UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA
Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere
Corso di laurea in Filosofia e Forme del Sapere
CERVELLETTO
UNA CRONACA DI CONGETTURE E INDAGINI
RELATORE
Claudio Pogliano
CORRELATORE
Mario Pirchio
CANDIDATO
Lorenzo Costa
ANNO ACCADEMICO 2016/2017
Indice
Introduzione p. 3
1. La storia della ricerca cerebellare dalle origini al Settecento p. 10 2. L’impresa anatomica di Malacarne p. 21 3. Gall e l’inizio della fisiologia sperimentale di Rolando e Flourens p. 37 4. Il cervelletto e l’equilibrio: Magendie e Ferrier p. 74 5. L’inizio degli studi localizzazionistici e i contributi clinici: Jackson e Babinski p. 87 6. La concezione unitaria della fisiologia cerebellare p. 96
6.1 Gli studi neuroistologici p. 96 6.2 L’opera di Luciani e Sherrington p. 114 Bibliografia p. 138
Introduzione.
È molto difficile, se non pressoché impossibile, reperire studi monografici dedicati alla storia della ricerca cerebellare, alle indagini che sul cervelletto sono state condotte nei secoli passati e alle scoperte a cui hanno portato. Quella storia è sempre presentata in capitoli di monografie più vaste o in brevi articoli pubblicati spesso su riviste a carattere scientifico. Talvolta, in occasione della celebrazione di un anniversario relativo a un autore, si possono trovare brevi scritti che, dopo averne raccontato vita e attività, mettono in luce gli aspetti più innovativi e validi ancora oggi. Tuttavia la storia della scienza non ha il compito di celebrare le ricerche passate e mostrarne la possibile utilità per i contemporanei, bensì quello di ricostruire accuratamente pratiche e teorie che si sono succedute, evitando quanto più possibile di giudicarle dal punto di vista del presente.
Molti sono i volumi scritti attorno alla storia delle neuroscienze - un termine coniato solo nel 1962 - dall’antichità ai più recenti sviluppi, e il cervello è sempre, in ogni caso, il protagonista assoluto. Indubbiamente riveste il ruolo principale per la fisiologia del sistema nervoso e dell’intero organismo in generale, sia dell’uomo sia degli altri animali.
Il cervelletto fu visto, fin dall’età classica, a causa della sua sede anatomica e delle sue ridotte dimensioni, come un organo di tipo appendicolare, quasi una sorta di emanazione degli emisferi cerebrali. Quale potesse essere il suo ruolo, la sua utilità all’interno dell’organismo rimase per molti secoli oggetto di dibattito. Tuttavia si possono identificare alcune ipotesi che hanno avuto maggiore successo, sia per la loro capacità di colpire l’attenzione, sia per i riscontri di tipo sperimentale che ebbero.
Il tentativo di questo lavoro è appunto quello di ripercorrere, per sommi capi, la storia della ricerca cerebellare, dedicando al XIX secolo un’attenzione speciale, attraverso la presentazione delle ricerche, più o meno importanti e influenti, di alcuni dei maggiori studiosi.
Per quanto possa essere azzardato e a tratti arbitrario separare troppo nettamente l’anatomia dalla fisiologia, si è creduto di dover adottare questo procedimento perché, al di là di possibili considerazioni sul rapporto stretto che intercorre tra le due discipline, la maggior parte degli studiosi dimostra di tenere ben distinti i due ambiti.
La storia dell’anatomia cerebellare inizia con le prime osservazioni condotte a occhio nudo su uomini o, molto più frequentemente, su
animali di differenti specie e con la descrizione delle caratteristiche più evidenti dell’organo. È interessante notare come una delle particolarità che più attrassero l’attenzione fu la radicale differenza delle lamelle cerebellari rispetto alle circonvoluzioni cerebrali. Ciò che colpì l’attenzione fu soprattutto l’ordine e la regolarità che le caratterizzava. Mentre infatti la corteccia cerebrale appariva una superficie dall’aspetto caotico, privo di raziocinio, somigliante alla disposizione dell’intestino, i ripiegamenti del cervelletto, sottili e paralleli gli uni agli altri, orientati con precisione a seconda dei lobi, suggerivano un ordine intrinseco alla natura. Non a caso Thomas Willis, basandosi sulla disposizione delle lamelle, avanzò l’idea che il cervelletto potesse svolgere una funzione automatica e indipendente dalla volontà.
Un’altra componente fondamentale del cervelletto, forse una delle più evidenti quando si procede alla dissezione dell’organo, è quella che gli antichi ribattezzarono arbor vitae, data la caratteristica forma composita dalla sostanza bianca sottocorticale. Il fatto che sia stata notata fin dall’inizio e oggetto di costante descrizione, dimostra come essa rivestito un ruolo importante per la storia dell’anatomia dell’organo.
