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Scuola pubblica e scuola privata nel sistema di istruzione obbligatoria

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA

Tesi di laurea

SCUOLA PUBBLICA E SCUOLA PRIVATA NEL SISTEMA DI ISTRUZIONE OBBLIGATORIA

Il Relatore

Chiar.ma Prof. Michela Passalacqua

Il candidato Selene Capperucci

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II SCUOLA PUBBLICA E SCUOLA PRIVATA

NEL SISTEMA DI ISTRUZIONE OBBLIGATORIA

Introduzione 1

CAPITOLO I

L’intervento dello Stato in materia scolastica: profili storici

1. Gli artt. 33 e 34 della Costituzione e i lavori

dell’Assemblea costituente

2. L’evoluzione dell’ordinamento positivo 18

2.1 La riforma Berlinguer (L. n. 30/2000) 20

2.2 La riforma Moratti (L. n. 63/2003) 25

2.3 Cenni alla riforma Gelmini 34

2.4 La disciplina della “Buona Scuola” della L. n. 107/2015 38

CAPITOLO II

Dal monopolio statale al pluralismo: due tesi opposte a confronto

(3)

III

1.1 Norme per la parità scolastica (L. n. 62/2000) 58

2. Libertà della scuola e nella scuola: i limiti alla libertà d’insegnamento

65

3. Pluralismo e autonomia scolastica (L. n. 59/2997 e D.P.R. n. 275/1999)

69

3.1 Il principio di sussidiarietà e ruolo delle Regioni 83

3.2 Il federalismo regionale: il caso toscano 94

CAPITOLO III

I finanziamenti alle scuole private

1. “Senza oneri per lo Stato” 102

2. L’inattuazione del disposto costituzionale 111

3. I finanziamenti previsti dalla L. n. 62/2000 e le diverse applicazioni regionali

120

4. Agevolazioni fiscali e aiuti di stato 131

5. Gli interventi della giurisprudenza e la sentenza chiarificatrice del Consiglio di Stato n. 292/2016

147

Conclusioni 173

(4)

1

Introduzione

La questione principale affrontata all’interno di questa trattazione riguarda l’erogazione dei finanziamenti statali a favore delle scuole private. Lo scopo è, in prima istanza, quello di delineare il contesto e le problematiche in riferimento all’interpretazione, più o meno compromissoria, del disposto dell’art. 33 Cost.; in secondo luogo, è necessario focalizzare l’attenzione sul difficile coordinamento del disposto costituzionale con la normativa in materia scolastica. È parso altresì imprescindibile l’esame della nozione di finanziamento, e si è reso necessario approfondire come è stato effettivamente inteso tale termine da parte della giurisprudenza più autorevole.

In primo luogo è stata oggetto di analisi la principale normativa in materia di istruzione, a partire dalla stesura del testo costituzionale fino alla più recente legge sulla “Buona Scuola”.

La Costituzione ha sancito un generale e tassativo divieto di erogazione di finanziamenti agli istituti scolastici privati, che è stato da più parti reinterpretato in maniere differenti, sovente indici di divergenze politiche e culturali. Si può parlare infatti di una “inattuazione” del disposto, in ragione di una serie di elementi che

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2

inducono ad una lettura distorta rispetto al divieto generale.

Nel secondo capitolo è stato analizzato il concetto di pluralismo scolastico, in particolare con riferimento alla normativa per la parità scolastica sancita con la L. n. 62/2000, che ha individuato il “sistema nazionale di istruzione”, quale nuova ottica di inquadramento di tutti gli istituti scolastici, privati e pubblici. Questa novità, oltre a indicare la possibilità di riconoscimento di istituti meramente privati come parificati a quelli statali, racchiude la consapevolezza di un opportuno decentramento del potere a favore delle singole comunità scolastiche. Il mezzo per garantire il pluralismo scolastico è proprio il riconoscimento dell’autonomia e dell’autogoverno dei singoli istituti, obiettivi raggiunti — quanto meno formalmente — tramite due provvedimenti, ovvero la L. n. 59/1997 e il D.P.R. n. 275/1999. Tuttavia, è stata fondamentale la riforma costituzionale del 2001 per ridefinire il ruolo e la competenza statale e regionale in determinati ambiti, la cui assegnazione si era rivelata di estrema criticità. La riforma del Titolo V ha infatti segnato — almeno apparentemente — una svolta, insistendo sul concetto di sussidiarietà orizzontale. Nella prassi, il recepimento a livello regionale di tale decentramento in materia scolastica, disposto dalla L. n. 3/2001, è avvenuto in maniera disomogenea; ogni Regione ha dettato formule diverse, soprattutto per

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3

quanto riguarda i finanziamenti. Allo stesso modo, la Corte Costituzionale e il Consiglio di Stato si sono trovati a decidere relativamente all’ipotesi di garantire l’erogazione di sovvenzioni agli istituti privati, considerando eventualmente anche le quantità e le modalità. Anche la giurisprudenza comunitaria ha influito sull’argomento, soprattutto per ciò che concerne alcune agevolazioni fiscali disposte a favore di certi soggetti, e relativamente agli aiuti di Stato. Ciò sarà riscontrabile all’interno del terzo e ultimo capitolo, in cui sono state esaminate alcune tra le più rilevanti sentenze, per delineare l’orientamento generale della giurisprudenza riguardo alla concessione dei finanziamenti alle scuole private.

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4

CAPITOLO I

L'intervento dello Stato in materia scolastica: profili storici

1. I lavori dell’assemblea costituente e gli art. 33 e 34 Cost.

La disciplina a livello costituzionale delle problematiche riguardanti la cultura e la scuola è uno dei settori in cui prevalse lo spirito di compromesso, in quanto nel periodo subito precedente alla stesura della Costituzione, le forze politiche erano schierate in posizioni opposte sul tema.

Ciò portò in maniera imprescindibile ad una formulazione volutamente generica della disciplina costituzionale relativa a scuola e cultura, rendendo l'interpretazione tutt'altro che univoca1. Infatti, se ciò da un lato indica il forte interesse suscitato da tali materie, dall'altro testimonia come sia stata proprio la rilevanza di tale interesse ad impedire una tutela costituzionale esplicita e netta nella sua formulazione letterale.

Del resto lo Stato, riguardo a istruzione ed educazione, ha

1

E. SPAGNA MUSSO, Lo Stato di cultura nella costituzione italiana, Napoli, Morano, 1961, p.11.

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5

storicamente assunto quattro differenti posizioni2: di assoluta indifferenza, lasciando ogni libertà ai privati; di intervento diretto; di mero controllo, rilasciando ai privati la cura di tali attività, ma con un'azione di accertamento riservata allo Stato; di intervento misto, ovvero una formula ibrida tra la seconda e la terza posizione.

Durante il corso della storia si è riscontrata una successione di tali diverse posizioni.3 In Italia, in particolare nel periodo pre­unitario, la scuola era, per lo più, affidata al clero. Grazie all'influenza francese l'intervento statale venne già previsto dalla legge Casati del 1859, anteriore all'Unità; tale legge è peraltro ricordata per aver sancito la libertà di insegnamento, con l'ammissione, accanto alle scuole statali, di quelle private, sia pure sotto il controllo delle pubbliche autorità. Pertanto, mentre viene istituita un'amministrazione scolastica centrale idonea a fornire impulso ai vari campi della scuola, si lascia comunque spazio anche all'amministrazione locale, riconoscendo le varie esigenze di autonomia e decentramento.

Raggiunta l'Unità, il nuovo Stato italiano si trova ad affrontare una serie di problemi che impongono una revisione ininterrotta della

2

E. SPAGNA MUSSO, op. cit., p. 23.

3

Già durante l’Era medievale, ma anche nei secoli successivi, la gestione dell’educazione e della cultura poteva dirsi in mano alla Chiesa, quale forza fondamentale della società medievale, benché non si possa parlare di monopolio ecclesiastico della cultura in riferimento a tale periodo storico, dal momento che accanto ad essa esisteva l’istruzione esercitata dalle corporazioni e dalle Università. Invero, lo Stato feudale è logicamente privo di interesse allo svolgimento di una specifica attività nel campo della cultura, non avendo alcuno scopo di intervento attivo nella società, se non il mantenimento di un equilibrio. E. SPAGNA MUSSO, op. cit., p. 25­27.

