UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA
Dipartimento di Farmacia
Corso di laurea in Scienze della Nutrizione Umana
Approcci nutraceutici alle patologie tiroidee: effetto del trattamento
con selenio-metionina e myo-inositolo su linee cellulari umane
primarie di carcinoma papillare
Relatore Candidato:
Prof. Alessandro Antonelli Federico Granziera
Correlatore
Dott.ssa Silvia Martina Ferrari
2
Indice
1. INTRODUZIONE ... 9
1.1
.
ANATOMIA E FISIOLOGIA TIROIDEA ... 9
1.1.1
.
Anatomia della tiroide ... 9
1.1.2
.
Biochimica della tiroide ... 10
1.1.3
.
Captazione dello iodio, ossidazione a iodio molecolare, organificazione dello iodio ... 11
1.1.4
.
Trasporto degli ormoni tiroidei nel sangue ... 11
1.1.5
.
Metabolismo della tiroxina ... 11
1.2 MECCANISMO D’AZIONE DELL’ORMONE TIROIDEO ... 12
1.3
.
EFFETTI DEGLI ORMONI TIROIDEI ... 12
1.3.1
.
Effetto calorigeno ... 12
1.3.2
.
Effetti sulla crescita e sviluppo ... 12
1.3.3
.
Effetti sul metabolismo materiale ... 13
1.3.4
.
Effetti sul metabolismo idrico e salino ... 13
1.3.5
.
Effetti sul metabolismo proteico, lipidico e glucidico ... 13
1.3.6
.
Effetti su organi e tessuti ... 14
1.4
.
MALATTIE DELLA TIROIDE: CLASSIFICAZIONE ... 14
1.5
.
LESIONI MALIGNE DELLA TIROIDE ... 15
1.5.1
.
Adenocarcinoma papillare ... 16
1.5.2.Epidemiologia, morbilità e mortalità del cancro alla tiroide ... 16
1.5.3
.
Terapia dell’adenocarcinoma papilare: chirurgica, roentgen, radioiodio ... 17
1.6
.
TIROIDITI ... 17
1.7
.
TIROIDITE A CELLULE GIGANTI (TIROIDITE SUB-ACUTA) ... 18
1.8
.
STRUMA DI HASHIMOTO (STRUMA LINFOMATOSO, GOZZO LINFOIDE,
...
TIROIDE CRONICA LINFOIDE) ... 19
1.9
.
MANIFESTAZIONI
SINTOMATICHE
E
CLINICHE
GENERALI
...
...
DELL’IPOTIROIDISMO ... 19
1.10 PATOLOGIE AUTOIMMUNI TIROIDEE E LORO PROGRESSIONE VERSO IL
...
...
CARCINOMA PAPILLARE ... 20
1.10.1
.
Presupposti genetici delle patologie autoimmuni tiroidee e del carcinoma papillare .... 20
3
1.10.3
.
Polimorfisi genici delle citochine infiammatorie di interesse nelle patologie
.
.
autoimmuni tiroidee e del carcinoma papillare ... 21
1.10.4
.
BAFF e patologie autoimmuni tiroidee: biomarcatore dello stato infiammatorio ... 26
1.10.5
.
Interferon-gamma
.
(INF-gamma),
.
Tumor
.
Necrosis
.
Factor-alfa
.
(TNF-alfa)
...
nell’autoimmunità tiroidea e nel carcinoma papillare ... 28
1.11
.
SUPPLEMENTI
.
DIETETICI
.
E
.
“NUTRACEUTICI”
.
DI
.
INTERESSE
.
NELL’AUTOIM
..
...
MUNITÀ
.
TIROIDEA
.
E
.
CARCINOMA
.
PAPILLARE:
.
ATTUALI
.
EVIDENZE
.
DI
.
STR
..
...
ATEGIE
.
TERAPEUTICHE
.
ADIUVANTI
.
ALLA
.
MODULAZIONE
.
DELLO
.
STATO
.
I
.
...
NFIAMMATORIO ... 30
1.11.1
.
Selenio e inositolo, considerazioni generali ... 30
1.12
.
IL SELENIO ... 35
1.12.1
.
Il selenio nel terreno ... 36
1.12.2
.
Il selenio in prodotti vegetali ed animali destinati al consumo umano ... 36
1.12.3
.
Supplementazione di selenio nella dieta umana ... 37
1.12.4
.
Intossicazione e carenza di selenio ... 37
1.12.5
.
Ruolo biologico del selenio ... 38
1.12.6
.
Metabolismo e ruolo fisiologico del selenio ... 40
1.12.7
.
Il selenio nel trattamento dell’autoimmunità tiroidea e carcinoma papillare: studi,
.
evidenze ed analisi dei dati ... 41
1.13
.
L’INOSITOLO ... 57
1.13.1
.
L’inositolo in prodotti vegetali ed animali destinati al consumo umano ... 58
1.13.2
.
Supplementazione di inositolo nella dieta umana ... 58
1.13.3
.
Intossicazione e carenza di inositolo ... 59
1.13.4
.
Ruolo biologico dell’inositolo ... 59
2.
.
PARTE SPERIMENTALE ... 65
2.1
.
OBIETTIVI ED APPROCCIO SPERIMENTALE ... 65
2.2
.
MATERIALI E METODI ... 65
2.2.1
.
Soggetto dal quale è stato ottenuto l’espianto tiroideo ... 65
2.2.2
.
Tessuti tiroidei ... 66
2.2.3
.
Colture primarie da espianto ... 66
4
2.2.5
.
Trattamenti effettuati in linee tumorali primarie di carcinoma papillare ... 67
2.2.6
.
Saggio WST-1 per vitalità e proliferazione cellulare ... 67
2.2.7
.
Lettore per micropiastre ELISA ... 68
2.2.8
.
Analisi dei dati ... 68
2.3
.
RISULTATI ... 68
2.3.1
.
Effetto di selenio-metionina, in presenza di INF-gamma, TNF-alpha e H2O2,
...
...
sulla vitalità e proliferazione cellulare ... 69
2.3.2
.
Effetto di myo-inositolo, in presenza di INF-gamma, TNF-alpha e H2O,
,...
...
sulla vitalità e proliferazione cellulare ... 70
2.3.3
.
Effetto della combinazione di selenio-metionina e myo-inositolo,in presenza
di
INF-...
gamma, TNF-alpha e H2O2, sulla vitalità e proliferazione cellulare ... 73
2.4
.
DISCUSSIONE ... 73
2.5
.
CONCLUSIONI ... 74
6 Riassunto:
Preservare la fisiologia e la funzione della ghiandola tiroidea è di fondamentale importanza per ogni entità cellulare che compone il nostro organismo. A tal proposito, è pertinente ricordare come gli ormoni tiroidei, ovvero il prodotto sintetico dei follicoli, siano una via di regolazione ubiquitaria e basilare, comune a tutte le cellule.
Una volta che i tireociti avranno secreto gli ormoni T4 e T3 nel circolo ematico, veicolati mediante proteine, agiranno nella cellula bersaglio una volta liberati. Solo l’ormone libero si sposta a livello nucleare, dove può fissarsi a recettori specifici della cromatina, ma può legarsi anche alla membrana mitocondriale, e tutto questo implica vari meccanismi farmacodinamici, che ne spiegano le azioni. Per ribadire l’importanza dell’integrità delle unità follicolari tiroidee possiamo ricordare come il loro prodotto metabolico, ovvero gli ormoni, co-partecipano ad un effetto calorigeno, sulla crescita e sviluppo, sul metabolismo energetico, sul metabolismo idrico e salino, sul metabolismo proteico, lipidico e glucidico. Praticamente non esiste organo o sistema che non risenta della deficienza o dell’eccesso degli ormoni tiroidei, poiché il loro meccanismo d’azione deve interessare obbligatoriamente meccanismi elementari coinvolgenti tutte le cellule.
In particolare, in stati di deficienza funzionale riconducibile all’ipotiroidismo si rilevano alterazioni su: la ghiandola tiroidea, il sistema circolatorio e cardiovascolare, i costituenti chimici del sangue, i costituenti morfologici del sangue, la cute, il sistema nervoso centrale, lo scheletro, il tubo gastro-enterico; inoltre, alterazioni epatiche, ipofisiarie, del metabolismo basale, del colesterolo e fosfolipidi, surrenali, alterazioni delle gonadi, pancreatiche, dello iodio legato alle proteine, se non il cretinismo o mixedema giovanile.