La struttura anatomica però forse più studiata e descritta è il cosiddetto verme del cervelletto, situato al confine tra i due emisferi laterali. La circostanza è senza dubbio dovuta al ruolo che Galeno, la cui fama fu
vastissima nei secoli successivi, credette opportuno assegnargli, interpretandolo come una valvola atta a regolare il passaggio degli spiriti animali dal quarto ventricolo ai nervi motori.
L’anatomia cerebellare si configura dunque come un’indagine che, ruotando attorno alle tre strutture sopra descritte, andrà nel corso dei secoli definendo con sempre maggiore precisione le caratteristiche dell’organo secondo un percorso abbastanza lineare e progressivo. Autori come Vesalio e Willis, fra gli altri, descrissero ulteriori componenti del cervelletto e costituirono un fondamentale patrimonio finché nel 1776 Malacarne dedicò un’intera opera all’anatomia cerebellare, la prima ad averla come oggetto esclusivo. Se Malacarne fu senza dubbio l’apice dell’impresa anatomica, descrivendo la struttura nel dettaglio e rinnovando in profondità la nomenclatura, il secolo XIX assistette a un rinnovato interesse di tipo microscopico che, grazie a Purkinje, Golgi e Ramón y Cajal, riuscì in meno di cento anni a stabilire con più precisione la struttura fine del cervelletto. Ulteriori indagini a livello macrostrutturale non furono altrettanto innovative.
Se si paragona lo sviluppo degli studi anatomici con quello degli studi fisiologici, la differenza non può essere più evidente. Le teorie sulla funzione del cervelletto furono le più varie: sede della memoria, organo
preposto alle funzioni riproduttive o ai movimenti involontari o ancora a trasmettere movimento, centro della coordinazione o dell’equilibrio, rinforzo necessario ad armonizzare i movimenti.
Alla base del proliferare di ipotesi così disparate si possono individuare diversi fattori come una non sempre precisa capacità di definizione del sintomo o una mancanza di accuratezza nelle misurazioni condotte durante gli esperimenti. Vanno annoverate due ulteriori cause di questa incertezza.
Va anzitutto messo in evidenza come talvolta fenomeni simili fossero interpretati in maniera diversa. È costante nelle opere di numerosi ricercatori un esame della precedente letteratura che, tuttavia, non arriva mai a negare i risultati ottenuti in passato, ma li definisce in maniera diversa, cambiandone il nome e la causa. Accade con Flourens nei confronti di Rolando, con Magendie verso Flourens, con Ferrier o con Luciani rispetto a tutti i predecessori. E d’altra parte l’ambiguità interpretativa di certi fenomeni, che determina il fiorire di teorie contrastanti, è legata a doppio filo all’altro essenziale fattore che per secoli non ha permesso di avere un quadro chiaro della fisiologia cerebellare.
Leggendo le opere di Rolando, Flourens, Magendie e confrontandole con quelle di Ferrier o Luciani, emerge con chiarezza come il progresso
delle tecniche operatorie abbia rappresentato un fattore fondamentale. Bisogna tener conto che i primi esperimenti condotti sul cervelletto, risalenti a Willis e, successivamente, alla fine del Seicento e l’inizio del Settecento, erano praticati con tecniche estremamente rudimentali, incapaci di garantire precisione nel taglio. Gli effetti di emorragie postoperatorie, traumatismi e lesioni al cervello o al tronco encefalico causavano spesso fenomeni non correlati all’attività cerebellare come, talvolta, la paralisi o la morte, dettando ipotesi non corrette.
Se l’anatomia cerebellare può essere fatta risalire sostanzialmente fino a Vesalio, la fisiologia propriamente sperimentale inizia con Willis e i suoi successori nel corso del XVIII secolo, ma solo Rolando e Flourens segneranno una svolta radicale. Gli esperimenti dei due scienziati, infatti, oltre a seguire protocolli più definiti rispetto a quelli dei loro predecessori, furono ripetuti su animali diversi ed ebbero un’influenza duratura. Sono alla base, come riconosciuto da diversi interpreti, della visione unitaria della fisiologia cerebellare, secondo la quale il cervelletto, nell’eseguire le sue funzioni, agisce in maniera omogenea, senza distinzione né a livello corticale, né a livello dei nuclei profondi. Il paradigma unitarista fu un punto di riferimento costante per buona parte dei fisiologi ottocenteschi e condizionò le stesse interpretazioni istologiche. Luciani dedicò a Rolando la sua opera sul cervelletto, Golgi e
Ramón y Cajal concepirono l’attività dell’organo come unitaria e lo stesso fece Sherrington quando assegnò al cervelletto tutto una funzione di tipo propriocettivo.
