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La Vita Nuova online: Analisi e valutazione degli e-text del libello dantesco.

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Capitolo 1 : La Vita Nuova, dal cartaceo al digitale.

1.1 La struttura dell’opera:

Composta probabilmente tra la fine del 1292 e gli inizi del 1293, la Vita Nuova è la storia ideale, «fervida e appassionata»1 dell’amore di Dante per Beatrice. L’opera rappresenta un punto di svolta nell’itinerario dantesco essendo “il primo tentativo di sistemazione di una materia biografica trasferita su un piano tipico e simbolico”2. Essa raccoglie una parte dei testi poetici composti dall’autore nella giovinezza, tralasciando quelli non essenziali e poco significativi, inseriti lungo un racconto in prosa sotto forma di commento alla materia poetica. Sul modello della Consolatio di Boezio, l’opera ha la struttura di un prosimetro, cioè di un testo in cui si alternano poesia e prosa, comprende venticinque sonetti, tre canzoni compiute, due incomplete (due stanze di canzone) e una ballata, per un totale di trentuno liriche. Lo studioso Gianfranco Folena definisce il libello dantesco (così il Poeta chiama il suo prosimetrum): «un testo unico ma costituito da tre testi: le poesie originali, le occasioni narrative, o provenzalmente ragioni, e le loro divisioni, ovvero le scomposizioni delle poesie nelle loro sezioni tematiche, a scopo esplicativo».3 Le informazioni riguardo alla genesi dell’opera sono ancora oggi esigue e poco chiare, infatti la tradizione manoscritta non serba traccia dell’elaborazione della Vita Nuova, per questo è fondamentale affidarsi alle informazioni fornite sia da Dante stesso sia dal primo “editore“ del libello: Giovanni Boccaccio.

Nel breve ”proemio” della Vita Nuova ( edizione Barbi 1907) si legge:

In quella parte del libro de la mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere si trova una rubrica la quale dice: Incipit vita nova, sotto la qual rubrica io trovo scritte le parole le quali è mio intendimento d’assemplare in questo libello; e se non tutte almeno la loro sentenzia4

1“ E se nella presente opera, la quale è Convivio nominata e vo’ che sia, più virilmente si trattasse che ne La Vita Nuova, non intendo a quella parte alcuna derogare, ma maggiormente giovare per questa quella;

veggendo sì ragionevolmente quella fervida e passionata, questa temperata e virile esser conviene.”( I, 1 16)D. ALIGHIERI, Convivio, a cura di Cesare Vasoli e Domenico De Robertis, Firenze editore, 1995.

2 N. SAPEGNO, Dante Alighieri, in SLIG, vol. II 1965, p. 46

3 G. FOLENA, Scrittori e scritture. Le occasioni della critica, Il Mulino, Bologna 1997, p.312. 4 D. ALIGHIERI, La Vita Nuova, a cura di Michele Barbi, Firenze Società Dantesca, 1932, p. 3

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Mentre Giovanni Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante scriveva:

Egli primieramente, duranti ancora le lagrime della morte della sua Beatrice, quasi nel suo ventesimosesto anno compose in uno volumetto, il quale egli intitolò Vita Nova, certe operette, sì come sonetti e canzoni, in diversi tempi davanti in rima fatte da lui, maravigliosamente belle.5

L’autore si presenta nell’umile veste del copista intento a trascrivere fedelmente, dunque “assemplare”, le “parole” scritte nel “libro della memoria”. Mentre Giovanni Boccaccio nel Trattatello afferma che le rime del “volumetto” dantesco non sarebbero state composte tutte nella stessa epoca (in diversi tempi davanti in rima fatte) e fornisce delle indicazioni precise sulla partizione dei testi, delineando la natura composita del testo. Erich Auerbach6 nel 1971 era già fermamente convinto che gli avvenimenti che si succedono sfogliando le pagine della Vita Nuova, non possono aver avuto luogo nel modo e nel tempo che vi si dice. Dunque la narrazione dantesca non segue pedissequamente la verità storica legata al ricordo dell’autore, anzi è proprio quest’ultimo a manipolare e rendere artefatta la sua esperienza giovanile. Studiosi come Roberto Leporatti7, Domenico De Robertis,8 Sergio Cristaldi9 studiando la struttura del prosimetro, hanno chiaramente affermato che la finctio dantesca non può essere ritenuta attendibile sul piano storico biografico. La trama poetica venne composta prima della sezione in prosa alla quale l’autore lascerebbe soltanto una funzione connettiva e ancillare rispetto a quella delle liriche; anche se non si può nemmeno escludere che qualche lirica sia stata scritta successivamente alla concezione del libro. Un tentativo originale e molto interessante venne compiuto nel 1976 dallo studioso Ignazio Baldelli, il quale attraverso l’analisi della sintassi e del lessico delle due sezioni dell’opera, provò a ricostruire l’ordine cronologico in cui Dante avrebbe composto la parte poetica e quella narrativa. Baldelli giunge a questa conclusione:

Nella Vita Nuova il legame fra poesia e prosa diviene sistematicamente stretto, si direbbe organico, dopo il capitolo XVIII (prendendo come riferimento l’edizione Barbi) […]

5 G. BOCCACCIO, Trattatello in laude di Dante, in Id., Tutte le opere, a cura di V. Branca, vol. III,

Mondadori, Milano 1974, p.481.

6 E. Auerbach, Studi su Dante, Feltrinelli, Milano 1971, p.55

7 R. LEPORATTI, “Ipotesi sulla “Vita Nuova” in Studi Italiani, n.7, anno IV, edizioni Cadmo, 1992, pp. 5-36 8 D.DE ROBERTIS, Il libro della “Vita Nuova”, Firenze, 1961, p.18

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Prose come la premessa al primo sonetto o quelle dei capitoli III, VII, VIII, IX, XII, XIII, XIV appaiono essere una patente operazione a posteriori anche se di continuo la prosa viene riportata alla sua funzione di occasione della poesia10

Quella della struttura compositiva della Vita Nuova è una questione ancora oggi al centro di varie discussioni di critica letteraria. È indubbio che la decisione dantesca di giustapporre alle invenzioni liriche, regolate da precise scelte metriche, le narrazioni e i commenti prosastici sciolti da ogni regolamentazione prosodica è fra le scelte più rivoluzionarie della storia letteraria medievale. Tra le fonti a cui il Sommo Poeta si ispirò per la composizione dell’opera compaiono altri prosimetra provenienti sia dal mondo antico, come la Consolatio Philosophiae di Boezio (dalla quale si distacca dal punto di vista tematico), sia dal mondo mediolatino e volgare come le poesie dei trovatori. A tal proposito il filologo Pio Rajna aveva annoverato tra i possibili modelli del libello dantesco anche i canzonieri trobadorici dove alle cansos e ai sirventes, composti dai trovatori, si aggiungono le vidas e le razos scritte dai loro commentatori. Così scrive lo studioso:

Possediamo una biografia (vida) di Bertran de Born […] nella quale si riportano per intero nientemeno che venti poesie del fiero Signore di Altaforte […] E in questo caso […] la biografia non è proprio che una serie di razos, sicchè la prosa viene ad essere in tutto subordinata alle rime11

Lo studio della struttura creata da Dante nel libello offre ancora oggi interessanti spunti di riflessione che non è possibile approfondire in questa sede poichè questa breve panoramica introduttiva serve a presentare un duplice problema: la paragrafazione e il titolo dell’opera. Come vedremo nei capitoli successivi, le due edizioni critiche di riferimento, quella di Michele Barbi dell’anno 1907 e quella di Guglielmo Gorni del 1996, hanno una impostazione totalmente diversa.

1.2 Le principali edizioni critiche della Vita Nuova

10 I. BALDELLI, Sul rapporto fra prosa e poesia nella “Vita Nuova”, in La Rassegna della Letteratura Italiana, serie VIII, pp. 325-337, Firenze, Sansoni, Settembre-Dicembre 1976.

11 P. RAJNA, Lo schema della “Vita Nuova”, estratto dalla Biblioteca delle Scuole Italiane, n.11, vol II,

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L’affermazione editoriale della Vita Nuova è un fenomeno tutto ottocentesco, a partire dal 1827 l’opera fu ripetutamente pubblicata, ora singolarmente ora in raccolte miscellanee di opere dantesche, corredate da ampie introduzioni e da numerose note esegetiche. Insigni dantisti si posero come obiettivo quello di migliorare il testo, tra costoro ricordiamo Pio Rajna, Karl Witte e Tommaso Casini grazie ai quali si registrarono notevoli progressi nell’ambito della conoscenza della tradizione manoscritta.La mancanza di una collazione integrale dei codici e di uno studio analitico dei rapporti genealogici tra i vari manoscritti, aveva generato edizioni critiche poco affidabili e dunque non autorevoli. Una svolta decisiva si registra nel corso XIX secolo, grazie all’opera della neonata Società Dantesca Italiana, che si assunse l’onere di una nuova edizione critica di tutte le opere di Dante.

