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l'esternalita e la creazione di valore per gli stakeholder: il caso Mariotti s.p.a.

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UNIVIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di economia

Corso di laurea specialistica in Strategia, Management e Controllo

TESI DI LAUREA

in

Strategia e Politica Aziendale

L’ESTERNALITÀ E LA CREAZIONE DI VALORE PER GLI

STAKEHOLDER: IL CASO MARIOTTI S.p.A.

RELATORE

Prof.ssa Alessandra RIGOLINI

Candidato

Nello D’AUSILIO

(2)

Per quello che vale non è mai troppo tardi,

per essere quello che vuoi essere non c’è limite di tempo,

comincia quando vuoi;

puoi cambiare o rimanere come sei,

non esiste una regola in questo…

possiamo vivere ogni cosa al meglio o al peggio,

spero che tu viva tutto al meglio,

spero che tu possa vedere cose sorprendenti,

spero che tu possa avere emozioni sempre nuove,

spero che tu possa incontrare gente con punti di vista diversi,

spero che tu possa essere orgoglioso della tua vita,

e se ti accorgi di non esserlo,

(3)

3

INDICE

INTRODUZIONE

p.6

CAPITOLO 1 – LE ESTERNALITÀ ED IL

FALLIMENTO DEL MECATO

1.1 Definizione

p.8

1.2 Tipologie di esternalità

p.9

1.2.1 Le esternalità di rete p.11

1.3 Esternalità e benessere

p.14

1.4 Le esternalità e il fallimento del mercato

p.18

1.5 Le possibili soluzioni

p.21

1.5.1 Soluzioni private p.21

1.5.2 L’intervento pubblico p.27

1.5.3 Soluzioni ibride p.30

CAPITOLO 2 – LA CREAZIONE DI VALORE PER

GLI STAKEHOLDER

2.1 La teoria degli stakeholder

p.32

2.1.1 Definizioni di stakeholder p.32 2.1.2 Gli attributi degli stakeholder

p.37

(4)

2.1.3 Classi di stakeholder p.40

2.1.4 I diversi approcci alla teoria degli stakeholder p.45

2.2 La creazione di valore

p.48

2.2.1 Il valore nel sistema aziendale p.51

2.3 Le fonti di creazione del valore

p.54

2.3.1 Il vantaggio competitivo p.55

2.3.2 Il potenziale di crescita p.55

2.3.3 Acquisizioni, fusioni e cessioni p.56 2.3.4 Ristrutturazioni finanziarie o societarie p.57 2.3.5 Gli incentivi al management p.58

2.4 La creazione di valore per gli azionisti

p.59

CAPITOLO 3 – ESTERNALITA E VALORE: IL

CASO MARIOTTI S.p.A.

3.1 Esternalità e valore

p.61

3.2 Il comparto lapideo Italiano

p.62

3.2.1 Evoluzione del mercato p.63

3.2.2 L’andamento del comparto p.67

3.3 Il Travertino Romano

p.70

3.3.1 Le origini del Travertino p.71

3.3.2 La diffusione e l’utilizzo a partire dal XV secolo p.72

(5)

5

3.3.4 Il Travertino Romano nel mondo p.78

3.4 Mariotti S.p.A.: l’azienda

p.80

3.4.1 La nascita del business p.80

3.4.2 L’importanza dei paesi Asiatici p.83

3.4.3 L’attività in Europa p.84

3.4.4 L’incontro con Meier e il Getty Center a Los Angeles p.84

3.4.5 La realizzazione della Bank of China a Beijing p.87

3.4.6 L’azienda oggi p.88

3.4.7 I lavori più importanti p.89

3.5 Il valore nella Mariotti S.p.A.

p.91

3.5.1 Le performance economico-finanziarie p.92

3.5.2 La concorrenza p. 94

3.6 L’estrazione del Travertino

p.95

3.7 La subsidenza

p.99

3.7.1 La subsidenza nell’estrazione del Travertino p.101

3.8 Le soluzioni

p.105

(6)

INTRODUZIONE

Questo lavoro si propone di affrontare il tema delle esternalità e degli effetti che esse producono nel mercato con particolare attenzione alle ripercussioni sulla creazione di valore per gli stakeholder.

Il primo capitolo descrive dal punto di vista economico il fenomeno dell’esternalità, le varie tipologie di esternalità con particolare riferimento alle esternalità di rete come possibile fonte di creazione di valore, gli effetti della presenza di esternalità sul benessere e sull’efficienza del mercato e le possibili soluzioni attuabili.

Nel secondo capitolo viene introdotto il concetto di stakeholder dando varie definizioni del termine, inventato nei primi anni 60 per indicare che, oltre a coloro che detenevano il capitale, esistevano anche parti che avevano una posta in gioco nel processo decisionale. Gli stakeholder sono divisi in primari e secondari: i primi sono quelli senza la partecipazione continua l’impresa non potrebbe sopravvivere; i secondi sono coloro che influenzano o sono influenzati dall’impresa ma non sono essenziali per la sua sopravvivenza. Vengono poi definiti tre attributi chiave degli stakeholder e le classi di stakeholder derivanti, dopo una panoramica sui diversi approcci alla teoria degli stakeholder viene introdotto il concetto di valore nel sistema aziendale analizzando i diversi approcci alla concezione di creazione di valore, vengono poi indicate le diverse fonti per la creazione di valore e affrontato il tema della creazione di valore per gli stakeholder e per gli azionisti.

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7

Il terzo capitolo tratta le ripercussioni che la presenza di esternalità genera sulla creazione di valore, prendendo come riferimento il settore dell’estrazione e lavorazione del travertino ed il fenomeno della subsidenza come esternalità negativa. Il fenomeno in questione riguarda l’intero settore ma verrà fatto riferimento ad un’azienda in particolare che rappresenta una delle eccellenze nel settore: la Mariotti S.p.A. e a come essa riesca tutt’oggi a creare valore con l’impegno e la passione per l’attività svolta nonché alla sua posizione rispetto alla problematica oggetto d’analisi. Infine vengono presentate le conclusioni sul lavoro svolto.

(8)

CAPITOLO 1

1. LE ESTERNALITÀ ED IL FALLIMENTO DEL

MERCATO

1.1 Definizione

“In economia un’esternalità si manifesta quando l'attività di produzione o di consumo di un’unità economica (individuo, impresa ecc.) influenza, negativamente o positivamente, il benessere di altre unità. Quando l’azione dell’agente economico determina dei benefici per altri, senza che il primo ne riceva un compenso, si parla di economie esterne per questi altri soggetti o per l’economia nel suo complesso; quando invece l’azione intrapresa dall’agente economico provoca dei costi per altri, costi che esso non sostiene, si parla di diseconomie esterne. Con il termine esternalità ci si riferisce tanto alle economie quanto alle diseconomie esterne.”1

La presenza di esternalità in un mercato fa sì che quel mercato sia inefficiente, nel senso che la quantità scambiata sul mercato non massimizza il benessere degli agenti economici. La presenza di esternalità determina pertanto una divergenza fra aspetto privato e aspetto sociale dei costi e dei benefici. Per es. una fabbrica di prodotti chimici che con i suoi residui inquina l’aria e le acque di un fiume non considera tali danni tra i sui costi, ma questi certamente rappresentano dei costi per la collettività in questo caso quindi i costi sociali sono maggiori di quelli privati, così all’opposto, la costruzione di una ferrovia in un

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paese sottosviluppato, che colleghi la costa all’interno, dà un vantaggio scarso all’impresa che l’ha costruita, ma realizza un vantaggio elevato per la collettività, incentivando la nascita di nuove imprese nelle zone interne.

L'esternalità dipende da un'attività economica individuale, ma non è assimilata alle merci e pertanto è priva di un prezzo di mercato.