Sulla scorta di Clarke e O’Malley si è ritenuto necessario includere nel presente lavoro anche il principale contributo clinico del XIX secolo, quello di Babinski, e porre attenzione alle opere di Magendie e Ferrier, entrambi capaci di stabilire un rapporto fra cervelletto ed equilibrio, e al lavoro di Jackson, precedente essenziale per le ricerche sul localizzazionismo cerebellare che si svilupperà nel corso della prima metà del XX secolo.
1. La storia della ricerca cerebellare dalle origini al Settecento.
Le opere più antiche nelle quali viene affrontato per la prima volta lo studio del cervelletto sono tre importanti scritti di Galeno, risalenti al II secolo d.C., il De usu partium, il De placitis Hippocratis et Platonis e il De
anatomicis administrationibus. Grazie alla testimonianza dello stesso Galeno,
si è tuttavia a conoscenza dell’esistenza di studi precedenti e dei contributi che altri autori prima di lui dettero su questo particolare e per molti secoli sottovalutato organo. L’indifferenza riservata al cervelletto d’altra parte non sorprende, vista la sua particolare posizione nella zona posteriore del cranio, al di sotto del lobo occipitale del cervello, perennemente all’ombra del suo fratello maggiore. Aristotele fu il primo a notare questo singolare organo del sistema nervoso centrale e a denominarlo parenkephalis1. Nella sua Historia animalium2 si limitò a
descriverne la posizione nella parte posteriore del capo e la differenza che vista e tatto notano rispetto al cervello3. Per Aristotele il cervelletto
era semplicemente un cervello più piccolo, senza alcuna funzione specifica e con un ruolo prettamente ausiliario, che non meritava alcun ulteriore approfondimento, oltre la constatazione della sua presenza.
1 Clarke, O’Malley (1968, p. 629). 2 Historia animalium 494b.
Sembra che Prassagora di Cos, anch’egli vissuto nel IV secolo a.C., abbia fatto riferimento al cervelletto, distinguendolo dal cervello.4 Egli fu
probabilmente nipote del celebre Ippocrate e maestro del più noto Erofilo di Alessandria, astro della corte alessandrina che, insieme con Erasistrato, collega di poco più giovane, fu capace di intuizioni sorprendentemente profonde e acute, in gran parte andate purtroppo perdute con le loro opere. L’attenzione che i due medici alessandrini rivolsero al ruolo della corteccia cerebrale non fu tuttavia capace di mettere radici e di continuare, vista la maggiore diffusione delle opere galeniche che, pur citando le ricerche precedenti, ruotarono attorno al ruolo dei ventricoli.
Se, secondo Galeno, il contributo di Erofilo alla ricerca sul cervelletto fu minimo e si limitò alla coniazione del termine parenkephalis5 che, come
visto sopra, è peraltro da attribuire ad Aristotele, fu Erasistrato a compiere un’indagine più approfondita e a dare particolare importanza alle circonvoluzioni cerebellari, ipotizzando che la maggiore presenza di ripiegamenti fosse da ricondursi a una maggiore capacità nella corsa.6
Egli notò infatti che negli animali più veloci come i cervi, il cervelletto presentava un aspetto superficialmente più complesso e convoluto. Se di per sé l’ipotesi non è corretta, essa permette tuttavia di segnalare come
4 Clarke, O’Malley (1968, p. 629).
5 De usu partium, VIII, 11 citato da Clarke, O’Malley (1968, p. 630). 6 Finger (2001, p. 14).
Erasistrato abbia saputo, fin da allora, comprendere l’essenzialità delle circonvoluzioni sia del cervelletto sia, ancor più, del cervello.
Solo con Galeno, però, il cervelletto (non umano) venne studiato in maniera dettagliata e furono avanzate precise ipotesi sulla sua fisiologia. Il suo De usu partium non si limitò alla semplice constatazione della sua presenza all’interno della scatola cranica come mera appendice del cervello, ma mise anche in evidenza qualche particolare caratteristica anatomica e suggerì un primo abbozzo di funzione fisiologica. Il medico di Pergamo, infatti, attraverso il suo vastissimo lavoro di ricerca e, elaborò un complesso sistema nel quale ogni organo del corpo aveva, finalisticamente, una funzione determinata e collaborava al mantenimento in vita dell’intero organismo. Anche il cervelletto fu quindi inquadrato all’interno di un preciso ingranaggio che rendeva ragione della sua esistenza, della sua posizione, del suo rapporto con altri organi e della sua anatomia.
