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La partecipazione a distanza dell'imputato al dibattimento.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

TESI DI LAUREA

La partecipazione a distanza tra diritti della difesa e spinte

efficientiste

Relatore:

Prof.ssa Valentina Bonini

Candidato:

Walter Giacalone

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INDICE

PREMESSA

1) La partecipazione dell’imputato all’udienza ……… 5 2) Inquadramento generale della partecipazione a distanza………… 15 CAPITOLO 1 LA LEGGE 11/1998: INTRODUTTIVA DELL’ART. 146 BIS DISP. ATT. C.P.P

1) Le esigenze processuali e organizzative caratterizzanti la riforma del 1998 ………. 23 2) L’iter che porta all’introduzione della norma e alla sua stabilizzazione ………. 28 3) I presupposti soggettivi legittimanti la partecipazione a distanza ……… 37 4) Le condizioni oggettive per la partecipazione a distanza: a) le gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico; b) la particolare complessità del dibattimento e il ritardo nel suo svolgimento ….. 45 5) La condizione di imputato sottoposto al trattamento penitenziario ex art. 41 bis ord. penit ………. 59

CAPITOLO 2: MODALITA’ APPLICATIVE DELL’ISTITUTO E DUBBI DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE

1) Il controllo dell’organo giurisdizionale ……… 66 2) Le invalidità e i rimedi processuali ……… 75 3) L’utilizzazione del collegamento audiovisivo: le modalità del collegamento ………. 79 4) L’effettività dell’assistenza difensiva ……….. 88 5) La condotta processuale dell’imputato e glia atti eseguibili a distanza ……….. 94 6) L’ausiliario del giudice ……….. 97

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7) Il recupero della partecipazione diretta dell’imputato al dibattimento ……….. 102 8) I dubbi di legittimità costituzionale: la sentenza n. 342 del 1999 della Corte costituzionale ………. 107

CAPITOLO 3: LA PARTECIPAZIONE A DISTANZA DELL’IMPUTATO AL DIBATTIMENTO A SEGUITO DELLA RIFORMA ORLANDO( LEGGE 103/2017)

1) La nuova disciplina a seguito dell’intervento di riforma … 132 2) La parte della dottrina “favorevole” alla riforma……… 144 3) I dubbi di legittimità costituzionale sull’estensione dell' istituto ……….. 149

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PREMESSA

Sommario: 1) La partecipazione dell’imputato all’udienza; 2) Inquadramento generale della partecipazione a distanza

1) La partecipazione dell’imputato all’udienza

Il punto di partenza per una corretta analisi della disciplina è costituito dalla partecipazione dell’imputato all’udienza secondo quelli che sono i tradizionali caratteri del dibattimento. “Secondo Huizinga, il tribunale materializza un témenos , un luogo sacro isolato, tagliato fuori, per così dire, dal mondo delle cose consuete, un cerchio magico e l'affermazione è autorevolmente condivisa da chi osserva che i processi implicano tempo e spazi separati, ossia 'sacri' come nei misteri delle religioni ellenistiche, irrompendovi l'ambiente profano li sfigura. Ed è vero che quanto avviene nel pubblico dibattimento riprende, nella nostra esperienza storica, i caratteri dell'unità di tempo e di luogo propri della tragedia greca sicché tutto ciò che devia da quel modello, la cui forza è la semplicità, la naturalezza, pare mettersi in contrasto con un archetipo in quanto tale immutabile”1.

La fisicità dei protagonisti del processo e quindi la loro presenza personale in aula diventa strumentale alla realizzazione del contraddittorio e al rispetto delle garanzie difensive. Il diritto di difesa ha una struttura dualistica nel processo penale. La difesa va considerata sotto un duplice punto di vista: per un verso, è tecnica, essendo esercitata dal difensore al fine di garantire il corretto svolgimento del processo; per altro verso è personale, praticata dall’imputato per far valere i suoi interessi influendo sulla

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formazione del convincimento del giudice. Innanzitutto, nel cosiddetto nucleo ideale del diritto di autodifesa rientra senz'altro, sul versante dell'autodifesa attiva, il diritto dell'imputato di partecipare al dibattimento, da intendersi come presupposto imprescindibile per la realizzazione del contraddittorio, al di là del contributo essenziale che, su questo piano, proviene dal difensore tecnico. A questo proposito, già sotto il vigore del codice abrogato, la Corte costituzionale ha posto in rilievo che l'autodifesa è «un diritto primario dell'imputato, immanente a tutto l'iter processuale, dalla fase istruttoria a quella del giudizio, sino al momento di chiusura del dibattimento» (sentenza n. 99 del 1975; v. sentenza n. 188 del 1980; ordinanza n. 98 del 1983) ed ha affermato che l'autodifesa, nell'ambito del principio del contraddittorio, «ha riguardo ad un complesso di attività mediante le quali l'imputato, come protagonista del processo penale, ha la facoltà di eccitarne lo sviluppo dialettico contribuendo all'acquisizione delle prove ed al controllo della legalità del suo svolgimento» (sentenza n. 186 del 1973; sentenza n. 213 del 1974). Con la conseguenza che «soltanto la volontaria rinuncia dell'imputato a presenziare al dibattimento, in quanto espressione di una sua libera ed incoercibile scelta difensiva, può giustificare, sul piano costituzionale, la limitazione del contraddittorio» (sent. n. 9 del 1982)2.

Significative sono anche le pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo sul diritto dell’imputato di prendere parte alla procedura di cui è protagonista ed in primo luogo all’udienza. La Corte, infatti, si dimostra estremamente sensibile al riconoscimento di tale diritto che, sebbene non esplicitamente richiamato nel testo pattizio, viene ricondotto alle finalità e all’oggetto dell’art 6 CEDU. Diversamente

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M. BARGIS, Udienze in teleconferenza con nuove cautele per i sottoposti all’art. 41 bis, in Dir. pen. Proc., 1998, pag.165

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un esplicito richiamo è contenuto nell’art.14, par 3, lett. d), del patto internazionale sui diritti civili e politici che sancisce il diritto di ogni individuo accusato di un reato “ad essere presente a processo”. Importante è anche fare un cenno alla Direttiva (UE) 2016/343 del 9 marzo 2016 che ribadisce per gli Stati membri l’obbligo di garantire a indagati e imputati “il diritto di presenziare al proprio processo”(art. 8 comma1) che è espressione massima del principio dell’equo processo.3 Ad ogni modo, in più occasioni, i giudici di Strasburgo sottolineano il diritto dell’imputato non solo di essere presente fisicamente in aula, fatta salva una sua eventuale rinuncia espressa in modo chiaro e inequivoco4, ma anche di sentire e di seguire adeguatamente il dibattimento così da poter prendere parte alle decisioni del proprio avvocato sulla conduzione del caso e di conoscere personalmente gli elementi probatori che lo incriminano5.

Le pronunce di Strasburgo sottolineano l’imprescindibilità della presenza dell’imputato al dibattimento, ma non sono caratterizzate da intenti definitori riguardanti una precisazione sulla distinzione ontologica tra il concetto di partecipazione e quello di presenza. L’obiettivo ben più pragmatico è quello di censurare i sistemi

3 L.CAMALDO, Presunzione d’innocenza e diritto di partecipare al giudizio: due

garanzie fondamentali del giusto processo in un'unica direttiva, in www. Penalecontemporaneo.it, 23 marzo 2016, pag 3, in cui si afferma comunque che “Pur riconoscendo la natura essenziale di tale diritto, la Direttiva ne sancisce una portata non assoluta. In alcune situazioni, infatti, si prevede la possibilità che un procedimento si concluda con una pronuncia di colpevolezza o innocenza dell'imputato, anche se quest'ultimo non ha partecipato al processo.Affinché una tale eventualità si verifichi, è tuttavia necessario il rispetto di precise condizioni, consistenti nella circostanza che l'indagato o l'imputato sia stato informato, in tempo utile, del processo e delle conseguenze della mancata comparizione, nonché lo stesso sia stato rappresentato da un difensore di fiducia oppure nominato d'ufficio. Una volta che tali condizioni siano rispettate, la decisione adottata potrà essere eseguita nei confronti dell'indagato o imputato giudicato in

absentia (art. 8, par. 2 e 3).”

