi a casa dei Verdurin e Odette è già uscita: fino a quel momento lei era stata per Swann soltanto un’abitudine, una di quelle abitudini che per Proust rendono tollerabile la vita; ma appena non la vede prova un colpo al cuore. Un’angoscia senza limiti si scatena, quest’assenza si trasforma nel violentissimo, doloroso desiderio di possedere sempre in modo totale l’altro: desiderio che nel mondo di Proust non si può realizzare mai, perché l’altro è per definizione l’imprendibile, l’irraggiungibile. Certo questo desiderio nato da un’assenza che si sforza di colmare, dà pienezza alla vita. Ma Odette mente sempre e di continuo. Swann aveva creduto che sapere lo aiutasse a dominare i fatti con l’intelligenza e a soffrire di meno: invece non fa che rendere più irrimediabili la sua sconfitta e la sua sofferenza. Per salvarsi, la memoria risale nel tempo ed esplora i momenti che crede più dolci del suo amore: quando Swann pensava di essere amato. Anche lì non trova che menzogne e Odette lo colpisce con una precisione e un vigore da carnefice15. Alla fine Swann sposa Odette; in

Autour de Madame Swann, viene descritto il giardino d’inverno di

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Madame Swann; il giardino d’inverno, dice Meunier, è il luogo chiuso dove Swann ha sistemato il suo amore dove egli può disporre di Odette: Swann sposato mette Odette come in una serra di fiori16. Odette lascia fare, vive tra i suoi fiori, li sistema e loro vivono con lei. L’antica Odette è dimenticata. Con uno dei suoi meravigliosi colpi di scena, che spostano la suspense dell’avventura ai personaggi, Proust l’ha trasformata. Sebbene sia passato qualche anno, ora è molto più bella e sembra più giovane. Anche l’appartamento di Madame Swann ha cambiato stile: l’estremo Oriente indietreggia davanti all’invasione del diciottesimo secolo; i cuscini che Odette ammucchia e schiaccia dietro la schiena di Marcel sono seminati di mazzi di fiori Luigi XV e non come una volta di draghi cinesi. Quando giunge infine la primavera, Madame Swann compare prima di pranzo sull’Avenue du Bois, tardiva, calma e lussureggiante come un fiore che non si apre che a mezzogiorno. Indossa una toilette sempre differente: sorride agli uomini e alle cose, certa che la sua toilette è la più elegante di tutte17.

16 Meunier C., Le jardin d’hiver de Madame Swann: Proust et les fleurs, cit. p. 122.

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Le “jeunes filles en fleurs”

La seconda parte del romanzo, Noms de pays: le pays, ci conduce a Balbec, sulla costa normanna, dove il Narratore due anni dopo la fine del suo amore per Gilberte, viene mandato in vacanza con la nonna e con Françoise. Un giorno arrivano sulla diga di Balbec le jeunes filles, simili a un gruppo di gabbiani che passeggiano svolazzando sulla spiaggia, sconosciuti e incompresi dai bagnanti. Sono cinque o sei. Una porta con sé una bicicletta: due altre gli accessori da golf. Il Narratore vede un naso dritto e un viso bruno, un paio d’occhi duri e ridenti, delle guance dalla tinta bronzea che evoca il geranio, un viso bianco e non sa come distinguerle. In realtà non sono ragazze singole e separate ma un gruppo: una banda a parte. Esuberanti di giovinezza, non possono vedere un ostacolo senza divertirsi a saltarlo, prendendo la rincorsa o a piedi giunti, interrompendo il loro lento cammino di graziose deviazioni dove il capriccio si mescola al virtuosismo. Siamo giunti nel cuore umano del regno della metamorfosi; e ora queste jeunes filles si trasformano e si ricreano come gli alberi e le onde del mare. Tutto in loro e attorno a loro è mobilità, fuggevolezza, inganno. Se il Narratore ricorda uno sguardo energico e un’aria ardita, la prossima volta incontra in una di loro un profilo quasi languido, una dolcezza sognante18. Albertine per prima è mutevole, ogni volta che la vede gli sembra diversa da tutte le altre volte. Quando le vede sulla diga sono diversissime da ogni altra villeggiante: abbigliamento sportivo, modi disinvolti e sicuri fino alla sfrontatezza, ostentato disprezzo per tutti come se appartenessero e sapessero di appartenere a un’altra razza. Tutte belle ciascuna di una sua bellezza particolare, ma accomunate dal fascino dell’indeterminatezza tipico della loro giovanissima età, attraggono il Narratore con atteggiamenti che gli sembrano rivelare una natura audace, frivola e dura, diametralmente opposta alla sua. Le immagina poco virtuose, amanti forse di ciclisti….Fra tutte nota una dalle larghe guance olivastre e dagli occhi arditi e ridenti, che ha un berretto da polo ben calcato sulla testa e spinge a mano una bicicletta e sembra esercitare sulle altre un influsso quasi carismatico. Il Narratore

