• Non ci sono risultati.

Santa Maria delle Donne e le Clarisse ad Ascoli: un contributo per l'architettura francescana di destinazione femminile

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Santa Maria delle Donne e le Clarisse ad Ascoli: un contributo per l'architettura francescana di destinazione femminile"

Copied!
12
0
0

Testo completo

(1)

Emanuele Zappasodi

funzioni e delle implicazioni liturgiche degli spazi loro

ri-servati, aspetto quest’ultimo maggiormente indagato, fin

dal-l’intervento pioneristico di Mary Angelina Filipiak nel 1957

3

.

La critica ha affrontato in maniera non sempre

soddisfa-cente questi argomenti, prediligendo concentrare la

rifles-sione su episodi ben noti ed importanti – si pensi alle

fab-briche assisiati e napoletane –, trascurando casi di certo

me-no autorevoli, ma di grande interesse, benché defilati

ri-spetto ai contesti abitualmente frequentati dagli studi. Tra

questi, l’insediamento femminile francescano di Santa

Ma-ria delle Donne ad Ascoli Piceno non ha ricevuto

l’atten-zione che merita

4

(fig. 1), pur costituendo un esempio

ra-ro per complessità

distribu-tiva degli spazi interni, non

altrimenti documentabile in

contesti damianiti

dell’inte-ra Provincia Marchiae

Anco-nitanae, un territorio

pre-cocemente attraversato dal

fervore pauperista della

rin-novata spiritualità

france-scana fin dagli albori del

XIII secolo

5

.

L’abate Francesco

Anto-nio Marcucci ricorda che

agli inizi degli anni Trenta

del Duecento,

“divulgando-si da pertutto sempreppiù la

fama della Santità” di

Chia-ra d’Assisi, “si mossero gli

Ascolani a supplicar” il

pre-sule Marcellino “per la

Fon-dazione in Città di un

Mo-nistero di quelle sì sante

Re-ligiose”

6

. Il decreto di

ere-zione del complesso

preve-deva la costruzione del

mo-nastero “extra civitate

Escu-lanum in loco qui dicitur

Plana de Sancto Pamphilo”,

poco fuori Porta Romana,

che veniva dotato nella

stes-sa occasione di “viginti

mo-diolis terrae, iuxta se

posi-tis, et viginti modiolis

Sil-Nella chiesa benedettina di Santa Margherita a Milano

la zona riservata alle religiose, il chorus monialium, venne

interessata nel 1300 da alcuni lavori con cui, “in primis”, si

provvide a “levari murum per quem dividitur corpus

ec-clesie a cancellis per tantum spatium cum sit altus a terra

per brachia decem vel id circa”, e ci si preoccupò, inoltre,

di chiudere “ostium quod est in ipso muro lapidibus et

ce-mento”, e “in ipso muro”, di aprire “duas fenestras

ferra-tas, unam maiorem et superiorem, et aliam minorem et

in-feriorem”, così che “fenestra vero maior et superior sit

lon-ga per brachia quatuor vel id circa, ut per eam videri

pos-sit hostia salutaris quia ibi ante illam fenestram in corpore

ecclesie altare novum

Do-mino construtur”

1

.

L’episo-dio, già da tempo noto agli

studi, restituisce con

effica-cia il peso notevole

eserci-tato sulle scelte

architetto-niche e decorative dalle

esi-genze specifiche imposte

dalla clausura rigorosa,

ina-sprita da Bonifacio VIII con

il decreto Periculoso nel

1298, appena due anni

pri-ma l’inizio dei lavori nella

chiesa milanese, che infatti

sembra aver recepito

pre-cocemente tali

disposizio-ni

2

.

Proprio la particolare

condizione dello stato

mo-nacale, del resto, comporta

una pluralità di problemi

spesso difficili da

affronta-re, che vanno dall’analisi del

rapporto tra lo spazio

riser-vato alle sorores, il chorus

monialium appunto, e gli

ambienti destinati ai fedeli

e al clero e delle loro

possi-bili interazioni, all’analisi

degli stimoli visivi a cui le

religiose potevano essere

sottoposte, fino alla

(2)

vae”, per soddisfare le

esi-genze economiche delle

reli-giose

7

. Il documento

vesco-vile è riportato interamente

nella bolla del 26 agosto del

1235, con cui Gregorio IX

concesse la protectio Sedis

Apostolicae, confermando

l’esenzione già riconosciuta

dal vescovo ascolano in

pre-cedenza. Il decreto

riferen-dosi al monastero “gloriosae

Virginis Mariae, et Sancti

Georgii” lascia ipotizzare

l’unione di due comunità

re-ligiose o più probabilmente

un’antica intitolazione a San

Giorgio della chiesa presso

cui le damianite si

stabiliro-no, occupando perciò una

fabbrica già edificata,

secon-do una prassi consueta, che

ha il precedente più illustre

in San Damiano ad Assisi

8

, insediamento in origine

bene-dettino, profeticamente e faticosamente adattato in un

“mo-nasterio dominarum”

9

dallo

stesso Francesco. La

prote-zione vescovile e pontificia

accordata durante tutto il

quarto decennio del

Due-cento alle sorores, favorì

ade-sioni entusiastiche da parte

della comunità femminile

ascolana, tanto da rendere

necessaria la fondazione di

un nuovo monastero presso

Porta Molinara, l’attuale

Por-ta CarPor-tara, fondato nel 1240

dal vescovo Matteo in luogo

della soppressa rettoria di

Santo Spirito, di cui il

nuo-vo insediamento mantenne il

titolo, affiancando nel 1255

quello di Santa Chiara,

ca-nonizzata proprio in

quel-l’anno

10

.

Interessata da interventi

architettonici intorno alla

metà del XIII secolo, come alcuni lasciti sembrano

sugge-rire, la chiesa di Santa Maria delle Donne presenta

l’inter-2. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, interno.

3. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, monumento funerario della fa-miglia Guiderocchi.

(3)

in Valnerina (figg. 1-4), affine anche nell’accentuato alzato

della fronte, ma da cui si discosta per l’esuberante

tratta-mento plastico, assente nell’esempio marchigiano, ravvivato

da semplici bacini ceramici disposti a croce, di cui il

cen-trale ancora originale, e poco più in basso da un ampio

ro-sone inscritto entro un motivo a treccia, che pare

rielabora-re con un maggior grado di raffinatezza alcune decorazioni

presenti in diversi edifici civili della città, databili al secolo

precedente, tra i quali il cosiddetto palazzetto longobardo

(fig. 5-6)

18

. Sulla destra della facciata, tamponata in

occa-sione dei restauri degli anni Cinquanta, si apre una piccola

porta, posta ad un’altezza corrispondente all’interno alla

quo-ta del presbiterio, la cui funzione non è semplice da

rico-struire in assenza di un’adeguata documentazione, ma che

deve essere posta in relazione ad esigenze specifiche

indot-te dalla clausura. Le consisindot-tenti tracce delle ammorsature

vi-sibili lungo il margine destro della facciata e sul fianco

set-tentrionale della chiesa suggeriscono che il complesso

con-ventuale, oggi in massima parte perduto, si sviluppasse in

origine a nord-ovest dell’edificio, come confermano alcuni

frammenti murari certamente pertinenti al complesso

fran-cescano ancora visibili in quell’area (fig. 7).

