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Risposta del basilico alla somministrazione di forme diverse di iodio

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali

Laurea in Scienze Agrarie

Tesi

Risposta del basilico alla somministrazione di

forme diverse di iodio

Candidata: Caterina Poli (m.439038)

Relatori:

Correlatore:

Prof. Alberto Pardossi

Prof.essa Lucia Guidi

Dr. Claudia Kiferle

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Dichiarazione

Con la presente dichiaro che questa tesi è stata da me elaborata e che, per quanto io ne sia a conoscenza, non contiene materiale precedentemente pubblicato o scritto da altri, né materiale utilizzato per il conseguimento di qualunque altro titolo universitario o di altro istituto di apprendimento, ad eccezione del caso in cui ciò venga riconosciuto nel testo, citando la fonte.

Caterina Poli Firma

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Sommario

Sommario...3

Cap. 1 – INTRODUZIONE...6

1.1. Malnutrizione nel mondo...6

1.2. Il ciclo dello iodio...7

1.3. L’importanza dello iodio nella salute umana...12

1.4. La prevenzione della IDD...17

1.5 La biofortificazione dei vegetali...20

1.6 Fitotossicità da iodio...28

CAP.2 - PARTE SPERIMENTALE...31

2.1 Scopi della prova sperimentale...31

2.2 Materiali e metodi...31 Primo esperimento...35 Secondo esperimento...35 Terzo esperimento...35 Quarto esperimento...36 Quinto esperimento...36 Misure effettuate...37

Disegno sperimentale e analisi statistica...38

2.3 Risultati e discussione...39 Esperimenti 1-3...39 Esperimento 4...46 Esperimento 5...49 2.4 Conclusioni...51 BIBLIOGRAFIA CONSULTATA...53

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RIASSUNTO...61 RINGRAZIAMENTI...62

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PREMESSA

L’apporto ottimale di macronutrienti (proteine, carboidrati e lipidi) e micronutrienti (vitamine e minerali ad. es I, Fe, Zn) nella dieta è alla base della salute e del benessere dell’uomo.

Tra questi ultimi lo iodio svolge un ruolo importante nella fisiologia umana e la sua carenza può provocare patologie anche gravi (ad esempio il gozzo), specialmente nelle donne in gravidanza e nei bambini. Questo elemento viene assimilato dall'uomo attraverso gli alimenti (soprattutto pesce e carne). I vegetali non contengono elevate quantità di iodio, quindi giusto quelli che crescono su terreni situati nei pressi dei mari riescono a soddisfarne il fabbisogno quotidiano.

In alcune zone del mondo distanti dalle acque marine lo iodio è presente nei suoli in concentrazioni bassissime, causando carenze di questo elemento nelle popolazioni locali. Una soluzione a questo problema in buona parte del mondo è stato la fortificazione del sale alimentare con lo iodio (aggiunto come ioduro o iodato di potassio) come forma di profilassi. Una valida alternativa è la biofortificazione delle piante eduli con iodio. E' stato dimostrato che la coltivazione idroponica aumenta l'efficacia dei trattamenti di biofortificazione delle piante con iodio ed altri elementi rispetto alla concimazione del terreno o alla concimazione fogliare. Per un efficace protocollo di biofortificazione è necessario prima di tutto stabilire le dosi di tossicità dell'elemento, oltre le quali la pianta subirà danni fitotossici.

In questo esperimento sono state fatte prove di tossicità da iodio su due varietà differenti di basilico (Ocimum basilicum L.,var. Tigullio, a foglia verde e var. Red Rubin, a foglia rossa) coltivato fuori suolo con il metodo Floatyng System

I risultati hanno confermato la bibliografia analizzata: alte concentrazioni di ioduro di potassio (100 e 200 µM) causano una riduzione dello sviluppo degli internodi(nanismo), riduzione della densità fogliare e macchie clorotiche o necrotiche su foglie, specialmente in Tigullio. Alle stesse concentrazioni lo iodato non causa fitotossicità, mentre a concentrazioni basse (10 e 50 µM) stimola la produzione della biomassa, confermando anche in questo caso la bibliografia.

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Cap. 1 – INTRODUZIONE

1.1. Malnutrizione nel mondo

Per un'alimentazione bilanciata che permetta di soddisfare completamente le esigenze nutrizionali della persona e favorirne lo sviluppo è necessario l'apporto quotidiano di una certa quantità di nutrienti. Oltre ai così detti “macronutrienti”, quali amminoacidi, vitamine, proteine ecc., che rappresentano i materiali di cui il nostro organismo è composto e che ne garantiscono il suo funzionamento, “i micronutrienti” svolgono anch'essi un ruolo importante seppur richiesti in minori concentrazioni. Tra i “micronutrienti”si contano 22 elementi minerali, vitamine e composti organici fondamentali per l'uomo, il cui fabbisogno viene soddisfatto con una adeguata alimentazione. Le principali cause di malnutrizione a livello mondiale sono le carenze di suddetti elementi e in bibliografia si riporta che circa il 30% della popolazione mondiale soffre di qualche forma di malnutrizione (Perata et al., 2005). Le cause possono essere sia uno scarso apporto energetico e di nutrienti,ma anche una dieta sbilanciata ed eccessiva. Infatti, la maggior parte delle problematiche di origine nutrizionale nel mondo industrializzato sono legate a quest'ultimo aspetto.

Si stima che nel mondo, su un totale di 6 milioni di persone affette da una o più carenze minerali o oligominerali, il 60% di esse soffra di carenza di Ferro (Fe), oltre il 30% di carenza di Zinco (Zn), il 30% di Iodio (I), circa il 15% di Selenio (Se). Inoltre in molti paesi sviluppati e in alcuni ancora in via di sviluppo sono comuni anche carenze di Caio (Ca), Magnesio (Mg) e Rame (Cu) (White and Broadley, 2009). Carenze di questi elementi possono causare anche gravi patologie nell'uomo. In generale le fasce di età più colpite o che risentono maggiormente delle carenze nutrizionali sono i bambini e le donne in gravidanza. Infatti, bassi livelli di micronutrienti possono danneggiare lo

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sviluppo cognitivo nei bambini e ridurne la resistenza immunitaria, aumentando così il grado di mortalità infantile.

Alle origini di questo problema sta un'alimentazione basata su un consumo di vegetali con ridotto contenuto in minerali o cresciuti in condizioni di scarsa fito-disponiblità di questi elementi, accompagnato da ridotti consumi di pesce e carne, che ne sono le fonti principali. (Welch & Graham, 2002, 2005;Poletti et al., 2004; White & Broadley, 2005a; Gibson, 2006;Graham et al., 2007).

Queste forme di malnutrizione possono essere abolite attraverso l'adozione di diete diversificate, l'integrazione di elementi minerali, alimenti fortificati (come il sale iodato) oppure aumentando l'accumulo e quindi la biodisponibilità di questi nelle coltivazioni edibili, ovvero biofortificandole. (White and Broadley, 2009).

Tra i vari microelementi le cui carenze possono causare patologie, lo iodio è uno dei più importanti e il suo scarso apporto nella dieta umana induce una carenza nutrizionale definita come disordine da iodio deficienza (Iodine Deficiency Disorder,

IDD),la quale colpisce maggiormente le donne in gravidanza e bambini, con gravi conseguenze sulla mortalità prenatale e ritardi mentali. Infatti, la IDD è una delle principali cause di danni cerebrali evitabili nei bambini, motivo per cui la sua eliminazione è di primaria importanza.

1.2. Il ciclo dello iodio

Lo iodio (numero atomico 53 e peso atomico 126.9 Da) fa parte del diciassettesimo gruppo degli elementi della tavola periodica, quello degli alogeni. Chimicamente è il meno reattivo e meno elettronegativo dopo l'astato nel suo gruppo. Come gli altri elementi di questo gruppo (F, Cl, Br) anche lo iodio forma una molecola biatomica, I2, ma differentemente dagli altri a temperatura ambiente dallo stato solido

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forme più importanti riscontrabili in natura sono gli anioni I-, IO

3- e i vari anioni

periodati. Il raggio ionico dello ione I- è grande (220 pm) e questo non gli permette di

inserirsi facilmente all'interno dei cristalli dei minerali rocciosi che compongono il suolo, motivo per cui lo iodio è scarsamente contenuto sulla crosta terrestre, con concentrazioni tra lo 0,25-0,3 mg/Kg (Fuge,1988). Tra i tipi di rocce quelle sedimentarie contengono più iodio (4-5 ppm) rispetto alle ignee e alle metamorfiche (0,01-0,03 ppm, Perata et al., 2005).

Il ciclo dello iodio non è ancora completamente conosciuto ed è schematizzato nella figura sottostante.

Ciclo dello iodio (Perata et al., 2005)

Probabilmente le maggiori riserve di iodio si trovano nei sedimenti oceanici (70%), nelle rocce sedimentarie continentali (28%) e una solo piccola parte nelle acque marine ( c.a. 0,8%). (Muramatsu et al., 2004; Perata et al., 2005).