In questa sede mi limiterò a presentare soltanto quattro edizioni critiche di riferimento: la prima è quella dello studioso Michele Barbi, il primo al quale la Società Dantesca affidò l’incarico ufficiale di preparare l’edizione nazionale della Vita Nuova di Dante. La prima edizione viene pubblicata nel 1907 ma Barbi ritornerà sul suo lavoro altre due volte, a cui corrispondono la pubblicazione di altre due edizioni nazionali, nel 1921 e nel 1932.

I. In Firenze si costituiva una Società dantesca italiana per “accomunare gli studi di tutti i dotti della Penisola intorno alla Divina Commedia e all’altre opere dell’Alighieri, e per renderli più divulgati ed efficaci. […] Ma chi coltivi le letture nostre sa meglio di me quanto scarsi siano i sussídi bibliografici per gli studi danteschi, […] ed è ben persuaso delle necessità di porre a fondamento delle ulteriori ricerche una bibliografia, compiuta, sistematica, per materie, ragionata, universale, come universale è il culto di Dante. III. Un’edizione critica di tutte le Opere di Dante è insieme con questi lavori preparatorii il desiderio di quanti hanno a cuore gli studi sul grande Poeta; perché è inutile o almeno non prudente, discorrere del pensiero di Dante senza conoscer precisamente quello che egli abbia scritto.”

(Barbi, 1894)12

In un breve articolo del Giornale Dantesco, il giovane Michele Barbi illustra chiaramente le difficoltà riscontrate nel far nascere in Italia il culto del Sommo Poeta. Con «infaticato ardore» negli anni successivi alla fondazione della Società Dantesca, a Firenze si registra un continuo moltiplicarsi di studi intorno alla figura e alle Opere dell’Alighieri, in Italia e all’estero. Questo crescente entusiasmo permise agli studiosi di far luce sulle

12 M. BARBI, Gli Studi Danteschi e il loro avvenire in Italia, in Giornale Dantesco, n.1, Venezia, Leo S.

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testimonianze dantesche, eliminando le più infide e raccogliendo quelle ritenute filologicamente affidabili.

Dopo aver esposto nella prima parte dell’articolo le insidie che accompagnano la creazione di un’edizione critica, Barbi sposta la sua attenzione sul libello giovanile dell’Alighieri e della Vita Nuova esalta la «chiarezza del dettato» e la mancanza di gravi alterazioni dovuta alla sua scarsa diffusione nei secoli precedenti. Nonostante le buone premesse, Barbi ritiene necessario una rianalisi delle varianti per poter scegliere la «lezione sicura di quell’operetta». Le parole che Michele Barbi scrive nel Giornale

dantesco risalgono all’anno 1893 ma la pubblicazione dell’opera avverrà circa quattordici

anni dopo, nel 1907, a causa dell’improvvisa scoperta di un importante manoscritto, nel novembre del 1905.13 In merito alle tre edizioni della Vita Nuova di Barbi è necessario fare alcuni chiarimenti sulle modifiche che il filologo apportò nel testo col trascorrere degli anni.

In occasione del VI centenario della morte di Dante Alighieri, il consiglio Direttivo della Società Dantesca Italiana promosse la pubblicazione del testo di tutte le opere del Sommo Poeta. L’obiettivo principale era quello di offrire ai lettori un testo sicuramente più fedele di quello curato da Moore,14 editore di alcuni testi danteschi, divenuti a tutti gli effetti la vulgata, come nel caso della Commedia. Nel 1921 la Società Dantesca offriva al pubblico quella che verrà definita “L’edizione del Centenario”: si tratta di un libro privo di apparati e di corredo filologico, ma pur sempre fedele all’edizione nazionale. Come coordinatore di questa impresa venne scelto Michele Barbi, che nella Prefazione illustra, con la precisione che lo contraddistingue, i criteri complessivi adottati in ciascuna opera di Dante. Il volume si apre proprio con il testo della Vita Nuova, che fino a quel momento poteva vantare una assoluta e indiscussa autorevolezza, a differenza ad esempio del testo del De Vulgari Eloquentia di Pio Rajna, costretto a revisionare integralmente l’edizione da lui stesso curata in quegli anni.

L’edizione del 1921 di Michele Barbi appare, rispetto alla prima, grossomodo immutata, infatti l’editore la pubblica apportando soltanto dei piccoli “ritocchi”. La maggioranza di essi sono mutamenti nell’ortografia e nella punteggiatura, per uniformare il libello a altre opere volgari di Dante, e mirano “a rendere facile al lettore moderno la

13 Il codice ritrovato nel 1905, ritenuto da Barbi “molto importante”, non è precisato ma è certamente il

codice 104 6 della Biblioteca Capitolare di Toledo (=To) capostipite della tradizione Boccaccio.

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retta percezione del fenomeno fonetico”. Tra le modifiche più rilevanti vi è introduzione della geminata dopo il prefisso, come nelle forme avvenire, accompagnare, addivenire.. Negli anni successivi a causa della scomparsa di alcuni dei più autorevoli artefici dell’impresa volta alla realizzazione dell’Edizione Nazionale delle opere di Dante, si concluse silenziosamente la “fase eroica” della Società Dantesca Italiana. Negli anni successivi al 1921 le attività di ricerca diminuirono drasticamente, ciò nonostante Michele Barbi si rivelò uno studioso instancabile, continuando a lavorare sul testo della Vita

Nuova fino al 1932, anno della terza e ultima edizione dell’editore. Nella nuova Prefazione dell’opera, Barbi ammette di aver dovuto riconsiderare il problema filologico

del testo del libello e di esser giunto, attraverso il confronto con le Rime di Dante e con alcune opere di Boccaccio, a nuove conclusioni. Con l’esperienza maturata nel tempo giunge a una classificazione dei testimoni più sicura, precisa e convincente senza mai apportare novità decisive, tanto che dopo circa vent’anni il lavoro iniziale rimase sostanzialmente inalterato. Il testo della V.n. 1932 si avvicina moltissimo a quello del 1921, tanto per la forma quanto per la sostanza; vengono invece quasi interamente rifatte le note critiche che accompagnano il testo, arricchite di nuove argomentazioni elaborate in seguito alle discussioni sorte dopo l’edizione del 1907.

Indiscutibilmente a Michele Barbi è doveroso riconoscere l’intelligenza e il rigore di metodo nell’accurata ricostruzione e descrizione della tradizione manoscritta e a stampa del libello, la capacità dell’editore di saper valutare le varianti adiafore (i confronti sono stabiliti sulla base di errori monogenetici). Barbi raggruppa i codici della Vita Nuova in due grandi famiglie, α e β, che non derivano d’autografo di Dante ma da un archetipo. Dal confronto tra α e β il filologo riscontra pochi errori manifesti e ne deduce che durante il passaggio dall’autografo al capostipite delle due tradizioni è accertabile un basso tasso di corruzione del testo, il quale può essere sanato per congettura dell’editore stesso. Nei casi di incertezza tra due lezioni possibili o di contraddizione fra le due tradizioni, i criteri di scelta possono essere vari: analisi del contesto, storia della lingua, l’usus scribendi e la

lectio difficilior. Ciascuna delle due famiglie (sopra citate) dà origine a due gruppi

principali: da α deriva il gruppo più folto costituito da k e b; il primo gruppo di α è chiamato Chigiano, dal nome del suo codice più antico e autorevole, cioè il trecentesco K. Il secondo gruppo della tradizione α, cioè la sottofamiglia b, è quella del Boccaccio di cui si conserva il capostipite, il codice Toledano (To), autografo del Certaldese. Più intricato è il secondo ramo della tradizione, quello appartenente a β a cui appartengono il

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gruppo s (Strozziano) e il gruppo x. Mentre s è formato solamente da due manoscritti: il trecentesco S e il suo collaterale V, esemplato tra il XIV e il XV secolo; più articolata è la sottofamiglia x, a sua volta distinta in due rami: y (a cui appartengono il codice M e Barb15 e il ramo w comprendente C e W) e z (di cui fanno parte i mss. P, Co, Mgl raggruppati nella sottofamiglia p; e collaterale A). 16

L’operato del Barbi rimarrà indiscusso per circa ottant’anni, fin quando nel 1996 lo studioso Guglielmo Gorni, con acribia di lavoro rianalizzerà da cima a fondo l’intero operato del suo predecessore, apportando modifiche sostanziali tanto nello stemma

codicum quanto nell’ortografia e nell’assetto della struttura dell’opera, provocando una

scissione nel mondo della filologia dantesca. Avendo già stabilito per grandi linee i rapporti genealogici tra i vari manoscritti della tradizione barbiana, vorrei soffermarmi su quelle che sono state le modifiche principali apportate da Guglielmo Gorni nello stemma

codicum del 1907. Conclusa questa sezione tratterò di tre questioni spinose ma di

fondamentale importanza: il titolo dell’opera, il numero dei paragrafi in cui viene suddiviso il testo e l’ortografia.