La critica che si è occupata dell’edificio ha spiegato

l’in-consueta articolazione dell’interno come conseguenza del

singolare uso liturgico dello spazio sacro da parte di una

comunità femminile, indicando spesso nella tribuna

so-praelevata il luogo destinato ad accogliere le religiose

du-rante le funzioni, richiamando quale esempio più vicino

al-la fabbrica ascoal-lana l’insediamento napoletano di Santa

Ma-ria Donnaregina, dove la soluzione di porre il coro

monia-lium in una galleria rialzata ha la sua formulazione più

no-tevole e suggestiva, in cui “relatively open relations

betwe-en the nuns, the nave, and the altar were betwe-encouraged,

ra-ther than hindered, by structural decisions” (fig. 8)

19

. Il

mo-nastero, dal 1191 abitato da monache benedettine, venne

riedificato dopo gli ingenti danni prodotti dal terremoto del

1293, grazie al diretto interessamento di Maria d’Ungheria,

moglie di Carlo II d’Angiò e madre di Roberto il Saggio,

no organizzato in un’unica, semplice, navata, divisa da un

arcone a pieno centro in due campate (fig. 2). Quella

occi-dentale è ulteriormente ripartita da una grande volta a

bot-te in due piani, il superiore adibito a presbibot-terio, come

sug-gerisce la presenza di un ciborio trecentesco interamente

decorato da un seguace debole del Maestro di Offida

11

. Il

piano inferiore, dove si conservano, sulla parete di fondo e

sull’intradosso della volta, consistenti brani d’affresco due

e trecenteschi, è stato munito in seguito ai restauri degli

an-ni Cinquanta di un altare, assente sia nella stampa

ottocen-tesca pubblicata dal Carducci

12

, sia nelle foto che ne

do-cumentano lo stato prima degli interventi (cfr. fig. 16)

13

.

Al-la tribuna sopraelevata si accede grazie ad una piccoAl-la

sca-la, non contestuale alla fase duecentesca dei lavori,

appog-giata sul fianco meridionale dell’edificio, dinanzi al quale

sul lato opposto si conserva un arcosolio decorato con una

Crocefissione e Santi ed il gisant ai piedi della

composizio-ne, affrescata all’inizio degli anni Trenta del Trecento

(fig. 3)

14

. Ad una simile datazione rimandano, del resto,

an-che i partimenti a finti marmi rossi e azzurri e l’elegante

motivo cosmatesco della ghiera dell’arco a sesto acuto che

si imposta su colonnine binate, su cui si scorgono ancora i

frammenti della cromia originale

15

.

La particolare organizzazione della navata e del

presbite-rio della fabbrica ascolana intrattiene una consonanza

sin-golare con il Battistero di San Giovanni a Varese, un edificio

costituito da due vani quadrangolari accostati, disposti

lun-go l’asse est-ovest, che corrispondono a funzioni diverse: il

vano occidentale era destinato al rito battesimale, mentre

quello orientale, di dimensioni leggermente più modeste,

for-ma il presbiterio vero e proprio, che, come nell’esempio

da-mianita, è organizzato su due livelli sovrapposti

16

.

Il forte sviluppo verticale dell’interno della chiesa

fran-cescana caratterizza anche la rigorosa facciata a spioventi

po-sta ad oriente dell’edificio, sulla quale si apre un portale a

doppia ghiera modanata, tipico di molte chiese romaniche

della città – come San Vittore e San Gregorio

17

– ed umbre,

per cui si può richiamare l’abbazia di San Felice di Narco,

5. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, particolare del rosone. 6. Ascoli Piceno, palazzetto longobardo, particolare della decorazione del-la facciata.

(4)

tre, non sarà superfluo

ag-giungere che la presenza di

numerose iscrizioni graffite

sui pilastri del ciborio

asco-lano, alcune di cronologia

piuttosto alta, suggeriscono

una frequentazione

del-l’ambiente ben più

nume-rosa e articolata di quanto

ci si aspetterebbe per uno

spazio riservato a sorores

in-clusae

24

.

Proprio la presenza del

curioso ciborio interamente

affrescato non lascia

incer-tezze sulla funzione

presbi-teriale assunta dalla tribuna,

la cui collocazione elevata

sembra fornire

un’interpre-tazione “a passo ridotto”

delle chiese doppie

marchi-giane, o, meglio, richiama

da vicino i presbiteri

eleva-ti ampiamente attestaeleva-ti in regione in edifici di pereleva-tinenza

monastica, dove questa soluzione, capace di garantire una

netta divisione tra il clero ed i fedeli durante gli uffici

sa-cri, era ricercata

25

. In questo senso, l’interno della chiesa

di Santa Maria delle Donne potrebbe forse rappresentare

l’eredità di una precedente pertinenza maschile, la cui

trac-cia, del resto, sembra suggerita dalla doppia intitolazione,

alla Vergine e a San Giorgio, con cui l’edificio è ricordato

nel decreto vescovile del quarto decennio del Duecento

ri-chiamato in precedenza.

Al contrario, l’organizzazione spaziale di Santa Maria

Donnaregina è riecheggiata con puntualità, benché in un

con-testo più modesto, nella chiesa di Santa Chiara Vecchia a

Nola. L’insediamento, in precedenza occupato da monaci

ba-siliani, fu riadattato nella

se-conda metà del Duecento

alle rinnovate esigenze

litur-giche della comunità

da-mianita che ne prese

pos-sesso. Radicalmente

ristrut-turata da Roberto Orsini

du-rante il secondo quarto del

Trecento e dal figlio Nicola

nell’ultimo decennio del

se-colo, la piccola chiesa

pre-senta la navata centrale

di-visa in due ordini. Il piano

superiore ospitava il coro

delle monache, in maniera

analoga all’esempio

napole-tano di Santa Maria

Donna-regina

26

, di cui, pertanto,

re-pronta nel 1298 ad elargire

fondi per la riedificazione

del dormitorio e nel 1307 a

finanziare la ricostruzione

della chiesa che sarebbe

sta-ta consacrasta-ta nel 1320

20

. Il

coro delle monache, posto,

come detto, in una galleria

elevata sopra la navata, è

decorato con un

program-ma coerente ed ampio,

li-cenziato nel secondo

de-cennio del Trecento da

un’équipe cavalliniana

21

,

de-stinato unicamente alla

con-templazione delle religiose,

a cui venivano offerti

auto-revoli esempi di virtù

fem-minile nelle Storie di

San-t’Agnese e di Santa Caterina

della parete di sinistra, e nei

cinque episodi della Vita di

Santa Elisabetta d’Ungheria,

prozia della committente Maria, eseguiti sulla parete

op-posta, insieme a quindici riquadri raffiguranti le Storie

del-la Passione, un tema particodel-larmente apprezzato in questi

contesti, fin dagli insediamenti più antichi

22

.

Eppure, le profonde differenze tra le due chiese paiono

evidenti: se nella fabbrica partenopea la galleria in

contro-facciata è una soluzione capace di garantire alle religiose di

assistere indisturbate agli uffici sacri, nettamente separate

tanto dall’assemblea dei laici che da quella dei religiosi, ad

Ascoli Piceno, al contrario, la duplice funzione del piano

superiore – presbiterio e coro delle monache –, talvolta

sug-gerita dagli studi, avrebbe provocato, durante le

celebra-zioni liturgiche, la compresenza non altrimenti

documen-tabile in un unico spazio delle monache e del celebrante,

incompatibile con le regole

della clausura, inasprite

pe-raltro alla fine del

Duecen-to

23

. Del resto, per quanto

gli episodi di deroga alle

di-sposizioni di reclusione

claustrale dovettero essere

più diffusi di quanto oggi

possiamo pensare, una

si-mile organizzazione

avreb-be comportato la visione da

parte di tutta l’assemblea

verso le clarisse, poste nei

pressi dell’altare, il fulcro

della liturgia, in maniera

esattamente opposta

al-l’esempio napoletano

ri-chiamato dagli studi. Inol-

8. Napoli, Santa Maria Donnaregina, sezione (da C. Bruzelius, 2005). 7. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, particolare del fianco setten-trionale dell’edificio.

(5)

parete d’altare, – a formare una sorta di chiesa doppia

se-condo un disegno ben documentato in diversi

insediamen-ti damianiinsediamen-ti

33

–, più tardi interessata da interventi tanto

ri-levanti da averne cancellato ogni traccia, compresi gli

ele-menti di schermatura necessari a collegare i due ambienti.