In realtà, contrariamente a molti altri elementi, lo iodio è contenuto in concentrazioni abbastanza elevate nelle acque marine (60 µg/L), rendendo queste ultime, una delle principali fonti di iodio inorganico. Nelle acque marine questo si trova

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specialmente nella forma ionica IO3-, ma anche, seppur in minori concentrazioni, in

quella I- e nelle loro forme organiche negli esseri viventi.

Dal mare, lo iodio si sposta nell’atmosfera principalmente per volatilizzazione, attraverso processi inorganici o biologici ad opera di alghe e batteri. Il passaggio nell'atmosfera attraverso la volatilizzazione avviene nelle forme di metilioduro (CH3I),

diiodiometano (CH2I2), cloroiodimetano (CH2ICl), bromoiodiometano (CH2Br) e iodio

molecolare (I2).

Il passaggio da IO3- a I-, avviene in massima parte ad opera di batteri nitrato

riduttori in grado di ridurre anche lo iodio e solo in parte attraverso la fotolisi in presenza di sostanza organica (Fuge et. al. 2015). Anche altri organismi come ad esempio le macroalghe (marroni>rosse>verdi), microalghe e fitoplancton sono tra le principali fonti di iodio organico nei mari e contribuiscono alla sua volatilizzazione.

Infatti, è stato dimostrato esser presente lo iodio molecolare (I2) e come questo

reagisca con ioni metilici (CH3-) attraverso reazioni di tipo fotochimico. (Moore and

Zafirou, 1994; Hppel and Wallace, 1996). Lo iodio inorganico IO3- si forma grazie alla

reazione dell'ozono (O3) con lo iodio presente sulle superfici marine, dando origine

prevalentemente a iodio elementare (I3, Martino et al., 2009).

Solitamente lo iodio elementare o nelle suo forme organiche, una volta volatilizzato nell'atmosfera, viene fotossidato in nuclei IO o IO2, cioè ossidi altamente

igroscopici e che quindi si legano facilmente alle molecole di acqua presenti nell'atmosfera, favorendo la condensazione di nubi (Küpper et al., 2008). Non a caso per favorire la condensazione delle nubi artificialmente, attraverso il “cloud seeding” viene usato iodato di argento. Inoltre anche i banchi di alghe che si accumulano sulle spiagge fungono da fondamentali dispersori di iodio nell'atmosfera, in questo caso nelle sue forme organicate.

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Il trasferimento dello iodio al suolo, invece, avviene grazie al vento, che sposta sia le molecole di iodio gassose formatosi, sia lo iodio inorganico contenuto nell’aerosol marino. Successivamente, grazie a precipitazioni meteoriche di vario genere (pioggia e neve), o secca (ovvero depositi di particelle e di acidi), lo iodio va a depositarsi sul suolo prossimo alle coste e a seconda dell’intensità del vento, fino a decine di chilometri da esse (fino a circa 50-80 Km).

L’importanza dell’aerosol marino nel trasporto dello iodio sulla terraferma è confermata da numerosi studi bibliografici che hanno evidenziato che:

-spesso i suoli delle zone costiere sono molto più ricchi in iodio rispetto alle rocce sottostanti, questo perché le principali concentrazioni nei suoli arrivano attraverso la risalita (o l’uso) di acque salate e dall'atmosfera, specialmente con le piogge. (Goldshmitd, 1954).

-è stata trovata una correlazione tra contenuto di iodio nei suoli e la piovosità in suddette zone: dove piove di più, il contenuto in iodio dei suoli è maggiore. (e.g. Fuge, 1996; Schnell and Aumann,1999; Aldehan et al., 2009; Bowley, 2013).

Tuttavia vi sono anche studi che mostrano una considerevole variabilità dei contenuti di iodio nei suoli, compresi quelli situati nei pressi delle zone costiere. (Johnson, 2003). Questa variazione dipende dalla capacità del suolo nel trattenere o meno lo iodio in arrivo.

La ritenzione dello iodio nel terreno è favorita: i) dalla presenza di sostanza organica, e più in particolare dalla torba (Fuge et al., 2009); ii) dalla presenza di ossidi di ferro e alluminio, con i quali lo iodio si lega; iii) la presenza di gesso e calcare nei terreni e iv) in minore misura, dalla presenza di minerali argillosi (Fuge, 2013).

Alla luce di quanto sopra descritto, si può concludere che il contenuto di iodio nel terreno dipenderà sia dalla vicinanza al mare che dalla piovosità della zona, ma

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anche dalla quantità e qualità della roccia e dei suoi composti organici e inorganici contenuti nel suolo stesso.

Nel terreno, la principale forma di iodio presenti nei suoli, (come anche nei mari), sono gli ioni IO3- e in minor quantità gli ioni I-. Questa ultima forma più ridotta è

presente in minore concentrazione nel suolo perché è utilizzata come forma di energia da parte di alcuni batteri, i quali, attraverso l'impiego di un enzima ossidativo (si presuppone una laccasi), ossidano lo ioduro nelle forme I2 e HIO, che in presenza di

sostanza organica reagiscono formando composti iodio-organici.(Seki et al., 2013). Lo iodio può abbandonare il terreno principalmente per fenomeni di lisciviazione, in seguito a irrigazione o piogge e raggiungere bacini idrici, fiumi e mari chiudendo così il suo ciclo.(Perata et al., 2005).

La perdita di iodio dai terreni può avvenire, seppur in minore misura, anche attraverso la sua volatilizzazione nella forma metilata CH3I, sia dal terreno (ad opera di

specifici batteri e funghi), sia dalle piante. Infatti, lo iodio non è un elemento essenziale nelle piante (si stima un contenuto medio di circa 1ppm, Fuge, 2015) e se presente nei tessuti in alte concentrazioni causa fenomeni di fitotossicità. Per questo motivo le piante hanno sviluppato meccanismi di detossificazione, che si basano sull’enzima metil transferasi, che catalizza la reazione di metilazione dello iodio, favorendo poi la sua dispersione nell’atmosfera grazie alla sua volatilizzazione attraverso gli stomi.

Si presuppone che le cellule radicali delle piante assorbano lo iodio nella forma anionica I- e che questo segua le vie di trasporto dello ione cloruro (Cl-) attraverso il

complesso di simporto H+/anione che ne permette il rilascio direttamente nello xilema.

(White& Broadley, 2001; Roberts, 2006). Purtroppo non è ancora stata definito completamente il suo trasporto all'interno della pianta.

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Gli studi fatti fin'ora hanno trovato e studiato alcune strutture responsabili del trasporto dello iodio: ad esempio un trasportatore H+/alogenuro appartenente alla

famiglia dei trasportori del cloro (CLC) citato sopra è una sottoclasse di proteine appartenenti alla famiglia delle ATP-binding cassette (ABC) (De Angeli et al.,2006; Marmagne et al., 2007; Verrier et al., 2008); i CLC non discriminano lo ione I- da

quello Cl- (Barbier-Brygoo et al., 2000; White & Broadley, 2001; Roberts, 2006);

inoltre flussi di alogenuri possono essere facilitati da trasportatori di acidi organici (White & Broadley, 2001).

1.3. L’importanza dello iodio nella salute umana

Nel corpo umano lo iodio è un elemento importante, in quanto ricopre un fondamentale ruolo nel funzionamento della ghiandola tiroide, una ghiandola endocrina situata alla base del collo e deputata alla produzione di ormoni tiroidei. All'interno della ghiandola specifiche cellule follicolari sintetizzano gli ormoni tiroidei iodati: la tiroxina (T4, all'interno della quale lo iodio ricopre il 65% del peso totale) e la triiodiotironina (T3). Questi due ormoni intervengono in numerose funzioni metaboliche, ma nello specifico regolano lo sviluppo del sistema nervoso centrale e l'accrescimento corporeo (Perata et al., 2005). Le principali funzioni della tiroide sono tre: i) captare lo iodio, ii) sintetizzare la tireoglobulina (sostanza base per la sintesi degli ormoni tiroidei) e ii) immagazzinarla nei follicoli. Lo iodio captato nel plasma e depositato nei follicoli dalla tiroide deriva dagli alimenti e dall'acqua assunti.

Quando le richieste di questo elemento non sono pienamente soddisfatte si crea uno scompenso a livello ormonale, che di conseguenza causerà ipotiroidismo e una serie di disfunzioni fisiologiche definite come disordine della deficienza di iodio (Iodine Deficiency Desorder, IDD), tra le quali il gozzo è la più conosciuta ed evidente. Tuttavia i maggiori danni causati dalla deficienza di iodio sono ritardo mentale

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irreversibile e cretinismo, specialmente se le carenze avvengono nei primi anni di vita. Queste due situazioni avvengono in condizioni di elevata mancanza dell'elemento, ma possono comunque formarsi danni cerebrali di minore impatto, ma che comunque possono causare scarse performances scolastiche, abilità intellettuali e motorie compromesse.

