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Studio del microcircolo periferico in un modello murino di malattia di Alzheimer

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

_________________________________________________________________________

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

MEDICINA E CHIRURGIA

Tesi di Laurea

“STUDIO DEL MICROCIRCOLO PERIFERICO IN UN

MODELLO MURINO DI MALATTIA DI ALZHEIMER”

RELATORE

Chiar.mo Prof. Agostino Virdis

CANDIDATO

Luca Bartolomei

ANNO ACCADEMICO 2015/2016

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INDICE

1. RIASSUNTO 2. INTRODUZIONE  2.1 L’endotelio  2.2 La disfunzione endoteliale

 2.3 Metodi di studio della funzione endoteliale  2.4 La malattia di Alzheimer

 2.5 Donepezil

 2.5 Modelli per lo studio della malattia di Alzheimer  2.6 Studi sul circolo periferico del modello SAMP8

3. SCOPO DELLO STUDIO

4. MATERIALI E METODI

5. RISULTATI

6. CONCLUSIONI

7. RINGRAZIAMENTI

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1. RIASSUNTO

In condizioni fisiologiche l’endotelio rappresenta una fonte di molecole che contribuiscono all’omeostasi del tono e della struttura vascolare.

La principale molecola coinvolta in questa funzione è l’ossido nitrico (NO), una sostanza gassosa, altamente diffusibile, prodotta dall’ossido nitrico sintasi endoteliale (eNOS) a partire dall’aminoacido L-arginina.

Fisiologicamente dà luogo a vasodilatazione, inibizione dell’aggregazione piastrinica, della proliferazione delle cellule muscolari lisce dei vasi, dell’espressione di molecole di adesione, dell’adesione dei monociti e della sintesi di endotelina-1.

Quando questo meccanismo di omeostasi viene meno si ha una situazione patologica denominata “disfunzione endoteliale” che è caratteristica di diversi fattori di rischio cardiovascolari quali Ipertensione, Diabete Mellito, Obesità. Essa è dovuta principalmente ad una ridotta biodisponibilità di NO che porta ad una preponderanza di fattori vasocostrittori e alla perdita del meccanismo di regolazione del tono vascolare.

L’endotelio, in questa maniera, diventa un fattore pro-aterogeno che contribuisce alla progressione delle patologie cardiovascolari.

La Malattia di Alzheimer è la più comune forma di Demenza nell’anziano. Questa malattia è causa di forte disabilità dell’individuo affetto, esordisce tipicamente come un deficit mnemonico e, con un decorso assai variabile riguardo alla durata, va ad inficiare tutte le funzioni cognitive e comportamentali.

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È una patologia classicamente collegata alla presenza di peculiari caratteristiche anatomopatologiche quali: placche senili formate principalmente da β-amiloide, ammassi neurofibrillari formati da proteina Tau iperfosforilata e angiopatia amiloide (deposizione di Aβ nelle pareti dei vasi).

La diagnosi di questa malattia infatti è definibile come certa solo in sede anatomopatologica in quanto, molte delle caratteristiche cognitivo-comportamentali di questi soggetti, sono presenti anche in altre tipologie di demenza.

L’eziopatogenesi della malattia è stata molto studiata ma le basi fisiopatologiche non sono state completamente chiarite.

Le ultime teorie si concentrano sul fatto che il primo fattore che va ad avviare la patogenesi della malattia sembrerebbe essere l’ipoperfusione del circolo cerebrale. Ciò porterebbe ad una progressiva degenerazione della barriera emato-encefalica, a morte neuronale, disfunzione dell’endotelio, produzione di radicali liberi dell’ossigeno e all’alterazione della produzione e del trasporto della β-amiloide che portano all’accumulo tipico di questa sostanza nella malattia.

Per lo studio della malattia di Alzheimer è disponibile un modello murino denominato SAMP8 che presenta deficit cognitivi e comportamentali paragonabili a quelli degli individui affetti da malattia di Alzheimer.

Questo modello è stato ampiamente studiato per quanto riguarda la parte neurologica, ma non sono presenti molti studi riguardo alla funzione endoteliale a livello del circolo periferico.

Scopo della presente tesi è stato quello di studiare la funzione endoteliale a livello delle piccole arterie di resistenza mesenteriche di topi SAMP8, individuare le

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componenti preponderanti alla base di questa disfunzione e se il trattamento con Donepezil, farmaco principe nel trattamento sintomatico della malattia di Alzheimer, oltre alla ben nota inibizione dell’acetilcolinesterasi a livello centrale, avesse una qualche azione anche a livello vascolare periferico.

Il disegno sperimentale quindi ha preso in considerazione due gruppi di esemplari di SAMP 8, uno dei quali non trattato e uno trattato con Donepezil ed un gruppo di esemplari SAMR1 che rappresentano il controllo negativo di questo modello murino, essendo del tutto sani e privi di caratteristiche di malattia di Alzheimer. Sono stati trattati dai 4 fino ai 6 mesi ed infine sacrificati. Dall’intestino di questi topi sono state isolate le arterie mesenteriche e sono stati eseguiti studi di reattività vascolare tramite l’utilizzo di un miografo a pressione. Per ogni esemplare è stata valutata la risposta vasodilatante all’acetilcolina dopo vasocostrizione con norepinefrina. La stessa curva è stata valutata anche dopo incubazione 30’con Acido Ascorbico (che rappresenta un forte agente antiossidante), in seguito dopo incubazione 30’ con L-NAME (un inibitore diretto della eNOS che riduce la biodisponibilità del NO) ed infine è stata valutata la coincubazione di Acido Ascorbico e di L-NAME.

I risultati di questo studio evidenziano come negli esemplari SAMP8 sia sicuramente presente disfunzione endoteliale a livello del microcircolo periferico, causata da una diminuita biodisponibilità di NO e un aumento di stress ossidativo. Il trattamento con Donepezil migliora la risposta vasodilatante periferica aumentando la biodisponibilità di NO. In presenza di Donepezil, l’effetto potenziante da parte dell’acido ascorbico sulla funzione endoteliale scompare,

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suggerendo che il farmaco, in accordo con precedenti studi in vitro, possa avere una attività antiossidante a livello del microcircolo periferico.

In considerazione dei risultati ottenuti nella presente tesi, sarebbe auspicabile, tenuto conto delle numerose evidenze che pongono all’origine della malattia di Alzheimer una disfunzione di tipo vascolare, che ulteriori studi futuri andassero a valutare se gli effetti protettivi che abbiamo evidenziato a livello del microcircolo periferico esistano anche a livello centrale.

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2. INTRODUZIONE

2.1 L’ENDOTELIO

L’endotelio è stato considerato per anni una semplice barriera selettiva tra il flusso sanguigno e la parete vascolare; in realtà, è stato dimostrato essere capace di rispondere a segnali chimici e di produrre diversi fattori che regolano il tono vascolare, l’aggregazione piastrinica, l’adesione cellulare, la proliferazione delle cellule muscolari lisce e l’infiammazione della parete[1].