Purtroppo vari sono gli stati patologici legati a questa ghiandola, ma in linea con la precedente esperienza del gruppo di ricerca e sulla base della produzione scientifica esistente, si è ritenuto opportuno definire come oggetto di interesse della presente tesi, a partire dalla normale fisiologia, le affezioni autoimmuni interessanti la tiroide e la loro progressione verso il carcinoma papillare, dove quest’ultimo è stato più specificatamente indagato. Il carcinoma papillare, argomento focale in questo tratto, è il più comune cancro della tiroide, con frequenza approssimativa del 55% delle forme tumorali interessanti la tiroide, e al di sotto dei 40 an ni ne costituisce circa il 90%, ed è relativamente benigno. A confronto delle altre forme maligne della tiroide, il carcinoma papillare tende ad essere piccolo, non capsulato, non enucleabile ed a crescita lenta. Nella maggior parte dei casi, il tumore affligge un solo lobo tiroideo e diffonde ai linfonodi dello stesso lato; talora interessa ambedue i lobi e l’istmo; raramente le lesioni sono multicentriche, metastatizza relativamente presto per via linfatica ai linfonodi regionali e la ricca rete linfatica spiega la rapida propagazione ai linfonodi vicini. I carcinomi papillari dettano l’insorgenza di metastasi per via ematica assai più raramente degli altri cancri tiroidei. E’ noto come il cancro della tiroide si verifica con una frequenza 3 volte maggiore nelle donne rispetto agli uomini; inoltre il cancro della tiroide si può manifestare praticamente a tutte le età, sebbene sia raro al di sotto dei 20 anni. La tipologia della lesione e quindi il suo grado di aggressività è diverso nei diversi gruppi di età. Il cancro alla tiroide si instaura con una frequenza 10 volte maggiore con i gozzi non tossici che con quelli tossici, allorché il computo venga effettuato su campioni prelevati nell’intervento chirurgico; è molto più frequente nei gozzi nodulari rispetto a quelli diffusi a superficie liscia; fra i primi più frequentemente si
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instaura nei gozzi con noduli isolati che in quelli con noduli multipli. Notevole controversia è sorta a riguardo dell’effetto delle alterazioni tiroidee non cancerose, come ad esempio l’ipotiroidismo di Hashimoto, sullo sviluppo del cancro alla tiroide, e come già ricordato in precedenza uno dei temi cardine di questa tesi. E’ stato appurato che l’80% delle lesioni maligne insorgono su adenomi pre-esistenti: questo è stato postulato in base al fatto che l’adenoma benigno si trasformi in maligno. E’ notoche dal 5 al 10% dei gozzi multi-nodulari non tossici sono maligni e in misura maggiore per noduli singoli negli adulti, con un’incidenza molto più elevata nei bambini.
In merito alle terapie, nella presente tesi si è cercato di valutare, in base alle informazioni rilevanti in Letteratura, se supplementi dietetici possano fornire un supporto da impiegare in strategie preventive/profilattiche o adiuvanti le canoniche procedure (quando l’esordio neoplastico è franco), rispetto alla vitalità e proliferazione cellulare. In particolare si è scelto di studiare le proprietà bioattive di selenio -metionina e myo-inositolo come strategia dieto-terapeutica o nutraceutica complementare, sfruttando le loro possibili azioni modulanti la vitalità e proliferazione cellulare, in vitro. In prima istanza, dalla bibliografia si è indagato ad esempio la disponibilità di selenio nel terreno in diverse aree geografiche, il selenio presente in prodotti vegetali ed animali destinati al consumo umano, così come le supplementazioni, la tossicità e carenza, il suo ruolo biologico, metabolico e fisiologico; tutto ciò è stato parimente indagato anche per myo -inositolo.
A partire dai risultati pubblicati dal nostro team di ricerca è emerso come nei soggetti sani il trattamento con selenio-metionina (Se-Met) da sola, myo-inositolo (Myo-Ins) da solo o Se-Met in combinazione con Myo-Ins esercitasse effetti positivi sugli indici di funzionalità tiroidea dopo il follow-up, in vivo ed in vitro. Ad oggi invece il nostro intento è stato quello di indagare gli effetti di myo-inositolo da solo, selenio-metionina da sola o una combinazione dei due composti in colture cellulari primarie umane di carcinoma papillare in presenza/assenza di citochine e/o perossido di idrogeno (H2O2). In particolare si sono indagati gli effetti derivanti dalla combinazione di più fattori e questi risultano essere: 1) effetto di s elenio-metionina sulla vitalità e proliferazione cellulare rispetto al controllo, 2) effetto di myo-inositolo sulla vitalità e proliferazione cellulare rispetto al controllo, 3) effetto di selenio-metionina, in presenza di INF-gamma, TNF-alfa e H2O2, sulla vitalità e proliferazione cellulare, 4) effetto di myo-inositolo, in presenza di INF-gamma, TNF-alpha e H2O2, sulla vitalità e proliferazione cellulare 5)effetti della combinazione di selenio -metionina e myo-inositolo, in presenza di INF-gamma, TNF-alpha e H2O2, sulla vitalità e proliferazione cellulare.
I nostri risultati confermano la Letteratura esistente, poichè seppur si sono potuti apprezzare alcuni effetti, essi non dimostrano significatività; in particolare ciò che è stato riscontrato è: 1) un effetto protettivo sulla vitalità e proliferazione cellulare sia di myo-insolito 0,5-1μM che di selenio-metiona 0,5-1μM rispetto al controllo; 2) l'effetto tossico di H2O2 200μM nella linea tumorale primaria umana che porta ad un drastico aumento dell'apoptosi, e riduzione della proliferazione; 3) lieve protezione, ma non statisticamente significativa, conferita da myo-inositolo 1μM in concomitanza di H2O2 200 μM, INF-gamma 1000 IU/ml e TNF-alpha 10ng/ml, sulla vitalità e proliferazione cellulare; 4) nessun effetto è stato rilevato dal trattamento a base di solo selenio.
Altro punto interessante è stato quello di aver prelevato e conservato i surnatanti, al fine di un’eventuale valutazione degli effetti conferiti sullo stato infiammatorio dai nutraceutici in esame, il quale può essere
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appurato andando a dosare le chemochine nel medium, come ad esempio CXCL10. Pertanto, un probabile effetto protettivo di myo-inosiolo fornito dai nostri risultati ha suggerito ulteriori informazioni sulle linee primarie tumorali oggetto di studio, ma gli esatti meccanismi che sono alla base di questo effetto devono essere ulteriormente indagati aumentando il numero di colture primarie e implementando il numero di esperimenti. In ultima istanza, sarebbe interessante valutare se i composti analizzati possano avere un effetto protettivo in funzione del mantenimento morfologico cellulare e/o nucleare, condizione utile a ritardare lo sviluppo verso forme più agressive di questa lesione maligna; cosa realizzabile impiegando tecniche di fissazione e colorazione dei tessuti seguita dall’osservazione mediante microscopi a fluorescenza, confocali, elettronici, TEM (microscopio elettronico a trasmissione) o SEM (microscopio elettronico a scansione).
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1. INTRODUZIONE
1.1 ANATOMIA E FISIOLOGIA TIROIDEA
1.1.1 Anatomia della tiroide
La tiroide è una ghiandola posta nella regione di collo, ai lati della trachea, sotto la laringe. Nell’uomo, la tiroide ha di norma un peso compreso tra i 20 e 40 grammi, inoltre, è irrorata dalle arterie tiroidee, superiori ed inferiori. Il sangue venoso all’interno della ghiandola viene drenato dalle vene tiroidee (superiore e media) e sfocia nella giugulare interna e, attraverso la vena tiroidea inferiore, nella vena anonima (Fig.1).
(Fig.1: Thyroidcollection.net)
Sotto l’aspetto istologico, la tiroide risulta costituita da un vasto numero di follicoli (unità funzionali) di dimensioni variabili, tra i 50 e 200 μm di diametro, essendo più o meno ampi in modo direttamente proporzionale a seconda del loro stato di attività. I follicoli sono tappezzati da un epitelio secretorio mono-stratificato, le cui cellule hanno anche una differente forma, in relazione al loro stato funzionale: sono squamose, quando ipoattiv, cuboidi e colonnari, quando iperattive. I follicoli tiroidei, includono medialmente un liquido di colore giallastro, mucoso, definito colloide, non altro che luogo di stoccaggio del prodotto di secrezione apicale dell’epitelio follicolare, ovvero dei tireociti. L’istologia delle cellule follicolari varia , come precedentemente detto, in base al loro stato di lavoro: quando l’attività secretoria è sostenuta, i mitocondri aumentano di numero, e l’apparato del Golgi, che è posto in prossimità della zona nucleare, si espande; il versante apicale delle cellule follicolari presenta una serie di microvilli. Negli spazi tra i follicoli sono disperse le cellule parafollicolari, che secernono calcitonina, ormone attivo sul met abolismo del Ca++ (Gianguido Rindi, Ermanno Manni; “Fisiologia Umana”, V edizione Vol.1; p.p 503-515).