Pazienti affetti dall’ingrossamento della ghiandola tiroide, definito comunemente anche “gozzo”(Fonte: http://medicalpicturesinfo.com)

La quantità di iodio giornaliera raccomandata (RDA) dal World Health Organization (WHO), dall’United Nations Children’s Fund (UNICEF) e dall’International Council for the Control of Iodine Deficiency Disorder (ICCIDD) è riportata in tabella 1.1. Considerando che il fabbisogno quotidiano di iodio per un bambino è di 150 µg, mentre per le donne in gravidanza 250 µg è stato stimato che il 31,5%, quindi circa 266 milioni di bambini nel mondo non apportano quotidianamente abbastanza iodio con la dieta per mancanza di impiego di sale iodato nell'alimentazione, tra i quali 73 milioni nel sud-est asiatico, 57,5 milioni in Africa, 40 milioni in Europa,

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sulle coste orientali del Mediterraneo e le coste occidentali pacifiche, mentre 12 milioni nelle Americhe.L’evoluzione dei mezzi di diagnosi della IDD ha permesso anche un miglioramento dello studio dell’incidenza della malattia a livello mondiale.

Tab 1.1: RDA iodio da WHO, UNICEF e ICCIDD.

Età soggetti µg/Kg/giorn

o I µg/giorno I 0-6 anni 0-5 mesi 15 90 6-12 mesi 30 1-6 anni 6 7-12 anni 4 120 Adulti 2 150 Donne in gravidanza 3,5 200

Fino agli anni '90 la diagnosi del tasso di gozzo (GR, goiter rate) era l'unico metodo usato in tutto il mondo per valutare la presenza o meno di carenza da iodio. Questa tecnica veniva impiegata già nel 1500 e consiste nell'ispezione e palpeggio con tutti e due i pollici simultaneamente della tiroide, per valutarne un effettivo rigonfiamento.

L'impiego degli ultrasuoni come prova di riconoscimento del gozzo ha permesso di valutare anche quei casi più lievi, non individuabili con la palpazione. Ma l'elevato costo degli impianti, la variabilità di interpretazione dei dati e l'elevata preparazione del personale per la sua gestione non ne ha permesso l'impiego a livello mondiale.

Tab 2.2: Livelli di salute mondiale dei valori di iodio assimilati basati sull'UI (De

Benoist et al., 2007).

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Discreta deficienza da iodio (20-49 µg/L)

Repubblica Dominicana, Bielorussia, Algeria, Senegal, Repubblica Centro Africana, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan, Vietnam.

Leggera deficienza da iodio (50-99 µg/L)

Venezuela, Groenlandia, Irlanda,Danimarca, Ungheria, Ucraina, Bulgaria, Bielorussia, Estonia, Lettonia, Lituania, Francia, Italia, Camerun, Niger, Ghana, Marocco, Mali, Mauritania, Sudan, Etiopia, Tanzania, Mozambico, Zambia, Botswana, Turchia, Kazakistan, Georgia, Azerbajan, Pakistan, Mongolia, Brunei, Emirati Arabi, Oman.

Ottimale (100-199 µg/L)

Perù, Finlandia, Repubblica Ceca, Germania, Spagna, Austria, Svizzera, Slovacchia, Croazia, Serbia, Albania, Bulgaria, Grecia, Egitto, Kenya, Somalia, Sud Africa, Nigeria, Sierra Leone, Liberia, Israele, Arabia Saudita, Yemen, Iran, Uzbekistan, Turkmenistan, India,

Thailandia, Laos, Papa Nuova Guinea, Oceania. Rischio ipertiroidismo

iodio-indotto (200-299 µg/L)

Alaska, USA, Messico, Colombia, Bolivia, Paraguay, Namibia, Botswana, Zimbabwe, Niger, Ciad, Liberia, Cina,Bangladesh, Filippine, Singapore, Indonesia. Rischio conseguenze

negative sulla salute ( >300 µg/L)

Cile, Brasile, Ecuador, Repubblica Democratica del Congo, Uganda.

Assenza dati Canada, Argentina, Angola, Madagascar, Libia, Somalia, Siria, Libano, Iraq, Giappone, Nepal, Cambogia.

Oggi esistono nuovi esami diagnostici, più specifici e precisi, che permettono di valutare non solo il gozzo, che è la manifestazione più diffusa della carenza di iodio, ma altre patologie tipiche della IDD, permettendo così di distinguere in differenti gradi di intensità il deficit di iodio e monitorare nel tempo i suoi danni nelle popolazioni ed eventuali peggioramenti o miglioramenti.

Il metodo diagnostico oggi maggiormente utilizzato, è l'UIC (Urinary Iodine Concentration µg/L), un indicatore ben più preciso e sensibile rispetto alle analisi

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precedenti, il quale permette di monitorare e stimare facilmente le condizioni delle popolazioni sia per quelle che hanno scarsi apporti di iodio, sia quelle che ne hanno di eccessivi, sia per quelle che assumono integratori quali sale iodato. Infatti, l'analisi della concentrazione di iodio nelle urine permette di riconoscere una effettiva carenza, anche in assenza di sintomatologie attribuibili al gozzo. (Zimmermann et. al. 2012).

Nel 2005, sotto richiesta della World Health Assembly (WHA), la WHO ha iniziato un protocollo di monitoraggio basato sulle analisi e i confronti degli indici UI e del GR(“Goiter Rate”) ogni tre anni a livello mondiale

Grazie alla organizzazione di uno specifico database è stato possibile valutare le differenze di iodio deficienza in due periodi temporali, tra il 1993 e il 2003 e tra il 1997 e il 2006, usando come target bambini in fascia di età 6-12 anni e donne durante la gravidanza, in quanto soggetti maggiormente colpiti da questa carenza. Queste analisi sono state fatte in 130 paesi, rappresentando quindi il 91,1% dell'intera popolazione mondiale (63 paesi non sono stati valutati per mancanza di dati).

In Italia sono circa 6 milioni le persone affette da gozzo, manifestazione più diffusa della carenza di iodio, più del 10 % della popolazione ed è stato stimato che il suo impatto economico sia di 150 milioni euro/anno. Dai dati ISTAT sui ricoveri ospedalieri nel 2000, pare ci siano stati circa 30 mila ricoveri ordinari con diagnosi di gozzo semplice, quindi circa 50 ricoveri ogni 100 mila abitanti.

1.4. La prevenzione della IDD

A livello mondiale è stato istituito l' International Council for the Control of Iodine Deficiency Disorders (ICCIDD), ovvero una associazione internazionale di studiosi che promuove l'adozione di programmi di iodioprofilassi. Questo associazione ha il compito di monitorare le iodio-deficienze in ciascun paese (oggigiorno alcuni paesi nel mondo non hanno ancora aderito a questa iniziativa), ma anche di risolvere il

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problema promuovendo il consumo di sale iodato o alimenti fortificati e le conoscenze base per attuare un stile di vita sano e salutare.

I dati comparati dall'ICCIDD tra il 2003 e il 2011 nei paesi nel globo dimostrano una riduzione del 5% di casi di iodio deficienza (da 54 paesi nel 2003 a 47 nel 2007 a 32 nel 2011),ma in alcuni paesi si è assistito ad un aumento dei casi come in Europa (7,5% in più) e nel sud-est asiatico (9,6%). (J.H. Lazarus, 2014).

L'Europa centrale ed occidentale ospita una popolazione di circa 600 milioni di persone dislocate in 35 paesi. Da circa 10 anni vengono monitorati anche in questo continente le carenze di iodio e le sue conseguenze. Da una analisi degli UI di tutti i 35 paesi europei svolta nel 2013 è risultato che solo 13 di questi hanno l'obbligo di consumare sale iodato, mentre 21, quindi circa 400 milioni di persone, no. Di conseguenza in circa il 30% dei paesi europei è presente un inadeguato apporto di iodio durante la gravidanza. La situazione europea è abbastanza eterogenea: alcuni paesi presentano una severa deficienza, altri la hanno sviluppata solo negli ultimi anni (come l'Inghilterra, che presenta due terzi delle donne in gravidanza con carenza di iodio), mentre la maggior parte ha risolto il problema grazie a campagne di obbligo nel consumo di sale iodato e al monitoraggio degli UI negli anni.

Questo accade probabilmente per uno scarso consumo di sale iodato nelle famiglie, caratteristica generale di numerosi paesi dell'Europa (27% contro il 90% negli Stati Uniti), eccetto la Svizzera e i paesi Scandinavi, che infatti sono riusciti a debellare i casi di carenza da iodio.

Per sopperire a questa carenza in Italia è stato attivato un Comitato nazionale per la prevenzione del gozzo che promuove la conoscenza e lo svolgimento di studi epidemiologici di questa malattia. Nel 1997 fu avviata una Campagna nazionale di educazione alimentare, “Sale nell'alimentazione per la profilassi della carenza iodica e

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la prevenzione dell'ipertensione”, ma la vendita di questo tipo di sale non superava il 3% di tutto il sale alimentare. Fino al 2004 in Italia la “profilassi iodica” era ancora volontaria, ma nel 2005 è stata approvata la Legge 21 marzo 2005, n. 55 - “Disposizioni finalizzate alla prevenzione del gozzo endemico e di altre patologie da carenza iodica”-che obbliga la vendita di sale iodato in tutti i punti vendita.