Eppure, la piccola apertura, oggi tamponata, ancora

visibi-le sulla parete settentrionavisibi-le del presbiterio sopraevisibi-levato,

che credo sia da identificare con il comunichino, permette

di collocare lo spazio riservato alle sorores in un ambiente,

oggi perduto, posto alla stessa quota della tribuna, oltre la

parete settentrionale della chiesa, al cui esterno, infatti,

so-no chiaramente visibili le numerose tracce degli elementi

necessari all’immorsatura del piano elevato del convento,

sul quale poté con agio trovare posto il coro monialium,

co-me del resto in passato già suggerito da parte degli studi

(figg. 12-13)

34

. Questa disposizione mi sembra confermata

anche dall’inconsueta impaginazione iconografica della

de-corazione del semplice ciborio della chiesa

35

, la cui volta è

ornata da due figure di Evangelisti, dipinti rispettivamente

nella vela occidentale e settentrionale, dalla Maiestas

Do-mini in quella orientale, e a meridione dalla Vergine col

Bam-bino tra Santa Chiara e San Francesco. Non è mai stato

no-tato che proprio l’unica immagine mariana e francescana

dell’intera decorazione, con Chiara in posizione d’onore,

non è stata prevista in asse con la Maiestas Domini,

dipin-ta nella vela oriendipin-tale – in maniera del tutto funzionale in

una chiesa occidentata alla celebrazione coram populi della

liturgia eucaristica –, ma venne realizzata sullo spicchio

me-ridionale

36

, privilegiando, dunque, una visione da

setten-trione per consentire alla comunità femminile chiusa nel

pro-prio coro di traguardare attraverso la grata il gruppo sacro

sul lato opposto (fig. 14)

37

.

Del resto, anche se in posizione non elevata, la

colloca-zione laterale per questo ambiente è ampiamente

docu-cuperava la divisione rigorosa tra la comunità maschile e

quel-la femminile, ospitata in un ambiente sopraelevato,

appog-giato alla controfacciata ed affacciato sul presbiterio

27

.

Nella fabbrica ascolana, allora, opportunamente

scher-mato, il coro delle monache andrà ricercato in uno spazio

adiacente al presbiterio, irrimediabilmente perduto insieme

agli altri ambienti del convento, in origine sviluppato a

nor-dovest della fabbrica

28

, di cui si conserva oggi solamente il

perimetro esterno di un ampio ambiente posto ad occidente

della chiesa e ad essa contiguo, trasformato in un locale ad

uso commerciale (fig. 9)

29

. La muratura dei fianchi della

chiesa prosegue nel solo piano inferiore oltre la parete

d’al-tare, sviluppandosi per tutto l’andamento longitudinale di

questo ambiente, di cui costituisce i lati perimetrali.

Tutta-via, un analogo andamento doveva accomunare l’intero

al-zato delle fiancate della chiesa, come dimostrano gli

ango-li esterni della parete occidentale della tribuna,

chiaramen-te caratchiaramen-terizzati dai segni di uno stacco netto della

muratu-ra, – successivamente tamponato con una serie di laterizi,

probabilmente in occasione dell’ultimo restauro – che ha

creato consistenti problemi statici alla struttura, molto

evi-denti lungo i fianchi della parete d’altare (fig. 10)

30

.

Eppu-re, a fronte dei numerosi interventi che dovettero

interes-sare l’area presbiteriale, oggi intuibili dall’incoerenza di

par-te della muratura espar-terna, la profondità della chiesa sembra

risalire alla facies duecentesca, senza aver subito modifiche

consistenti, a giudicare almeno dalla presenza sulla parete

di fondo del piano inferiore della Vergine in trono col

Bam-bino, affresco licenziato da una personalità rilevante, attiva

alla fine del Duecento in altre fabbriche ascolane

31

, e, alla

sua sinistra, da un’Annunciazione frammentaria databile

en-tro gli anni Trenta del Trecento (fig. 11)

32

.

Si potrebbe pensare che lo spazio riservato alle

religio-se fosreligio-se collocato in origine all’altezza della tribuna oltre la

9. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, particolare del fianco meri-dionale e della struttura conventuale ancora esistente.

10. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, particolare del fianco setten-trionale e dell’esterno della parete d’altare della tribuna.

(6)

mentata in diversi

insedia-menti francescani, primo fra

tutti il protomonastero di

Santa Chiara ad Assisi

38

, il

cui coro, corrispondente

al-l’attuale cappella di San

Giorgio

39

, addossato alla

parete meridionale della

chiesa, si affacciava

attra-verso la fenestra monialium

dal lato occidentale del

transetto destro,

permet-tendo alle religiose di

os-servare, traguardando la

grata, le Storie della Vergine

e di Santa Chiara “urlate e

clamanti”

40

, dipinte

all’ini-zio

del

Trecento

dal-l’Espressionista di Santa

Chiara, il probabile Palmerino di Guido

41

, che

conclude-vano un ciclo veterotestamentario duecentesco dipinto nel

transetto opposto e, sostituendo agli episodi cristologici

sce-ne di soggetto mariano, rileggevano in chiave femminile il

parallelismo tra il Vecchio ed il Nuovo Testamento,

tradi-zionalmente affrontato nelle decorazioni delle principali

ba-siliche capitoline, che costituirono il modello per la vicina

basilica superiore di San Francesco

42

. Anche in Santa

Chia-ra a Ravenna lo spazio riservato alle religiose si sviluppava

lungo il fianco meridionale della chiesa, interessato dalle

trac-ce delle aperture che, opportunamente schermate da grate,

mettevano in comunicazione gli ambienti claustrali e la

chie-sa, consentendo alle clarisse una visione parziale della zona

absidale e della sua decorazione, organizzata su due registri

sovrapposti e fortemente condizionata dalla presenza di

al-te monofore aperal-te sulla

pa-rete settentrionale e su

quel-la orientale. Il ciclo,

licen-ziato da Pietro da Rimini

al-la fine degli anni Venti del

Trecento, prende le mosse

con la splendida

Annuncia-zione piena di fremito e

pa-thos, e prosegue sulla

pare-te meridionale, l’unica priva

di finestre, con gli episodi

della Natività e

dell’Adora-zione dei Magi, entrambi

for-temente danneggiati dagli

interventi

settecenteschi,

per concludersi sulla parete

opposta, la sola totalmente

visibile alle religiose, con il

Battesimo

e

l’Orazione

nell’Orto nel registro inferiore, sovrastato dall’insolita

Cro-cefissione, in cui il legno della croce sembra issato, un po’

instabile, sulla cornice cosmatesca dell’alta monofora.

Que-ste fatiche di Pietro, “dove il respiro si accalora fra

dolcez-ze mirabili da grande colorista e asprezdolcez-ze severe e

pateti-che”

43

, furono pensate per fornire alla meditazione delle

re-ligiose un triangolo esemplare, incentrato sulla Passione

co-me esempio per la vocazione, ispirato alla catechesi paolina

dell’epistola ai Romani, per cui nel battesimo si muore in

Cristo, e con lui si rinasce a vita nuova.

Anche la realizzazione di un coro elevato parallelo alla

navata è ben documentato negli edifici damianiti, fin dal

Duecento. La chiesa di San Pietro in Vineis ad Anagni,

co-struita alla fine del XII secolo, intorno al 1193, anno della

prima notizia documentaria che la riguarda

44

, è forse il

ca-12. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, tribuna superiore, particola-re del comunichino murato.

13. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, particolare del fianco setten-trionale con il comunichino.

11. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, interno, particolare del pia-no inferiore.

(7)

blea, nel pieno rispetto della clausura, di seguire le

funzio-ni liturgiche, meditando gli episodi della Passione

46

dipin-ti proprio su quel lato, conclusi dalla raffigurazione di

Fran-cesco che riceve le stimmate con

Sant’Antonio e Santa Chiara,

una scena particolarmente

adat-ta alla celebrazione del tema

del-la conformitas tra Cristo e

Fran-cesco, a cui l’Ordine si mostrò

subito sensibile

47

.

Rispetto a questi esempi,

tut-tavia, in Santa Maria delle

Don-ne la contemporaDon-nea

disposi-zione sopraelevata del

presbite-rio e della zona riservata alla

clausura, non altrimenti

docu-mentabile, sembra davvero

co-stituire una peculiarità.