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6

legislazione: fino all'avvento del regime fascista si sono invero succedute molte disposizioni legislative e regolamentari. Tuttavia, in conformità al carattere autoritario del regime fascista, le riforme necessarie erano dirette a regolare solo alcuni degli aspetti problematici; si andò creando allora un ordinamento scolastico fortemente accentrato, con la soppressione della libertà nella scuola e la abolizione di tutte le garanzie giuridiche poste a sua tutela. Esse furono ripristinate successivamente alla caduta del regime: per un completo riordinamento dell'istruzione e l’istituzione di principi atti ad ispirarne la regolazione, fu necessario attendere la stesura delle norme costituzionali.

Essendo il settore della formazione uno degli ambiti in cui è più significativo il mutamento cagionato dalle nuove esigenze del mercato del lavoro, quali l’evoluzione delle tecnologie, “ciò si riflette sul quadro istituzionale fino al punto di rimettere in discussione che sia compito dello Stato provvedere direttamente all’istruzione”4. Si può allora notare che, anche adottando posizioni diverse, lo Stato deve garantire un minimo di istruzione, non dando enorme peso al “come” raggiungere tale obiettivo, ovvero se tramite un insieme di propri istituti (cioè le scuole, appunto, statali) o attraverso un sistema di

4

G. CIMBALO, La scuola tra servizio pubblico e principio di sussidiarietà, Torino, Giappichelli Editore, 1999, p. 13.

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7

controlli delle iniziative dei soggetti privati nel campo

dell'insegnamento (le scuole private)5.

Per mezzo della redazione del testo costituzionale, il Legislatore intese perseguire il proprio scopo. Al primo comma dell'art. 33 Cost.6 sono riconosciute la libertà della scienza e dell'arte, cui però fu dedicata scarsa attenzione all'interno dell'Assemblea Costituente, la quale concentrò la discussione sui temi dell'istruzione, sui complessi rapporti tra scuola pubblica e scuola privata e sul tema della libertà d'insegnamento in senso proprio. Quest’ultima sarà oggetto di approfondimento nel secondo capitolo di questa trattazione.

La citata libertà d’insegnamento è ribadita al primo comma del suddetto articolo, ma è considerabile già implicitamente racchiusa entro la più ampia libertà di manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost.7; in tale prospettiva, si è inteso considerare la previsione ex art. 33 primo comma Cost. come meramente enfatizzante, essendo che le libertà della scienza e dell'arte non possono esistere senza la libertà

5

E. SPAGNA MUSSO, op. cit., p. 38.

6

L’Art. 33 Cost. al primo comma: “L’arte e la scienza sono libere, e ne è libero l’insegnamento”.

7

“In relazione all'art. 33, primo comma, Cost., che garantisce la libertà dell'arte e della scienza, premesso che la disposizione non riguarda soltanto il momento creativo ma anche "quello della rappresentazione e comunicazione esteriore", l'ordinanza osserva che questo ultimo momento "sembra potersi ricondurre nel più generale concetto di manifestazione del pensiero" e, quindi, nell'ambito dell'art. 21. Aggiunge, anzi, che esistono e potranno svilupparsi in futuro forme di spettacolo (e, quindi, d'arte) "specifiche per la televisione"; ed esse, in regime di monopolio statale del servizio, potrebbero essere "impedite o limitate da un difforme criterio imposto dallo Stato", C. Cost. 6 luglio 1960, n. 59, in Leggi d’Italia, Commentario Costituzione – Art. 33.

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d'insegnamento8. Essa è stata molto spesso oggetto di discussione in dottrina, in particolare riguardo il suo contenuto. Sono stati sottolineati alcuni aspetti, tra i quali la libertà personale del docente: “l'insegnamento è necessariamente ed esclusivamente attività

personale, che non appartiene o compete alla persona giuridica al cui servizio eventualmente l'insegnante si trovi, né alla scuola nella cui

organizzazione d'insieme l'insegnamento stesso risulti inquadrato”9.

Come è già stato affermato, la libertà di insegnamento affianca, ad un aspetto personalistico, un aspetto dinamico della stessa, essendo legata a processi di maturazione e di evoluzione della concezione e del metodo utilizzato ed adottato dal singolo docente10. Accanto a questi due aspetti, se ne aggiunge un altro, di carattere finalistico, che dà adito alla funzione sociale della libertà d'insegnamento: viene attenuato il profilo incentrato sulla tutela personalistica del docente, “in ragione dell'insegnamento in sé, dei discenti, dell'interesse di tutta la società”11.

È poi opinione unanime che l’espressione “scienza” comprenda

8

G. FONTANA, Commentario Costituzione – Art. 33, in Leggi D’Italia, cit.

9

U. POTOTSCHNIG, Insegnamento istruzione scuola, in Giurisprudenza costituzionale, 1961, pp. 380­381.

10 U. POTOTSCHNIG: “la libertà d'insegnamento è sempre stata affermata o a

vantaggio della scuola, o a vantaggio diretto degli alunni o a vantaggio della scienza: mai a vantaggio o nell'interesse degli insegnanti”, Insegnamento (libertà di), Enc. Dir., XXI, Milano, 1971, p. 736.

11

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9

tutte le attività di indagine e di ricerca, non soltanto quelle relative alle scienze cosiddette esatte e sperimentali; la libertà di insegnamento rappresenta “quasi una prosecuzione ed espansione” della libertà della scienza e dell’arte e vale per tutti i docenti, di qualunque ordine e grado12.

Al secondo comma13, l'art. 33 conferma l'inderogabilità del compito dell'istruzione per lo Stato, derivando da esso l'obbligo di dettare norme regolative ed il potere­dovere di soddisfare direttamente il bisogno dell'istruzione attraverso le istituzioni scolastiche. Rilevano pertanto sia la funzione normativa, che quella di realizzazione, dello Stato.

Il dovere di istruzione posto in capo allo Stato è atto non solo a vietare un abbandono dell'istruzione pubblica in favore di quella impartita dalle istituzioni private, ma anche ad imporre l'obbligo di mettere in piedi una struttura scolastica atta ad evitare che parte della popolazione in età scolare sia tenuta a frequentare scuole private non per libera scelta, bensì per mera carenza od inadeguatezza delle strutture statali.

In dottrina non sono riscontrabili divergenze di pensiero sulla

12

U. POTOTSCHNIG, Insegnamento (libertà di)

13

Art. 33 co. 2 Cost.: “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.”

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10

concezione della “Repubblica” come “Stato­persona”, per il fatto che l'attribuzione di normazione generale in materia ad un soggetto diverso dallo Stato e l'affidamento dell'istituzione di scuole statali a soggetti privati, sono entrambe attività riconducibili solo allo Stato stesso14.

In realtà, con la legge costituzionale n. 3/2001 è stata rimessa in discussione l'interpretazione tradizionale appena enunciata, in ragione dell’ampliamento degli ambiti di competenza a favore di Regioni ed Enti locali (ma la questione sarà affrontata più approfonditamente nel secondo capitolo).

Il terzo comma dell'art. 33 Cost.15 riveste una fondamentale importanza: il diritto in esso sancito vale a concretizzare il principio del pluralismo scolastico e della libertà della scuola.

La libertà riconosciuta ai soggetti privati di istituire scuole mina il monopolio pubblico nel campo dell'istruzione ed afferma il carattere non esclusivo dell'insegnamento statale. Si è quindi di fronte ad un diritto soggettivo garantito a persone fisiche e giuridiche, ovviamente non senza l'osservanza di requisiti. Essi, per la prima volta in maniera chiara, trovano sede nella l. n. 62/2000, nella quale il legislatore ha

14

G. FONTANA, Commentario Costituzione – Art. 33, in Leggi D’Italia, 2017.

15

Art. 33 co.3 Cost.: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.”