Il più importante e studiato è l’ossido nitrico (NO), prodotto dalla NO sintasi endoteliale (eNOS) a partire dall’ L-arginina. Nel 1980, Robert Furchgott e collaboratori dimostrarono, in segmenti di aorta di coniglio, che era necessaria la presenza dell'endotelio, affinché l'acetilcolina (Ach) determinasse rilasciamento vascolare (vasodilatazione endotelio-dipendente). Successivamente, si comprese che esisteva un fattore solubile prodotto dalle cellule endoteliali, il quale era in grado, se trasferito da un vaso con endotelio intatto a un vaso privo di endotelio, di produrre lo stesso effetto vasodilatante. Tale fattore venne chiamato EDRF (endothelium-derived relaxing factor) e ben presto, Furchgott e Ignarro, nel 1986, proposero che tale fattore fosse proprio l’ossido nitrico. Nel 1987, Palmer et al. per primi ne dimostrarono la produzione da parte delle cellule endoteliali a seguito della stimolazione con bradichinina e negli anni successivi si riuscì a identificare e a clonare l'enzima responsabile della sua produzione[2].

NO è prodotto dalla NOS a partire dal substrato L-arginina (L-arg), con formazione di L-citrullina. Esistono tre forme diverse di NOS, quella neuronale (nNOS), quella endoteliale (eNOS) e quella inducibile (iNOS).

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Tutte utilizzano L-arg come substrato, l'ossigeno molecolare (O2) e la

nicotinammide-adenina-nucleotide fosfato (NADPH) come co-substrati; cofattori dell'enzima sono la flavina-adenina-dinucleotide (FAD), la flavina-mononucleotide (FMN) e la (6R-)5,6,7,8-tetraidrobiopterina (BH4).

Nella reazione di formazione di NO, si verifica un trasferimento di elettroni dal NADPH, attraverso FAD e FMN, presenti nel domino C-terminale reduttasico dell'enzima, al gruppo eme presente nel suo domino ossigenasico N-terminale (quest'ultimo contenente anche il cofattore BH4, l'ossigeno molecolare ed il substrato L-arg). All'interno del dominio N-terminale, gli elettroni trasferiti vanno a ridurre e attivare l'ossigeno molecolare in O2- con ossidazione in due step della L-arg e produzione finale di L-citrullina e NO.

L'NO ha la capacità di diffondere all'interno delle cellule muscolari lisce vascolari, attiva la guanilato ciclasi con conseguente formazione di guanosina monofosfato ciclico (cGMP). Il risultato è il rilasciamento della muscolatura liscia vascolare che porta a vasodilatazione[3].

NO, inoltre: contribuisce, assieme alla prostaciclina, alla inibizione della aggregazione piastrinica[4]; ad alte dosi, inibisce la proliferazione delle cellule muscolari lisce vascolari[5]; riduce l'espressione di molecole di adesione da parte dell'endotelio[6] ; previene l'adesione dei leucociti all'endotelio[7].

L’endotelio produce non solo l’NO ma anche una serie di altre molecole in grado di modificare il tono vascolare. Per cui il tono vascolare è determinato dal bilancio netto tra le molecole ad azione vasocostrittiva e quelle ad azione vasodilatante. Se l'endotelio è assente o disfunzionante, l'effetto predominante di questi agenti vasoattivi è la vasocostrizione.

Le principali molecole ad attività vasodilatante, oltre all'ossido nitrico, sono la prostaciclina e l'EDHF (endothelium-derived hyperpolarizing factor)[2].

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La prostaciclina (PGI2) è una sostanza a breve emivita prodotta sia dalle cellule

endoteliali che dalle cellule muscolari lisce ad opera dell’enzima prostaciclina sintasi che utilizza, come substrato, l'acido arachidonico. PGI2 protegge dal danno

intimale e dal rimodellamento vascolare; è fondamentale soprattutto nella regolazione del flusso a livello renale[8].

EDHF, sostanza non ancora ben identificata, determina una iperpolarizzazione delle fibrocellule muscolari lisce con conseguente rilasciamento. Sembrerebbe che la sua produzione sia stimolata, come meccanismo compensatorio, in quelle situazioni in cui si verifica una ridotta biodisponibilità di NO[9].

Le principali molecole ad attività vasocostrittiva sono: endotelina, angiotensina II, prostanoidi vasocostrittori (trombossano A2 e PGH2) e anione superossido (.O2-)[7].

L'endotelina (ET) è un peptide costituito da 21 aminoacidi e ottenuto dalla proteolisi di un precursore, detto pre-pro-endotelina, prodotto dalle cellule endoteliali. Possiede una spiccatissima attività di vasocostrizione che risulta essere calcio-dipendente[10]. Sono state identificate 3 isoforme di ET: ET-1, ET-2 ed ET-3, prodotte da tre geni differenti. Gli effetti vascolari sono mediati esclusivamente da ET-1[11].

Esistono due tipi di recettori: ETA che è presente esclusivamente a livello delle

cellule muscolari lisce vascolari e la sua stimolazione da parte di ET-1 comporta vasocostrizione; ETB che, invece, è presente sia a livello delle cellule muscolari

lisce, nelle quali media la vasocostrizione, che a livello delle cellule endoteliali, dove invece media la vasodilatazione in quanto induce la produzione di NO[12, 13]. L'NO è infatti in grado di inibire la sintesi e gli effetti vasocostrittori di ET-1 che, a propria volta, stimola la generazione e il rilascio di NO attraverso i recettori endoteliali ETB [13].

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Infondendo ET-1 esogena, si provoca una transitoria vasodilatazione, prima di innescare una intensa risposta vasocostrittrice.

Un'altra molecola vasocostrittrice è l’anione superossido che è un radicale libero dell'ossigeno e viene prodotto principalmente dalla NAD(P)H-ossidasi. Questo enzima catalizza una reazione di ossido-riduzione tra O2 e NADPH o NADH, con

conseguente produzione di anione superossido attraverso la rimozione di un elettrone da O2 [14]. Inizialmente, si riteneva che l'importanza di questo enzima

fosse limitata alla sua attività all'interno delle cellule dell'immunità (ad esempio macrofagi e neutrofili), mentre ad oggi è nota anche il suo ruolo all'interno delle cellule endoteliali, ai fini della regolazione della funzione endoteliale[15].

Questo enzima risponde a vari stimoli, come fattori di crescita (PDGF, EDGF, TGF-β), stimoli meccanici (shear stress), fattori metabolici (iperglicemia, iperinsulinemia, acidi grassi liberi, prodotti di glicazione avanzata) e agonisti dei recettori associati a proteine G (serotonina, trombina, bradichinina, endotelina, angiotensina II)[16].

Una ulteriore fonte di ROS a livello dell’endotelio vascolare è rappresentata dall’enzima Xantina ossidasi, che catalizza l’ossidazione della ipoxantina e della xantina con produzione di acido urico e .O2- [17].

In condizioni di equilibrio .O2- ha una breve emivita e viene rapidamente

trasformato in H2O2 dalla superossido-dismutasi (SOD), più precisamente dalla

SOD extracellulare, ovvero l’isoforma più attiva a livello vascolare[18].

Studi sperimentali hanno dimostrato un’aumentata produzione superossido in condizioni quali l'aterosclerosi, il diabete mellito e l'ipertensione.

