• Non ci sono risultati.

Il fascino perturbante dell'architettura carceraria

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il fascino perturbante dell'architettura carceraria"

Copied!
21
0
0

Testo completo

(1)

ISBN 978-88-6242-310-6 Prima edizione 2018 © LetteraVentidue Edizioni © Francesca Lanz

È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa.

Progetto grafico: Francesco Trovato LetteraVentidue Edizioni Srl Corso Umberto I, 106 96100 Siracusa, Italy

Web: www.letteraventidue.com Facebook: LetteraVentidue Edizioni Twitter: @letteraventidue Instagram: letteraventidue_edizioni

Collana Alleli / Research Comitato scientifico

Edoardo Dotto (ICAR 17, Siracusa) Nicola Flora (ICAR 16, Napoli) Antonella Greco (ICAR 18, Roma) Bruno Messina (ICAR 14, Siracusa) Stefano Munarin (ICAR 21, Venezia) Giorgio Peghin (ICAR 14, Cagliari)

23

(2)

patrimoni

inattesi

Francesca Lanz

riusare per valorizzare

(3)

ARCHITETTURA, HERITAGE e PROGETTO

Ambiente costruito, heritage e adaptive reuse

Trasformare per conservare, riusare per valorizzare

Francesca Lanz

Il fascino perturbante dell’architettura carceraria

Luca Basso Peressut

L'edificio pubblico abitato: il carcere

Marella Santangelo

L'architettura del carcere

Da spazio di detenzione a luogo di relazione

Andrea di Franco

Attraverso il muro

Strategie di elaborazione ed esibizione della memoria

Elena Montanari

Le ex-prigioni come siti di dark turism

Diane Urquarth

OLTRE IL CARCERE

La squadratura del cerchio

Riflessioni sulle tracce dei resti del carcere di Long Kesh/Maze nell’Irlanda del Nord

Martin Krenn e Aisling O’Beirn

Le Murate: esperienze di riapproapriazione

Valentina Gensini

Memorie dissonanti nell’area ex-sovietica

Il caso della musealizzazione degli ex-Gulag

Maria Mikaelyan

Carcere specchio della società e identità civile del territorio

Dalle carceri giudiziarie “Le Nuove” di Torino ai percorsi storico-museali

Felice Tagliente

Indice

09 35 69 79 99 117 137 167 191 207

(4)

Biblioteca vivente

Oltre le mura

Cristian Zanelli

Opere d’arte contemporanea in un ex carcere

Il caso del castello di Rajhenburg

Alenka Pirman

PENSARE IL RIUSO

L’intervento sull’esistente come “ri-scrittura” dello spazio

Gennaro Postiglione

Adaptive reuse: tra restauro e progetto

Fernando Vegas e Camilla Mileto

Il carcere liberato

Forme e storie di (ri)appropriazione

Francesco Lenzini

Sant’ Agata

Perdersi per immagini

Giovanni Emilio Galanello

Storia della riappropriazione di un rimosso urbano

Francesca Gotti

Le persone dietro al riuso e ai beni comuni

Approccio rigenerativo dell’ex carcere di Sant’Agata a Bergamo (ExSA)

Pietro Bailo e Gloria Gusmaroli

Ripensare S. Agata dall’interno

Esperienze di didattica

Lucia Frescaroli, Michela M. Grisoni e Angela Squassina

219 233 249 257 281 295 313 325 339

(5)

Come spiega Michel Foucault, nella concezione che si consolida alla fine del XIX secolo il primo principio attra-verso cui funziona il carcere è l’isolamento1 – rispetto al mon-do esterno e agli altri detenuti. A partire dal momento in cui la prigione diventa la più importante forma punitiva – cioè quando la punizione del reato (e il processo di remissione) non viene più esercitata attraverso lo “spettacolo” ma median-te la reclusione con scopo pedagogico – l’inmedian-terruzione di ogni relazione con altre persone, contesti e luoghi, che non sia con-trollata dall’autorità2, diventa il principale strumento per la rieducazione criminale: da un lato produce l’allontanamento (e quindi la purificazione) del penitente dalle cause che hanno scatenato il reato, dall’altro consente l’utilizzo della solitudine come strumento di penitenza e di rinnovamento, attraverso la meditazione e l’autocritica. Inoltre, se la solitudine è la prima-ria condizione della sottomissione, l’isolamento rappresenta la più alta manifestazione dell’esercizio del controllo sul dete-nuto3. Ecco perché, secondo Foucault, i muri – sia quelli ester-ni, sia quelli tra le celle – possono essere letti come la rappre-sentazione della punizione del crimine4.

1. Foucault Michael, Surveiller et Punir. Naissance de la Prison, Gallimard, Paris, 1975, trad. it. Alcesti Tarchetti, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino 1976, p. 225.

2. Il «primo obiettivo dell’azione carceraria: l’individualizzazione coercitiva, per mezzo della rottura di ogni relazione non controllata dal potere o ordinata secondo la gerarchia». Ivi, p. 231.

3 L’«isolamento dei condannati garantisce che la possibilità di esercitare su di loro, con il massimo di intensità, un potere che non sarà bilanciato da nessun’altra influenza; la solitudine è la condizione prima della sottomissione totale [...]. L’isolamento assicura il colloquio intimo del detenuto con il potere che si esercita su di lui». Ivi, p. 228. 4. I «muri sono la punizione del crimine». Ivi, p. 230.