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Corte eur., 12 febbraio 1985,Colazza v. Italia, in Giust. pen., 1985 I, pag. 114

5

Corte eur., 23 febbraio 1994, Stanford v. Regno Unito, in Riv. Intern. dir. uomo, 1994, pag. 86

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nazionali, per il ricorso ai procedimenti in absentia con iniqui criteri di garanzia sui meccanismi di dichiarazione della contumacia e sulle procedure di ricerca degli irreperibili. In merito alla comparazione dei due termini (partecipazione e presenza), il dato pacifico è che l’autodifesa, come contributo personale dell’imputato alla formazione delle determinazioni processuali, “si risolve in una partecipazione al giudizio su sé stesso”. Se ciò è vero, la partecipazione non può essere ridotta a mera presenza dell’imputato a processo. Tale precisazione ha una sua rilevanza in considerazione della profonda disparità di significati che fanno capo ai due termini, che solo apparentemente sono sinonimi; questi però non possono essere confusi perché l’uno ha valenza decisiva nella sfera dei diritti difensivi dell’imputato, mentre l’altro ne ha in maniera molto attenuata. Il termine “presenza” deriva dal latino prae-sum( sono presso) ed ha un significato materiale: si è presenti nell’aula quando ci si trova fisicamente nell’aula d’udienza. Il termine partecipazione deriva dal latino partem capacere( prendere parte) e va inteso in senso figurativo: l’imputato partecipa al processo se interviene attivamente a tutela della propria posizione difensiva6.

Bisogna sottolineare che il propendere per l’uno o per l’altro termine non deriva altro che dal modo di intendere la struttura e l’essenza del processo penale, da come cioè il sistema permette al contraddittorio di esplicarsi. Nel 1930, l’imputato era posto nella posizione di soggetto passivo del processo e non era capace di penetrare nelle determinazioni processuali, il giudizio finale rimaneva per così dire opera alienata dell’organo giurisdizionale. La

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C.CONTI, Partecipazione e presenza dell’imputato nel processo penale: questione terminologica o interessi contrapposti da bilanciare, in Dir. pen. pro., 2000, pag. 80

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partecipazione personale si riduceva ad una mera presenza formale, che comportava quindi solo una mera presenza fisica, in cui all’imputato era consentito un generico contatto con gli atti del processo, non potendo contribuire direttamente alla formazione di quegli stessi atti. Sostanzialmente, quindi, non si poteva apprezzare il significato ontologico della partecipazione. Invece, in un processo tendenzialmente ispirato ai principi e alle regole del rito accusatorio non ci si può accontentare di una mera presenza formale, visto che è dall’apporto delle conoscenze provenienti dalle due parti contendenti che il giudice trae il sapere processuale necessario al giudizio finale7. Il giudizio finale deve considerarsi quindi la sintesi degli apporti dei soggetti interessati, non solo del pubblico ministero e del difensore, ma anche da chi è chiamato a difendersi dagli addebiti in quanto persona che come tutte le altre può contribuire ad informare il giudice con le sue conoscenze. Sono gli stessi principi e criteri cui il codice del 1988 si è ispirato a ricondurre il concetto di partecipazione nel suo alveo naturale. Quando la legge delega n.81 del 1987 parla di “partecipazione dell’accusa e della difesa su basi di parità in ogni stato e grado del procedimento”, chiaramente

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Significative le osservazioni di G.SABATINI, Principi costituzionali del processo penale, Napoli, 1976, pag.74 “ Il processo penale attiene all’essere non all’avere. Esso, perciò, pretende la più diretta e incisiva applicazione del principio

costituzionale della partecipazione. Abbiamo premesso che partecipare significa in definitiva estrinsecare la dignità della persona umana; quindi nel processo penale il problema si concentra nell’ individuare le situazioni e i mezzi più idonei per l’esplicazione della personalità dei soggetti privati direttamente implicati nell’esercizio della funzione della giustizia. Per meglio percepire il fenomeno deve distinguersi la cooperazione o collaborazione dalla vera e propria partecipazione. L’attività che il cittadino, in determinate situazioni è chiamato a prestare per esigenze produttive del processo e l’attività che il cittadino, comunque implicato nell’esercizio della funzione della giustizia, apporta allo scopo di introdurre nel processo dati ed elementi destinati all’altrui elaborazione sono attività di collaborazione. L’attività che i soggetti abilitati pongono in essere allo scopo di penetrare nelle determinazioni processuali costituisce la vera e propria partecipazione perché soltanto allora il giudizio finale non sarà opera alienata dell’organo giurisdizionale ma costituirà veramente la sintesi delle partecipazioni dei soggetti interessati”.

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recupera il significato ontologico del termine riferendosi a quell’idea del contraddittorio come scontro codificato tra le parti finalizzato a convincere il giudice. Lo stesso art. 14, par 3, lett. d) del Patto internazionale dei diritti civili e politici garantisce alla persona accusata “di essere presente al processo e di difendersi personalmente o mediante difensore di sua scelta”, sicuramente attribuisce alla presenza un valore teleologico basato sull’esigenza di consentirgli un’adeguata partecipazione alle attività processuali, assicurandogli di non ricoprire una posizione passiva con riferimento all’accertamento dei fatti.

L’attuale sistema prende in considerazione una partecipazione attiva dell’imputato alle dinamiche giudiziarie e non la sua mera presenza fisica, che tutt’al più può rivestire un ruolo strumentale rispetto alla prima “avendo la funzione di far si che egli si renda conto che lo si sta processando in relazione ad una determinata azione da lui posta in essere e che egli possa spiegare utilmente le sue difese, seguendo lo svolgimento del dibattimento anche attraverso l’indicazione del suo difensore delle eventuali incongruenze dell’istruttoria dibattimentale man mano che essa si svolge”8. Molteplici sono le norme del codice che, nell’attribuire in via esclusiva all’imputato la titolarità di alcuni atti processuali, gli consentono di concorrere personalmente all’esercizio del contraddittorio. Innanzitutto la sua partecipazione si esplica attraverso l’interrogatorio (art.64 c.p.p.) mezzo di difesa per eccellenza, sia esso effettuabile nel corso delle indagini preliminari (art. 364 e art 370, comma 1, c.p.p.), nell’udienza di convalida del fermo e dell’arresto( art.391, comma 3, c.p.p.) o nell’udienza preliminare(art.421,comma 2 e 422,comma 3, c.p.p). Ma la

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O.D.GATTOLA, La presenza dell’imputato al processo garantisce un effettivo diritto di difesa, in Guida.dir ,1999, n.47, pag.84

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partecipazione si esercita chiedendo anche un incidente probatorio (art.392,comma 1,c.p.p.), e in questo contesto formulando deduzioni scritte (art.396. c.p.p.), assistendo agli esami e, con il permesso del giudice, assistendo ad ogni altro incidente (art.401, comma 3, c.p.p.). Sempre nell’ottica di un’autodifesa l’imputato può, anche, consultare il fascicolo del dibattimento in seguito alla pronuncia del decreto che dispone il giudizio (art 466 c.p.p.), sottoporsi ad esame ( art.503 c.p.p.), avere l’ultima parola al termine della discussione finale ( art.523, comma 5, c.p.p.) e, naturalmente, impugnare (art.571. c.p.p.)9. Importante è anche il riferimento all’art.494 c.p.p. Con esso il legislatore affida all’imputato la possibilità di rendere le dichiarazioni che ritiene opportuno, purchè si riferiscano all’oggetto dell’imputazione e non intralcino l’istruzione dibattimentale.