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1.1.2 Biochimica della tiroide
Caratteristica peculiare della tiroide, non condivisa da nessun’altra ghiandola a secrezione interna, è quella di fruire di un deposito (colloide) dell’ormone “grezzo”. La colloide si presenta come un liquido giallastro chiaro, a viscosità variabile in relazione allo stato funzionale della tiroide. E’ costituita prevalentemente da tiroglobulina, ovvero il prodotto della secrezione apicale dei tireociti, ma contiene anche altre proteine: una nucleoproteina non iodata, inattiva, una serie di proteine non iodate, enzimi proteolitici e mucinolitici, aminoacidi iodati e non. (Fig.2)
(Fig.2: https://www.medicinapertutti.it) A partire dalla tiroglobulina si liberano, per scissione proteolitca, gli ormoni tiroidei, i quali vengono immessi nel circolo ematico, secondo un gradiente di concentrazione, attraversando il mono -strato delle cellule follicolari. Le cellule follicolari esplicano, quindi, una triplice funzione: fissano lo iodio, sintetizzano la tiroglobulina, liberano gli ormoni tiroidei dalla tiroglobulina, apparentemente secernendoli nel sangue (Gianguido Rindi, Ermanno Manni; “Fisiologia Umana”, V edizione Vol.1; p.p 503-515).
1.1.3 Captazione dello iodio, ossidazione a iodio molecolare, organificazione dello iodio
Dei 12 milligrammi, circa, di iodio presenti in tutto l’organismo, i due terzi (circa 8 milligrammi) sono contenuti nella tiroide, principalmente in forma organica, variamente legati alla tiroglobulina.Lo iodio inorganico (I-), una volta internizzato dal tireocita, deve essere ossidato a iodio molecolare (I2), poiché possa reagire, e coniugarsi, con le molecole organiche (tirosina). L’ossidazione è catalizzata da una perossidasi locata nella membrana dei microvilli della porzione apicale della cellula follicolare.
Circa il 90% dello iodio intratiroideo è presente in forma organica: una volta formatosi lo iodio molecolare, per ossidazione dello ioduro, esso reagisce poi con la tirosina della molecola tiroglobulina, forma ndosi inizialmente il 3-monoiodo-tirosina (MIT) e poi 3,5-diiodotirosina (DIT). Queste due molecole si condensano ossidativamente tra loro, dando quindi origine a: 3,5,3’-triiodotironina (T3), quando una molecola di MIT si combina con una di DIT; oppure a 3,5,3’,5’-tetraiodotironina (T4), se due molecole di DIT si combinano tra
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loro. Inoltre, si forma anche una piccola quantità di rT3 (T3 inversa). In seguito alla scissione proteolitica delle tireoglobulina da parte delle idrolasi acide lisosomiali gli ormoni tiroidei verranno secreti nel circolo ematico a livello della membrana basolaterale dei tireociti(Gianguido Rindi, Ermanno Manni; “Fisiologia Umana”, V edizione Vol.1; p.p 503-515).
1.1.4 Trasporto degli ormoni tiroidei nel sangue
In seguito alla proteolisi della tireoglobulina e liberazione di iodotironine , nel sangue, dove si trova prevalentemente T4 assieme a piccole quantità di T3 e di altri composti iodati, gli ormoni tiroidei vengono veicolati grazie a legami con proteine specifiche sieriche che ne fissano la quasi totalità, rendendoli inattivi. Queste proteine sono: un’alfa-globulina (TGB), una prealbumina (TBPA) e l’albumina, ognuna delle quali può legare T4 e T3, anche se con affinità differenti (Gianguido Rindi, Ermanno Manni; “Fisiologia Umana”, V edizione Vol.1; p.p 503-515).
1.1.5 Metabolismo della tiroxina
La quantità di tiroxina (T4) secreta giornalmente dalla tiroide umana, nel circolo sanguigno, rappresenta l’1-2% del totale della molecola presente nella ghiandola tiroidea. L’emivita della tiroxina circolante è molto lunga (5-6 giorni); essa è prontamente captata da specifici organi, come il rene ed il fegato, mentre lo è molto più lentamente da altri (come il muscolo scheletrico); inoltre, non passa né la barriera placentare né il glomerulo renale, dato che nel sangue è legata alle proteine (Gianguido Rindi, Ermanno Manni; “Fisiologia Umana”, V edizione Vol.1; p.p 503-515).
1.2 MECCANISMO D’AZIONE DELL’ORMONE TIROIDEO
Le T3 e T4 entrano per diffusione o per trasporto specifico nella cellula bersaglio, nel cui citoplasma si troveranno in parte libere ed in parte coniugate a proteine, con un equilibrio tra le due forme. Solo l’ormone libero si sposta a livello nucleare, dove può fissarsi a recettori specifici della cromatina. Tuttavia, esso può anche legarsi alla membrana mitocondriale, al di fuori perciò del nucleo. Il legame ai recettori cromatinici causa variazione della trasduzione di mRNA specifico e, di conseguenza, la sintesi di specifiche proteine, che riflettono la risposta all’ormone tiroideo. Il legame alla membrana mitocondriale, probabilmente, è la chiave soprattutto del metabolismo ossidativo. Vari sono i meccanismi cellulari ipotizzati per spiegare l e azioni degli ormoni tiroidei, ed essi sono: la trascrizione nucleare, l’influenza sull’ATPasi di membrana Na+/K+ attivata, l’attività diretta sulle membrane cellulari, l’influenza sui recettori adrenergici, l’intervento sul metabolismo della tirosina ed in ultima istanza l’attivazione mitocondriale diretta.
Concludendo, date le diverse azioni degli ormoni tiroidei, è assai probabile che essi, nelle cellule bersaglio, diano origine alla risposa integrata di meccanismi diversi, piuttosto che ad una risposta di unidirezionale. Le azioni più precoci nel tempo e più interessanti potrebbero essere quelle a liv ello della membrana plasmatica e
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della membrana mitocondriale. L’azione sulla cromatina, e conseguente sintesi proteica, è, invece, più probabilmente alla base degli importanti effetti anabolizzanti, essenziali per la crescita fisiologica, la differenziazione e la crescita cellulare, che sono risposte tipicamente più ritardate e più durature. Gli ormoni tiroidei hanno, tra le varie attività, un’azione permissiva nei confronti di: glucagone, adrenalina, somatotropina e forse su altri ormoni (Gianguido Rindi, Ermanno Manni; “Fisiologia Umana”, V edizione Vol.1; p.p 503-515).
1.3 EFFETTI DEGLI ORMONI TIROIDEI
Visto il grado di condizionamento che gli ormoni tiroidei rivolgono ad ogni tessuto, apparato e/o sistema dell’organismo umano, è calzante ricordare come, seppur descrivendo solo gli asppetti generali, inducano ad una serie di effetti, che sono direttamente correlati con l’omeostasi metabolica e nutrizionale interindivuale.
1.3.1 Effetto calorigeno
L’effetto più caratteristico della T4 negli animali omeotermi è l’aumento della produzione di energia, consumo di O2 e produzione di calore da parte dell’organismo in toto e di vari tessuti isolati. La T3 ha un’azione calorigenica più rapida e molto più consistente, rispetto alla T4, anche se di minor durata (Gianguido Rindi, Ermanno Manni; “Fisiologia Umana”, V edizione Vol.1; p.p 503-515).
1.3.2 Effetti sulla crescita e sviluppo
L’incapacità a crescere e svilupparsi è la più diretta conseguenza della insufficienza tiroidea negli animali più giovani: più precoce è l’insorgenza della deficienza, più gravi saranno le alterazioni. Oltre ad un effetto diretto sulla crescita, gli ormoni tiroidei ne compiono anche uno indiretto, essendo utili alla sintesi dell a somatotropina, e forse, nella produzione di somatomedine (Gianguido Rindi, Ermanno Manni; “Fisiologia Umana”, V edizione Vol.1; p.p 503-515).
1.3.3 Effetti sul metabolismo materiale
La maggior parte degli effetti sul metabolismo energetico, che si notano nell’ipo- e nell’ipertiroidismo sono, con molta probabilità connessi, più o meno direttamente, con l’azione calorigena della tiroxina; altri, tuttavia, ne sono indipendenti (Gianguido Rindi, Ermanno Manni; “Fisiologia Umana”, V edizione Vol.1; p.p 503-515).