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la desidera, le desidera tutte, perché vorrebbe conoscere e penetrare la totale diversità della loro vita. Ma chi sono queste fanciulle? Un gruppo, le cui identità individuali sono all’inizio indifferenziate e indistinguibili, vengono assimilate a tutto tranne che ad esseri umani; anche il numero è indefinito e incerto all’inizio, “cinque o sei” dice; soltanto a poco a poco il Narratore imparerà a conoscere e a distinguere Albertine, Andrée, Gisèle, Rosemonde. Ma il gruppo rimarrà sempre ambiguo così come è ambigua Albertine. Le chiama fanciulle in fiore, fanciulle percepite come indistinti petali di un mazzo di fiori: la donna si fa fiore e il fiore donna dice Rosso, le fanciulle hanno le guance color rosa o color ciclamino. Le fanciulle di Balbec sono fiori ancora freschi, che il Narratore vorrebbe avere tutto il tempo con sé19. Ma donne e fiori obbediscono alle stesse leggi e sono sottomesse alla stessa finitezza, appassiscono. In questi fiori che sono le fanciulle, si può intravedere quello che saranno un giorno, le sue amiche, invecchieranno, ma non gli importa, per il momento è la stagione dei fiori, della giovinezza.

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La pittura

Parlando delle fanciulle in fiore non si può non parlare di Elstir. Elstir è amico delle fanciulle della piccola banda, diventa quindi un intermediario fra il Narratore e le fanciulle. Ma l’importanza del personaggio di Elstir viene da quello che egli rivela al Narratore, un mondo nuovo e personale, che porta dentro di lui. Gli dà una nuova visione delle cose e lo conduce a scoprire attraverso la pittura le leggi generali dell’arte. L’arte del pittore Elstir conferisce una sorta di eternità anche alla bellezza frivola della Balbec mondana, lo aiuterà a comprendere l’infinita complessità dei rapporti tra arte e vita. L’arte di Elstir è fondata su un’assidua trasposizione in campo pittorico della metafora. Come il poeta nella metafora separa un termine dal suo senso abituale per attribuirgli un senso figurato, così Elstir dipinge il mare in termini terrestri e la terra in termini marini; la sua pittura, sorta di nuova creazione del mondo che rimuove gli schemi utilitari dell’intelligenza, è figura nella Recherche dell’arte in generale, del suo potere di sovvertire dalle fondamenta l’immagine ripetitiva e schematica del reale di cui abitualmente ci accontentiamo20. Un giorno il Narratore si trova nell’atelier di Elstir e fa di tutto per convincerlo ad accompagnarlo in una passeggiata sulla spiaggia nella speranza di incontrare le fanciulle e di essere presentato loro dal pittore. Mentre attende che Elstir abbia finito di dipingere un acquerello, il Narratore scopre per caso nell’atelier il ritratto di una giovane donna non bella, ambigua, parzialmente vestita da uomo, sotto il quale una scritta dice “Miss Sacripant, ottobre1872”. Accanto a lei su un tavolo c’è un vaso pieno di rose. Questo acquerello svelerà a Proust molte leggi: in primo luogo l’amore che il pittore prova verso le cose in se stesse, per quello che sono, senza considerare la loro utilità nella scena. Il vaso è là non per contenere i fiori ma perché Elstir ama la sua trasparenza. Il secondo interesse di questa pittura è il modo in cui il pittore ha considerato il carattere equivoco del suo modello; non si è preoccupato

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del carattere immorale che poteva presentare questa giovane attrice travestita; la visione dell’artista è disinteressata, non è più in relazione con le passioni umane. Le cose non sono niente in se stesse, sono semplici pretesti necessari all’artista per sviluppare il suo talento: quello che importa nell’opera d’arte è la visione originale del pittore21.

Anche Proust quando parla dei fiori, disegna quadri. Tutti i suoi quadri così diversi hanno un fascino in comune: i fiori, le cose, sono personificate, si animano. Come Elstir, Proust trasporta i fiori che sta contemplando nel suo giardino interiore, quello che fa è il ritratto visto dal di dentro. Per dipingerli ha ricorso abbondantemente alle metafore, ogni cosa bella suggerisce al suo spirito il ricordo di un’altra bellezza. Gli alberi in fiore, sono associati intimamente ai sentimenti che animano il Narratore nel momento in cui li guarda e la loro bellezza è fatta non solo del loro splendore presente ma anche di tutti i ricordi che la loro immagine fa rinascere22. Prendiamo per esempio le ninfee della Vivonne, poiché conosciamo l’ammirazione di Proust per Monet. Infatti Monet negli ultimi anni della sua vita si dedica esclusivamente alla realizzazione di quadri che raffigurano le ninfee del suo giardino:

21 Monnin-Hornung J., Proust et la peinture, Genève, 1951, pp.45-50. 22 Ibidem, pp. 173-174.

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In queste due quadri vediamo due rappresentazioni di ninfee di Monet. La descrizione che Proust fa delle ninfee della Vivonne è una sorta di omaggio a Monet, dove i ricordi personali si legano armoniosamente a ricordi di tele celebri. Come Monet, Proust ha voluto dipingere la bellezza di questo fiore acquatico. Proust davanti allo spettacolo della natura ha pensato alle tele di Monet, al loro significato spirituale, al modo geniale del grande pittore di tradurre quello che c’è di più profondo, di più fuggitivo, di più misterioso in un attimo23.