Il superossido reagirebbe con NO dando luogo al perossinitrito (ONOO-) e quindi la disfunzione endoteliale sarebbe secondaria ad una diminuita disponibilità di NO piuttosto che ad una diminuita sintesi[2].

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11 2.2 LA DISFUNZIONE ENDOTELIALE

La disfunzione endoteliale è una condizione patologica dell'endotelio caratterizzata da una ridotta biodisponibilità di ossido nitrico; in questa situazione viene a mancare l'antagonista principale di tutte quelle sostanze (prostanoidi, endotelina-1, angiotensina II, etc.) che hanno un effetto dannoso sulla parete vascolare.

L’alterazione della biodisponibilità di NO, ossia la sua ridotta attività biologica, che può dipendere sia dalla sua minore produzione che dalla sua aumentata inattivazione, è considerata un meccanismo chiave in numerose condizioni cliniche e fattori di rischio cardiovascolare, tra cui l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito e l’obesità[2].

Nella disfunzione endoteliale possiamo mettere in evidenza due fattori: la ridotta biodisponibilità di NO e l'aumentata attività della ET-1[1, 19].Effettivamente, venendo meno l'effetto inibitorio di NO sul recettore ETB, si ha un incremento degli

effetti vasocostrittori e proliferativi di ET-1.

Inoltre, abbiamo l'evidenza che nell'ipertensione essenziale e in altre patologie cardiovascolari lo stress ossidativo, dovuto alla presenza di ROS (generati dalla NAD(P)H-ossidasi e dal disaccoppiamento della eNOS), sia responsabile della ridotta biodisponibilità di NO e quindi della disfunzione endoteliale[20].

Un importante fattore sembra essere rappresentato dal cosiddetto disaccoppiamento della eNOS (eNOS uncoupling), una situazione in cui l'enzima genera anione superossido anziché ossido nitrico[3].

Recentemente è stato messo in evidenza un ulteriore meccanismo, basato sulla S-glutationilazione di eNOS.

Durante lo stress ossidativo, le proteine dotate di gruppo tiolico (R-SH) disulfidrilico possono subire una glutationilazione tramite scambio di elettroni tra

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questi gruppi tiolici e il glutatione ossidato. La eNOS possiede gruppi cisteinici importanti e alcuni studi infatti evidenziano che la S-glutationilazione della eNOS, proprio a livello di due residui di cisteina, porta ad un disaccoppiamento reversibile dell'enzima con incremento della produzione di anione superossido.

Inoltre, la S-glutationilazione di eNOS nelle cellule endoteliali comporta una riduzione della vasodilatazione endotelio-dipendente[20].

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2.3 METODI DI STUDIO DELLA FUNZIONE ENDOTELIALE

La valutazione della funzione dell’endotelio nell’animale può essere fatta sia con studi in vivo che con studi in vitro.

La valutazione diretta in vivo presenta diverse difficoltà tecniche in quanto i fattori implicati nella regolazione del tono vascolare, come NO, hanno una brevissima emivita e sono difficilmente dosabili oppure l’ET-1 che, nonostante sia dosabile, è influenzata in maniera importante da fattori esogeni.

Nell’uomo sono molto diffusi gli studi di reattività vascolare che utilizzano l’infusione in determinati distretti di sostanze che si comportano come agonisti (acetilcolina, metacolina, bradichinina, serotonina, sostanza P) o antagonisti (NG -monometil-L-arginina, L-NMMA) in grado di attivare e inattivare la produzione di NO da parte di eNOS.

Le metodiche più diffuse nell’uomo sono la Flow-Mediated Dilatation (FMD) e la pletismografia venosa tramite il modello del braccio perfuso-non perfuso.

Nell’animale invece la tecnica più utilizzata, per fattibilità tecnica e accuratezza dei risultati, è quella micromiografica in vivo ex vitro, che consente di studiare arterie isolate di piccolo calibro (100-300 μm).

Esistono due varianti della tecnica micromiografica: a fili ed a pressione[21]. Nella tecnica micromiografica a fili (wired micromyograph) il vaso può essere sottoposto ad uno stiramento meccanico oppure mantenuto ad uno stretch costante, per poi essere stimolato a contrarsi, permettendo così la misurazione della tensione attiva sviluppata.

Successivamente il vaso, in condizioni di rilasciamento, viene trasferito sullo stativo di un microscopio con lente ad immersione e, mediante un oculare

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micrometrico, viene valutato lo spessore della parete vascolare, gli spessori relativi delle diverse tonache ed il diametro del vaso[22].

La tecnica micromiografica a pressione, invece, prevede l'incannulamento di entrambe le estremità del vaso in esame a due microcannule di vetro all'interno di una camera miografica e ad esse legate attraverso l'utilizzo di un filo di seta. All'interno della camera miografica è presente una soluzione contenente liquido di Krebs-Henseleit, contenente D-glucosio (2.0 g/dL), Solfato di Magnesio (0.141 g/L), Fosfato di Potassio (0.16 g/L), Cloruro di Potassio (0.35 g/L), Cloruro di Sodio (6.9 g/L).

Il liquido di Krebs-Henseleit è arricchito con una miscela composta da 95% di aria e 5% di CO2 ad un pH di 7.4-7.45 e ad una temperatura costante di 37°C. Gli studi

vengono effettuati mantenendo costante la pressione all'interno del vaso in esame, ovvero 60 mmHg nell'uomo e 45 mmHg nell'animale.

Grazie ad un microscopio confocale collegato ad una telecamera, è possibile visualizzare il vaso su monitor; un software dedicato permette di ottenere le misurazioni dello spessore della parete del vaso e del suo diametro.

L'esperimento inizia, dopo aver opportunamente immerso il vaso all'interno della camera miografica e incannulato le due estremità alle due microcannule di vetro, con la somministrazione di norepinefrina (NE) che determina una contrazione vascolare.

Successivamente, gli studi di funzionalità endoteliale sono eseguiti osservando le modificazioni del diametro del lume in seguito alla infusione extraluminale (all'interno del liquido di Krebs-Henseleit) di agonisti ed antagonisti endoteliali. Gli studi micromiografici in vitro hanno l'indubbio vantaggio di consentire una misurazione precisa ed accurata delle caratteristiche morfologiche e funzionali dei piccoli vasi, esente da artefatti da fissazione degli studi istologici.

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Inoltre consentono di studiare numerosi meccanismi fisiopatologici attraverso l'uso di agonisti ed antagonisti selettivi non altrimenti utilizzabili negli studi in vivo.

Fig. 1 Tecnica micro miografica a pressione. I segmenti vascolari isolati (da 150 a 300 µm di diametro, con lunghezza di

pochi mm), dopo essere stati liberati dal tessuto connettivo circostante, sono posizionati in una apposita camera miografica contenente liquido di Krebs, incannulati alle due estremità a due micro cannule di vetro e legati ad esse mediante un filo di seta. Con l’ausilio di un microscopio ottico e di una telecamera è possibile visualizzare il vaso su un monitor, mentre con un

software è possibile misurare le modificazioni di diametro. Gli studi di funzionalità endoteliale sono eseguiti osservando le modificazioni del diametro del lume in seguito alla infusione extraluminale di agonisti ed antagonisti endoteliali.