La grandezza dell’opera di Galeno si riflette in qualche modo anche nella sua vicenda biografica che lo vide compiere i primi studi a Pergamo, dove nacque, secondo le fonti, nel 129, in un ambiente colto, ricco e stimolante. Dopo aver studiato numerose discipline, conosciuto le principali scuole filosofiche e i princìpi della geometria euclidea, per lui
importantissimi, e aver concluso gli studi medici, iniziò a lavorare in una scuola per gladiatori a Pergamo dove poté approfondire le conoscenze anatomiche facendo esperienza su traumi e ferite e compiere le prime esperienze sul campo.
Con l’arrivo nel 162 a Roma la sua fama crebbe progressivamente tanto da portarlo fino alla corte imperiale dove fu medico personale degli imperatori Marco Aurelio, Lucio Vero, Commodo e Settimio Severo. Solo nell’ultimo trentennio di vita poté dedicarsi alla ricerca a tempo pieno, sgravato di gran parte degli impegni medici presso i vari pazienti. Compose così le sue numerose opere, pervenute soltanto in parte, praticando esperimenti di vivisezione su numerosi animali, soprattutto scimmie. Troppo spesso Galeno trasferì all’uomo i risultati ottenuti sugli animali, ignorando o sottovalutando le differenze esistenti, spesso fondamentali.
Galeno può essere ascritto a quel gruppo di medici, filosofi e scienziati antichi che videro nel cervello e, più in generale, in ciò che era contenuto nella scatola cranica, l’enkephalos, il centro fondamentale dell’organismo, luogo di coordinamento e controllo. Da questo punto di vista si capisce l’importanza che riservò al cervello e al cervelletto e, in particolare, ai ventricoli, cavità situate nelle zone encefaliche più profonde e ripiene di un liquido conosciuto come liquido cefalorachidiano (o liquor) che, oggi
sappiamo, ha la funzione di proteggere il sistema nervoso centrale dagli urti e di controllare eventuali modifiche dell’ambiente interno al cranio. L’anatomia dei ventricoli fu indagata da Galeno traendo vantaggio dall’importante esperienza alessandrina di Erasistrato ed Erofilo7. Così
arrivò a ideare un ingegnoso sistema secondo il quale, a partire dall’aria inspirata dalla bocca e dalle narici, si passa alla produzione di quello pneuma psichico che è lo strumento fondamentale per ogni tipo di attività del sistema nervoso. Secondo la fisiologia galenica, infatti, l’aria inspirata all’interno del corpo si riscalda e, una volta raggiunto il ventricolo sinistro del cuore, diventa pneuma vitale. Sospinto verso il cervello e passando attraverso la cosiddetta rete mirabile (un complesso sistema di vasi sanguigni non presente nell’uomo ma che Galeno osservò in altri mammiferi) e i plessi coroidei, si trasforma in pneuma psichico. Sono i ventricoli anteriori a elaborare il pneuma che da lì passa poi nel terzo ventricolo e, attraverso un canale noto come acquedotto di Silvio, nel quarto, cavità situata esattamente fra il cervelletto, da una parte, e il midollo allungato dall’altra. Il ventricolo posteriore avrebbe il solo scopo di immagazzinare il pneuma per rilasciarlo attraverso i nervi quando sia necessario compiere un qualunque tipo di movimento.
All’interno del sistema ventricolare galenico qui sopra brevemente riassunto il cervelletto svolge un ruolo fondamentale e l’ipotesi che Galeno avanzò si fonda sulle osservazioni condotte lungo tutto l’arco della sua vita. Egli fu tuttavia sempre incline a inserire le conclusioni tratte dalle sue esperienze entro un contesto più generale, tentando continuamente di ricondurre ogni fenomeno fisiologico sotto principi universali ed entro un preciso meccanismo. Si osserva perciò in Galeno una contraddizione tra l’importanza assegnata ai dati osservativi e la tendenza, sempre presente, a postulare l’esistenza di processi fisiologici come i meccanismi pneumatici presenti nel sistema ventricolare non osservabili perché, di fatto, inesistenti.
Secondo Galeno il cervelletto era il punto di origine di tutti quanti i nervi motori presenti nel nostro corpo. Mentre i nervi sensitivi, atti a ricevere le sensazioni dai cinque organi di senso, perciò passivi e investiti dai dati provenienti dal mondo esterno, erano morbidi al tatto, quelli motori, dovendo fungere da canali di trasporto della volontà, facendo passare il pneuma psichico, avrebbero necessariamente dovuto essere più duri e resistenti. Fu così che Galeno distinse due fondamentali tipologie di nervi, attribuendole a parti diverse del sistema nervoso centrale. Se infatti il cervello, più soffice al tatto, doveva di conseguenza essere la sede atta a
ricevere ed elaborare le sensazioni, il cervelletto, più piccolo ma anche più duro, sarebbe servito da ricettacolo per i nervi motori.