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La metafora

Proust utilizza tantissime metafore floreali. Ma che cos’è la metafora? Un’esperienza come quella della madeleine mostra che si può ritrovare la realtà autentica, che è interiore, solo grazie a degli oggetti mediatori. Mostra anche che si raggiunge l’attimo di eternità generatore della gioia più grande solo passando attraverso due termini, il momento presente e il suo corrispondente passato. È il principio della metafora che gli fornisce il mezzo: ogni oggetto è rappresentato da un altro. Egli dà il nome generale di metafora (che significa etimologicamente ”trasferimento di senso”) ai paragoni, alle metafore espresse in due termini (“le kaléidoscope de l’obscurité”), vuol dire che l’oscurità lascia passare immagini fuggitive come un caleidoscopio. La sua preferenza va ai paragoni e alle metafore espresse in due termini, perché permettono di cogliere l’essenziale, che non è né l’uno né l’altro dei due termini, ma un elemento comune che li trascende; alcune metafore personificando un oggetto, creano un mondo diverso che sostituisce quello delle apparenze banali24. Accostamenti che grazie all’intuizione di un’ analogia, sovrappongono due realtà abitualmente lontane, facendo scaturire dal loro avvicinamento una verità inaspettata25.

La metafora rappresenta, per Proust, lo strumento noetico principe attraverso il quale praticare la lettura della realtà. Ricordiamo di nuovo la splendida formulazione di Beckett: “L’equivalente retorico del reale proustiano è una lunga serie di metafore”. Il metaforizzato risulta strappato violentemente fuori di sé ed è portato a coincidere con elementi che ne stravolgono la figura canonica (concettualmente acquisita) che diventa il semplice presupposto di una vera e propria metamorfosi. Per cui la Recherche potrebbe anche essere considerata come il “Libro delle Metamorfosi” della nostra modernità. La tensione noetica che percorre da un capo all’altro la Recherche e il cui dispostivo centrale è rappresentato dalla metafora finisce per trasformare

24 Milly J., Combray, cit. p. 105.

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l’universo pratico in universo mitico. L’universo pratico è la realtà, l’universo dei significati, delle nomenclature, dei clichés (anche interiori). L’universo mitico invece è l’universo del senso in quanto prodotto di “relazioni” fra i vari oggetti, elementi e situazioni, sensazioni o ricordi dell’esperienza del Soggetto, relazioni il cui dispositivo centrale è costituito dalla metafora26.

Per Proust la metafora permette di stabilire delle relazioni fra differenti parti del mondo, è quella che permette di intravedere l’essenza delle cose, degli esseri, degli istanti, quella che favorisce la scoperta di leggi che governano i fenomeni affettivi e intellettuali. Gérard Genette ha mostrato che Proust aveva una debole conoscenza della terminologia retorica e che un grande numero di metafore sono metonimie. Genette cita un esempio famoso: “faire catleyas” (per far l’amore), utilizzando come pretesto un bouquet di cattleya27.

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Antologia floreale

Iris

Profumo:

Mais dès que j'entendais: "Bathilde, viens donc empêcher ton mari de boire du cognac!" déjà homme par la lâcheté, je faisais ce que nous faisons tous, une fois que nous sommes grands, quand il y a devant nous des souffrances et des injustices: je ne voulais pas les voir; je montais sangloter tout en haut de la maison à côté de la salle d'études, sous les toits, dans une petite pièce sentant l'iris, et que parfumait aussi un cassis sauvage poussé au dehors entre les pierres de la muraille et qui passait une branche de fleurs par la fenêtre entrouverte (CS, I ,I,p.12).

Hélas, c'était en vain que j'implorais le donjon de Roussainville, que je lui demandais de faire venir auprès de moi quelque enfant de son village, comme au seul confident que j'avais eu de mes premiers désirs, quand au haut de notre maison de Combray, dans le petit cabinet sentant l'iris, je ne voyais que sa tour au milieu du carreau de la fenêtre entrouverte, pendant qu'avec les hésitations héroïques du voyageur qui

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entreprend une exploration ou du désespéré qui se suicide, défaillant, je me frayais en moi-même une route inconnue et que je croyais mortelle, jusqu'au moment où une trace naturelle comme celle d'un colimaçon s'ajoutait aux feuilles du cassis sauvage qui se penchaient jusqu'à moi (CS, I ,II,p.156).

L’iris è il primo fiore che troviamo nella « Recherche » in ordine cronologico ; ma viene visto da Proust sotto due aspetti : il profumo del fiore e poi il fiore vero e proprio che si può vedere e toccare. Questa distinzione è importante, in quanto vedremo come il Narratore si appellerà ai sensi descrivendoci i fiori. Nel primo passo il Narratore sta trascorrendo la notte a ricordare la sua vita a Combray dove la famiglia passava le vacanze in campagna, a casa dei nonni. La nonna, che adora la natura, qualsiasi tempo facesse, dopo pranzo non rinunciava alle sue passeggiate in giardino. C’era solo una cosa che poteva farla rientrare : quando la prozia le chiedeva di dire al marito di lasciar stare il cognac ! La nonna correva dentro ma il marito beveva lo stesso il suo sorso e lei se ne andava triste e scoraggiata. Il Narratore vedendo questa scena partecipa alle sofferenze della nonna e non appena sente quella frase, per non vedere, sale in una stanzetta che profuma di giaggiolo. Questa stanza diventa il suo rifugio perchè era l’unica che gli fosse consentito di chiudere a chiave per tutte quelle occupazioni in cui lui desiderava essere solo : lettura, fantasticherie, lacrime e il piacere. E il profumo dell’iris, diventa un profumo di consolazione, di sollievo, associato anche a quello di un ribes selvatico cresciuto spontaneamente e, spuntando attraverso la finestra socchiusa è come se dicesse al bambino « ci sono anch’ io a consolarti ! ». Nel secondo passo il Narratore rievoca le sue passeggiate solitarie, verso Tansonville, Roussainville e Montjouvain ; si rivolge al torrione di Rousainville come il solo confidente che avesse avuto quando, dallo stanzino odoroso di giaggiolo nella sua casa di Combray, non vedeva che la sua sagoma. Si nota come il ricordo di questa stanza è legato all’odore, il profumo è ciò che la contraddistingue e il ribes selvatico ne è testimone.

