Emanuele Zappasodi
funzioni e delle implicazioni liturgiche degli spazi loro
ri-servati, aspetto quest’ultimo maggiormente indagato, fin
dal-l’intervento pioneristico di Mary Angelina Filipiak nel 1957
3.
La critica ha affrontato in maniera non sempre
soddisfa-cente questi argomenti, prediligendo concentrare la
rifles-sione su episodi ben noti ed importanti – si pensi alle
fab-briche assisiati e napoletane –, trascurando casi di certo
me-no autorevoli, ma di grande interesse, benché defilati
ri-spetto ai contesti abitualmente frequentati dagli studi. Tra
questi, l’insediamento femminile francescano di Santa
Ma-ria delle Donne ad Ascoli Piceno non ha ricevuto
l’atten-zione che merita
4(fig. 1), pur costituendo un esempio
ra-ro per complessità
distribu-tiva degli spazi interni, non
altrimenti documentabile in
contesti damianiti
dell’inte-ra Provincia Marchiae
Anco-nitanae, un territorio
pre-cocemente attraversato dal
fervore pauperista della
rin-novata spiritualità
france-scana fin dagli albori del
XIII secolo
5.
L’abate Francesco
Anto-nio Marcucci ricorda che
agli inizi degli anni Trenta
del Duecento,
“divulgando-si da pertutto sempreppiù la
fama della Santità” di
Chia-ra d’Assisi, “si mossero gli
Ascolani a supplicar” il
pre-sule Marcellino “per la
Fon-dazione in Città di un
Mo-nistero di quelle sì sante
Re-ligiose”
6. Il decreto di
ere-zione del complesso
preve-deva la costruzione del
mo-nastero “extra civitate
Escu-lanum in loco qui dicitur
Plana de Sancto Pamphilo”,
poco fuori Porta Romana,
che veniva dotato nella
stes-sa occasione di “viginti
mo-diolis terrae, iuxta se
posi-tis, et viginti modiolis
Sil-Nella chiesa benedettina di Santa Margherita a Milano
la zona riservata alle religiose, il chorus monialium, venne
interessata nel 1300 da alcuni lavori con cui, “in primis”, si
provvide a “levari murum per quem dividitur corpus
ec-clesie a cancellis per tantum spatium cum sit altus a terra
per brachia decem vel id circa”, e ci si preoccupò, inoltre,
di chiudere “ostium quod est in ipso muro lapidibus et
ce-mento”, e “in ipso muro”, di aprire “duas fenestras
ferra-tas, unam maiorem et superiorem, et aliam minorem et
in-feriorem”, così che “fenestra vero maior et superior sit
lon-ga per brachia quatuor vel id circa, ut per eam videri
pos-sit hostia salutaris quia ibi ante illam fenestram in corpore
ecclesie altare novum
Do-mino construtur”
1.
L’episo-dio, già da tempo noto agli
studi, restituisce con
effica-cia il peso notevole
eserci-tato sulle scelte
architetto-niche e decorative dalle
esi-genze specifiche imposte
dalla clausura rigorosa,
ina-sprita da Bonifacio VIII con
il decreto Periculoso nel
1298, appena due anni
pri-ma l’inizio dei lavori nella
chiesa milanese, che infatti
sembra aver recepito
pre-cocemente tali
disposizio-ni
2.
Proprio la particolare
condizione dello stato
mo-nacale, del resto, comporta
una pluralità di problemi
spesso difficili da
affronta-re, che vanno dall’analisi del
rapporto tra lo spazio
riser-vato alle sorores, il chorus
monialium appunto, e gli
ambienti destinati ai fedeli
e al clero e delle loro
possi-bili interazioni, all’analisi
degli stimoli visivi a cui le
religiose potevano essere
sottoposte, fino alla
vae”, per soddisfare le
esi-genze economiche delle
reli-giose
7. Il documento
vesco-vile è riportato interamente
nella bolla del 26 agosto del
1235, con cui Gregorio IX
concesse la protectio Sedis
Apostolicae, confermando
l’esenzione già riconosciuta
dal vescovo ascolano in
pre-cedenza. Il decreto
riferen-dosi al monastero “gloriosae
Virginis Mariae, et Sancti
Georgii” lascia ipotizzare
l’unione di due comunità
re-ligiose o più probabilmente
un’antica intitolazione a San
Giorgio della chiesa presso
cui le damianite si
stabiliro-no, occupando perciò una
fabbrica già edificata,
secon-do una prassi consueta, che
ha il precedente più illustre
in San Damiano ad Assisi
8, insediamento in origine
bene-dettino, profeticamente e faticosamente adattato in un
“mo-nasterio dominarum”
9dallo
stesso Francesco. La
prote-zione vescovile e pontificia
accordata durante tutto il
quarto decennio del
Due-cento alle sorores, favorì
ade-sioni entusiastiche da parte
della comunità femminile
ascolana, tanto da rendere
necessaria la fondazione di
un nuovo monastero presso
Porta Molinara, l’attuale
Por-ta CarPor-tara, fondato nel 1240
dal vescovo Matteo in luogo
della soppressa rettoria di
Santo Spirito, di cui il
nuo-vo insediamento mantenne il
titolo, affiancando nel 1255
quello di Santa Chiara,
ca-nonizzata proprio in
quel-l’anno
10.
Interessata da interventi
architettonici intorno alla
metà del XIII secolo, come alcuni lasciti sembrano
sugge-rire, la chiesa di Santa Maria delle Donne presenta
l’inter-2. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, interno.
3. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, monumento funerario della fa-miglia Guiderocchi.
in Valnerina (figg. 1-4), affine anche nell’accentuato alzato
della fronte, ma da cui si discosta per l’esuberante
tratta-mento plastico, assente nell’esempio marchigiano, ravvivato
da semplici bacini ceramici disposti a croce, di cui il
cen-trale ancora originale, e poco più in basso da un ampio
ro-sone inscritto entro un motivo a treccia, che pare
rielabora-re con un maggior grado di raffinatezza alcune decorazioni
presenti in diversi edifici civili della città, databili al secolo
precedente, tra i quali il cosiddetto palazzetto longobardo
(fig. 5-6)
18. Sulla destra della facciata, tamponata in
occa-sione dei restauri degli anni Cinquanta, si apre una piccola
porta, posta ad un’altezza corrispondente all’interno alla
quo-ta del presbiterio, la cui funzione non è semplice da
rico-struire in assenza di un’adeguata documentazione, ma che
deve essere posta in relazione ad esigenze specifiche
indot-te dalla clausura. Le consisindot-tenti tracce delle ammorsature
vi-sibili lungo il margine destro della facciata e sul fianco
set-tentrionale della chiesa suggeriscono che il complesso
con-ventuale, oggi in massima parte perduto, si sviluppasse in
origine a nord-ovest dell’edificio, come confermano alcuni
frammenti murari certamente pertinenti al complesso
fran-cescano ancora visibili in quell’area (fig. 7).
La critica che si è occupata dell’edificio ha spiegato
l’in-consueta articolazione dell’interno come conseguenza del
singolare uso liturgico dello spazio sacro da parte di una
comunità femminile, indicando spesso nella tribuna
so-praelevata il luogo destinato ad accogliere le religiose
du-rante le funzioni, richiamando quale esempio più vicino
al-la fabbrica ascoal-lana l’insediamento napoletano di Santa
Ma-ria Donnaregina, dove la soluzione di porre il coro
monia-lium in una galleria rialzata ha la sua formulazione più
no-tevole e suggestiva, in cui “relatively open relations
betwe-en the nuns, the nave, and the altar were betwe-encouraged,
ra-ther than hindered, by structural decisions” (fig. 8)
19. Il
mo-nastero, dal 1191 abitato da monache benedettine, venne
riedificato dopo gli ingenti danni prodotti dal terremoto del
1293, grazie al diretto interessamento di Maria d’Ungheria,
moglie di Carlo II d’Angiò e madre di Roberto il Saggio,
no organizzato in un’unica, semplice, navata, divisa da un
arcone a pieno centro in due campate (fig. 2). Quella
occi-dentale è ulteriormente ripartita da una grande volta a
bot-te in due piani, il superiore adibito a presbibot-terio, come
sug-gerisce la presenza di un ciborio trecentesco interamente
decorato da un seguace debole del Maestro di Offida
11. Il
piano inferiore, dove si conservano, sulla parete di fondo e
sull’intradosso della volta, consistenti brani d’affresco due
e trecenteschi, è stato munito in seguito ai restauri degli
an-ni Cinquanta di un altare, assente sia nella stampa
ottocen-tesca pubblicata dal Carducci
12, sia nelle foto che ne
do-cumentano lo stato prima degli interventi (cfr. fig. 16)
13.