Camera pressione Aspirazione liquido di Krebs PSS, 37°C Microscopio Video Software di analisi Spessore parete Diametro del vaso Monitor

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16 2.4 LA MALATTIA DI ALZHEIMER

La malattia di Alzheimer è la forma più comune di demenza nell’anziano ed ha una prevalenza di circa 500.000 casi in Italia.

Prende il nome dallo psichiatra tedesco Alois Alzheimer, che per primo ne identificò i sintomi in una sua paziente.

Causa una grave e progressiva alterazione delle funzioni mnemoniche, cognitive, della parola, del pensiero e del comportamento ed è fonte di progressiva e importante disabilità per il paziente che gradualmente diventa completamente dipendente dal suo caregiver.

Ne esistono essenzialmente due forme di cui la più comune esordisce di solito dopo i 65 anni ed è per questo denominata “late onset”. La sua incidenza aumenta progressivamente con l’invecchiamento (1% a 60-64 anni e 40% a 85-89 anni) ed è più frequente nel sesso femminile con un rapporto di circa 2:1.

Altro fattore di rischio per l’insorgenza di questa malattia, oltre l’età, è quello di avere una ridotta riserva cognitiva, che è determinata in parte dal livello di scolarizzazione e dalla professione svolta. Avere una maggiore riserva cognitiva, infatti, permette al paziente di alzare la soglia del danno neuronale che provoca manifestazioni cliniche della malattia nel paziente. Ciò pare corrispondere a livello microscopico allo sviluppo di un maggior numero di terminazioni nervose e connessioni sinaptiche. Alcuni studi epidemiologici hanno inoltre evidenziato che la malattia sembra essere più frequente nelle persone che hanno avuto traumi cranici.

L’altra forma “early onset”, invece, rappresenta circa lo 0,1% dei casi ed esordisce prima dei 65 anni. Questa è una forma familiare ed è associata ad alcune mutazioni

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genetiche, in particolare, allo stato attuale, sono stati individuati quattro geni collegati alla malattia: APP, preseniline (PS-1, PS-2) e l’allele ε4 di ApoE.

APP è un gene codifica per la proteina precursore dell’amiloide, è situato nel cromosoma 21 ed è una molecola cardine nella patogenesi della malattia, mutazioni nel gene causano una forma di Alzheimer che si trasmette in maniera autosomica dominante. L’interessamento del cromosoma 21 inoltre giustifica l’insorgenza dei tipici segni della malattia di Alzheimer nei soggetti affetti da sindrome di Down (trisomia 21) che superano i 40 anni di età.

PS-1 è situato nel cromosoma 14 e codifica per la proteina s182, PS-2 si trova nel cromosoma 1 e codifica invece per la proteina STM2. Queste proteine vengono denominate preseniline, sono coinvolte nelle forme di malattia ad insorgenza precoce e sembrano far parte del sistema di clivaggio della proteina precursore dell’amiloide (APP) che porta alla formazione del peptide Aβ. Le mutazioni di PS-1 in genere danno forme di Alzheimer più precoce e con un decorso più rapidamente progressivo rispetto a quelle con mutazioni di PS-2.

Infine è stato identificato l’allele ε4 del gene ApoE, che codifica per l’apolipoproteina E, che è una proteina implicata nel trasporto del colesterolo. Questo allele, quando è presente in forma omozigote, incrementa il rischio di sviluppare la malattia di circa il 25% e ne abbassa l’età di insorgenza. È stato riscontrato anche in forma eterozigote in una buona quota di individui affetti da malattia di Alzheimer, ma può essere presente anche in individui che non svilupperanno mai la malattia e per questo non è considerata una condizione necessaria e sufficiente per l’insorgenza della patologia. In più ApoE viene ritrovata anche nel nucleo centrale delle placche neuritiche, che sono una delle caratteristiche anatomopatologiche riscontrate negli individui affetti dal morbo di Alzheimer.

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Il decorso della malattia in genere è abbastanza lento (la malattia ha una durata all’incirca di 8-10 anni) ed esordisce in maniera subdola con manifestazioni cliniche che non sempre vengono riconosciute ed identificate.

Comunemente il primo sintomo è la compromissione della memoria, che di solito è sfumata, da qui in poi la malattia progredisce con velocità variabile verso un completo decadimento cognitivo e funzionale.

La malattia è anticipata da una fase denominata Mild Cognitive Impairment (MCI), che non sempre è indicativo di Alzheimer, ma che nel 50% dei casi progredisce ad Alzheimer in 4 anni.

Si può dividere clinicamente la malattia in tre stadi: precoce, intermedio e avanzato. Il paziente presenterà progressivamente diversi deficit neurologici quali amnesia anterograda progressiva, agnosia, anomia, aprassia, acalculia, agrafia, disorientamento spazio-temporale. Nelle fasi avanzate compaiono importanti problematiche nel comportamento e disturbi dell’umore come ansia, depressione, allucinazioni e deliri. Nella fase finale i pazienti diventano rigidi, muti, incontinenti e costretti all’allettamento.

La terapia della malattia mira ad un controllo dei sintomi in quanto allo stato attuale non esistono farmaci in grado di rallentarne il decorso.

Vengono utilizzati inibitori dell’acetilcolinesterasi come Donepezil, Galantamina e Rivastigmina che aumentano la disponibilità cerebrale di acetilcolina.

Nelle forme avanzate si utilizza anche la Memantina, che invece agisce bloccando i recettori NMDA che verrebbero over stimolati dal glutammato.

Questi farmaci sono stati testati anche in associazione nelle forme moderate-severe e danno un apparente rallentamento della progressione e un miglioramento del funzionamento dell’individuo.

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Per controllare i disturbi dell’umore associati si utilizzano SSRI (che non sono controindicati in quanto hanno scarsi effetti anticolinergici), o gli antipsicotici atipici a piccole dosi (Risperidone, Quietapina, Olanzapina).

Sono stati testati vaccini contro la Aβ42, inibitori della β e γ-secretasi ma, sebbene nel modello animale avessero dato segno di funzionare, nell’uomo non hanno prodotto i risultati sperati.

La diagnosi di questa malattia si avvale di test neuropsicologici come il Mini Mental State Examination che è un test che valuta la presenza di deficit nella capacità intellettiva e il livello di deterioramento cognitivo (Fig.2). Questo test è composto da 30 domande divise in 6 aree: orientamento spazio-temporale, registrazione di parole, attenzione e calcolo, rievocazione, linguaggio e prassia costruttiva; assegna un punteggio totale massimo di 30 ai soggetti senza deficit.

Si utilizza anche per una valutazione nel tempo del decadimento, in quanto i malati di Alzheimer perdono in media dai 2 ai 4 punti/anno nel MMSE.

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Fig.2 “Mini mental state test, Oxford Medical Education”

Oltre alla valutazione neuropsicologica è possibile avvalersi dell’imaging attraverso la PET e la SPECT che dimostrano zone di ipoperfusione e ipometabolismo a livello delle aree colpite dalla malattia.