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1.3.4 Effetti sul metabolismo idrico e salino
Nell’ipotiroidismo si assiste alla ritenzione d’acqua e di Na+ (e Cl-) nel liquido extracellulare: la somministrazione di tiroxina è la causa della diuresi e porta ad eliminazione di Na+ con le urine. Anche nel soggetto sano la tiroxina causa diuresi, ma in tal caso le urine sono ricche di K+, forse derivante dal aumento del catabolismo dei tessuti. Negli animali in accrescimento, a dosi fisiologiche, la tiroxina, favorendo l’anabolismo proteico, determina ritenzione di Ca++, di cui ne viene favorita la deposizione nella matrice proteica ossea. Viceversa, l’iperfunzione tiroidea detta un anormale escrezione di Ca++ attraverso le urine e feci, come conseguenza del catabolismo proteico e del tessuto osseo, e quest’ultimo sarà accompagnato anche da un certo grado di osteoporosi (Gianguido Rindi, Ermanno Manni; “Fisiologia Umana”, V edizione Vol.1; p.p 503-515).
1.3.5 Effetti sul metabolismo proteico, lipidico e glucidico
La tiroxina può influire sul metabolismo delle proteine in chiave anabolica o catabolica, in relazione all’entità della dosa usata. A dosi fisiologiche, l’effetto è nettamente anabolizzante e si può mettere in evidenza negli animali giovani, anche ipofisectomizzati: la crescita dei tessuti viene stimolata e il bilancio dell’azoto diventa positivo. L’ipertiroidismo, ovvero elevate dosi di tiroxina, esaltano, invece, il catabolismo proteico sia nel giovane che nell’adulto, dove il bilancio azotato è negativo.
L’ipotiroidismo può essere accompagnato da ipercolesterolemia, iperlipidemia, sopratutto a carico dei fosolipidi, e da infiltrazione adiposa nel fegato. Solitamente nella deficienza tiroidea non c’è un apprezzabile aumento dei grassi di deposito, dato che l’apporto alimentare, per inappetenza, è fortemente ridotto, rispetto all’ipertiroidismo dove è, invece, caratteristica l’ipocolesterolemia.
La tiroxina riduce le riserve epatiche di glicogeno per glicogenolisi e tende ad innalzare la glicemia. Tuttavia il contemporaneo aumento dell’ossidazione glucidica da parte dei tessuti, che la tiroxina causa, può mascherare in parte il suo effetto iperglicemizzante. L’ipertiroidismo, e la tiroxina, causano incremento anomalo dell’assorbimento intestinale di glucosio, probabilmente indipendente dall’effetto calorigeno. Ciò può, però, essere legato anche al fatto che l’ormone tiroideo aumenti il catabolismo epatico dell’insulina, promuovendo così l’abbondante richiesta a livello del pancreas (Gianguido Rindi, Ermanno Manni; “Fisiologia Umana”, V edizione Vol.1; p.p 503-515).
1.3.6 Effetti su organi e tessuti
Praticamente non esiste organo o sistema che non risenta della deficienza o dell’eccesso di ormoni tiroidei, ciò indica che per il fisiologico funzionamento delle cellule è necessario la presenza degli ormoni tiroidei in quantità ottimali. E’ evidente, quindi, che gli ormoni tiroidei svolgano una funzione essenziale praticamente in ogni tipo cellulare, ed il loro meccanismo d’azione deve interessare meccanismi elementari, basilari,
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comuni a tutte le cellule (Gianguido Rindi, Ermanno Manni; “Fisiologia Umana”, V edizione Vol.1; p.p 503-515).
1.4 MALATTIE DELLA TIROIDE: CLASSIFICAZIONE
Essenzialmente tutte le malattie della tiroide sono accomunate da modificazioni strutturali, seppur in certi casi queste possono essere del tutto contenute. Estese modificazioni della struttura ghiandolare si possono osservare anche quando il paziente permane in stato di eutiroidismo. Un ingrandimento anomalo della ghiandola tiroide, qualunque ne sia la causa, viene tipicamente chiamato gozzo. L’ingrossamento della ghiandola, in tutto o in parte, è di solito primitivamente associata a disfunzioni come: iperplasia ed ipertrofia, neoplasia, reazioni infiammatorie, anomalie congenite.
Queste condizioni possono essere suddivise nel seguente modo:
- ipertrofia ed iperplasia, possono portare, o anche non, ad un gozzo nodulare: gozzi non tossici e gozzi tossici.
- neoplasie: possono essere essenzialmente distine in beningne e maligne; tra le condizioni beningne si ricordano neoplasie: embrionali (trabecolari), fetali (tubulari), microfollicolari, microfollicolari e macrofollicolari, macrofollicolari (involutivo-colloide), cistoadenomi papillari, iperplastiche. Tra le condizioni maligne alcune di queste forme possono associarsi a eutiroidismo, ipertiroidismo o ipotiroidismo; esse possono essere classificate in: scarsa (o potenziale) malignità, adenomi con invasione di vasi sanguigni (adenoma embrionale, fetale, cistoadenoma papillare, ecc.); malignità modesta, adenocarcinoma papillare: adenocarcinoma alveolare, adenocarcinoma a cellule di Hurthle; malignità elevata: carcinoma a piccole cellule (semplice), carcinoma a cellule giganti, carcinoma epidermoide, fibroscarcoma, linfoma.
- nel corso dei processi flogistici ci possono essere condizioni di: eutiroidismo, ipotiroidismo o ipertiroidismo transitori, e si ricordano situazioni infiammatorie.
Ad ogni modo, bisogna sottolineare che non raramente si verifica il passaggio da uno specifico stato strutturale o funzionale ad un altro; e proprio per evitare situazioni di tale entità è utile introdurre, quì, un concetto chiave: gli approcci terapeutici coadiuvanti, come nel caso di dietoterapie incentrate sulla modulazione della vitalità e proliferazione cellulare, se non nella riduzione del manifesto e alto grado di stato infiammatorio, punti cardine di questa tesi, possono aiutare a prevenire la traslazione o progressione verso forme patologiche più aggressive (Robert H. Williams e collaboratori, “Trattato di endocrinologia”; Ediore Roma, 1959; p.p 737-773).
1.5 LESIONI MALIGNE DELLA TIROIDE
Esiste una nota disparità di opioni circa gli aspetti patogenetici, anatomopatologici e clinici delle affezioni maligne della tiroide; quindi variano le opioni anche per quanto riguarda la terapia. Il cancro della tiroide si rileva molto più spesso nelle regioni dove il gozzo è endemico, e numerosi pazienti sono stati portatori per
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anni di ciò che veniva considerata una neoplasia benigna, prima che si manifestassero chiaramente condizioni maligne, o in realtà le valutazioni incipitarie furono errate e molti di questi gozzi possono essere stati sede di lesioni maligne sin dall’inizio. Inoltre, seppur non sia dimostrato in via definitiva, pur esistendone la possibilità, l’irradiazione della regione tiroidea possa far aumentare la frequenza del cancro della tiroide (es. disastro nucleare di Chernobyl). Si ricorda come certe anomalie congestizie della tiroide, invece, siano responsabili di modicazioni maligne. In conclusione, sebbene svariato sia il numero di ipotesi fatte circa la patogenesi del cancro della tiroide vi sono pochi fatti ben sicuri per appoggiarle (Robert H. Williams e collaboratori, “Trattato di endocrinologia”; Ediore Roma, 1959; p.p 737-773).
1.5.1 Adenocarcinoma papillare
Il carcinoma papillare, argomento focale in questo tratto, è il più comune cancro della tiroide, con frequenza approssimativa del 55%, e al di sotto dei 40 anni ne costituisce circa il 90%; è relativamente benigno e si registra come alcuni pazienti abbiano convissuto con metastasi per più di venticinque anni. A confronto delle altre forme maligne della tiroide, il carcinoma papillare tende ad essere piccolo, non capsulato, non enucleabile ed a crescita lenta. Nella maggior parte dei casi, il tumore affligge un solo lobo tiroideo e diffonde ai linfonodi dello stesso lato, talora interessa ambedue i lobi e l’istmo, raramente le lesioni sono multicentriche; metastatizza relativamente presto per via linfatica ai linfonodi regionali e la ricca rete linfatica spiega la rapida propagazione ai linfonodi vicini. I carincomi papillari dettano l’insorgenza di metastasi per via ematica assia più raramente degli altri cancri tiroidei. Questo tipo di tumore è caratteristicamente costituito da alte cellule epiteliali colonnari strettamente addensate e sollevate in pieghe, le papille (Fig.3);
(Fig.3: https://www.endocrinologiaoggi.it)
nei follicoli si rileva la presenza di pochissima quantità di sostanza colloide, si hanno però varie deviazioni da questo aspetto: il tumore può essere costituito essenzialmente da follicoli o alveoli, ma sino a quando sono presenti delle papille il decorso della malattia di solito somiglia a quello dei tumori fondamentalmente papillari (Robert H. Williams e collaboratori, “Trattato di endocrinologia”; Ediore Roma, 1959; p.p 737-773).