Elena Montanari

ATTRAVERSO IL MURO

STRATEGIE DI ELABORAZIONE ED ESIBIZIONE DELLA MEMORIA

(6)

01 – Architettura, heritage, progetto

I bordi hanno dunque un ruolo fondamentale nella costru-zione del carcere come «istitucostru-zione completa e austera»5, dal punto di vista simbolico e da quello fisico, perché sono l’ele-mento che rende possibile l’isolal’ele-mento. Questa funzione è messa in pratica dai muri interni, che consentono il controllo delle relazioni che si sviluppano dentro questo microcosmo – organizzando le celle, quindi garantendo la solitudine, e re-golando i rapporti visivi, gli scambi e i passaggi tra gli spazi individuali e quelli comuni – e soprattutto dai margini che definiscono il perimetro del complesso carcerario. Attraverso questi il carcere esercita il potere di controllo su tutte le re-lazioni con il mondo esterno, interrompendole, e decidendo quando e come eventualmente consentirle. Siano essi strut-ture indipendenti (recinzioni, cinte murarie, etc.) o definiti dalla facciata esterna di un volume costruito, i bordi hanno il compito cruciale di modellare un perimetro continuo, chiu-so, invalicabile dall’interno e impenetrabile dall’esterno. Il ruolo di questi elementi architettonici è quindi complesso e molteplice: essi devono esercitare la fondamentale funzione di controllo, ma sono anche responsabili della comunicazio-ne di un messaggio, da trasmettere sia a chi guarda il carcere dall’esterno (come monito) sia a chi lo esperisce dall’interno. È il muro il principale attore a raccontare ai detenuti che non esiste un esterno6 – cioè una possibilità di scelta, un’alterna-tiva – e ad avvisare i cittadini che, se dovessero commettere un reato, verrebbero puniti, isolati e emarginati. Il muro pe-rimetrale è dunque l’elemento che consente e, al contempo, esibisce l’isolamento.

Il funzionamento e il senso strategico del bordo sono chia-ri nell’esercizio delle funzioni ochia-riginachia-rie del carcere ma anche nella sua trasformazione: una delle principali condizioni per il riuso di queste strutture è infatti l’attivazione delle connessio-ni e degli scambi con il contesto culturale, economico, socia-le e fisico in cui sono inserite. Se il muro è il luogo in cui, sia 5. Baltard, Louis-Pierre, Architectonographie des prisons (1829), De l’Imprimerie de Crapelet, Paris, 1829, p. 3.

6. «La prigione non ha esterno né lacune». Foucault Michael, Surveiller et Punir…, op. cit., p. 226.

(7)

in modo simbolico sia fisico, si definiscono e si manifestano la differenza, la distanza e la separazione tra un interno e un esterno che rispondono a regole e ordini diversi, la sua apertu-ra o il suo abbattimento costituiscono un passaggio necessario per terminare l’isolamento di questi spazi, invertire le logiche di chiusura e controllo, e quindi garantire la libertà di scambio e circolazione (che rappresentano la destituzione del sistema univoco di potere) e integrare l’area dell’ex-carcere nella vita della città e dei cittadini.

Il piano di superamento o rimozione di questi margini deve operare attraverso un progetto complesso – integrato, multi-di-sciplinare e multi-scalare – che considera i diversi tipi di “muro” che devono essere demoliti o riconfigurati per ricucire in modo effettivo la distanza tra il luogo di detenzione e il contesto urba-no, e avviare tra questi una relazione attiva e biunivoca.

I muri che isolano gli spazi di reclusione sono in effetti sia fisici sia simbolici. Un primo elemento di separazione tra la vita della città e la vita nel carcere è definito dall’associazione di questo luogo a storie difficili, memorie complesse e temi controversi. Quindi l’intervento di riqualificazione deve esse-re capace di interrompeesse-re e invertiesse-re il processo di allontana-mento e rimozione a cui sono stati a lungo sottoposti questi spazi, e di attivare dinamiche di accoglienza e scambio, che de-vono operare a livello culturale e sociale, psicologico e fisico.

Il principale e cruciale strumento per sviluppare questa ri-cucitura riguarda la ri-funzionalizzazione degli spazi del carcere, cioè l’associazione di questi luoghi a nuove attività e eventi, che siano in grado di portare la città dentro il carcere e inserire il car-cere dentro ai flussi culturali e economici (e anche fisici, quelli le-gati all’occupazione e alla libera circolazione) della città. Questa strategia implica prima di tutto un progetto di riuso degli edifici che, in modo temporaneo o permanente, vengono aperti e adat-tati per accogliere nuove funzioni (residenziali, lavorative, educa-tive, ricreative), generando nuove opportunità di uso e di senso. Anche gli spazi aperti possono avere un ruolo strategico nell’attivazione dei processi di riappropriazione e connessio-ne, cioè nell’inserimento dei luoghi precedentemente isolati

Elena Montanari -

(8)