Al-la tribuna sopraelevata si accede grazie ad una piccoAl-la
sca-la, non contestuale alla fase duecentesca dei lavori,
appog-giata sul fianco meridionale dell’edificio, dinanzi al quale
sul lato opposto si conserva un arcosolio decorato con una
Crocefissione e Santi ed il gisant ai piedi della
composizio-ne, affrescata all’inizio degli anni Trenta del Trecento
(fig. 3)
14. Ad una simile datazione rimandano, del resto,
an-che i partimenti a finti marmi rossi e azzurri e l’elegante
motivo cosmatesco della ghiera dell’arco a sesto acuto che
si imposta su colonnine binate, su cui si scorgono ancora i
frammenti della cromia originale
15.
La particolare organizzazione della navata e del
presbite-rio della fabbrica ascolana intrattiene una consonanza
sin-golare con il Battistero di San Giovanni a Varese, un edificio
costituito da due vani quadrangolari accostati, disposti
lun-go l’asse est-ovest, che corrispondono a funzioni diverse: il
vano occidentale era destinato al rito battesimale, mentre
quello orientale, di dimensioni leggermente più modeste,
for-ma il presbiterio vero e proprio, che, come nell’esempio
da-mianita, è organizzato su due livelli sovrapposti
16.
Il forte sviluppo verticale dell’interno della chiesa
fran-cescana caratterizza anche la rigorosa facciata a spioventi
po-sta ad oriente dell’edificio, sulla quale si apre un portale a
doppia ghiera modanata, tipico di molte chiese romaniche
della città – come San Vittore e San Gregorio
17– ed umbre,
per cui si può richiamare l’abbazia di San Felice di Narco,
5. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, particolare del rosone. 6. Ascoli Piceno, palazzetto longobardo, particolare della decorazione del-la facciata.
tre, non sarà superfluo
ag-giungere che la presenza di
numerose iscrizioni graffite
sui pilastri del ciborio
asco-lano, alcune di cronologia
piuttosto alta, suggeriscono
una frequentazione
del-l’ambiente ben più
nume-rosa e articolata di quanto
ci si aspetterebbe per uno
spazio riservato a sorores
in-clusae
24.
Proprio la presenza del
curioso ciborio interamente
affrescato non lascia
incer-tezze sulla funzione
presbi-teriale assunta dalla tribuna,
la cui collocazione elevata
sembra fornire
un’interpre-tazione “a passo ridotto”
delle chiese doppie
marchi-giane, o, meglio, richiama
da vicino i presbiteri
eleva-ti ampiamente attestaeleva-ti in regione in edifici di pereleva-tinenza
monastica, dove questa soluzione, capace di garantire una
netta divisione tra il clero ed i fedeli durante gli uffici
sa-cri, era ricercata
25. In questo senso, l’interno della chiesa
di Santa Maria delle Donne potrebbe forse rappresentare
l’eredità di una precedente pertinenza maschile, la cui
trac-cia, del resto, sembra suggerita dalla doppia intitolazione,
alla Vergine e a San Giorgio, con cui l’edificio è ricordato
nel decreto vescovile del quarto decennio del Duecento
ri-chiamato in precedenza.
Al contrario, l’organizzazione spaziale di Santa Maria
Donnaregina è riecheggiata con puntualità, benché in un
con-testo più modesto, nella chiesa di Santa Chiara Vecchia a
Nola. L’insediamento, in precedenza occupato da monaci
ba-siliani, fu riadattato nella
se-conda metà del Duecento
alle rinnovate esigenze
litur-giche della comunità
da-mianita che ne prese
pos-sesso. Radicalmente
ristrut-turata da Roberto Orsini
du-rante il secondo quarto del
Trecento e dal figlio Nicola
nell’ultimo decennio del
se-colo, la piccola chiesa
pre-senta la navata centrale
di-visa in due ordini. Il piano
superiore ospitava il coro
delle monache, in maniera
analoga all’esempio
napole-tano di Santa Maria
Donna-regina
26, di cui, pertanto,
re-pronta nel 1298 ad elargire
fondi per la riedificazione
del dormitorio e nel 1307 a
finanziare la ricostruzione
della chiesa che sarebbe
sta-ta consacrasta-ta nel 1320
20. Il
coro delle monache, posto,
come detto, in una galleria
elevata sopra la navata, è
decorato con un
program-ma coerente ed ampio,
li-cenziato nel secondo
de-cennio del Trecento da
un’équipe cavalliniana
21,
de-stinato unicamente alla
con-templazione delle religiose,
a cui venivano offerti
auto-revoli esempi di virtù
fem-minile nelle Storie di
San-t’Agnese e di Santa Caterina
della parete di sinistra, e nei
cinque episodi della Vita di
Santa Elisabetta d’Ungheria,
prozia della committente Maria, eseguiti sulla parete
op-posta, insieme a quindici riquadri raffiguranti le Storie
del-la Passione, un tema particodel-larmente apprezzato in questi
contesti, fin dagli insediamenti più antichi
22.
Eppure, le profonde differenze tra le due chiese paiono
evidenti: se nella fabbrica partenopea la galleria in
contro-facciata è una soluzione capace di garantire alle religiose di
assistere indisturbate agli uffici sacri, nettamente separate
tanto dall’assemblea dei laici che da quella dei religiosi, ad
Ascoli Piceno, al contrario, la duplice funzione del piano
superiore – presbiterio e coro delle monache –, talvolta
sug-gerita dagli studi, avrebbe provocato, durante le
celebra-zioni liturgiche, la compresenza non altrimenti
documen-tabile in un unico spazio delle monache e del celebrante,
incompatibile con le regole
della clausura, inasprite
pe-raltro alla fine del
Duecen-to
23. Del resto, per quanto
gli episodi di deroga alle
di-sposizioni di reclusione
claustrale dovettero essere
più diffusi di quanto oggi
possiamo pensare, una
si-mile organizzazione
avreb-be comportato la visione da
parte di tutta l’assemblea
verso le clarisse, poste nei
pressi dell’altare, il fulcro
della liturgia, in maniera
esattamente opposta
al-l’esempio napoletano
ri-chiamato dagli studi. Inol-
8. Napoli, Santa Maria Donnaregina, sezione (da C. Bruzelius, 2005). 7. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, particolare del fianco setten-trionale dell’edificio.parete d’altare, – a formare una sorta di chiesa doppia
se-condo un disegno ben documentato in diversi
insediamen-ti damianiinsediamen-ti
33–, più tardi interessata da interventi tanto
ri-levanti da averne cancellato ogni traccia, compresi gli
ele-menti di schermatura necessari a collegare i due ambienti.