Un esame più specifico, di recente introduzione è la PiB-PET che utilizza un radiotracciante (Pittsburgh compound B) che va a legarsi selettivamente all’Aβ e che permette di predire lo sviluppo o meno della malattia di Alzheimer e quindi di identificare la malattia in uno stadio preclinico.

A questo punto, grazie ai criteri NINCDS-ARDRA (che sono stati aggiornati nel 2007), proposti dal National Institute of Neurological and Communicative Disorders and Stroke e dall’ Alzheimer's Disease and Related Disorders Association negli anni ’80 circa, in base a determinate caratteristiche cliniche e ai risultati dei test neuropsicologici si riesce a definire una probabile, possibile o improbabile diagnosi di malattia di Alzheimer.

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La diagnosi di certezza si può effettuare solamente con la una conferma istologica alla autopsia o alla biopsia.

Allo studio autoptico infatti la malattia ha delle caratteristiche peculiari: nella maggior parte degli individui affetti è stata messa in evidenza un’atrofia dell’encefalo, in particolar modo a livello dei lobi frontali, temporali e parietali, i solchi parietali risultano ingranditi e il parenchima viene sostituito dall’ampliamento dei ventricoli cerebrali. Le regioni che di solito sono coinvolte precocemente ossia l’ippocampo, la corteccia entorinale e l’amigdala vanno incontro ad un’atrofia marcata che giustifica le gravi manifestazioni cliniche a livello mnemonico e comportamentale.

A livello microscopico si riscontra la presenza di placche amiloidi, di ammassi neurofibrillari e una imponente rarefazione neuronale. Questi rilievi in misura minore possono essere presenti nel normale invecchiamento cerebrale.

Nell’ipotesi classica il processo di degenerazione viene quindi messo in relazione con la formazione di placche dette senili o neuritiche (20-200μm) che sono formate da processi neuronali dilatati localizzati intorno ad un nucleo centrale di amiloide che spesso viene contornato da un alone chiaro; alla periferia della placca troviamo astrociti reattivi e cellule della microglia. Queste strutture sono per lo più situate a livello dell’ippocampo, dell’amigdala e della neocorteccia.

L’amiloide è una sostanza peculiare che può essere messa in evidenza all’esame istologico con un colorante particolare, detto rosso Congo, che mette in evidenza questi nuclei centrali che diventano di colore verde.

Il principale componente del nucleo è l’Aβ, una catena polipeptidica che deriva dal clivaggio di una proteina transmembrana di nome APP (proteina precursore dell’amiloide) e che è coinvolta in numerosi processi fisiologici.

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Sono presenti anche altre lesioni denominate placche diffuse che non presentano una reazione circostante e si trovano perlopiù a livello della parte superficiale della corteccia, nei gangli della base e nella corteccia cerebellare. Queste contengono esclusivamente la variante Aβ42 e nella patogenesi della malattia rappresenterebbero la fase precoce di formazione delle placche amiloidi.

Oltre alle placche neuritiche a livello istologico ritroviamo la presenza di ammassi neurofibrillari all’interno del citoplasma dei neuroni, i quali assumono forme diverse in base al tipo di cellula interessata, sono insolubili e quindi sono visibili anche tempo dopo la morte neuronale; questi possono essere messi in evidenza con colorazioni argentiche. Sono formati da filamenti a doppia elica o filamenti lineari e sono composti perlopiù dalla forma eccessivamente fosforilata della proteina Tau. Tau fisiologicamente facilita l’assemblaggio dei microtubuli, permettendo in questo modo il trasporto assonale e quindi il corretto funzionamento dei neuroni.

Altro reperto istologico presente nella malattia sono i corpi di Hirano che sono costituiti da actina e si formano nelle cellule piramidali dell’ippocampo. Infine si osserva sempre l’angiopatia amiloide cerebrale che consiste nella deposizione di amiloide, prevalentemente Aβ40, a livello delle pareti dei vasi del circolo cerebrale.

Dal punto di vista biochimico si assiste ad una diminuzione dei livelli di acetilcolina, di colina-acetiltransferasi e di recettori nicotinici (degenerazione dei nuclei colinergici nel nucleo basale di Meynert) e ad una deplezione di noradrenalina e serotonina per interessamento di strutture tronco encefaliche come il locus coeruleus e il rafe dorsale.

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La patogenesi di questa malattia non è nota in tutti i suoi passaggi ma l’ipotesi classica indica come anomalia cardine di questo morbo la deposizione di Aβ che deriva, come precedentemente detto, dall’APP.

L’APP viene processata tramite clivaggio da parte di tre enzimi: α, β e γ-secretasi. Fisiologicamente questo processo viene, per la maggior parte, mediato dall’α e dalla β-secretasi che, scindendo il polipeptide, non danno luogo ad Aβ.

Nella via amiloidogenetica invece APP viene processato prima dalla β e in seguito γ-secretasi e come prodotto si ha la formazione del peptide neurotossico.

Il clivaggio della γ-secretasi può interessare diversi siti, perciò si ha la formazione delle due varianti Aβ40 e Aβ42.

La gamma secretasi è formata da quattro componenti: preseniline, nicastrine, PEN 2 e APH-1.

In condizioni normali la Aβ viene prodotta in piccola parte ma viene degradata da proteine come la neprilisina (la peptidasi che degrada l’insulina) e dall’enzima di conversione dell’endotelina ed è eliminata dal cervello tramite un processo bilanciato dall’efflusso mediato da proteine correlate al recettore delle lipoproteine a bassa densità e dall’influsso che è mediato dal recettore per i prodotti avanzati di glicazione (RAGE).

Nella malattia di Alzheimer si ha lo sbilanciamento tra produzione e clearance di Aβ e si ha sia un aumento della produzione di Aβ (in particolar modo nelle forme familiari che prevedono mutazioni di APP, PS1, PS2.) sia una diminuzione della sua clearance e tutto ciò causa l’accumulo di peptide amiloide.

Aβ quando si accumula tende a cambiare la sua conformazione aumentando la quantità di struttura a β-foglietto e acquisendo così una spiccata tendenza ad aggregarsi.

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Dapprima forma oligomeri che provocano la morte cellulare dei neuroni e interferiscono con il funzionamento delle sinapsi e infine si organizzano in fibrille che portano alla formazione delle placche senili, inizialmente in forma di placche diffuse ricche in Aβ42.

L’organismo risponde alla presenza di queste placche con una reazione infiammatoria da parte della microglia e degli astrociti che cercano di rimuovere gli aggregati, ma che in realtà, attraverso i mediatori dell’infiammazione danno stress ossidativo che altera l’omeostasi ionica e porta a disfunzione neuronale e deficit dei neurotrasmettitori.

Inoltre la presenza di Aβ e lo stress ossidativo fanno sì che si abbia una iperfosforilazione della proteina Tau, che in questa forma, tende a creare gli ammassi neurofibrillari[23-27].

Oltre a questa teoria eziopatogenetica attualmente è stata presa in considerazione l’ipotesi che pone all’origine della malattia di Alzheimer una disfunzione di natura vascolare[28-32].

Molti studi epidemiologici mettono in evidenza la comorbidità tra malattia cerebrovascolare e Alzheimer e il riscontro di anormalità nel microcircolo cerebrale.