Tutto ciò costituisce un’esplicazione del diritto ad autodifendersi, offrendo un contributo chiarificatore in maniera libera e spontanea, senza intromissioni dovute al controesame delle altre parti10. Come ha precisato anche la giurisprudenza in tema di dichiarazioni difensive dell’imputato, non grava sul giudice di merito alcun obbligo di acquisizione di dichiarazioni eventualmente rese dallo stesso imputato in altro processo connesso, in quanto egli ben avrebbe potuto direttamente difendersi innanzi al predetto giudice. Questo perché le dichiarazioni difensive dell’imputato sono rimesse al potere discrezionale dello stesso e perché egli in quanto titolare dello ius dicendi et postulandi, può articolare come meglio crede la sua difesa ( sottoponendosi ad esame e/o rilasciando dichiarazioni

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D. CURTOTTI NAPPI, I collegamenti audiovisivi nel processo penale, Milano 2006, pag.364

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spontanee in qualsiasi momento)11. La previsione normativa in questione si colloca in un momento intermedio tra l’esposizione introduttiva e la decisione relativa all’ammissione delle prove. Le dichiarazioni spontanee assumono, quindi, una rilevanza sia per la corretta ricostruzione del fatto, sia ai fini dell’ammissione del materiale probatorio che, in qualche modo, potrebbero rafforzare le dichiarazioni stesse o rendere utili o inutili le prove dedotte dal pubblico ministero.

Ad ogni modo, si deve ricordare che una valenza univoca del diritto di difesa non è mai stata accolta dal nostro legislatore, orientato verso una struttura dualistica che si combini, in un insieme rigorosamente armonizzato di difesa materiale e difesa tecnica. Il nostro sistema non ammette quindi l’autodifesa esclusiva, ma riconosce l’ineluttabilità della presenza del difensore accanto all’imputato, così da garantire la concreta ed efficace tutela dei suoi diritti. Il difensore è un soggetto privato che interviene nel processo senza che possa perseguire un proprio interesse e senza potestà dispositive in ordine al contenuto formale del processo, ma è dotato di conoscenze tecnico giuridiche tali da permettergli di compiere attività che sono espressione del diritto di difesa. Egli è munito delle qualità e dei titoli necessari per offrire un’assistenza difensiva esperta e serena. Il difensore svolge quindi un ruolo complementare a quello dell’imputato, il quale pur esercitando direttamente e personalmente la propria difesa, ma normalmente sfornito di cognizioni tecniche e coinvolto emotivamente nel processo, non potrebbe, senza un’adeguata assistenza tecnica, validamente attivarsi per tutelare i propri interessi. Pertanto, l’importanza del ruolo del difensore si coglie nell’opera di assistenza e

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rappresentanza offerta all’imputato; assistenza che è garanzia di parità dialettica tra accusa e difesa, nel senso della reciprocità ed idoneità dell’una a controbilanciare l’altra in funzione delle opposte prospettive, così da assicurare il contraddittorio e il rispetto delle garanzie a questo funzionali. Sostanzialmente, la funzione del difensore acquista ancora più spessore e dignità proprio nella misura in cui quest’ultimo è ancora più vicino alla parte che rappresenta e assiste con un ruolo partecipativo e non solamente assistenziale12. La difesa, quindi, oltre a integrare un diritto della parte privata, integra altresì una condizione di regolarità del processo. Da qui la suggestione che evoca una doppia anima della difesa tecnica quale elemento irrinunciabile del processo penale: da un lato, il suo essere diritto primario di rango costituzionale, proclamato inviolabile in ogni stato e grado del procedimento dall’art. 24 Cost., e, dall’altro, il suo essere funzione di garanzia della correttezza dell’accertamento. Che la difesa sia anzitutto «funzione dialetticamente contrapposta all’accusa» esercitata dall’imputato e dal suo difensore di fronte a un giudice imparziale è, come noto, insegnamento della più attenta dottrina che afferma come essa trovi la sua più alta affermazione nel metodo dialettico, quindi, nel contraddittorio.

Il modello accusatorio diviene, quindi, il terreno fertile nel quale possono coesistere entrambi gli aspetti anzidetti che finiscono per costituire il fondamento della difesa penale intesa appunto come funzione, attività. Il modello accusatorio da noi adottato e consolidato a livello costituzionale con la riscrittura dell’art. 111 Cost. è un modello-garanzia per ogni grado di merito del processo, ma anche per ogni tipo di procedimento, che sia della cognizione o

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della esecuzione, della prevenzione o ancora della sorveglianza13. Prima che i sistemi di comunicazione audiovisiva facessero ingresso nel processo penale, non ci si domandava se il presupposto indefettibile per tale corretta estrinsecazione dell’oralità dell’immediatezza e del contraddittorio fosse rappresentato dalla presenza in aula delle parti, ovvero dal contatto diretto con gli elementi di prova. L’interesse della dottrina della giurisprudenza e dello stesso legislatore erano orientati verso una ricerca più approfondita, intenta a cogliere il principio logico insito in tali caratteri per contrapporli a quelli di matrice inquisitoria che avevano alimentato i processi sommari. L’attenzione degli studiosi per le regole del procedimento probatorio si concentrava sulla loro valenza polemica e programmatica, sulla loro essenza accusatoria. Il modo migliore per perseguire questa nuova ideologia del processo penale lo si è trovato nell’oralità, nell’immediatezza e nel contraddittorio che in quanto elementi costitutivi della disputatio dialettica tra le parti, rappresentano la soluzione più idonea per costruire un modello processuale adeguato ai principi di civiltà giuridica e al rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo.

Ecco che in un processo penale come il nostro, che si basa sul modello accusatorio, la partecipazione dell’imputato in udienza permette la corretta estrinsecazione dell’oralità, dell’immediatezza e del contraddittorio. Le prime due concernono, dal punto di vita conoscitivo, il rapporto diretto tra il giudice e la fonte di prova ,si consente alle parti di percepire in maniera attuale e diretta i dati emergenti dal processo quanto di avere personalmente un rapporto sia con il giudice sia reciprocamente le une con le altre. Inoltre, si garantisce che il convincimento del giudice sulla ricostruzione di un

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fatto passato si formi attraverso un’acquisizione probatoria avvenuta al suo cospetto, senza l’operare di intermediari riguardo alla rappresentazione che dell’avvenimento oggetto del processo venga offerta dalle fonti di prova e dalla stesse parti.

Il terzo afferisce al rapporto diretto tra le parti e la prova nel momento della sua formazione. Il principio del contraddittorio costituisce una peculiare connotazione della giurisdizione penale in quanto garantisce il pieno esercizio del diritto alla prova, e quindi alla difesa, attuando quella dialettica processuale, propria di un sistema penale di stampo accusatorio. Il nuovo testo dell’art. 111 Cost. stabilisce, infatti, che «il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova» e assume “valenza di tutore del diritto partecipativo dell'imputato al processo nel momento formativo della prova”14.

2) Inquadramento generale della partecipazione a distanza

Attraverso uno sguardo retrospettivo delle varie disposizioni in tema di videoconferenza, si può iniziare l’indagine andando a ritroso nel tempo, andando a verificare come il legislatore italiano abbia cercato di utilizzare le strumentazioni audiovisive per finalità non concernenti l’aspetto documentativo, ma riguardanti invece la possibilità di pervenire ad una trasformazione delle coordinate spaziali, mediante una parziale eliminazione degli aspetti di “fisicità”, ad opera di strumentazioni collegate in remoto, con

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N.GALANTINI, Giusto processo e garanzia costituzionale del contraddittorio nella formazione delle prove, in Penalecontemporaneo.it, 7 novembre 2011, pag.3

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conseguente “smaterializzazione”, più o meno estesa, del processo.15

La partecipazione al dibattimento a distanza si sostanzia, infatti, nell’attivazione di un collegamento audiovisivo, tra l’aula di udienza e un diverso luogo in cui si trova l’imputato, le cui caratteristiche tecniche debbono essere tali da assicurare la contestuale e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi collegati, nonché di quelle che siano collegate da eventuali ulteriori dislocazioni, dove ad esempio, si possono trovare altri imputati; con ulteriore esigenza che da ognuno dei soggetti così collegati, venga udito quanto viene detto in tutti gli altri luoghi. Con tale forma di partecipazione, senza alcun dubbio, si smaterializza sia la fisicità delle parti, in quanto l’imputato risulta presente nell’aula solo in immagine e voce e allo stesso modo appaiono presenti gli altri soggetti all’imputato, sia la fisicità del luogo in cui si svolge il processo, che viene ad essere dislocato in due (o più) realtà fisiche diverse, unite solo dalla tecnologia telematica, tanto da dover essere qualificate ex lege come un medesimo luogo16. Un modello di partecipazione al dibattimento che utilizza quindi le risorse offerte dalla moderna tecnologia, tanto che potrebbe parlarsi di partecipazione via etere o via cavo dell’imputato.