Eppure, la piccola apertura, oggi tamponata, ancora
visibi-le sulla parete settentrionavisibi-le del presbiterio sopraevisibi-levato,
che credo sia da identificare con il comunichino, permette
di collocare lo spazio riservato alle sorores in un ambiente,
oggi perduto, posto alla stessa quota della tribuna, oltre la
parete settentrionale della chiesa, al cui esterno, infatti,
so-no chiaramente visibili le numerose tracce degli elementi
necessari all’immorsatura del piano elevato del convento,
sul quale poté con agio trovare posto il coro monialium,
co-me del resto in passato già suggerito da parte degli studi
(figg. 12-13)
34. Questa disposizione mi sembra confermata
anche dall’inconsueta impaginazione iconografica della
de-corazione del semplice ciborio della chiesa
35, la cui volta è
ornata da due figure di Evangelisti, dipinti rispettivamente
nella vela occidentale e settentrionale, dalla Maiestas
Do-mini in quella orientale, e a meridione dalla Vergine col
Bam-bino tra Santa Chiara e San Francesco. Non è mai stato
no-tato che proprio l’unica immagine mariana e francescana
dell’intera decorazione, con Chiara in posizione d’onore,
non è stata prevista in asse con la Maiestas Domini,
dipin-ta nella vela oriendipin-tale – in maniera del tutto funzionale in
una chiesa occidentata alla celebrazione coram populi della
liturgia eucaristica –, ma venne realizzata sullo spicchio
me-ridionale
36, privilegiando, dunque, una visione da
setten-trione per consentire alla comunità femminile chiusa nel
pro-prio coro di traguardare attraverso la grata il gruppo sacro
sul lato opposto (fig. 14)
37.
Del resto, anche se in posizione non elevata, la
colloca-zione laterale per questo ambiente è ampiamente
docu-cuperava la divisione rigorosa tra la comunità maschile e
quel-la femminile, ospitata in un ambiente sopraelevato,
appog-giato alla controfacciata ed affacciato sul presbiterio
27.
Nella fabbrica ascolana, allora, opportunamente
scher-mato, il coro delle monache andrà ricercato in uno spazio
adiacente al presbiterio, irrimediabilmente perduto insieme
agli altri ambienti del convento, in origine sviluppato a
nor-dovest della fabbrica
28, di cui si conserva oggi solamente il
perimetro esterno di un ampio ambiente posto ad occidente
della chiesa e ad essa contiguo, trasformato in un locale ad
uso commerciale (fig. 9)
29. La muratura dei fianchi della
chiesa prosegue nel solo piano inferiore oltre la parete
d’al-tare, sviluppandosi per tutto l’andamento longitudinale di
questo ambiente, di cui costituisce i lati perimetrali.
Tutta-via, un analogo andamento doveva accomunare l’intero
al-zato delle fiancate della chiesa, come dimostrano gli
ango-li esterni della parete occidentale della tribuna,
chiaramen-te caratchiaramen-terizzati dai segni di uno stacco netto della
muratu-ra, – successivamente tamponato con una serie di laterizi,
probabilmente in occasione dell’ultimo restauro – che ha
creato consistenti problemi statici alla struttura, molto
evi-denti lungo i fianchi della parete d’altare (fig. 10)
30.
Eppu-re, a fronte dei numerosi interventi che dovettero
interes-sare l’area presbiteriale, oggi intuibili dall’incoerenza di
par-te della muratura espar-terna, la profondità della chiesa sembra
risalire alla facies duecentesca, senza aver subito modifiche
consistenti, a giudicare almeno dalla presenza sulla parete
di fondo del piano inferiore della Vergine in trono col
Bam-bino, affresco licenziato da una personalità rilevante, attiva
alla fine del Duecento in altre fabbriche ascolane
31, e, alla
sua sinistra, da un’Annunciazione frammentaria databile
en-tro gli anni Trenta del Trecento (fig. 11)
32.
Si potrebbe pensare che lo spazio riservato alle
religio-se fosreligio-se collocato in origine all’altezza della tribuna oltre la
9. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, particolare del fianco meri-dionale e della struttura conventuale ancora esistente.
10. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, particolare del fianco setten-trionale e dell’esterno della parete d’altare della tribuna.
mentata in diversi
insedia-menti francescani, primo fra
tutti il protomonastero di
Santa Chiara ad Assisi
38, il
cui coro, corrispondente
al-l’attuale cappella di San
Giorgio
39, addossato alla
parete meridionale della
chiesa, si affacciava
attra-verso la fenestra monialium
dal lato occidentale del
transetto destro,
permet-tendo alle religiose di
os-servare, traguardando la
grata, le Storie della Vergine
e di Santa Chiara “urlate e
clamanti”
40, dipinte
all’ini-zio
del
Trecento
dal-l’Espressionista di Santa
Chiara, il probabile Palmerino di Guido
41, che
conclude-vano un ciclo veterotestamentario duecentesco dipinto nel
transetto opposto e, sostituendo agli episodi cristologici
sce-ne di soggetto mariano, rileggevano in chiave femminile il
parallelismo tra il Vecchio ed il Nuovo Testamento,
tradi-zionalmente affrontato nelle decorazioni delle principali
ba-siliche capitoline, che costituirono il modello per la vicina
basilica superiore di San Francesco
42. Anche in Santa
Chia-ra a Ravenna lo spazio riservato alle religiose si sviluppava
lungo il fianco meridionale della chiesa, interessato dalle
trac-ce delle aperture che, opportunamente schermate da grate,
mettevano in comunicazione gli ambienti claustrali e la
chie-sa, consentendo alle clarisse una visione parziale della zona
absidale e della sua decorazione, organizzata su due registri
sovrapposti e fortemente condizionata dalla presenza di
al-te monofore aperal-te sulla
pa-rete settentrionale e su
quel-la orientale. Il ciclo,
licen-ziato da Pietro da Rimini
al-la fine degli anni Venti del
Trecento, prende le mosse
con la splendida
Annuncia-zione piena di fremito e
pa-thos, e prosegue sulla
pare-te meridionale, l’unica priva
di finestre, con gli episodi
della Natività e
dell’Adora-zione dei Magi, entrambi
for-temente danneggiati dagli
interventi
settecenteschi,
per concludersi sulla parete
opposta, la sola totalmente
visibile alle religiose, con il
Battesimo
e
l’Orazione
nell’Orto nel registro inferiore, sovrastato dall’insolita
Cro-cefissione, in cui il legno della croce sembra issato, un po’
instabile, sulla cornice cosmatesca dell’alta monofora.
Que-ste fatiche di Pietro, “dove il respiro si accalora fra
dolcez-ze mirabili da grande colorista e asprezdolcez-ze severe e
pateti-che”
43, furono pensate per fornire alla meditazione delle
re-ligiose un triangolo esemplare, incentrato sulla Passione
co-me esempio per la vocazione, ispirato alla catechesi paolina
dell’epistola ai Romani, per cui nel battesimo si muore in
Cristo, e con lui si rinasce a vita nuova.
Anche la realizzazione di un coro elevato parallelo alla
navata è ben documentato negli edifici damianiti, fin dal
Duecento. La chiesa di San Pietro in Vineis ad Anagni,
co-struita alla fine del XII secolo, intorno al 1193, anno della
prima notizia documentaria che la riguarda
44, è forse il
ca-12. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, tribuna superiore, particola-re del comunichino murato.
13. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, particolare del fianco setten-trionale con il comunichino.
11. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, interno, particolare del pia-no inferiore.
blea, nel pieno rispetto della clausura, di seguire le
funzio-ni liturgiche, meditando gli episodi della Passione
46dipin-ti proprio su quel lato, conclusi dalla raffigurazione di
Fran-cesco che riceve le stimmate con
Sant’Antonio e Santa Chiara,
una scena particolarmente
adat-ta alla celebrazione del tema
del-la conformitas tra Cristo e
Fran-cesco, a cui l’Ordine si mostrò
subito sensibile
47.
Rispetto a questi esempi,
tut-tavia, in Santa Maria delle
Don-ne la contemporaDon-nea
disposi-zione sopraelevata del
presbite-rio e della zona riservata alla
clausura, non altrimenti
docu-mentabile, sembra davvero
co-stituire una peculiarità.