All’in-terno della chiesa, all’altezza

della prima campata, lungo la

parete settentrionale, le

foto-so più noto (fig. 15). Nonostante il disastrofoto-so restauro

ar-chitettonico degli anni Trenta del Novecento che ha

total-mente alterato gli ambienti monastici, risparmiando solo la

zona adiacente al fianco destro

della chiesa, è ancora possibile

riconoscere gli interventi di

adattamento alle esigenze della

clausura realizzati in seguito al

passaggio del complesso alle

clarisse nel 1255. Il coro delle

monache, infatti, venne

ricava-to in un ambiente leggermente

irregolare tra l’estradosso della

navata laterale e l’alzato della

navata centrale a cui si

appog-gia

45

. Due piccole feritoie

aper-te sulla pareaper-te meridionale,

al-l’altezza della prima e seconda

campata della chiesa,

permette-vano alle religiose, senza essere

guardate dal resto

dell’assem-14. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, Vergine col Bambino, Santa Chiara e Francesco; Maiestas Domini; Evangelitsta, Seguace del Maestro di Offi-da, particolare del ciborio visto da settentrione.

15. Anagni, San Pietro in Vineis, Storie della Passione, coro del-le monache.

(8)

grafie precedenti al restauro

docu-mentano la presenza di alcune buche

per l’immorsatura di travi lignee,

og-gi murate, ma ancora facilmente

di-stinguibili, che correvano lungo tutto

lo sviluppo orizzontale della parete,

alla quota della porta sospesa in

fac-ciata, e proseguivano sulla sola parte

destra della fronte della grande volta

a botte, su cui si appoggia la tribuna

(fig. 16). La critica che si è occupata

della fabbrica ascolana ha finito con

l’identificare queste tracce con i resti

di un camminamento sospeso

riser-vato alle religiose, che collegava il

presbiterio con la porta elevata in

fac-ciata, di conseguenza interpretata

co-me un accesso indipendente alla

chie-sa da parte della comunità

femmini-le, che poteva perciò servirsene

“sen-za mescolarsi col pubblico”

48

.

Eppu-re, è davvero difficile pensare che

so-rores reclusae al mondo, sottoposte ad

un regime claustrale rigido,

potesse-ro avere libepotesse-ro accesso dall’esterno

della chiesa e servirsi di un

cammi-namento sospeso sopra l’assemblea

senza un’opportuna schermatura che

ne inibisse totalmente la vista.

Non è mai stato notato, inoltre,

che la porticina in facciata venne

cavata in rottura, per cui doveva

ri-spondere ad un’esigenza maturata in

un secondo momento rispetto

al-l’edificazione della fabbrica. Inoltre,

analoghi segni di buche tamponate,

del tutto simili a quelle visibili lungo

la parete destra, si riscontrano anche

nella metà sinistra del lato

meridio-nale dell’edificio damianita,

inter-rompendosi però a circa due, tre

me-tri dal presbiterio sopraelevato (figg.

16. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, interno, stato precedente ai lavori di restuaro.

17. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, fac-ciata, particolare della porta realizzata in rottura.

(9)

del 1332”, richiamata dal Marcucci, in cui, oltre alla memoria

della “Badessa Suor Chiara”, e del “Sindico Giacomo di

Pie-tro”, veniva registrata la presenza di “sessanta monache”

52

.

Un numero cospicuo, sufficiente per motivare la

realizza-zione del nuovo coro.

Così ricostruite, le vicende di Santa Maria delle Donne

sem-brano ribadire come, nelle fabbriche di pertinenza

femmini-le, la principale

preoccupazio-ne che animava le scelte

co-struttive fu quella di garantire

una netta separazione delle

pauperes moniales reclusae,

ot-tenuta talvolta attraverso

solu-zioni edilizie sorprendenti,

spesso difficili da leggere per

le numerose alterazioni subite

nel tempo da questi edifici, in

cui, di conseguenza, il legame

inscindibile tra spazio

archi-tettonico e funzione liturgica si

presenta oggi ormai allentato,

ma che un’analisi più attenta

permette di recuperare in

tut-ta la sua sostut-tanziale unità.

17-18-19). Mi chiedo se, allora, in seguito all’aumentare del

numero di clarisse nel convento ascolano, non si sia deciso

di realizzare un ulteriore coro ligneo sopraelevato per le

mo-nache – che integrava quello più antico – eretto ad oriente

della chiesa, appoggiato sulla controfacciata, in maniera non

dissimile alle soluzioni adottate in Santa Maria

Donnaregi-na e Santa Chiara Vecchia a Nola

49

. Il celebrante poteva

ac-costarsi a questo spazio per

co-municare le clarisse tramite un

pontile, che correva lungo la

parete settentrionale, dove le

tracce delle buche per

l’am-morsatura sono visibili, a

dif-ferenza del fianco sinistro

50

,

lungo tutto lo sviluppo

oriz-zontale fino al presbiterio

(figg. 16-20)

51

.

Del resto, tra Due e

Tre-cento il numero delle religiose

che abitava il monastero

asco-lano crebbe notevolmente,

al-meno a giudicare dalla notizia

riportata “in una Pergamena

di un lor Capitolo de’ 2 Marzo

18. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, interno, particolare delle bu-che pontaie tamponate lungo la parete meridionale.

19. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, parete meridionale, partico-lare delle buche tamponate.

20. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, interno, parete orientale.

* Il contenuto di questo articolo è il frutto delle ricerche confluite nella-mia Tesi di Specializzazione, La chiesa di Santa Maria delle Donne e le

Cla-risse ad Ascoli. Un punto di vista sulla pittura del Trecento nel Piceno,

re-latore Professor Andrea De Marchi, discussa presso la Scuola di Specia-lizzazione in Storia dell’Arte, Facoltà di Lettere e Filosofia, dell’Universi-tà degli Studi di Firenze, nell’anno accademico 2009-2010. Lo studio

del-NOTE

la decorazione pittorica della chiesa è oggetto di un altro articolo, La

de-corazione della chiesa di Santa Maria delle Donna ad Ascoli e alcune osser-vazioni sulla pittura del Trecento nel Piceno, in “Arte Cristiana”, C 868,

2012, pp. 1-13. Desidero in questa occasione ringraziare Fulvio Cervini, Andrea De Marchi e Guido Tigler per i preziosi consigli.

(10)

del XIII secolo: il caso del monastero di S. Margherita, in Felix Olim Lom-bardia. Studi di Storia padana dedicata dagli allievi a Giuseppe Martini,

Mi-lano 1978, p. 211.

2J. GARDNER, Nuns and Altarpieces: Agendas for Research, in “Römisches

Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana”, XXX, 1995, pp. 29-56.

3Non sono molti i contributi di carattere generale sull’argomento per

cui si veda: M.A. FILIPIAK, The Plans of the Poor Clares’ Convents in

Cen-tral Italy. From the Thirteenth trough the Fifteenth Century, Ph. D.

dis-sertation, University of Michigan 1957, lavoro pioneristico ma non sem-pre approfondito; C. BRUZELIUS, Hearing is Believing: Clarissan

Archi-tecture, ca. 1213-1340, in “Gesta”, XXXI, 1992, 2, pp. 83-91; J. GAR

-DNER, Nuns and Altarpieces: Agendas for Research… cit., pp. 29-56, di particolare importanza per sottolineare le peculiari necessità della clau-sura. Più di recente: K.N. HOUSTON, Painted Images and the Clarisse,

1212-1320: Aspects of Production and Reception, and the Idea of a Nun-nery Art, Ph. D. dissertation, Yale University 2001, con bibliografia

pre-cedente; A. THOMAS, Art and Piety in the Female Religious Communities of Renaissance Italy. Iconography, Space, and the Religious Woman’s Per-spective, Cambridge 2003.

4Sulla chiesa di Santa Maria delle Donne: F.A. MARCUCCI, Saggio delle co-se ascolane e de’ vescovi di Ascoli nel Piceno pubblicato da un Abate Asco-lano, Teramo 1766, pp. CCXXXXII-CCXXXXIII; G.I. CIANNAVEI,

Com-pendio di memorie istoriche spettanti alle chiese parrocchiali della città di Ascoli nel Piceno, e ad altre tanto esistenti, che dirute nel circuito di essa e ne’ sobborghi, Ascoli Piceno 1797, pp. 270-272; G. CARDUCCI, Su le

me-morie e i monumenti di Ascoli nel Piceno, Fermo 1853, pp. 182, 238; L.