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Fiore :

Nous nous asseyions entre les iris au bord de l'eau. Dans le ciel férié, flânait longuement un nuage oisif. Par moments oppressée par l'ennui, une carpe se dressait hors de l'eau dans une aspiration anxieuse. C'était l'heure du goûter. Avant de repartir nous restions longtemps à manger des fruits, du pain et du chocolat, sur l'herbe où parvenaient jusqu'à nous, horizontaux, affaiblis, mais denses et métalliques encore, des sons de la cloche de Saint-Hilaire qui ne s'étaient pas mélangés à l'air qu'ils traversaient depuis si longtemps, et côtelés par la palpitation successive de toutes leurs lignes sonores, vibraient en rasant les fleurs, à nos pieds (CS, I,I, p.168).

Il Narratore sta costeggiando il corso della Vivonne dalla parte di Guermantes e si siede tra i giaggioli in riva all’acqua a fare merenda. Qui è proprio del fiore che si sta parlando, che si può vedere e toccare ; i giaggioli si potrebbe dire che fanno compagnia al Narratore nel momento della merenda, nel momento del riposo, suggeriscono un’immagine di tranquillità.

Quelle horreur! Ma consolation c'est de penser aux femmes que j'ai connues, aujourd'hui qu'il n'y a plus d'élégance. Mais comment des gens qui contemplent ces horribles créatures sous leurs chapeaux couverts d'une volière ou d'un potager, pourraient-ils même sentir ce qu'il y avait charmant à voir Mme Swann coiffée d'une simple capote mauve ou d'un petit chapeau que dépassait une seule fleur d'iris toute droite ? (CS,III, p.418).

Le "jardin d'hiver", que dans ces années-là le passant apercevait d'ordinaire, quelle que fût la rue, si l'appartement n'était pas à un niveau trop élevé au-dessus du trottoir, ne se voit plus que dans les héliogravures des livres d' étrennes de P.-J. Stahl où, en contraste avec les rares ornements floraux des salons Louis XVI d'aujourd'hui, - une

rose ou un iris du Japon dans un vase de cristalà long col qui ne

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profusion des plantes d'appartement qu'on avait alors, et du manque absolu de stylisation dans leur arrangement, avoir dû, chez les maîtresses de maison, répondre plutôt à quelque vivante et délicieuse passion pour la botanique qu'à un froid souci de morte décoration (JFF, I, p.162).

Nel primo passo il Narratore pensa alle donne che ha conosciuto, ora che non c’è più eleganza ed evoca la figura di Odette come emblema di bellezza e eleganza, sul cui cappellino spuntava un fiore di giaggiolo. Qui il giaggiolo ha ancora un altro ruolo : quello di ornamento, di abbellire la toilette di una signora ; è un fiore tagliato, non è più il giaggiolo in mezzo alla natura, libero, alla luce del sole ma è un fiore reciso che comunque conferisce eleganza a Mme Swann. Nel secondo passo, il Narratore esce per fare una visita a Madame Swann. Lei abita in un quartiere considerato allora fuori mano, dove la strada è illuminata solo dalle luci di un salotto a pianterreno. Salotto nel quale in quegli anni si scorgeva comunemente il « giardino d’inverno », dove veramente si percepiva l’amore per la botanica delle padrone di casa, in contrasto con gli odierni salotti Luigi XVI nel quale invece trionfava la mancanza di gusto. Una mancanza di gusto resa evidente da una sola rosa o un iris del Giappone in un vaso ; quindi anche qui il fiore è inserito in un contesto di ornamento, ma il Narratore la chiama « morta decorazione », non è un ornamento che abbellisce, ma anzi è un fiore abbandonato da solo in un vaso. Non è il fiore partecipe della casa in cui vive, come accade nel salotto di Madame Swann, è solamente una figura statica.

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Marronnier

Les soirs où, assis devant la maison sous le grand marronnier, autour de la table de fer, nous entendions au bout du jardin, non pas le grelot profus et criard qui arrosait, qui étourdissait au passage de son bruit ferrugineux, intarissable et glacé, toute personne de la maison qui le déclanchait en entrant "sans sonner", mais le double tintement timide, ovale et doré de la clochette pour les étrangers, tout le monde aussitôt se demandait: "Une visite, qui cela peut-il être?" mais on savait bien que cela ne pouvait être que M. Swann (CS, I,I, p. 13).

Qui per la prima volta viene nominato l’ippocastano, come presenza importante delle sere in cui la famiglia si riunisce in giardino davanti casa sotto il grande albero. Come d’abitudine il doppio tintinnio del campanello, annuncia la visita del Signor Swann.