Nell’originario modello codicistico, l’archetipo dibattimentale si ricollegava specificatamente all’idea di un’unità di luogo della celebrazione del processo, nel senso che l’aula dibattimentale doveva essere la medesima per il giudice e per tutti i soggetti processuali, non sembrava, quindi, esserci spazio per l’uso di

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P. RIVELLO, La disciplina della partecipazione a distanza al procedimento penale alla luce delle modifiche apportate dalla riforma Orlando, in

Penalecontemporaneo.it, 31 luglio 2017, pag. 131

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G.PIZIALI, Le disposizioni sulla partecipazione al procedimento a distanza, in AA.Vv, Il processo penale tra politiche della sicurezza e nuovi garantismi, a cura di G. Di Chiara, Torino 2003, pag.77

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strumenti tecnologici17. Bisogna precisare però che l’introduzione della tecnologia nel processo non ha assoluto carattere di eccezionalità . Già nel 1968 la dottrina più accreditata intravedeva le difficoltà nelle quali il processo sarebbe incorso con l’avvento delle nuove tecnologie. Gaetano Foschini scriveva “il futuro si presenta dominato dalla tecnologia e l’epoca tecnologica è destinata ad alterare i caratteri spaziali e temporali tipici del processo penale, ed in particolare del dibattimento”.

Si apre quindi una sfida di non poco conto per il legislatore, impegnato a mediare tra i benefici prodotti dallo sviluppo tecnologico e i rischi che ne possono scaturire in termini di compatibilità con i valori costituzionali inerenti al processo penale18.

In materia di videoconferenze il punto di partenza è, senza dubbio, rappresentato all’art.7 del d.l. 8giugno 1992 n.306 convertito con modificazione dalla legge 7agosto 1992 n.356. Esso è stato emanato in epoca immediatamente successiva alla strage di Capaci e con un’innovazione limitata all’esame delle persone collaboranti con la giustizia finalizzato a tutelare la sicurezza dei soggetti ammessi ai programmi di protezione; l’uso della tecnologia appariva ,dunque, finalizzato ad evitare tentativi di condizionamento sullo svolgimento delle attività processuali. Al contempo emergeva la consapevolezza della necessità che esso non provocasse effetti dirompenti, volti a snaturare gli ordinari assetti del processo penale, e che gli aspetti “virtuali” si avvicinassero quanto più possibile a quelli “reali”, o quantomeno non determinassero una radicale deprivazione delle

17 S.SIGNORATO, L’ampliamento dei casi di partecipazione a distanza

dell’imputato tra logiche efficientistiche e menomazioni difensive, in

www.lalegislazionepenale.eu, 20 novembre 2017, pag.1

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D.CURTOTTI NAPPI, i Collegamenti audiovisivi nel processo penale,cit,p.13 e p.15

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connotazioni tipiche dello svolgimento procedimentale, con conseguente rischio di compromissione di taluni diritti fondamentali. Ben presto cominciò ad “intensificarsi la riflessione sull’eventualità di non limitare lo svolgimento dell’attività dibattimentale a distanza all’esame dei soggetti ammessi a programmi di protezione estendendola pure alla partecipazione degli imputati di taluni gravi reati, tra i quali, in primis, quelli di stampo mafioso.” Come vedremo, numerose erano le ragioni a sostegno di un simile orientamento. Anzitutto, si temeva che le traduzioni degli imputati per presenziare all’udienza finissero per rappresentare uno strumento utilizzato dai medesimi per mantenere rafforzare i contatti con le associazioni mafiose. Inoltre simili procedimenti si caratterizzavano spesso per l’elevato numero di imputati, i quali di frequente risultavano imputati in più procedimenti. Spesso nella prassi applicativa, accadeva che rispetto a tali procedimenti per la medesima data venissero fissati dibattimenti diversi ma relativi agli stessi imputati. Tale circostanza aveva finito per essere sfruttata a fini dilatori, nel senso che la richiesta di partecipare ai vari dibattimenti da parte degli imputati aveva il solo fine di allungare i tempi del processo, con l’obiettivo di pervenire a scarcerazione per superamento dei termini di durata massima o prescrizione del reato.19

Alla luce di ciò venne poi emanata la legge del 1998 n.11,che sarà il punto di riferimento per l’analisi di tale disciplina e in un lavoro di approfondimento dei suoi contenuti, è stato evidenziato come i magistrati maggiormente impegnati nel contrasto alla criminalità mafiosa avessero da tempo sollecitato un’implementazione del

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S.SIGNORATO, L’ampliamento dei casi di partecipazione a distanza

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ricorso ai collegamenti telematici formulando il progetto di quello che sarebbe poi divenuto l’art.146-bis disp. att. c.p.p.

Militavano in tal senso le analisi di diritto comparato ,volte ad evidenziare come numerosi Paesi, tra cui gli Usa, da tempo avessero fatto ricorso al collegamento audiovisivo, non solo per tutelare i collaboratori di giustizia, ma anche ad esempio, per la celebrazione dei procedimenti riguardanti episodi di violenza sessuale20; tali indicazioni vennero prese in considerazione dal legislatore, mediante l’adozione di una normativa ,che accanto al “telesame” delle persone ammesse a programmi o misure di protezione disciplinato dall’art.147-bis disp.att. c.p.p., predisponesse la teleconferenza delineata dall’art. 146bis disp.att c.p.p.. Bisogna precisare comunque che l’obiettivo di ampliare la disciplina contenuta nel testo del art 147bis disp.att. c.p.p, come introdotto nel 1992, risaliva alla XI Legislatura con la presentazione del d.d.l “Conso-Mancino” approvato dal Senato nella seduta del 1 dicembre 1993 ma non dalla Camera per l’anticipata fine della legislatura e dalla presentazione nella XII Legislatura dall’allora Ministro ad interim di grazia e giustizia Dini, anch’esso destinato a cadere per la fine anticipata della legislatura, e considerato sostanzialmente omologo al d.d.l n 1845 presentato dall’allora Ministro di grazia e giustizia Flick adottato come testo base per l’esame parlamentare poi conclusosi con l’approvazione della l.11/199821.

Come vedremo emergeva sin da subito la consapevolezza della necessità di coniugare il rispetto dei principi garantisti con le esigenze di tutela insite nella celebrazione dei processi con imputati detenuti particolarmente pericolosi, nel contesto di una strategia

20 G. NEPPI MODONA, I collaboratori della giustizia. Le garanzie per gli accusati e

la protezione degli accusatori nel sistema processuale nord-americano, in Quest. giust., 1988, pag.163

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fortemente ispirata, o meglio condizionata, dalle logiche del doppio binario. Tant’è vero che i timori concernenti l’eventuale limitazione delle garanzie fondamentali era stato avvertito dallo stesso legislatore che inizialmente aveva attribuito a questa disciplina la connotazione di normativa a tempo, ancorata anche alle sorti dell’art.41-bis ord. penit. Sono stati fin da subito sollevati dubbi di legittimità costituzionale per violazione del diritto di difesa, e in particolar modo della difesa materiale ex art.24 comma 2 Cost. , questione poi giunta l’anno successivo all’attenzione della Corte costituzionale che, con la sentenza 22 luglio 1999 , n. 342, ha però affermato la legittimità della norma, decisione che è stata condivisa nelle sue conclusioni da gran parte della dottrina ma non apprezzata sul piano delle premesse e delle argomentazioni sulle quali si basa.22 La previsione dell’art.146-bis disp. att. c.p.p. regola la partecipazione al dibattimento a distanza ed è stata, quindi, introdotta dalla legge 7 gennaio 1998 ,n.11, essa è stata relegata dal legislatore nella normativa d’attuazione del c.p.p, anche se la scelta di operare a mezzo di innesti da effettuarsi in un contesto normativo distinto da quello codicistico, che sembra giustificarsi in ragione del contenimento cronologico che era stato disposto dall’art.6 della legge, non ridimensiona la portata dell’innovazione che va ben al di là del conseguimento di quei soli obiettivi di efficienza proclamati in sede di iniziativa parlamentare da realizzarsi attraverso nuove forme di partecipazione al procedimento penale. 23La nuova realtà della dinamica processuale a seguito della riforma del 1998 è data dal fatto che si introduce una forma di partecipazione dell’imputato al