SERRA, L’Arte nelle Marche, II, Pesaro 1929, pp. 107-108; R. GIORGI, Le

Clarisse in Ascoli, Fermo 1968, pp. 60-70, 81-133; F. CAPPELLI, Santa

Ma-ria delle Donne, in Il Romanico ad Ascoli Piceno, Acquaviva Picena 1997,

p. 32; L. BARTOLINISALIMBENI, Resti monumentali e modelli architettoni-ci francescani fino all’Osservanza, in I Francescani nelle Marche. Secoli XIII-XVI, a cura di L. Pellegrini e R. Paciocco, Cinisello Balsamo 2000, pp.

145-147; M. RIGHETTITOSTI-CROCE, La chiesa di Santa Chiara ad Assisi:

architettura, in Santa Chiara in Assisi: architettura e decorazione, a cura di

A. Tomei, Cinisello Balsamo 2002, p. 38; F. CAPPELLI, La Chiesa di Santa

Maria delle Donne, in Guida alle chiese romaniche di Ascoli Piceno, città di travertino, Ascoli Piceno 2006, pp. 134-135.

5M.G.DELFUOCO, La Provincia francescana delle Marche: insediamenti francescani, realtà cittadina e organizzazione territoriale (secoli XIII-XIV),

in I Francescani nelle Marche… cit., pp. 24-37.

6F.A. MARCUCCI, Saggio delle cose ascolane… cit., p. CCXXXXII. 7R. GIORGI, Le Clarisse in Ascoli… cit., pp. 68, 136. La bolla è

pubblica-ta in “Annales Minorum”, II, XLIV, pp. 711-712. Su questi aspetti: J.R.H. MOORMAN, Medieval Franciscan Houses, in Franciscan Institute Publica-tions, History Series, IV, a cura di G. Marcil, St. Bonaventure (N. Y) 1983,

p. 546; M.P. ALBERZONI, Da San Damiano all’Ordine di Santa Chiara, in

Gli Ordini Mendicanti nel Piceno. I Francescani dalle origini alla controri-forma, Ascoli Piceno 2005, pp. 113-135.

8Come è noto San Damiano fu oggetto a partire dal 1206 di un

interven-to da parte dello stesso Francesco ricordainterven-to dalle fonti. Chiara vi si stabi-lì tra il 1211 e l’anno successivo, dopo aver soggiornato dapprima nel mo-nastero di San Paolo nei pressi di Bastia, quindi in quello di Sant’Angelo in Panso, fuori Assisi. Non è semplice seguire le vicende architettoniche del complesso damianita. Gli studi hanno sottolineato il precoce innalza-mento della facciata occidentale della chiesa finalizzato alla realizzazione del dormitorio, posto sopra la navata. A questo blocco venne addossato successivamente un ulteriore corpo, costituito dall’attuale area presbite-riale. Sulle vicende si veda: A.M. ROMANINI, Il Francescanesimo nell’arte: l’architettura delle origini, in Francesco, il Francescanesimo e la cultura del-la nuova Europa, Atti del convegno di studi (Roma, 1982), a cura di I.

Bal-delli e A.M. Romanini, Roma 1986, pp. 181-195; M. RIGHETTITOSTI-CRO

-CE, La chiesa di Santa Chiara ad Assisi: architettura… cit., pp. 23-28; L. ERMINIPANI, M.G. FICHERA, M.L. MANCINELLI, Indagini archeologiche

nel-la chiesa di San Damiano in Assisi, a cura di L. Ermini Pani, M.G.

Fiche-ra, M.L. Mancinelli, Santa Maria degli Angeli 2005, pp. 9-18, 89-94.

9È noto l’episodio riportato nella Legenda Trium Sociorum (VII, 24-5), per

cui si veda: Fontes Franciscani, a cura di E. Menestò e S. Brufani, Santa Maria degli Angeli 1995, p. 1397.

10Il favore papale e l’adesione di membri della classe agiata emerge in

ma-niera emblematica nella soluzione a favore del convento di Santa Maria delle Donne stabilita da Gregorio IX nella controversia intercorsa tra Ce-cilia – più tardi badessa – e i suoi familiari circa la facoltà di disporre del-l’eredità paterna, negata da questi ultimi in seguito alla scelta di povertà e di reclusione fatta dalla donna. Nonostante il parere contrario di tutta la tradizione giuridica, il pontefice il 28 marzo del 1233 si pronunciò a fa-vore della religiosa. La bolla è pubblicata in Bullarium Franciscanum, I, XCCVI, p. 100. Si veda inoltre: R. GIORGI, Le Clarisse… cit., pp. 68-70. M.P. ALBERZONI, Da San Damiano all’Ordine di Santa Chiara… cit., pp. 127-134, in cui l’episodio è letto nel quadro di una generale preoccupazione del pontefice di assicurare le risorse economiche necessarie per garantire ai monasteri femminili la rigida clausura. Alla fine degli anni Trenta, inol-tre, le monache benedettine di Sant’Angelo Magno decisero di entrare nel-l’Ordine di San Damiano. Sul monastero di Sant’Angelo di gran lunga il più ricco della città: C. MARIOTTI, Il monastero e la chiesa di Sant’Angelo in Ascoli Piceno, Ascoli Piceno 1920; M.E. GRELLI, Il monastero di San-t’Angelo di Ascoli Piceno, in “Studi Maceratesi”, XLII, 2008, pp. 351-399,

dove l’adesione all’Ordine di San Damiano da parte delle benedettine è letta entro il più generale contesto politico di quegli anni. L. BORRACCINI,

L’Abbazia di Sant’Angelo Magno in Ascoli Piceno, Acquaviva Picena 2010,

pp. 42-47. Per gli insediamenti di Ascoli Piceno e per un dettagliato qua-dro della diffusione del Secondo Ordine nelle Marche si veda: M.C. MA

-RANO, Le Clarisse nelle Marche. Insediamenti nel XIII secolo, in “Collec-tanea Franciscana”, LXVII, 1-2, 1997, pp. 105-166.

11Sugli affreschi del ciborio: S. PAPETTI, Proposta per il Maestro di Offida ed i suoi seguaci ad Ascoli Piceno, in “Notizie da Palazzo Albani”, XVI,

1988, 1, pp. 147-148; G. CROCETTI, Una nota sul Maestro di Offida pitto-re marchigiano del sec. XIV, in “Arte Cristiana”, LXXIX, 1991, 746, pp.

356-357; S. PAPETTI, Un artista itinerante tra le Marche e l’Abruzzo: il Mae-stro di Offida, in Le vie e la civiltà dei pellegrinaggi nell’Italia Centrale,

At-ti del Convegno di studio per la XIII edizione del Premio Internazionale di Ascoli Piceno (Ascoli Piceno, 21-22 maggio 1999), a cura di E. Mene-stò, Spoleto, 2000, pp. 51-52; IDEM, in Atlante del Gotico nelle Marche.

Ascoli Piceno e Provincia, a cura di S. Papetti, Milano 2004, p. 45; E. ZAP

-PASODI, La decorazione… cit., pp. 5-6.

12Per la stampa ottocentesca: G. CARDUCCI, Su le memorie… cit., pp. 182,

238.

13La foto venne pubblicata dal Serra nel 1929. La famiglia Merli, attuale

proprietaria della chiesa, si occupò del restauro tra il 1940 ed il 1956, ria-prendo l’edificio al culto l’anno successivo. Del restauro da notizia R. GIOR -GI, Un gioiello di Arte Ascolana: S. Maria delle Donne, in “Il Nuovo

Pice-no”, 7 settembre, 1957, p. 5.

14Il monumento fu realizzato dal casato Guiderocchi, il cui stemma

cam-peggia sulla cassa del monumento. La famiglia, una delle più eminenti del-la storia ascodel-lana, ebbe rapporti duraturi con l’Ordine minorita e con il convento femminile di Santa Maria delle Donne, a partire dalla monaca-zione di Montanea, figlia di “Jacobi de Monte Calvo”, capostipite della fa-miglia, avvenuta nel 1295. Nel Cinquecento, il monumento verrà riutiliz-zato per la tumulazione del corpo di Astolfo Guiderocchi nel 1552. L’epi-sodio è ricordato con enfasi dalle cronache ascolane. Sull’argomento: G. FABIANI, Ascoli nel Cinquecento, II, Ascoli Piceno 1959, pp. 39-42; R. GIOR

-GI, Le Clarisse… cit., pp. 95-100; G. SALVI, La saga dei Guiderocchi, Asco-li Piceno 1990, pp. 11-17. L’intera vicenda è riassunta in E. ZAPPASODI, La decorazione… cit., p. 2.