Nel 1996 nella collana “Nuova raccolta di classici italiani annoti” diretta da Cesare Segre comparve per la prima volta un’edizione integralmente rielaborata del libello dantesco, come si può notare immediatamente dal titolo scelto per l’opera, la Vita Nova di Guglielmo Gorni. Si tratta di un’edizione non propriamente critica, ma di un’edizione annotata e accompagnata da un cospicuo apparato esegetico, che dimostra come il testo dell’opera sia stato profondamente rinnovato. I piani alti dello stemma barbiano restano sostanzialmente immutati poiché ritenuti validi e indiscutibili sia per il nuovo editore e sia per quelli successivi (Carrai e Parodi).

Riproduco in basso una versione essenziale del celebre stemma di Michele Barbi, isolando esclusivamente i piani alti della tradizione17:

15 Barberiniano Lat. 4036, appartenente al ramo β della tradizione adespoto e anepigrafo. 16 L’immagine dello stemma codicum è stato inserito in appendice.

17 La semplificazione dello stemma è quella proposta da Roberto Rea in La Vita nova: questioni di ecdotica, in Critica del testo, Dante, oggi, XIV/1, 2011.

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ω

α β

k b

s x

(K) (To) (S) (M)

Diversa è la situazione per i codici che ricoprono le posizioni più basse dello stemma, ad esempio: Gorni sostiene che il frammento O, di dubbia collocazione e appartenente probabilmente al ramo β della tradizione secondo Barbi, sia collaterale di M; mentre la seconda copia Boccacciana (K2) sarebbe, per il nuovo editore, collaterale e non descriptus di To. Tra tutti i codici analizzati da Guglielmo Gorni sarebbe M quello che fra tutti può essere considerato il più antico testimone dell’opera, e forse anche il più prezioso perché il più conservativo di forme arcaiche e con un assetto interno molto vicino a quello originale. È bene ricordare che i casi sopra elencati sono quelli in cui il lavoro del Gorni diverge totalmente da quello del suo predecessore e che lo costrinsero a ricollazionare per intero i mss. K, To, K2, S e O. Nell’ambito della costitutio textus il nuovo editore rintraccia nelle lectiones singulares di k, d’importanza fondamentale nello stemma

codicum barbiano, un’intensa attività di interpolazione tipica del copista del Chigiano, cioè Giovanni Boccaccio. Infatti nelle prime pagine della Nota al testo, Gorni avverte immediatamente il lettore:

Si può affermare senza enfasi che tutto è stato cambiato, fin dal titolo. […] si è dimostrato che il testo tràdito dal Chigiano L VIII. 305 (K), cui Barbi aveva dato gran credito, è interpolato in più

lectiones singulare […]; si sono messe in luce certe tacite innovazioni, o perfino errori di stampa,

nelle edizioni barbiane del 1921 e del 1932.18

Nel corso della Nota al testo il curatore sostiene che alcune delle varianti accettate da Barbi (rilevate nel ramo k) non possono essere giudicate caso per caso ma discusse e

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rifiutate in blocco. La questione delle lectiones singulares è stata sapientemente riassunta dallo studioso Roberto Rea, che nel suo saggio La Vita nuova: questioni di ecdotica, propone ulteriori riflessioni su alcuni punti nodali di ordine testuale e linguistico; l’autore sceglie come punto di partenza la riflessione esposta dallo studioso Ernesto Giacomo Parodi, nel Bullettino della società dantesca italiana.19 Parodi fu uno dei primi filologi a recensire il lavoro del giovane e Barbi, e in seguito a una prima analisi si dichiara colpito da « un accordo non raro di b con Beta in omissioni non tutte di lieve importanza, posto che siano omissioni», mentre in k si registrava una « una lezione in qualche misura eccedente rispetto a b e Beta». Parodi oltre a far notare come il comportamento di Barbi, in relazione alle suddette lezioni, non fosse stato univoco, ipotizza la «possibilità di antica contaminazione, parziale o superficiale, di b o del suo originale, con qualche codice di Beta o col suo archetipo».20

Nonostante le osservazioni che seguirono alla pubblicazione della sua edizione, Michele Barbi rifiutò senza troppi indugi l’ipotesi di contaminazione proposta da Parodi e alla spinosa questione dedicò l’ultimo comma dell’Introduzione della terza edizione del libello, quella del 1932. La questione rimase sopita fino all’edizione di Guglielmo Gorni, il quale in un interessante contributo preparatorio alla pubblicazione dell’edizione del ’96, intitolato Lacuna e interpolazione, affrontò il problema delle lectiones singulares di k.21 Gorni sostiene chiaramente che:

[…] qui Barbi chiude gli occhi dinanzi all’evidenza: se la concordanza in lacuna di b + Beta non è frutto di contaminazione (ipotesi di Parodi), se i due rami non sopportano una riunione su un piano più altro, l’unica soluzione logica che s’impone è che b +Beta attestino la lezione originale, e che l’altro ramo della tradizione, cioè k, interpoli, aggiungendo di suo elementi spuri.22

Durante la preparazione della nuova edizione del libello Gorni passò in rassegna tutti i casi in cui il codice k si distacca dalla tradizione, riconoscendo infine nella testimonianza offerta dal manoscritto una eccessiva tendenza verso la «ridondanza formulare e il

19 Il primo che già oltre un secolo fa, rifiutò di affidarsi totalmente al più illustre rappresentante della

tradizione, il Chigiano L VIII. 305, fu lo studioso Ernesto Giacomo Parodi. Nella sua recensione all’edizione Barbi del 1907 (in Bullettino della società dantesca italiana, 14, 1907, pp.81-97), Parodi sottolineava polemicamente: “(K) è divenuto negli ultimi tempi il beniamino degli editori della Vita Nuova”.

20 Cfr. Parodi, recensione cit , pp. 88- 89.

21 G.GORNI, Lacuna e interpolazione, in La Filologia testuale e le scienze umane, Atti dei Convegni Lincei,

Roma 1994, pp.189 – 212.

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pleonasmo», che inficerebbe inevitabilmente il valore del manoscritto. Le conclusioni a cui giunge Guglielmo Gorni riguardo alle quattordici lectiones di k, sono stata ampiamente condivise anche dallo studioso Paolo Trovano, il quale nel corso degli anni ha mosso diverse obiezioni all’edizioni einaudiana del ’96. Trovato sostiene la necessità di dover rinunciare ad alcune eccedenze sostanziali del Chigiano, sì seducenti ma inconciliabili con la tradizione.

Nonostante le evidenti divergenze tra i due editori, Guglielmo Gorni non sminuì mai il lavoro ecdotico realizzato ben novant’anni prima, come si evince dalle sue stesse parole:

[…] Ma nell’esercizio della filologia testuale, su base stemmatica, il Barbi non teme confronti. Vide giusto più spesso di tutti, e in più prove: e anche la qualità ha il suo peso.23

Concludo questa panoramica sull’edizioni del libello dantesco segnalando quelle più recenti e di rilievo. La prima è quella di Stefano Carrai, che nel 2009 pubblica una nuova edizione del libello; in ambito ecdotico l’edizione Carrai può esser vista come una via di mezzo tra le antitetiche posizioni rivestite nel corso del Novecento dal Barbi e dal Gorni. La seconda è quella di Donato Pirovano24, il quale seguendo la scia tracciata dagli studi di Stefano Carrai, torna a mettere in discussione alcuni punti particolarmente critici, sui quali mi soffermerò di volta in volta: il titolo dell’opera, il numero dei paragrafi, il ruolo del manoscritto K (Chigiano L VIII 305) come possibile testo base e come modello di riferimento per la scelta veste linguistica del libello.

Per semplificare la lettura e la trattazione, introduco qui le seguenti sigle delle edizioni critiche alle quali farò riferimento nel corso dell’esposizione:

V.n. 1907 = La Vita Nuova per cura di M. Barbi, Firenze, Società Dantesca Italiana Editrice, 1907.

23 G. GORNI, Lisetta (Dante, “Rime” CXVII, CXVIII, LIX), in Omaggio a Gianfranco Folena, Padova,

Editoriale Programma, 1993, I pp.477-490.