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elencato tutta una serie di condizioni necessarie ai fini del riconoscimento della parità di scuole non statali gestite da altri soggetti: esse sono scuole private ma sono abilitate ad attribuire diplomi equipollenti a quelli rilasciati dalle scuole pubbliche.

Per ciò che riguarda l'ultimo inciso dell'art 33, terzo comma, Cost., laddove il riconoscimento del diritto per enti e privati di istituire scuole ed istituti di educazione esclude oneri per lo Stato, si tratta di una quaestio particolarmente spinosa: l'esclusione del diritto a forme di finanziamento pubblico per le scuole private rappresenta il limite costituzionale espresso al pluralismo scolastico. Molteplici ed aspre sono state le discussioni attorno all'inciso “senza oneri per lo Stato”, e sulla riflessione hanno inciso molti orientamenti politici ed ideologici. Sovente le argomentazioni – sia favorevoli che contrarie – ai finanziamenti per le scuole private, hanno assunto toni contraddittori ed ostacolato un pacifico approccio alla problematica. Secondo la teoria maggioritaria, il disposto sarebbe da intendere come divieto, escludendo quindi la possibilità alle scuole private di ottenere finanziamenti pubblici. Non sono però mancate interpretazioni volte ad alleggerire la portata del divieto16; ma la questione sarà affrontata in maniera più concreta nei successivi capitoli.

16

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12

Orbene, proseguendo l'analisi costituzionale, è fondamentale la trattazione dell'art. 34 della Costituzione17. Dall'affermazione con cui si apre la norma “la scuola è aperta a tutti” sono state tratte le prime ed importanti conseguenze in rapporto al contenuto e alla qualificazione dei diritti che vi discendono.

Un primo orientamento sostiene che trapeli la concezione “elitaria” della scuola, testimoniata dal fatto che in Assemblea Costituente non si fosse distinto tra studenti di scuole private e studenti di scuole statali18.

Secondo altra tesi, la norma non statuirebbe un proprio ed individuale diritto all'istruzione, bensì un diritto del singolo di godere di una prestazione amministrativa.

Altra prospettiva è quella di chi afferma che il riconoscimento del diritto all'istruzione è un risultato a cui i costituenti tenevano per il significato profondamente innovatore, cercando di affermare il diritto

di ogni cittadino di ricevere una adeguata istruzione

indipendentemente dalle sue condizioni economiche e sociali. Quest'ultima è la tesi maggiormente seguita, alla luce di un'interpretazione sistematica ed evolutiva del testo costituzionale19.

17

Così recita il primo comma di suddetto articolo: “La scuola è aperta a tutti”.

18

S. CASSESE, Art. 33 e 34, in Commentario della Costituzione a cura di G. Branca, Roma, Zanichelli, 1976.,

19

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Da tale angolo visuale, è possibile reinterpretare i due elementi cardine sui cui poggia lo stesso art. 34 Cost.: l'obbligatorietà dell'istruzione e l'assistenza scolastica, che compaiono al secondo, terzo e quarto comma di suddetto articolo20. Con la stesura della Costituzione cambiano i termini della questione: l'obbligo e la gratuità non si giustificano più a vicenda come prima accadeva, bensì trovano entrambi fondamento nel diritto all'istruzione.

La scuola non è più gratuita in quanto obbligatoria e viceversa: oggi la scuola è obbligatoria e gratuita ai fini del pieno sviluppo della personalità dei singoli e del raggiungimento di un'uguaglianza sostanziale, entrambi garantiti proprio dal diritto all'istruzione.

La prima attuazione dell'obbligo scolastico si ebbe con la L. n.

1859/1962, istitutiva della scuola media unica. Ai fini

dell'assolvimento, non viene considerato doveroso il conseguimento della licenza media, poiché colui che non l'avesse conseguita, sarebbe stato prosciolto dall'obbligo dimostrando di aver frequentato la scuola per almeno otto anni entro il raggiungimento del quindicesimo anno di età.

20

Il secondo comma e ss. dell’art. 34 Cost. così recitano: “L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.

I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”.

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14

Ecco chiarita la finalità perseguita dal legislatore del tempo: non tanto l'acquisizione di conoscenze ed abilità teoriche, bensì la semplice frequenza. La Corte Costituzionale avallò tale concezione con una sentenza del 196721, benché fosse oggetto di critiche anche da parte della dottrina, in quanto fondata sulla concezione che la gratuità sia incentivo all'obbligatorietà e non invece strumento operativo per l'attuazione del principio di uguaglianza sostanziale.

Tale quadro è ora mutato. In principio, a seguito della L. n. 9/1999 che all'art. 1, primo comma22 prevedeva l'elevazione dell'obbligo di istruzione da otto a dieci anni. A coloro, i quali, avendo adempiuto l'obbligo di istruzione, non intendessero proseguire gli studi nell'istruzione secondaria superiore, veniva garantito il diritto alla frequenza di iniziative formative atte a consentire il conseguimento di una qualifica professionale.

A conclusione del periodo di istruzione obbligatoria, in assenza del conseguimento di un diploma o di una qualifica, previo accertamento del livello di competenze acquisite, era previsto il rilascio di una certificazione attestante l'adempimento dell'obbligo di istruzione o il proscioglimento dello stesso avente valore di credito

21

Corte Cost., sent. 1 febbraio 1967, n. 7, in Giur. cost., 1967, p. 56 ss.

22

“Disposizioni urgenti per l’elevamento dell’obbligo di istruzione”, emanata il 20 gennaio del 1999, abrogata con la legge 28 marzo 2003, n. 53.

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formativo. Successivamente, tramite la L. 30/2000, si giunse ad una riforma del sistema educativo di istruzione (riforma Berlinguer): l'obbligo scolastico veniva fissato dal sesto anno di età fino al quindicesimo, ma l'obbligo di frequenza per le attività formative era stabilito sino al compimento del diciottesimo anno di età.

Sul tema è poi intervenuta anche la riforma Moratti, che ha

abrogato la precedente legge, prevedendo l'assicurazione

dell'istruzione per almeno dodici anni, o comunque sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età.

Tale previsione comportò una rilettura dell'art 34 Cost., come precisa la lett. c) all'art. 2 della suddetta legge23.

La gratuità dell'istruzione obbligatoria ha però posto significativi problemi riguardo al principio di uguaglianza.

La prima questione riguardava una legge del 1964, che all'art. 1

23

“c) è assicurato a tutti il diritto all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età; l’attuazione di tale diritto si realizza nel sistema di istruzione e in quello di istruzione e formazione professionale, secondo livelli essenziali di prestazione definiti su base nazionale a norma dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e mediante regolamenti emanati ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e garantendo, attraverso adeguati interventi, l’integrazione delle persone in situazione di handicap a norma della legge 5 febbraio 1992, n. 104. La fruizione dell’offerta di istruzione e formazione costituisce un dovere legislativamente sanzionato; nei termini anzidetti di diritto all’istruzione e formazione e di correlativo dovere viene ridefinito ed ampliato l’obbligo scolastico di cui all’articolo 34 della Costituzione, nonché l’obbligo formativo introdotto dall’articolo 68 della legge 17 maggio 1999, n. 144, e successive modificazioni. L’attuazione graduale del diritto­dovere predetto è rimessa ai decreti legislativi di cui all’articolo 1, commi 1 e 2, della presente legge correlativamente agli interventi finanziari previsti a tale fine dal piano programmatico di cui all’articolo 1, comma 3, adottato previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e coerentemente con i finanziamenti disposti a norma dell’articolo 7, comma 6, della presente legge”.

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disponeva la fornitura gratuita dei libri di testo a tutti gli alunni della scuola elementare (statale). Tale legge è stata infatti ritenuta incostituzionale, per non aver compreso anche gli altri istituti della scuola dell'obbligo all'interno della fornitura gratuita di manuali; inoltre, essendo la garanzia estesa a tutti gli alunni, non ci sarebbe stato alcun trattamento differenziato in base alle condizioni economico­sociali degli studenti. È stato allora sostenuto che “lo Stato dovrebbe assegnare gratuitamente solo ai meno abbienti i libri di testo”24.