Galeno rappresenta senza dubbio l’apice dei contributi sul cervelletto durante l’Antichità, e nel millennio medievale poco o nulla si aggiungerà. Su tutti spicca il medico italiano Guglielmo da Saliceto, chirurgo, nato attorno al 1210 e morto a Piacenza verso il 1277, che esercitò la professione a Bologna prestando consulti anche in altre città come Cremona, Milano, Pavia, Bergamo e Verona. Due furono le sue opere fondamentali: una Chirurgia e una Practica, nei secoli successive pubblicate insieme dai vari stampatori perché pensate dallo stesso autore come complementari.
Se infatti la prima doveva fungeva da manuale per la vera e propria attività chirurgica riportando casi ed esempi presi dall’esperienza sul campo, la seconda si presentava come una sorta di opera programmatica che stabiliva quello che avrebbe dovuto essere la corretta relazione tra chirurgia e medicina. Guglielmo da Saliceto fu uno dei primissimi a proporre quella che sarà poi un’ipotesi di Thomas Willis, circa quattro secoli dopo. Il chirurgo italiano ritenne, infatti, che il cervelletto non andasse collegato a una supposta funzione mnemonica come più volte supposto in passato dai seguaci del sistema galenico nel corso del
Medioevo, ma che fosse invece l’organo preposto ai movimenti non volontari mentre il cervello sarebbe stato il centro coordinatore di quelli volontari.
L’opera di Andrea Vesalio, De humani corporis fabrica, pubblicata nel 1543, ha rappresentato un caposaldo fondamentale per la storia degli studi sul corpo umano grazie anche alla bellezza delle figure che la accompagnano. L’anatomista fiammingo descrive la struttura del cervelletto, ponendo particolare attenzione all’appendice vermiforme, da Galeno concepita come la valvola preposta a lasciar fluire il pneuma dal quarto ventricolo attraverso i nervi. Catani8 sottolinea come Vesalio,
solitamente poco propenso a sbilanciarsi in considerazioni relative all’opera galenica, all’epoca ancora punto di riferimento fondamentale per la fisiologia umana, si pronunci tuttavia in maniera più decisa nei confronti dell’ipotesi che vedeva il verme del cervelletto come un organo regolatore del pneuma. L’appendice vermiforme infatti era inadatta, secondo Vesalio, a ostruire il passaggio tra il quarto ventricolo e il midollo allungato, e, inoltre, non ci sarebbero state ragioni perché tale canale dovesse essere occasionalmente chiuso visto che era necessaria una costante comunicazione tra le varie parti del sistema nervoso per
garantirne una fisiologia regolare. La presenza del cervelletto in animali che, per opinione comune, mancavano di qualsiasi tipo di facoltà mnemonica, indicava in maniera definitiva che per l’organo era da ipotizzarsi una funzione differente.
Il bolognese Costanzo Varolio offrì nuovi spunti per la ricerca cerebellare grazie al nuovo metodo di dissezione da lui utilizzato. Rispetto a Galeno e Vesalio infatti, che esaminavano le strutture encefaliche dall’alto e senza rimuoverle dalla scatola cranica, Varolio preferiva estrarre cervello e cervelletto ed esaminarli dal basso, potendo in tal modo osservare quelle strutture che non erano altrimenti identificabili. Fu così che nel 1573, nello scritto De nervis opticis, egli notò il particolare collegamento tra cervelletto e tronco encefalico e lo paragonò a un vero e proprio ponte. Ancora oggi tale struttura anatomica è conosciuta con il nome di ponte di Varolio, dal nome del suo scopritore. Credendo di notare anche che dal ponte si originava il nervo acustico, Varolio ipotizzò che il cervelletto potesse essere la sede dell’udito e del gusto e, alla luce del suo legame anatomico con gli emisferi cerebrali, anche implicato nel movimento.
Il contributo senza dubbio più importante precedente a quello di Malacarne fu quello che, a metà del Seicento, realizzò l’inglese Thomas Willis. Egli infatti pubblicò la celebre opera Cerebri Anatome in latino nel 1664, tradotta in inglese nel 1681, riscuotendo un grande successo. Oltre alla mera indagine anatomica, Willis avanzò anche delle ipotesi precise sulla funzione del cervelletto, diverse ed inconciliabili con quelle espresse da Galeno più di mille anni prima. Secondo lo studioso inglese infatti il cervelletto non era il centro fondamentale della memoria e il contenitore degli spiriti animali che da esso poi si diffondevano attraverso i nervi, bensì l’organo preposto a tutti i movimenti considerati involontari ed alle funzioni vitali come la respirazione e il battito cardiaco. Le conclusioni del medico inglese furono dovute a diversi tipi di osservazioni. Willis infatti ricorse alla comparazione tra specie differenti ed eseguì egli stesso delle esperienze sul cervelletto per poterne dimostrare la fisiologia9.