01 – Architettura, heritage, progetto

(come se fossero un “vuoto” nella geografia della città) nella sequenza di spazi pubblici che nel tessuto urbano sono depu-tati alla mobilità e alla vita della collettività. In questo senso, un aspetto strategico di alcuni progetti di riuso è la conversio-ne delle corti, degli slarghi, dei passaggi e degli assi all’interno dell’ex-carcere in nuove piazze e strade, cioè spazi aperti che possono essere liberamente attraversati e utilizzati. La risi-gnificazione di questi luoghi, che producono permeabilità e continuità nelle relazioni fisiche e visive, consente di innestare l’area all’interno del sistema di distribuzione urbana, garanti-re permeabilità e continuità di garanti-relazione, e ricucigaranti-re definitiva-mente il comparto dentro al tessuto fisico e sociale della città. Sono gli spazi “sul bordo”, quelli lungo o a ridosso del peri-metro e in corrispondenza delle soglie, a rendere questa ricu-citura possibile e condivisa: alla loro trasformazione è affidata la capacità di far leggere come aperto un margine che è stato chiuso per molto tempo, di rendere attraversabile questo bor-do anche dal punto di vista simbolico e psicologico, e quindi di consentire il superamento delle barriere fisiche, culturali e sociali che separano i due mondi per attivare nuove relazioni e flussi. La possibilità di varcare il bordo e camminare attraverso questi spazi senza limiti né controlli è condizione necessaria all’integrazione di questi luoghi nella vita della città e dei citta-dini. Quindi, insieme all’inserimento di nuove funzioni e all’al-lestimento di spazi pubblici aperti e attrezzati, la valorizzazione delle soglie esistenti, l’apertura di nuovi varchi e passaggi, e la demolizione di parti o dell’intera recinzione sono nodi proget-tuali cruciali per la effettiva riqualificazione delle ex-carceri.

Se l’eliminazione culturale, simbolica e psicologica del bor-do costituisce un’azione fondamentale per consentire la riat-tivazione dell’area, è interessante notare come nella maggior parte dei casi di riuso gli elementi architettonici che ne defi-niscono fisicamente il perimetro non siano del tutto cancella-ti. Gli interventi dedicati alla riconfigurazione della presenza fisica del margine non sempre implicano la sua sparizione e, anzi, sono in generale caratterizzati da un approccio

(9)

conserva-tivo – cioè dal tentaconserva-tivo di progettare una trasformazione che, seppur modificando le parti necessarie per adattare l’edificio a nuove istanze e funzioni, include tra gli obiettivi la protezione degli elementi peculiari che connotano il senso architettonico e simbolico di queste strutture, o almeno delle tracce che ne raccontano la storia e il significato originale.

L’adesione a questo approccio, caratterizzato da un dialogo tra trasformazione e conservazione sempre più critico e crea-tivo7, si può rilevare in vari livelli del progetto di rigenerazione delle ex-carceri. Le ragioni possono essere cercate nell’iden-tità di queste strutture, che oggi rappresentano uno speciale luogo di memoria8, che porta in particolare una memoria col-lettiva “difficile”. Tale aspetto, che è anche il motivo che spesso ne ha ritardato la riqualificazione (perché la riattivazione di un patrimonio “difficile” obbliga alla gestione di questioni com-plesse e controverse), orienta i progetti di riuso verso la tutela dei caratteri che raccontano la storia di questi edifici – per il loro valore collettivo, per un necessario rispetto nei confronti di un passato traumatico di cui essi sono stati teatro, ma forse anche per le difficoltà che l’interpretazione e la rielaborazione di tali memorie implica. Questo approccio è particolarmente significativo per le carceri anche perché in questi complessi le forme architettoniche rappresentano uno dei più eloquenti te-stimoni del patrimonio di storie e valori. Dunque il processo di trasformazione che ha lo scopo di riattivare questi luoghi non può evitare di confrontarsi con il modo in cui ciascun ele-mento dell’architettura si fa portatore di funzioni e di signifi-cati – come la gerarchia tra gli spazi e il sistema di circolazione (che sono manifestazione della detenzione e dell’esercizio del potere), il rapporto tra privato e collettivo (che illustra il con-7. Osservando in modo comparativo gli interventi di riuso realizzati negli ultimi anni emerge una generale adesione a un approccio che supera la dialettica degli opposti (che fa riferimento alla cultura sviluppatasi dopo la ricostruzione, che usava formule quali “antico e moderno” o “conservazione e innovazione”), accetta la continua alternanza tra continuità e contraddizione, e utilizza in modo creativo le forme e le tracce della memoria.

8. Cioè rappresentano una «unità significativa, d'ordine materiale o ideale, che la volontà degli uomini o il lavorio del tempo ha reso un elemento simbolico di una qualche comunità», secondo la celebre definizione elaborata da Pierre Nora. Nora, Pierre, Between Memory and History: Les Lieux de Memoire, in “Representations”, n. 26, 1989, p. 7.

Elena Montanari -

(10)

01 – Architettura, heritage, progetto

trollo totale e l’assenza di privacy), la connotazione di ciascuna stanza (per esempio delle celle, singole o collettive), la relazione tra interno e esterno (che enfatizza la chiusura e il carattere in-troverso di questi spazi), e naturalmente la presenza di un bor-do, chiuso e impenetrabile (che definisce l’isolamento).