1.2 Tipologie di esternalità

Le esternalità possono essere positive o negative. Le esternalità negative si hanno quando il soggetto responsabile d’impatti negativi non corrisponde al danneggiato un prezzo pari al danno/costo subito determinando un peggioramento del benessere sociale. Esempi di esternalità negative sono:

• Inquinamento dell’aria (traffico urbano, fumo in un locale, emissioni delle industrie ecc.)

• Inquinamento acustico (rumore del traffico, degli aerei, di attività commerciali ecc.)

• Inquinamento dell’acqua (scarichi industriali, urbani, inquinamento da fertilizzanti ecc.)

Le esternalità positive si hanno quando i soggetti beneficiari di impatti positivi prodotti da un altro soggetto non corrispondono/pagano un prezzo pari ai benefici ricevuti. Esempi di esternalità positive sono:

• Vaccini: vaccinarsi riduce il rischio personale di contrarre una particolare malattia, ma anche quello di diffusione di epidemie, e dunque migliora il benessere sociale.

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• Istruzione: una persona più istruita ha vantaggi personali (in termini di crescita personale, e di miglioramento delle proprie possibilità di ottenere un lavoro soddisfacente); la società ne trae vantaggio in quanto le opportunità di sviluppo economico e culturale aumentano. • Cura dell’esterno dell’abitazione (facciata, balconi fioriti ecc.) il

vantaggio non è solo per il proprietario ma anche per i concittadini. • Ricerca scientifica e tecnologica: il prodotto della ricerca, le

innovazioni tecnologiche, sono un vantaggio per chi le introduce ma anche per la società nel suo complesso.

In particolare esistono:

• Esternalità di consumo, presenti nei casi in cui il consumo del bene da parte di un individuo influenza il livello di utilità di un altro individuo. Possono essere negative se ad esempio il nostro vicino ascolta musica in piena notte, così danneggiando la nostra utilità "sonno", positive se ad esempio la musica risulta essere di nostro gradimento in quel particolare momento.

• Esternalità di produzione, rilevabili quando l'attività di produzione di un'impresa può danneggiare o avvantaggiare la produzione di un'altra. Un esempio classico di esternalità di produzione positiva può essere l'adiacenza di un frutteto ad un allevamento di api, uno negativo è l'inquinamento di un fiume ad elevata pescosità da parte di una fabbrica.

• Esternalità di rete: positive, quando il valore di un bene per un individuo aumenta all'aumentare delle persone che posseggono lo

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stesso bene (esternalità di rete dirette), o all'aumentare dei prodotti complementari (esternalità di rete indirette). Ad esempio l'utilità del telefono cresce con il numero di utenti collegati e che quindi è possibile chiamare (esternalità di rete diretta), l'utilità del combustibile gas-auto aumenta al crescere del numero di pompe di benzina che lo vendono (esternalità di rete indiretta); negative quando l'utilità di un’infrastruttura diminuisce all'aumentare dell'utilizzo che se ne fa, ad esempio a causa di fenomeni di congestione.

Le esternalità possono essere anche di tipo politico, quando ci sia la fissazione di prezzi minimi o massimi (ad esempio il costo del lavoro, con la fissazione di salari minimi, diversi rispetto a quelli di mercato equivalenti al rapporto domanda-offerta). Altri ambiti in cui troviamo esternalità di tipo politico sono la fissazione del prezzo minimo dei biglietti aerei (oggi abbandonata ma usata fino ai primi anni 90), il cui abbandono ha determinato la nascita dei voli cosiddetti ancor oggi "low cost"; la fissazione dei canoni di affitto ("equo canone"); la fissazione delle tariffe dei taxi; le imposte ecc.

1.2.1 Le esternalità di rete

Un caso particolare è rappresentato dalle esternalità di rete infatti queste possono essere considerate una fonte del vantaggio che stimola l’espansione di un’azienda nell’ambito di un settore. “Le esternalità di rete aumentano la domanda del prodotto o del servizio del player più importante. L’esempio tipico è quello del sito d’aste via Internet eBay. I collezionisti che intendono vendere i loro erogatori di caramelle (l’articolo da collezione originario per il quale fu

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concepito eBay) sceglieranno il sito che vanta il maggior numero di visitatori, poiché ciò consente di aumentare il numero di possibili offerenti e la speranza di far crescere il prezzo di vendita del prodotto. Allo stesso modo, gli acquirenti preferiranno visitare il sito che offre il maggior numero di articoli perché così ottimizzeranno l’assortimento di prodotti fra i quali scegliere. Il risultato è una rete di feedback positivi o ciclo virtuoso sul sito eBay dove si incontrano venditori e acquirenti. Aumentando il numero di articoli presenti in una data categoria aumenterà il numero di visitatori del sito, inducendo così nuovi venditori a utilizzare questo canale di vendita e, quindi, attraendo nuovi visitatori e via dicendo.

Nella versione estrema delle esternalità di rete, il vincitore prende tutto. Una volta che un’azienda, come eBay, sarà riuscita a portarsi un po’ avanti rispetto ai propri concorrenti, il suo vantaggio aumenterà rapidamente. Molti settori e business evidenziano la presenza di esternalità di rete, ad esempio il sistema telefonico e i sistemi operativi per PC. Una differenza importante riguarda la distinzione tra sistemi aperti e chiusi: il primo, come nel caso dell’attuale sistema telefonico, mostra esternalità di rete a livello del sistema e non a livello aziendale.

Il valore che un cliente percepisce dal possesso dell’apparecchio telefonico cresce all’aumentare del numero di clienti in possesso di un telefono, ma non favorisce la AT&T rispetto alla Sprint poiché entrambe le società operano sullo stesso sistema, per contro, un sistema chiuso o proprietario, come il sistema operativo di Microsoft, crea una specifica esternalità di rete. L’interessante quesito strategico che si pone riguarda la scelta tra l’adesione al sistema chiuso e la cooperazione finalizzata alla creazione di uno standard o sistema aperto a

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livello di settore: l’alternativa è tra la possibilità di essere il vincitore con un sistema proprietario altamente redditizio, e il rischio che i clienti che adottano il sistema chiuso siano pochi o che un altro sistema in competizione abbia la meglio. Ad esempio pur offrendo il miglior sistema di nastri video, il Betamax di Sony perse la battaglia con il VHS: un numero crescente di società adottò tale standard e sfrutto le esternalità di rete.”2

2 D.J. Collins, C.A. Montgomery, G. Invernizzi, M. Molteni, Corporate Strategy creare valore nell’impresa multibusiness, Capitolo 3, seconda edizione, Mc Graw Hill, Milano,

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1.3 Esternalità e benessere

Vediamo quali sono le conseguenze della presenza di esternalità sul benessere. Partiamo dal rappresentare in figura 1.1 la situazione di concorrenza perfetta, la curva di offerta è determinata dai costi privati dell’impresa mentre quella di domanda dalla disponibilità a pagare dei privati consumatori.

Figura 1.1 – Situazione di concorrenza perfetta - N. Acocella, Elementi di Politica Economica, 2009, Carocci Editore.

Tuttavia, in caso di esternalità negative la collettività sostiene dei costi legati alla produzione (es. l’inquinamento), il costo sociale è quindi più alto di quello privato ed è pari a quest’ultimo più il costo esterno (o danno sociale) della produzione come rappresentato in figura 1.2

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Figura 1.2 - Esternalità negativa e benessere - N. Acocella, Elementi diPolitica Economica, 2009, Carocci Editore

La curva di costo sociale serve a determinare qual è la quantità di produzione che risulta socialmente ottima, il mercato realizza Qe ma l’ottimo sociale è Qsociale quindi in presenza di esternalità negative la quantità realizzata dal mercato è superiore all’ottimo sociale come possiamo vedere dalla figura 1.3.