24 Nuova Edizione commentata delle Opere di Dante, a cura di Donato Pirovano, Marco Grimaldi, introduzione di Enrico Malato, Salerno Editrice, 2015.

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V.n. 1921 = Vita nuova, in Le Opere di Dante. Testo critico della Società Dantesca Italiana a

cura di M. Barbi, E.G Parodi, F. Pellegrini, E. Pistelli, P. Rajna, E. Rostagno, G. Vandelli, 1921

V.n. 1932 = La Vita Nuova di D.A. Edizione critica per cura di M. Barbi, Firenze, Bemporad, 1932

V.n. 1996 = D.A., Vita Nova, a cura di G. Gorni, Torino, Einaudi, 1996.

V.n. 2009 = D.A., Vita nova, Introduzione, revisione del testo e commento di S. Carrai, Milano,

Rizzoli, 2009

V.n 2015 = Per una Nuova Edizione commentata delle Opere di Dante a cura di Donato Pirovano

e Marco Grimaldi, Salerno Editrice, 2015.

Del lavoro ecdotico svolto da ciascuno dei filologi sopra citati prenderò in considerazione solo alcuni aspetti a cui seguirà una breve panoramica relativa alla classificazione dei manoscritti. Questa scelta serve a rendere chiaro al lettore quali sono stati i criteri da me adottati nel cercare di identificare, là dove non è resa esplicita, la fonte cartacea su cui si basano alcune edizioni online della Vita Nuova. Si sono rivelate fondamentali, per far chiarezza nello sterminato mare magnum digitale, alcune spie ortografiche e il numero dei paragrafi in cui l’opera viene suddivisa. La decisione di approfondire dettagliatamente soltanto due parametri di riferimento ha come conseguenza lampante un’analisi ecdotica estremamente ridotta rispetto sia all’operato del Barbi sia a quello del Gorni; d'altronde il fine ultimo del mio lavoro di tesi è quello di permettere al lettore di districarsi, nel modo più agevole possibile, tra le nuove problematiche sorte nel campo della filologia digitale.

1.3 I manoscritti della Vita Nuova

A completamento di questa sezione, si elencano qui in basso in ordine alfabetico, adottando le sigle introdotte da Barbi, i manoscritti fondamentali della Vita Nuova accolti

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nella bibliografia critica del prosimetro, accompagnati da una breve descrizione codicologia e paleografica. 25

A = Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, Ashburnham 843

Manoscritto cartaceo dell’inizio del secolo XVI, di mm 208 x 140, il codice A è composto di cc. i,104. La Vita nuova è scritta a piena pagina ma con ampi margini e occupa le cc. 1r – 64v. La tracciatura delle righe prevede 21 righe per carta; la scrittura è una corsiva umanistica. Dopo il libello seguono 16 canzoni di Dante introdotte a c.65r. Sebbene il copista abbia previsto per le prime carte la miniatura di alcune lettere incipitarie, tanto che sono presenti degli spazi bianchi, essa non è stata eseguita. La sezione relativa alla

Vita nuova non ha alcuna decorazione, le rubriche e le iniziali con inchiostro rosso si

trovano nella sezione delle canzoni.

Nel testo in prosa invece il copista utilizza come segni di punteggiatura la virgula, i due punti e il punto.

Am = Biblioteca Ambrosiana di Milano, R 95 sup.

Questo codice cartaceo, di mm.340 x 230, costituito da i, 327, è un’ampia miscellanea di testi vari (discorsi, relazioni, lettere…) scritti da mani diverse in un periodo compreso tra il 1550 e il 1601. La Vita nuova è copiata da una mano del secolo XVI nelle cc. 230r- 251v. Il copista trascrive tutto il testo in prosa, ma riporta il primo verso di ogni poesia, sempre collocato al centro del rigo.26

Nel testo l’amanuense utilizza come segni di interpunzione la virgola e il punto; nel margine sono presenti alcune annotazioni di parole o forme notabili (es.: serventese,

dubitosamente…) esse sono di mano del copista. Nel codice è rintracciabile una seconda

mano che ha corretto alcuni errori dovuti alla distrazione del menante.

C = Biblioteca Apostolica Vaticana, Capponiano 262

25 Per la descrizione dei singoli manoscritti mi sono avvalsa dei più recenti studi del Professor Donato

Pirovano, il quale ha rianalizzato il testo del libello nell’anno 2012, per una Nuova Edizione commentata

delle Opere Dantesche. Vedi in Rivista di Studi Danteschi, XII, anno 2012, Salerno Editrice, Roma. 26 L’unica eccezione è rappresentata dal sonetto Era venuta, in quanto tutto il cominciamento è scritto è

trascritto di seguito come se fosse un testo in prosa. Viene evidenziato solo il v. 1 del secondo cominciamento.

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Il codice appartiene al Fondo Capponi della BAV, si tratta di un manoscritto cartaceo di mm. 271 x 201, costuito da 65 carte. Il codice si compone di due mss. originariamente distinti, di carta e di mano diverse ma riuniti con la medesima legatura in cartone rivestito di pergamena con tassello. Entrambe le mani che copiano i manoscritti sono del secolo XV.

Il primo codice contiene Il libro di Boezio della filosofica consolazione nel volgarizzamento di Alberto della Piagentina (cc. 1r – 29 r), seguito da Venga ciuscun devoto del fiorentino Feo Belcari per Santa Catarina da Siena (cc. 29v- 30r).

La Vita nuova è trascritta in scrittura umanistica corsiva da un copista certamente fiorentino nelle cc. 31r- 61r. Manca tutto il paragrafo XXI, come avverte lo stesso copista, non per perdita delle carte ma per errore dello stesso manente che lasciò per errore in bianco la c. 39r.

La lettera iniziale della Vita Nuova («I») è di modulo grande, di colore blu con filigrane rosse, mentre la seconda lettera «n» è scritta in maiuscolo ma è di colore nero e di modulo normale. Tutti i componimenti del libello hanno l’iniziale miniata rossa o blu con filigrane del colore opposto. L’inizio della parte in prosa è distinto dalla fine dei versi da un punto medio, da un punto medio seguito da una virgola o da un periodus (una linea ondulata tra due punti).

Co = Biblioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana di Roma, 44 E 34 Manoscritto cartaceo della prima metà del sec. XVI, di mm. 218 x 149, Co è costituito da cc. ii, 79 La Vita nuova è copiata a piena pagina ma con ampi margini, inizia a carta 1r dove nel margine superiore la centro, con un inchiostro più scuro, si legge il titolo «Vita Noua Di Dante Allighieri da firenze»; termina in a c. 77r dove il copista scrive la formula «Laus Deo opt. max˚» Le cc. 77v-78r sono bianche mentro nella c. 78v il copista trascrive in ordine alfabetico il titolo delle 31 liriche dantesche; la mano dell’amanuense risale al XVI secolo.

Sempre all’autore del manoscritto si devono attribuire delle postille poste sul margine con un inchiostro più chiaro: si tratta di integrazioni, varianti e rimandi a Petrarca e Boccaccio. In Co non è presente alcuna decorazione e le evidenziazioni per i testi poetici o per la prosa sono affidate a lettere sporgenti sul margine sinistro. Nel testo in prosa il copista utilizza come segni di punteggiatura la virgola e il punto.

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Ft e Ca27 = Ft (Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Fondo Tordi 339, Ca (Monastero Carmelitano di S. Maria degli Angeli e di Santa Maria de’ Pazzi di Trespiano (FI), senza segnatura)

Si tratta di due frammenti membranacei appartenenti a uno stesso codice databile al secondo quarto del XIV secolo, riconducibile per le sue caratteristiche linguistiche all’area umbro-marchigiana.

Ft fu scoperto dal bibliofilo e antiquario Domenico Tordi e alla sua morte il codice fu donato alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Costituito da due membrane di mm 285 x 230, presentano dei fiori in corrispondenza della cucitura, perfettamente corrispondenti a due a due. Le due membrane costituivano il primo e l’ultimo foglio del fascicolo iniziale, probabilmente un quaderno, del codice di cui facevano parte.

Il testo delle opere trascritte nel codice è scritto su due colonne da un’unica mano che utilizza una scrittura cancelleresca su base notarile. Sul testo, in età più tarda, intervenne un’altra mano che ha ripassato la scrittura originaria con un inchiostro più scuro, imitando la grafia, riscrivendo parole sbiadite o erase.