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1.5.2 Epidemiologia, morbilità e mortalità del cancro alla tiroide
Secondo i calcoli svolti da Sokal, basati su materiale di autopsia, il cancro della tiroide si sviluppa: nello 0,1% della popolazione mondiale, nell’1% circa dei soggetti con gozzo nodulare tossico, nello 0,15% dei gozzi diffusi tossici, nello 0,2% cica dei gozzi nodulari non tossici non selezionati. Egli afferma che il rischio di insorgenza di un cancro in un nodulo tiroideo, nel corso di tutta la vita, deve esere inferiore all’1%.
E’ noto come il cancro della tiroide si verfica con una frequenza 3 volte maggiore nelle donne rispetto agli uomini; inoltre il cancro della tiroide si può manifestare praticamente a tutte le età, sebbene sia raro al di sotto dei 20 anni. Come già stato detto, la tipologia della lesione, e quindi il suo grado di aggressività, è diverso nei diversi gruppi di età.
Il cancro alla tiroide si instaura con una frequenza 10 volte maggiore con i gozzi non tossici che con quelli tossici, allorchè il computo venga effettuato su campioni prelevati nell’intervento chirurgico; è molto più frequente nei gozzi nodulari rispetto a quelli diffusi a superficie liscia; fra i primi più frequentemente si instaura nei gozzi con noduli isolati che in quelli con noduli multipli.
Notevole controversia è sorta a riguardo dell’effetto delle alterazioni tiroidee non cancerose, come ad esempio l’ipotiroidismo di Hashimoto, sullo sviluppo del cancro alla tiroide, e, come già ricordato in precedenza, è uno dei temi cardine di questa tesi. L’80% delle lesioni maligne insorgno su adenomi pre-esistenti: questo è stato postulato in base al fatto che l’adenoma benigno si trasformi in maligno. E’ stato appuratoche dal 5 al 10% dei gozzi multinodulari non tossici sono maligni e in misura maggiore per noduli singoli negli adulti, con un’incidenza molto più elevata nel bambini. Nello studio di 96 noduli isolati della tiroide, Soley ha osserato che 22 erano costituiti da neoplasmi benigni, 15 da neoplasmi maligni, 38 da noduli involutivi, 2 da cisti, 1 da tiroidite, 18 da lesioni non classificate (Robert H. Williams e collaboratori, “Trattato di endocrinologia”; Ediore Roma, 1959; p.p 737-773).
1.5.3 Terapia dell’adenocarcinoma papilare: chirurgica, roentgen, radioiodio
Nel caso di carcinoma papillare la procedura si articola nell’asportare il lobo interessato assieme all’istmo e parte dell’altro lobo. I linfonodi paratracheali, quelli mediastinici superiori e quelli latero-cervicali, insieme al grasso circolante e al tessuto areolare, quando sono interessati, vengono anch’essi asportati. Il coinvolgimento dei linfonodi latero-cervicali più bassi del lato opposto è comune, quando le metastasi unilateriali sono estese o quando la neoplasia invada l’istmo. Nel caso di un interessamento diffuso della tiroide o la presenza di focolai neoplastici multicentrici, essi si riscontrano nel 10% circa dei casi e rappresentano l’indicazione per una tiroidectomia totale, con accurata esplorazione bilaterale. Secondo Catell, una dissezione radicale del collo è da eseguirsi in qualsiasi paziente con adenoma maligno che mostri segni di invasione linfatica ed in tutti i pazienti con carcinoma papillare o alveolare. Tale procedimento comporta l’asportazione del contenuto dei triangoli posteriore ed anteriore della vena giugulare interna e dei muscoli sterno-cleido-mastoideo, sternoioideo e sternotiroideo. La prognosi è fortemente dipendente dall’età del paziente e dal tipo di
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carcinoma. Crile osservò che, in pazienti seguiti per periodi da tre a quindici anni dopo l’instituzione della terapia, il 95% dei pazienti sotto i 40 anni erano guariti, mentre solo il 45% di quelli tra i 39 e 60 anni stavano bene e soltanto il 15% di quelli oltre i 59 anni avevano presentato un arresto della malattia.
Mentre Cattell raccomanda la roentgenterapia post-operatora, Rawson, Crile ed altri la usano di rado; infatti la maggior parte dei tumori non sono radiosensibili. Inoltre tra le conseguenze di questa terapia c’è la possibilità di interferire con l’esecuzione di interventi o con l’applicazione di una terapia con radioiodio in un tempo successivo. I carcinomi papillari sono piuttosto resistenti: la terapia con raggi X, anche se fornisce risultati modesti, viene usata sulla regione tiroidea quando la terapia chirurgica e quella con radioiodio non hanno determinato il successo sperato.
L’efficacia della radioiodio terapia è dipendente dalla concentrazione dell’isotopo nelle lesioni neoplastiche e dalla durata dell’esposizione delle cellule. Dipende anche dalla uniformità della distribuzione del radioiodio nel tumore e dalla radiosensibilità di quest’ultimo al trattamento. L’adenocarcinoma follicolare, con o senza zone papillari, concentra il radioiodio in maggior quantità rispetto ad ogni altro tipo di tumore alla tiroide, ma nessuna neoplasia è capace di concentrare tanto radioiodio quanto la tiroide sana. Scarsa o nessuna quantità di isotopo radioattivo si vede concentrarsi in quei tumori che sono fondamentalmente papillari, solidi, del tipo a cellule di Hurtle o anaplastici. I carcinomi follicolari di solito tendono a captare una maggiore quantità di radioiodio quando i livelli sierici di tireotropina si vedono aumentati; gli altri neoplasmi risentono in misura nettamente minore di questa condizione. Una diminuzione nella captazione del radioiodio dipende da: una pregressa somministrazione di radioiodio o di raggi X; somministrazione dell’ormone tiroideo (L-T4) o di iodio, ingestione di alimenti gozzigeni nel momento in cui si inizia la terapia con radioiodio.
C’è da ricordare che la tiroidectomia può essere effettuata sia con l’estirpazione chirurgica sia con la radioterapia. Seppur l’intervento chirurgico è da preferire nella maggior parte dei casi, se non determina ipotiroidismo si dà anche del radioiodio. Rawson ha dimostrato che il tiouracile, somministrato a dosaggi elevati per molti mesi, fa aumentare la concentrazione del radioiodio nelle metastasi; però l’effetto è maggiore quando si esegue una tiroidectomia e poi si somministra tirouracile. Questo composto non solo fa aumentare la secrezione ipofisiaria di tireotropina, ma fa aumentare l’efficacia di quella già normalmente presente, forse determinandone la riattivazione. Si registra come i risultati esulati dalla radioiodio terapia siano stati modestamente soddisfacenti solo in una percentuale inferiore al 15% dei casi di tutti i pazienti carc inomatosi tiroidei. Buoni risultati si ottengono soprattutto nei pazienti con adenocarinoma follicolare (Robert H. Williams e collaboratori, “Trattato di endocrinologia”; Ediore Roma, 1959; p.p 737-773).
1.6 TIROIDITI
La tiroidite è di solito una patologia cronica, ma può presentarsi anche con manifestazoni acute o subacute. Può essere localizzata o diffusa e si può impiantare sia sui gozzi che sulle ghiandole normali. L’eziologia è controversa ma può essere causata da microrganismi piogeni, dalla tubercolosi, dalla sifilide e da molte altre affezioni, tutte molto rare. Sebbene tutte le forme di tiroidite siano rare, clinicamen te i tre tipi più ricorrenti sono: lo struma di Hashimoto, la tiroidite a cellule giganti, lo struma di Riedel. L’eziologia di queste tre
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principali forme è ignota (Robert H. Williams e collaboratori, “Trattato di endocrinologia”; Ediore Roma, 1959; p.p 737-773).