All’in-terno della chiesa, all’altezza
della prima campata, lungo la
parete settentrionale, le
foto-so più noto (fig. 15). Nonostante il disastrofoto-so restauro
ar-chitettonico degli anni Trenta del Novecento che ha
total-mente alterato gli ambienti monastici, risparmiando solo la
zona adiacente al fianco destro
della chiesa, è ancora possibile
riconoscere gli interventi di
adattamento alle esigenze della
clausura realizzati in seguito al
passaggio del complesso alle
clarisse nel 1255. Il coro delle
monache, infatti, venne
ricava-to in un ambiente leggermente
irregolare tra l’estradosso della
navata laterale e l’alzato della
navata centrale a cui si
appog-gia
45. Due piccole feritoie
aper-te sulla pareaper-te meridionale,
al-l’altezza della prima e seconda
campata della chiesa,
permette-vano alle religiose, senza essere
guardate dal resto
dell’assem-14. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, Vergine col Bambino, Santa Chiara e Francesco; Maiestas Domini; Evangelitsta, Seguace del Maestro di Offi-da, particolare del ciborio visto da settentrione.
15. Anagni, San Pietro in Vineis, Storie della Passione, coro del-le monache.
grafie precedenti al restauro
docu-mentano la presenza di alcune buche
per l’immorsatura di travi lignee,
og-gi murate, ma ancora facilmente
di-stinguibili, che correvano lungo tutto
lo sviluppo orizzontale della parete,
alla quota della porta sospesa in
fac-ciata, e proseguivano sulla sola parte
destra della fronte della grande volta
a botte, su cui si appoggia la tribuna
(fig. 16). La critica che si è occupata
della fabbrica ascolana ha finito con
l’identificare queste tracce con i resti
di un camminamento sospeso
riser-vato alle religiose, che collegava il
presbiterio con la porta elevata in
fac-ciata, di conseguenza interpretata
co-me un accesso indipendente alla
chie-sa da parte della comunità
femmini-le, che poteva perciò servirsene
“sen-za mescolarsi col pubblico”
48.
Eppu-re, è davvero difficile pensare che
so-rores reclusae al mondo, sottoposte ad
un regime claustrale rigido,
potesse-ro avere libepotesse-ro accesso dall’esterno
della chiesa e servirsi di un
cammi-namento sospeso sopra l’assemblea
senza un’opportuna schermatura che
ne inibisse totalmente la vista.
Non è mai stato notato, inoltre,
che la porticina in facciata venne
cavata in rottura, per cui doveva
ri-spondere ad un’esigenza maturata in
un secondo momento rispetto
al-l’edificazione della fabbrica. Inoltre,
analoghi segni di buche tamponate,
del tutto simili a quelle visibili lungo
la parete destra, si riscontrano anche
nella metà sinistra del lato
meridio-nale dell’edificio damianita,
inter-rompendosi però a circa due, tre
me-tri dal presbiterio sopraelevato (figg.
16. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, interno, stato precedente ai lavori di restuaro.
17. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, fac-ciata, particolare della porta realizzata in rottura.
del 1332”, richiamata dal Marcucci, in cui, oltre alla memoria
della “Badessa Suor Chiara”, e del “Sindico Giacomo di
Pie-tro”, veniva registrata la presenza di “sessanta monache”
52.
Un numero cospicuo, sufficiente per motivare la
realizza-zione del nuovo coro.
Così ricostruite, le vicende di Santa Maria delle Donne
sem-brano ribadire come, nelle fabbriche di pertinenza
femmini-le, la principale
preoccupazio-ne che animava le scelte
co-struttive fu quella di garantire
una netta separazione delle
pauperes moniales reclusae,
ot-tenuta talvolta attraverso
solu-zioni edilizie sorprendenti,
spesso difficili da leggere per
le numerose alterazioni subite
nel tempo da questi edifici, in
cui, di conseguenza, il legame
inscindibile tra spazio
archi-tettonico e funzione liturgica si
presenta oggi ormai allentato,
ma che un’analisi più attenta
permette di recuperare in
tut-ta la sua sostut-tanziale unità.
17-18-19). Mi chiedo se, allora, in seguito all’aumentare del
numero di clarisse nel convento ascolano, non si sia deciso
di realizzare un ulteriore coro ligneo sopraelevato per le
mo-nache – che integrava quello più antico – eretto ad oriente
della chiesa, appoggiato sulla controfacciata, in maniera non
dissimile alle soluzioni adottate in Santa Maria
Donnaregi-na e Santa Chiara Vecchia a Nola
49. Il celebrante poteva
ac-costarsi a questo spazio per
co-municare le clarisse tramite un
pontile, che correva lungo la
parete settentrionale, dove le
tracce delle buche per
l’am-morsatura sono visibili, a
dif-ferenza del fianco sinistro
50,
lungo tutto lo sviluppo
oriz-zontale fino al presbiterio
(figg. 16-20)
51.
Del resto, tra Due e
Tre-cento il numero delle religiose
che abitava il monastero
asco-lano crebbe notevolmente,
al-meno a giudicare dalla notizia
riportata “in una Pergamena
di un lor Capitolo de’ 2 Marzo
18. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, interno, particolare delle bu-che pontaie tamponate lungo la parete meridionale.
19. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, parete meridionale, partico-lare delle buche tamponate.
20. Ascoli Piceno, Santa Maria delle Donne, interno, parete orientale.
* Il contenuto di questo articolo è il frutto delle ricerche confluite nella-mia Tesi di Specializzazione, La chiesa di Santa Maria delle Donne e le
Cla-risse ad Ascoli. Un punto di vista sulla pittura del Trecento nel Piceno,
re-latore Professor Andrea De Marchi, discussa presso la Scuola di Specia-lizzazione in Storia dell’Arte, Facoltà di Lettere e Filosofia, dell’Universi-tà degli Studi di Firenze, nell’anno accademico 2009-2010. Lo studio
del-NOTE
la decorazione pittorica della chiesa è oggetto di un altro articolo, La
de-corazione della chiesa di Santa Maria delle Donna ad Ascoli e alcune osser-vazioni sulla pittura del Trecento nel Piceno, in “Arte Cristiana”, C 868,
2012, pp. 1-13. Desidero in questa occasione ringraziare Fulvio Cervini, Andrea De Marchi e Guido Tigler per i preziosi consigli.
del XIII secolo: il caso del monastero di S. Margherita, in Felix Olim Lom-bardia. Studi di Storia padana dedicata dagli allievi a Giuseppe Martini,
Mi-lano 1978, p. 211.
2J. GARDNER, Nuns and Altarpieces: Agendas for Research, in “Römisches
Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana”, XXX, 1995, pp. 29-56.
3Non sono molti i contributi di carattere generale sull’argomento per
cui si veda: M.A. FILIPIAK, The Plans of the Poor Clares’ Convents in
Cen-tral Italy. From the Thirteenth trough the Fifteenth Century, Ph. D.
dis-sertation, University of Michigan 1957, lavoro pioneristico ma non sem-pre approfondito; C. BRUZELIUS, Hearing is Believing: Clarissan
Archi-tecture, ca. 1213-1340, in “Gesta”, XXXI, 1992, 2, pp. 83-91; J. GAR
-DNER, Nuns and Altarpieces: Agendas for Research… cit., pp. 29-56, di particolare importanza per sottolineare le peculiari necessità della clau-sura. Più di recente: K.N. HOUSTON, Painted Images and the Clarisse,
1212-1320: Aspects of Production and Reception, and the Idea of a Nun-nery Art, Ph. D. dissertation, Yale University 2001, con bibliografia
pre-cedente; A. THOMAS, Art and Piety in the Female Religious Communities of Renaissance Italy. Iconography, Space, and the Religious Woman’s Per-spective, Cambridge 2003.
4Sulla chiesa di Santa Maria delle Donne: F.A. MARCUCCI, Saggio delle co-se ascolane e de’ vescovi di Ascoli nel Piceno pubblicato da un Abate Asco-lano, Teramo 1766, pp. CCXXXXII-CCXXXXIII; G.I. CIANNAVEI,
Com-pendio di memorie istoriche spettanti alle chiese parrocchiali della città di Ascoli nel Piceno, e ad altre tanto esistenti, che dirute nel circuito di essa e ne’ sobborghi, Ascoli Piceno 1797, pp. 270-272; G. CARDUCCI, Su le
me-morie e i monumenti di Ascoli nel Piceno, Fermo 1853, pp. 182, 238; L.