Logo relativo alla legge n° 55/2005 sulla profilassi iodica con il consumo di sale iodato. Fonte: https://www.ilfattoalimentare.it

Dunque nella maggior parte dei casi l'istituzione di comitati e la programmazione di campagne di fortificazione, educazione e integrazione di iodio hanno avuto riscontri positivi sulla sua carenza e sicuramente in futuro continueranno a svolgere un ruolo fondamentale. Tuttavia risultano essere metodi costosi, che richiedono continui input e a volte non riescono a raggiungere tutte le categorie di individui a rischio.

Come accennato precedentemente, il metodo fin'ora usato di più a livello mondiale per compensare le carenze di iodio è il consumo di sale iodato nella dieta.

Chimicamente il sale iodato non è una sostanza pura, ma un insieme di più sostanze, quali NaCl e fonti di iodio come KI o KIO3.

Le forme ioduro e iodato sono caratterizzate da proprietà chimiche differenti e da potenziali effetti benefici/tossici differenti. Lo iodato è molto più stabile dello ioduro, mentre quest'ultimo viene facilmente ossidato in iodio molecolare e perso per

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evaporazione. Tra le due forme è preferibile usare lo ioduro di potassio al posto dello iodato, perché è maggiormente biodisponibile nell'uomo.

Dal 1990 ad oggi siamo passati dal 20% al 71% di paesi che hanno adottato questo metodo, quindi in molti casi è stato ben efficace nel ridurre o alleviare i casi di IDD, ma contemporaneamente richiede impegni continui e spesso non riesce a perdurare nel lungo termine. Un esempio può essere l'Etiopia, in cui il sale iodato non riesce ad arrivare alle persone che ne hanno bisogno, perché molto più costoso del sale normale. Inoltre il governo non si impegna nella gestione dei progetti e la distribuzione è stata bloccata o comunque resa più complicata dalla guerra. (Lyons et al., 2004).

Un altro esempio di fallimento delle campagne di sensibilizzazione e consumo di sale iodato avvenuta nelle provincie dello Xingjiang in Cina per ragioni culturali e infrastrutturali. Per compensare questa grave carenza è stato aggiunto iodato di potassio (KIO3) alle acque di irrigazione, biofortificando così i vegetali che occupavano grande

importanza nella dieta quotidiana di quelle regioni . Gli effetti della biofortificazione sono stati efficaci: in due anni la mortalità infantile è diminuita del 50% e la IDD fu praticamente eliminata. (Lyons et al., 2004).

1.5 La biofortificazione dei vegetali

Il contenuto di iodio negli alimenti è strettamente legato, direttamente o indirettamente, al suo contenuto nell'ambiente (Perata et al., 2005). L'uomo assimila lo iodio dagli alimenti, tra i quali i pesce, la carne e le uova sono tra le fonti principali e in certe zone del globo anche dall'acqua. I vegetali, invece, sono una scarsa fonte di questo elemento.

Essendo queste ultime la principale fonte di sostentamento di tutte le popolazioni mondiali, in quelle zone dove i terreni presentano carenze, seppur lievi, è molto probabile l'insorgenza di casi IDD specialmente nei bambini e nelle donne in

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gravidanza. L’utilizzo di sale arricchito con ioduro di potassio o iodato di potassio, può rappresentare una soluzione capace di debellare questa malattia. Tuttavia la profilassi con sale iodato è abbastanza costosa e non tutti poi sono disposti a seguirla, anche perché contrasta con altre problematiche come ad esempio la prevenzione dell’ipertensione.

Contenuto di iodio negli alimenti in μg/Kg .Fonte: https://www.ilcorrieredellasera.it

Un'alternativa meno dispendiosa all'impiego del sale iodato nella profilassi iodica è la biofortificazione delle specie vegetali edibili, specialmente in quei paesi dove le campagne di profilassi incentrate sul consumo di sale iodato non ha avuto pieno effetto. Con il termine biofortificazione, in questo caso iodica, si intendono interventi a livello agronomico consistenti nel far assimilare alle piante maggiori concentrazioni di iodio rispetto alla norma che ne permettano un'adeguata biodisponibilità durante il consumo.

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a) genetico, attraverso un conventional breeding, quindi per mezzo di incroci e selezioni oppure con l'ingegneria genetica (GMO), come ad esempio il Golden Rice;

b) agronomico, ovvero aggiungendo micronutrienti o fertilizzanti, quindi apportando l'elemento nutritivo attraverso la fertilizzazione, come nel caso della patata biofortificata con il Selenio (Se). (McKenzie et al., 2015).

a) b)

Esempi di elementi bioforticati. a) Golden Rice, varietà di riso geneticamente modificata in grado di biosintetizzare nelle cariossidi il beta-carotene, precursore della vitamina A. (Fonte: https://www.waterandfoodsecurity.org); b) Patate biofortificate con selenio, attraverso applicazioni fogliari direttamente in campo durante la crescita della

pianta. (Fonte: https://www.ilfattoalimentare.it )

L’aumento della concentrazione dei minerali all'interno dei tessuti edibili nei vegetali per via agronomica, senza alcuna perdita nella produzione, è possibile attraverso l'aumento dell'assorbimento radicale (di elementi contenuti nel suolo) o fogliare (attraverso applicazioni spray sulla lamina fogliare, quindi per assorbimento cuticulare), una redistribuzione di questi ultimi nella zona edibile della pianta ed infine, il suo accumulo in concentrazioni non tossiche. (Welch and Graham, 2002).

Le prime strategie agronomiche mirate per aumentare le concentrazioni di elementi minerali nei tessuti edibili e tutt'ora usate in gran parte del mondo, consistono nell'applicare il fertilizzante dotato dell'elemento carente e/o aumentare il potere solubile e la mobilità degli elementi minerali nel suolo (White and Broadley, 2009).

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Negli ultimi anni sono stati adoperati vari metodi per favorire l'assimilazione dello iodio da parte delle piante. Le prime tecniche di biofortificazione adottate e tutt'ora in uso per la loro semplicità di azione, prevedono l'applicazione di ioduro o iodato di potassio direttamente sul suolo, nei pressi delle radici, come una vera e propria fertilizzazione.

Oggigiorno per sopperire a lievi carenze di iodio nel suolo alcuni paesi europei delle zone costiere (Irlanda del Nord, Inghilterra e Francia) utilizzano come concime le alghe, che ,come accennato prima, vantano essere tra le principali fonti marine di iodio organico.

Prima di poter attuare le tecniche di biofortificazione è però necessario valutare e conoscere gli effetti dello iodio, specialmente se in alte concentrazioni, sulla fisiologia delle piante, ma anche sui loro processi biologici, compresa le possibili influenze positive o negative sulla nutrizione minerale e sulla qualità delle produzioni.

In generale la biofortificazione delle piante con lo iodio attraverso la fertilizzazione del suolo è poco efficace, a causa della grande quantità di iodio trattenuta dal terreno. Si stima che tre giorni dopo aver somministrato iodio in un suolo, circa il 90% sarà fortemente legato ai sesquiossidi di ferro e alluminio presenti nel terreno. (Muramatsu et al. 1990, Yoshida et al. 1992).

I processi di spostamento dello iodio nel terreno sono quelli tipici di adsorbimento e di eluzione. Quest'ultimo è estremamente lento quando le concentrazioni di iodio nel suolo sono basse, motivo per cui le piante ne assorbono quantità estremamente limitate. Al contrario, un’eccessiva concentrazione di questo elemento può causare reazioni fitotossiche nelle piante. (Smolen et al., 2010).

Alcune prove di fertilizzazione dei suoli con iodio, hanno dimostrato che quello assorbito viene prevalentemente accumulato nelle radici, nelle foglie e nello stelo

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(Mackowiak & Grossl, 1999; Zhu et al., 2003; Dai et al., 2004,2006; Kashparov et al., 2005; Mackowiak et al., 2005; Blasco et al., 2008), seguendo quindi il percorso della linfa xilematica. Tuttavia ci sono evidenze sperimentali che in piccola parte lo iodio può essere redistribuito attraverso la linfa floematica e quindi arrivare anche nei frutti. (Muramatsu et al., 1993, 1995). Infatti Landini et al. (2011) hanno dimostrato che lo iodio viene accumulato anche nei frutti di pomodoro nebulizzato con trattamento fogliare. Questo può essere spiegato solo con la presenza, seppur in minori concentrazioni, di iodio anche nel flusso floematico.

L'assorbimento nello iodio nelle piante varia a seconda della specie trattata, ma anche della forma chimica in cui lo iodio viene distribuito. Ad esempio, prove di applicazione di iodio in forma di KI direttamente sul suolo nella fase di pre-semina su spinacio (Spinacia oleracea) coltivato in vaso hanno dimostrato che le piante di spinacio sono in grado di assimilare alte concentrazioni di iodio (2 mg I/dm3 di suolo). Ottimale è stato anche il rendimento di iodio in foglie di lattuga coltivata in vaso dopo un processo di biofortificazione per nebulizzazione fogliare. Inoltre in risposta all'aumento dello iodio assimilato è stata notata una diminuzione del contenuto di nitrati nelle foglie trattate (Rakoczy et al., 2011).