Ciò nondimeno, ancora più delicata è la questione che ha ad oggetto l'estensione della gratuità nella fascia dell'obbligo agli alunni frequentanti le scuole non statali. Sul tema si fronteggiano due posizioni opposte: la prima, che sulla base dell'art 33 terzo comma Cost., afferma la clausola “senza oneri per lo Stato”; la seconda, che al contrario sostiene che l'impegno ex art. 34 Cost. è quello di realizzare in modo pieno il diritto allo studio, per eliminare le disparità economiche, e dal momento che tale impegno è da assumere nella sua interezza, non può riguardare solo gli alunni delle scuole statali25.

La legislazione e la giurisprudenza amministrativa si sono

24

C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, Cedam, 1969, p. 1081.

25

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17

orientate verso questa seconda tesi. Già all'art. 1 della L. n. 719/196426 si affermava che la fornitura dei libri di testo fosse prevista “agli alunni delle scuole elementari statali o abilitate a rilasciare titoli di studio avente valore legale”. Successivamente l'art. 42 del D.P.R. n. 616/1977, nel trasferire le funzioni in materia scolastica alle Regioni, sulla base del principio dell'autonomia, ha indicato che la gamma di provvidenze in essa contenuta27 fosse da esercitarsi indifferentemente “a favore degli alunni di istituzioni scolastiche pubbliche o private”, attraverso la mediazione delle leggi regionali e degli atti amministrativi dei Comuni. Ma il vero passaggio importante, si è avuto con la sentenza n. 454/1994 del Giudice Costituzionale, il quale ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 1, primo comma, della L. n. 719/1964 (già inserita nel successivo primo comma dell'art. 156 del D.P.R. 297/1994) nella parte in cui “esclude dalla fornitura gratuita

dei libri di testo gli alunni delle scuole elementari che adempiono all'obbligo scolastico in modo diverso dalla frequenza presso le scuole statali o abilitate a rilasciare titoli di studio aventi valore legale”.

Superando i propri precedenti, la Corte con questa sentenza si pone in una prospettiva molto diversa rispetto al passato circa la valutazione di

26

Legge 10 agosto 1964, n. 719 sulla fornitura gratuita di libri di testo agli alunni delle scuole elementari.

27

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18

identità e discrepanze tra scuole statali e private. Di particolare efficacia è un passaggio di questa pronuncia: la Corte si è posta “dal

punto di vista del fruitore del servizio scolastico, restando indifferente alla natura (pubblica o meramente privata) della scuola [..] soltanto preoccupandosi di assicurare che tutti gli alunni titolari del diritto all'istruzione gratuita, indipendentemente dalla scuola frequentata, siano posti nella medesima condizione per quanto concerne l'accesso

a quelle provvidenze che sono strumentali rispetto all'istruzione”28. Si

apre quindi un nuovo scenario, diverso rispetto a quello precedente, in cui il dibattito sull'interpretazione della clausola “senza oneri per lo Stato” ha fossilizzato la condizione della scuola privata nel sistema dell'istruzione. Questa novità, troverà poi conferma nella legge n. 62/2000, con più chiari riferimenti al riconoscimento della scuola privata.

2. L'evoluzione dell'ordinamento positivo

Nel settore scolastico l'intervento pubblico intorno alla identificazione dell’istruzione come fine proprio ed istituzionale dello Stato, si sviluppa a partire dagli anni immediatamente precedenti l'unificazione, e lo Stato stesso, come già affermato precedentemente,

28

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non si può limitare a promuovere e regolare la materia, ma ha anche l'obbligo di provvedervi direttamente29. Dalla metà degli anni novanta, l'intervento pubblico nel settore dell'istruzione si presentava sempre fortemente ancorato alla configurazione dell'istruzione come fine dello Stato.

Di notevole considerazione è il D.lgs. n. 297/1994, recante il Testo Unico delle disposizioni in materia di istruzione. È un punto di riferimento ineludibile, perché si caratterizza per essere il T.U. di tutte le leggi sulla scuola fino al nuovo testo unico. Racchiude articoli in un certo senso superati negli anni e decenni seguenti; tuttavia, alcuni restano pilastri, in particolare per ciò che riguarda la funzione ed il ruolo del docente. Si legge che essa corrisponde alla “esplicazione

essenziale dell'attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa, e di impulso alla partecipazione dei giovani a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità”30.

Ancora: il docente deve svolgere il normale orario di insegnamento, espletare le altre attività connesse e esercitare il governo dell’ attività scolastica attraverso gli organi collegiali. Deve

29

V. U. POTOTSCHNIG, Insegnamento istruzione scuola, cit., p. 409, il quale rileva che “esiste un’istruzione riservata alla scuola dello Stato (sempre salvo il diritto di enti e privati di istituire scuole parallele e sostitutive di quelle dello Stato)”, Stato che ha “un compito autonomo ed essenziale, perché indeclinabile”.

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curare il proprio aggiornamento culturale e professionale, tramite delle iniziative promosse dagli organi competenti. Partecipare alle iniziative educative della scuola deliberate dagli organi competenti. Può formulare proposte e comunque parteciparvi. Curare i rapporti con i genitori degli alunni delle classi e partecipare ai lavori delle commissioni di esame di concorso di cui siano stati nominati competenti.

2.1 La riforma Berlinguer (L. n. 30/2000)

Ancora, in materia, è inevitabile trattare la L. n. 30/2000, conosciuta come la “Riforma Berlinguer”. Con tale provvedimento, l'allora Ministro dell’istruzione intendeva generalizzare e qualificare la scuola dell'infanzia mediante l'integrazione di istituti statali, privati e comunali.

L'istruzione scolastica è qua intesa come aperta a tutti, con un percorso comune fino al biennio della scuola secondaria. Il progetto è fortemente “scuolacentrico”31, in quanto la scuola costituisce il mezzo preferenziale per realizzare l'istruzione dei giovani. Viene inoltre data forte considerazione agli alunni provenienti da famiglie in condizioni socio­economiche svantaggiate.

31

(24)

21

Berlinguer utilizzò più volte la metafora del mosaico, le cui tessere sembrano sconnesse fra loro, ma che, una volta ricomposte, restituiscono un'immagine compiuta e coerente. Egli si mosse lungo tre direzioni32. In primo luogo, puntò alla riforma del Governo del sistema di istruzione attuata tramite il decreto di autonomia delle istituzioni scolastiche, già incluso all'interno della legge, conosciuta comunemente come Legge Bassanini, il cui obiettivo era la realizzazione del decentramento amministrativo e il trasferimento delle funzioni dallo stato agli enti locali. È infatti in questo contesto che va letto l'art. 21 che istituisce l'autonomia scolastica. Le scuole divengono destinatarie di poteri di organizzazione e gestione della didattica, di ricerca e sperimentazione funzionali alla progettazione e realizzazione dell'offerta formativa; dall'altro lato le istituzioni statali diventano il fulcro del sistema di governance territoriale, basato appunto sul rapporto con gli enti locali33.

32

W. MORO, Da Berlinguer alla Gelmini gli ultimi 15 anni di politica scolastica nel nostro Paese, [In rete: http://www.cidimi.it/newsletter/Da%20Berlinguer%20alla%20Gelmini.pdf], consultato in data 25 maggio 2017.