L’importanza e il ruolo testimoniale di alcuni caratteri ar-chitettonici in questi particolari luoghi di memoria spiegano il generale orientamento dei progetti di riuso verso strategie di trasformazione che tentano di coniugare l’adattamento della struttura allo svolgimento di nuove funzioni e alla trasmissio-ne di nuovi significati con la conservaziotrasmissio-ne e la valorizzaziotrasmissio-ne degli elementi identitari deputati alla trasmissione della me-moria. L’adesione a questo approccio conservativo si legge prima di tutto nel modo in cui gli spazi delle ex-carceri sono rifunzionalizzati, solitamente rispettando e sfruttando i ca-ratteri tipologici connotanti9, insediando nuove funzioni che siano facilmente compatibili e non richiedano l’alterazione dei caratteri spaziali che contribuiscono a raccontare la storia passata10, ma anche operando sugli spazi al bordo attraverso strategie che preservano e reinterpretano, oppure che, seppur eliminando, ricordano, evocano o celebrano.

L’equilibrio tra la necessità di trasformare e conservare è particolarmente complesso sul perimetro del carcere, perché questo richiede un progetto che sia in grado di raccontare la chiusura (passata) e la apertura (presente), coniugare memo-ria e prospettiva, interpretare e risolvere la tensione tra la ne-9. Essendo le carceri edifici altamente connotati dal punto di vista tipologico, il rigore e la rigidità degli schemi di distribuzione e della connotazione degli specifici spazi ren-dono queste strutture poco flessibili, e quindi vincolano le possibilità di riuso a quelle funzioni che sono accomunate dall’applicazione di simili schemi di circolazione, dalla gerarchia tra individuale e collettivo, o dalla natura dei singoli ambienti. Tali limiti rap-presentano però anche un’opportunità, perché rendono le carceri dismesse particolar-mente adatte ad accogliere servizi ricettivi (es. hotel e ostelli), residenze speciali (es. per studenti), spazi per lo studio o il lavoro (es. uffici, studi di registrazione, etc.). La pre-disposizione nell’adattamento delle carceri dismesse ad alcune specifiche nuove fun-zioni favorisce la conservazione della maggior parte dei caratteri originali dell’edificio. 10. L’approccio conservativo applicato nella maggior parte dei progetti di riuso delle carceri, che opera attraverso l’adattamento e minimizza la trasformazione dei caratteri architettonici, è utilizzato in modo ricorrente e rigoroso nell’aggiornamento degli spazi interni – in cui sono preservati in ampia parte il layout, la distribuzione e le dimensioni degli spazi privati e collettivi, e talvolta anche superfici o specifici elementi (arredi, serramenti, grate, etc.) utilizzati come oggetti testimoniali (anche se a volte con accentuate motivazioni turistiche), deputati a narrare le storie di chi ha abitato quei luoghi e consentire ai nuovi fruitori un’esperienza di rievocazione.

(11)

cessità di rendere accessibile e permeabile il bordo (e di dare enfasi a questa apertura, che è un’azione fondamentale per il futuro del carcere) e la possibilità di conservare e valorizzare la memoria di questo elemento. Il perimetro chiuso è in effetti la più caratteristica forma simbolica e la manifestazione tan-gibile dello stato di controllo e dell’isolamento, quindi la sua reinterpretazione è una parte cruciale dell’intervento di riuso e riattivazione. Per il ruolo strategico che ha nel riformare l’i-dentità del carcere, così come per la varietà e la complessità dei temi a cui è connesso (anche derivanti dalla eterogeneità delle situazioni e delle relazioni con il contesto circostante), il bordo diventa spesso un luogo di interessanti riflessioni e spe-rimentazioni progettuali, in cui il dialogo tra trasformazione e conservazione trova diverse forme e declinazioni.

Il bilanciamento tra apertura e permanenza del bordo si ma-nifesta in modo particolarmente evidente nei casi in cui gli ele-menti che lo configurano sono mantenuti. Questo non avviene solo quando il perimetro dell’area è definito da edifici, ma spes-so anche quando il margine è costituito da un muro o una recin-zione. Questa scelta è naturalmente il risultato di un concerto di motivazioni legate al contesto e agli specifici problemi con cui l’area si deve confrontare – che possono includere la neces-sità di relazionarsi con i caratteri morfologici del tessuto urbano (quando, soprattutto all’interno dei centri storici, la chiusura del bordo dell’isolato risulta una condizione importante per ga-rantire coerenza e continuità), o problemi di sicurezza (per cui serve ancora controllare il bordo, non più per prevenire l’uscita quanto piuttosto per proteggere l’entrata al comparto).

In alcuni casi il muro è conservato per essere “esibito”: come un “oggetto testimoniale”, esso viene preservato per diventare il principale narratore della storia del carcere. Questa situazione si verifica soprattutto quando l’edificio viene trasformato per acco-gliere una funzione che utilizza questa memoria in modo attivo – come un museo, oppure una struttura ricettiva che sfrutta la sto-ria del luogo come strumento funzionale (per il suo potenziale connotante e attrattivo). In tali contesti, così come negli interni

Elena Montanari -

(12)

01 – Architettura, heritage, progetto

vengono conservate celle, grate, sbarre e arredi, il muro è esibito nei suoi caratteri formali e materici originali, che operano come elementi iconici ed evocativi – come si può vedere nella Alcatraz Prison (oggi Alcatraz Hotel [Immagine 01]) a Kaiserslautern,

Germania, nella Värmland Prison (oggi

Hotel-Museo Bilan) a Karlstad, Svezia,

nell’Old Gaol Museum a Ely, Regno Uni-to, nel National Dutch Prison Museum Veenhuizen, Olanda, nel Robben Island Museum a Cape Town, Sud Africa, etc.