L'accumulo dello iodio nelle piante, attraverso la nebulizzazione, è relativamente basso e solo alcuni organi quali radici, foglie e stelo riescono a soddisfare i requisiti per una giusta profilassi. Organi altrettanto edibili come frutti o cariossidi di cereali, invece, non accumulano abbastanza iodio. Non soddisfacendo i requisiti della biofortificazione questo problema può presentarsi in quelle zone di elevata carenza dove la principale fonte di sostentamento sono i cereali, come ad esempio la provincia dello Xingjang in Cina, la cui principale fonte di sostentamento è il riso. Dal 1980 le principali patologie della popolazione infantile e nelle donne in gravidanza in questa provincia sono legate

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alla carenza di iodio. In questo caso il consumo di sale iodato non basta a prevenire le IDD per due principali ragioni: in primis le popolazioni rurali della zona preferiscono consumare le miniere saline della loro zona, proveniente dalle loro rocce piuttosto che quello iodato, seppur gratis. Inoltre la cottura cinese prevede l'impiego del vapore ad elevate temperature (fino a 360°C), condizioni ideali per la volatilizzazione dello iodio contenuto all'interno dei vegetali cotti (Zhu et al., 2003). Anche l'aggiunta di iodio direttamente alle acque di irrigazione nei campi di orticole e nelle risaie, ha apportato beneficio, ma non è riuscita a debellare il problema; infatti nel riso lo iodio si accumula prevalentemente nelle foglie, nello stelo e nelle radici in manier proporsionale alle dosi date, ma nelle cariossidi, ovvero l'organo consumato, non si assiste ad alcun accumulo, redendo questo tipo di biofortificazione fallimentare in queste zone.

Conoscere la capacità del suolo di adsorbire lo iodio è di fondamentale importanza per una fertilizzazione a base di questo elemento. Nei suoli argillosi e ricchi di humus lo iodio si lega alla sostanza organica presente e agli ossidi di ferro e alluminio. Infatti piante che crescono su questi terreni hanno bassi contenuti di iodio. (Jopke et al., 1996). Di conseguenza la biofortificazione su suoli di questo tipo avrà effetti notevolmente minori rispetto a quella fatta su suoli sabbiosi o colture idroponiche. (Jopke et al.,1996; Zhu et al.,2003; Blasco et al.,2008; Voogt et al., 2010).

L'impiego di metodi di coltivazione in idroponica, quali il floating system, permettono alle piante di assorbire l'elemento direttamente dalla soluzione nutritiva, aumentandone così le concentrazioni di accumulo (Zhu et al 2003).

La coltivazione fuori suolo, che prevede il diretto contatto delle radici con la soluzione nutritiva è una valida alternativa alle biofortificazioni su suolo o per via fogliare, in quanto si riducono le perdite di iodio e si rende più efficiente l'assorbimento dell'elemento. Le principali specie studiate appartengono al gruppo delle piante orticole;

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infatti, è stato visto che queste rispondono meglio in termini di accumulo ai trattamenti rispetto a cerealicole (riso, grano ecc..) e piante da frutto (nettarina e prugna). Tra gli ortaggi che vengono biofortificati più facilmente e che quindi entrano nei programmi di profilassi iodica, sono la patata, il pomodoro, la lattuga e gli spinaci (Caffagni et al., 2012). Probabilmente la buona riuscita di questi trattamenti su queste specie è data dal fatto che lo iodio, all'interno della pianta, viene accumulato in maggiori concentrazioni negli organi vegetativi e che le parti edibili di queste piante sono per l'appunto tutti organi vegetativi, eccetto il pomodoro.

Prove di biofortificazione fatte su patata e pomodoro, allevate con sistema a terra (con fertilizzazione su suolo o per nebulizzazione fogliare) e fuori suolo, hanno confermato l'efficacia maggiore dei trattamenti con questo ultimo metodo, con un aumento notevole dello iodio assorbito. Con i sistemi di coltivazione fuori suolo è possibile controllare la quantità di elementi nutritivi disponibili per le radici e in questo caso anche di iodio, con semplicità e maggiore precisione rispetto agli altri metodi. Ad esempio il pomodoro da mensa è una delle coltivazioni maggiormente coltivata in idroponica e dagli studi si è dimostrata essere adeguata per la biofortificazione, in quanto riesce a coprire il fabbisogno giornaliero di iodio anche con trattamenti a concentrazioni basse (1M di iodio) (Caffagni et al., 2011).

La nebulizzazione fogliare aumenta gli accumuli in tutti gli organi tranne che in quelli sotterranei, specialmente nelle foglie, ma in pomodoro i livelli sono buoni anche nei frutti (bulbi e radici). Il caso del pomodoro conferma la bibliografia precedente (Landini et al., 2011), mentre la carenza di iodio nelle patate trattate a livello fogliare sta significare che le connessioni xilematiche tra radici e tubero non sono funzionali in queste occasione. Le elevate concentrazioni di iodio nei tuberi di patata ottenuti d

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trattamento su suolo, invece, dimostrano che lo iodio in questo caso è stato direttamente assorbito dal suolo attraverso l'epidermide, per contatto.

Un aspetto molto importante del prodotto vegetale biofortificato è anche stabilire se lo iodio assorbito rimanga più o meno costante durante le varie fasi della lavorazione e se questo iodio sia comunque biodisponibile per l’uomo.

Caffagni et al. (2012), hanno indagato sull’effetto della cottura (bollitura o cottura al forno) e della sbucciatura sul contenuto di iodio in alcuni ortaggi,dimostrando come la cottura al forno rispetto alla bollitura permetta di mantenere nei tessuti maggiori concentrazioni di iodio. Inoltre i prodotti crudi e dotati ancora di epidermide rimangono comunque quelli con maggiore contenuto in iodio. (Caffagni et al., 2012). Dunque anche le fasi post-raccolta influiscono molto sul prodotto finale, che questo sia consumato direttamente crudo, cotto o come ingrediente per alimenti ottenuti da trasformazioni.

Numerosi sono gli esperimenti fatti al fine di valutare l'efficacia di queste tecniche di biofortificazione per l’assimilazione di iodio per l’uomo

Attraverso le analisi effettuate nel 2011 da Rakoczy et al. su urine, feci e specifici organi, quali fegato, cuore, reni e massa muscolare di ratti nutriti con lattuga allevata in idroponica e biofortificata con differenti concentrazioni di ioduro di potassio sono stati dimostrati gli effetti positivi del consumo di queste verdure crude. Infatti, i campioni di iodio assorbito a differenti concentrazioni (0.260, 0.060, 0.254 e 0.075 mg I/kg) non hanno interferito nel funzionamento degli organi in analisi, i contenuti in iodio sono aumentati in maniera proporzionale alle concentrazioni suddette, come anche la quantità di ormoni tiroidei (TSH). Inoltre il contenuto di iodio negli organi analizzati era maggiore nei ratti sottoposti allo iodio rispetto a quelli del controllo, mentre le perdite tramite feci e urine erano maggiori negli ultimi.

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Tonacchera et al. (2012) hanno svolto un esperimento su 50 volontari in buone

condizioni di salute, nutriti per due settimane con verdure biofortificate con iodio (100 gr di patate, lattuga, carote e pomodori al quale sono stati applicati 45 mg di iodio, equivalente al 30% dell'RDA) dimostrando la validità di questa nuova forma di profilassi sull'uomo. La pianta impiegata è stata sempre la lattuga, una delle più indicate per la biofortificazione, perché è una verdura consumata in tutto il mondo, è facile da coltivare in serra o comunque in strutture protette. Inoltre viene consumata cruda, permettendo quindi di mantenere buoni livelli concentrazioni di iodio nei suoi tessuti. I risultati hanno mostrato un aumento degli UI durante il consumo delle verdure e ciò dimostra che lo iodio nel cibo è prontamente disponibile e assimilabile anche nell'uomo. Viste le concentrazioni lievi di assorbimento di iodio da queste verdure, nei casi grave di carenza è consigliabile associare a loro anche il sale iodato (Tonacchera et al, 2012).

1.6 Fitotossicità da iodio

Dunque il miglior metodo di biofortificazione fin'ora adottato consiste nell'impiego di metodi di coltura fuori suolo. Infatti la soluzione nutritiva si trova a diretto contatto con la radici permettendo un assorbimento maggiore dell'elemento.

Sapendo che l'accumulo di iodio è proporzionale alla concentrazione data, è possibile formulare soluzioni nutritive in grado di apportare precise quantità di elemento. Ovviamente tenendo conto della soglia di tossicità, singolare per ogni pianta, oltre la quale lo iodio può risultare tossico, causando lesioni da clorosi e necrosi sulle foglie, ma anche riduzione della crescita (nanismo).