Figura 1.3 – Esternalità e benessere - N. Acocella Economica, 2009, Carocci Editore, Elementi di Politica

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Se viene prodotta la quantità Qe, vi è una parte della curva di offerta che è al di sopra del prezzo risultante (nel grafico di figura 1.4 è rappresentato dalla parte rossa più quella gialla), tutta quella parte costituisce una perdita poiché il prezzo che viene pagato è inferiore al "vero" costo per produrlo, la parte gialla viene riassorbita come surplus dei consumatori ma quella rossa è una vera perdita e una riduzione di benessere.

Figura 1.4 – Esternalità negativa e perdita di benessere - N. Elementi di Politica Economica, 2009, Carocci Editore Acocella,

Considerando ora la presenza di esternalità positive nel mercato possiamo dire che la collettività trae dei benefici legati al consumo del bene (es. l’istruzione), il valore sociale è quindi più alto di quello privato ed è pari a quest’ultimo più il beneficio esterno della produzione, questo implica che la curva di valore sociale sia al di sopra di quella di domanda.

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Figura 1.5 – Esternalità positive e benessere - N. Acocella, Elementi diPolitica Economica, 2009, Carocci Editore

La curva di valore sociale serve a determinare qual è la quantità di produzione che risulta socialmente ottima, il mercato realizza Qe ma l’ottimo sociale è Qsociale, quindi come si vede in figura 1.6 in presenza di esternalità positive la quantità realizzata dal mercato è inferiore all’ottimo sociale.

Figura 1.6 – Esternalità positiva e benessere - N. Acocella, Elementi diPolitica Economica, 2009, Carocci Editore

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Se viene prodotta la quantità Qe, vi sono delle quantità a destra di essa per cui il valore sociale è più alto del prezzo risultante, tutta quella parte costituisce una perdita, poiché ci sarebbe una disponibilità "sociale" a pagare un prezzo più alto pur di consumare una quantità più alta e le imprese, per tale prezzo più alto sarebbero disposte a produrre di più. Graficamente, la perdita di (o "mancato") benessere è il triangolo rosso in figura 1.7.

Figura 1.7 – Esternalità positive e perdita di benessere - N. Acocella,Elementi di Politica Economica, 2009, Carocci Editore

1.4 Le esternalità e il fallimento del mercato

Sappiamo che i meccanismi di mercato si basano sul sistema dei prezzi: nei prezzi è possibile leggere sia il parere che i consumatori hanno riguardo il beneficio che possono trarre da un determinato bene (nella curva di domanda, infatti, possiamo leggere il prezzo che un consumatore è disposto a pagare per l’acquisto del bene) sia quale costo i produttori sopportino per la produzione di quel determinato bene.

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Abbiamo detto, poi, che le esternalità si manifestano quando le azioni compiute da un individuo o da un’impresa producono effetti direttamente su altri individui, senza che nessuno paghi né riceva un compenso per questi effetti esistono quindi dei costi e dei benefici che non sono considerati dal mercato, poiché non rientrano nel sistema dei prezzi e non sono quantificati. Tale circostanza costituisce una fonte d’inefficienza economica sui mercati.

“Prendendo in considerazione l’esempio di un’industria (I) che inquina, arrecando danni ad un’attigua impresa agricola (A), possiamo osservare come il costo sostenuto da quest’ultima è influenzato dal livello di produzione dell’impresa I. Nella figura 1.8 sono rappresentati i costi marginali dell’impresa inquinante 𝐶!! ed i costi esterni provocati all’impresa agricola dall’attività inquinante di I(𝐶!! !"#!$%&), come abbiamo precedentemente detto, la curva di domanda ci dice la disponibilità a pagare per quel bene (nel nostro grafico di figura 1.8, la curva di domanda 𝑑! coincide con la curva del prezzo p). L’imprenditore dell’industria inquinante produrrà la quantità 𝑞!in corrispondenza dell’incontro tra i propri costi marginali ed il prezzo (𝐶!! = 𝑑

!) e in tal modo massimizzerà il proprio profitto.

La quantità 𝑞!, però, non assicura l’efficienza paretiana in quanto essa non tiene conto dei costi esterni: da un punto di vista sociale, l’impresa produce una quantità troppo elevata. I costi esterni, infatti, incidono sul beneficio marginale sociale riducendolo, solo sommando i costi esterni ai costi dell’impresa I possiamo ottenere il livello di produzione (𝑞∗) che ottimizza il beneficio marginale sociale: 𝑞∗, infatti, rappresenta il punto di incontro tra i costi marginali sociali (𝐶!!+𝐶

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Figura 1.8 – Esternalità negativa - Lettieri G., Compendio di scienza dellefinanze, Maggioli Editore, 2015

L’impresa inquinante, poiché non tiene conto dei costi sociali della sua attività, ha una produzione troppo elevata e ciò comporta un problema di efficienza allocativa: siamo di fronte, cioè, ad un fallimento del mercato. Solo inducendo l’impresa inquinante ad internalizzare i costi esterni sarà possibile raggiungere una situazione pareto-efficiente.”3

Le esternalità rendono inefficace l’operare del mercato che non genera risultati di ottimo paretiano cioè quella situazione in cui l'allocazione delle risorse è tale che non è possibile apportare miglioramenti paretiani al sistema, cioè non si può migliorare la condizione di un soggetto senza peggiorare la condizione di un altro. In tale situazione, l'utilità di una persona può essere aumentata soltanto da una diminuzione dell'utilità di qualcun altro; vale a dire che nessuna persona può migliorare la propria condizione senza che qualcun altro peggiori la sua.

3 Lettieri G., Compendio di scienza delle finanze, Maggioli Editore, 2015

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In presenza di esternalità le forze di mercato non sono in grado di garantire l’efficienza in termini di benessere occorre allora domandarsi com’è possibile correggere il meccanismo al fine di incrementare il benessere.

1.5 Le possibili soluzioni

Esistono alcune soluzioni alle esternalità e queste possono essere:

• Soluzioni private, se sono attuabili direttamente all’interno del mercato.

• Soluzioni pubbliche, se è necessario l’intervento dell'attore pubblico. • Soluzioni miste, se sono attuabili direttamente dal mercato ma solo a

patto che l’attore pubblico crei delle istituzioni adeguate.

1.5.1 Soluzioni private

In presenza di esternalità è possibile che gli agenti economici si organizzino autonomamente per ottenere soluzioni più efficienti.

Le soluzioni private al problema delle esternalità sono: • Teorema di Coase

• Fusioni • Norme sociali

Il teorema di Coase: frutto degli studi di Ronald H. Coase che lo pubblicò nel 1960 nell'articolo “The Problem of Social Cost” che gli valse il premio Nobel per l'economia nel 1991, è un tentativo di dimostrare come, attraverso il mercato, si possa giungere a un'efficienza, intesa come somma netta del benessere sociale, superiore rispetto a quella che si può ottenere con l'intervento dello Stato o di altre regolamentazioni.

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In modo più preciso, l'enunciato di Coase afferma che se i costi di negoziazione e transazione sono nulli, la contrattazione tra agenti economici porterà a soluzioni efficienti da un punto di vista sociale ( dette Pareto-efficienti) anche in presenza di esternalità e a prescindere da chi detenga inizialmente i diritti legali. Esempio: “ipotizziamo che un’acciaieria gestita da Alberto scarichi rifiuti in un corso d’acqua, arrecando un danno a Lisa che si guadagna da vivere pescando a valle. Se i diritti di proprietà fossero assegnati ad Alberto, Alberto produrrebbe inizialmente Q

1, massimizzando il proprio profitto. Se i diritti di proprietà fossero assegnati a Lisa, Lisa imporrebbe inizialmente un livello di produzione nullo in modo da minimizzare il danno subito. Ma indipendentemente da chi detiene i diritti, in entrambi i casi si produrrà Q*.