Furono però osservazioni di tipo più strettamente anatomico unite, come avverrà anche con Rolando, a una certa forza immaginativa, a suggerire a Willis le sue teorie sul coinvolgimento cerebellare nei movimenti di tipo involontario. Egli infatti notò come l’organo fosse l’origine di alcuni nervi cranici, deputati a funzioni non sottoposte alla volontà, ma soprattutto fu l’apparenza rugosa e regolare della corteccia
del cervelletto, caratterizzata da una serie di lamelle disposte secondo un ordine preciso, a indicare che potesse fungere come una vera e propria macchina completamente automatizzata10. A Willis il cervelletto apparve
come un organo che già a un primissimo e superficiale sguardo suggeriva con evidenza la sua funzione, senza bisogno che la volontà intervenisse sui movimenti eseguiti proprio perché del tutto automatici.
Le tesi sostenute da Willis entrarono però presto in crisi quando, fin dalla fine del Seicento, un crescente numero di studiosi iniziò a condurre esperimenti sul cervelletto senza tuttavia causare la morte degli animali operati. Du Verney rimosse il cervelletto di un piccione nel 1673, secondo la testimonianza di Preston11 e vi sostituì del lino. Pourfour du
Petit, nelle Letters d’un Medecin des Hôpitaux du Roy, a un Autre Medecin de
Ses Amis12, pubblicate nel 1710, eseguì degli interventi sui cani. Lo
studioso francese, dopo aver servito per alcuni anni nell’esercito ed aver potuto osservare con attenzione gli effetti delle ferite di guerra, decise di riprodurre sugli animali lesioni simili, per mezzo della compressione e dell’ablazione di cervello e cervelletto. Kaau-Boerhaave, nell’opera del 1745 Impetum faciens dictum Hippocrati, rimosse delle porzioni di cervelletto
10 Willis (1664, pp. 187-8).
11 Ivi, p. 135 e Clarke, O’Malley (1968, p. 653). 12 Kruger, Swanson (2007, pp. 99-100).
dai cani con l’ausilio di uno stylus e di un culter13. L’italiano Morgagni,
invece, presentò in De sedibus et causis morborum del 1761 interventi sui gatti14 Tali esperienze, tutte ispirate da quelle condotte da Willis,
mostrarono non solo come fosse possibile effettuare asportazioni di parti del cervelletto senza causare l’immediata morte dell’animale, ma anche come, con ogni evidenza, l’organo non fosse coinvolto in processi vitali come la respirazione e il battito cardiaco secondo l’opinione del medico inglese.
2. L’impresa anatomica di Malacarne.
La personalità che più di ogni altra risalta a fine Settecento è senza dubbio quella del celebre medico, anatomista e chirurgo saluzzese Michele Vincenzo Giacinto Malacarne, rappresentante di spicco della ricerca neuroanatomica e figura chiave nella storia delle ricerche sul cervelletto. Le scoperte compiute da Malacarne contribuirono a precisare la struttura anatomica cerebellare e suggerirono una possibile fisiologia dell’organo sulla base di osservazioni attente e ripetute.
13 Kaau Boerhaave (1745, p. 258).
L’influenza esercitata da Malacarne su alcuni dei principali scienziati a lui posteriori o contemporanei come Franz Gall, Félix Vicq d’Azyr, Luigi Rolando fu rilevante e le sue tesi, pur essendo a volte contrastate e criticate, rappresentarono un termine di paragone al quale fu pressoché impossibile sottrarsi.
La conoscenza che Malacarne acquisì dell’anatomia cerebellare portò a scoperte importanti e i risultati furono presentati con tale chiarezza e sistematicità che solo le conquiste istologiche di Purkinje, Ramón y Cajal e Golgi riprenderanno il discorso avviato.
Fin dai primi anni di vita la dimensione più pratica della medicina, avente a che fare con ferite e interventi sul campo, è stato un elemento cruciale per Malacarne. Nato infatti a Saluzzo il 28 settembre 1744, suo padre fu Giuseppe Malacarne, chirurgo militare per gli eserciti del Regno di Sardegna. Nel 1762, seguendo le orme paterne, iniziò a studiare Chirurgia presso il Reale Collegio delle provincie di Torino dove ebbe come maestro Ambrogio Bertrandi, primo chirurgo del re, che gli trasmise l’interesse per la pratica anatomica e chirurgica15. Presso il
Collegio conobbe anche l’amico e ripetitore di Pratica Medica Gianfrancesco Cigna, futuro maestro di Luigi Rolando. Fondamentali
nella formazione di Malacarne furono anche i contributi di Olivieri da Rivalta16, che lo iniziò alla pratica sui cadaveri, e Carlo Giovanni
Brugnone, maestro di anatomia comparata17. Particolare attenzione deve
essere posta su tale disciplina per il ruolo che rivestì nella ricerca malacarniana.