Ogni specie vegetale ha una propria soglia di tolleranza allo iodio, a seconda anche della forma ionica di distribuzione; ovvero se nella forma di ioduro (I-) o in quella

di iodato (IO3-). I sali impiegati fin'ora in bibliografia sono sempre ioduro e iodato di

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stessi in ogni specie di pianta edibile, sia cerealicola che orticola, presentando macchie gialle nella zona inter-nervale delle foglie, clorosi fogliare e riduzione della biomassa. Solo nelle graminacee è stata riscontrata l'insorgenza di macchie necrotiche color marrone sulle foglie, come ad esempio nell'orzo (a 50 µM di KIO3). (Umaly and Poel,

1970). Concentrazioni basse di iodato ( 0,5 e 2,5 µM), invece, stimolano la produzione della biomassa, specialmente nelle piante edibili da foglia. Lo ioduro, invece, causa fitotossicità a concentrazioni minori rispetto allo iodato (>40 µM), con maggiori danni a discapito della biomassa, con casi di evidenti fenomeni di nanismo, ovvero riduzione in lunghezza degli internodi. A basse concentrazioni non apporta differenze rispetto al controllo.

Piante di basilico varietà Tigullio (a foglia verde) e Red Rubin ( a foglia rossa) coltivati in floating system con evidenti sintomi di nanismo. La prova è stata tratta con

ioduro di potassio ad alte concentrazioni (0.1 mM KI), forma che in elevate concentrazioni va a bloccare lo sviluppo degli internodi.

Questo fenomeno è stato riscontrato su più specie quali spinacio (Zhu et al., 2015), pomodoro (Pauels Plant Soil, 1961), carote (Pitkowska et al., 2016) e basilico, come dimostrato in questo esperimento.

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Questi macro sintomi sono una piccola parte dell'effettivo danno che subisce la pianta da una intossicazione da iodio. A livello cellulare, una eccessiva quantità di questo elemento può causare danni al sistema antiossidante. Come è stato analizzato precedentemente lo iodio può svolgere un duplice effetto sul sistema antiossidante, in quanto sia attivatore di enzimi quali la Glutatione Perossidasi (GSH) e la Superossido Dismutasi (SOD), sia di stimolante nella produzione di ROS. Studi effettuati su lattuga riguardo la tossicità da iodio e al suo ruolo nello stresso ossidativo hanno dimostrato come la diversa forma di iodio possa indurre effetti differenti sia sulla produzione, che sulla biomassa. La forma I-, se somministrata in dosi eccessive, causa danni alla

biomassa già a concentrazioni inferiori alle 40 µM. Questo può avvenire a causa di un accumulo degli ioni I- nei tessuti vegetali, ma anche di reazioni di ossidazione dello

iodio molecolare (I2), successive al suo assorbimento, che rallentano l'attività

fotosintetica. (Blaso et al., 2010). Inoltre il contenuto in iodio è maggiore nelle foglie trattate con I- rispetto a quelle con IO

3-, con un picco di accumulo nel trattamento da 80

µM. Dai dati ottenuti è risultato che l'impiego di IO3- stimola un aumento della sintesi di

enzimi ROS detossificanti come SOD, APX e CAT. Inoltre si nota un aumento delle concentrazioni di agenti antiossidanti, confermando così la non tossicità dello ione IO3-,

riscontrabile nell'assenza a livello cellulare di ossidazione lipidica (LOP), mentre a livello macroscopico senza riduzione della biomassa. (Blasco et al., 2010). Questi studi dimostrano come con l'impiego di iodio nella forma IO3- possa essere impiegato nei

processi di biofortificazione per la profilassi iodica, ma che contemporaneamente migliori le condizioni di sviluppo e produzione della pianta, riducendo gli effetti degli stress abiotici o biotici.

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a) b)

Sintomi da tossicità da iodio su varietà di basilico Tigullio coltivata in floating system con aggiunta nella soluzione nutritiva di KI 100 M: a) lieve clorosi fogliare a livello

internervale delle foglie più vecchie; b) macchie necrotiche causate da un maggiore accumulo di iodio nei tessuti fogliari più vecchi.

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CAP.2 - PARTE SPERIMENTALE

2.1 Scopi della prova sperimentale

Questo studio è stato condotto per studiare la risposta di due diverse varietà di basilico (Ocimum basilicum L.,var. Tigullio, a foglia verde e var. Red Rubin, a foglia rossa) coltivato in idroponica a dosi crescenti di iodio (0, 10, 50, 100, 200, 300 e 600 M), somministrato nelle forme di ioduro oppure iodato di potassio. Complessivamente sono state fatte 5 prove in floating system per determinare l’accumulo di iodio nei tessuti fogliari e gli eventuali effetti fitotossici indotti da elevate concentrazioni di iodio nella soluzione nutritiva, specialmente nella forma di ioduro.

Il sistema di coltivazione floating system, è un metodo di coltivazione fuori suolo, utilizzato soprattutto nella produzione di ortaggi da foglia e specie aromatiche, che prevede l’impiego di vasche riempite di soluzione nutritiva sulla quale galleggiano vassoi di polistirolo che supportano le piantine, così da permettere che le radici siano immerse nella soluzione e riescano ad assorbire i nutrienti necessari alla loro crescita.

Inoltre è stata fatta una prova, sempre in floating system, con lo scopo di valutare la potenziale interazione tra lo ioduro e la produzione endogena di gibberelline, ormoni deputati alla crescita della pianta, nel basilico in diverse tecniche di coltivazione fuori suolo.

Successivamente per ogni esperimento è stato fatto un rilievo distruttivo, allo scopo di valutare l'effetto dello iodio a diverse concentrazioni sulla produzione e sulla qualità. Inoltre sono state fatte analisi per il contenuto di nutrienti nella sostanza secca fogliare.

2.2 Materiali e metodi

La prova sperimentale si è svolta in primavera-autunno dell’anno 2015 in una serra del Laboratorio di Orticoltura e Floricoltura del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali dell’Università di Pisa.

Le piantine sono state seminate in contenitori alveolari con lana di roccia (Grodan®, Ageon s.rl., Cuneo, Italia), ricoperti con vermiculite per mantenere un buon

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grado di umidità. Successivamente, dopo l’emergenza, al raggiungimento dello stadio di 2 foglie vere, le piante sono state trapiantate in vassoi di polistirolo da 16 alveoli, ponendo per ciascun vassoio 8 piantine di basilico cultivar Tigullio e 8 piantine della cultivar Red Rubin (Franchi sementi-Golden Line).

Per ogni trattamento sono state effettuate due repliche.

a) b)

c) d)

Area dove sono state eseguite le prove sperimentali: a) foto delle vasche riempite di soluzione nutritiva all’inizio degli esperimenti; b) foto delle vasche utilizzate durante il

primo esperimento contenenti le plantule appena trapiantate; c) foto delle vasche contenenti le piante in crescita durante l’esperimento; d) radici di basilico coltivato in

floating system, ovvero lasciando crescere le radici direttamente nella soluzione nutritiva appositamente ossigenata.

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I vassoi sono stati posizionati in vasche di plastica (40x60cm) contenenti 50 litri di soluzione nutritiva preparata con acqua potabile e sali di purezza tecnica (marca: Duchefa Biochemie® e Carlo Erba reagents ®).

Nella Tab. 2.1 sono descritte le concentrazioni della soluzione nutritiva e dell’acqua irrigua utilizzata. La soluzione era ossigenata mediante insufflazione di aria (15 minuti ogni 2 ore), per prevenire fenomeni di ipossia radicale. Le piante sono state coltivate nella medesima soluzione nutritiva per 1-2 settimane senza l’aggiunta di iodio, per favorire l’adattamento alle condizioni del floating system.

Il pH delle vasche è stato aggiustato a 5.5 utilizzando acido solforico. In tabella 2.2 sono riportati le date di coltivazioni, le concentrazioni di iodio somministrate nella soluzione nutritiva e le condizioni climatiche medie registrate in serra per i sei esperimenti effettuati.

Tabella 2.1. Composizione acqua irrigua e della soluzione nutritiva utilizzata nei due

esperimenti. EC (mS/cm ) N-NO3 N-NH4 P K Ca Mg Na Cl Fe B Cu Zn Mn Mo 1.08 0.0 0.0 0.0 0.1 2.7 1.1 1.7 2.0 3.5 18.0 0.0 5.5 1.2 0.0 2.40 10.0 0.0 1.0 8.5 4.5 2.0 1.71 2.0 40.0 25.0 3.0 10.0 10.0 1.0

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Tabella 2.2. Descrizione dei esperimenti effettuati, con indicazione dei parametri climatici medi (temperatura dell’aria e radiazione

globale cumulata media giornaliera).