Mais ma grand-mère, même si le temps trop chaud s'était gâté, si un orage ou seulement un grain était survenu, venait me supplier de sortir. Et ne voulant pas renoncer à ma lecture, j'allais du moins la continuer au jardin, sous le marronnier, dans une petite guérite en sparterie et en toile au fond de laquelle j'étais assis et me croyais caché aux yeux

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des personnes qui pourraient venir faire visite à mes parents (CS, I,II, p.82-83).

Beaux après-midi du dimanche sous le marronnier du jardin de Combray [...] (CS, I,II, p.87).

Ritorna il tema della lettura, esperienza di grande intensità per Proust, perché apre un mondo diverso dalla realtà ; per concedersi al piacere della lettura, il Narratore si rifugiava in una specie di baracca di stuoia sotto l’ippocastano del giardino e lì trascoreva interi pomeriggi.

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Rose

Parlando della rosa, prendo in considerazione due aspetti : il fiore e il colore.

Fiore :

[...] et on envoyait en éclaireur ma grand-mère, toujours heureuse

d'avoir un prétexte pour faire un tour de jardin de plus, et qui en profitait pour arracher subrepticement au passage quelques tuteurs de rosiers afin de rendre aux roses un peu de naturel, comme une mère qui, pour les faire bouffer, passe la main dans les cheveux de son fils que le coiffeur a trop aplatis (CS, I,I, p.14).

La nonna, che abbiamo detto ama la natura, mentre va ad aprire a Swann ne approfitta per passare tra i rosai del giardino e togliere loro qualche sostegno, restituendo così un po’ di naturalezza, di libertà alle rose. Il Narratore paragona la premura che ha la nonna verso le sue rose a una madre che si prende cura del figlio passandogli una mano tra i capelli.

Colore :

Sur la table, il y avait la même assiette de massepains que d'habitude; mon oncle avait sa vareuse de tous les jours, mais en face de lui, en robe de soie rose avec un grand collier de perles au cou, était assise

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une jeune femme qui achevait de manger une mandarine (CS, I, I, p.75).

In questo passo vediamo per la prima volta Odette attraverso gli occhi del Narratore ma non la nomina, la chiama solo « dame en rose » perché è vestita di seta rosa. Viene presentata legata all’amore del Narratore per il teatro ; infatti sapendo che lo zio Adolphe frequentavava le attrici, il Narratore era andato un giorno senza avvertirlo a casa sua, sperando di trovarlo in compagnia di una di queste creature meravigliose, in effetti vi incontra una bella signora :i particolari sono pochi, ma esprimono tutta la sua eleganza, un vestito di seta rosa e un collier di perle. La figura di Odette, fiore in mezzo ai fiori, è sempre legata al rosa come colore ma non si può escludere il fatto che la parola rosa rimandi alla regina di tutti i fiori : la rosa.

Fiore :

A son entrée, tandis que Mme Verdurin montrant des roses qu'il avait envoyées le matin lui disait: "Je vous gronde" et lui indiquant une place à côté d'Odette, le pianiste jouait pour eux deux, la petite phrase de Vinteuil qui était comme l'air national de leur amour (CS, II, p.215).

L’interesse per Odette spinge Swann a frequentare il salotto borghese dei Verdurin. Al suo debutto Swann fa una buona impressione ai Verdurin . Anzi, uscito Swann, Madame Verdurin invita Odette a portare ancora con sé l’indomani, il suo simpatico amico. Swann raggiungeva i Verdurin ovunque, veniva accolto da Madame Verdurin che gli mostrava le rose che lui le aveva mandato e il pianista suonava l’andante della Sonata per piano e violino di Vinteuil, che era divenuta una sorta di inno nazionale dell’amore fra Odette e Swann.Vediamo come Swann sceglie la rosa per adulare Madame Verdurin, forse perché una donna non può resistere al fascino delle rose e lui non si può permettere di sbagliare. Deve lusingare Madame Verdurin ed essere accettato perché è lì, nel suo salotto, che avverranno i suoi incontri con Odette.

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Colore :

Odette l'avait reçu en robe de chambre de soie rose, le cou et les bras nus (CS, II, p.217).

Odette appare a Swann vestita di seta rosa, ancora una volta è il colore rosa che la contraddistingue, è la « dame en rose » che il Narratore aveva visto dallo zio Adolphe. Il rosa diventa il colore della passione di Swann e la figura della « dame en rose », scrive Claude Meunier, è come la personificazione del desiderio. Swann che fino ad allora era abbastanza indifferente, cede28.

Fiore :

Je ne rencontrais d'abord qu'un valet de pied qui, après m'avoir fait traverser plusieurs grands salons m'introduisait dans un tout petit, vide, que commençait déjà à faire rêver l'après-midi bleu de ses fenêtres; je restais seul en compagnie d'orchidées, de roses et de violettes - qui pareilles à des personnes qui attendent à côté de vous mais ne vous connaissent pas, - gardaient un silence que leur individualité de choses vivantes rendait plus impressionnant et recevaient frileusement la chaleur d'un feu incandescent de charbon, précieusement posé derrière une vitrine de cristal, dans une cuve de marbre blanc où il faisait écrouler de temps à autre ses dangereux rubis (JFF, I, p.97).