Negli interventi in cui il muro viene preservato, è ricorrente la volontà pro-gettuale di mantenere il più possibile inalterata e visibile la sua architettura, per mostrarne la morfologia, la matericità e il funzionamen-to originale. Alla conservazione sono però legate specifiche problematiche progettuali, che in particolare riguardano la ne-cessità di segnalare l’avvenuta apertura del bordo, la sua per-meabilità, e la continuità di relazioni con lo spazio pubblico. Le strategie concepite per rispondere a queste istanze riguar-dano soprattutto i luoghi del passaggio, e possono includere l’apertura di nuovi varchi – limitata ai punti in cui la struttura muraria lo rende possibile, e dove la presenza di una nuova porta risulta particolarmente importante per le relazioni tra interno e esterno – oppure la sperimentazione di pratiche di adattamento e valorizzazione sulle soglie esistenti. Per esem-pio, quando la celebre prigione coloniale Broad Street Prison a

Lagos11, in Nigeria, è stata convertita nel centro culturale

Fre-edom Park, il muro di cinta è stato conservato per continuare

a controllarne il perimetro, oltre che per garantire continuità alla presenza urbana del carcere. La struttura originale (in mu-ratura dipinta di bianco) è rimasta inalterata nei suoi caratteri morfologici e materici, con l’eccezione dell’ampliamento della larghezza degli accessi preesistenti attraverso la parziale de-11. Il centro di detenzione, realizzato nel 1882, è stato sottoposto a un processo di riuso progettato dagli architetti Soumitro Ghosh e Nisha Mathew Ghosh all’inizio degli anni Novanta.

Alcatraz Gefängnis (oggi Alcatraz Hotel) a Kaiserslautern, Germania, 2008

(13)

molizione dei bordi che definiscono le soglie. In questi punti, anche se il muro è stato rotto, la continuità del perimetro è co-munque preservata tramite l’inserimento di nuove recinzioni metalliche, colorate in rosso, che consentono il controllo ma aprono alla vista, rendendo più esplicita

l’apertura dell’ex-carcere e più perme-abili e accoglienti i punti di accesso al centro culturale. Il modo in cui è stato risolto l’innesto tra il vecchio muro e la nuova recinzione genera alcune rifles-sioni: nel punto in cui è stata demolita

[Immagine 02], le sezioni della struttura

muraria non sono state “finite”, e sono conservate nello stato precario e

irrisol-to in cui si trovavano immediatamente dopo la distruzione. Il riferimento all’iconografia della “rovina” viene qui usata per mettere in mostra l’atto della rottura, probabilmente anche a conservare la memoria del momento dell’apertura del muro (che forse è avvenuta in modo violento) e dunque, simbolica-mente, per ricordare la dismissione del sistema di potere che esso rappresentava.

Questi interventi mettono in evidenza lo sviluppo di nuo-ve strategie per operare sulla capacità di comunicazione del muro. Dove è conservato, esso rimane l’elemento che si inter-faccia e dialoga con la città: se da un lato ha la responsabilità di raccontare una memoria difficile e una storia di isolamen-to e chiusura, dall’altro laisolamen-to può diventare anche il veicolo di nuovi messaggi – che si riferiscono all’apertura, al riscatto, alla ricucitura. Questo obiettivo viene perseguito attraverso par-ticolari forme di “allestimento” del bordo, in cui la combina-zione di pratiche sperimentali e interdisciplinari (che spesso mescolano strumenti e linguaggi dell’architettura e dell’arte) è utilizzata per sovrapporre nuovi layer di significato e

modi-ficare il dialogo con la città, stimolando lo sviluppo di nuove relazioni. In alcuni casi la struttura del muro viene risignificata attraverso la sua conversione in superficie espositiva, median-te la sovrapposizione di opere e contributi artistici (murales,

Elena Montanari -

Attraverso il muro

Broad Street Prison (oggi Freedom Park) a Lagos, Nigeria, 2010

(14)

01 – Architettura, heritage, progetto

graffiti, manifesti, video art, etc.) che innestano nuovi

conte-nuti e messaggi – come nel caso del Parco Culturale Ex-Cárcel,

nato all’interno dell’ex carcere situato nel centro della città di Valparaíso, dove le vestigia della struttura sono diventate le “tele” su cui artisti e cittadini hanno la possibilità di esprimersi e partecipare al dibattito culturale di cui l’area è teatro. Tra le pratiche di risignificazione del bordo, alla sovrapposizione di immagini si affianca spesso quella di testi e parole, sotto for-ma di targhe o iscrizioni, utilizzate per ricordare eventi, date