Le reviews pubblicate da Berislav Zlokovic (Nature 2011) e da Di Marco et al (Neurobiology of Disease 2015) analizzano le cause neurovascolari che portano alla neurodegenerazione nel morbo di Alzheimer.

Sostanzialmente le situazioni che innescherebbero la patogenesi della malattia sarebbero l’ipoperfusione cerebrale (che porta all’ischemia), la disfunzione della barriera ematoencefalica, la disfunzione endoteliale e lo stress ossidativo.

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Sembrerebbe quindi che l’inizio della malattia dipenda da un’ipoperfusione cerebrale che può essere causata dall’età, dall’ipertensione, dal diabete, dall’aterosclerosi e dalla dislipidemia.

Studi epidemiologici infatti hanno riscontrato una maggior incidenza di queste malattie negli individui affetti da Alzheimer.

L’età, le malattie vascolari e cardiache quindi causano ipoperfusione, questo porta ad una riduzione dell’apporto di ossigeno, di glucosio e nutrienti e ciò danneggia direttamente le cellule cerebrali e la barriera emato-encefalica (BEE).

Questa struttura è formata dall’endotelio, dai periciti e dalle cellule gliali che stanno intorno all’endotelio. La disfunzione della BEE promuove lo stress ossidativo l’infiammazione e compromette il trasporto di glucosio, la permeabilità della BEE, la disregolazione del NO e del trasporto dell’Aβ che tende ad accumularsi.

Quindi si verrebbe a creare un circolo vizioso nel quale la perfusione cerebrale si riduce ulteriormente e accelererebbe il processo neurodegenerativo.

Il deficit colinergico conseguente alla disfunzione neuronale inoltre risulta in una denervazione del circolo cerebrale che diminuisce ancor di più il flusso.

L’ischemia causa degenerazione delle cellule endoteliali e dei periciti che si distaccano e, poiché collaborano nella regolazione del tono del microcircolo, portano ad un aumento della disfunzione del microcircolo e ad un ulteriore peggioramento del flusso cerebrale.

L’Aβ che si accumula inoltre non è inerte ma interagisce con l’endotelio diminuendo la produzione di NO e aumentando ulteriormente la permeabilità della BEE. Infatti una caratteristica comune dell’invecchiamento e della malattia cerebrovascolare è la diminuzione della produzione endoteliale di NO, che risulta in un diminuito flusso vascolare regionale e quindi in ulteriore accumulo di ROS[30-32].

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Negli animali da esperimento effettivamente l’inibizione della eNOS (fonte primaria di NO endoteliale) ha portato ad un peggioramento della memoria spaziale [33].

In definitiva quindi l’ipoperfusione cerebrale, l’alterata permeabilità della BEE, lo stress ossidativo, l’infiammazione, la disfunzione mitocondriale, l’interazione Aβ-endotelio e la disfunzione endoteliale sono visti come un circolo vizioso che potrebbe essere alla base della patogenesi della malattia di Alzheimer.

Tutto ciò sarebbe confermato allo studio autoptico in quanto nelle zone coinvolte dalla malattia il microcircolo cerebrale appare alterato, i vasi collassati e l’endotelio degenerato.

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27 2.5 DONEPEZIL

Il Donepezil, come già detto, è uno dei farmaci sintomatici più utilizzati nella malattia di Alzheimer.

Svolge la sua azione selettivamente a livello centrale tramite inibizione dell’acetilcolinesterasi, enzima che idrolizza l’acetilcolina, aumentando quindi la concentrazione di neurotrasmettitore disponibile.

Si utilizza quindi come sintomatico in quanto è stato dimostrato che le manifestazioni cliniche della malattia sono legate ad un deficit di questo neurotrasmettitore[34].

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2.6 MODELLI PER LO STUDIO DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER

Per lo studio della malattia di Alzheimer è disponibile un modello murino denominato SAMP8 (Senescence Accelerated Mouse Prone 8) spontaneamente sviluppatosi dall’incrocio di coppie di topi AKR/J, che sono ceppi che alla nascita esprimono in tutti i tessuti il retrovirus AKV.

Per l’utilizzo sperimentale di questo ceppo è anche disponibile un controllo negativo denominato SAMR1, sempre derivante da AKR/J, che però presenta un invecchiamento fisiologico.

SAMP8 non iperesprime le mutazioni genetiche che portano allo sviluppo della malattia di Alzheimer “early onset”, percui è un ottimo modello per studiare lo sviluppo sporadico della malattia.

Questo ceppo presenta precocemente deficit mnemonici, di apprendimento e di orientamento spaziale insieme alle altre caratteristiche tipiche della malattia di Alzheimer. I soggetti femminili hanno queste caratteristiche in maniera molto minore rispetto al maschio e per questo negli esperimenti si utilizzano generalmente i soggetti maschi.

I loro encefali microscopicamente presentano una riduzione nella densità neuronale, aumento della gliosi e un accumulo di granuli e vacuoli PAS-positivi nella formazione reticolare. Si ha iperproduzione di un composto simile alla beta amiloide, però la formazione di placche amiloidi avviene in tarda età (circa 20 mesi), mentre i deficit sono riscontrati più precocemente (4-6 mesi), per cui si pensa che in questo modello non siano le placche a causare i deficit mnemonici.

Le caratteristiche principali di questo ceppo sono: l’aumento del danno ossidativo, l’iperfosforilazione della proteina Tau, la diminuzione dell’attività della

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colina-29

acetiltransferasi, l’aumento dell’espressione delle preseniline, l’alterata funzione dei recettori NMDA, l’aumento dell’attività della NO sintasi neuronale.

In questi topi si osserva quindi un importante incremento del danno ossidativo, generato principalmente dalla disfunzione mitocondriale che dipende da anormalità nel DNA mitocondriale ed è alimentata dalla deposizione di β-amiloide.

Ciò è stato messo in evidenza con il riscontro di un aumento di malondialdeide (indice di perossidazione lipidica) e di una diminuzione dei livelli di superossido dismutasi.

Si crea così in SAMP8 un circolo vizioso che porta a danno neuronale, a danneggiamento della barriera ematoencefalica e neurodegenerazione, al conseguente decremento dell’efflusso di Aβ e alla produzione di citochine infiammatorie. Tutto ciò aumenta la deposizione di β-amiloide che, come detto prima, porta alla disfunzione mitocondriale.

Non è stato ancora ben compreso se il primum movens sia il danno mitocondriale o la deposizione di Aβ ma pare che contribuiscano entrambi ad autoalimentare questo circolo vizioso patologico[35].

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2.7 STUDI SUL CIRCOLO PERIFERCO DEL MODELLO SAMP 8

Non sono attualmente disponibili molti studi riguardo il circolo periferico in questo modello.

Sono stati esaminati segmenti di Aorta toracica ed è stato riscontrato che, nei topi SAMP8, i vasi mostrano un’aumentata contrattilità e che l’endotelio diventa disfunzionale e perde la normale capacità di contrastare l’azione del muscolo liscio [36].