15S. PAPETTI, Committenze nella Pittura delle Marche tra ’200 e ’300, in Offida: dal monachesimo all’età comunale, Atti del II Convegno del

Cen-tro Studi Farfensi (Offida, 1991), a cura di V. Laudadio, Negarine di San Pietro in Cariano 1993, pp. 86-88; E. ZAPPASODI, La decorazione… cit. , pp. 2-3.

16Sulla chiesa variamente datata dagli studi, si veda la scheda Il Battiste-ro di San Giovanni a Varese, in Lombardia Gotica, a cura di R. Cassanelli,

Milano 2002, pp. 270-272, con bibliografia precedente.

(11)

26Il coro delle monache si sviluppa lungo tutta la navata, fino al

presbi-terio, che è organizzato su di un unico livello. A Napoli, al contrario, gra-zie alle maggiori dimensioni del complesso, la galleria venne interrotta po-co oltre la metà dello sviluppo longitudinale dell’edificio, raggiungendo un effetto spaziale più armonico.

27I lavori nel complesso edilizio vennero condotti tra il 1333, anno del

matrimonio tra Sveva del Balzo e Roberto Orsini, ed il 1350, anno della morte di questi. Come ricorda un’iscrizione frammentaria visibile sul po-sto, il figlio di Roberto, Nicola, proseguì i lavori edificando un dormito-rio per la comunità monastica. Nel 1394 lo stesso Nicola inoltrò una sup-plica a Bonifacio IX perché autorizzasse urgenti interventi conservativi nel-la chiesa. Sull’edificio, noto anche con il titolo di Santa Maria Iacobi: M. ZAMPINO, La chiesa vecchia di Santa Chiara in Nola, in Atti del V Conve-gno Nazionale di Storia dell’Architettura (Perugia, 23 settembre, 1948), Firenze 1957, pp. 437-450; C. BRUZELIUS, Le pietre di Napoli.

L’architet-tura religiosa nell’Italia angioina, 1266-1343, ed. italiana, traduzione di C.

Colotto, Roma 2005, pp. 202-204.

28Non è possibile ricostruire nel dettaglio lo sviluppo del monastero di

San-ta Maria delle Donne in assenza di rilievi archeologici e di adeguaSan-ta docu-mentazione. Le uniche notizie utili si ricavano da due documenti di tardo Duecento, che sembrano restituire una situazione edilizia abbastanza arti-colata, in cui viene suggerita una disposizione sopraelevata, all’altezza del coro, per le clarisse. Nel primo documento, infatti, datato 15 febbraio 1290, il pontefice Nicolò IV informa Nicoletto Nicolai, rettore della chiesa di San Lorenzo de Pastina della diocesi di Fermo, di aver appreso che alcuni “ser-vientes, satellites” e “familiares” del podestà di Ascoli, Mutino, avevano fatto irruzione “fractis Portis Ecclesiae, ac domorum eiusdem Monasterii ac scalis Palatii, per quas ad ostium Monialium ascenditur”. Il documento papale è pubblicato integralmente in: Bullarium Franciscanum, IV, CCXVII, pp. 134-135; A. FRANCHI, Ascoli Pontificia, regesto documentario a cura di

L. Ciotti, Ascoli Piceno 1999, vol. II, n. 207, p. 229. La seconda menzio-ne, datata 21 gennaio 1299, riferisce di una donazione fatta in denaro al monastero. L’atto venne rogato “ad fenestram parlatorij prelibati Mona-sterij”. Il documento è conservato nell’Archivio di Stato di Ascoli Piceno, Archivio di Sant’Angelo Magno, Cassetto XI, pergamena 17.

29L’ambiente è collegato alla chiesa attraverso una porta, oggi murata,

aper-ta a destra della parete di fondo del piano inferiore.

30Le condizioni conservative dell’edificio sono drammatiche. Estese

le-sioni nella muratura si osservano sia ai lati della parete occidentale, ormai distaccata dai fianchi, sia nell’arcone della chiesa.

31S. PAPETTI, Proposta per il Maestro di Offida… cit., p. 147; C. FRATINI, Pittura fra Marche e Umbria: primi passi per una storia comparata, in Il Mae-stro di Campodonico. Rapporti artistici fra Umbria e Marche nel Trecento, a

cura di F. Marcelli, Fabriano 1998, pp. 25, 41; A. MARCHI, Pittura medioevale nell’Ascolano e nel Fermano, in Atlante dei Beni Culturali dei Territori di Ascoli Piceno e di Fermo. Beni Artistici. Pittura e Scultura, a cura di S.

Pa-petti, Cinisello Balsamo 2003, pp. 19-20; E. ZAPPASODI, La decorazione… cit., pp. 1-2, 5.

32L’affresco venne pubblicato con una datazione al XV secolo dal solo R.

GIORGI, Le clarisse… cit., p. 123; ed ora in E. ZAPPASODI, La

decorazio-ne… cit., p. 5.

33La disposizione in pianta dei cori oltre la parete d’altare a formare una

chiesa doppia, diverrà la più diffusa dopo il Concilio di Trento. L’episo-dio più noto nel Trecento è indubbiamente la chiesa angioina di Santa Chiara a Napoli, per cui: C. BRUZELIUS, Queen Sancia of Mallorca and the

Convent Church of Sta. Chiara in Naples, in “Memoirs of the American

Academy in Rome”, XL, 1995, pp. 69-100; EADEM, Le pietre di Napoli…

cit., pp. 151-175; sulla presenza di questa soluzione nella vicina area abruz-zese si veda: L. BARTOLINISALIMBENI, Gli insediamenti delle clarisse in Ita-lia nel XIII secolo: qualche osservazione sulla ricerca in atto, in Chiara d’As-sisi e la memoria di Francesco, Atti del convegno per l’VIII centenario

del-la nascita di Chiara (Fara Sabina, 19-20 maggio 1994), Città di Castello 1995, pp. 109-117, in cui vengono ricordati e comparati tra loro i casi di Santa Chiara d’Acquili a L’Aquila, Santa Chiara a Gagliano Aterno e di Sulmona, e la chiesa dell’Eucarestia a L’Aquila, di cui si analizzano le strut-ture originarie, precedenti ai rifacimenti barocchi.

le schede di F. CAPPELLI, in Guida alle chiese romaniche… cit., pp. 92-119.

18Altri esempi che mostrano questo andamento verticale accentuato

so-no: Santa Maria Assunta di Ponte, a Ponte Cerreto di Spoleto, affine an-che nel portale a rincassi; Sant’Eutizio a Preci, San Ponziano a Spoleto. Si veda: B. SPERANDIO, Chiese romaniche in Umbria, Perugia 2001, pp.

58-59, 69, 96-99; 109-110.

19K.N. HOUSTON, Painted Images and the Clarisse, 1212-1320… cit., p. 54.

Analoga interpretazione è data in: J. GARDNER, Nuns and Altarpieces… cit., p. 52; É. BERTAUX, Santa Chiara de Naples: l’église et le monastère des

religieuses, in “Mélanges d’archéologie et d’histoire de l’École française de

Rome”, XVIII, 1898, p. 176.

20Sulle vicende relative all’andamento dei lavori: P. LEONE DECASTRIS, Arte di corte nella Napoli angioina, Firenze 1986, pp. 286-287; C. BRUZE

-LIUS, The Architectural Context of Santa Maria Donna Regina, in The Church

of Santa Maria Donna Regina. Art, Iconography and Patronage in Fourte-enth-Century Naples, a cura di J. Elliot e C. Warr, London 2004, pp.