1.7 TIROIDITE A CELLULE GIGANTI (TIROIDITE SUB-ACUTA)
Microscopicamente si assiste ad una degenerazione acuta dell’epitelio follicolare con desquamazione delle cellule necrotiche all’interno del lume; inoltre si ha infiltrazione leucocitaria negli spazi perifollicolari, nello strato epiteliale e nel lume follicolare. Quando la reazione infiammatoria acuta si è attenuata, essa verrà sostituita da un’infiltrazione cellulare cronica, di tipo infiammatorio, e da fibrosi perifolicolare. In uno stadio più avanzato si assiste a come il lume follicolare sia ripieno di masse solide e di cellule epiteliali tiroidee circondate da tessuto fibroso contenente cellule caratteristiche della flogosi cronica. La fibrosi può essere in alcuni casi massiva. Questa forma patologica colpisce prevalentemente donne di media età con una storia di gozzo inferiore ai 4 mesi. Molti pazienti sono soggetti a febbre, malessere ed una presunta faringite, per molti giorni, prima che compaiano le manifestazioni acute tipiche a carico della regione tiroidea. In alcuni casi l’esordio franco è improvviso, con dolore acuto in sede tiroidea, irradiantesi talvolta all’angolo della mandibola o all’orecchio; il solo deglutire o i movimenti del collo possono intensificare notevolmente il dolore; circa la metà dei pazienti hanno segni, talvolta dolorosi, da compressione nella regione tiroidea. Insorgono quindi febbre elevata e abnorme reazione sistemica, la prostrazione e la tachicardia possono essere smisurati rispetto alla febbre. All’esame obiettivo la ghiandola spesso si trova ingrandita in volume, sebbene possa anche essere più piccola. Sebbene i segni della tiroidite possono essere limitati ad una porzione di un lobo, il processo di flogosi può interessare un lobo in toto o entrambi. Talvolta, le manifestazioni acute regrediscono in un lobo prima che compaiono segni di coinvolgimento a carico del lobo controlaterale. Il fatto che un intero lobo sia interessato e conservi la sua forma originale è di aiuto nel differenziare questo caso da un adenoma o da una lesione maligna. L’ipotiroidismo, in questo caso, è molto raro, invece con mag giore frequenza si manifesa clinicamente la tireotossicosi. Non è insolito osservare leucocitosi ed aumento della velocità di sedimentazione; in alcuni pazienti si manifestano leggere linfocitosi. Il decorso della malattia è limitato, anche se non si effettua alcuna terapia, infatti i sintomi possono persiste per uno o due anni per poi vedersi il gozzo scomparire, ma le recidive sono frequenti. Clinicamente si assiste a benefici risultati se si instaurano le seguenti terapie: raggi X, cortisone o ACTH, tiroide secca (L-T4), tireotropina e tiouracile. Raramente si effettua tiroidectomia (Robert H. Williams e collaboratori, “Trattato di endocrinologia”; Ediore Roma, 1959; p.p 737-773).
1.8 STRUMA DI HASHIMOTO (STRUMA LINFOMATOSO, GOZZO LINFOIDE,
TIROIDE CRONICA LINFOIDE)
La ghiandola, di solito, si presenta ingrandita, con un volume circa il doppio di quello canonico, ma il suo peso può variare dai 10 a più di 200 gammi; l’ingrandimento è simmetrico. La malattia alcune volte è localizzata, altre volte è estesa, interessando tutta la ghiandola. Le modificazioni più evidenti consistono in un
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iper-cromatismo nucleare, pleomorfismo e modificazioni degenerative a carico dell’epitelio follicolare. A queste alterazioni degenerative consegue una rigenerazione dei follicoli e si possono avere importanti infiltrazioni linfocitarie; vi sono diffusi “qua e là” dei centri degenerativi necrotici. La sostanza colloide è tipicamente ridotta. Compare del tessuto fibroso, che spesso interessa la capsula e può aderire agli organi circostanti, che tende ad aumentare progressivamente con l’avanzare della lesione. Lo struma di Hashimoto si manifesta quasi esclusivamente nelle donne (99% registrato nella serie di Landsay): può insorgere a qualunque età, ma è più frequente nella quarta e nella quinta decade. La frequenza è più elevata nei soggetti con una storia familiare di gozzo, non è raro l’ipotiroidismo e la frequenza aumenta dopo la tiroidecitomia. Nella maggior parte dei casi seppur si faccia una corretta diagnosi clinica, è comune che i pazienti vengano classificati tra quelli affetti da gozzo nodulare non tossico. Talvolta è utile, a scopo diagnostico, una biopsia con un ago di Silvermann (agoaspirato) (Robert H. Williams e collaboratori, “Trattato di endocrinologia”; Ediore Roma, 1959; p.p 737-773).
1.9 MANIFESTAZIONI SINTOMATICHE E CLINICHE GENERALI
DELL’IPO-...
TIROIDISMO
I sintomi dell’atireosi sono dovuti all’accumulo di acqua e di proteine, dalla diminuzione del metabolismo dei carboidrati, dei grassi, delle proteine, dell’acqua e dei minerali. Entro 20 giorni i pazienti cominciano ad avvertiti leggeri segni clinici di ipotiroidismo, dopo 40 giorni comincia a comparire un mixedema conclamato, infine, entro 80 giorni il quadro sintomatico è completo. I sintomi iniziali non sono gli stessi in ogni soggetto: ma in generale possiamo ricordare: la diminuzione della sudorazione e la ipersensibilità al freddo, sonnolenza e rallentamento delle attività fisiche, mancanza di energia e di ambizione, edema della cute, l’edema periorbitale, la cute diviene pallia e può anche presentare una colorazione gialla, i tessuti molli dell’organismo si ispessiscono, partiolaremente in corrispondenza della faccia e delle mani, il naso, le orecchie, le labbra e le altri parti del volto appaiono ingradite, la faccia sembra priva di espressione, la lingua è grossa, la voce è nasale e rauca; la dizione è lenta, accurata, senza inflessioni ma leggermente umorista; perdita di parte dei peli corporei, stipsi, meteorismo, sordità, dispena, ingrandimento dell’aia caridaca e molti altri sintomi morbosi. Con l’avanzare del male il paziente mostra sempre minore interesse per sè e per l’ambiente, esplica pochissima attività fisica e mentale, può essere inappetente. La prospettiva di vita senza terapia può essere di trenta, quaranta anni, morendo alla fine in coma (Robert H. Williams e collaboratori, “Trattato di endocrinologia”; Ediore Roma, 1959; p.p 737-773).
1.10 PATOLOGIE AUTOIMMUNI TIROIDEE E LORO PROGRESSIONE VERSO IL
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CARCINOMA PAPILLARE
Come definito in precedenza, non così rare sono le casistiche in cui il perpeturarsi dello stato infiammatorio cronico, dettato dall’autoimmunità tiroidea, possa vedere la sua più o meno diretta progressione verso forme neoplastiche maligne. Si è ritenuto necessario quì riportare, a partire dalla recente produzione scientifica, le varie casistiche che sott’intendono questo tipo di degenerazioni.
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1.10.1 Presupposti genetici delle patologie autoimmuni tiroidee e del carcinoma papillare
Gli studi di associazione, su tutto il genoma, per le malattie autoimmuni e neoplasie maligne, hanno mappato centinaia di regioni di suscettibilità del genotipo umano (Rotival, 2019). Tuttavia, solo per alcuni segnali di associazione vi è stato identificato il gene causale e per ancora meno geni sono state definite le varianti causali e il meccanismo sottostante (Farina et al., 2019). Associazioni coincidenti di varianti di DNA che incidono sia sul rischio di malattia autoimmune sia sulle variabili immunitarie quantitative , se non l’insorgenza del tumore ben differenziato della tiroide, forniscono una via informativa per esplorare i meccanismi della malattia e le vie bersaglio del principio attivo, per un eventuale approccio terapeutico personalizzato (Cheng et al., 2019).1.10.2 Polimorfismi genici delle patologie autoimmuni tiroidee e del carcinoma papillare
Premettendo che la Tiroidite di Hashimoto (HT) è una malattia autoimmune specifica d’organo, caratterizzata dalla presenza di un ingrossamento tiroideo diffuso (gozzo) e dalla presenza di anticorpi antimicrosomiali (AMiA) e anticorpi ATA contro, rispettivamente, la perossidasi tiroidea (anti-TPO) e tireoglobulina (Tg) (Doniach D, 1981), gli individui che hanno maggiori probabilità di essere sensibili all'HT sono, in genere, eutiroidei o ipotiroidei, associati ad una suscettibilità individuale.Istologicamente, le ghiandole tiroidee dei pazienti affetti da HT, in genere, rivelano infiltrazioni linfo citarie e monocitarie diffuse, formazione del centro germinale e anche la distruzione dei follicoli tiroidei da apoptosi diffusa e fibrosi (Woolner et al., 1959). L'infiltrazione linfocitaria intratiroidea, caratteristica patologica dell'HT, comprende tipicamente le cellule T così come le cellule B, implicando un contributo alla patogenesi della malattia, mediante processi di immunità cellulo-mediati e umorali (Martin et al., 1992).