22 S.LORUSSO, Dibattimento a distanza vs. “autodifesa”?, in

www.Penalecontemporaneo.it, 17 maggio 2017, pag. 1

23

M.FERRAIOLI, L’efficienza dell’apparato giudiziario come obiettivo primario della riforma, in Nuove strategie processuali per imputati pericolosi e imputati collaboranti, a cura di A.A Dalia e G. Della Monica, Milano 1998,pag.1

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dibattimento alternativa a quella diretta, vale a dire a quella che si concreta nella presenza fisica dell’imputato nell’aula d’udienza24. L’evoluzione di questa normativa è stata comunque nel segno di un costante incremento della sua rilevanza, che si evidenzia con l’ampliamento dell’ambito di operatività, in quanto all’originario riferimento ai delitti indicati nell’art. 51,comma 3-bis c.p.p. venne poi aggiunto, ad opera dell’art 8,comma 1, lett a) del d.l 18 ottobre 2001,n.374, convertito con modificazioni dalla legga 15 dicembre 2001,n.438,la menzione dei delitti di cui all’art.407,comma 2,lett a) n.4 c.p.p.

Quasi contestualmente, in virtù dell’art. 16, comma 1, l. 5 ottobre 2001, n. 367, il legislatore introdusse l’art. 205-ter disp. att. (Partecipazione al processo a distanza per l’imputato detenuto all’estero). L’ultima tappa di questo iter era rappresentata dalla modifica dell’art. 146-bis disp. att., per effetto della sostituzione del suo comma 1-bis ad opera dell’art. 2, comma 1, lett. b-bis) del d.l. 22 dicembre 2011, n. 211, conv. con modificazioni dalla l. 17 febbraio 2012 n. 9.

In tal modo il meccanismo della partecipazione a distanza al dibattimento è stato esteso «ove possibile» anche all’ipotesi in cui debba essere ascoltato, in qualità di testimone, un soggetto «a qualunque titolo in stato di detenzione presso un istituto penitenziario».

Detta previsione, peraltro, risponde ad un’impostazione radicalmente diversa rispetto a quella che precedentemente sorreggeva l’istituto in esame.

Questa differente logica ispiratrice è stata invece ripresa e fatta propria dalla riforma Orlando (legge del 23 giugno 2017, n.103),

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L.KALB, La partecipazione al dibattimento a distanza, In AA.VV, Nuove strategie processuali per imputati pericolosi e imputati collaboranti,cit., pag.19

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determinando un “ribaltamento” dei precedenti assetti. Infatti, attraverso un’analisi incentrata su un approfondimento dei contenuti della riforma in relazione ai collegamenti audiovisivi, l’art 146-bis disp. att c.p.p. viene ridisegnato secondo coordinate di fondo assai differenti rispetto a quelle che lo caratterizzavano precedentemente. Infatti, una delle più significative differenze rispetto all’originario dato normativo è che la partecipazione a distanza, da eccezione legata alla sussistenza di determinati parametri, diviene la regola per tutti i processi cui è sottoposta la persona che sia detenuta per una delle fattispecie di reato elencate negli artt.51 comma 3-bis e 407 comma 2 lett.a) c.p.p, venendosi a creare un automatismo applicativo in presenza di uno status detentionis legato a tali fattispecie.25

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P.RIVELLO, La disciplina della partecipazione a distanza al procedimento penale alla luce delle modifiche apportate dalla riforma Orlando, cit. pag.138

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CAPITOLO 1 LA LEGGE 11/1998: INTRODUTTIVA DELL’ART. 146 BIS DISP. ATT. C.P.P

Sommario:1) Le esigenze processuali e organizzative caratterizzanti la riforma del 1998;2)L’iter che porta all’introduzione della norma e alla sua stabilizzazione; 3)I presupposti soggettivi legittimanti la partecipazione a distanza;4) Le condizioni oggettive per la partecipazione a distanza: a) le gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico; b) la particolare complessità del dibattimento e il ritardo nel suo svolgimento; 5)La condizione di imputato sottoposto al trattamento penitenziario ex art. 41 bis ord. penit.

1) Le esigenze processuali e organizzative caratterizzanti la riforma del 1998

La legge del 1998 rappresenta un tipico esempio di normazione fortemente condizionata dal tempo. A seguito dell’urgenza impressa ai tempi di gestazione della legge, si venne a creare un dibattito parlamentare frettoloso da cui è scaturita una disciplina improvvisata e per questo lacunosa e precaria. La portata dell’intervento normativo è stata contenuta dall’iniziale previsione di un’efficacia temporanea dell’art 146-bis disp. att. c.p.p, le numerose proroghe ne hanno poi consentito la sopravvivenza fino alla consacrazione a regola ordinaria del sistema penale con il definitivo inserimento nel codice di rito. Ad ogni modo il tempo ha finito per influire in maniera significativa sul contenuto della norma ,oltre che sulle conseguenze in sede di applicazione concreta; e probabilmente molti dei difetti che hanno accompagnato la legge sono attribuibili proprio al fattore “tempo”.26

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Una prima considerazione è che dalla lettura del dibattito parlamentare ,che ha portato al varo della legge sulle videoconferenze, s’intuisce con facilità come anche questa volta la pressione operata dalle esigenze di ordine pubblico abbia imposto tempi rapidissimi di approvazione della riforma. Della necessità di un esame serio ma rapido del provvedimento parla l’on. Folena nella relazione illustrativa del disegno di legge del 11 luglio 1996 n. 1845 presentato dal governo( che risulta sostanzialmente analogo alla proposta di legge n.481 del 9 maggio 1996 assunta dagli on. Simeoni ed altri) in cui si sottolinea che se un sufficiente grado di efficienza è stato raggiunto nella fase delle investigazioni, vi è stata cioè una crescita molto positiva dell'azione dei pubblici ministeri e della magistratura requirente per ciò che riguarda i fenomeni di contrasto alla criminalità organizzata, non altrettanto può dirsi per la fase dibattimentale, i cui tempi di definizione, soprattutto per i processi della grande criminalità, continuano ad allungarsi. L’on. Folena afferma che una delle ragioni riguarda la natura dei processi, cioè l'oggetto dell'accertamento (gravi reati a struttura associativa inseriti in una realtà criminale molto articolata nel territorio)e l'elevato numero degli imputati coinvolti che determinano un effetto di gigantismo processuale. Quest’ultimo era il preoccupante fenomeno dovuto al sempre crescente numero di procedimenti per reati di criminalità organizzata, che aveva creato non pochi problemi per il conseguente frenetico spostamento di detenuti e che condiziona pesantemente i tempi di giudizio, poiché spesso detenuti in luoghi notevolmente distanti dal luogo di celebrazione del processo e questo “comportava non solo ritardi per l’inizio delle

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udienze ma anche notevoli disagi per gli stessi detenuti e per i loro difensori”27.

Si constatava che, pur se sottoposti a un regime carcerario particolarmente rigoroso, i detenuti, esercitando il diritto di partecipare a tutti i procedimenti nei quali erano a vario titolo coinvolti, finivano per sottrarsi alle limitazioni imposte per ridurne i contatti con l’esterno e continuavano a dialogare con emissari dell’organizzazione criminale, della quale, mediante la restrizione della libertà personale, avrebbero dovuto essere sradicati.