Come evidenzia Cherici nella sua tesi sulla figura del medico saluzzese, l’anatomia comparata può essere intesa come un vero e proprio preambolo alle ricerche sull’anatomia umana. Malacarne infatti fu sempre guidato nelle sue indagini sul sistema nervoso dalla convinzione che l’intero mondo biologico fosse strutturato secondo una precisa gerarchia culminante nell’uomo e che lo studio di animali inferiori potesse essere estremamente utile per la comprensione dell’anatomia cerebellare. D’altronde tale concezione non sarà esclusiva di Malacarne ma si ritroverà, ad esempio, nel Saggio sopra la vera struttura del cervello e sopra le
funzioni del sistema nervoso di Rolando dove è presentata una cospicua serie
di osservazioni condotte su mammiferi, uccelli, pesci, rettili e invertebrati.
Dopo un periodo come ripetitore di Anatomia presso il Collegio Reale di Torino, nel 1775 Malacarne accettò l’incarico di primario chirurgo presso il Liceo di Acqui dove iniziò ad approfondire gli studi sul sistema
16 Cherici (2005, p. 322). 17 Ivi, p. 20.
nervoso centrale e sul cervelletto in particolare. Fu infatti l’anno seguente che la prima opera di letteratura medica esclusivamente dedicata all’anatomia cerebellare, la Nuova esposizione della vera struttura del cervelletto
umano, fu pubblicata. Ad Acqui Malacarne si dedicò anche con grande
impegno alla promozione degli effetti benefici delle acque termali della zona che ritenne particolarmente efficaci nella cura delle ernie.
Di grande importanza fu la pubblicazione nel 1780 dell’Encefalotomia
nuova universale che sintetizzò in una visione d’insieme gli assunti
fondamentali sull’anatomia malacarniana del sistema nervoso. Mentre la prima parte è dedicata alla presentazione delle tecniche chirurgiche più efficaci per poter rimuovere le ossa craniche senza danneggiare le strutture encefaliche sottostanti e la seconda è un’approfondita e dettagliata analisi della struttura del cervello, la terza è una riproposizione dell’opera sul cervelletto del 1776.
Nel 1783 Malacarne fu chiamato dal re Vittorio Amedeo III a Torino per esercitarvi la funzione di chirurgo maggiore della città, della cittadella e delle carceri e in questo periodo dette alle stampe varie opere di chirurgia, anatomia comparata e anatomia normale e patologica. Nel 1785 Malacarne, nel corso di una visita a Ginevra, ebbe l’occasione di incontrare Charles Bonnet, naturalista col quale il medico saluzzese intratteneva un rapporto epistolare da quasi un decennio e aveva
sviluppato un fecondo dialogo intorno alle cause organiche del cretinismo. Le ricerche condotte da Malacarne nel campo di questa patologia, all’epoca diffusa nelle valli piemontesi e valdostane, portarono alla pubblicazione nel 1789 di Sui gozzi e sulla stupidità che in alcuni paesi gli
accompagna, identificando nel cervelletto la più probabile sede organica
alla base delle deficienze intellettive.
Dopo un breve periodo a Pavia e Torino, nel 1794 Malacarne fu chiamato a Padova dove rimase fino alla morte nel 1816 dopo aver insegnato Chirurgia teorico-pratica e Istituzioni chirurgiche e di ostetricia.
Ciò che caratterizza la Nuova esposizione della vera struttura del cervelletto
umano è la sistematica descrizione dell’anatomia cerebellare con un
dettaglio fino allora sconosciuto. Si può dire, in effetti, che l’opera, ovviamente espressione delle visioni e delle tecniche disponibili al suo tempo, segna un momento di svolta nella ricerca cerebellare.
Malacarne stesso, in apertura della sua monografia, riconosce i contributi rilevanti di studiosi precedenti come Vesalio, Varolio, Cartesio, Willis e Haller, ma ne evidenzia anche i limiti e gli errori. Le loro osservazioni relative all’anatomia cerebellare avrebbero avuto grandi limiti e uno
studio nuovo ed approfondito intorno alla struttura del cervelletto meritava di essere pubblicato.
Cherici evidenzia come l’anatomia di Malacarne si possa a tutti gli effetti definire, con una felice espressione, anatomia topografica. Alcuni elementi basilari caratterizzano infatti gli studi di Malacarne e il tipo di disciplina anatomica da lui concepito. La descrizione che il medico saluzzese dà della struttura cerebellare ricorda la descrizione di un paesaggio geografico, dando alla monografia malacarniana un tono decisamente peculiare. Per Malacarne analizzare la morfologia cerebellare significa soprattutto descrivere un luogo, evidenziandone tutte le rispettive caratteristiche fisiche. Già Vesalio, a metà Cinquecento, aveva descritto la struttura del cervelletto; Malacarne fece un passo avanti ottenendo risultati anatomici che si sarebbero imposti come punto di riferimento per i suoi successori.