Numero esperimento Data di semina Data di trapianto Periodo sperimentale Durata

(giorni) Trattamenti a confronto

Tempera-tura media dell’aria (C°) Radiazione globale media giornaliera (MJ m-2 day-1 1 11/05/2015 28/05/2015 3-24/06/2015 22 KI e KIO3 0, 10, 100 M 29,37 12,58 2 25/05/2015 18/06/2015 22/06-09/07/ 2015 17 KI e KIO3 0, 10, 100 M 31,33 13,66 3 01/06/2015 27/06/2015 29/06-14/07/2015 16 KI 0, 10, 50, 100 e 200 M 32,42 13,26 4 29/06/2015 13/08/2015 22/07-05/08/2015 14 KI 100 M e Pb 100 ppm 31,29 12,06 5 14/09/2015 05/10/2015 12/10-12/11/2015 30 KI 300, 600 M, Pb 100 ppm e GA3 20 ppm 18,82 2,80

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Primo esperimento

La semina del basilico è stata effettuata il 11/05/2015, e i vassoi sono stati posizionati in coltura di floating system il 28/05/2015. Le piante sono state coltivate nella medesima soluzione nutritiva per 1 settimana senza l’aggiunta di iodio, per favorire l’adattamento alle condizioni del floating system.

L’esperimento prevedeva tre fattori di variabilità a confronto: il primo era la forma chimica con cui era aggiunto lo iodio alla soluzione nutritiva (KI o KIO3), il

secondo la concentrazione somministrata delle differenti forme chimiche, mentre il terzo erano le due varietà sopradescritte. Il periodo sperimentale è stato di 22 giorni (03/06/2015-24/06/2015) e sono stati confrontati i seguenti trattamenti:

 controllo  10 M KI  100 M KI  10 M KIO3  100 M KIO3 Secondo esperimento

La semina è stata eseguita il 25/05/2015. Le piantine sono state trapiantate in

floating system il 18/06/2015 e dopo 5 giorni sono state sottoposte ai seguenti

trattamenti:  controllo  10 M KI  100 M KI  10 M KIO3  100 M KIO3

Il periodo sperimentale è durato 17 giorni (22/06/2015-09/07/2015).

Terzo esperimento

La semina è stata effettuata il 01/06/2015. Le piantine sono state posizionate nelle vasche contenenti la soluzione nutritiva il 27/06/2015.

I trattamenti messi a confronto sono stati i seguenti:  controllo;

 10 M KI  50 M KI  100 M KI  200 M KI

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É stato effettuato un rilievo distruttivo in data 14/07/2015, dopo 16 giorni dall'inizio del trattamento.

Quarto esperimento

La semina è stata fatta il 29/06/2015. Le piantine sono state trapiantate il 13/07/2015 e in data 22/07/2015, le piante sono state sottoposte ai seguenti trattamenti:

 controllo

 100 ppm paclobutrazolo somministrato come spray fogliare per tre volte durante l’esperimento (Pb; Sigma Aldrich, Milano, Italia)

 100 M KI

Per ogni trattamento sono state effettuate 2 repliche (in totale 8 piante).

Il rilievo distruttivo è stato effettuato in data 05/08/2015, dopo 14 giorni dall'inizio del trattamento.

Quinto esperimento

La semina è stata effettuata il 14/09/2015. Le piantine sono state trapiantate in alveoli di polistirolo e posizionati in vasche (40X60 cm) contenenti 50 litri di soluzione nutritiva il 05/10/2015.

Il 12/10/2015, dopo giorni, sono stati effettuati i seguenti trattamenti:  controllo  controllo + 20 ppm GA3  100 ppm Pb  100 ppm Pb + 20 ppm GA3  300 M KI  300 M KI+ 20 ppm GA3  600 M KI  600 M KI + 20 ppm GA3 .

I trattamenti con pacobutrazolo e acido gibberellico erano applicati per via fogliare: sono stati fatti tre trattamenti durante il periodo sperimentale.

Il rilievo distruttivo è stato effettuato in data 12/11/2015, dopo 30 giorni dall'inizio del trattamento.

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Misure effettuate

Analisi distruttive: In ogni esperimento sono stati effettuati 2 campioni su ogni replica, per un totale di 4 campioni per trattamento. Ogni campione era costituito da 2 piante. Sono stati valutati i seguenti parametri di crescita:

 Nel primo e nel secondo esperimento la lunghezza dello stelo principale, il numero degli steli secondari, il numero di nodi il peso fresco di foglie e steli e la densità fogliare;

 Nel terzo e quarto esperimento la lunghezza dello stelo principale e il numero dei nodi, peso secco di foglie e fusti;

 Nel quinto esperimento il peso secco di foglie, fusti e radici, la lunghezza dello stelo principale, il numero dei nodi e l'area fogliare.

I campioni sono stati posti ad essiccare in stufa ventilata a 70 °C: la determinazione del peso secco del campione è stata effettuata solo dopo il raggiungimento del peso costante.

Analisi misure scambi gassosi: Queste analisi sono state effettuate sull’esperimento 4, con un misuratore portatile di scambi gassosi (Portable Photosynthesis System Ciras-2, PPSystems, Amesbury, MA 01913 USA) su due repliche per trattamento. Le analisi degli scambi gassosi sono state condotte ad una temperatura costante di 27-28 °C, CO2 a

480 ppm , e con un’ intensità luminosa pari a 500 µmol m-2 s-1 di PAR.

Le misure sono state effettuate sulla 7-8° foglia (4° nodo), che corrispondeva alla seconda foglia ben sviluppata a partire dall’apice.

Analisi di laboratorio: I campioni di sostanza secca fogliare del primo esperimento sono stati macinati e su di essi sono state condotte le seguenti analisi:  azoto ridotto (organico e ammoniacale) con il metodo Kjeldhal.

Il metodo Kjeldahl è costituito da tre fasi:

o Mineralizzazione o digestione: il campione è miscelato con H2SO4 , Na2SO4 o

K2SO4 e un catalizzatore e poi riscaldatoa circa 400 °C . Questo processo

trasforma il materiale organico in CO2 e acqua, tutti i sali in solfati e tutto

l'azoto proteico (-NH2) presente in solfato di ammonio ((NH4)2SO4).

o Distillazione dell’ammoniaca.

o Determinazione quantitativa dell’ammoniaca prodotta, con una titolazione acido-base.

 nitrati (N-NO3), con il metodo dell’acido salicilico Il campione di sostanza secca è

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Successivamente è stato determinato il contenuto di nitrato nel filtrato utilizzando il metodo descritto da Cataldo et al. (1975).

 fosfati (espressi come P): analisi spettrofotometrica con un metodo colorimetrico previa digestione a caldo (220°C, per 2 h) del campione con una miscela di acido perclorico e acido nitrico; per il P si è usato il metodo del molibdato di ammonio.  gli ioni K, Ca, Mg, Zn, Fe, Mn e Cu usando uno spettrofotometro ad assorbimento

atomico, previa digestione perclorico-nitrica del campione.

Sui tessuti fogliari secchi del primo, secondo e terzo esperimento è stata valutata la concentrazione di:

 iodio usando il metodo ICP-MS (spettrometria di massa a plasma accoppiato induttivamente), previa estrazione a 70°C con tetrametilammonio idrossido (TMAH). I campioni sono analizzati da un laboratorio chimico dell’Università di Milano (Dr. Giorgio Lucchini del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, Produzione, Territorio, Agroenergia).

Inoltre sulle foglie fresche del quarto esperimento è stata valutata la concentrazione dei pigmenti, quali:

 Clorofilla a+b e Carotenoidi tramite determinazione spettrofotometrica previa estrazione in metanolo puro.

 Antociani totali (solo su Red Rubin) tramite determinazione spettrofotometrica previa estrazione in soluzione di metanolo acidificato 0,1% con acido cloridrico puro.

Disegno sperimentale e analisi statistica

E’ stato utilizzato un disegno sperimentale completamente randomizzato, con 2 repliche per ciascun trattamento. I dati sono stati sottoposti ad analisi della varianza a due vie (fattori di variabilità: varietà, concentrazione con iodio applicato nella soluzione nutritiva). Quando la fonte di variabilità era statisticamente significativa (P<0.05), si è proceduto alle separazione delle medie attraverso il test di Duncan. Per l’elaborazione della analisi statistica si è utilizzato il software Statgraphics Centurion XV (Statpoint Technologies, Inc., Warrenton, Virginia, USA).

2.3 Risultati e discussione.

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La concentrazione di KI 10 M non ha prodotto alcun effetto sulla lunghezza dello stelo o sulla riduzione del peso secco totale in entrambe le varietà. La concentrazione di KIO3 10 M, invece, ha incrementato la crescita del fusto, dell’area

fogliare e anche il peso secco totale delle piante.

Nella varietà Tigullio, la concentrazione di 100 M di KI nella soluzione nutritiva ha efficacemente ridotto l’altezza del fusto, la superficie dell’area fogliare, il peso secco delle foglie e il peso secco totale la crescita (peso secco totale). All’opposto, la concentrazione di KIO3 100 M nella soluzione nutritiva non ha prodotto nessuna

riduzione. Simili risultati sono stati osservati anche nel Red Rubin, anche se la riduzione della altezza del fusto, del peso secco foglie e totale indotta dal trattamento KI 100 M è stata di minore entità rispetto a quella osservata sulla varietà Tigullio (Fig. 2.1 e Tab. 2.3).