La seconda ragione riguarda la contemporaneità dei processi: nella relazione ministeriale si individua come fattore ulteriore di allungamento dei tempi dibattimentali la circostanza che molti imputati, per lo più in stato di detenzione, si trovano a dover contemporaneamente partecipare a più giudizi, spesso in sedi diverse, con conseguente perdita di continuità nella trattazione del singolo processo, connesso al fatto che la gran parte degli imputati si avvale del riconosciuto diritto di presenziare personalmente all'udienza, rendendo necessarie continue traduzioni da una sede all’altra. Infine, il problema dei costi aveva assunto dimensioni certamente non marginali, in termini di oneri finanziari e di impegno di risorse umane.

Gli spostamenti di detenuti comportano, infatti, l’impiego di consistente nuclei di agenti addetti alla sorveglianza e creano difficoltà di carattere ricettivo quanto alla loro sistemazione presso altri istituti penitenziari nei luoghi in cui svolgono i processi. Anche se le ragioni da ultimo esposte assumevano nella prospettiva di riforma un peso determinante, va detto che l’esigenza primaria da tutelare veniva individuata nella tutela della collettività rispetto a

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Parere del C.S.M. sul d.l.l. n.1845, espresso nella seduta del 23 novembre del 1996

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detenuti particolarmente pericolosi. I continui trasferimenti da un istituto penitenziario a un altro finivano per pregiudicare l’effettività dei provvedimenti di sospensione delle regole ordinarie di trattamento penitenziario. Queste erano le considerazioni svolte nel corso dei lavori parlamentari, ove per lo più ci si limitava a ribadire quanto già sottolineato nelle relazioni illustrative dei disegni di legge.

I vantaggi della riforma erano individuati nell’accelerazione dei dibattimenti, nel risparmio derivante dalla mancata traduzione dei detenuti, nel miglioramento delle condizioni di sicurezza e nella maggiore osservanza del regime carcerario di particolare rigore, con l’automatica conseguenza di impedire che detenuti particolarmente pericolosi, atteso il ruolo di spicco rivestito nell’ambito delle organizzazioni criminali, potessero comunicare tra loro in occasione della comune partecipazione ai dibattimenti, impartendo direttiva agli altri associati.

Non mancavano per la verità, accanto al richiamo alle predette esigenze per motivare l’adesione al progetto di riforma, ulteriori spunti di discussione, che arricchivano, ancor di più il dibattito parlamentare. L’on. Folena, relatore alla Camera dei deputati, tra le conseguenze negative della traduzione da un istituto penitenziario all’altro in vista della partecipazione del detenuto al processo, individuava anche la riduzione di diritti elementari dei detenuti comuni risiedenti nelle carceri dove i detenuti più pericolosi venivano trasferiti, in quanto era sospesa temporaneamente l’applicazione di benefici previsti per questi detenuti.28

Si sottolineava quindi la necessità di una rapida approvazione come segnale forte sul versante della lotta alla criminalità organizzata,

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anche se in senso inverso si era espresso l’on. Gazzilli che, nella seduta in commissione giustizia della Camera, affermava di non esser d’accordo sulla necessità di imprimere all’iter di questo provvedimento quell’accelerazione che era da più parti auspicata nell’intento di giungere al più presto all’introduzione della nuova disciplina anche a costo di sopprimere ogni possibilità di una seria discussione. 29 Si può affermare, ad ogni modo ,che obiettivo primario della riforma del 1998 era garantire l’efficienza dell’apparato giudiziario che si misura però non solo e non tanto in ragione della contrazione dei tempi del dibattimento, quanto soprattutto in ragione del ridimensionamento delle occasioni di contatto tra imputati accusati di gravi delitti e ambiente d’origine.30 Specificando che, l’individuazione delle cause che davano origine alla progettata riforma in materia di partecipazione al dibattimento mediante collegamento audiovisivo con un luogo diverso e distante da quello d’udienza, non solo è di ausilio per la comprensione degli scopi che si intendevano raggiungere con la riforma ma è anche la premessa per passare all’analisi degli strumenti tecnici e, soprattutto delle modalità operative attraverso le quali l’istituto è in grado oppure no di garantire l’effettiva presenza dell’imputato, posto in condizione di seguire l’evolversi dell’iter procedimentale e di intervenire nel corso per esercitare il proprio diritto di difesa, aspetto che verrà esaminato nel capitolo successivo.

Sotto altro profilo, la nuova disciplina dimostrava una grande fiducia nei confronti dei mezzi che la moderna tecnologia era in grado di offrire, calando il fenomeno processuale in una realtà in cui

29 A.A.DALIA, Sintesi dei lavori parlamentari, in AA.VV, Nuove strategie processuali

per imputati pericolosi e imputati collaboranti p.285, 293e 311

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M.FERRAIOLI, l’efficienza dell’apparato giudiziario come obiettivo primario della riforma, cit., pag.3

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legittimamente si inseriva la compresenza telematica31, l’on. Mancuso nel suo intervento in sede di dichiarazione di voto in Assemblea, nella seduta del 30 luglio del 1997, affermava che sarebbe stato un errore precludere l’accesso a questi nuovi mezzi perché avrebbe costituito il rifiuto dell’apporto della scienza laddove può consentire semplificazioni, egli sosteneva che la video conferenza non era altro che l’esplosione imperiosa della verità della scienza nei confronti dell’uomo debole che ne veniva sopraffatto e in definitiva conquistato32. Si osservava che il successo del nuovo modello partecipativo sarebbe dipeso dal grado di efficienza degli strumenti tecnici destinati alle strutture giudiziarie e dall’apparato organizzativo che sarebbe stato predisposto. In ogni caso, era evidente che la programmata riforma andava a sfatare un mito da sempre radicato negli studiosi del processo penale, ossia la sacralità del dibattimento inteso come luogo naturale, e perciò unico, di svolgimento del processo, che non ammetteva l’interferenza di ambienti profani.

2) L’iter che porta all’introduzione della norma e alla sua

stabilizzazione.

Prendendo specificatamente in considerazione l’iter della riforma i quattro disegni di legge, depositati presso la camera dei deputati, questi presentavano come elemento costante l’introduzione nel sistema della disciplina della “partecipazione al procedimento penale a distanza” anche se la metodologia seguita era profondamente diversa in ordine alla portata dell’intervento. I punti in comune delle iniziative di fonte parlamentare e governativa

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L.KALB, La partecipazione a distanza al dibattimento, cit., pag.28

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evidenziavano dati di indubbio interesse perché consentivano di delimitare il campo di applicazione del progetto di riforma: individuato nell’imputato il soggetto della cui partecipazione si trattava, si precisava che la fase nel corso della quale il collegamento audiovisivo doveva attivarsi era il dibattimento e, di conseguenza, si elencavano gli atti riferibili all’imputato, da svolgersi con le nuove modalità di partecipazione a distanza.

I disegni n.481 e n.1845,infatti, erano volti a predisporre una disciplina organica della partecipazione a distanza che riguardasse tanto l’imputato(compresa anche la sua partecipazione al procedimento camerale) quanto l’esame in dibattimento delle persone ammesse a programmi o a misure di protezione.

Le altre due proposte di legge la n.1602 e n.3632, si occupavano invece esclusivamente della partecipazione dell’imputato mediante l’attivazione del collegamento audiovisivo tra l’aula di udienza e quella di detenzione.