Figura 1.9 – Teorema di Coase - Rosen H.S., 2007, Scienza delle Finanze McGraw-Hill (capitolo 5),

Nel caso di assegnare i diritti di proprietà ad Alberto consideriamo gli effetti che si producono se Alberto riduce l’output di 1 unità, muovendosi verso il livello

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socialmente efficiente, Q*. Questa decisione genera un costo per Alberto e un beneficio per Lisa: Alberto subisce una perdita in misura pari all’area compresa tra le curve MB e MPC nell’intervallo tra Q

1 e Q1-1, mentre il danno subito da Lisa si riduce in misura pari all’area sotto la curva MD compresa nell’intervallo tra Q

1 e Q1-1. La perdita marginale di Alberto è molto bassa perché stava massimizzando il profitto, mentre la riduzione del danno subito da Lisa è considerevole, Alberto e Lisa migliorano entrambi la propria condizione se Lisa paga Alberto per ridurre la produzione di 1 unità.

Alberto è disposto a ridurre l’output di un’unità, se riceve in cambio una somma di denaro almeno pari al profitto netto che otterrebbe producendo quell’ unità (MB-MPC), d’altra parte Lisa è disposta a pagare ad Alberto perché non produca quell’unità se la cifra da pagare è inferiore al danno marginale che quella’unità le procura (MD). Alberto e Lisa migliorano entrambi la propria condizione se Lisa paga Alberto per ridurre la produzione di 1 unità quindi è possibile che le parti raggiungano un accordo se: MD>(MB-MPC) nella figura 1.9 al livello Q

1 MB-MPC=0, MD>0 quindi MD>(MB-MPC) ed esiste la possibilità di un accordo.

Fino a quando Lisa continua a pagare Alberto perché venga abbattuto l’inquinamento? Fino a quando questa operazione è redditizia per entrambi infatti Lisa non è disposta a pagare una somma superiore al danno marginale procuratole dall’ultima unità di output, Alberto non è disposto ad accettare una somma inferiore alla perdita di profitto (MB – MPC) che subisce riducendo l’output di 1 unità, la somma che Lisa è disposta a pagare supera MB-MPC a ogni volume di

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produzione a destra di Q* a sinistra di Q* la somma che Alberto esige per ridurre l’output è superiore a quanto Lisa è disposta a pagare, quindi Lisa paga ad Alberto per ridurre l’output solo fino a quando Q=Q* che è il volume di produzione efficiente.

Figura 1.10 – Teorema di Coase - - Rosen H.S., 2007, Scienza delleFinanze,

McGraw-Hill (capitolo 5)

Quindi, quando l’output raggiunge il livello per cui MD = (MB – MPC) Lisa smette di pagare Alberto (e Alberto di ridurre la produzione) riordinando i termini, MD + MPC = MB, o MSC = MB, che è il punto in cui l’output è pari a

Q*è il livello socialmente efficiente.

Un ragionamento analogo si applica quando i diritti di proprietà sono assegnati a Lisa, che impone inizialmente un livello di produzione nullo. Aumentando l’output di 1 unità, il danno marginale di Lisa aumenta in misura pari all’area sotto la curva MD compresa nell’intervallo tra 0 e 1. Simultaneamente, il profitto di Alberto aumenta, il danno marginale di Lisa è

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inizialmente molto basso, mentre l’aumento di profitto di Alberto è elevato. Alberto e Lisa possono migliorare le proprie condizioni se Alberto paga una somma a Lisa per ottenere il permesso di inquinare, Lisa è disposta ad accettare una quantità d’inquinamento se ottiene una somma superiore al danno marginale che deve subire (MD), Alberto ritiene che gli convenga pagare per avere diritto di produrre se la cifra che deve versare è inferiore al profitto che ottiene producendo (MB-MPC). Fino a quando Alberto continua a pagare Lisa per avere il permesso di inquinare? Fino a quando questa operazione è redditizia per entrambi infatti Lisa non è disposta ad accettare una somma inferiore al danno marginale (MD) procuratole dall’ultima unità di output e Alberto non è disposto a pagare una somma superiore al profitto marginale (MB – MPC) che guadagna sull’ultima unità prodotta. Alberto smette di pagare Lisa quando l’output ha raggiunto un livello tale che MD = (MB – MPC), condizione che è verificata in corrispondenza di Q.*”4.

L’esito efficiente quindi come abbiamo visto dall’esempio verrà raggiunto indipendentemente da chi detiene i diritti di proprietà, purché i diritti siano definiti, questo implica che non è necessario alcun intervento pubblico per correggere l’esternalità, il ruolo dello Stato dovrebbe essere confinato alla definizione di appropriati diritti di proprietà tra i soggetti. Tuttavia il teorema presenta alcuni limiti infatti i risultati di efficienza promessi valgono solo se:

• I costi di transazione sono bassi o nulli • La fonte dell’esternalità sia ben definita

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• Non vi siano asimmetrie informative che possano interrompere la contrattazione tra gli agenti

• Se è possibile attribuire i diritti di proprietà

Le Fusioni: in altri casi gli agenti economici potrebbero agire in modo da internalizzare nel proprio operato le esternalità (soprattutto se positive). Ad esempio: “un’impresa che possiede molti vivai nota che l’apicultura dell’impresa B confinante è molto positiva per la propria produzione. Tuttavia il livello di produzione dell’impresa B non è molto grande e l’impresa A gradirebbe che tale produzione aumentasse. In queste circostanze l’impresa A potrebbe acquistare l’impresa B, internalizzare le esternalità, e ampliare fortemente la produzione di apicultura fino al livello che è complessivamente ottimale”5

Le norme sociali: le norme sociali potrebbero sanzionare spontaneamente gli agenti il cui operato ha delle esternalità negative sulla collettività. Ad esempio, un’impresa che inquina molto potrebbe crearsi una brutta reputazione e i consumatori potrebbero decidere di punirla non comprando più i suoi prodotti. Per non incorrere in questo "boicottaggio", le imprese potrebbero scegliere, autonomamente di inquinare meno, risolvendo o mitigando la perdita di benessere complessivo.

Tali soluzioni private hanno principalmente due limiti:

• L’acquisizione d’imprese complementari rischia di non essere conveniente per via dei costi di transazione, ovvero quei costi che sono presenti nella procedura di compravendita (tasse di transazione,

5 N. Acocella, Elementi di Politica Economica, 2009, Carocci Editore.

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tempo perso per trovare un accordo, rivalità e rancori fra confinanti ecc...)

• L’applicazione delle norme sociali è fortemente imperfetta: i cittadini difficilmente sono in grado di sapere se un’impresa sta inquinando oppure no e ancora peggio, non sono in grado di vedere rapidamente se un’impresa corregge il proprio comportamento in maniera virtuosa.

1.5.2 L’intervento pubblico

Abbiamo visto che in alcuni casi le esternalità prevedono delle soluzioni private ma è possibile che gli agenti privati non siano in grado di applicarle. In altri casi poi, le inefficienze derivanti dalle esternalità non possono essere risolte autonomamente dagli agenti economici, poiché in queste circostanze si osserva una perdita di benessere vi è la necessità che lo stato intervenga per provare a porre rimedio a questa perdita.

Le soluzioni pubbliche alle esternalità rientrano in due categorie: 1. Soluzioni basate sul meccanismo di mercato (imposte; sussidi) 2. Regolamentazione

Nel primo caso lo Stato, prendendo atto che in presenza di esternalità la produzione è troppo alta o troppo bassa, potrebbe disincentivare o incentivare la produzione tramite imposte o sussidi.

“Se lo stato impone delle imposte sulla produzione dei beni queste imposte sono assimilabili a dei costi aggiuntivi e fanno quindi traslare la curva di offerta verso l’alto. Se lo stato garantisce dei sussidi alla produzione, questi sono

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assimilabili ad una riduzione del costo di produzione e fanno traslare la curva di offerta verso il basso.