Una malattia abbastanza grave tenne lontano il Narratore dagli Champs-Élysées e quindi da Gilberte. Ma durante la convalescenza il Narratore riceve il dono che più desiderava : una lettera di Gilberte che lo invita, per quando si sarà rimesso, alle sue merende. Ha inizio così per il Narratore un periodo fiabesco : la dimora incantata degli Swann gli si apre. I genitori di Gilberte ora lo invitano spesso a colazione, a uscire con loro. Il Narratore prova una sorta di estasi nell’aggirarsi in quella casa apparsagli un tempo irraggiungibile. Entrato, in casa lo

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accoglie un domestico che lo introduce in un piccolo salotto dove ci sono fiori : orchidee, rose e violette. Si può notare come i fiori si animano, diventano dei piccoli protagonisti ; non hanno una semplice funzione di decoro ma prendono parte alla scena, sono vivi. Il Narratore come un intruso entra nel loro luogo ; infatti li paragona a delle persone da cui si sente osservato perché non lo conoscono.

Le "jardin d'hiver", que dans ces années-là le passant apercevait d'ordinaire, quelle que fût la rue, si l'appartement n'était pas à un niveau trop élevé au-dessus du trottoir, ne se voit plus que dans les héliogravures des livres d' étrennes de P.-J. Stahl où, en contraste avec les rares ornements floraux des salons Louis XVI d'aujourd'hui, - une rose ou un iris du Japon dans un vase de cristalà long col qui ne pourrait pas contenir une fleur de plus - il semble, à cause de la profusion des plantes d'appartement qu'on avait alors, et du manque absolu de stylisation dans leur arrangement, avoir dû, chez les maîtresses de maison, répondre plutôt à quelque vivante et délicieuse passion pour la botanique qu'à un froid souci de morte décoration (JFF, I, p.162). Cfr. pag.18

Les jours où Mme Swann n'était pas sortie du tout, on la trouvait dans une robe de chambre de crêpe de Chine, blanche comme une première neige, parfois aussi dans un de ces longs tuyautages de mousseline de soie, qui ne semblent qu'une jonchée de pétales roses ou blancs et qu'on trouverait aujourd'hui peu appropriés à l'hiver, et bien à tort. Car ces étoffes légères et ces couleurs tendres donnaient à la femme - dans la grande chaleur des salons d'alors fermés de portières et desquels ce que les romanciers mondains de l'époque trouvaient à dire de plus élégant, c'est qu'ils étaient "douillettement capitonnés" - le même air frileux qu'aux roses qui pouvaient y rester à côté d'elle, malgré l'hiver, dans l'incarnat de leur nudité, comme au printemps (JFF, I, p.165).

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Nonostante l’inverno, Odette si veste con stoffe leggere : la seta, che è come, dice il Narratore, una cascata di petali rosa o bianchi. Al tatto la stoffa del suo abito è vellutata e preziosa come un petalo di rosa ; paragona quindi Odette alla rosa. Se le guardiamo vicino hanno lo stesso aspetto, donna e fiore si assimigliano, ritratte nella loro nudità, l’una con abiti leggeri, l’altra presente in pieno inverno come in primavera.

Je pris ces billets avec ravissement; pendant toute une année, je pourrais combler chaque jour Gilberte de roses et de lilas (JFF, I, p.192).

Il Narratore vendendo un vaso cinese ereditato da zia Léonie ottiene il denaro necessario per mandare ogni giorno i fiori più belli a Gilberte ; non sceglie tutti ma rose e lillà, fiori profumati.

Et ainsi l'espoir du plaisir que je retrouverais avec une jeune fille nouvelle venant d'une autre jeune fille par qui je l'avais connue, la plus récente était alors comme une de ces variétés de roses qu'on obtient grâce à une rose d'une autre espèce. Et remontant de corolle en corolle dans cette chaîne de fleurs, le plaisir d'en connaître une différente me faisait retourner vers celle à qui je la devais, avec une reconnaissance mêlée d'autant de désir que mon espoir nouveau. Bientôt je passai toutes mes journées avec ces jeunes filles.

Hélas! dans la fleur la plus fraîche on peut distinguer les points imperceptibles qui pour l'esprit averti dessinent déjà ce qui sera, par la dessication ou la fructification des chairs aujourd'hui en fleur, la forme immuable et déjà prédestinée de la graine (JFF, II, p.453).

« Comme sur un plant où les fleurs mûrissent à des époques différentes, je les avais vues, en de vieilles dames, sur cette plage de Balbec, ces dures graines, ces mous tubercules, que mes amies

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seraient un jour. Mais qu'importait? en ce moment c'était la saison des fleurs » (JFF, II, p.454).

Il Narratore è finalmente riuscito a conoscere tutta la piccola banda di fanciulle, ha conosciuto una attraverso l’altra come una varietà di rose che s’ottengono grazie a una rosa di un’altra specie. Ecco che paragona le fanciulle ai fiori, donne e fiori si uniscono, queste fanciulle rappresentano la giovinezza, la loro pelle è fresca, giovane, hanno la bellezza di un fiore, sono vive e lui ama passare il tempo con loro. Poiché tutto passa, sa che anche la giovinezza passerà, le sue amiche invecchieranno un giorno, ma non gli importa, per il momento è la stagione dei fiori, della giovinezza.