33

“[…]l’art. 21 della legge n. 59, promulgata nel 1997, ha introdotto il processo di autonomia delle istituzioni scolastiche a partire dall’istituzione della loro personalità giuridica e affidando ad esse alcune importanti funzioni precedentemente assunte in proprio dallo Stato. Questo cambiamento ha avuto conseguenze importanti, specie sull’istruzione secondaria superiore. lo Stato ha mantenuto solo la legislazione generale e ha assegnato molte funzioni amministrative alle Regioni e alle altre autorità locali. In particolare, lo Stato non si occupa di pianificazione territoriale né della realizzazione dei servizi ausiliari. […] Questa riforma non è però entrata completamente in vigore, perché lo Stato non ha trasferito fondi necessari alle Regioni e ha mantenuto la gestione centralizzata di tutte le risorse umane e strumentali. Molte Regioni hanno, tuttavia, iniziato a svolgere le proprie funzioni e implementato le loro politiche utilizzando soprattutto risorse proprie”, così A. M. POGGI, La riorganizzazione territoriale del sistema scolastico. Il fallimento dell’amministrazione centralizzata, in Economia&Lavoro, I, Anno XLVI,

(25)

22

In secondo luogo, si mosse per l'emanazione della “legge sul riordino dei cicli”, approvata dalle Camere nel febbraio del 2000 che costituisce una vera e propria riforma complessiva dell’intero sistema di istruzione. Il nucleo del progetto di riforma era quello di puntare a costruire un percorso scolastico lungo incentrato sull’apprendimento, che fosse in grado di rimuovere le discrepanze culturali di partenza sin dai primi anni. La riforma dei cicli puntava al superamento del “modello classista”, di impronta gentiliana organizzato in ordinamenti rigidamente separati tra loro. Prevedeva l’unificazione in un unico ciclo settennale delle scuole elementari e medie; un ciclo della secondaria articolato in un primo biennio obbligatorio, unitario e orientativo, e un triennio pre­professionalizzante. La conclusione dell’obbligo a 15 anni alla fine del primo biennio, allineava l'Italia al resto dell’Europa riguardo all’uscita dalla scuola secondaria a 18 anni.

Nel quadro della riforma dei cicli venne istituita la famosa commissione definita “dei saggi”, con lo scopo di indicare una mappa di conoscenze di base che i giovani dovevano apprendere a scuola e che fosse alla base della definizione dei nuovi impianti disciplinari; tema questo che fu poi successivamente sviluppato dalla commissione

pp. 41­42.

(26)

23

istituita dal ministro Tullio De Mauro34.

In terzo luogo, la riforma perseguita dall'allora Ministro Berlinguer, ebbe ad oggetto il famoso “concorsone” (una prova basata su quiz e colloquio) che aveva come obiettivo quello di riconoscere e incentivare economicamente il lavoro professionale (tuttavia solo per un certo numero di insegnanti), partendo dalla valutazione dell’attività svolta in classe. Su questa iniziativa, approvata nelle assemblee sindacali, si iniziò a respirare un'aria di opposizione e di resistenza conservatrice e corporativa di una larga parte dei docenti, che si manifestò anche nei confronti dell’intero progetto di riforma dei cicli e della stessa autonomia scolastica: un chiaro indizio del mutamento del clima politico che riportò nel 2001 al governo il centrodestra35.

Tale riforma non ebbe molto successo: come si deduce dal testo di Briguglio36, “il nodo gordiano della riforma dei cicli scolastici si è

avvitato su una sorta di liceizzazione della scuola secondaria,

34

Nel 2000 Berlinguer venne sostituito dal Ministro Tullio De Mauro, che attivò una commissione allargata di esperti con l’obiettivo di rinnovare gli impianti culturali sulla base delle indicazioni elaborate nell’ambito della commissione dei “saggi”, precedentemente istituita da Berlinguer.

35

L'autore dei contenuti della riforma, Maragliano, fu scelto dallo stesso Berlinguer, all'interno della “Commissione dei saggi”, istituita nel 1997 ed incaricata di individuare le “conoscenze fondamentali su cui si baserà l'apprendimento dei giovani nei prossimi decenni”. Maragliano riprende in un secondo tempo il tema dell'orientamento verso il futuro: di fronte ai forti dubbi nutriti sull'opportunità di basare la didattica materiale su programmi nazionali, manuali cartacei e sull'imprevedibilità del futuro delle professioni e delle conoscenze negli anni a venire, l'autore suggerisce di leggere tutte le trasformazioni non secondo la chiave dello “smarrimento, bensì quella dell'impulso a conoscere”.

36

A. BRIGUGLIO, Dal Ministro Berlinguer alla riforma Gelmini: note cursorie per riflettere sugli itinerari della formazione e dell’istruzione in Italia, Quaderni di Intercultura, III, 2011, p. 7.

(27)

24

svilendo la specificità della formazione tecnica e professionale”,

poiché la scuola secondaria si realizza negli istituti di istruzione secondaria di secondo grado, che sono, appunto, i licei.

Quello che emerge da questa riforma è un ancora invadente centralismo, nonostante la collaudata legge sull'autonomia scolastica del 1997. La logica dei “cicli” si mostra, insomma, distante e in contrasto con quella della L. cost. del 2001, che al contrario inquadra le Regioni in una posizione di potere in materia di istruzione e formazione professionale, con piena sovranità, fatte ovviamente salve le norme generali dell'istruzione.

La contraddizione tra la legge n. 30/2000 ed il nuovo Titolo V lascia in sospeso la questione sulla responsabilità regionale in materia di istruzione e formazione. La legge Berlinguer, infatti, non poteva avere assunto la modifica del testo costituzionale semplicemente per una discrasia temporale, essendo anteriore alla modifica del Titolo V. La confusione normativa, ancora una volta, pone la scuola ostaggio di una distinzione vetusta tra obbligo scolastico, diritto­dovere alla cultura ed alla promozione della persona, ed obbligo formativo, come una sorta di apprendistato strumentale37.

37

D. DE MARCO, “Le buone scuole”: vent’anni di riforme incomplete. Prima parte: la riforma Berlinguer, [In rete: https://www.pandorarivista.it/articoli/le­buone­scuole­ventanni­di­riforme­ incomplete­prima­parte­la­riforma­berlinguer/], consultato in data 17 giugno 2017.

(28)

25

Berlinguer rivolge forti critiche al centralismo burocratico, ed il conferimento di autonomia agli istituti scolastici costituisce il tassello più importante del mosaico, proprio quel mosaico oggetto della sua metafora. Riconobbe inoltre che la strategia del mosaico è apparsa confusa e non organica per buona parte dell'itinerario; ammise di aver commesso errori di tattica e di tempismo38. “Col senno di poi si può

affermare che l'errore più grande è l'aver dato per scontato che la

riforma fosse davvero compiuta”39.

2.2 La riforma Moratti (L. n. 63/2003)

Con la riforma Moratti, viene delegata al governo la messa a punto delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale. In tale direzione sono stati mossi passi significativi, al fine di costituire un unico sistema educativo articolato in licei ed istituti di istruzione e formazione professionale di pari dignità.

La riforma Moratti abroga quindi la precedente riforma Berlinguer, prevedendo due cicli di istruzione: il primo, costituito dalla scuola primaria (ex scuola elementare di durata quinquennale) e

38

Errore di tattica per aver insistito sul quiz nel concorsone per l'attribuzione di incentivi agli insegnanti, ed errore di tempismo per aver accelerato troppo i tempi, come afferma G. GASPERONI, La scuola italiana fra bisogni e (im)possibili riforme, in L'informazione bibliografica, II, 2001.

39

(29)

26

la scuola secondaria di primo grado; il secondo ciclo, costituito dal sistema dei licei e dal sistema dell'istruzione e della formazione professionale. Le novità introdotte sono di carattere strutturale, a cominciare dall'innalzamento a diciotto anni dell'obbligo formativo40, per spingere i giovani a rimanere a lungo nell'ambito dell'istruzione e promuovere una cultura dell'apprendimento. La norma più significativa e strategica riguarda la garanzia di qualità e l'accreditamento a livello europeo degli apprendimenti scolastici e di alta formazione, che avviene con l'utilizzo di modelli di valutazione diffusi in Europa, l'European Credit Transfert System (ECTS). Si tratta di un sistema europeo dei livelli professionali, articolato in cinque profili di prestazione che certifica la qualità delle competenze e favorisce la mobilità degli studenti, soprattutto a livello comunitario. La certificazione delle competenze durante l'obbligo scolastico è onere degli insegnanti delle istituzioni scolastiche frequentate: il compito richiede un'alta professionalità da parte dei docenti, che non è ipotizzabile al di fuori di un continuo aggiornamento culturale e metodologico. Pertanto l'aggiornamento si rivela essere un punto nevralgico su cui si addensano aspetti critici, dovuti alla necessità di

40

Nell’agenda di Lisbona 2000 venivano indicati alcuni obiettivi tra cui quello di dimezzare entro il 2010 il numero dei giovani (tra 18 e 24 anni) che avessero conseguito un livello base di formazione senza proseguire gli studi; trasformare le scuole in centri di formazione collegati in rete; elaborare un quadro di competenze lungo tutto l’arco della vita, promuovere la mobilità degli studenti; elaborare un modello europeo di curriculum vitae.