La presenza di un’imposta sulla produzione esattamente pari al costo esterno (imposta pigouviana) fa traslare la curva di offerta verso l’alto e la rende indentica alla curva di costo sociale, in questo caso la soluzione del mercato (Qe2) e quella di ottimo sociale (Qsoc) coincidono.

Figura 1.11 – Imposte Piguviane - N. Acocella, Elementi di PoliticaEconomica,

2009, Carocci Editore.

Tuttavia non è facile trovare il “giusto” ammontare dell’imposta pigouviana, la tassazione presuppone che sia noto chi provoca l’esternalità e in che misura.

La presenza di un sussidio sulla produzione esattamente pari al beneficio esterno fa traslare la curva di offerta verso il basso, in questo caso la soluzione del

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mercato (Qe2) e quella di ottimo sociale (Qsoc) coincidono però, vi è un costo per lo stato.”6

Figura 1.12 – Esternalità positive e sussidi - N. Acocella, Elementi diPolitica Economica, 2009, Carocci Editore.

I sussidi presentano alcuni limiti tra cui:

• Il sussidio determina profitti più elevati quindi, potrebbe indurre nuove imprese ad entrare nel mercato

• I sussidi devono essere finanziati dalle imposte (la tassazione distorce gli incentivi creando distorsioni non meno costose dell’esternalità).

6 N. Acocella, Elementi di Politica Economica, 2009, Carocci Editore.

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Nel caso della regolamentazione lo Stato potrebbe intervenire fissando una quantità massima di produzione (in presenza di esternalità negative) o una quantità minima di produzione (in presenza di esternalità positiva), in pratica lo Stato costringe le imprese ad adeguare la propria produzione a quella che viene reputata la quantità socialmente ottima. La regolamentazione ha l’inconveniente che richiede molte informazioniper essere messa in pratica, lo Stato, nel fissare le quantità massime o minime, dovrebbe conoscere perfettamente quali sono le quantità socialmente ottime inoltre dovrebbe aver ben chiaro se, per tale quantità, l’impresa è in grado di ottenere profitti non-negativi: se così non fosse l’impresa finirebbe per fallire e la regolamentazione avrebbe prodotto quindi un danno economico.

1.5.3 Soluzioni ibride

In altri casi possono emergere delle soluzione ibride in cui di fatto lo Stato crea delle istituzioni e un ambiente nel quale è possibile per gli agenti economici porre autonomamente rimedio alle inefficienze dovute alle esternalità.

Due casi in cui questi interventi sono possibili sono: • La creazione di mercati per i permessi negoziabili • La certificazione

Nel primo caso “con la creazione di permessi negoziabili lo Stato, in presenza di esternalità negative, assegna delle quantità o quote di produzione (o di inquinamento) ad ogni impresa ma permette che tali quote siano scambiate fra le diverse imprese. In questo modo lo Stato controlla la quantità complessiva di produzione ma permette che tali produzioni siano distribuite fra le imprese in

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maniera efficiente. In pratica le imprese che autonomamente producono o inquinano poco possono cedere le loro quote a quelle imprese che trovano efficiente produrre (e quindi inquinare) molto. In questo modo abbiamo un vantaggio cioè che lo Stato è sicuro del livello di emissione, ma un limite è rappresentato da come assegnare i permessi, infatti se assegnassimo i permessi in base agli attuali livelli di inquinamento questo penalizzerebbe le imprese “diligenti” .

Nel secondo caso con l’istituzione di un sistema di certificazione lo stato certifica e garantisce le modalità e gli effetti della produzione di un’impresa. In pratica rende esplicito e visibile il fatto che un’impresa con la sua produzione sta generando un esternalità positiva o negativa. Ad esempio lo stato può certificare che un’impresa sta inquinando molto oppure che un’impresa, con la sua produzione, contribuisce al ripopolamento di un certo tipo di bestiame, considerato prezioso. I consumatori, potendo avere queste informazioni con certezza, potrebbero aumentare o ridurre gli acquisti presso tale impresa per punirla o premiarla”7.

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CAPITOLO 2

2. LA CREAZIONE DI VALORE PER GLI

STAKEHOLDER

2.1 La teoria degli stakeholder

Il termine stakeholder ha guadagnato attenzione in diversi campi accademici nel corso degli ultimi venti anni. Tuttavia, è difficile identificare un'unica teoria degli stakeholder perché varie discipline hanno prodotto diverse versioni.

La ricerca sulla stakeholder theory si pone due questioni fondamentali: in primo luogo, come identificare i gruppi di stakeholders che meritano o richiedono l’attenzione del management; in secondo luogo per capire fino a che punto le decisioni del management sono in funzione delle aspettative e dell’influenza degli stakeholder.

2.1.1 Definizioni di stakeholder

La definizione fu elaborata nel 1963 al Research Institute dell'Università di Stanford, il primo libro sulla teoria degli stakeholder è “Strategic Management: a Stakeholder Approach” di Edward Freeman, che diede anche la prima definizione di stakeholder.

Freeman e Reed, suggeriscono un'interpretazione ampia e una più ristretta del termine stakeholder. La definizione più ampia abbraccia "ogni gruppo identificabile o individuo che possa influenzare il conseguimento degli obiettivi di

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un’organizzazione o che possa essere influenzato dal conseguimento degli obiettivi di un'organizzazione". Nell’altro senso, gli autori definiscono uno stakeholder come “ogni gruppo o individuo dal quale dipende la sopravvivenza di un’organizzazione”.

Circa dieci anni dopo, Hill e Jones (1992) diedero un’altra definizione sostenendo che “il termine stakeholders si riferisce a gruppi costituiti da coloro che hanno un legittimo diritto sull’azienda”, giustificando i diritti degli stakeholder per il loro apporto di risorse, visione che collega la stakeholder theory alla resourse-based view (RBV) della teoria del management strategico.

Nel 1995 Clarkson distingue stakeholder primari e secondari definendo il primo gruppo come coloro “senza la cui partecipazione continua l’organizzazione non può sopravvivere”, con stakeholders primari Clarkson esplicitamente intende: shareholders (finanziatori), investitori, impiegati, clienti, fornitori, governi e comunità. Gli stakeholders secondari, d’altra parte sono definiti come “coloro che influenzano, o sono influenzati dall’organizzazione ma che non sono coinvolti nelle transazioni e non sono essenziali per la sua sopravvienza”, Clarkson si riferisce a gruppi di interesse o ai media come esempi. Berman (1999) diede una definizione simile a quella di stakeholder primari di Clarkson riferendosi a stakeholders chiave.

Fondandosi sulla tradizione dell’economia finanziaria dell’agency and contract theory, Cornell e Shapiro (1987) furono i primi autori, a riconoscere che il rischio sia connesso alla posizione di stakeholder, anche Clarkson (1994) riconosce la posizione degli stakeholders come portatori di rischio. Lui distingue stakeholders volontari e involontari a seconda della forma di rischio assunto: “ gli

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stakeholders volontari sopportano il rischio come risultato di avere investito alcune forme di capitale, umano o finanziario, o comunque del valore, in un’azienda. Gli stakeholders involontari sono esposti al rischio a seguito dell’attività dell’azienda”. L’essenza di questa definizione è l’intuizione che la stakeholder theory sottolinea l’importanza delle relazioni dell’azienda con gruppi interni e esterni che hanno un diritto legittimo su di essa.

“L’idea dello stakeholder management, come formulato da Freeman (1984) è che i managers devono tentare di soddisfare i bisogni di tutti i gruppi che hanno una partecipazione nel business. È compito del management bilanciare gli interessi di shareholders, impiegati, clienti, fornitori, comunità e altri gruppi in modo da garantire la sopravvivenza e il successo nel lungo periodo dell’azienda. Il management dovrebbe capire le relazioni di tutti gli stakeholders per raggiungere gli obiettivi aziendali. Da una prospettiva manageriale della stakeholder theory questi obiettivi dell’azienda sono il frutto della massimizzazione dello shareholder value, tuttavia viene riconosciuto che tutti gli stakeholders devono essere considerati per generare questo valore.”8

Altre definizioni sono riportate nella tabella seguente (tab. 2.1), in ordine cronologico.