Il secondo frammento si trova conservato senza segnatura nel monastero carmelitano (da qui la sigla Ca) di Santa Maria degli Angeli e di Santa Maria de’ Pazzi di Trespiano (Fi). Utilizzato come sostegno della legatura di un libro di fine XVI secolo, intitolato Quaranta giorni di Santa Maria de’ Pazzi, fu portato nel Gabinetto di restauro del libro presso l’Abbazia di Praglia a Padova dove il 22 Ottobre del 1965 fu scoperto il frammento della

Vita Nuova.

Il bifolio misura mm. 273 x 197,5, anche se le misure originarie dovevano essere maggiori. Il testo è scritto su due colonne da un’unica mano, la scrittura è una corsiva cancelleresca su base notarile; l’inchiostro adottato è color bruno.

Nelle parti sopravvissute di Ft e Ca si possono ricavare informazioni sulle decorazioni e la mise en page del libello originario, del quale si riconosce l’originale tendenza a evidenziare con lettere incipitarie, decorate di rosso o di blu e filigranate del colore opposto, gli inizi dei testi poetici e della successiva ripresa della prosa. Le lettere maiuscole incipitarie sono poste nella maggior parte dei casi nel margine di sinistra.

27 I manoscritti non sono compresi nella recensio di V.n. 1932 di Michele Barbi perché furono scoperti

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K= Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. LVIII 305

Realizzato nella metà del XIV secolo (intorno agli anni ’40), il manoscritto K (Chigiano) è un codice membranaceo, di mm 285 x 226, costituito da 122cc scritte da un copista professionista fiorentino il quale adotta una minuscola cancelleresca libraria, regolare e ariosa. Appartiene a un copista di professione28, ancora oggi non identificato, ma contemporaneo e prossimo a Francesco di Ser Nardo da Barberino il quale copiò due importanti codici dall’antica vulgata della Commedia.29 L’analisi paleografica del codice

ha rilevato, oltre a quella sopra indicata (A), altre tre mani differenti: B, C, D. La mano B è identificabile con quella di Coluccio Salutati che aggiunse la canzone di Cino da Pistoia (La dolce vista e ‘l bel guardo soave); la mano C e D sono sicuramente coeve e si distinguono chiaramente nelle ultime carte dove vengono trascritti i testi petrarcheschi, probabilmente intorno agli anni ’70 del XIV secolo. Il codice non reca indicazione del luogo di copia, ma dall’analisi linguistica e paleografica, si evince che K è il prodotto di una buona bottega fiorentina.

La Vita Nuova di Dante viene trascritta a piena pagina ed è introdotta dalla rubrica Dante

allaghieri; la lettera iniziale «I» è di modulo molto grande (ben 7 rr.), colorata di rosso e

blu con filigrane rosse e viola. Il testo in prosa che segue un componimento poetico è introdotto da un segno di paragrafale di colore anch’esso rosso o blu; ogni sonetto invece è introdotto da una lettera incipitaria e nella stragrande maggioranza dei casi (23 su 25), un’altra lettera maiuscola segnala l’inizio della prima e della seconda terzina. La mise en

page descritta in precedenza è la stessa che contraddistingue la struttura delle canzoni e

delle stanze di canzone del libello.

Per quanto riguarda la prosa, si rilevano dei segni interpuntivi come il punto e la virgula, che come si può immaginare non trovano perfetta corrispondenza con la punteggiatura moderna. Si può concludere dicendo che la mise en page di tutta la Vita nuova manifesta una tendenza generale a evidenziare all’attenzione dei lettori i componimenti poetici con segni affini a quelli utilizzati in altre sezioni liriche del Canzoniere Chigiano.

K2 = Biblioteca Apostolica Vaticana,Chig. L V 176

28 M.SIGNORINI, Il Canzoniere Chigiano LVIII 305: scrittura e storia, in Luisa Miglio, Paola Supino Martini

in Segni per Armando Petrucci, 2002, p.204: “La scrittura […] è una minuscola cancelleresca dovuta a un’unica mano assai abile, direi senz’altro di scrivente professionista.”

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Manoscritto pergamenaceo costituito attualmente da 79cc. che misurano mm. 266 x 182. Il ms. contiene: il testo della Vita nuova, la Vita di Dante, Donna me prega di Guido Cavalcanti con la glossa latina di Dino del Garbo, il carme di Boccaccio di Ytalie iam

certus honos inviato a Petrarca, le 15 canzoni di Dante, la cosiddetta forma chigiana dei Rerum Vulgarium Fragmenta di Petrarca.

La Vita nuova si trova alle cc. 13r – 28v, le divisioni sono poste ai margini o nello spazio a piè pagina; il testo dell’opera invece è trascritto a piena pagina e anche i versi dei testi poetici sono trascritti di seguito, separati da coma, rappresentata da un punto sormontata da una virgola con svolazzo verso destra. Per la mise en page Boccaccio, copista del manoscritto, usa maiuscole incipitarie colorate di rosso o di blu filigranate con il colore opposto. Esse si trovano all’inizio della riga e tendono a sporgere verso il margine sinistro, introducono i componimenti poetici e la ripresa della narrazione dopo il testo poetico, sono inoltre sempre seguite dalla lettera maiuscola in carattere normale toccata di giallo. Le lettere maiuscole vengono utilizzate per indicare l’inizio dei componimenti lirici e le partizioni interstrofiche, quest’ultime sono sempre toccate di giallo.

M = Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, Martelli 12

Manoscritto composito, miscellaneo e membranaceo, costituito da 51 fogli di mm. 273 x 192 scritti su una doppia colonna da sei diverse mani.

La Vita nuova, delle rime di Cavalcanti e di Dante, una ballata di Caccia di Castello sono state esemplate da una mano γ, riconoscibile da 26r alla riga 14 di 31v a, e da 35r a 51r b; la littera textualis collocabile è collocabile entro il primo quarto del XIV (secondo lo studioso Sandro Bertelli il manoscritto venne realizzato nel 1310).30

M è il testimone più antico della Vita Nuova e sulla base di studi codicologici e paleografici, i codici sarebbe stato trascritto in un ambiento eugubino quando ancora Dante era in vita.31 Il codice conserva sia la rubrica in rosso “Incipit uita noua”, sia l’explicit “Explicit liber. Deo gratias, amen.” La lettera iniziale «I» è di modulo molto grande (9 righe) ed è colorata di rosso con filigrane azzurre, mentre la seconda lettera è scritta in maiuscolo ma con inchiostro bruno. In M c’è un ampio uso di segni paragrafali rossi o blu, alcuni interni al testo, altri si trovano a inizio rigo. Quando il segno paragrafale

30 Sandro Bertelli è un esperto di codicologia e paleografia, docente presso l’Università di Ferrara. 31 S. BERTELLI, Nota sul canzoniere provenzale P e sul codice Martelli 12, in “Medioevo e Rinascimento”

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si trova a inizio rigo ha la funzione di marcare il testo in prosa che segue un componimento poetico: nella sezione in vita di Beatrice esso introduce quasi sempre e conclude sempre una razo poetica; nella sezione post mortem il segno paragrafale si trova dopo il componimento.

Il copista s rivela molto attento nella realizzazione della mise en page dei sonetti: i versi sono tutti incolonnati e dunque ciascun componimento è trascritto su 14 righe di scrittura, mentre i punti metrici e le lettere maiuscole segnano regolarmente le partizioni interstrofiche. Risulta meno regolare la disposizione delle canzoni o delle stanze di canzone.

Mgl = Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Magl. VI 30

Il manoscritto è datato 13 ottobre 1522, firmato dal copista a c.64r: “In aedibus Camilli

Aleuntij fan’ die decima tertia 8bris. M.D.xxxij”. Il Magliabechiano è un codice cartaceo, di mm. 210 x 145 costituito da cc. i. 66. La Vita nuova è trascritta da c. 1r a c 63v in corsiva del XVI secolo, a piena pagina.

Nelle poche carte rimanenti (64r – 66r) vengono copiati: il carme di Petrarca a Boccaccio

Italie iam certus honos e i versi Mantua Vergilium, un sonetto di Andrea da Perugia a

Petrarca con l’incipit della risposta, il sonetto Sonar bracchetti di Dante (Rime, Ixi) e infine alcune notizie biografiche su Dante, Petrarca e Boccaccio.

Nei margini della Vita Nuova vengo annotati dal copista alcune varianti, correzioni e qualche supplemento di parole omesse; in corrispondenza di alcune lacune, evidentemente già presenti nell’antigrafo, l’amanuense lascia dei punti di sospensione. Non sono presenti decorazioni, sul margine sinistro si distinguono soltanto delle lettere che iniziano, non sempre, con la lettera maiuscola e che segnalano l’inizio dei testi poetici e della parte in prosa. La parte in prosa presenta come segni di punteggiatura: la virgola, il periodo (scritto come l’odierno punto e virgola) e indica una pausa forte, il coma (con il caratteristico svolazzo a destra) e in pochissimi casi il punto.

O = Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, Acquisti e doni 224

Il codice è costituito da 4 carte membranacee di mm. 272 x 195 che, staccate dal loro codice d’origine oggi disperso, vennero riutilizzato come rilegature. Furono ritrovate nella libreria di Leo S. Olscki (da cui nasce la sigla O, attribuita da Michele Barbi in V.n. 1907), il quale lo donò alla Biblioteca Laurenziana.

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Il codice O comprende solo alcune parti della Vita Nuova32 disposte su due colonne e in

«scrittura bastarda su base notarile»,33 la quale collocherebbe il frammento intorno al secondo quarto del XIV secolo; in base ad alcune spie linguistiche è ipotizzabile che l’amanuense fosse di origine toscana.

Il codice non presenta decorazioni a colore, sono presenti soltanto delle maiuscole iniziali con semplici svolazzi e decorazioni geometriche, in corrispondenza degli incipit dei componimenti del ritorno alla prosa dopo i testi poetici. Nei sonetti gli endecasillabi sono separati da un breve spazio e divisi da un punto o da una virgula.

P = codice Pesarese

Il codice venne chiamato da Michele Barbi, Pesarese perché servì in modo fondamentale per la realizzazione dell’edizione della Vita Nuova stampata a Pesaro nel 1829 a cura di Luigi Crisostomo Ferrucci e di Odoardo Machirelli. Di esso si erano perse totalmente le tracce, finché all’inizio del ‘900 fu segnalato all’illustre filologo Lino Sighinolfi, che lo aveva ritrovato nella biblioteca della famiglia Maiocchi di Cento.34 Grazie alla concessione di Antonio Maiocchi, Barbi poté studiarlo presso la Biblioteca Comunale di Bologna.

Il frammento P è un manoscritto cartaceo della prima metà del secolo XVI, composto da cc. 44. Il testo della Vita Nuova è ricco di supplementi e varianti, posti al margine o nell’interlinea, tutti trascritti con una grande regolarità e precisione dalla stessa mano. Successivamente Antonio Giganti, giurista e letterato, aggiunse delle varianti in inchiostro rosso e con il medesimo inchiostro sottolineò le parti che Boccaccio aveva portato al margine a mo’ di chiosa.

S = Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Magl. VI 146

Codice membranaceo di mm. 312 x 234 costituito da cc. vii, 25, iv’, chiamato Strozziano e siglato S perché appartenente alla biblioteca del senatore Carlo di Tommaso Strozzi.

32 Precisamente il codice O comprende: xxiii 12-31 (da «da sconfortare» a «mi chiamaro, le»), xxv 6-xxix

(da «[…] ere le sue parole» a «ed ella fue»), xxxi 12-xxxiv (da «chi vede nel pensero» a «mentre io lo»; anche all’interno di queste porzioni di testo qui riportate ci sono ugualmente delle perdite di testo causate dall’ampia rifilatura dei fogli. Vedi in D.PIROVANO p.301

33 Vd. S. BERTELLI, I manoscritti della letteratura italiana delle origini, Firenze, Biblioteca Medicea

Laurenziana, cit., pp. 72-73.

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Il copista che trascrive la Vita Nuova è di origine fiorentina e utilizza una littera textualis databile per ragioni paleografiche intorno alla metà del XIV. In vari frammenti del ms. è stata rintracciata una seconda mano più tarda e imitativa, che apportò correzioni e integrazioni, a eccezione del c.4v in cui compare ancora una lunga lacuna.

La Vita Nuova è trascritta dalla riga 2 di c. 4r a fino alla riga 27 di c. 18v: nella parte iniziale lo specchio di scrittura è a due colonne, poi diventa a piena pagina nelle cc. 7r-27r, infine torna all’impaginazione a due colonne. Il manoscritto ha conservato perfettamente sia la rubrica in rosso dove si legge Incipit illibro della nuoua uita di date, che l’explicit (in basso, riportato dopo un salto di 10 righi bianchi) in cui, con inchiostro bruno, si legge: Explicit liber noue uite dantis.

La lettera iniziale del libello «I», di modulo molto grande (13 righi), è colorata di rosso e bianco con filigrane viola; anche la seconda lettera è scritta in maiuscolo ma toccato di color bruno. In S non compaiono segni paragrafali, solo lettere iniziali maiuscole anch’esse miniate per distinguere i testi poetici e la sezione in prosa ad essi successiva. Dopo la Vita Nuova seguono le rime di Cavalcanti, di Dante stesso, di Cino da Pistoia, Benuccio Salimbeni e Bindo Binochi, per lo più senza indicazione dell’autore.35

T = Biblioteca Trivulziana di Milano, 1058

Codice cartaceo di mm. 268 x 210, costituito da iii, 105, iv’ cc. numerate modernamente in alto a destra. Scritto quasi interamente da Nicolò Benzoni, la cui firma compare a c. 103 in cui si leggono le iniziali: «N.B. de Crema», sciolte in «Nicolaus Benzonus» a c. 73v. Il copista originario di Crema, soggiornò a Treviso dove si trovava in esilio insieme al fratello Venturino, scrisse il codice nel 1425.

Il ms. T è una ricca antologia di testi ‘200 e del ‘300, dove la Vita Nuova occupa il primo posto, dalle cc. 1r- 23r, occupando il primo e parzialmente il secondo fascicolo del codice. La mano di Nicolò Benzoni non è l’unica rintracciabile, infatti il copista di Crema proseguì un lavoro iniziato da un’altra mano coeva rimasta anonima, sebbene anch’essa sembra essere originaria dell’area settentrionale d’Italia, probabilmente veneta.

35 Il ms. S viene descritto in modo completo e nel dettaglio in I manoscritti della letteratura italiana delle origini. Firenze Biblioteca Nazionale Centrale, a cura di S. Bertelli, Edizioni del Galluzzo, 2002, pp.

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Nella c. 1r si legge la rubrica Dante Alighieri poeta da Firenze; la lettera incipitaria del libello «I» è colorata di rosso, mentre la seconda lettera, anch’essa in maiuscolo, viene realizzata con l’inchiostro bruno.

Per quanto riguarda la mise en page della Vita Nuova, così come avviene per gli altri componimenti danteschi dell’antologia, le lettere incipitarie maiuscole di ogni testo poetico sono sempre a inizio riga, un po'rientranti verso il margine sinistro, tutte di colore rosso; la medesima struttura si ritrova nella sezione in prosa. Per quanto riguarda i segni d’interpunzione si trovano il punto e meno frequentemente la virgula, spesso tali segni non corrispondono alla punteggiatura moderna.

To = Biblioteca Capitolare di Toledo, 104 6

Il codice membranaceo è costituito da cc. ii, 269, ii’, di dimensioni oscillanti tra mm. 275-289 di altezza e mm. 170-190 di larghezza. La littera textualis che compare nel codice è quella di Giovanni Boccaccio, che avrebbe trascritto il testo, secondo alcuni studiosi, nei primi ’50 anni del XIV secolo, mentre secondo altri intorno al 1357- 1359.

Il codice Toledano è la prima edizione dantesca curata direttamente da Boccaccio e contiene: la prima redazione del Trattatello in laude di Dante, la Vita Nuova, la

Commedia con gli argomenti in terza rima che precedono ogni cantica e le 15 canzoni

distese di Dante. La Vita Nuova è copiata alle cc. 29r – 46v, le quali conservano sia l’incipit del testo, dove scritto in rosso si legge «Incipit uita noua clarissimi uiri dantis aligerij florentinini», sia explicit, anch’esso in rosso, «Explicit liber uite noue uiri clarissimi dantis aligerij poete illustris. feliciter»36.

To è il capostipite di quella che, come vedremo, verrà chiamata la famiglia «boccacciana» dello stemma codicum, e a partire proprio da questo codice le divisioni del libello verranno messe ai margini o completamente omesse o reinseriti da altri copisti, anche in punti non congruenti. Il corpus dell’opera è trascritto a piena pagina e anche i versi dei testi poetici sono scritti di seguito, separati da coma, rappresentata sempre con un punto sormontato da una virgola con svolazzo a destra. Nell’ambito della mise en page Boccaccio si rivela un copista attento e preciso: usa maiuscole incipitarie colorate di rosso o di blu e filigranate con il colore opposto, esse si trovano all’inizio della riga e tendono

36 Sul margine destro di c. 29r Boccaccio introduce questa annotazione, introdotta da una M rossa in

filigrana, seguita da un’altra lettera maiuscola ma convenzionalmente di color bruno e di modulo normale. Vd. L’intera nota viene riportata dallo studioso Donato Pirovano a p.283.