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Aubépines

Ah! mon vieil ami, quel bonheur de se promener ensemble par ce beau temps. Vous ne trouvez pas ça joli tous ces arbres, ces aubépines et mon étang dont vous ne m'avez jamais félicité? (CS, I, I, p. 15).

Non è il Narratore che parla bensì il signor Swann padre che mostra al nonno del Narratore, suo caro amico, la sua terra ; il nonno infatti era andato a trovarlo nella sua proprietà nei dintorni di Combray, per stargli vicino dopo la morte della moglie. Gli mostra gli alberi e i biancospini, la bellezza della natura dà sollievo alle sofferenze.

C'est au mois de Marie que je me souviens d'avoir commencé à aimer les aubépines. N'étant pas seulement dans l'église, si sainte, mais où nous avions le droit d'entrer, posées sur l'autel même, inséparables des mystères à la célébration desquels elles prenaient part, elles faisaient courir au milieu des flambeaux et des vases sacrés leurs branches attachées horizontalement les unes aux autres en un apprêt de fête, et qu'enjolivaient encore les festons de leur feuillage sur lequel étaient semés à profusion, comme sur une traîne de mariée, de petits bouquets de boutons d'une blancheur éclatante. Mais, sans oser les

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regarder qu'à la dérobée, je sentais que ces apprêts pompeux étaient vivants et que c'était la nature elle-même qui, en creusant ces découpures dans les feuilles, en ajoutant l'ornement suprême de ces blancs boutons, avait rendu cette décoration digne de ce qui était à la fois une réjouissance populaire et une solennité mystique. Plus haut s'ouvraient leurs corolles çà et là avec une grâce insouciante, retenant si négligemment comme un dernier et vaporeux atour le bouquet d'étamines, fines comme des fils de la Vierge, qui les embrumait tout entières, qu'en suivant, qu'en essayant de mimer au fond de moi le geste de leur efflorescence, je l'imaginais comme si ç'avait été le mouvement de tête étourdi et rapide, au regard coquet, aux pupilles diminuées, d'une blanche jeune fille, distraite et vive [....] Quand, au moment de quitter l'église, je m' agenouillai devant l'autel, je sentis tout d'un coup, en me relevant, s'échapper des aubépines une odeur amère et douce d'amandes, et j’emarquai alors sur les fleurs de petites places plus blondes, sous lesquelles je me figurai que devait être cachée cette odeur comme sous les parties gratinées le goût d'une fragipane ou sous leurs taches de rousseur celui des joues de Mlle Vinteuil. Malgré la silencieuse immobilité des aubépines, cette intermittente odeur était comme le murmure de leur vie intense dont l'autel vibrait ainsi qu'une haie agreste visitée par de vivantes antennes, auxquelles on pensait en voyant certaines étamines presque rousses qui semblaient avoir gardé la virulence printanière, le pouvoir irritant, d'insectes aujourd'hui métamorphosés en fleurs (CS, I, II, p.110-112).

Il biancospino nell’antologia è il fiore a cui è dedicato più spazio, in quanto è presente in tutta la Recherche fino al Temps retrouvé. Ed è senza dubbio il fiore preferito dal Narratore ed in questo passo lo dichiara « C’est au mois de Marie que je me souviens d’avoir commencé à aimer les aubépines ». Durante il mese di Maggio c’era l’abitudine di uscire dopo pranzo per andare alle funzioni del mese di Maria. Ed è così che il Narratore cominciò ad amare i biancospini che in questo passo descrive minuziosamente. Tutto il passo è sotto il segno del rito religioso, commenta Debray-Genette : andare in Chiesa,

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guardare i biancospini, presenti persino sull’altare « inséparables des mystères à la célébration desquels elles prenaient part ». La Chiesa è il luogo dal quale si formano i biancospini, ma il bambino entrando in Chiesa entra anche nel mondo della sessualità e dell’arte attraverso la presenza in Chiesa del signor Vinteuil e di sua figlia ; il mondo dell’arte perché Vinteuil è un insegnante di pianoforte e quello della sessualità, attraverso l’amore omosessuale di Mlle Vinteuil. Le corolle sono paragonate ad una « bianca fanciulla distratta e viva » ; è interessante notare l’aggettivo bianca, poichè più tardi con l’arrivo di Gilberte il biancospino non sarà più bianco ma rosa, il candore scomparirà per lasciar spazio alla sensualità. Nel momento in cui deve lasciare la Chiesa e si inginocchia davanti all’altare, sente l’odore dolceamaro di mandorle dei biancospini ed è come se sentisse in quell’odore il mormorio della loro intensa esistenza ; l’odore è nascosto, è impenetrabile. Si percepisce già il sentimento di un qualcosa che deve essere rivelato29.