I lavori parlamentari hanno avuto inizio in commissione giustizia della Camera e sono proseguiti, con celerità davvero insolita, in Assemblea ove si è pervenuti all’approvazione del testo in soli due giorni; meno breve l’iter dei lavori parlamentari svolti dalla commissione giustizia del Senato, iniziati il 17 settembre e conclusi nella seduta notturna del 2 dicembre 1997. L’approvazione sarebbe stata ancor più sollecita di quanto non sia avvenuto, se non si fosse registrato nel corso in tale commissione il venir meno del consenso di alcuni senatori per la discussione in sede deliberante , con il conseguente allungamento dei tempi fino a che il Senato non provvedeva a riassegnare alla commissione stessa la prosecuzione dei lavori. Deve ricordarsi, infatti, che già nella seduta del 17 settembre il sen. Greco, non condividendo la limitazione imposta alla durata degli interventi, in considerazione della particolare

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delicatezza della materia e delle perplessità suscitate da alcuni aspetti del provvedimento, aveva manifestato i propri dubbi circa l’opportunità di esaminare il disegno di legge in sede deliberante; brevissimi infine i tempi di approvazione delle modifiche trasmesse dal Senato alla Commissione giustizia della Camera che ha chiuso definitivamente i lavori parlamentari nella seduta del 19 dicembre 1997, anche perché l’unico emendamento, presentato dall’on.Manzione e dall’on. Tardini in relazione alla partecipazione del difensore del coimputato nel luogo di presenza dell’imputato-detenuto, veniva subito ritirato alla luce dei chiarimenti forniti dal relatore .33

Ciò significa che i tempi di approvazione della legge n.11/1998 possono quantificarsi in soli cinque mesi, evidenziando una velocità di gestazione davvero insolita per il nostro parlamento. Il dibattito parlamentare si è svolto a ritmo serrato, con tutti i difetti che inevitabilmente accompagnano questo tipo di operazione legislativa; infatti per la necessità di individuare in tempi brevi un rimedio efficiente alla criminalità organizzata il dibattito ha lasciato insolute questioni importanti, come quelle relative alle modalità di esercizio del diritto di difesa, che hanno compromesso la stabilità della disciplina esponendola a rischio di una crisi d’identità, crisi che , come spesso accade nei provvedimenti prodotti dalla legislazione dell’emergenza, finisce per mettere in discussione la legittimità stessa del provvedimento.

Il parlamento ha accettato consapevolmente tale pericolo, tanto che, per scongiurarlo, si è scelto di rimettere ad altra sede o altra istituzione il compito di colmare le lacune prodotte; infatti, viene sottolineato l’impegno richiesto al governo dalla Commissione

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giustizia del Senato “a predisporre gli opportuni provvedimenti per assicurare l’esercizio del diritto alla difesa dei non abbienti anche in relazione ai maggiori oneri difensivi derivanti dall’applicazione della presente legge”. Anticipiamo che il rinvio strategico mediato dal parlamento non è stato sufficiente a colmare quelle lacune ed esonerare le norme dalle censure di legittimità costituzionale.34 Una seconda considerazione, non meno importante dello scopo politico perseguito dalla disciplina, riguarda il fattore tempo, ovvero il profilo della durata del provvedimento.

L’originario disegno di legge non prevedeva limiti all’efficacia di tutte o di talune delle disposizioni in esso contenute; tuttavia davanti alla commissione giustizia della Camera il Relatore presentava un emendamento che collegava il termine di efficacia dell’art 2 del d.d.l, riguardante appunto la partecipazione a distanza a quello stabilito per le disposizioni del comma 2 dell’art.41bis ord. penit. L’art.6 della legge fissava il termine finale di efficacia delle disposizioni al 31 dicembre 2000 e dagli atti parlamentari si evince che tale scelta era collegata alla eccezionalità della contingenza relativa a quel periodo, quasi a voler sottolineare che il rimedio speciale introdotto dalla legge fosse destinato a durare per il tempo necessario al recupero dell’ordine sociale. Inoltre, per giustificare l’introduzione di un limite temporale di efficacia, il relatore Folena affermava che il provvedimento formava un unico sistema con tutti gli altri provvedimenti diretti a determinare delle condizioni di particolare detenzione.

Non è un caso, quindi, che i primi interventi in questo senso propongono di agganciare il termine di efficacia a quello del comma 2 dell’art. 41-bis ord. penit.( la cui efficacia inizialmente fissata al

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1995 è stata prorogata al 31 dicembre 1999 con la l n36 del 1995 e poi stabilizzata ) per via dell’identità dei fini perseguiti dalle due norme, entrambe volte ad evitare che esponenti di spicco delle associazioni criminose possano esercitare il loro potere all’interno e all’esterno del carcere dopo essere stati ristretti nell’istituto penitenziario; tanto con l’impiego di strumenti audiovisivi, impedendo all’imputato di partecipare fisicamente all’udienza, quanto con l’accentuazione della severità del regime carcerario, lo Stato ha cercato di interrompere i rapporti tra imputati facenti parte dell’organizzazione criminale e il resto dell’associazione, perseguendo uno dei principali obbiettivi di contrasto alla criminalità organizzata.35

Le frequenti traduzioni degli imputati detenuti , rese necessarie al fine di garantire la presenza fisica in udienza, potrebbero pregiudicare l’effettività dei provvedimenti di sospensione delle ordinarie regole di trattamento penitenziario adottate nei confronti dei detenuti più pericolosi ai sensi del 41-bis ord. penit36. Quindi, non può considerarsi casuale l’iniziale volontà del legislatore di omologare i termini di durata delle due norme eccezionali considerandole componenti di un unico sistema normativo teso a fronteggiare efficacemente la criminalità di stampo mafioso. Va puntualizzato però, che questo stretto collegamento ha finito con il suscitare perplessità tra i parlamentari e gli studiosi, la soluzione infatti non è stata condivisa per una ragione di carattere tecnico, ”essendo contraddittorio ancorare al tempo di vigenza dell’ art.41-bis ord. penit. una disposizione come l’art 146-art.41-bis disp. att. c.p.p

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D. CURTOTTI NAPPI, I collegamenti audiovisivi nel processo penale, cit,pag 20 s.

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che, quanto a presupposti, gode di un arco di operatività ben più ampio37.

Si può sottolineare come la scelta di giustificare la fissazione di un termine finale di efficacia delle norme con il richiamo alla loro natura eccezionale non è perseguibile in considerazione del fatto che la maggior parte delle disposizioni di questo genere, derivanti dalla legislazione dell’emergenza, sono entrate stabilmente nel tessuto codicistico anche se componenti di un regime processuale differenziato.

Seguendo questo ragionamento, il dibattito parlamentare ha preferito accantonare il carattere eccezionale come ragione giustificatrice della provvisorietà della norma ed optare per il carattere sperimentale. In questo senso, la fissazione di un termine di vigenza ha finito per essere legata alla necessità di sperimentare modalità procedimentali così nuove sul piano tecnologico anche in considerazione dei successivi e probabili miglioramenti degli strumenti della tecnica e della scienza; infatti l’on. Folena, nella presentazione del disegno di legge alla Camera nella seduta del 29 luglio 1997, afferma che porre un termine di efficacia per ciò che riguarda le norme per il procedimento penale a distanza permette di poter verificare meglio nel corso dei due anni, sulla base di una sperimentazione concreta, l’efficacia, il funzionamento, l’effettiva idoneità degli strumenti tecnici messi a disposizione dal Governo. Ragioni di completezza impongono di ricordare che la scelta di contenere l’efficacia della legge in un lasso di tempo determinato ha trovato un consenso pressochè unanime allorquando il dibattito parlamentare ha cominciato a mettere in evidenza i problemi di ordine costituzionale che la legge in commento avrebbe posto sul

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piano della tenuta rispetto a principi consacrati nella Carta fondamentale, quali il diritto alla difesa e il diritto al contraddittorio. Sin dalle prime battute del dibattito parlamentare si è messa in luce l’anomalia insita nell’impiego degli strumenti audiovisivi produttiva dell’affievolimento dei diritti della difesa, così come affermava l’on Folena nella seduta del 15 luglio 1997 in Commissione giustizia Camera. Tutto ciò ci fa pensare che la scelta di formulare una disciplina a tempo abbia rappresentato, in seno all’organo legislativo, il rimedio migliore per scongiurare il pericolo che norme lesive, ma necessarie si radichino definitivamente, senza un previo controllo, nel tessuto codicistico38.