Recenti studi sulla suscettibilità all'HT hanno rivelato diversi nuovi aspetti interessanti: si riporta ad esempio che utilizzando il set di dati diagnostici per il personale militare degli Stati Uniti, è stato rilevato come l'HT ha la più alta incidenza negli individui bianchi ed è più bassa negli individui neri e asiatici/delle isole del Pacifico (McLeod et al., 2014). Queste discrepanze possono essere il frutto di fattori genetici e/o ambientali, svelare ciò che provoca queste differenze tra modelli etnici sarebbe un nuovo approccio per comprendere la suscettibilità. Un fenomeno correlato è il clustering differenziale di ulteriori malattie autoimmuni associate all’HT e Morbo di Graves (GD); l'HT è notevolmente associato ad altri disturbi, in particolare la malattia di Addison e il diabete mellito di tipo 1 (DM I) (Wiebolt J et al., 2011), e, ancora una volta, questo potrebbe essere il risultato di fattori genetici e/o ambientali. È stata stabilita una suscettibilità genetica dell'eredità dei modelli di autoanticorpi tiroidei, e l'aggregazione familiare di autoanticorpi tiroidei è chiaramente dimostrata in un recente studio di famiglie cinesi Han multiplex (Hou et al., 2011). Il lavoro, sui gemelli monozigoti discordanti per HT, ha dimostrato che, in assenza di patologie tiroidee, questi individui condividono comunque una propensione superiore allo sviluppo di autoanticorpi contro la perossidasi tiroidea (anti-TPO), che riconoscono uno dei due epitopi principali su questo autoantigene (Brix et al., 2011).
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Vi è un numero crescente di studi per investigare l'HT usando l'approccio genico o studi di associazione su tutto il genoma (GWAS). Questi geni possono essere ampiamente classificati in: quelli che controllano la risposta immunitaria e quelli che sono specifici per la tiroide. Tra il primo gruppo, sono stati fatti ulteriori lavori sui geni archetipici della risposta immunitaria, codificati sul complesso HLA, il che ha rivelato che l'HLA-B conferisce un aumento del rischio di sviluppo di HT nei bambini cinesi Han (usando uno studio combinato controllo e approccio basato sulla famigliarità) (Huang et al., 2012). Un altro studio caso-controllo, su scala ridotta di 75 pazienti caucasici con HT, ha scoperto che l'HLA -A2 non conferiva protezione contro le malattie, al contrario di GD (Bernecker et al., 2013). Questi risultati evidenziano la complessità di studiare anche un solo insieme di geni, con azioni sia protettive che di suscettibilità che possono essere in parte epistatiche (Ueda et al., 2014), e che hanno effetti etnicamente limitati. Il coinvolgimento nell'autoimmunità di molti altri geni immunoregolatori oltre a quelli del complesso HLA è ora chiaro; tra questi, i polimorfismi a singolo nucleotide (SNPs) in CTLA-4, PTPN22, CD40 e IL2R sono noti per avere un effetto in entrambi, GD e HT, e ulteriori informazioni provengono dalle meta -analisi. Una recente metanalisi del SNPs A49G nel CTLA-4 ha dimostrato che ciò aumenta il rischio di HT negli individui dell'Asia orientale e in quelli bianchi, con rapporti di probabilità rispettivamente di 1,48 e 1,27 (Ji et al., 2013). Al contrario, una meta-analisi di studi sul polimorfismo PTPN22 C1858T non ha trovato alcuna associazione con HT, sebbene questo fosse associato a GD (Luo et al., 2012).
Rispetto alle variazioni geniche inducenti il carcinoma papillare (PTC), è sembrato esemplificativo riportare un articolo di recente pubblicazione: Lu et al. (Lu et al., 2017) hanno valutato 138 campioni di carcinoma papillare per profilo di mutazione somatica e geni di fusione, mediante risequenziamento mirato, utilizzando un pannello di cancro (ThyGenCapTM) rivolto a 244 geni correlati al cancro e 20 potenziali geni di fusione. Almeno un'alterazione genetica (incluse mutazioni e geni di fusione ) è stata osservata 118 su 138 campioni (85,5%). Il gene mutato più frequentemente era BRAF V600E (57,2%). Inoltre, hanno identificato 11 geni di fusione, tra cui otto precedentemente segnalati: UEVLD-RET, OSBPL9-BRAF e SQSTM1-NTRK3. Alterazioni che interessano i componenti della via di segnalazione della proteina chinasi attivata dal mitogeno (MAPK) sono state osservate nel 69,6% dei casi di PTC e tutte queste mutazioni del driver si sono reciprocamente escluse. L'analisi univariata ha accertato che i geni di fusione fossero fortemente associati a distinte caratteristiche clinicopatologiche, come la giovane età, l'invasione locale, metastasi estese e stadio della malattia.
1.10.3 Polimorfisi genici delle citochine infiammatorie di interesse nelle patologie
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autoimmuni tiroidee e del carcinoma papillare
I polimorfismi nei geni che codificano o regolano le citochine costituiscono un'altra serie ovvia di candidati interessanti, ed argomento chiave per questo trattato, anche se i risultati fino ad oggi non sono stati conclusivi. Il più grande studio (su 202 pazienti affetti da HT, tunisini), recentemente, ha trovato un'associazione con un polimorfismo in ILNRN VNTR (Zaaber et al., 2014) e uno studio con una popolazione di dimensioni simili, di 182 pazienti HT cinesi, ha dimostrato che il polimorfismo rs763780 nell'IL17F, e non per i 3 SNPs studiati nel gene IL17A, può anche essere associato con HT (Walsh et al., 2011). In uno studio su piccola scala, che è
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stato comunque replicato su 3 popolazioni separate, la variante IL12B di rs6887695 era meno frequen te in HT, rispetto ai controlli (Inoue et al., 2011). Un altro studio, su 108 pazienti affetti da HT giapponesi, suddivisi in forme lievi e gravi, ha identificato un'associazione borderline con un SNPs in IL6 in HT grave, ma questo studio è compromesso dai molteplici confronti non corretti e dalle dimensioni ridotte (Inoue et al., 2011). Lo stesso gruppo, usando un campione di dimensioni simili, ha anche riferito associazioni di un SNPs in GITR con lieve, piuttosto che grave, HT; questa scoperta è in qualche modo supportata dall'identificazione di una percentuale più elevata di cellule T, che esprimono il recettore del fatto re di necrosi tumorale (TNF-alpha), indotta da glucocorticoidi (GITR) in individui con HT e con genotipo GG del SNPs (Tomizawa et al., 2011). Tali cellule T possono avere funzioni regolatorie ed effettive. La famiglia di proteine STAT sono attivatorie di trascrizione, che regolano una serie di percorsi immunoregolatori, inclusa la segnalazione di citochine (Tomizawa et al., 2011).
Utilizzando una popolazione cinese di 250 pazienti con HT, un SNPs in STAT3 è risultato essere ass ociato con HT, così come con GD (Xiao et al., 2013).
Rispetto ai geni specifici della tiroide, è stato stabilito che i polimorfismi nel gene TG sembrano conferire una suscettibilità più generale all'autoimmunità tiroidea (Ban et al., 2012). Sono stati anche fatti tentativi per capire come i polimorfismi nel TG possano essere implicati nella patogenesi; almeno una possibilità è che un SNPs associato alla malattia nel promotore conferisca una maggiore attività, ma solo in presenza di interferone (INF), che è chiaramente di interesse, dati gli effetti di questo agente terapeutico (Stefan et al., 2011). Sebbene non siano specifiche dei tessuti tiroidei, le seleno-proteine (SEP) sono fondamentali per la deiodinazione dell'ormone tiroideo e il selenio (Se) stesso può avere un ruolo nella predisposizione come fattore ambientale dietetico. In uno studio condotto su 481 pazienti con HT dal Portogallo, è stata rilevata un'associazione significativa con un promotore SNPs nel SEPS1, con un rapporto di probabilità di 2,24 (Santos et al., 2014). Degli studi sui geni candidati appena menzionati, questo è di gran lunga il più grande e il più attendibile, ma come per tutti gli altri, è richiesta la replicazione, un compito aggravato se si prendesse in considerazione l'eventuale eterogeneità conferita da: sesso, origine etnica o sottotipo di malattia. Come con altri polimorfismi che possono essere rilevanti, effetti epistatici e un'interazione con fattori ambientali, in questo caso l'assunzione di selenio (Se), aumentano la complessità dell'analisi.
Un buon esempio è la scoperta di una nuova serie di marcatori genetici, incluso il polimorfismo in MAGI3, che sono associati ad un aumentato rischio di progressione dalla positività dell'anticorpo anti-TPO nell'ipotiroidismo (Medici et al., 2014). Utilizzando un array SNPs, su misura, per analizzare oltre 100.000 SNPs comuni, in 462 pazienti con HT britannici, sono state trovate 4 nuove associazioni (7 quando il campione è stato aggiunto a un gruppo più ampio di pazienti di Graves); questi loci sono stati associati anche ad altri disturbi autoimmuni (Cooper et al., 2012). Un altro perfezionamento è stato quello di intraprendere una mappatura fine e dettagliata di un locus precedentemente collegato all’HT, sul cromosoma 10q; questo ha rivelato un'associazione con ARID5B, che è stata anche associata ad artrite reumatoide e GD in pazienti giapponesi (Tomer et al., 2013). È chiaro che una comprensione dettagliata verrà acquisita lentamente solo attraverso set di dati adeguatamente potenziati e replicati, poiché la genetica dell'HT è molto più complessa di quanto si pensasse in precedenza. L'associazione non significa causalità e sono necessari ulteriori lavori per
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capire come alcuni SNPs esercitano il loro effetto, come potrebbero interagire tra loro, attraverso l'epistasi, e come interagiscono anche con i fattori ambientali.