SERRA, L’Arte nelle Marche, II, Pesaro 1929, pp. 107-108; R. GIORGI, Le
Clarisse in Ascoli, Fermo 1968, pp. 60-70, 81-133; F. CAPPELLI, Santa
Ma-ria delle Donne, in Il Romanico ad Ascoli Piceno, Acquaviva Picena 1997,
p. 32; L. BARTOLINISALIMBENI, Resti monumentali e modelli architettoni-ci francescani fino all’Osservanza, in I Francescani nelle Marche. Secoli XIII-XVI, a cura di L. Pellegrini e R. Paciocco, Cinisello Balsamo 2000, pp.
145-147; M. RIGHETTITOSTI-CROCE, La chiesa di Santa Chiara ad Assisi:
architettura, in Santa Chiara in Assisi: architettura e decorazione, a cura di
A. Tomei, Cinisello Balsamo 2002, p. 38; F. CAPPELLI, La Chiesa di Santa
Maria delle Donne, in Guida alle chiese romaniche di Ascoli Piceno, città di travertino, Ascoli Piceno 2006, pp. 134-135.
5M.G.DELFUOCO, La Provincia francescana delle Marche: insediamenti francescani, realtà cittadina e organizzazione territoriale (secoli XIII-XIV),
in I Francescani nelle Marche… cit., pp. 24-37.
6F.A. MARCUCCI, Saggio delle cose ascolane… cit., p. CCXXXXII. 7R. GIORGI, Le Clarisse in Ascoli… cit., pp. 68, 136. La bolla è
pubblica-ta in “Annales Minorum”, II, XLIV, pp. 711-712. Su questi aspetti: J.R.H. MOORMAN, Medieval Franciscan Houses, in Franciscan Institute Publica-tions, History Series, IV, a cura di G. Marcil, St. Bonaventure (N. Y) 1983,
p. 546; M.P. ALBERZONI, Da San Damiano all’Ordine di Santa Chiara, in
Gli Ordini Mendicanti nel Piceno. I Francescani dalle origini alla controri-forma, Ascoli Piceno 2005, pp. 113-135.
8Come è noto San Damiano fu oggetto a partire dal 1206 di un
interven-to da parte dello stesso Francesco ricordainterven-to dalle fonti. Chiara vi si stabi-lì tra il 1211 e l’anno successivo, dopo aver soggiornato dapprima nel mo-nastero di San Paolo nei pressi di Bastia, quindi in quello di Sant’Angelo in Panso, fuori Assisi. Non è semplice seguire le vicende architettoniche del complesso damianita. Gli studi hanno sottolineato il precoce innalza-mento della facciata occidentale della chiesa finalizzato alla realizzazione del dormitorio, posto sopra la navata. A questo blocco venne addossato successivamente un ulteriore corpo, costituito dall’attuale area presbite-riale. Sulle vicende si veda: A.M. ROMANINI, Il Francescanesimo nell’arte: l’architettura delle origini, in Francesco, il Francescanesimo e la cultura del-la nuova Europa, Atti del convegno di studi (Roma, 1982), a cura di I.
Bal-delli e A.M. Romanini, Roma 1986, pp. 181-195; M. RIGHETTITOSTI-CRO
-CE, La chiesa di Santa Chiara ad Assisi: architettura… cit., pp. 23-28; L. ERMINIPANI, M.G. FICHERA, M.L. MANCINELLI, Indagini archeologiche
nel-la chiesa di San Damiano in Assisi, a cura di L. Ermini Pani, M.G.
Fiche-ra, M.L. Mancinelli, Santa Maria degli Angeli 2005, pp. 9-18, 89-94.
9È noto l’episodio riportato nella Legenda Trium Sociorum (VII, 24-5), per
cui si veda: Fontes Franciscani, a cura di E. Menestò e S. Brufani, Santa Maria degli Angeli 1995, p. 1397.
10Il favore papale e l’adesione di membri della classe agiata emerge in
ma-niera emblematica nella soluzione a favore del convento di Santa Maria delle Donne stabilita da Gregorio IX nella controversia intercorsa tra Ce-cilia – più tardi badessa – e i suoi familiari circa la facoltà di disporre del-l’eredità paterna, negata da questi ultimi in seguito alla scelta di povertà e di reclusione fatta dalla donna. Nonostante il parere contrario di tutta la tradizione giuridica, il pontefice il 28 marzo del 1233 si pronunciò a fa-vore della religiosa. La bolla è pubblicata in Bullarium Franciscanum, I, XCCVI, p. 100. Si veda inoltre: R. GIORGI, Le Clarisse… cit., pp. 68-70. M.P. ALBERZONI, Da San Damiano all’Ordine di Santa Chiara… cit., pp. 127-134, in cui l’episodio è letto nel quadro di una generale preoccupazione del pontefice di assicurare le risorse economiche necessarie per garantire ai monasteri femminili la rigida clausura. Alla fine degli anni Trenta, inol-tre, le monache benedettine di Sant’Angelo Magno decisero di entrare nel-l’Ordine di San Damiano. Sul monastero di Sant’Angelo di gran lunga il più ricco della città: C. MARIOTTI, Il monastero e la chiesa di Sant’Angelo in Ascoli Piceno, Ascoli Piceno 1920; M.E. GRELLI, Il monastero di San-t’Angelo di Ascoli Piceno, in “Studi Maceratesi”, XLII, 2008, pp. 351-399,
dove l’adesione all’Ordine di San Damiano da parte delle benedettine è letta entro il più generale contesto politico di quegli anni. L. BORRACCINI,
L’Abbazia di Sant’Angelo Magno in Ascoli Piceno, Acquaviva Picena 2010,
pp. 42-47. Per gli insediamenti di Ascoli Piceno e per un dettagliato qua-dro della diffusione del Secondo Ordine nelle Marche si veda: M.C. MA
-RANO, Le Clarisse nelle Marche. Insediamenti nel XIII secolo, in “Collec-tanea Franciscana”, LXVII, 1-2, 1997, pp. 105-166.
11Sugli affreschi del ciborio: S. PAPETTI, Proposta per il Maestro di Offida ed i suoi seguaci ad Ascoli Piceno, in “Notizie da Palazzo Albani”, XVI,
1988, 1, pp. 147-148; G. CROCETTI, Una nota sul Maestro di Offida pitto-re marchigiano del sec. XIV, in “Arte Cristiana”, LXXIX, 1991, 746, pp.
356-357; S. PAPETTI, Un artista itinerante tra le Marche e l’Abruzzo: il Mae-stro di Offida, in Le vie e la civiltà dei pellegrinaggi nell’Italia Centrale,
At-ti del Convegno di studio per la XIII edizione del Premio Internazionale di Ascoli Piceno (Ascoli Piceno, 21-22 maggio 1999), a cura di E. Mene-stò, Spoleto, 2000, pp. 51-52; IDEM, in Atlante del Gotico nelle Marche.
Ascoli Piceno e Provincia, a cura di S. Papetti, Milano 2004, p. 45; E. ZAP
-PASODI, La decorazione… cit., pp. 5-6.
12Per la stampa ottocentesca: G. CARDUCCI, Su le memorie… cit., pp. 182,
238.
13La foto venne pubblicata dal Serra nel 1929. La famiglia Merli, attuale
proprietaria della chiesa, si occupò del restauro tra il 1940 ed il 1956, ria-prendo l’edificio al culto l’anno successivo. Del restauro da notizia R. GIOR -GI, Un gioiello di Arte Ascolana: S. Maria delle Donne, in “Il Nuovo
Pice-no”, 7 settembre, 1957, p. 5.