(30)

27

“svecchiamento” della classe insegnante. Per gli alunni, invece, gli articoli della legge tracciano uno scenario più chiaro. Il percorso scolastico inizia con la scuola dell'infanzia triennale (dai tre ai sei anni), ma non contempla più l'attribuzione dei crediti di frequenza. Viene sciolto il raccordo tra la quinta classe della scuola primaria (dai sei agli undici anni) e la prima della scuola secondaria di primo grado (dagli undici ai tredici anni). Ed inoltre, il provvedimento introduce una nomenclatura del secondo ciclo distinto in due sotto­sistemi: gli indirizzi liceali, di durata quinquennale, e l'istruzione e formazione professionale regionale, di durata quadriennale (dai tredici ai diciotto anni) con la possibilità di frequentare un quinto anno per accedere all'Università.

Nell'istruzione professionale è stato ideato anche un percorso di apprendistato a partire dai quindici anni, solitamente protratto di un anno in più rispetto agli altri due itinerari, in modo da consentire di ottenere qualifiche e diplomi secondari superiori. I licei, articolati in otto indirizzi41, rispecchiano una scansione curricolare data da due bienni ed un anno finale, che conclude il secondo grado dopo il superamento dell'esame di Stato.

Il sistema dell'istruzione e della formazione professionale, di

41

Vedere art. 2, comma 2, lett. g): artistico, classico, economico, linguistico, musicale e coreutico, scientifico, tecnologico, liceo delle scienze umane.

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28

competenza regionale, è mirato a realizzare dei “profili educativi, culturali e professionali” (art. 2, c. 2, lettera h), certificati da titoli, validi sia sul territorio nazionale, che spendibili nell'Unione Europea42. L'urgenza prioritaria della legge riposa infatti su un nucleo comune di contenuti, abilità e competenze stabiliti dai “livelli essenziali di prestazioni” (LEP), e dagli “standard minimi formativi” (SMF, art. 7 c. 1, lettera c, in accordo con la legge 59/0423 e la legge 226/0524), fissati dallo Stato e comuni per tutte le istituzioni scolastiche. Le Regioni devono invece dettare le norme per gli istituti di istruzione e formazione professionale, note come “Indicazioni regionali per i piani di studio personalizzati”.43

Per attuare efficaci strategie di pari dignità tra licei e scuole di formazione professionale, le responsabilità regionali, in seguito alle frequenti elusioni degli anni passati, vengono vincolate, con l'istituto dell'alternanza scuola­lavoro, alla necessità di rendere disponibili risorse per il completamento degli anni di formazione, obbligatoria fino ai diciotto anni. A partire dai quindici anni l'allievo può, infatti,

42

se rispondenti ai livelli essenziali di prestazione, come specificato all'art. 7, c.1, lettera c.

43

Il D.lgs. n. 59, del 19 febbraio 2004, dà “Definizione delle norme generali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, a norma dell’articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53”. Contiene le disposizioni organizzative (orari, attività, sistemi di valutazione) per implementare l’organizzazione scolastica. Il D.lgs. n. 226, del 17 ottobre 2005, stabilisce: “Norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, a norma dell’articolo 2 della legge 28 marzo 2003, n. 53”, e ribadisce, ad esempio, il diritto dovere degli alunni italiani ad acquisire la padronanza di una lingua europea oltre all’italiano ed all’inglese, o a vedere riconosciute le esperienze formative all’estero.

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29

conseguire un titolo di qualifica sia seguendo un iter scolastico a tempo pieno, sia optando per l'alternanza scuola­lavoro, presso strutture regionali o centri debitamente accreditati che conformino i piani di studio ai livelli essenziali di formazione ed agli standard formativi. L'esame di Stato che chiude i cicli valuta le competenze acquisite dagli alunni nel corso degli studi, e costituisce anche la sede per la somministrazione delle prove predisposte dall'INVALSI44, che diventa uno strumento per il monitoraggio continuo sia degli apprendimenti che della qualità del servizio scolastico.

Quella elaborata dalla Moratti, si presenta come un'altra legge riforma che si rifà al modello personalista, che pone le istituzioni scolastiche al servizio della persona. Secondo tali direttrici di orientamento la specificità del sistema scolastico italiano si è dovuta armonizzare con gli obiettivi comuni ai sistemi di formazione europei45, al fine di rendere l'Europa un Paese attraente per studenti e ricercatori.

44

Il test INVALSI (o Prova Nazionale) è una prova scritta che ha lo scopo di valutare i livelli di apprendimento in italiano e matematica degli studenti, in modo da formulare i dati generali sull'efficienza del sistema formativo italiano e indicarne le eventuali criticità.

45

La comunicazione della Commissione europea ”Investire efficientemente nell’istruzione e nella formazione: un imperativo per l’Europa”, COM (2002) 779 del 10 gennaio 2003, sollecita la necessità di potenziare gli investimenti nella formazione e fissa tre obiettivi strategici: migliorare i sistemi di formazione in Europa; migliorare l’accesso ai sistemi di formazione ed istruzione; aprire i sistemi di istruzione agli altri popoli del pianeta. Questo impegno trova completamento in un piano attuativo, la Comunicazione su Istruzione & formazione 2010, COM (2003) 685 dell’11/11/2003, che scansiona gli obiettivi e le priorità per poter tracciare un bilancio provvisorio. La priorità di costruire un quadro di riferimento europeo pone come suo strumento fondante la sussidiarietà delle politiche comunitarie rispetto a quelle nazionali. Su questo tema interviene

(33)

30

La priorità che emergerebbe dai provvedimenti presi in esame riguarda l’eliminazione delle cause dell'insuccesso scolastico, individuate nell'omogeneizzazione delle formule culturali e relazionali che provocano rapido disinteresse ed abbandono. Per superare il problema, non bisogna quindi “insegnare a tutti le stesse cose nello stesso modo”46; potrebbe essere più efficace trovare linguaggi ed unità di significato adatte alla persona, al discente, badando però ad evitare che personalizzare l'insegnamento significhi ridurlo ad atomizzazione individualistica. La ratio di fondo della riforma Moratti è guidata da due logiche: la prima è quella del dover offrire a tutti gli alunni una gamma di conoscenze, abilità e competenze garantite e selezionate secondo un interesse generale; la seconda è quella di dover consentire a ciascun alunno di sviluppare la propria dimensione personale.

Proseguendo verso il completamento della riforma del secondo ciclo di istruzione, così come è stato riformulato dalla riforma Moratti,

l’importante Comunicazione di Berlino, come follow up del processo di Bologna, nel 2003. Essa fissa i criteri di assicurazione della qualità: definizione delle responsabilità delle strutture e delle istituzioni coinvolte; valutazione dei corsi di studio o istituzioni, che includa una valutazione interna, una revisione esterna, la partecipazione degli studenti e la pubblicazione dei risultati; un sistema di accreditamento, certificazione e procedure analoghe; partecipazione internazionale, cooperazione ed appartenenza a reti. L’ENQA, (European Network of Quality Assurance in Higher Education), già nella comunicazione di Praga del 2001, era stato individuato come Ente­Rete per elaborare una base condivisa di parametri e procedure per assicurare la qualità. Nel 2007 a Londra viene istituito un “Registro europeo delle agenzie per l’assicurazione della qualità” su base nazionale, autofinanziato dai Paesi dell’E4, con adesione volontaria, indipendente e trasparente. I vari istituti devono naturalmente essere approvati dalle autorità nazionali. Per un commento e una rassegna bibliografica si veda C. ZAGGIA, L’università delle competenze, cit. p. 99 ss.