Riprendendo il ruolo delle citochine pro-infiammatorie, queste sono quindi coinvolte nella patogenesi della Tiroidite di Hashimoto (Doniach, 1981). Per alcuni specifici polimorfismi del gene delle citochine pro-infiammatorie si potrebbero identificare marcatori genetici per la suscettibilità di un individuo all'HT. Un recente studio, nel quale si vedono arruolati 107 pazienti affetti da AIDT-HT e 163 controlli, ha analizzato polimorfismi a sito singolo di alcuni geni di citochine pro-infiammatorie di interesse per i malati di AITD-HT. I polimorfismi che vengono evidenziati erano per il gene interleuchina IL‐1β al promotore e esone 5, rispettivamente; inoltre, si vede un numero variabile di ripetizioni in tandem (VNTR) per il gene dell'antagonista del recettore IL‐1 (IL‐1Ra) nell'introne 2 e un polimorfismo per il gene IL‐6 al promotore; infine, un polimorfismo per il gene del fattore di necrosi tumorale (TNF-alpha) al promotore (Rong-Hsing Chen et al., 2006). Il confronto tra l'analisi del genotipo per i restanti polimorfismi genici e l'analisi allelica per tutti i polimorfismi genetici schermati, tuttavia, non ha fatto emergere significatività per quanto rig uarda la frequenza del genotipo (Rong-Hsing Chen et al., 2006).
Andando oltre, si può chiarire le premesse dicendo come le reazioni immunitarie associate all'HT iniziano con la stimolazione dei tireociti da parte di una citochina specifica, l'interferone -gamma (IFN-gamma), con conseguente espressione di entrambe le molecole di classe I e di antigene leucocitario umano (HLA) sulla superficie cellulare dei tireociti coinvolti. Il percorso limitato alla classe I dell'HLA è coinvolto nell'attivazione delle cellule T citotossiche e provoca danni diretti o apoptosi indotta dal ligando Fas -Fas (FasL) dei tireociti (Giordano et al., 1997). D'altra parte, le reazioni HLA di classe II, quando sono coinvolte, attivano le cellule T helper, stimolano la proliferazione e la differenziazione delle cellule B e aumentano la conseguente produzione dell'anticorpo corrispondente (Ab). Sia AMiA che ATA fissano il complemento e sono quindi direttamente citotossici per i tireociti (Chiovato et al., 1993).
Citochine infiammatorie, funzionali ai nostri scopi, son principalmente: interleuchina IL-1, IL-6 e fattore di tumornecrosi-alpha (TNF-alpha) (Rosenwasser et al., 1998). Il loro significato o ruolo biologico, è quello di, banalmente, essere responsabili dell'induzione di risposte alle malattie acute e anche in grado di mediare reazioni immunologiche multiple, come l'attivazione delle cellule T, e poi la stimolazione delle cellule B, l'espressione delle molecole HLA e di Fas, chiaramente coinvolte nella patogenesi dell'HT (Giordano et al., 1997; Kissonerghis et al.,1989).
È ambizioso descrivere con sufficiente completezza la complessità dei meccanismi gene tici alla base dell'HT. Pertanto, procedendo per gradi, c’è da concentrarsi principalmente sul ruolo di l'HLAregion (Weetman, 1992). È stato segnalato che l'HLA-DR5 è associato ad un rischio aumentato di 3,4 volte di HT per i caucasici, mentre è stato dimostrato che alte frequenze di HLA-DRB4 0101 e HLA-A2 non sono rare tra i malati di HT giapponesi (Wan et al., 1995).
Esiste solo uno studio in Letteratura che ha riferito un'associazione tra una specifica variante allelica del TNF-alpha (TNF-TNF-alpha) e HT (Bougacha-Elleuch et al., 2004) ma sarebbe limitante, concentrarsi in un’unica direzione. Avere approccio poliedrico, ipotizzando delle interconnessioni, ci permette osservare, da una prospettiva più globale, al meglio la questione. È favorevole, in questo contesto, soffermarci sull'aspetto
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sincrono di HT e carcinoma tiroideo papillare (PTC). A tal proposito, si riporta uno studio in cui si indaga il legame immunologico tra le due entità (Ahmed et al., 2012): possono essere postulati tre diversi pato-meccanismi, tra cui l'autoimmunità pre-esistente che porta alla malignità a causa dell'infiammazione, l'immunità alle cellule tumorali pre-esistenti che portano all'autoimmunità specifica, e la perdita di tolleranza immunitaria che porta alla malignità nonostante l'immunità (auto) (Latina et al. 2013). In un articolo specificatamente, si riportano i dati che descrivono questi potenziali meccanismi che potrebbero portare alla comparsa sincrona di HT e PTC (Oncotarget et al., 2017). Ma a fronte di un importante metanalisi (Oncotarget et al., 2017) che vuole mettere chiarezza ad un tema che fino ad ora era rimasto inconcludente: di come la tiroidite di Hashimoto (HT) predisponga i pazienti allo sviluppo del carcinoma papillare della tiroide (PTC), si può affermare che in questa metanalisi, in cui sono stati selezionati 27 studi ammissibili, tra cui 18 studi di tiroidectomia in archivio, 6 studi di aspirazione con ago sottile (FNA) e 3 studi selettivi di FNA o tiroidectomia, per un totale di 76.281 pazienti, inclusi 12.476 casi di carcinoma tiroideo, si evidenzia come in tutti e tre i tipi di studi hanno supportato la correlazione tra HT e PTC. La meta-analisi ha confermato che HT predisponeva i pazienti allo sviluppo di PTC (Xingjian et al., 2017) (A meta-analysis of Hashimoto’s thyroiditis and papillary thyroid carcinoma risk. Xingjian Lai,1 Yu Xia,1 Bo Zhang,1 Jianchu Li,1 and Yuxin Jiang1, 2017). Questa meta-analisi ha mostrato che il PTC è stato trovato più spesso nei pazienti con HT rispetto ai pazienti senza HT. Tuttavia, c'era una significativa eterogeneità tra gli studi e le potenziali spiegazioni possono includere variazioni nei metodi di studio, diversi criteri di inclusione del paziente e criteri diagnostici eterogenei per HT e PTC.
La meta-analisi, in questione, e altri studi confermerebbero che la relazione tra infiammazione e PTC è complessa e non è ancora del tutto chiara (Guarino et al., 2010). Si è comunque trovato un tasso significativamente più alto di infiltrato linfocitario nei pazienti con PTC e la risposta infiammatoria attivata presente nell'HT può creare un ambiente favorevole per la trasformazione maligna (Tamimi, 2002). La risposta infiammatoria può causare danni al DNA attraverso la formazione di specie reattive d ell'ossigeno (ROS), con conseguenti mutazioni che alla fine portano allo sviluppo di PTC (Azizi et al., 2011). Sia gli studi retrospettivi sia uno studio prospettico suggeriscono che l'associazione di HT con PTC è specifica dell'anticorpo (Azizia et al., 2011; Azizib et al.,2011; Kim et al., 2010); tuttavia, il meccanismo alla base di questa associazione non è noto e per comprendere meglio i potenziali meccanismi sono necessari ulteriori studi.
Sempre riguardante lo stato infiammatorio nel microambiente del cancro alla tiroide si può ricordare come il nostro team di lavoro abbia pubblicato nel Settembre 2019 un articolo interessante proprio questi aspetti (Ferrari et al., 2019). In particolare si riporta come all'interno del microambiente tumorale, le cellule immunitarie innate (ad es. macrofagi, mastociti, neutrofili) e le risposte immunitarie adattative (ad es. linfociti) sono interconnesse con le cellule tumorali epiteliali, i fibroblasti e le cellule endoteliali tramite citochine, chemochine, e adipocitochine (Ferrari et al., 2019). Si conclude che il modello molecolare di citochine e chemochine ha un ruolo chiave e potrebbe spiegare il coinvolgimento del sistema immunitario nell'inizio e nella progressione del tumore (Ferrari et al., 2019).
È interessante notare che i dati riportati da Haymart et al. (nel 2008) riportano come la frequenza delle metastasi dei noduli era significativamente più alta nei pazienti con PTC con una diagnosi pre -chirurgica di