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Tabella 2.1 – Definizioni di stakeholder - Freeman R.E., Rusconi G., Dorigatti M., Teoria

degli Stakeholder, Franco Angeli, Milano, 2007

2.1.2 Gli attributi degli stakeholder

Esistono due attributi chiave nell’identificazione di uno stakeholder: • Un’aspettativa (legittima, rispetto ad un’impresa);

• La capacità di influenzare un’impresa.

In generale gli studiosi che cercano di restringere la definizione di stakeholder mettono l’accento sulla legittimità delle aspettative mentre gli studiosi che offrono una definizione più ampia mettono l’accento sul potere degli stakeholder di influenzare il comportamento dell’impresa, sia che vi siano o meno aspettative legittime.

Potere e legittimità delle aspettative degli stakeholder sono spesso considerate spiegazioni concorrenti dello status di stakeholder; per Ronald K. Mitchell, Bradley R. Agle e Donna J.Wood (Toward a Theory of Stakeholder Identification and Saliance: Defining the Principle of Who and What Really

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Counts) queste variabili sono indipendenti, nel senso che ognuna può esistere senza l’altra, ma a volte si sovrappongono, e se combinate con l’urgenza delle aspettative, creano diversi tipi di stakeholder con diversi modelli di comportamento atteso nei confronti dell’azienda. Questi studiosi suggeriscono che, per meglio capire “il principio di chi e cosa veramente conta”, è necessario valutare sistematicamente le relazioni fra stakeholder e manager, effettive e potenziali, in termini di assenza o presenza relativa di tutti o alcuni dei seguenti attributi: potere, legittimità e urgenza.

Potere: Etzioni (1964) suggerisce di classificare il potere nello scenario organizzativo basandosi sul tipo di risorsa utilizzata per esercitarlo: potere coercitivo (basato sulla forza, violenza o pressione); potere utilitaristico (basato sulle risorse materiali o finanziarie); potere normativo (basato sulle risorse simboliche). In una relazione una parte detiene il potere fino a che essa ha o può avere accesso a mezzi coercitivi, utilitaristici o normativi per imporre la propria volontà; tale accesso ai mezzi è transitorio, il che vuol dire che può essere acquisito o perso.

Legittimità: molti studiosi, che cercano di definire gli stakeholder dell’impresa in modo ristretto, partono dal presupposto implicito che gli stakeholder legittimi sono necessariamente potenti e che gli stakeholder potenti sono necessariamente legittimi. Weber (1947) sostiene invece che legittimità e potere sono attributi distinti; essi possono essere combinati per creare autorità, definita da Weber come l’uso legittimo del potere, ma possono esistere anche in modo indipendente, un’entità può avere una posizione legittima o un’aspettativa legittima nei confronti dell’azienda ma, a meno che non abbia o il potere per

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applicare la propria volontà nella relazione o la percezione che la sua aspettativa sia urgente, non raggiungerà la rilevanza per i manager dell’azienda; per questo occorre dare un’attenzione distinta ai tre attributi. Secondo Suchman (1995) la legittimità è “una percezione generalizzata o una premessa secondo cui le azioni di un’entità sono desiderabili, proprie o appropriate all’interno di un sistema sociale di norme, valori, credenze e definizioni”. Questa definizione implica che la legittimità sia un bene sociale desiderabile e che possa essere definita e negoziata in modo diverso a vari livelli dell’organizzazione sociale (per Wood, 1991, i livelli principali sono individuale, organizzativo e societario).

Urgenza: L’urgenza, o pressione, si basa su due attributi:

- sensibilità temporale (il limite in base al quale il ritardo manageriale nel rispondere all’aspettativa o alla relazione non è accettabile dallo stakeholder);

- criticità (l’importanza della rivendicazione o della relazione con lo stakeholder).

Essa è definita quindi come il grado con cui le aspettative degli stakeholder richiedono un’immediata attenzione. L’idea di prestare attenzione a varie relazioni con gli stakeholder in modo tempestivo è stata per decenni un punto centrale della discussione degli studiosi del management (Wartick e Mahon, 1994) e delle crisi manageriali.

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2.1.3 Classi di stakeholder

Soffermiamoci su come i tre attributi degli stakeholder si possono combinare tra loro in modo da creare vere e proprie classi di stakeholder.

Un manager che vuole raggiungere certi fini deve prestare particolare attenzione alle diverse classi di stakeholder, le quali possono essere identificate in base al possesso di uno, due o di tutti e tre gli attributi precedentemente definiti.

Il grado di rilevanza degli stakeholder dipenderà dal numero di attributi percepiti come esistenti dal manager.

Figura 2.1- Tipologia degli Stakeholder in base alla presenza degli attributi - Freeman R.E., Rusconi G., Dorigatti M., Teoria degli Stakeholder, Franco Angeli, Milano, 2007

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I sette tipi di stakeholder sopra definiti vengono raggruppati in tre classi di rilevanza: Stakeholder latenti, Stakeholder “con aspettative” e Stakeholder definitivi.

Stakeholder latenti: identificati dal possesso reale o presunto di un solo attributo, per cui la loro rilevanza per il manager sarà bassa, o addirittura essi potrebbero non riconoscerne l’esistenza. Analogamente gli stakeholder latenti potrebbero non prestare alcuna attenzione o alcun riconoscimento all’azienda.

In base al solo attributo posseduto possiamo distinguere tre tipi di stakeholder (tabella 2.2)

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Tabella 2.2 – Stakeholder latenti – Azara A., La teoria degli stakeholder come origine

per l’affermazione di un’impresa nel settore dei servizi publici,2008

Stakeholder con aspettative: identificati dal possesso reale o presunto di due dei tre attributi, essi hanno una rilevanza moderata e sono visti dal manager come “individui con aspettative”, perché la combinazione di due attributi li porta in una

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posizione attiva, con un corrispondente aumento della sensibilità dell’impresa verso i loro interessi. Il livello di coinvolgimento fra manager e stakeholder sarà quindi più alto. Distinguiamo anche qui tre tipi di stakeholder:

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Tabella 2.3 – Azara A., La teoria degli stakeholder come origine per l’affermazione di un’impresa nel settore dei servizi publici, 2008

Stakeholder definitivi: uno stakeholder che dispone di potere e legittimità farà già parte della coalizione dominante dell’impresa; quando l’aspettativa di quello stakeholder diventa urgente, i manager hanno un mandato chiaro ed immediato di occuparsene, dandogli priorità. Ad esempio, nel 1993 gli azionisti (stakeholder dominanti) di IBM, General Motors, Kodak, Westinghouse e American Express divennero attivi quando percepirono che i loro interessi legittimi non erano stati debitamente tutelati dai manager di queste imprese.

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Si creò un senso di urgenza quando questi stakeholder potenti e legittimi videro i valori azionari crollare. Poiché i top manager non risposero in modo sufficiente ed appropriato a questi stakeholder definitivi, essi furono rimossi dall’incarico, dimostrando l’importanza di una precisa percezione del potere, della legittimità e dell’urgenza degli stakeholder e le conseguenze delle cattive percezioni o mancate attenzioni alle loro aspettative. Qualsiasi stakeholder con aspettative può diventare definitivo, acquisendo l’attributo che gli manca, sia esso potere, legittimità o urgenza.

2.1.4 I diversi approcci alla teoria degli stakeholder

La teoria degli stakeholder può essere (ed è stata) presentata ed utilizzata in vari modi piuttosto distinti fra loro ed implica molte metodologie e criteri di valutazione.