Sono state studiate femmine dei ceppi SAMP8 ed è stata dimostrata un’aumentata risposta contrattile dell’Aorta al TXA2[37].

Inoltre, è stato dimostrato che tale alterazione nell’Aorta dipenderebbe da una riduzione dell’espressione di eNOS[38].

Dall’analisi di aorte di femmine di SAMP8 ovariectomizzate è stato invece dimostrato che l’assenza di estrogeni aumenta l’attività della COX, che riduce la disponibilità di NO, così modificando la risposta contrattile al TXA2 (di questo studio è presente solo un abstract e i dati sono parziali)[39].

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3. SCOPO DELLO STUDIO

Il ceppo murino SAMP8, come detto precedentemente, rappresenta un ottimo modello per lo studio della malattia di Alzheimer, per cui questi esemplari sono stati ampiamente analizzati per quanto riguarda le caratteristiche neuropatologiche e comportamentali.

Lo studio è stato ispirato principalmente dalle più recenti conoscenze che riguardano la patogenesi della malattia di Alzheimer e che indicherebbero come

primum movens una disfunzione vascolare a livello centrale, come spiegato

precedentemente.

In più, il fatto che non siano presenti molti studi che vadano ad analizzare se ci siano alterazioni anche a livello del microcircolo periferico in questo modello, ha aperto la strada a questa tesi.

Si è posto, quindi, come scopo principale, quello di valutare la funzione endoteliale del microcircolo, tramite la miografia a pressione, utilizzando arterie mesenteriche isolate da esemplari di SAMP8, SAMR1 e SAMP8 trattati con Donepezil e quindi di andare a comparare gli studi di funzionalità vascolare.

In questo modo è stato possibile verificare se in questi esemplari patologici fosse presente disfunzione endoteliale, individuare le componenti preponderanti alla base di questa disfunzione e se la terapia con Donepezil, farmaco principe nel trattamento sintomatico della malattia di Alzheimer, oltre alla ben nota inibizione dell’acetilcolinesterasi a livello centrale, avesse una qualche azione anche a livello vascolare periferico.

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4. MATERIALI E METODI

Popolazione studiata

Per questo studio sono stati utilizzati 8 esemplari di topi SAMP8 e 5 di controlli negativi SAMR1.

Sono stati divisi in 3 gruppi:

 Gruppo 1: 5 esemplari di SAMR1 come controllo non patologico  Gruppo 2: 4 esemplari di SAMP8 come controllo patologico  Gruppo 3: 4 esemplari di SAMP8 trattati con Donepezil

Trattamento

Il trattamento con Donepezil nel gruppo 3 è durato 8 settimane (da 4 fino ai 6 mesi di età) ed è stato effettuato tramite sonda intragastrica (gavage) in dosi di 5mg/kg/ die.

Gli esemplari di tutti i gruppi sono stati sacrificati all’età di 6 mesi.

Preparazione delle piccole arterie ed esperimenti funzionali

Sono stati prelevati gli intestini dei soggetti e conservati per breve tempo in una soluzione di Krebs (mM: NaHCO3 25.0; Glucosio 5.5; NaCl 120.0; KCL 4.7; CaCl2 2.5; EDTA 0.026; KH2PO4 1.18) a 4°C per mantenerne la vitalità.

Sono stati posizionati in una piastra di Petri all’interno della quale, tramite ausilio di microscopio ottico bifocale e pinzette molto sottili, sono state isolate le arterie mesenteriche, liberandole anche dal grasso periavventiziale.

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Queste arterie sono state quindi posizionate in una apposita camera riscaldata a 37 °C contenente Krebs ed inserite e legate tramite un filo di seta alle due estremità di due microcannule di vetro.

Le microcannule devono essere posizionate in modo da risultare parallele al lume del vaso.

Il vaso è mantenuto vitale durante tutto l’esperimento da una soluzione di Krebs saturata di carbogeno (miscela contenente ossigeno al 95% e anidride carbonica al 5%) a un PH di 7.4 e a una temperatura fisiologica di 37 °C e che viene fatta passare all’interno del suo lume.

Per tutta la durata dell’esperimento viene mantenuta una pressione di 45mmHg. Con l’ausilio di un microscopio ottico e di una telecamera collegata al monitor del computer è stato possibile vedere ad occhio nudo e in diretta nel monitor la vasodilatazione o vasocostrizione dell’arteria isolata.

L’entità del movimento del vaso è stata calcolata direttamente dal programma Myoview ed espressa in micron.

Le sostanze da testare sono state infuse nel lato extraluminale dell’arteria tramite una pompa peristaltica a flusso costante (circa 4ml/min).

Prima di iniziare il trattamento con le sostanze in esame, una volta finito l’allestimento, è stata valutata la vitalità dell’arteria. A tale fine, l’arteria è stata trattata, tramite infusione extraluminale, con una soluzione contenente una elevata concentrazione di KCl (125mmol/L). Le arterie vengono considerate vitali se mostrano una riduzione del lume maggiore del 40%.

Una volta appurato che l’arteria allestita è vitale, è stata lavata per 30 minuti con Krebs e successivamente sono state effettuate misurazioni basali del lume e della parete del vaso.

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Attraverso l’incubazione con norepinefrina (1 μM per 4 minuti) viene indotta la vasocostrizione e viene di nuovo misurato il lume.

A questo punto vengono somministrate concentrazioni progressivamente crescenti di Ach (da 10-8 a 10-4 M) e per ogni step è stata valutata la risposta vasodilatatoria

mediante misurazione del lume.

Oltre a ciò, la risposta vasodilatante a concentrazioni crescenti di Ach è stata valutata anche dopo incubazione di 30’ con L-NAME (10-8mol/L).

In seguito a 30’ di lavaggio con il Krebs è stata utilizzata l’incubazione di 30’ con Acido Ascorbico (100mMol/L).

Come ultimo step, sempre previo lavaggio tramite Krebs, sono state incubate 30’ con una miscela di L-NAME e Acido Ascorbico.

L-NAME è un inibitore di eNOS e quindi va ad impedire la formazione di ossido nitrico e perciò dovrebbe indurre una riduzione della risposta vasodilatante all’Ach. L’Acido Ascorbico invece è un composto con proprietà antiossidanti e che dovrebbe in questo modo ridurre la quantità di stress ossidativo e quindi migliorare la risposta vasodilatante all’Ach.

Analisi dei dati

I dati ricavati per ogni gruppo sono stati analizzati tramite test ANOVA per misure ripetute. P < 0.05 è stata considerata statisticamente significativa.

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5. RISULTATI

Per tutte le 8 settimane di durata del trattamento con Donepezil i topi non hanno presentato alcun tipo di effetto collaterale, inoltre il gruppo trattato ha mostrato miglioramenti nel comportamento visibili alla semplice osservazione (dati non disponibili).

Il gruppo degli esemplari SAMR 1 presenta una normale risposta vasodilatante alla somministrazione di concentrazioni crescenti di Ach, con il diametro del vaso che progressivamente ritorna a valori prossimi al basale (98%). La co-incubazione con L-NAME induce una significativa inibizione della risposta vasodilatatoria all’Ach. La incubazione con Acido Ascorbico non induce alcuna modificazione della risposta vasodilatatoria all’Ach. Inoltre, la presenza di Acido Ascorbico non modifica in alcun modo l’effetto inibitorio della L-NAME sulla vasodilatazione endotelio-dipendente. (Fig.3).