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a sporgere verso il margine sinistro. Vengono utilizzate sia per introdurre i componimenti poetici, sia per la ripresa della narrazione dopo un testo lirico.

Boccaccio fa uso anche di segni paragrafali, anch’essi colorati di rosso o blu seguiti da una lettera maiuscola toccata di giallo, inseriti solo nelle divisioni che non solo sono collocate nei margini, ma anche trascritte con un modulo inferiore, come se svolgessero il ruolo di glosse rispetto al testo principale. Ogni divisione ha inizio con la citazione parziale del primo verso del testo poetico.

La mise en page dei sonetti: il copista Certaldese inserisce, nei 23 sonetti e nei 2 sonetti rinterzati del libello, una maiuscola incipitaria e filigranata, un’altra maiuscola colorata alternatamente in rosso e blu (ma non filigranata) per segnare l’inizio della prima e della seconda terzina; la fine dei componimenti è segnata da periodus. Anche per mise en page delle canzoni, delle stanze di canzone e delle ballate Boccaccio utilizza l’impostazione sopra descritta.

V = Biblioteca Capitolare di Verona, cccxlv

Questo manoscritto cartaceo, di mm. 310 x 210, è costituito da cc. 34. Secondo la studiosa Roberta Capelli, il codice è «stato compilato tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo da un unico copista di aerea settentrionale, probabilmente veronese, a partire da un antigrafo toscano- fiorentino»37

Leggermente diversa è la datazione proposta da Claudio Giunta, secondo il quale dall’analisi della scrittura, una corsiva cancelleresca, è possibile spostare la datazione intorno al 1375 – 1400, in un ambiente padovano-veneto.38

Il codice è gravemente danneggiato: la carta è rovinata, illeggibile nella parte superiore e inferiore mentre all’interno sono andate perse due carte, mentre altre sono macchiate rendendo molto difficoltosa la lettura.

Insieme alla Vita Nuova, copiata da cc. 1r – 16r, il ms. contiene una raccolta di rime, tutte composte verosimilmente entro gli ultimi due decenni del ‘300 e tal proposito Roberta Capello dice: «la presenza di riferimenti diretti e indiretti a luoghi e personaggi di Verona e dintorni, induce ad eleggere proprio questo comprensorio come punto di partenza (e /0

37 R. CAPPELLI, Dante dantismi e canone dantesco; alcuni spunti dal codice Capitolare CCCCXLV, in La lirica romanza del Meidoevo. Storia, tradizioni, interpretazioni, pp. 795, Padova, 2009.

38 C. GIUNTA, Codici. Saggi sulla poesia del Medioevo, Bologna, il Mulino, 2005, p.63. A sostegno della

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arrivo) per l’identificazione linguistica del copista.»39. Il codice V si caratterizza dal punto di vista metrico, per la preponderanza di sonetti e in particolare di tenzoni, mentre dal punto di vista storiografico è identificabile come canone stilnovistico e soprattutto dantesco, che testimonia il perdurare del culto del Sommo Poeta nella Verona del Trecento.

Il libello è senza titolo, è andato conservato solo explicit, scritto a c. 16r in nero e da una mano diversa: «fine della uita noua»; segue un asterisco in rosso. Il codice non presenta decorazioni, né lettere colorate, solo lettere maiuscole poste all’inizio di paragrafo sono di grandezza normale o poco più grandi. Per indicare i capoversi e per evidenziare l’inizio di ogni poesia il copista usa invece la sporgenza verso il margine sinistro; la mise en page delle canzoni è caratterizzata da un rientro sporgente a sinistra, mentre quella dell’unica ballata presenta un rientro riservato solo al verso della ripresa di ogni stanza.

Nel testo in prosa il copista utilizza come segni di punteggiatura sola la virgula e il punto.

W = Bibliothéque natìonale universitaíre de Strasbourg, ms. 1808.

La sigla W è l’iniziale del cognome del dantista tedesco Karl Witte che per un certo periodo ne fu proprietario. Il manoscritto cartaceo, mm. 290 x 108, risale al XV secolo ed è costituito da cc. i, 127, i, numerate modernamente. Il codice comprende: la Vita

nuova, il Convivio, una serie di rime dantesche, le Vite di Dante e Petrarca di Leonardo

Bruni, con due canzoni di quest’ultimo (Lunga question e o Venere formosa); tra le rime di Dante ci sono anche alcune poesie già comprese nel libello dantesco.

La Vita nuova è copiata in corsiva di età umanistica da c. 2r a c. 26r40; l’incipit è ormai

illeggibile a causa dell’umidità. Il libello inizia con una lettera incipitaria «I» di grandi dimensioni seguita da altre maiuscole in carattere normale; i versi dei sonetti sono regolarmente incolonnati, mentre le partizioni interstrofiche presentano un rientro nel margine sinistro e sono introdotti dalla lettera maiuscola.

Nei margini del testo sono riportate molte varianti del medesimo copista ma in alcuni con inchiostro diverso, il che fa pensare ad un’aggiunta posteriore.

39 Vd. R. CAPELLI, Dante e dantismi, cit a p.801.

40 Al termine del libello, nelle ultime righe di c. 26v, il copista aggiunge questa nota, che Donato Pirovano

riporta in trascrizione interpretativa: «Qui finisce la Vita nova di Dante come che compuose Dante Alighieri gloriosissimo poeta fiorentino cuius anima misericordiam Dei requiuescat in pace amen. Et fatto alcuni questo libretto si vorrebbe scrivere dinanzi al cominciamento del libro che tratta dell’inferno. Laus tibi

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23 1.4 Vita Nuova o Vita Nova?

Nelle poetiche medievali, e dunque al tempo di Dante, il titolo di un’opera non aveva l’importanza che ha assunto in epoca più moderna, dove con poche parole il titolo può esprimere oltre alla sua semanticità anche l’intenzione dell’autore o il significato del testo.

Dante non ha dato un titolo certo al suo prosimetro e quello che oggi si legge è il frutto di un’indagine filologica, che ha portato a due risultati possibili: Vita Nuova o Vita Nova; il primo scelto da Michele Barbi, il secondo da Guglielmo Gorni. La riflessione degli studiosi sul titolo dell’opera si è concentrata principalmente sull’analisi di:

1. ciò che Dante stesso scrive nell’Incipit dell’opera, dove si legge. “[…] si trova una rubrica la quale dice Incipit della vita nova”( su cui si fonda l’argomentazione di Gorni)

2. alcuni rimandi rintracciabili nel Convivio e nella tradizione manoscritta, sebbene la genealogia dei manoscritti abbia dato delle soluzioni poco certe in entrambi i casi.

In mancanza di una accertabile volontà d’autore, i due editori hanno dovuto far appello a tutte le fonti possibili per poter giungere ad una soluzione. Dallo studio dei principali manoscritti si nota come la frase “Incipit della vita nova” (nel primo “paragrafo”) è concorde nella tradizione ma l’incipit e l’explicit del libello presentano dizioni varie:

1. Chigiano L. VIII. 305

- Dante alleghieri (in posizione non centrata, come se dovesse seguire un titolo

- Manca l’explicit

2. Toledano 104.6:

- Incipit uita noua clarissimi viri danti(s) aligerj florentini.

- Explicit: liber uite noue uiri clarissimi dantis aligerij poete illustris. feliciter.

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24 3. Chigiano L. V. 176:

- Qui finiscie della origine uita studij costumi didante alighieri poeta chiarissimo delle opere co(m)poste da lui. Et comincia lasua uita nuova. Nella quale esso i(n) sonetti ballate cançoni distese descriue come di beatrice sinnamorasse del suo amore gliaccidenti mentre ella uisse: qua(n)ta quale fosse lasua amaritudine dopo la partita dibeatrice della presente uita.

- Qui finisce lauita nuoua didante alighieri difiençe.

4. Martelli 12:

- Incipit uita noua

- Ex plicit liber. Deo gratias Amen

5. Magliabechiano VI. 143:

- Incipit illibro della nuouva uita di - Explicit liber noue uite

Le testimonianze della tradizione manoscritta risultano abbastanza disomogenee sebbene la maggioranza sembrerebbe propendere per la forma monotongata, ma nel 1907 Michele Barbi sceglie come titolo la forma Vita Nuova.

