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Guarda V. Bianchi Mian, S.G. Ceresa, S. Putti: “Utero in anima”

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Modelli della Mente (ISSNe 2531-4556), 1/2017 91

L

ETTERAL

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ENTE

a cura di Piera Lombardi

V. BIANCHI MIAN, S.G. CERESA, S. PUTTI:

Utero in anima

Lithos Editore, 2016, pp. 84

A proposito dello stato di salute delle nostre società “avanzate”, il filo-sofo Jean Baudrillard scriveva nel libro Simulacri e impostura: «Il grande evento di questo periodo, il grande trauma, è questa agonia dei referenti forti, l’agonia del reale e del razionale, che introduce a un’era della simula-zione». Guardiamo al caso emblematico della cosiddetta maternità surroga-ta: ci si perdoni il gioco di parole, a questo punto pare d’esserci dentro fino all’utero, come mai prima d’ora, nel simulacro e nella simulazione.

A leggere Utero in anima, libro di concentratissima analisi del fenome-no senza precedenti, scritto da tre psicoanaliste junghiane, Valeria Bianchi Mian, Silvana Graziella Ceresa, Simonetta Putti e con la bella prefazione di Francesco Montecchi [edizioni Lithos, 9,50€], si ricava la desolante im-pressione che ci aggiriamo sulla sommità di un cratere di simulazioni e si-mulacri credendo di star facendo una salutare passeggiata.

Inganni e autoinganni. Quali? Innazitutto il crederci e sentirci onnipo-tenti, ritenere di poter fare tutto. Un disperato senso di onnipotenza si appli-ca all’acappli-canimento nel creare vita in nome di un desiderio, quello della ma-ternità a ogni costo, che ha preso il sopravvento al punto da annientare l’u-mano che lo professa sopravanzato dalla tecnica che pure si crede di dirigi-re e controlladirigi-re. Più simulacro di così! Lo sconfinamento epocale sta in quell’utero in affitto, fenomeno complesso, aggrovigliato, tentacolare, con diramazioni in ogni aspetto dell’esistenza che le tre psicoanaliste scrutano da ogni lato, con problematica eversione di un senso comune che oscilla tra conformistica adesione e veto altrettanto acritico.

Affiora il senso di una deriva senza precedenti fin dalla difficoltà evi-denziata dalle analiste, di dare un nome a un fenomeno che scandisce il tempo del post Edipo ma anche del post Narciso, perché nominare è già circoscrivere o tentare di direzionare una complessità ancora ignota. Come definire una “nuova” maternità multipla e ripartita? Di cosa dobbiamo

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lare? Di utero in affitto, gestazione per altri, gestazione d’appoggio, surro-gazione di maternità? Termini tutti più o meno in uso che radicalizzano la complessità del problema o in un senso o in altro: commerciale-affaristico; burocratico; neutro o finto neutrale; di sostituto che pare blando come la ci-coria al posto del caffè; oblativo, come se si trattasse di un dono. E chi sono i personaggi e gli interpreti implicati in questa “cosa” e perché lo fanno? Attori principali paiono essere prima di tutto tessuti, ovociti e spermatozoi, pezzi di corpo «acquistati da individui differenti, ricomposti in nuovi insie-mi, a uso e consumo della biopolitica del desiderio, della medicina, nonché del presunto “diritto al figlio”».

Quindi protagonisti a vario titolo, sono esseri umani, anelli di un evento, la maternità, “senza più alcun segreto e misterica valenza” che può essere scissa, frammentata, scomposta nei suoi organi, funzioni, fasi, tappe di un itinerario da una madre richiedente a una madre biologica, di nuovo a una madre destinataria, a genitori di destinazione.

Pezzi di una catena di assemblaggio della vita, sconnessi da un percorso individuativo, salto dalla Grande madre alla grande macchina, il dominio della tecnica dove sempre e comunque il corpo della donna è manipolato, usato; manodepera di un grande affare con variazioni a seconda dei Paesi, con benestare della donna stessa. A volte con motivazioni “disarmanti”, si-mulacri di bontà e innocenza. Orgogliose madri surrogate felici d’essere donatrici di ovuli, avocano a sé proprio il carattere oblativo del gesto; se non fosse che di solito il sistema presuppone un compenso economico per la gestazione effettuta; presuppone un mercato in cui la manodopera viene prodotta e selezionata in base a parametri di classe e razza.

In quanti e quali casi si può parlare di dono? Poco e niente, evidentemen-te, se si è arrivati persino a scomodare la figura storica e religiosa di Maria, come a voler cogliere il lato “luminoso” della faccenda, idealizzare come la Madonna chi offra il proprio ventre in quanto “luogo di cottura del progetto, del desiderio e del simbolo vitale di qualcun altro”. Ma nella questione d’enorme complessità che per le autrici richiede un approccio multidi-sciplinare, mentre si ravvisano mitologie svuotate e ridotte ai minimi termini, tra la condanna e l’assenso all’insegna della normalizzazione conformistica di tutto, aleggiano domande cruciali: «Quale vissuto e quali fantasie inconsce passerà la madre surrogata all’embrione poi feto poi figlio?». Che ri-percussioni avrà tutto questo sulla psicologia dei nuovi nati e sulla loro iden-tità? Che razza di mutazione antropologica è in atto? Che uomo o omuncolo, ultimo prodotto di un’alchimia che vuole potere assoluto sulla natura, sarà?

La ricerca non è che all’inizio e il cammino è tutto da inventare in uno scenario multiplo di identità, tra una madre surrogata, una donatrice di ovu-li a cui le covu-liniche della fertiovu-lità suggeriscono completa disconnessione

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emotiva con il feto, e genitori programmati, che possono essere etero, gay, lesbiche, single o coppie.

Così può accadere che un individuo surrogato abbia «una madre biologi-ca, una gestante e una legale (la terza, a volte, corrisponde alla prima), op-pure nessuna madre legale ma due padri». Se tutto poi si svolge su un piano pulsionale, all’insegna della prepotenza di un desiderio spesso “condito” con minacce istituzionali in nome di un orologio biologico e condizionato da campagne ministeriali pseudo informative (si pensi all’ultima “nostrana” sulla fertilità), tra l’opacità della coscienza, la rinuncia o incapacità di una ricerca e un’individuale presenza d’essere, tra onnipotenza e infantilismo o peggio falsa innocenza: se alcunché non è vietato espressamente, «allora è permesso, allora tutto è permesso nella rincorsa esasperata di un desiderio, avere un figlio». E di quale madre parleremo, se l’anima è smarrita? Do-mande che chi voglia sfuggire al conformismo, non può non porsi. E dov’è la libertà di scelta in tutto questo? Nelle tante, molteplici corde tirate, tra la vita e la morte, tra un Super Io bandito e un Io inflazionato, l’onnipotenza che si tramuta in impotenza, la tecnica che schiaccia la natura così da se-gnare non «un progresso, ma la sottomissione ed emarginazione di un polo dialettico», l’auspicio delle autrici, artefici di una psicoanalisi militante è che dopo Edipo e Narciso, sopraggiunga Minerva, dea duplice di guerra e saggezza, perché solo l’ambivalenza portata a consapevolezza può essere il precursore dell’integrazione degli opposti. Una lettura indispensabile per dotarsi di una chiave di lettura di fenomeni nuovi e complessi del nostro tempo che tutti ci riguardano, per chi voglia spingere lo sguardo oltre i si-mulacri e le simulazioni.

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