14Il monumento fu realizzato dal casato Guiderocchi, il cui stemma
cam-peggia sulla cassa del monumento. La famiglia, una delle più eminenti del-la storia ascodel-lana, ebbe rapporti duraturi con l’Ordine minorita e con il convento femminile di Santa Maria delle Donne, a partire dalla monaca-zione di Montanea, figlia di “Jacobi de Monte Calvo”, capostipite della fa-miglia, avvenuta nel 1295. Nel Cinquecento, il monumento verrà riutiliz-zato per la tumulazione del corpo di Astolfo Guiderocchi nel 1552. L’epi-sodio è ricordato con enfasi dalle cronache ascolane. Sull’argomento: G. FABIANI, Ascoli nel Cinquecento, II, Ascoli Piceno 1959, pp. 39-42; R. GIOR
-GI, Le Clarisse… cit., pp. 95-100; G. SALVI, La saga dei Guiderocchi, Asco-li Piceno 1990, pp. 11-17. L’intera vicenda è riassunta in E. ZAPPASODI, La decorazione… cit., p. 2.
15S. PAPETTI, Committenze nella Pittura delle Marche tra ’200 e ’300, in Offida: dal monachesimo all’età comunale, Atti del II Convegno del
Cen-tro Studi Farfensi (Offida, 1991), a cura di V. Laudadio, Negarine di San Pietro in Cariano 1993, pp. 86-88; E. ZAPPASODI, La decorazione… cit. , pp. 2-3.
16Sulla chiesa variamente datata dagli studi, si veda la scheda Il Battiste-ro di San Giovanni a Varese, in Lombardia Gotica, a cura di R. Cassanelli,
Milano 2002, pp. 270-272, con bibliografia precedente.
26Il coro delle monache si sviluppa lungo tutta la navata, fino al
presbi-terio, che è organizzato su di un unico livello. A Napoli, al contrario, gra-zie alle maggiori dimensioni del complesso, la galleria venne interrotta po-co oltre la metà dello sviluppo longitudinale dell’edificio, raggiungendo un effetto spaziale più armonico.
27I lavori nel complesso edilizio vennero condotti tra il 1333, anno del
matrimonio tra Sveva del Balzo e Roberto Orsini, ed il 1350, anno della morte di questi. Come ricorda un’iscrizione frammentaria visibile sul po-sto, il figlio di Roberto, Nicola, proseguì i lavori edificando un dormito-rio per la comunità monastica. Nel 1394 lo stesso Nicola inoltrò una sup-plica a Bonifacio IX perché autorizzasse urgenti interventi conservativi nel-la chiesa. Sull’edificio, noto anche con il titolo di Santa Maria Iacobi: M. ZAMPINO, La chiesa vecchia di Santa Chiara in Nola, in Atti del V Conve-gno Nazionale di Storia dell’Architettura (Perugia, 23 settembre, 1948), Firenze 1957, pp. 437-450; C. BRUZELIUS, Le pietre di Napoli.
L’architet-tura religiosa nell’Italia angioina, 1266-1343, ed. italiana, traduzione di C.
Colotto, Roma 2005, pp. 202-204.
28Non è possibile ricostruire nel dettaglio lo sviluppo del monastero di
San-ta Maria delle Donne in assenza di rilievi archeologici e di adeguaSan-ta docu-mentazione. Le uniche notizie utili si ricavano da due documenti di tardo Duecento, che sembrano restituire una situazione edilizia abbastanza arti-colata, in cui viene suggerita una disposizione sopraelevata, all’altezza del coro, per le clarisse. Nel primo documento, infatti, datato 15 febbraio 1290, il pontefice Nicolò IV informa Nicoletto Nicolai, rettore della chiesa di San Lorenzo de Pastina della diocesi di Fermo, di aver appreso che alcuni “ser-vientes, satellites” e “familiares” del podestà di Ascoli, Mutino, avevano fatto irruzione “fractis Portis Ecclesiae, ac domorum eiusdem Monasterii ac scalis Palatii, per quas ad ostium Monialium ascenditur”. Il documento papale è pubblicato integralmente in: Bullarium Franciscanum, IV, CCXVII, pp. 134-135; A. FRANCHI, Ascoli Pontificia, regesto documentario a cura di
L. Ciotti, Ascoli Piceno 1999, vol. II, n. 207, p. 229. La seconda menzio-ne, datata 21 gennaio 1299, riferisce di una donazione fatta in denaro al monastero. L’atto venne rogato “ad fenestram parlatorij prelibati Mona-sterij”. Il documento è conservato nell’Archivio di Stato di Ascoli Piceno, Archivio di Sant’Angelo Magno, Cassetto XI, pergamena 17.
29L’ambiente è collegato alla chiesa attraverso una porta, oggi murata,
aper-ta a destra della parete di fondo del piano inferiore.
30Le condizioni conservative dell’edificio sono drammatiche. Estese
le-sioni nella muratura si osservano sia ai lati della parete occidentale, ormai distaccata dai fianchi, sia nell’arcone della chiesa.
31S. PAPETTI, Proposta per il Maestro di Offida… cit., p. 147; C. FRATINI, Pittura fra Marche e Umbria: primi passi per una storia comparata, in Il Mae-stro di Campodonico. Rapporti artistici fra Umbria e Marche nel Trecento, a
cura di F. Marcelli, Fabriano 1998, pp. 25, 41; A. MARCHI, Pittura medioevale nell’Ascolano e nel Fermano, in Atlante dei Beni Culturali dei Territori di Ascoli Piceno e di Fermo. Beni Artistici. Pittura e Scultura, a cura di S.
Pa-petti, Cinisello Balsamo 2003, pp. 19-20; E. ZAPPASODI, La decorazione… cit., pp. 1-2, 5.
32L’affresco venne pubblicato con una datazione al XV secolo dal solo R.
GIORGI, Le clarisse… cit., p. 123; ed ora in E. ZAPPASODI, La
decorazio-ne… cit., p. 5.
33La disposizione in pianta dei cori oltre la parete d’altare a formare una
chiesa doppia, diverrà la più diffusa dopo il Concilio di Trento. L’episo-dio più noto nel Trecento è indubbiamente la chiesa angioina di Santa Chiara a Napoli, per cui: C. BRUZELIUS, Queen Sancia of Mallorca and the
Convent Church of Sta. Chiara in Naples, in “Memoirs of the American
Academy in Rome”, XL, 1995, pp. 69-100; EADEM, Le pietre di Napoli…
cit., pp. 151-175; sulla presenza di questa soluzione nella vicina area abruz-zese si veda: L. BARTOLINISALIMBENI, Gli insediamenti delle clarisse in Ita-lia nel XIII secolo: qualche osservazione sulla ricerca in atto, in Chiara d’As-sisi e la memoria di Francesco, Atti del convegno per l’VIII centenario
del-la nascita di Chiara (Fara Sabina, 19-20 maggio 1994), Città di Castello 1995, pp. 109-117, in cui vengono ricordati e comparati tra loro i casi di Santa Chiara d’Acquili a L’Aquila, Santa Chiara a Gagliano Aterno e di Sulmona, e la chiesa dell’Eucarestia a L’Aquila, di cui si analizzano le strut-ture originarie, precedenti ai rifacimenti barocchi.
le schede di F. CAPPELLI, in Guida alle chiese romaniche… cit., pp. 92-119.
18Altri esempi che mostrano questo andamento verticale accentuato
so-no: Santa Maria Assunta di Ponte, a Ponte Cerreto di Spoleto, affine an-che nel portale a rincassi; Sant’Eutizio a Preci, San Ponziano a Spoleto. Si veda: B. SPERANDIO, Chiese romaniche in Umbria, Perugia 2001, pp.
58-59, 69, 96-99; 109-110.
19K.N. HOUSTON, Painted Images and the Clarisse, 1212-1320… cit., p. 54.