Je le trouvai tout bourdonnant de l'odeur des aubépines. La haie formait comme une suite de chapelles qui disparaissaient sous la jonchée de leurs fleurs amoncelées en reposoir; au-dessous d'elles, le soleil posait à terre un quadrillage de clarté, comme s'il venait de traverser une verrière; leur parfum s'étendait aussi onctueux, aussi délimité en sa forme que si j'eusse été devant l'autel de la Vierge, et les fleurs, aussi parées, tenaient chacune d'un air distrait son étincelant bouquet d'étamines, fines et rayonnantes nervures de style flamboyant comme celles qui à l'église ajouraient la rampe du jubé ou les meneaux du vitrail et qui s'épanouissaient en blanche chair de fleur de fraisier. Combien naïves et paysannes en comparaison sembleraient les églantines qui, dans quelques semaines, monteraient elles aussi en plein soleil le même chemin rustique, en la soie unie de leur corsage

29 Debray Genette R., Thème, figure, épisode : genèse des aubépines, in Recherche de Proust, Paris,

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rougissant qu'un souffle défait. Mais j'avais beau rester devant les aubépines à respirer, à porter devant ma pensée qui ne savait ce qu'elle devait en faire, à perdre à retrouver leur invisible et fixe odeur, à m'unir au rythme qui jetait leurs fleurs, ici et là, avec une allégresse juvénile et à des intervalles inattendus comme certains intervalles musicaux, elles m'offraient indéfiniment le même charme avec une profusion inépuisable, mais sans me le laisser approfondir davantage, comme ces mélodies qu'on rejoue cent fois de suite sans descendre plus avant dans leur secret [...].

Puis je revenais devant les aubépines comme devant ces chefs-d'œuvre dont on croit qu'on saura mieux les voir quand on a cessé un moment de les regarder, mais j'avais beau me faire un écran de mes mains pour n'avoir qu'elles sous les yeux, le sentiment qu'elles éveillaient en moi restait obscur et vague, cherchant en vain à se dégager, à venir adhérer à leurs fleurs. Elles ne m'aidaient pas à l'éclaircir, et je ne pouvais demander à d'autres fleurs de le satisfaire. Alors me donnant cette joie que nous éprouvons quand nous voyons de notre peintre préféré une œuvre qui diffère de celles que nous connaissions, ou bien si l'on nous mène devant un tableau dont nous n'avions vu jusque-là qu'une esquisse au crayon, si un morceau entendu seulement au piano nous apparaît ensuite revêtu des couleurs de l'orchestre, mon grand-père m'appelant et me désignant la haie de Tansonville, me dit: "Toi qui aimes les aubépines, regarde un peu cette épine rose; est-elle jolie!" En effet c'était une épine, mais rose, plus belle encore que les blanches. Elle aussi avait une parure de fête, - de ces seules vraies fêtes que sont les fêtes religieuses, puisqu'un caprice contingent ne les applique pas comme les fêtes mondaines à un jour quelconque qui ne leur est pas spécialement destiné, qui n'a rien d'essentiellement férié, - mais une parure plus riche encore, car les fleurs attachées sur la branche, les unes au-dessus des autres, de manière à ne laisser aucune place qui ne fût décorée, comme des pompons qui enguirlandent une houlette rococo, étaient "en couleur", par conséquent d'une qualité supérieure selon l' esthétique de Combray, si l'on en jugeait par l'échelle des prix dans le "magasin" de la

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Place, ou chez Camus où étaient plus chers ceux des biscuits qui étaient roses. Moi-même j'appréciais plus le fromage à la crème rose, celui où l'on m'avait permis d'écraser des fraises. Et justement ces fleurs avaient choisi une de ces teintes de chose mangeable, ou de tendre embellissement à une toilette pour une grande fête, qui, parce qu'elles leur présentent la raison de leur supériorité, sont celles qui semblent belles avec le plus d'évidence aux yeux des enfants, et à cause de cela, gardent toujours pour eux quelque chose de plus vif et deplus naturel que les autres teintes, même lorsqu'ils ont compris qu'elles ne promettaient rien à leur gourmandise et n'avaient pas été choisies par la couturière. Et certes, je l'avais tout de suite senti, comme devant les épines blanches mais avec plus d'émerveillement, que ce n'était pas facticement, par un artifice de fabrication humaine, qu'était traduite l'intention de festivité dans les fleurs, mais que c'était la nature qui, spontanément, l'avait exprimée avec la naïveté d'une commerçante de village travaillant pour un reposoir, en surchargeant l'arbuste de ces rosettes d'un ton trop tendre et d'un pompadour provincial. Au haut des branches, comme autant de ces petits rosiers aux pots cachés dans des papiers en dentelles, dont aux grandes fêtes on faisait rayonner sur l'autel les minces fusées, pullulaient mille petits boutons d'une teinte plus pâle qui, en s' entrouvrant, laissaient voir, comme au fond d'une coupe de marbre rose, de rouges sanguines et trahissaient plus encore que les fleurs, l'essence particulière, irrésistible, de l'épine, qui, partout où elle bourgeonnait, où elle allait fleurir, ne le pouvait qu' en rose. Intercalé dans la haie, mais aussi différent d'elle qu'une jeune fille en robe de fête au milieu de personnes en négligé qui resteront à la maison, tout prêt pour le mois de Marie, dont il semblait faire partie déjà, tel brillait en souriant dans sa fraîche toilette rose, l'arbuste catholique et délicieux (Cs, I,II, p.136-137).

La haie laissait voir à l'intérieur du parc une allée bordée de jasmins, de

pensées et de verveines entre les quelles des giroflées ouvraient leur

bourse fraîche, du rose odorant et passé d'un cuir ancien de Cordoue, tandis que sur le gravier un long tuyau d'arrosage peint en vert,

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