46

A. E. BRIGUGLIO, Dal ministero Berlinguer alla riforma Gelmini: note cursorie per riflettere sugli itinerari della formazione e dell’istruzione in Italia, in Quaderni di intercultura, III, 2011, p. 12.

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31

e che aggiunge un altro importante tassello al compimento del percorso di deleghe delineato dalla l. n. 53/2003, si dirigono i decreti legislativi n. 76 e 77 del 2005, rispettivamente di definizione del diritto­dovere all'istruzione e alla formazione e di definizione delle norme generali relative all'alternanza scuola­lavoro.47

La vera riforma apportata dal sistema di deleghe è l'introduzione di un sistema di istruzione e di formazione professionale cui è idealmente attribuita pari dignità culturale e scientifica rispetto al sistema dei licei, dal momento che è previsto un nesso bidirezionale tra i due. In tale contesto, è evidente che sia l'alternanza scuola­lavoro, sia la disciplina della realizzazione del diritto­dovere dell'istruzione e formazione, assumono una significativa rilevanza nel contesto della riforma, in quanto intendono aumentare il complessivo livello di formazione della popolazione tramite un'espansione temporale e l'effettività del diritto alla formazione, nonché creare percorsi di scuola superiore con un livello di difficoltà inferiore rispetto al liceo, e quindi in grado di rivolgersi ad un'ampia fetta di popolazione in età scolare che attualmente si disperde.

Il primo dei due decreti, innova: la concezione del diritto­dovere; i destinatari; le modalità di attuazione; i soggetti responsabili.

47

A. POGGI, I decreti attuativi della riforma della scuola, in Giornale di diritto amministrativo, 2005, n. 9, p. 922­928.

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32

L’elemento di novità consiste nel fatto che l'obbligo scolastico sino a quindici anni è divenuto diritto alla formazione fino ai diciotto anni. Ciò che è significativo non è tanto l'aumento di tre anni, quanto la diversità di concetto: il diritto­dovere di istruzione è divenuto diritto­dovere di formazione fino al conseguimento di una qualifica professionale almeno triennale entro il diciottesimo anno di età. Per ciò che riguarda i destinatari dell’offerta, oltre ai cittadini italiani e comunitari, essa si intende a beneficio anche di minori stranieri presenti sul territorio dello Stato. A coloro che sono portatori di handicap, tale diritto­dovere è garantito “attraverso adeguati interventi” finalizzati a realizzare la loro “integrazione nel sistema educativo di istruzione e formazione”48. Sulle modalità di attuazione di tale diritto­dovere, in primo luogo vi è l'iscrizione alla prima classe della scuola primaria, fatta salva la possibilità di frequenza della scuola dell'infanzia, ancorché non obbligatoria e quindi incomputabili ai fini dell'assolvimento del diritto­dovere. I soggetti responsabili sono sempre i genitori o chi ne fa le veci, tenuti all'iscrizione nelle istituzioni deputate all'istruzione e alla formazione. Infine, per quanto concerne le risorse necessarie a far fronte all’attuazione dei diritto­ dovere, l’art. 6 al c. 1, prevede iscrizione e frequenza gratuita solo per

48

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33

i primi due anni degli istituti secondari superiori statali.

Il secondo decreto disciplina l'alternanza scuola­lavoro, di cui lo studente può usufruire a partire dai quindici anni di età, sia nel sistema dei licei che nel sistema di istruzione e formazione professionale, consentendo di svolgere l'intera formazione di quindici ai diciotto anni o parte di essa, purché sotto la responsabilità dell'istituzione scolastica o formativa, attraverso l'alternanza di periodi di studio e di lavoro.

All’interno dei due decreti ora citati viene disciplinata una serie di aspetti. Primariamente è dettata la finalità, come collegamento diretto tra formazione in aula ed esperienze pratiche, attraverso la progettazione di periodi di apprendimento in contesto lavorativo (che non costituiscono rapporto individuale di lavoro) sulla base di apposite convenzioni con le imprese, camere di commercio, oppure enti pubblici o privati. Secondariamente sono previste le norme aventi ad oggetto l'organizzazione dei percorsi, al fine di definire il contenuto delle convenzioni tra le istituzioni scolastiche ed i soggetti che accettano gli studenti in alternanza scuola­lavoro, ed altre disposizioni atte a istituire un tutor interno designato dall'istituzione scolastica, ed uno esterno, prescelto dai soggetti disponibili ad accettare studenti. Seguono poi le risorse, ancorché esigue, stanziate per finanziare le attività.

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34

È indubbio che entrambi questi provvedimenti si mostrino in linea con la direzione presa dalla riforma Moratti: creare una struttura solida e concretamente formativa di istruzione e formazione professionale, permettendo di giungere ai diciotto anni con una qualifica professionale, perseguendo il fine ultimo di evitare o quanto meno diminuire la dispersione scolastica fra i minori d'età. Permangono comunque degli aspetti che destano alcune perplessità, in particolare riguardo alle risorse impiegate49.

2.3 Cenni alla riforma Gelmini

È necessario citare, per le rilevanti novità apportate, la riforma Gelmini, un insieme di atti normativi susseguitesi a partire dall’anno 2008 fino al 2010. In riferimento alla scuola dell’obbligo, sono stati emanati atti normativi di riforma del sistema, consistenti rispettivamente nei: d. l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133, anche noto come “decreto Brunetta”; d. l. 1º settembre 2008, n. 137, convertito in seguito legge 30 ottobre 2008, n.

49

A. POGGI, I decreti attuativi della riforma della scuola, cit., che ha rilevato all'interno del d.lgs. 77/2005, la sovrapposizione di competenze regionali, in materia di alternanza e di regolazione ed organizzazione del mercato del lavoro. Una seconda questione, non meno spinosa, ha ad oggetto le risorse: entrambi i decreti sono definiti “a costo zero”, ovvero non incidenti sulla spesa pubblica. Dove il riferimento non è esplicito, vi sono norme che ne concretizzano l'indirizzo, come per l'art. 6 del D.lgs. 76/2005 che, per rendere effettivo il diritto­dovere, rende l'iscrizione gratuita alle istituzioni scolastiche e formative statali (ma non anche alle paritarie, nonostante la legge 62/2000) solo per i primi due anni, scaricando sulle Regioni il costo dell'attuazione della riforma per gli anni successivi.

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35

169; infine, il D.P.R. 15 marzo 2010, nn 87, 88, 89 recante “Regolamenti di riordino dei licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali” emanati dal Presidente della Repubblica in data 15 marzo 2010.

Dall’esame del decreto Brunetta emerge la riduzione degli indirizzi delle scuole superiori, dagli iniziali 714 fino a giungere ai ridimensionati 20 indirizzi.

Il secondo decreto, convertito nella legge n. 169/2008 dispone in materia di istruzione e università, inserendo tra le materie di studio dei primi due cicli della scuola dell’obbligo l’educazione civica50; è poi prevista la valutazione della condotta dello studente nelle scuole secondarie, mai abolite in precedenza, che torna a concorrere a definire il giudizio finale dell'alunno in sede di promozione. Qualora uno studente non raggiungesse i sei decimi, non potrà essere ammesso alla sezione successiva o al ciclo successivo. Ancora, all’art. 3 della stessa legge, si prevede come metodo di valutazione, l’utilizzo del voto in decimi51. All’art. 4 viene ristabilito l’insegnante unico per la

50

“1-bis. Al fine di promuovere la conoscenza del pluralismo istituzionale, definito dalla Carta costituzionale, sono altresì attivate iniziative per lo studio degli statuti regionali delle regioni ad autonomia ordinaria e speciale.”.

51

Art. 3: “Dall'anno scolastico 2008/2009, nella scuola primaria la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite sono effettuati mediante l'attribuzione di voti espressi in decimi e illustrate con giudizio analitico sul livello globale di maturazione raggiunto dall'alunno.