Donaldson e Preston, in un importante lavoro sull’approccio rivolto agli stakeholder nella letteratura dell’etica d’impresa “The Stakeholder Theory of the Corporation: Concepts, Evidence and Implications” (1995), identificano 4 modi in cui essa è stata utilizzata. Come teoria descrittiva: presenta un modello in cui si descrive l’impresa come costellazione d’interessi cooperativi e in concorrenza fra loro che possiedono un valore intrinseco. Essa è utilizzata per descrivere:

• la natura dell’impresa

• cosa pensano i manager della gestione

• cosa pensando i membri del consiglio di amministrazione degli interessi dei costituenti dell’impresa

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• come sono gestite alcune imprese

Come teoria stumentale: essa è utilizzata per identificare le connessioni, o la loro assenza, fra lo stakeholder management e il raggiungimento degli obiettivi tradizionali dell’impresa. L’idea di fondo è quella che le imprese che applicano lo stakeholder management avranno, a parità di altre condizioni, più successo in termine di performance convenzionali (redditività, stabilità, crescita ...). In particolare Kotter e Heskett (1992) osservarono che imprese di successo quali HewlettPackard, Wal-Mart e Dayton Hudson, sebbene per certi aspetti molto diverse, condividevano una prospettiva degli stakeholder. Essi scrissero: «quasi tutti i manager si preoccupano molto delle persone che hanno una “posta in gioco” nell’impresa –clienti, dipendenti, azionisti, fornitori ecc.»

Come teoria normativa: è la base fondamentale della teoria degli stakeholder ed implica l’accettazione delle seguenti idee:

a. gli stakeholder sono persone o gruppi con interessi legittimi e sono identificati in base ai loro interessi nei confronti dell’impresa, se l’impresa ha degli interessi funzionali corrispondenti nei loro confronti;

b. gli interessi di tutti gli stakeholder hanno un valore intrinseco; ciò vuol dire che ogni gruppo di stakeholder merita considerazione per il proprio interesse in sé e non semplicemente per la sua capacità di favorire gli interessi di un altro gruppo, come quello degli azionisti. Questa teoria è utilizzata per interpretare la funzione dell’impresa, compresa l’identificazione di linee guida morali o filosofiche per il suo funzionamento e la sua gestione.

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Come teoria manageriale: essa suggerisce atteggiamenti, strutture e pratiche che, prese nel loro insieme, costituiscono lo stakeholder management.

Lo stakeholder management richiede attenzione simultanea agli interessi legittimi di tutti gli stakeholder legittimati, sia nella definizione delle strutture organizzative che nelle politiche generali o nelle singole decisioni. Questo requisito vale per chiunque gestisca o influisca sulle politiche societarie, comprendendo non solamente i manager professionisti ma anche gli azionisti, il governo e gli altri. Rimane sempre il problema di identificare gli stakeholder e valutarne le “poste in gioco” legittime verso l’impresa e capire quali stakeholder coinvolgere nelle varie procedure e decisioni.

Per Freeman e Velamuri (A New Approach to CSR: Company, Stakeholder Responsability, 2006) la quarta prospettiva è quella che ha ricevuto meno attenzione rispetto alle altre tre, nonostante fosse alla base del concetto di stakeholder dello SRI (Standford Research Institute).

Una caratteristica della letteratura degli stakeholder che colpisce è che i primi tre approcci teorici sono spesso combinati, poiché forte è la tentazione di cercare un’unica teoria che li contenga tutti. A tal fine Clarkson (1991) affermò che il suo modello di stakeholder management rappresentava un nuovo frame work per “descrivere, valutare e gestire le performance sociali d’impresa”. Anche Freeman in vari trattati affrontò tutti e tre i tipi di teoria, sostenendone le basi strumentali, auspicando un adattamento descrittivo per la teoria, per tenere conto degli eventi in mutamento, (1984) e giustificando la teoria su basi normative, in particolare per quanto riguarda il potere di soddisfare i diritti morali degli individui (1988).

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2.2 La creazione di valore

Il tema della creazione di valore è un argomento di grande rilievo negli studi economico-aziendali. Al riguardo, le tesi degli studiosi in merito all’obiettivo finale verso cui dovrebbero essere orientate le decisioni d’impresa convergono verso l’idea che ogni scelta strategica deve essere intrapresa in vista di un solo obiettivo, quello di bilanciare cioè gli interessi delle diverse categorie di interlocutori sociali ed indirizzare la gestione verso un sentiero di continua crescita, così da mantenere ed incrementare il grado di attrattività dell’impresa nei confronti del mercato.

“Nell’azienda, infatti, convergono una pluralità d’interessi talvolta tra loro conflittuali: il più elevato ritorno sul capitale investito per l’azionista, l’affermazione ed il prestigio professionale per i manager, la retribuzione più alta e condizioni di vita decorose per i lavoratori, un giusto rapporto qualità-prezzo per i clienti, la garanzia di benessere sociale per la comunità, e così via.

Si tratta di obiettivi imputabili a diverse categorie d’interlocutori sociali, i quali, si rivolgono all’impresa e, con essa, intrattengono complesse relazioni attraverso un continuo flusso di scambi avente ad oggetto risorse ed informazioni. Tali interlocutori sociali sono definiti nella terminologia anglossassone con il termine di stakeholder, per l’impresa diventa necessario individuare ognuno di questi soggetti, conoscerne gli interessi, orientare la complessa attività decisionale verso il raggiungimento di un risultato di gestione tale da soddisfarne le aspettative.”9

9 SICOLI G.,Un analisi delle relazioni tra creazione di valore e gestione aziendale,

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La letteratura d’impresa ha individuato due tipi di orientamento. Il primo, definito anche come shareholder value approch, individua nella massimizzazione degli interessi degli azionisti, l’obiettivo principale verso cui tendono le decisioni dell’impresa. “Con il termine shareholder la letteratura anglossasone intende riferirsi ai conferenti il capitale di rischio, ossia agli azionisti che desiderano ottenere dal capitale impiegato in azienda un rendimento almeno uguale a quello realizzabile sul mercato attraverso investimenti alternativi caratterizzati dallo stesso livello di rischio. Gli azionisti accettano di venire remunerati dopo tutti gli altri stakeholder, per cui, a differenza di questi ultimi, che concordano preventivamente il corrispettivo delle loro prestazioni, vengono retribuiti in maniera residuale”.10

Il secondo orientamento noto come stakeholder value approach, stabilisce la condizione fondamentale per lo sviluppo dell’impresa, cioè il pieno soddisfacimento di tutte le categorie di interlocutori sociali. Pertanto, contrariamente a quanto in precedenza indicato, accoglie la visione sistemica dell’impresa. In tale contesto, il compito del soggetto economico consiste nell’incentivare i manager, i dipendenti, i clienti, i fornitori ed ogni altro interlocutore sociale verso la creazione di un maggior valore aggiunto garantendone al contempo una equilibrata distribuzione.

Il principio della creazione di valore, spesso usato come puntuale riferimento per la misurazione della perfomance aziendale, rappresenta un obiettivo necessario per garantire non solo la sopravvivenza e lo sviluppo dell’azienda nel lungo periodo, ma anche la soddisfazione degli azionisti.

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Infatti “creare valore significa in primo luogo aumentare la dimensione del capitale d’impresa e, quindi, incrementare il valore di mercato delle azioni, attraverso un aumento del loro prezzo di vendita.

È inconfutabile come tale principio affondi le sue origini nel concetto di valore attuale, in considerazione dell’individuazione di grandezze come, per esempio, i flussi di reddito futuri che l’impresa potrà realizzare e che rappresentano una determinante del valore del capitale.”11

Tuttavia, l’obiettivo della creazione di valore non è nuovo; infatti, “mentre l’impresa capitalistica ha nel profitto e nella sua massimizzazione il fine ultimo dell’attività produttiva, quella contemporanea e post-capitalistica deve sostituire questo principio con uno nuovo la cui produzione da un lato, e la distribuzione

dall’altro, rappresentano gli aspetti fondamentali di uno stesso fenomeno: la ricchezza aziendale”12.