79-92. Maria d’Ungheria, morta il 25 marzo del 1323, verrà sepolta proprio in Santa Maria Donnaregina. Il monumento funerario, originariamente col-locato dietro l’altare, venne realizzato da Tino di Camaino e fu completa-to dalla sua bottega tra il febbraio del 1325 ed il marzo del 1326, per cui si veda: T. MICHALSKY, Mater Serenissimi Principis: The Tomb of Maria of

Hungary, in The Church of Santa Maria Donna Regina… cit., pp. 61-74,

con ampia bibliografia precedente.

21Gli affreschi del coro ed i Profeti e Apostoli della navata sono stati

va-riamente giudicati dalla critica. Si veda: O. MORISANI, Pittura del

Trecen-to in Napoli, Napoli 1947, pp. 26-44; F. BOLOGNA, I pittori alla corte

an-gioina di Napoli, 1266-1414, Roma 1969, pp. 132-140; M. BOSKOVITS, Gli

Affreschi del Duomo di Anagni: un capitolo di pittura romana, in

“Parago-ne”, XXX, 1979, 357, pp. 39-41; IDEM, Proposte (e conferme) per Pietro Cavallini, in, Roma anno 1300, Atti della IV Settimana di Studi di Storia

dell’Arte Medievale dell’Università di Roma La Sapienza (19-24 maggio 1980), a cura di A.M. Romanini, Roma 1983, pp. 309-311; P. LEONE DE

CASTRIS, Arte di corte… cit., pp. 286-311. Più di recente: A. TOMEI,

Pie-tro Cavallini, Cinisello Balsamo 2000, pp. 121-130.

22 K.N. HOUSTON, Painted Images and the Clarisse, 1212-1320… cit.,

pp. 306-325, con bibliografia precedente; in cui si sottolinea il rapporto del ciclo della Passione con le Meditationes vitae Christi. Più di recente: C.A. FLECK, “To Exercise Yourself in These Things by Continued

Contem-plation”. Visual and Textual Literacy in the Frescoes at Santa Maria Donna Regina, in The Church of Santa Maria Donna Regina… cit., pp. 109-128. 23Una giusta attenzione per questi aspetti è in J. GARDNER, Nuns and Al-tarpieces… cit., pp. 29-56.

24Un’identificazione tra l’ambiente superiore ed il coro delle religiose in

Santa Maria delle Donne è proposta in: F. CAPPELLI, Santa Maria delle Donne… cit., p. 32; IDEM, La Chiesa di Santa Maria delle Donne… cit.,

pp. 134-135, dove pure si propongono riferimenti all’esempio napoletano di Santa Maria Donnaregina. Un analogo modello è richiamato anche da M. RIGHETTITOSTI-CROCE, La chiesa di Santa Chiara… cit., p. 38. Sulle iscrizioni del ciborio: A. SALVI, Iscrizioni medievali di Ascoli, Ascoli Pice-no 1999, p. 100.

25G.DEANGELIS D’OSSAT, Le chiese medioevali a due piani e la basilica di San Francesco d’Assisi, in Atti del II Convegno Nazionale di Storia

del-l’Architettura (Assisi, 1-4 ottobre 1937), Roma 1939, p. 179. Celebri esem-pi di chiese dopesem-pie sono San Claudio al Chienti e Santa Maria a Piè di Chienti. Presbiteri sopraelevati mostrano, ad esempio, la pieve di San Pie-tro a Ponte Messa presso Pennabili, l’Abbazia di San Fermano a Montelu-pone e l’Abbazia di Santa Croce a Fonte Avellana per cui si veda: P. PIVA, Marche romaniche… cit., pp. 43-56, 69-83, 200-202, 233-235, 245-247, con

bibliografia precedente. Il presbiterio molto elevato caratterizza anche gli edifici romanici appartenenti al cosidetto “gruppo spoletino”, lontano tut-tavia dalla chiesa ascolana, non solo per la presenza delle tre navate in pian-ta, ma anche per la crippian-ta, la terminazione triabsidapian-ta, ed i pilastri circola-ri. Su questi argomenti: G. MARTELLI, L’abbaziale di S. Felice di Giano e un

gruppo di chiese romaniche intorno a Spoleto, in “Palladio”, VII, II-III, 1957,

pp. 74-91; M.T. GIGLIOZZI, Architettura romanica in Umbria. Edifici di

(12)

34Questa collocazione per il coro delle clarisse è stata prospettata da R.

GIORGI, Le Clarisse… p. 92, e da L. BARTOLINISALIMBENI, Resti monu-mentali e modelli architettonici francescani… cit., p. 147. All’esterno

del-la chiesa si può osservare come questa apertura sia stata successivamente allargata.

35Il ciborio interamente decorato è affine ad una tipologia ben

documen-tata nel vicino Abruzzo teramano, in Santa Maria di Brecciano a Brozzi, presso Montorio al Vomano, e nell’aquilano, in San Michele Arcangelo a Vittorito e in San Pietro in Valle a Caporciano, e che ha un esempio estre-mo per cronologia, ben dentro il Quattrocento, nel ciborio di San Marti-no dei Gualdesi a Castelsantangelo sul Nera, tra Marche e Umbria, i cui affreschi sono ascrivibili al Maestro del Trittico di Nocria. Per questi esem-pi: E. AMOROSI, Madonna col Bambino. Chiesa di Santa Maria di

Breccia-no Brozzi, in Documenti dell’Abruzzo TeramaBreccia-no, III, 1, La valle dell’alto Vomano ed i Monti della Laga, Pescara 1991, pp. 314-318, nota 1; F. TO

-DINI, La pittura umbra dal Duecento al primo Cinquecento, I-II, Milano

1989, vol. I, p. 202, vol. II, p. 382.

36Una più puntuale analisi del ciborio è in: E. ZAPPASODI, La decorazio-ne… cit., pp. 5-6.

37Sui pilastri sotto la vela meridionale sono raffigurati a sinistra il Batti-sta, ed un giovane imberbe con il libro in mano, probabilmente da

iden-tificare nel San Giovanni Evangelista, a formare una sorta di polittico ad affresco. È necessario sottolineare, tuttavia, che l’apertura murata sulla pa-rete settentrionale non è in asse con l’immagine mariana.

38Sulla chiesa: M. BIGARONI, Origine e sviluppo storico della Chiesa, in La basilica di S. Chiara in Assisi, a cura di M. Bigaroni, H.R. Meier, E.

Lun-ghi, Perugia 1994, pp. 11-80; M. RIGHETTITOSTI-CROCE, La chiesa di

San-ta Chiara ad Assisi… cit., pp. 29-36.

39Nel coro delle monache, come è noto, venne trasferita la venerata Cro-ce dipinta di San Damiano, posta dinanzi alla parete orientale, sulla quale

vennero dipinte le Storie della Passione, licenziate dal Maestro della Cap-pella di San Giorgio, che da queste fatiche prende il nome. Gli affreschi sovrastano la Vergine col Bambino tra i Santi Giovanni Battista, Michele

Arcangelo, Chiara e Francesco, una sorta di polittico a fresco, eseguiti da

Puccio Capanna. La decorazione prosegue sul lato settentrionale con

l’An-nunciazione, San Giorgio che uccide il drago, la Nascita di Cristo e l’Ado-razione dei Magi, dipinti da Pace di Bartolo forse ancora entro la metà del

Trecento. Su questi argomenti E. LUNGHI, La decorazione pittorica della

Chiesa, in La basilica di S. Chiara… cit., pp. 236-256, con ampia

biblio-grafia precedente.

40R. LONGHI, In traccia di alcuni anonimi trecentisti, in “Paragone”, XIV,

167, 1963, p. 12.

41Si deve a E. NERILUSANNA, Percorso di Guiduccio Palmerucci, in

“Pa-ragone”, XXVIII, 325, 1977, pp. 11-13, 32-33, la proposta di identificare l’Espressionista di Santa Chiara con il pittore Palmerino di Guido, docu-mentato ad Assisi a partire dal 1299 e ricordato come teste ancora nel-l’aprile del 1307. La questione è riassunta con puntualità in E. LUNGHI,

La decorazione pittorica… cit., pp. 227-229.