Nella lunga sezione introduttiva alla sua edizione, il filologo non spende molte parole in merito alla forma del titolo scelta, precisa soltanto che solo il codice To presenta sempre il dittongo mentre in K, S e M è attestata una certa oscillazione, tanto in prosa quanto in poesia, ad esempio fra bono-a buono-a, nova e nuova. Una spiegazione più dettagliata sarebbe stata utile dal momento che il predecessore di Barbi, il tedesco Frederich Beck nel 1896 pubblicò Dantes Vita Nova, preferendo la forma monotongata ma peccando d’incoerenza quando nel titolo interno dell’opera fece comparire La Vita

Nova; l’aggiunta dell’articolo determinativo femminile risulta preminente a partire dalle

stampe di fine Ottocento del libello dantesco. Nell’editio princeps dell’opera, stampata per la prima volta da Bartolomeo Sermartelli nel 1576 (Firenze) si legge Vita Nuova di

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silenzio editoriale su Dante, che durò fino al Seicento segnando anche le sorti del libello, tanto che per trovare una nuova edizione dell’opera si dovrà attendere il 1723.

Venne pubblicata a Firenze una raccolta miscellanea di opere di Dante e Boccaccio, curata da Anton Maria Biscioni e intitolata Prose di Dante Alighieri e di Messer Giovanni

Boccacci: alle pagine 1-49 si legge il testo della Vita Nuova (senza articolo

determinativo). A proposito dell’articolo, ambiguo risulta essere anche il comportamento di Michele Barbi, che adotta l’articolo nel frontespizio delle sue edizioni ma non nel titolo interno; anche in questo caso le fonti a nostra disposizione ci forniscono poche giustificazioni.

Tra le testimonianze che probabilmente hanno avuto un peso preponderante nella scelta del titolo, ricordiamo i tre passi del Convivio41 in cui Dante fa chiaro riferimento

alla sua opera giovanile. Nel Convivio si legge: “E se ne la presente opera più virilmente si trattasse che ne la Vita Nuova si vedere;” (I 1 16) “ne la fine de la Vita Nuova” (II 2 1); “sì come ne la Vita Nuova si può vedere” (II 12 4).

Questi frammenti potrebbero aver influenzato gli editori come Barbi o altri a lui precedenti, ma come spiega Guglielmo Gorni è probabile che Dante citi il libello nella sua forma volgare esclusivamente perché il contesto è in volgare. Così Gorni argomenta la sua affermazione:

Questa per Dante è una norma assoluta come […] rivela il “paragrafo 16” della Vita Nova, in cui si legge Eneida, “Libro di Remedio d’Amore” o il Convivio, che cita “Tegni di Galieno”, l’Arte Vecchia, i Libri Naturali, La Rettorica […] e non i titoli originali, eventualmente citati per esteso, ma con titolo latino, nelle opere latine appunto.42

Per completare il quadro delle fonti, occorre spostare l’attenzione su un’opera di Giovanni Boccaccio, il Trattatello in laude di Dante. Nella prima redazione43, conservata soltanto dal solo codice autografo To, è attestata esclusivamente la dizione in latino Vita Nova,

41 Ovviamente si fa riferimento alle edizioni del Convivio antecedenti a quella pubblicata nel 1995 da F.B

Ageno, per la Società Dantesca Italiana, in cui l’editrice sceglie in occorrenza la forma nova e non nuova.

42 G. Gorni, “Paragrafi e Titolo della Vita Nova”, in “Studi di Filologia Italiana, LIII, p. 203-22, Milano

2004.

43 Cfr. la prima redazione De origine, vita, studiis et moribus viri clarissimi Dantis Aligerii Florentini, poete illustris, et de operibus compositis ab eodem, a cura di P.G Ricci, in G. Boccaccio, Tutte le opere, vol.III,

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mentre nella seconda redazione44 il titolo del libello compare in volgare, Vita Nuova. Dunque in materia di titoli danteschi, nemmeno la testimonianza del Certaldese appare nitida, per questa ragione occorre spostare lo sguardo sui manoscritti del libello, a cui si affida Guglielmo Gorni. È probabile che il titolo originale fosse in latino come d’altronde accade per la Comedìa, ma sia nel primo che nel secondo caso la vulgata predilige la versione volgare (Vita Nuova e Commedia). L’aggettivo “nuova” ha nella prosa del libello sei distinte occorrenze mentre l’aggettivo “nova” ricorre solo in poesia: “nova trasfigurazione” (8 XV 1) in K e M, “nova materia (10 XVII 2/19 e 8 XXX 1), “nova conditione” (27 XXXVIII 1) in K e S; “cosa nova” (30 XLI 1) in M. Sulla base delle testimonianze offerte dai manoscritti, Guglielmo Gorni rimane fermamente convinto dell’origine latina del titolo dantesco.

Secondo Stefano Carrai per determinare un elemento paratestuale, come il titolo di un’opera, la genealogia dei manoscritti è valida ma non del tutto sufficiente, per questa ragione sebbene per lo studioso è presumibile che il titolo originale fosse latino, bisogna tenere in considerazione altri aspetti del testo. Uno di questi è rappresentato dalla parte iniziale libello, in cui si legge appunto Incipit Vita Nova: Carrai lo esamina in parallelo con la formula dichiarata da Dante stesso nell’esordio dell’epistola a Cangrande: Incipit

Comedia Dantis Alagheri Florentini”45, che attesterebbe l’attitudine del Poeta a prediligere la forma latina quando fa riferimento alle opere da lui composte. Infatti il titolo

Vita Nova ha anche il vantaggio di avere dalla propria parte la prassi dell’epoca di dare

dei titoli latini anche a dei testi composti in volgare, come testimoniano i titoli di altre opere scritte negli stessi anni del libello: i Documenta Amoris di Francesco da Barberino46 o il Liber acerbe aetatis di Cecco da Ascoli47.

44 Cfr. la seconda redazione Della origine, vita, costumi e studii del chiarissimo poeta Dante Alighieri di Firenze, e dele opere composte da lui, a cura di P.G Ricci in G. Boccaccio, Tutte le Opere, 1974.

45 S. CARRAI, Quale lingua per la “Vita Nova”?, in “ Filologia Italiana, n.4, Fabrizio Serra Editore,

Pisa-Roma, pp. 39-49, 2007

46 Francesco da Barberino fu poeta, notaio, intellettuale fiorentino, nato nel 1264. Autore di due opere

didascaliche, vicino agli ambienti di Guido Cavalcanti.

47 Cecco da Ascoli fu poeta, medico, insegnante e astrologo, nato nel 1257. Condannato al rogo

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1.5 Il problema dell’ortografia

La scelta della forma di un testo e della grafia si presenta un problema delicato sia per le opere dei poeti di cui si conservano gli autografi, come Petrarca e Boccaccio, sia per le opere, come quelle dantesche dove delle abitudini ortografiche dell’autore non sappiamo nulla, «non rimanendoci neppure una riga di sua mano.»48

Il caso della «restituzione formale» della Vita Nuova si presenta un caso ancor più complesso, a causa della sua stessa natura come spiega Michele Barbi nell’Introduzione dell’opera:49

Essendoci la Vita Nuova pervenuta per due diverse tradizioni, derivate non direttamente d’autografo, ma da un apografo nel quale era già in corso qualche errore, il riscontro di ambedue le tradizioni sarà il fondamento per accertare, caso per caso la lezione genuina.

Oltre all’incertezza della tradizione diplomatica e alla mancanza di studi accurati sulla lingua di Dante, l’editore mette in risalto un altro problema collegato alla struttura compositiva del libello. Scritto in parte in prosa e in parte in poesia, l’opera si esprime attraverso due linguaggi nati da tradizioni ed esigenze diverse, e come tali necessiterebbero di un’analisi specialistica e differenziata.

Gianfranco Contini nel suo Breviario di Ecdotica50 si sofferma diverse pagine sul

problema della «restituzione formale» di un testo, tema assai caro ai filologici dal momento che «la forma è sottoposta a una continua poligenesi dell’innovazione».51 L’autore del Breviario non offre al lettore una trattazione puntuale del termine, ma preferisce esporre i rischi o meglio gli errori che anche il migliore dei filologi potrebbe commettere. La scelta della forma e della grafia stessa di un testo non si presenta spesso come un processo lineare e univoco: la lingua potrebbe presentarsi inquinata dal iudicium del filologo, il quale non è sempre autorizzato a una restituzione totale del testo. Non c’è da stupirsi se in merito alla resa ortografica del libello, Michele Barbi e Guglielmo Gorni abbiamo percorso due strade totalmente differenti.

48 Cfr.V.n.1907, capitolo V “Fondamenti e criteri di questa edizione, ORTOGRAFIA-PARTIZIONE DEL TESTO”,p.CCLIII

49 Cfr.V.n.1907, capitolo V “Fondamenti e criteri di questa edizione, ORTOGRAFIA-PARTIZIONE DEL TESTO”,p.CCLIII.

50 G.CONTINI, Breviario di Ecdotica, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1990 51 G.CONTINI, Sostanza e forma testuale, in Breviario di Ecdotica, p.38

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