Le origini del valore possono essere ricercate, sia all’interno dell’impresa, sia all’esterno di essa. Con riferimento alle origini interne, gli azionisti, in quanto titolari dell’impresa, rappresentano i soggetti sui quali ricade il rischio dell’intera gestione e per tale motivo risultano particolarmente interessati al rendimento delle loro azioni, sia in termini di dividendo, anno per anno percepito, sia in termini di valore di mercato del titolo.

Per quanto concerne le origini esterne, l’ambiente economico attuale, fortemente concorrenziale, impone ad ogni impresa, indipendentemente dalla natura e dalle dimensioni dell’attività svolta, la realizzazione di elevati vantaggi

11 Clarkson Centre for Business Ethics, Principles of Stakeholder Management, 1991

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competitivi. Infatti, “il valore creato dai processi produttivi aziendali risulta tanto più elevato quanto più solidi e difendibili sono i vantaggi che l’impresa ha saputo generare, utilizzando e valorizzando nella maniera più adeguata le risorse a sua disposizione, siano esse materiali, immateriali, umane o finanziarie. La creazione di valore rappresenta, rispetto al profitto, un obiettivo di più lungo periodo, al quale sono interessati sia gli azionisti, sia i manager, sia tutti gli altri stakeholder, vale a dire ogni categoria di soggetti che ripone nell’azienda le proprie aspettative di natura economica (lavoratori, clienti, fornitori e così via). Quindi, per l’impresa creare valore diventa condizione fondamentale di esistenza e sopravvivenza.”13

2.2.1 Il valore nel sistema aziendale

“La capacità e il successo dell’azienda dipendono, sia dalle azioni di coloro che in essa operano, sia da elementi esterni in buona parte incontrollabili. Compito dell’economia d’impresa è di analizzare, interpretare, tali azioni ed eventi per coglierne collegamenti e relazioni.”14

L’attitudine dell’impresa a creare valore, condizione necessaria per la sua stessa esistenza, può dipendere dai comportamenti che imprenditori e manager assumono nell’operare, questi soggetti devono mostrare elevate abilità, sia operative, sia negoziali.

Il grado di professionalità richiesto impone loro di effettuare scelte strategiche, determinanti ai fini dello sviluppo e del successo dell’impresa, come

13 SICOLI G., Un analisi delle relazioni tra creazione di valore e gestione aziendale,

Franco Angeli, 2008

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quelle inerenti il prodotto da realizzare e quelle relative al settore nel quale operare. Per quanto attiene alle scelte in merito al settore, ossia all’area di affari o business nel quale l’impresa decide di operare, “un più basso o più alto conseguimento di valore aggiunto è strettamente dipendente dalla natura dell’attività intrapresa”15. Infatti, le attività di produzione primaria, nonché quelle il cui svolgimento non richiede particolari conoscenze tecnologiche ed elevati investimenti di capitale, rappresentano attività a basso valore aggiunto. Invece, settori a più elevato livello tecnologico che necessitano di forti investimenti di capitale, rappresentano quelli maggiormente in grado di creare valore. “Quanto più elevata è la differenza tra il valore del bene, oggetto della trasformazione industriale, ed il valore del prodotto ottenuto, grazie soprattutto alle capacità innovative e alle conoscenze tecnologiche impiegate per la sua produzione, tanto più si riesce a creare valore

Relativamente al prodotto da realizzare, indipendentemente dai fattori produttivi e dalle conoscenze tecnologiche impiegate per la fabbricazione, è necessario considerare il settore nel quale l’impresa si trova posizionata. Esistono settori maturi, settori in crescita e settori attrattivi; a seconda della sua collocazione all’interno di ciascuno di essi, soprattutto, grazie alla presenza di vantaggi competitivi forti e difendibili è possibile ottenere dalla valorizzazione a prezzi di mercato dei prodotti realizzati, un più alto o più basso margine di valore aggiunto.

15 SICOLI G., Un analisi delle relazioni tra creazione di valore e gestione aziendale,

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Infatti, come osserva Podestà, non è la mano invisibile di Smith a guidare l’operato delle imprese, bensì il bisogno di ottenere dall’attività economica un prodotto netto in grado di remunerare il capitale impiegato.”16

In sintesi, la quantità di valore creato, incorporato nei prodotti e servizi ceduti a terzi, rappresenta l’elemento fondamentale alla base del valore riconoscibile all’azienda stessa. In ogni caso, la sua determinazione costituisce un’informazione utile e necessaria per tutti gli interlocutori sociali, atteso che può notevolmente influenzare il loro comportamento nella misura in cui è utilizzato come indicatore del grado di performance che il sistema aziendale riesce a realizzare, inoltre, risponde positivamente allo sviluppo a lungo termine dell’impresa e rappresenta, soprattutto, l’obiettivo principale ricercato dall’azionista.

Negli ultimi anni, l’obiettivo della creazione del valore è diventato, come lo stesso Guatri sostiene, “essenziale e inderogabile” allo sviluppo di qualsiasi impresa.”

16 G.SICOLI, Un analisi delle relazioni tra creazione di valore e gestione aziendale,

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2.3 Le fonti di creazione del valore

L’impresa perdura e sviluppa solo generando nuovo valore; infatti, lo spirito che anima la teoria di creazione del valore è la ricerca continua di tutte le occasioni per accrescere tale grandezza.

Per incrementare il livello di performance aziendale non necessariamente occore effettuare scelte di tipo straordinario, come possono essere l’acquisto o la cessione di una partecipazione, la ristrutturazione finanziaria, eccetera, quanto piuttosto, il valore va ricercato in decisioni che l’impresa compie quotidianamente e che riguardano la gestione operativa aziendale.

Seguendo tale approccio, nei processi di creazione di valore è possibile distinguere tre tipi di interventi:17

- Miglioramenti interni, legati alla ricerca di opportunità strategiche ed operative;

- Miglioramenti esterni, legati ad acquisizioni, fusioni, ecc.;

- Miglioramenti legati ad operazioni di ristrutturazione finanziaria e societaria

In sintesi le fonti di creazione del valore d’impresa sono individuabili nel vantaggio competitivo, nel potenziale di crescita, nelle operazioni di acquisizione, fusione e cessione, nelle ristrutturazioni finanziarie o societarie e negli incentivi al management.

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2.3.1 Il vantaggio competitivo

“Un tasso di profitto positivo, derivante dalla migliore condizione che l’impresa riesce a conquistare sul mercato rispetto concorrenti, costituisce la fonte principale di creazione di valore.”18

Tale posizione genererà elevati vantaggi competitivi, questi vantaggi competitivi possono riguardare la migliore collocazione che l’impresa occupa rispetto ai concorrenti, dal lato dei costi di acquisto o dal lato dei prezzi di vendita o da entrambi i lati.

A tal proposito, lo stesso Porter19sostiene che i vantaggi sono strettamente collegati al tipo di comportamento adottato dall’impresa e possono essere distinti in: leadership di costo; differenziazione; focalizzazione o specializzazione.

2.3.2 Il potenziale di crescita

Il valore del capitale economico dell’impresa può essere migliorato attraverso un aumento delle sue dimensioni in termini di accrescimento del fatturato. Lo sviluppo dell’impresa, viene considerato come condizione imprescindibile per la sua sopravvivenza; la stazionarietà è giudicata come causa di decadenza e di uscita dal mercato, tuttavia lo sviluppo dimensionale non significa necessariamente accrescimento del valore del capitale economico, poiché “la crescita dimensionale si lega allo sviluppo del capitale economico qualora il tasso di profitto è positivo; nel caso contrario la crescita, anziché creare

18 G.SICOLI, Un analisi delle relazioni tra creazione di valore e gestione aziendale,

Franco Angeli, 2008

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