Ecco che sganciando il termine finale da quello previsto per l’art. 41-bis ord. penit. , e in questa direzione era orientato l’intervento dell’onorevole Marotta nel corso della seduta del 29 luglio 1997 secondo il quale “ il termine di validità non può coincidere con quello del 41-bis ord.penit. Sarebbe bene stabilire un termine autonomo”, l’art.6 della legge in commento fissa il dies ad quem di vigenza delle disposizioni alla data del 31 dicembre 2000 nella convinzione che nell’arco di due anni si potesse acquisire contezza dei problemi giuridici ed organizzativi posti dall’applicazione concreta delle norme.39

Tuttavia, non solo le intenzioni del legislatore di limitare l’uso processuale dei collegamenti audiovisivi per il tempo strettamente necessario al riassetto della grave situazione di emergenza non hanno avuto concreta realizzazione; per di più, l’orientamento ha seguito una tendenza contraria andando verso una crescente stabilizzazione degli istituti introdotti nel 1998. Tutto ciò trova conferma nella proroga che il legislatore ha concesso nell’

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A.A.DALIA, Sintesi dei lavori perlamentari, cit., pag 317

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avvicinarsi della scadenza del termine finale di efficacia delle disposizioni; per effetto dell’art. 12 d.l. 341/2000 convertito in l.4/2001, il dies ad quem è stato spostato al 31 dicembre 2002 nella duplice convinzione che da un lato, permanesse attuale la necessità di mantenere una rigida politica di contrasto alla criminalità organizzata e ,dall’altro risultassero irrinunciabili i vantaggi offerti dagli strumenti audiovisivi.

Lo dimostra, altresì, la legge 5 ottobre 2001 n.367 con cui il legislatore ha voluto investire in via definitiva sul art 146-bis disp. att c.p.p. , inserendo con l’art. “205-ter disp. att. c.p.p “ Partecipazione al processo a distanza per l’imputato detenuto all’estero” un istituto del tutto analogo avente però efficacia illimitata nel tempo e non ristretta ad una tipologia tassativa di reati, pur se riferita ai soli atti che implicano relazioni con l’estero. Tale norma mira a rafforzare, anche a livello di cooperazione giudiziaria, gli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata. Sempre nell’ottica di un iniziale percorso di stabilizzazione nell’uso processuale dei collegamenti audiovisivi, vanno richiamate le disposizioni emesse con d.l. n 347 del 2001 convertito in l. 438/2001, per combattere il terrorismo internazionale. L’art 8 del decreto-legge amplia l’ambito operativo della partecipazione a distanza anche ai delitti indicati nell’art 407 comma 2 lett a) n.4 c.p.p commessi con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci, nonché ai delitti di cui agli art. 270 comma 2 e 306 comma 2 c.p.40

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D. CURTOTTI NAPPI, I collegamenti audiovisivi nel processo penale, cit., pag 25 ss.

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Comincia ad evidenziarsi un certo grado di stabilità degli strumenti processuali audiovisivi; infatti, il passo successivo compiuto dal parlamento è stato quello di puntare ad una definitiva istituzionalizzazione del regime previsto dalla legge 11 del 1998, segnando il drastico passaggio da una scelta normativa di temporaneità e straordinarietà ad un’opzione di stabilizzazione. Infatti, nell’approssimarsi della scadenza del termine già fissato due anni prima, il legislatore con un ampia maggioranza trasversale ed in termini insolitamente brevi, approva l’art 3 della legge del 23 dicembre 2002 n.279, il quale abroga l’art 6 della legge n.11 del 1998, facendo diventare definitivo l’istituto del 146-bis che diviene parte integrante almeno sotto il profilo della sua applicazione temporale del patrimonio ordinario del processo penale41.

Naturale il mutamento di prospettiva, non si tratta, infatti, più di un’anomalia del sistema processuale, bensì di una regola ingessata nella disciplina ordinaria del codice di rito, senza cioè vincoli di temporaneità. Una metamorfosi di questa portata non può che essere accolta con favore, anche da chi non condivide appieno la legittimità dell’ istituto immesso nell’ordinamento, poiché il giudizio in questo caso non dipende da un’analisi dei contenuti e della loro tenuta costituzionale, ma dalla costatazione secondo la quale una norma a tempo suscita necessariamente forti perplessità perché è foriera di un sistema legislativo caotico, scoordinato, confuso, incerto, per non dire inidoneo a produrre un sistema repressivo razionale ed efficiente. Quindi non si può che apprezzare l’opzione di stabilizzazione che sottrae alla norma la sua precarietà temporale attribuendole quei caratteri di generalità e astrattezza che una norma giuridica dovrebbe sempre avere, perlomeno in uno stato di

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G.PIZZIALI, Le disposizioni sulla partecipazione al procedimento a distanza, cit., pag.75 ss

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diritto, non è un caso che il legislatore sia ricorso raramente ad un’operazione legislativa di questo tipo, preferendo fare ricorso a norme definitive anche in concomitanza di momenti caratterizzati dall’emergenza; momenti che per loro stessa natura avrebbero legittimato l’adozione di interventi legislativi destinati a durare per il tempo necessario al ritorno della normalità. In realtà non è stata una scelta casuale, ma di una scelta ponderata intesa a collocare la logica dell’emergenza fuori dalla contingenza politica consolidandola come un’ordinaria forma di governo del sistema penale, ciò ha condotto all’elaborazione di un sistema repressivo differenziato rispetto a quello ordinario che non per questo è risultato estraneo alle regole generali ed astratte del codice di rito. Ed è in questa dimensione che si colloca l’eccezione contenuta nell’art 146-bis dip. att. c.p.p, eccezione che si è trasformata in regola ed è destinata a vivere per un tempo indefinito. 42

3) I presupposti soggettivi legittimanti la partecipazione a distanza

La disciplina formulata alla fine degli anni novanta per il procedimento penale a distanza si innestava nel solco del doppio binario, vale a dire nella scia di quelle norme finalizzate a prescrivere una disciplina differenziata rispetto a quella stabilita per la generalità dei reati, e proprio a questo proposito si prendono in considerazione quei limiti indicati nell’art 146-bis disp. att. c.p.p, volti a delimitare il campo di applicazione della nuova disciplina. L’intento di individuare tassativamente le ipotesi di utilizzazione del collegamento audiovisivo tra l’aula d’udienza e altro luogo è stato

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D.CURTOTTI NAPPI, I collegamenti audiovisivi nel processo penale, cit., pag30 ss.

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infatti, manifestato in modo inequivocabile in tutte le quattro proposte di riforma ed è stato preso in considerazione nel corso dell’intero arco dei lavori parlamentari.

A seguito della riforma del 1998 l’area di operatività della partecipazione a distanza è fissata dai commi 1 e 1bis dell’art.146-bis disp.att c.p.p.

Nel primo caso il giudice dispone il collegamento audiovisivo in presenza di un presupposto soggettivo e di uno oggettivo: deve trattarsi di imputato nei cui confronti si proceda per taluno dei delitti indicati nell’art.51, comma 3-bis c.p.p., e nell’art 407, comma 2, lett.a), n.4 del codice di rito, e che si trovi a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in carcere. In più occorre che si sia in presenza di gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico, ovvero il dibattimento sia di particolare complessità e il collegamento risulti necessario ad evitare ritardi nel suo svolgimento; la norma precisa che l’esigenza di evitare ritardi è valutata anche in relazione al fatto che nei confronti dello stesso imputato siano contemporaneamente in corso distinti processi presso distinte sedi giudiziarie.

Nel secondo caso in seguito alla modifica sistematica operata dall’art.15, d.l 24 novembre 2000, n.341, conv. In l.19 gennaio 2001, n.4, recante “Disposizioni urgenti per l’efficacia e l’efficienza dell’amministrazione della giustizia”, la partecipazione via cavo è disposta quando si procede nei confronti di detenuto sottoposto alle misure di trattamento penitenziario differenziato di cui all’art 41-bis, comma 2, ord. penit. Secondo alcune considerazioni fatte dalla parte maggioritaria della dottrina si sono ricavate delle regole interpretative e, partendo dal carattere eccezionale della partecipazione audiovisiva, si è detto che, per quanto assimilabile all’effettiva e fisica presenza in aula dell’imputato, la partecipazione via etere rappresenta pur sempre un’ anomalia del sistema

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