e persone oppure semplicemente per segnalare la nuova identità del luogo – come sul muro della Broad Street Pri-son a Lagos, dove è applicata la scritta Freedom Park Lagos [Immagine 03], o come l’insegna museum sopra la soglia dell’Old Gaol Museum a Ely [Immagine 04]. Altre sperimentazioni agiscono in modo creativo sulla presenza fisica del muro, modificandone alcuni tratti, ope-rando strategiche forme di “maquillage” o applicando nuovi “vestiti”, per alterar-ne l’immagialterar-ne, la percezioalterar-ne, la capaci-tà comunicativa e il portato simbolico. Questo tipo di intervento si può osser-vare in diversi punti del muro che defi-nisce il perimetro del complesso delle Murate, monastero settecentesco poi carcere maschile (dal 1883 al 1985) che oggi è un importante centro culturale e luo-go di aggregazione nel centro storico di Firenze. Il complesso si inserisce in un contesto compatto e denso, in cui gli alti bor-di del carcere sono stati conservati per mantenere il loro ruolo urbano. La ricucitura delle relazioni con la città è qui stimolata in vari modi – non solo attraverso il potenziamento dei siste-mi di accesso e attraversamento e la definizione di nuovi spazi pubblici, ma anche con alcune strategie di allestimento che, in luoghi specifici, hanno elaborato l’iconografia del muro e delle grate per valorizzarne il senso memoriale, alterando la forma Broad Street Prison

(oggi Freedom Park) a Lagos, Nigeria, 2010

Bishop’s Gaol (oogi Old Gaol Museum) a Ely, Regno Unito, 1997

(15)

significante per rendere più complesso il messaggio trasmesso. Sul muro del braccio di celle che si affaccia su via dell’Agnolo è stata scelta una pratica di “sottrazione”: qui sono stati con-servati i ballatoi tipici della struttura carceraria, così come i vari elementi di chiusura, cioè le porte delle celle e le grate alle finestre che si aprono sulla strada; di queste è stata asportata la parte inferiore [Immagine 05]. Lo spiraglio aperto nel si-stema delle sbarre e il taglio netto che la parte superiore della

Elena Montanari -

Attraverso il muro

Complesso delle Murate a Firenze, Italia, 2004

(16)

01 – Architettura, heritage, progetto

grata espone mettono in mostra il nuovo capitolo della storia del luogo, che ha manomesso e aperto le soglie dell’ex-carce-re. Sul muro che delimita l’area a parcheggio che si apre verso il viale della Giovine Italia è stata invece applicata una strate-gia di “addizione”: nel 2013 la facciata esterna è stata rivestita con un giardino pensile verticale [Immagine 06], un quadro vegetale lungo 70 metri, composto da un sistema di pannelli modulari che contengono arbusti diversi per colore e periodo di fioritura. Questo allestimento utilizza la natura (anche se artificialmente innestata) per contrastare i caratteri austeri e introversi del muro, assegnandogli un nuovo messaggio e of-frendo inedite possibilità di dialogo con il paesaggio urbano.

Il muro può diventare un attore strategico nella riattivazio-ne del carcere anche quando il bordo originale è demolito, rievocando la sua presenza o utilizzando l’idea del recinto come tema di progetto. Un’interessate esemplificazione è fornita dalla trasfor-mazione dell’ex carcere provinciale di Palencia, in Spagna, un edificio risalente alla fine del XIX secolo convertito in cen-tro culturale da Exit Architects (2007-11). Il riuso dei padiglioni esistenti è completato dalla costruzione di nuovi corpi di collegamento, che hanno lo sco-po di orientare e facilitare le connessioni tra gli spazi principali e ridefinire il bordo del complesso. Il nuovo perimetro, in cui è innestato anche l’ingresso principale, è ricucito da strutture vetrate e luminose, altamente distinte dall’architettura stori-ca ma in dialogo con essa, che operano non solo definendo la separazione tra ciò che è interno ed esterno al comparto ma anche offrendo un nuovo tipo di filtro tra la città e il centro culturale [Immagine 07]. In questo intervento il bordo non viene ricostruito ma piuttosto ricostituito: il Antigua Prisión

Provincial de Palencia (oggi Centro Culturale), Spagna, 2011

(17)

vo muro, che suggerisce la chiusura del bordo, è in realtà un vo-lume praticabile e, nel suo operare come spazio di connessione, inverte simbolicamente il senso originale del margine.

Anche nei casi in cui la recinzione sia completamente de-molita – e si deve rinunciare alla sua presenza, per esempio quando il complesso si trova in aree centrali e densamente costruite del centro urbano, e la rimozione del muro rispon-de alla scarsità di superficie, alla pressione rispon-del mercato, e alla necessità di “fare spazio” a nuove dinamiche e interazioni con la città – è interessante notare che la sua esistenza non viene sempre cancellata completamente, e spesso se ne conserva la memoria attraverso pratiche che tutelano alcune tracce si-gnificative, oppure ne rievocano il funzionamento attraverso allestimenti e installazioni. In alcuni casi ne viene preservata una parte che, in un processo evocativo ispirato alla sineddo-che, abbia la capacità di ricordare l’intera struttura. L’oggetto deve possedere una sufficiente forza e chiarezza comunicati-va – come per esempio hanno certe soglie. L’applicazione di tale strategia si registra per esempio nella riqualificazione del-la Suffolk County Jail, un landmark architettonico di Boston12, in Massachussetts, che dal 2001 opera come Liberty Hotel in un’area centrale e densamente costruita. Nella demolizione del muro di cinta, ritenuta necessaria per valorizzare il carat-tere urbano dell’edificio e ricucire i rapporti con la città, la presenza della recinzione sopravvive nel vecchio portale di ingresso, di cui rimangono gli elementi lapidei che disegnano la figura della soglia. Seppure estrapolata dal suo contesto ori-ginale, questa semplice struttura trilitica possiede la forza di operare come oggetto testimoniale e raccontare la storia del perimetro che per lungo tempo ha connotato l’area.