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Il gruppo di topi SAMP8 non trattati mostra una significativa riduzione della risposta vasodilatante all’Ach rispetto al gruppo di controllo SAMR1. La concomitante incubazione con L-NAME induce una inibizione della vasodilatazione Ach-mediata che tuttavia risulta significativamente minore rispetto a quella ottenuta nel gruppo di controllo.

In presenza di Acido Ascorbico si osserva un significativo potenziamento della vasodilatazione Ach-mediata che risulta quindi sovrapponibile alla risposta vascolare del gruppo SAMR1. In presenza dell’antiossidante, l’effetto inibitorio della L-NAME sulla vasodilatazione endotelio-dipendente risulta potenziato e simile a quello riscontrato nel gruppo di controllo (Fig.4).

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Il gruppo dei topi SAMP8 trattati con Donepezil mostra una risposta vasodilatante all’Ach pari al 98%, quindi decisamente maggiore rispetto agli esemplari non trattati e del tutto sovrapponibile al gruppo SAMR1.

Dopo incubazione con L-NAME si ha una riduzione della vasodilatazione Ach-mediata (65%), ma in misura maggiore rispetto al gruppo degli animali non trattati (SAMP8) e simile a quella osservata nei controlli negativi.

L’Acido Ascorbico non modifica la vasodilatazione endotelio-dipendente né l’effetto inibitorio della L-NAME sulla risposta vascolare all’Ach (Fig.5).

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7. DISCUSSIONE

I risultati ottenuti nello studio della funzionalità vascolare possono essere ritenuti molto interessanti poiché, per quanto riguarda il modello SAMP8, evidenziano come sia sicuramente presente disfunzione endoteliale a livello del microcircolo periferico.

Questo è dimostrato dal fatto che la risposta ad Acetilcolina in questi esemplari è ridotta (83%) rispetto al controllo negativo SAMR1 (98%).

Il dato che l’incubazione con L-NAME induca una ridotta inibizione della risposta vasodilatante all’Ach denota la presenza di una ridotta biodisponibilità di NO. Infine, è da osservare che la incubazione di queste arteriole con Acido Ascorbico induce la normalizzazione della vasodilatazione endotelio-dipendente ed inoltre determina un significativo aumento dell’effetto inibitorio di L-NAME sulla vasodilatazione Ach-mediata.

Tutto questo porta ad indicare che in questo modello animale di degenerazione cognitiva a livello del microcircolo periferico si determina la presenza di una alterata funzione endoteliale, legata ad una ridotta biodisponibilità di NO conseguente ad un aumentato stress ossidativo intravascolare.

Altro dato interessante emerso durante questo studio è stato il fatto che gli esemplari SAMP8 trattati con Donepezil abbiano una risposta vasodilatante all’Ach (95%) vicina a quella dei controlli sani SAMR1 (98%).

Da ciò sembrerebbe che l’utilizzo di questo farmaco sintomatico migliori anche la funzione dell’endotelio nell’animale da esperimento.

In particolare, si è osservato che in questi esemplari l’effetto inibitorio della L-NAME sulla risposta vascolare all’Ach è decisamente migliorata.

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Inoltre, in questo gruppo di animali la concomitante incubazione con Acido Ascorbico non esercita alcun effetto vascolare, né sulla risposta all’Ach né sull’effetto inibitorio di L-NAME.

Tutto questo ci consente di concludere che la terapia cronica con Donepezil induce un importante beneficio in termini di funzione vascolare.

In particolare, induce la normalizzazione della vasodilatazione endotelio-dipendente, un effetto legato ad un miglioramento della biodisponibilità di NO. Il dato che in presenza di Donepezil l’infusione acuta di Acido Ascorbico non eserciti in alcun modo alcun effetto vascolare induce a suggerire che l’effetto protettivo di questo farmaco sulla funzione endoteliale possa essere mediata da una proprietà antiossidante di Donepezil, che in qualche modo mimi l’effetto antiossidante di Acido Ascorbico.

Questo dato è completamente in accordo con quanto postulato in recenti studi che sono andati a valutare se il Donepezil avesse un qualche effetto antiossidante oltre all’effetto noto di aumento dei livelli di Ach a livello centrale.

In particolare è stato dimostrato che in un modello murino con demenza streptozocina-indotta il trattamento con Donepezil modifica i livelli di markers biochimici di stress ossidativo come glutatione (che aumenta) e malondialdeide (che diminuisce). Tutto ciò conferma quanto postulato nel nostro studio[40]. In considerazione dei risultati ottenuti nella presente tesi, sarebbe auspicabile, tenuto conto delle numerose evidenze che pongono all’origine della malattia di Alzheimer una disfunzione di tipo vascolare, che ulteriori studi futuri andassero a valutare se gli effetti protettivi che abbiamo evidenziato a livello del microcircolo periferico esistano anche a livello centrale.

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Inoltre sarebbe opportuno indagare anche se, il miglioramento sintomatico dato dal Donepezil, possa essere in qualche modo collegato alla sua presunta funzione antiossidante. Ach L-NAME AC. ASCORBICO AC. ASC+ LNAME SAMR 1 98% 62% 98% 57% SAMP 8 83% 55% 95% 55% SAMP 8+DONEPEZIL 95% 65% 98% 60%

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7. RINGRAZIAMENTI

Desidero innanzitutto ringraziare il prof. Agostino Virdis per avermi permesso di partecipare attivamente a questo studio, per la sua grande pazienza e disponibilità nel guidarmi nella stesura di questa tesi. Lo ringrazio per aver messo a mia disposizione la sua enorme esperienza e capacità in campo medico.

Spero vivamente che abbia apprezzato la nostra collaborazione e auspico che questa possa continuare anche dopo il termine del lavoro di tesi.

Ringrazio Emiliano per l’immenso lavoro svolto “dietro le quinte”, per avermi sopportato e supportato nella parte sperimentale e per avermi dato un esempio lampante di cosa significhi essere entusiasti del proprio lavoro.

Voglio ringraziare tutta la mia famiglia, i miei genitori Claudio e Ida per avermi permesso di studiare sempre senza mai preoccuparmi di nient’altro, mia nonna Lilia, mia sorella Linda e tutte le persone che in un modo o nell’altro mi sono state vicine.

Ringrazio Francesca per essermi stata accanto ogni giorno durante questo percorso e per avermi dato la forza e la tranquillità per affrontare tutte le difficoltà che si sono messe tra me e il raggiungimento di questo traguardo, sei stata veramente fondamentale.

Ringrazio Chiara, Claudio, Filippo, Gaia, Matteo, Pamela, Riccardo, Rosa e tutti gli altri colleghi con i quali ho condiviso le ansie e le gioie che questo corso di Laurea ci ha dato.

Infine, voglio ringraziare Alessandro per avermi insegnato cosa significhi essere veramente un medico sia professionalmente che eticamente e per avermi trasmesso l’immensa passione che dedica nel suo lavoro.

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