1­bis. Nella scuola primaria, i docenti, con decisione assunta all’unanimità, possono non ammettere l'alunno alla classe successiva solo in casi eccezionali e comprovati da specifica

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36

scuola primaria con un orario di ventiquattro ore settimanali.

Per concludere, il D.P.R. del 2010 n.87, oggi abrogato dal D.Lgs. 13 aprile 2017 n. 6152, disponeva il riordino degli istituti professionali53; il n. 88 per gli istituti tecnici54, il n. 89 per i licei55. L'intero comparto degli indirizzi, che prima del riordino era composto da oltre 800 corsi sperimentali, 200 progetti assistiti e tantissimi altri percorsi, opzioni e sperimentazioni autonome, diverse e distinte da scuola a scuola con quadri orari a scelta e indipendenti, di licei, istituti

motivazione. Dall'anno scolastico 2008/2009, nella scuola secondaria di primo grado la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite nonché la valutazione dell'esame finale del ciclo sono effettuate mediante l'attribuzione di voti numerici espressi in decimi. Nella scuola secondaria di primo grado, sono ammessi alla classe successiva, ovvero all'esame di Stato a conclusione del ciclo, gli studenti che hanno ottenuto, con decisione assunta a maggioranza dal consiglio di classe, un voto non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline.”

52

D.lgs. 13 aprile 2017, n. 61 “Revisione dei percorsi dell'istruzione professionale nel rispetto dell'articolo 117 della Costituzione, nonché raccordo con i percorsi dell'istruzione e formazione professionale, a norma dell'articolo 1, commi 180 e 181, lettera d), della legge 13 luglio 2015, n. 107”.

53

Gli istituti professionali erano suddivisi in cinque settori con 27 indirizzi, mentre con la riforma vengono suddivisi in due macrosettori con 6 indirizzi. Le ore scolastiche verranno ridotte da 36 a 32 per settimana. Rispetto agliistituti tecnici avranno però più autonomia, dal 25% al primo anno fino al 40% in quinta. Il quinquennio sarà strutturato in due bienni e un quinto anno singolo. Saranno disponibili meno ore di laboratorio e tirocini esterni. Riordino istruzione tecnica e professionale, MIUR, 28 marzo 2009 [In rete http://web.archive.org/web/20100127105148/http://www.pubblica.istruzione.it/ministro/comunicat i/2009_miur/280509.shtml], consultato in data 6 giugno 2017.

54

Per gli istituti tecnici, si passa da 10 settori e 39 indirizzi a 2 settori e 11 indirizzi. Le ore scolastiche passano a 32, in La scuola cambia, MIUR, 18 dicembre 2008 [In rete: http://web.archive.org/web/20100110112259/http://www.pubblica.istruzione.it/ministro/comunicati /2008_miur/181208.shtml], consultato in data 6 giugno 2017; Riforma dell’istruzione tecnica e professionale, in MIUR, 4 febbraio 2010 [In rete: http://web.archive.org/web/20100207085024/http://www.pubblica.istruzione.it/ministro/comunicat i/2010_miur/040210.shtml], consultato in data 6 giugno 2017.

55

Le opzioni sperimentali liceali vengono semplificate, riordinate e riportate in sei effettivi licei di ordinamento obbligatorio: Liceo delle scienze umane, liceo artistico, classico, scientifico, linguistico, musicale e coreutico. Nella maggior parte dei 6 licei riformati si studia una sola e unica lingua straniera (ovvero l'inglese) per tre ore la settimana dal primo al quinto anno, a eccezione nel liceo delle scienze umane (opzione economico-sociale) nel quale si studia anche una seconda lingua straniera (al posto del latino), e del liceo linguistico, nel quale si studiano per tutto il quinquennio ben 3 lingue straniere. Riforma dei licei, in MIUR, 4 febbraio 2010, [In rete: http://web.archive.org/web/20100207085128/http://www.pubblica.istruzione.it/ministro/comunicat i/2010_miur/040210bis.shtml], consultato in data 6 giugno 2017.

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tecnici e professionali, viene riordinato e semplificato a soli 20 indirizzi di ordinamento uguali, obbligatori e unitari per tutta l'Italia, eliminando definitivamente tutte le sperimentazioni, i progetti assistiti, le opzioni a scelta e i tirocini dei licei, istituti tecnici e professionali precedentemente esistenti.

La riforma Gelmini ha provocato un'ondata di manifestazioni di protesta sia da parte degli insegnanti, per quanto riguarda l'introduzione del maestro prevalente (ovvero del "maestro unico") nelle scuole primarie, sia da parte di molti studenti, che si opponevano al contenimento della spesa pubblica in materia di istruzione, fine principale della riforma.

Tra i vari cambiamenti56 a livello di scuola dell’obbligo, secondo alcuni57, il primo dato che colpisce, è il cospicuo intervento di riduzione delle ore di lezione, soprattutto se, come è giusto fare, si confronta la nuova proposta con i curricula delle sperimentazioni più diffuse. Al di là di ogni speculazione sulle ragioni di carattere economico che stanno dietro a questo indirizzo generale, va detto che l’argomento di merito a favore di un orario più snello è assolutamente convincente, soprattutto prendendo a riferimento gli altri Paesi.

56

Benché non si possa effettivamente parlare di “cambiamento”, in quanto il motto della riforma era identificato con “forward to the past” come rileva P. FERRANTINI, Licei Gelmini, in Il Mulino, V, 2009, p. 728.

57

(41)

38

Invero, “Non basta «tagliare» le ore, per ottenere risultati migliori; bisogna vedere dove lo si fa, come e con quale fine”58. Altre perplessità destano le scelte relative a materie quali le scienze, la geografia e la storia, i cui livelli di conoscenza tra gli studenti sono sempre più bassi, oppure altre materie che potrebbero avere un peso “eccessivo” rispetto all’indirizzo generale seguito da un certo istituto scolastico59.

2.4 La disciplina della “Buona Scuola” della L. n. 107/2015

Per giungere al termine di questo percorso evolutivo, è d'uopo richiamare la recente legge del 13 luglio 2015, n. 107, meglio nota come “La buona scuola”60, voluta dall'ex presidente del consiglio dei

58

P. FERRANTINI, Licei Gelmini, cit., p. 729.

59

Come ha rilevato P. FERRANTINI riguardo al latino, “Da una ricerca sul tema, condotta dalla associazione «Treellle» (AA.VV., Latino perché? Latino per chi? Confronti internazionali per un dibattito, Questioni aperte, I, 2008) in Europa e negli Stati Uniti, gli studenti che optano per lo studio del latino sono in media il 5% (Stati Uniti 1,3%, Regno Unito 2%, Germania fra il 5 e l’8%, Francia 19%). In Italia, lo studia obbligatoriamente il 41% dei giovani che frequentano le scuole superiori. […] Siamo proprio sicuri che lo studio del latino, a parte la sua presenza nel classico, non dovrebbe essere ripensato negli altri indirizzi, rendendolo opzionale? Un liceo che si chiama «scientifico», è normale che riservi alla lingua di Cicerone un rilievo quantitativo pari alla matematica, superiore alla biologia, alla chimica, alla fisica?”, Licei Gelmini, cit., pp. 731­732 .

60

I cui decreti attuativi sono stati emanati con decreti legislativi del 13 aprile 2017, nn. 59, 60, 61, 62, 63, 64, 65, 66, quali rispettivamente: 1) Norme per il riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria per renderlo funzionale alla valorizzazione sociale e culturale della professione; 2) Norme sulla promozione della cultura umanistica, sulla valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali e sul sostegno della creatività; 3) Revisione dei percorsi dell'istruzione professionale nel rispetto dell'articolo 117 della Costituzione, nonché raccordo con i percorsi dell'istruzione e formazione professionale; 4) Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato; 5) Effettività del diritto allo studio attraverso la definizione delle prestazioni, in relazione ai servizi alla persona, con particolare riferimento alle condizioni di disagio e ai servizi strumentali, nonché potenziamento della carta dello studente; 6) Disciplina della scuola italiana all'estero 7) Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione

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