Non si esaurisce così la lista delle pratiche progettuali sul tema – che è in evoluzione, mentre accelerano i processi di riuso e la ricerca di diverse strategie e la sperimentazione di nuove possibilità. Questa veloce rassegna intende mettere in 12. La Suffolk County Jail è un noto edificio storico nel centro di Boston, progettato da Gridley James Fox Bryant e in uso tra 1851 e 1990.

Elena Montanari -

(18)

01 – Architettura, heritage, progetto

luce un aspetto che sembra diventare ricorrente e rilevante nella trasformazione delle ex-carceri, come di altri luoghi di memoria, in cui la storia “difficile” del sito viene riconosciuta come un patrimonio collettivo e gli elementi architettonici che ne rappresentano la principale testimonianza sono valorizzati in modo strategico. Nel piano di ricucitura di queste aree all’in-terno del tessuto sociale e fisico della città, il portato simbolico e fisico degli edifici e degli spazi coinvolti viene elaborato e esi-bito, diventando spesso anche strumento di rinnovo urbano, un’occasione per sperimentazioni progettuali, e dunque un’op-portunità per approfondire e esplorare temi complessi – come, per esempio, le possibilità di interpretazione e riattivazione della memoria, le connessioni tra trasformazione e conserva-zione, e le interazioni tra architettura e arte. Queste pratiche si basano sulla capacità di intrecciare le antiche storie associate al luogo alle nuove storie generate dal cambiamento di senso e di uso, attraverso azioni progettuali che tendono a preferire la sovrapposizione alla sostituzione. Questo approccio all’inter-vento negli edifici storici è legato al consolidarsi di pratiche di riuso orientate alla ricerca di un dialogo tra passato e futuro, tra cambiamento e continuità. Queste si sono sviluppate paralle-lamente a una concezione evolutiva della memoria del luogo, in cui il passato, per poter parlare nel presente, diventa oggetto di una revisione critica, che mira a all’equilibrio tra la conser-vazione di alcuni caratteri e la modifica di altri – cioè tra la tute-la e trasmissione delle lezioni deltute-la storia e tute-la scrittura di nuovi capitoli. L’esito di questo tipo di intervento è un’architettura concepita in forma di palinsesto, poiché dovrebbe consentire la lettura dei diversi contenuti e significati che si sono succeduti e stratificati. Tale approccio utilizza le architetture preesistenti come pagine, già scritte, su cui nuove parole devono trovare il loro spazio13, accostandosi, sostituendosi o sovrapponendosi a quelle preesistenti per dare forma a una nuova narrazione. 13. «Remodelling is a process of providing a balance between the past and the future. […] The past provides the already written, the marked ‘canvas’ on which each successive remodelling will find its own place. Thus the past becomes a “package of sense” of built up meaning to be accepted (maintained), transformed or suppressed (refused). […]When the alterations in the building’s content are of such a type that the buildings original or latest function is changed; then the building is refunctionalized, a

(19)

Ciò che è importante rilevare, però, non è semplicemente il consolidarsi di questo approccio – che la cultura architetto-nica italiana ha iniziato a esplorare e sperimentare da alcuni decenni – quanto piuttosto la sua applicazione ai luoghi legati a una memoria difficile.

In edifici come le carceri, in cui funzione, forma e significa-to sono particolarmente interconnessi, l’applicazione di que-sto approccio è significativo e generatore di opportunità. Se questo tipo di sperimentazione si presenta già in fase avanzata nella riqualificazione degli spazi interni, è interessante notare l’alto potenziale che si concentra nei luoghi del bordo, il cui ruolo comunicativo è ancora in parte inesplorato. Il muro ha un compito fortemente connotante nell’identità culturale, istituzionale e architettonica del carcere: come era in passa-to l’elemenpassa-to che definiva e annunciava l’isolamenpassa-to, dopo la conversione esso deve diventare il narratore della nuova apertura e al contempo il testimone della storia precedente. Dunque la conservazione e esibizione della sua struttura o di alcune tracce che ne possano ricordare la presenza hanno un valore strategico.

Come spiegava Nora, mostrare queste tracce nei luoghi di memoria contribuisce a «fermare il tempo, bloccare il lavoro dell’oblio, […] materializzare l’immateriale per racchiudere il massimo del significato nel minimo dei segni»14. La conserva-zione è dunque un’aconserva-zione cruciale per tramandare la memoria di una presenza che ha avuto un ruolo nella storia e nel pae-saggio fisico e culturale della città, soprattutto quando la sua architettura è così fortemente connotata come portatrice di memorie e messaggi. Proprio per questo, però, per potere ope-rare in modo efficace la conservazione deve essere coniugata con la trasformazione. In effetti, come ampiamente indagato15, different story is born, a new plot is composed out of the old words, a new interpretation has taken place». Machado, Rodolfo, Old Buildings as Palimpsest, in “Progressive Architecture”, n. 57, Novembre 1977, p. 27.