Varietà di basilico Red Rubin (a foglia rossa) e Tigullio ( a foglia verde) coltivate in floating system con dose di KI 100 M. Il sintomo più evidente di questa forma di tossicità è la riduzione dello sviluppo degli internodi (nanismo). La varietà a foglia verde (Tigullio) è maggioremente sensibile della varietà a foglia rossa (Red Rubin).

(40)

Figura 2.1. Influenza della concentrazione nella soluzione nutritiva di KI o KIO3 (10 o 100 M) sulla lunghezza dello stelo, il peso secco delle foglie e il peso secco totale di

due varietà di basilico (Tigullio, grafico in basso e Red Rubin, grafico in alto), allevate in floating system per un periodo di 16-22 giorni. Il valore medio dei tre esperimenti è stato calcolato facendo pari a 100 il valore del controllo per le due varietà. Successivamente si è eseguita la media delle percentuali calcolate nei tre esperimenti per quel dato trattamento

(41)

Tabella 2.3. Influenza sul peso secco totale, delle foglie, delle radici e sulla lunghezza dello stelo della concentrazione di KI e KIO3 nella

soluzione nutritiva, utilizzata per la coltivazione in floating system. I periodi sperimentali sono 22, 17 e 16 giorni rispettivamente per il primo, secondo e terzo esperimento.Nella tabella sono riportati i valori assoluti, espressi per pianta, solo per il trattamento di controllo delle due varietà. Tutti gli altri dati sono espressi come percentuale rispetto al trattamenti controllo della stessa varietà, fatti questi pari a 100.

Trattamento

Peso secco totale (g/pianta) Peso secco foglie (g/pianta) Peso secco radici (g/pianta) Altezza fusto (cm)

I II III media I II III media I II III Media I II III media

TIGULLIO Controllo (valori) 9.62 9.28 9.41 9.44 4.97 4.74 5.43 5.05 0.71 1.11 0.93 0.92 58.38 52.38 41.50 50.75

TIGULLIO Controllo 100% 100% 100% 100% B 100% 100% 100% 100% B 100% 100% 100% 100% BC 100% 100% 100% 100% AB

TIGULLIO KI 10 M 108% 101% 102% 103% B 108% 107% 102% 105% AB 92% 96% 96% 95% CD 108% 99% 97% 101% AB

TIGULLIO KI 100 M 36% 31% 49% 39% D 38% 35% 53% 42% D 78% 71% 61% 70% E 38% 32% 44% 38% D

TIGULLIO KIO3 10 M 107% 107% 107% AB 113% 117% 115% A 100% 118% 109% AB 113% 100% 106% A

TIGULLIO KIO3 100 M 121% 113% 117% A 112% 120% 116% A 86% 90% 88% D 112% 97% 105% A

RED RUBIN Controllo (valori) 3.30 5.25 5.61 4.72 1.87 2.87 3.45 2.73 0.18 0.43 0.37 0.32 45.44 37.75 31.13 38.10

RED RUBIN Controllo 100% 100% 100% 100% B 100% 100% 100% 100% B 100% 100% 100% 100% BC 100% 100% 100% 100% AB

RED RUBIN KI 10 M 91% 106% 98% 98% B 95% 113% 103% 102% B 94% 109% 78% 94% CD 95% 102% 91% 96% B

RED RUBIN KI 100 M 99% 86% 86% 90% C 67% 89% 94% 82% C 92% 125% 121% 113%A 67% 76% 65% 69% C

RED RUBIN KIO3 10 M 102% 117% - 109% AB 98% 131% - 112% A 100% 92% - 96% C 98% 94% - 96% B

RED RUBIN KIO3 100 M 90% 102% - 96% B 93% 120% - 104% A 103% 108% - 106% AB 93% 95% - 94% B

ANALISI VARIANZA

Varietà * * * *

Trattamento ** ** ** ***

Var * Trat. * * * **

(42)

Tabella 2.4. Effetto di diverse concentrazioni di KI (10, 100 M) e di KIO3 (10, 100 M), nella soluzione nutritiva sul contenuto di azoto

totale, fosforo, potassio, sodio, calcio, magnesio e dei principali microelementi nella sostanza secca delle foglie di piante di basilico della varietà Tigullio (Tig.) e della varietà Red Rubin (RR.), allevate in floating system.

Trattamento N (%) P (%) K (%) Na (%) Ca (%) Mg (%) Fe (mg/kg) Mn (mg/kg) Zn (mg/kg) Cu (mg/kg)

Tig. controllo 4,25A 0,65 A 3,86 A 0.08 1,79 C 0,33 380 B 160 166 C 22 Tig. 10 M KI 4,02 A 0,75 A 3,63 AB 0.08 1,71 C 0.30 370 B 150 166 C 31 Tig. 100 M KI 3,51 B 0,52 B 3,49 B 0.10 1,90 B 0.41 477 A 153 132 D 29 Tig. 10 M KIO3 4,10 A 0,71 A 3,75 AB 0.11 1,70 C 0,37 370 B 145 149 CD 31 Tig. 100 M KIO3 3,88 AB 0,71 A 3,75 AB 0.11 1,90 B 0.31 350 B 143 136 D 22 RR. controllo 4,28 A 0,73 A 3,87 A 0.11 1,84 BC 0.35 390 B 183 186 AB 29 RR. 10 M KI 3,80AB 0,71 A 3,93 A 0.12 1,85 BC 0.33 380 B 185 206 A 23 RR. 100 M KI 3,63 B 0,55 B 3,52 B 0.10 2,20 A 0,41 460 A 179 152 C 24 RR. 10 M KIO3 4,30 A 0,74 A 4,15 A 0.09 1,98 B 0.31 390 B 173 179 BC 23 RR. 100 M KIO3 4.20 A 0,73 A 4,10 A 0.10 2.47 A 0.37 380 B 167 162 C 24 Analisi varianza Varietà ns ns ns ns *** ns ns Ns * ns Trattamento *** *** ** ns * ns * Ns ** ns Var x Tratt. * ns ns ns ** ns ns Ns ns ns Legenda: significatività: * P<0.05; ** P<0.01; *** P<0.001

(43)

In tabella 2.4 sono riportati gli effetti delle concentrazioni di KI e KIO3 sul

contenuto dei principali macro e microelementi nella sostanza secca fogliare di basilico. Le analisi chimiche hanno evidenziato che il contenuto di sodio, magnesio, manganese e rame era simile nelle due varietà e che la presenza di iodio nelle soluzioni nutritive non ha modificato significativamente il suo contenuto.

I valori medi ritrovati nei tessuti di basilico del controllo sono comparabili con quelli riportati da altri autori (Ozan, et al. 2005). Il contenuto di azoto, fosforo, potassio, ferro e zinco sono stati ridotti significamente solo dal trattamento più alto di ioduro di potassio (KI 100 M), mentre non si sono osservati effetti significativi, negli altri trattamenti posti a confronto. Il contenuto di calcio è stato aumentato invece dai trattamenti con 100 M di KIO3 o KI.

In bibliografia, l’effetto della concentrazione di iodio nel terreno (o nella soluzione nutritiva) sul contenuto di minerali nella sostanza secca, riporta dati a volte non sempre tra loro concordanti e spesso la risposta è dovuta anche alla specificità della specie utilizzata. Hageman et al. (1942) ha riportato un effetto di riduzione nel contenuto di ferro nei tessuti fogliari di pomodoro da parte dello iodio. Smolen and Sady (2012), riportano che la biofortificazione dello spinacio, effettuata somministrando iodio al terreno di coltivazione, non ha influenzato il contenuto di fosforo, potassio, magnesio, zolfo, boro, rame e manganese, ha ridotto il contenuto di sodio, calcio e zinco, e ha aumentato il contenuto di ferro.

Nel terzo esperimento è stato effettuato uno studio sulla possibile fitotossicità dovuta al KI sulla crescita sulle due varietà, confrontando 5 diverse concentrazione di KI nella soluzione nutritiva (0, 10, 50, 100 e 200 M). La Fig. 2.2 mostra che la riduzione di crescita, causata dallo ioduro di potassio, è più accentuata nella varietà Tigullio che nella varietà Red Rubin: infatti alla concentrazione di 200 M di KI nella soluzione nutritiva, la riduzione del peso secco totale e dell’altezza del fusto dopo 15 gg di trattamento è stata rispettivamente del 73.2% e 72.9% per la varietà Tigullio e del 18% e 35% per la varietà Red Rubin. In entrambe le varietà, la concentrazione di 10 μM non ha ridotto la crescita.

La riduzione dell’altezza del fusto e del peso secco totale, espressa in termini percentuali rispetto al controllo, è ben correlata linearmente con la concentrazione di KI a livello radicale nel range 50-200 M, come riportato nella Figura 2.3 (coefficiente di determinazione della retta di regressione, rispettivamente di R2= 0.89 e 0.91 per la var.

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