42Sulla decorazione della chiesa, che comprendeva anche un ricco

reper-torio di pitture su tavola, si veda: E. LUNGHI, La decorazione pittorica

del-la Chiesa… cit., pp. 139-230; J. GARDNER, Nuns and Altarpieces… cit., pp. 33-34; I. HUECK, Recensione a Marino Bigaroni, Hans-Rufolf Meier,

El-vio Lunghi. La Basilica di S. Chiara in Assisi, in “Kunstchronik”, L, 1997,

pp. 287-292; A.DEMARCHI, “Cum dictum opus sit magnum”: il

documen-to pisdocumen-toiese del 1274 e l’allestimendocumen-to trionfale dei tramezzi in Umbria e To-scana fra Due e Trecento, in Medioevo immagini e memoria, Atti del

con-vegno internazionale di studi di Parma (Parma, 23-28 settembre 2008), a cura di A.C. Quintavalle, Milano 2009, pp. 603-621; A. TOMEI, La deco-razione della basilica: affreschi e tavole, in Santa Chiara in Assisi: architet-tura e decorazione… cit., pp. 59-75.

43C. VOLPE, La pittura riminese del Trecento, Milano 1965, p. 26. Sugli

af-freschi: M. BOSKOVITS, Per la storia della pittura tra la Romagna e le

Mar-che, in “Arte Cristiana”, LXXXI, 756, 1993, pp. 176-177, n. 47; inoltre

P.G. PASINI, Pietro da Rimini per le Clarisse di Ravenna, in Gli affreschi

trecenteschi da Santa Chiara in Ravenna. Il grande ciclo di Pietro da Rimi-ni restaurato, a cura di A. EmiliaRimi-ni, G. Montanari, P.G. PasiRimi-ni, Ravenna

1995, pp. 43-67. Sull’attività ravennate del maestro: M. MEDICA, Pietro da

Rimini e la Ravenna dei da Polenta, in Il Trecento riminese. Maestri e botteghe tra Romagna e Marche, catalogo della mostra (Rimini, 20 agosto 1995

-7 gennaio 1996), a cura di D. Benati, Milano 1995, pp. 94-111.

44A questa data, infatti, il priore Rogerius ricevette dei beni

appartenen-ti a Giovanni cardinale di Palestrina, per trasferirli alla cattedrale di Ana-gni. La presenza di un priore lascia supporre che vi fosse insediata una co-munità maschile, non altrimenti documentata. Nel 1227 una bolla di Gre-gorio IX sembra attestare la pertinenza della chiesa alla cattedrale. Nel 1256, al momento dell’insediamento delle Clarisse, i documenti riferisco-no di un priore Michele che in cambio della cessione della chiesa alle re-ligiose ottenne il priorato di Santa Maria di Bagnara. A. MARINI, Le

fon-dazioni francescane femminili nel Lazio nel Duecento, in “Collectanea

Fran-ciscana”, LXIII, 1-2, 1993, pp. 83-85.

45Anche nella chiesa benedettina femminile di Santa Felicita a Firenze il

coro delle monache venne previsto in posizione sopraelevata, affacciato sul fianco destro della navata.

46La chiesa di San Pietro in Vineis, monoabsidata e divisa in tre navate da

pilastri su cui si impostano volte a crociera, è decorata con episodi tratti dalle Storie dell’Infanzia di Cristo disposti sulle pareti della navata centra-le, con andamento dal presbiterio verso la controfacciata. Sugli affreschi del coro delle monache e della chiesa: A. BIANCHI, Affreschi Duecenteschi

nel S. Pietro in Vineis in Anagni, in Roma Anno 1300… cit., pp. 379-384.

Una discussione approfondita sulle scelte iconografiche del ciclo

dell’In-fanzia e sulle vicende costruttive della chiesa sono in: S. ROMANO, Gli

Af-freschi di San Pietro in Vineis, in, Il Collegio Principe di Piemonte e la Chie-sa di San Pietro in Vineis in Anagni, a cura di M. Rak, Roma 1997, pp.

101-116; M. BOEHM, Wandmalerei des 13. Jahrhunderts im

Klarissenklo-ster S. Pietro in Vineis zu Anagni Bilder für die Andacht, MünKlarissenklo-ster 1999;

K.N. HOUSTON, Painted Images and the Clarisse, 1212-1320… cit., pp.

104-106, 222-235.

47S. ROMANO, Gli Affreschi di San Pietro… cit., p. 109. Il ciclo anagnino

è il primo esempio attestato di decorazione destinata esclusivamente alla contemplazione di una comunità damianita, e si pone dunque in netto an-ticipo rispetto agli episodi di Napoli in Santa Maria Donnaregina e gli af-freschi del Maestro della cappella di San Giorgio nel protomonastero di Santa Chiara ad Assisi. L’assenza della scena della Crocefissione in un ci-clo altrimenti completo della Passione, si spiega solo ipotizzando la pre-senza di una croce dipinta, oggi perduta, esemplata sul modello venerato della Croce di San Damiano.

48L. BARTOLINISALIMBENI, Resti monumentali e modelli architettonici…

cit., p. 147. Nei pochi interventi sulla chiesa non si è mai prospettata un’ana-lisi dettagliata della distribuzione degli spazi.

49M. ZAMPINO, La chiesa vecchia di Santa Chiara in Nola… cit., pp.

437-450; C BRUZELIUS, Le pietre di Napoli… cit., pp. 202-204.

50Resta tuttavia difficile da spiegare la scelta di realizzare l’accesso a

que-sto secondo coro tramite la porta, realizzata in rottura, all’esterno dell’edi-ficio, sulla facciata, e non attraverso un passaggio ricavato nella parete set-tentrionale della chiesa, direttamente accessibile dall’interno del convento.

51La possibilità di servirsi di un doppio coro è documentata, benché ad

una cronologia molto più recente, in San Felice in Piazza a Firenze, dove, ormai negli anni Settanta del Cinquecento, la costruzione del coro in una galleria sopraelevata appoggiata alla controfacciata non impediva alle Do-menicane l’utilizzo di un altro ambiente di più modeste dimensioni, defi-nito nei documenti “choro delle suore da basso”, posto lateralmente alla navata, e collegato alla chiesa attraverso il comunichino ricavato alla base della tela dipinta dall’Empoli con l’Apparizione della Madonna col

Bambi-no a San Giacinto. Si veda: L. MEONI, San Felice in Piazza a Firenze,

Fi-renze 1993, pp. 115-138. Oltre al comunichino, oggi coperto da un pan-no di velluto, il coro era collegato alla chiesa attraverso un’ulteriore gra-ta, definita in un documento del 1753 “grata grande delle monache”, che dovette essere successivamente murata. Ivi, pp. 116-118.

52F.A. Marcucci, Saggio delle cose ascolane… cit., p. CCXXXXII. Il

do-cumento, oggi perduto, era confluito nell’archivio delle monache di San-t’Egidio ad Ascoli Piceno, dopo che, abbracciata la regola benedettina nel 1534, le religiose vi si erano trasferite nel 1537.

Riferimenti

Documenti correlati

Nelle imponenti sale e nelle aule minori sono stati selezionati, per valore di originalità e di aggiornamento – tra i primi dai giovani chirurghi – ricerche ed esperienze con la

In addition to the effects on heart function, GRK2 upregulation also affects cardiac metabolism, and in particular, myocardial glucose uptake, at the early stages of the disease,

This study addresses several challenges: (a) preservation of the informative content of 2D peak patterns by preserving the original method separation power and resolution;

Le abitazioni, un tempo sparse nei poderi, si sono infittite e hanno dato vita a un quartiere residenziale, nel cui centro c’è oggi la fattoria con la cappella di Santa Teresa e

La Comunità Alloggio Sociale Anziani (C.A.S.A.) “Santa Maria della Fonte” è gestita direttamente dalla Fondazione Casa di Dio Onlus, persona giuridica di diritto privato senza scopo

Sotto la protezione della Madonna delle Grazie in Nizza

Mentre le sorelle venivano espulse dal monastero di Cuneo, un’altra comunità piemontese di clarisse – quella di Carignano – (28 sorelle presenti) viveva, sempre

oggetto di un ulteriore finanziamento regionale (450.000 euro) per il completamento degli interventi e la realizzazione entro il 2016 di una RSA, integrata nella Casa