14. «La raison d’être fondamentale d’un lieu de mémoire est d’arrêter le temps, de blo-quer le travail de l’oubli, de fixer un état des choses, d’immortaliser la mort, de ma-térialiser l’immatériel». Nora, Pierre, Entre Mémoire et Histoire, in Les Lieux de Memoire, Gallimard, Paris, 1984, p. XXXV.

15. Oltre a Pierre Nora è necessario ricordare almeno Maurice Halbwachs, con La

mémoire collective (1950), e Paul Ricoeur, con La mémoire, l'histoire, l'oubli (2000).

Elena Montanari -

(20)

01 – Architettura, heritage, progetto

la memoria è «un fenomeno costantemente attuale»16, cioè non è «la semplice registrazione di una sequenza di eventi ma piuttosto un processo dinamico che elabora e trasforma ciò che porta alla luce»17. Quindi, affinché possa cristallizzarsi (cioè materializzarsi nei luoghi in cui il senso della continui-tà storica persiste18), la memoria deve essere sottoposta a un processo selettivo che distingue ciò che deve essere ricordato e quello che può essere dimenticato.

L’architettura ha spesso un ruolo importante in questo processo. Gli interventi di riuso operano sempre una selezione degli elementi e dei caratteri che partecipano alla trasmissione della memoria di un luogo – anche se, in alcuni casi, la capa-cità delle forme costruite di farsi testimoni di storie e specifici messaggi non è necessariamente considerata tra i principali obiettivi del progetto. Nel recupero delle ex-carceri, invece, il progetto dell’architettura è quasi sempre riconosciuto come uno degli strumenti più importanti nella pratica di costruzio-ne della memoria, ed è esplorato costruzio-nelle varie possibilità di revi-sione e coniugazione.

Come esemplificato nei casi studio menzionati, questa consapevolezza conferisce agli interventi di riuso la capacità di produrre luoghi di memoria che operano come presenze eloquenti nel tessuto urbano in cui sono reinserite. Attraverso la loro esibizione, allestimento o maquillage – quando intesi

come opportunità per instaurare un dialogo con la città e i cittadini – la struttura o le vestigia del muro diventano uno strumento di comunicazione che ricorda, racconta, ma anche sollecita riflessioni su temi e problemi a più ampia scala.

L’alto potenziale dei luoghi del bordo nell’assumere il ruolo di attore narrante è stimolato anche dal carattere evo-cativo e iconico del muro, che tante volte nella storia è stato (e continua a essere) testimone o protagonista di conflitti e controversie. In molti contesti geografici e culturali, il muro 16. «Memory is a perpetually actual phenomenon». Nora, Pierre, Between Memory and

History…, op. cit., p. 8.

17. «Memory is not a simple record of event but rather a dynamic process that always elaborates and transforms what it dredges up from its depths». Obrist, Hans Ulrich,

Ways of Curating, Penguin Books, Londra, 2014, p. 57.

(21)

è un importante simulacro, e la sua esibizione è impiegata per scopi commemorativi ma anche educativi – come insegna, per esempio, l’esperienza del muro di Berlino, che continua a esse-re oggetto di studi, dibattiti e visite, non solo nei luoghi in cui è stato conservato ma anche nelle parti del mondo in cui i suoi frammenti sono stati fatti migrare e messi in mostra19. Questi episodi sono, tra gli altri, la conferma del ruolo strategico che il progetto di architettura può assumere nel tramandare, nego-ziare e divulgare la memoria.

19. Montanari Elena, Migrating Heritage: The Exile of the Berlin Wall, in “Displaces Objects”, 29 dicembre 2015, http://displacedobjects.com/2015/12/29/the-wall-fragment-elena-montanari.

Elena Montanari -

Riferimenti

Documenti correlati

all’interno di un oggetto posso avere movimento di carica conduttori: le cariche possono muoversi.

The procedure, adopted in this work for the definition of the optimal morphing leading edge shape, consists of a shape optimization coupled with a parametric framework, able to

Lo scopo principale della scala ESI 2007 è quello di integrare le scale d’intensità sismica tradizionali che si basano essenzialmente sui danni agli edifici, e sostituirle ove

Indeed, we will show in the next section that the log-mean linear parameterization defines a parameter space where the multiplicative constraints on the M¨ obius parameter of Drton

The depth and scope of the modernization program, which ranged from re­ organization of ministries to procedures, from personnel to finance, from public functions to

Vene e falde termali risalenti in sistemi di faglie profonde in aree montane o Vene e falde termali, risalenti in sistemi di faglie profonde in aree montane o collinari

sede.bruxelles@unioncamere-europa.eu Lo stato dell’arte dell’apprendistato europeo: il database del Cedefop Recente il lancio, da parte del Centro eu- ropeo per lo sviluppo

The numerical results presented in this section demonstrate that DG discretizations based on the space U k`1 h and HHO discretization based on the space U k,k h provide