Analoga interpretazione è data in: J. GARDNER, Nuns and Altarpieces… cit., p. 52; É. BERTAUX, Santa Chiara de Naples: l’église et le monastère des
religieuses, in “Mélanges d’archéologie et d’histoire de l’École française de
Rome”, XVIII, 1898, p. 176.
20Sulle vicende relative all’andamento dei lavori: P. LEONE DECASTRIS, Arte di corte nella Napoli angioina, Firenze 1986, pp. 286-287; C. BRUZE
-LIUS, The Architectural Context of Santa Maria Donna Regina, in The Church
of Santa Maria Donna Regina. Art, Iconography and Patronage in Fourte-enth-Century Naples, a cura di J. Elliot e C. Warr, London 2004, pp.
79-92. Maria d’Ungheria, morta il 25 marzo del 1323, verrà sepolta proprio in Santa Maria Donnaregina. Il monumento funerario, originariamente col-locato dietro l’altare, venne realizzato da Tino di Camaino e fu completa-to dalla sua bottega tra il febbraio del 1325 ed il marzo del 1326, per cui si veda: T. MICHALSKY, Mater Serenissimi Principis: The Tomb of Maria of
Hungary, in The Church of Santa Maria Donna Regina… cit., pp. 61-74,
con ampia bibliografia precedente.
21Gli affreschi del coro ed i Profeti e Apostoli della navata sono stati
va-riamente giudicati dalla critica. Si veda: O. MORISANI, Pittura del
Trecen-to in Napoli, Napoli 1947, pp. 26-44; F. BOLOGNA, I pittori alla corte
an-gioina di Napoli, 1266-1414, Roma 1969, pp. 132-140; M. BOSKOVITS, Gli
Affreschi del Duomo di Anagni: un capitolo di pittura romana, in
“Parago-ne”, XXX, 1979, 357, pp. 39-41; IDEM, Proposte (e conferme) per Pietro Cavallini, in, Roma anno 1300, Atti della IV Settimana di Studi di Storia
dell’Arte Medievale dell’Università di Roma La Sapienza (19-24 maggio 1980), a cura di A.M. Romanini, Roma 1983, pp. 309-311; P. LEONE DE
CASTRIS, Arte di corte… cit., pp. 286-311. Più di recente: A. TOMEI,
Pie-tro Cavallini, Cinisello Balsamo 2000, pp. 121-130.
22 K.N. HOUSTON, Painted Images and the Clarisse, 1212-1320… cit.,
pp. 306-325, con bibliografia precedente; in cui si sottolinea il rapporto del ciclo della Passione con le Meditationes vitae Christi. Più di recente: C.A. FLECK, “To Exercise Yourself in These Things by Continued
Contem-plation”. Visual and Textual Literacy in the Frescoes at Santa Maria Donna Regina, in The Church of Santa Maria Donna Regina… cit., pp. 109-128. 23Una giusta attenzione per questi aspetti è in J. GARDNER, Nuns and Al-tarpieces… cit., pp. 29-56.
24Un’identificazione tra l’ambiente superiore ed il coro delle religiose in
Santa Maria delle Donne è proposta in: F. CAPPELLI, Santa Maria delle Donne… cit., p. 32; IDEM, La Chiesa di Santa Maria delle Donne… cit.,
pp. 134-135, dove pure si propongono riferimenti all’esempio napoletano di Santa Maria Donnaregina. Un analogo modello è richiamato anche da M. RIGHETTITOSTI-CROCE, La chiesa di Santa Chiara… cit., p. 38. Sulle iscrizioni del ciborio: A. SALVI, Iscrizioni medievali di Ascoli, Ascoli Pice-no 1999, p. 100.
25G.DEANGELIS D’OSSAT, Le chiese medioevali a due piani e la basilica di San Francesco d’Assisi, in Atti del II Convegno Nazionale di Storia
del-l’Architettura (Assisi, 1-4 ottobre 1937), Roma 1939, p. 179. Celebri esem-pi di chiese dopesem-pie sono San Claudio al Chienti e Santa Maria a Piè di Chienti. Presbiteri sopraelevati mostrano, ad esempio, la pieve di San Pie-tro a Ponte Messa presso Pennabili, l’Abbazia di San Fermano a Montelu-pone e l’Abbazia di Santa Croce a Fonte Avellana per cui si veda: P. PIVA, Marche romaniche… cit., pp. 43-56, 69-83, 200-202, 233-235, 245-247, con
bibliografia precedente. Il presbiterio molto elevato caratterizza anche gli edifici romanici appartenenti al cosidetto “gruppo spoletino”, lontano tut-tavia dalla chiesa ascolana, non solo per la presenza delle tre navate in pian-ta, ma anche per la crippian-ta, la terminazione triabsidapian-ta, ed i pilastri circola-ri. Su questi argomenti: G. MARTELLI, L’abbaziale di S. Felice di Giano e un
gruppo di chiese romaniche intorno a Spoleto, in “Palladio”, VII, II-III, 1957,
pp. 74-91; M.T. GIGLIOZZI, Architettura romanica in Umbria. Edifici di
34Questa collocazione per il coro delle clarisse è stata prospettata da R.
GIORGI, Le Clarisse… p. 92, e da L. BARTOLINISALIMBENI, Resti monu-mentali e modelli architettonici francescani… cit., p. 147. All’esterno
del-la chiesa si può osservare come questa apertura sia stata successivamente allargata.
35Il ciborio interamente decorato è affine ad una tipologia ben
documen-tata nel vicino Abruzzo teramano, in Santa Maria di Brecciano a Brozzi, presso Montorio al Vomano, e nell’aquilano, in San Michele Arcangelo a Vittorito e in San Pietro in Valle a Caporciano, e che ha un esempio estre-mo per cronologia, ben dentro il Quattrocento, nel ciborio di San Marti-no dei Gualdesi a Castelsantangelo sul Nera, tra Marche e Umbria, i cui affreschi sono ascrivibili al Maestro del Trittico di Nocria. Per questi esem-pi: E. AMOROSI, Madonna col Bambino. Chiesa di Santa Maria di
Breccia-no Brozzi, in Documenti dell’Abruzzo TeramaBreccia-no, III, 1, La valle dell’alto Vomano ed i Monti della Laga, Pescara 1991, pp. 314-318, nota 1; F. TO
-DINI, La pittura umbra dal Duecento al primo Cinquecento, I-II, Milano
1989, vol. I, p. 202, vol. II, p. 382.
36Una più puntuale analisi del ciborio è in: E. ZAPPASODI, La decorazio-ne… cit., pp. 5-6.
37Sui pilastri sotto la vela meridionale sono raffigurati a sinistra il Batti-sta, ed un giovane imberbe con il libro in mano, probabilmente da
iden-tificare nel San Giovanni Evangelista, a formare una sorta di polittico ad affresco. È necessario sottolineare, tuttavia, che l’apertura murata sulla pa-rete settentrionale non è in asse con l’immagine mariana.
38Sulla chiesa: M. BIGARONI, Origine e sviluppo storico della Chiesa, in La basilica di S. Chiara in Assisi, a cura di M. Bigaroni, H.R. Meier, E.
Lun-ghi, Perugia 1994, pp. 11-80; M. RIGHETTITOSTI-CROCE, La chiesa di
San-ta Chiara ad Assisi… cit., pp. 29-36.
39Nel coro delle monache, come è noto, venne trasferita la venerata Cro-ce dipinta di San Damiano, posta dinanzi alla parete orientale, sulla quale
vennero dipinte le Storie della Passione, licenziate dal Maestro della Cap-pella di San Giorgio, che da queste fatiche prende il nome. Gli affreschi sovrastano la Vergine col Bambino tra i Santi Giovanni Battista, Michele
Arcangelo, Chiara e Francesco, una sorta di polittico a fresco, eseguiti da
Puccio Capanna. La decorazione prosegue sul lato settentrionale con
l’An-nunciazione, San Giorgio che uccide il drago, la Nascita di Cristo e l’Ado-razione dei Magi, dipinti da Pace di Bartolo forse ancora entro la metà del
Trecento. Su questi argomenti E. LUNGHI, La decorazione pittorica della
Chiesa, in La basilica di S. Chiara… cit., pp. 236-256, con ampia
biblio-grafia precedente.
40R. LONGHI, In traccia di alcuni anonimi trecentisti, in “Paragone”, XIV,
167, 1963, p. 12.
41Si deve a E. NERILUSANNA, Percorso di Guiduccio Palmerucci, in
“Pa-ragone”, XXVIII, 325, 1977, pp. 11-13, 32-33, la proposta di identificare l’Espressionista di Santa Chiara con il pittore Palmerino di Guido, docu-mentato ad Assisi a partire dal 1299 e ricordato come teste ancora nel-l’aprile del 1307. La questione è riassunta con puntualità in E. LUNGHI,
La decorazione pittorica… cit., pp. 227-229.
42Sulla decorazione della chiesa, che comprendeva anche un ricco
reper-torio di pitture su tavola, si veda: E. LUNGHI, La decorazione pittorica
del-la Chiesa… cit., pp. 139-230; J. GARDNER, Nuns and Altarpieces… cit., pp. 33-34; I. HUECK, Recensione a Marino Bigaroni, Hans-Rufolf Meier,
El-vio Lunghi. La Basilica di S. Chiara in Assisi, in “Kunstchronik”, L, 1997,
pp. 287-292; A.DEMARCHI, “Cum dictum opus sit magnum”: il
documen-to pisdocumen-toiese del 1274 e l’allestimendocumen-to trionfale dei tramezzi in Umbria e To-scana fra Due e Trecento, in Medioevo immagini e memoria, Atti del
con-vegno internazionale di studi di Parma (Parma, 23-28 settembre 2008), a cura di A.C. Quintavalle, Milano 2009, pp. 603-621; A. TOMEI, La deco-razione della basilica: affreschi e tavole, in Santa Chiara in Assisi: architet-tura e decorazione… cit., pp. 59-75.
43C. VOLPE, La pittura riminese del Trecento, Milano 1965, p. 26. Sugli
af-freschi: M. BOSKOVITS, Per la storia della pittura tra la Romagna e le
Mar-che, in “Arte Cristiana”, LXXXI, 756, 1993, pp. 176-177, n. 47; inoltre
P.G. PASINI, Pietro da Rimini per le Clarisse di Ravenna, in Gli affreschi
trecenteschi da Santa Chiara in Ravenna. Il grande ciclo di Pietro da Rimi-ni restaurato, a cura di A. EmiliaRimi-ni, G. Montanari, P.G. PasiRimi-ni, Ravenna
1995, pp. 43-67. Sull’attività ravennate del maestro: M. MEDICA, Pietro da
Rimini e la Ravenna dei da Polenta, in Il Trecento riminese. Maestri e botteghe tra Romagna e Marche, catalogo della mostra (Rimini, 20 agosto 1995
-7 gennaio 1996), a cura di D. Benati, Milano 1995, pp. 94-111.
44A questa data, infatti, il priore Rogerius ricevette dei beni
appartenen-ti a Giovanni cardinale di Palestrina, per trasferirli alla cattedrale di Ana-gni. La presenza di un priore lascia supporre che vi fosse insediata una co-munità maschile, non altrimenti documentata. Nel 1227 una bolla di Gre-gorio IX sembra attestare la pertinenza della chiesa alla cattedrale. Nel 1256, al momento dell’insediamento delle Clarisse, i documenti riferisco-no di un priore Michele che in cambio della cessione della chiesa alle re-ligiose ottenne il priorato di Santa Maria di Bagnara. A. MARINI, Le
fon-dazioni francescane femminili nel Lazio nel Duecento, in “Collectanea
Fran-ciscana”, LXIII, 1-2, 1993, pp. 83-85.
45Anche nella chiesa benedettina femminile di Santa Felicita a Firenze il
coro delle monache venne previsto in posizione sopraelevata, affacciato sul fianco destro della navata.
46La chiesa di San Pietro in Vineis, monoabsidata e divisa in tre navate da
pilastri su cui si impostano volte a crociera, è decorata con episodi tratti dalle Storie dell’Infanzia di Cristo disposti sulle pareti della navata centra-le, con andamento dal presbiterio verso la controfacciata. Sugli affreschi del coro delle monache e della chiesa: A. BIANCHI, Affreschi Duecenteschi
nel S. Pietro in Vineis in Anagni, in Roma Anno 1300… cit., pp. 379-384.
Una discussione approfondita sulle scelte iconografiche del ciclo
dell’In-fanzia e sulle vicende costruttive della chiesa sono in: S. ROMANO, Gli
Af-freschi di San Pietro in Vineis, in, Il Collegio Principe di Piemonte e la Chie-sa di San Pietro in Vineis in Anagni, a cura di M. Rak, Roma 1997, pp.
101-116; M. BOEHM, Wandmalerei des 13. Jahrhunderts im
Klarissenklo-ster S. Pietro in Vineis zu Anagni Bilder für die Andacht, MünKlarissenklo-ster 1999;
K.N. HOUSTON, Painted Images and the Clarisse, 1212-1320… cit., pp.
104-106, 222-235.
47S. ROMANO, Gli Affreschi di San Pietro… cit., p. 109. Il ciclo anagnino
è il primo esempio attestato di decorazione destinata esclusivamente alla contemplazione di una comunità damianita, e si pone dunque in netto an-ticipo rispetto agli episodi di Napoli in Santa Maria Donnaregina e gli af-freschi del Maestro della cappella di San Giorgio nel protomonastero di Santa Chiara ad Assisi. L’assenza della scena della Crocefissione in un ci-clo altrimenti completo della Passione, si spiega solo ipotizzando la pre-senza di una croce dipinta, oggi perduta, esemplata sul modello venerato della Croce di San Damiano.
48L. BARTOLINISALIMBENI, Resti monumentali e modelli architettonici…
cit., p. 147. Nei pochi interventi sulla chiesa non si è mai prospettata un’ana-lisi dettagliata della distribuzione degli spazi.
49M. ZAMPINO, La chiesa vecchia di Santa Chiara in Nola… cit., pp.
437-450; C BRUZELIUS, Le pietre di Napoli… cit., pp. 202-204.
50Resta tuttavia difficile da spiegare la scelta di realizzare l’accesso a
que-sto secondo coro tramite la porta, realizzata in rottura, all’esterno dell’edi-ficio, sulla facciata, e non attraverso un passaggio ricavato nella parete set-tentrionale della chiesa, direttamente accessibile dall’interno del convento.
51La possibilità di servirsi di un doppio coro è documentata, benché ad
una cronologia molto più recente, in San Felice in Piazza a Firenze, dove, ormai negli anni Settanta del Cinquecento, la costruzione del coro in una galleria sopraelevata appoggiata alla controfacciata non impediva alle Do-menicane l’utilizzo di un altro ambiente di più modeste dimensioni, defi-nito nei documenti “choro delle suore da basso”, posto lateralmente alla navata, e collegato alla chiesa attraverso il comunichino ricavato alla base della tela dipinta dall’Empoli con l’Apparizione della Madonna col
Bambi-no a San Giacinto. Si veda: L. MEONI, San Felice in Piazza a Firenze,
Fi-renze 1993, pp. 115-138. Oltre al comunichino, oggi coperto da un pan-no di velluto, il coro era collegato alla chiesa attraverso un’ulteriore gra-ta, definita in un documento del 1753 “grata grande delle monache”, che dovette essere successivamente murata. Ivi, pp. 116-118.
52F.A. Marcucci, Saggio delle cose ascolane… cit., p. CCXXXXII. Il
do-cumento, oggi perduto, era confluito nell’archivio delle monache di San-t’Egidio ad Ascoli Piceno, dopo che, abbracciata la regola benedettina nel 1534, le religiose vi si erano trasferite nel 1537.