Malacarne analizzò in dettaglio le varie parti che compongono il cervelletto, organizzando la materia anatomica secondo precise gerarchie, rintracciabili anche nella struttura stessa della monografia. Dopo un primo capitolo introduttivo e una descrizione generale dell’intero organo, sei articoli sono dedicati all’esame dei differenti lobi che costituiscono il cervelletto per poi passare all’esame delle lamine, del verme e di altre parti più profonde. Essenziale nella visione malacarniana è anche il
rapporto che intercorre tra i vari elementi che compongono la struttura cerebellare. Malacarne descrive come lobi, lobetti e foglietti laminosi vadano a inserirsi e collegarsi gli uni con gli altri, intersecandosi e creando spesso quella che è, appunto, una complessa topografia. Per farsi un’idea del modo di procedere di Malacarne basta leggere l’articolo secondo, dedicato al lobo superiore anteriore, dove la descrizione delle varie parti, via via più piccole, è estremamente dettagliata e complessa. Cherici cita con efficacia un passaggio della monografia malacarniana come esempio di quella che la studiosa chiama décomposition e che, si è visto, caratterizza la struttura stessa dell’opera:
Le lamine sono certi nastri sottili, larghi e assai lunghi, leggiermente concavi dall’una delle loro faccie, convessi dall’altra, ordinariamente paralleli, composti d’una sottilissima lisca di sostanza midollare, la quale si eleva dalle faccie d’ogni lastra midollar subalterna, cioè appartenente a cadun lobetto, o foglietto laminoso: sono però aderenti alla rispettiva lastra, donde si elevano per uno dei loro lembi, il quale perciò dicesi fisso, mentre l’altro, che non à veruna aderenza immediata colla lastra, dicesi
libero. Tutte le lamine sono coperte di sostanza cinerizia, o corticale, non
però su tutte così abbondante.18
Un’altra importante innovazione apportata da Malacarne fu a livello strettamente lessicale. Già il fatto di scrivere un’opera scientifica in italiano, pur non essendo certo una novità, soprattutto alla fine del Settecento, rappresentò una scelta consapevole da parte dell’autore che, rifiutando l’adozione del latino, rese comprensibile il suo lavoro a un pubblico più vasto. D’altronde bisogna considerare che il fine ultimo dell’opera del medico saluzzese andava oltre la semplice ricerca scientifica perché l’indagine anatomica condotta aveva anche e soprattutto risvolti pratici. Non si può dimenticare l’importanza che la pratica chirurgica aveva avuto nella vita di Malacarne e i suoi trascorsi come medico militare. Molte sue opere furono dedicate alla tecnica chirurgica, disciplina che egli stesso insegnò ad Acqui e a Padova.
I termini proposti da Malacarne ebbero un certo successo. Il lessico impiegato nella monografia, infatti, non è mai tecnico ed evita costantemente dei diretti calchi dal latino. Spesso nelle descrizioni delle varie parti del cervelletto i termini sono mutuati da un lessico di derivazione quotidiana, con parole collegate ai campi semantici del paesaggio, dell’architettura e del corpo umano stesso. Vengono utilizzate espressioni come valletta, corna, braccia, arco, angolo, pilastro e termini di origine comune come coda, piramide, nocciolo19.
Lo sforzo lessicale di Malacarne fu premiato visto che parte della nomenclatura introdotta all’epoca è ancora oggi in uso. Termini come
piramide e piramidale e amigdala, infatti, si trovano in qualsiasi manuale di
neuroanatomia.
Alla base dell’analisi di Malacarne, di ogni suo attento esame delle varie parti del cervelletto, di ogni suo ingegnoso tentativo di illustrare con precisione la geografia cerebellare, stette sempre la convinzione che, per poter rendere intelligibile un organo così complesso, fosse necessario stabilire un ordine dove all’apparenza sembrava mancare. D’altronde è questa in fondo l’aspirazione di ogni indagine anatomica: mostrare che, laddove sembrano esserci solo caos e confusione, esistono invece una gerarchia e un’organizzazione. Malacarne fu sempre ben consapevole della complessità della struttura che aveva scelto di studiare:
Dalla descrizione sin qui fatta dei lobi, lobetti, foglietti laminosi, e della estensione, disposizione, e numero delle lamine, onde sono formati, si può capire quanto di queste sia varia e confusa la struttura: non sarà perciò fuori di proposito il darne qui una idea in generale quanto più fedele, e schietta mi sie possibile.20
La novità più feconda di risultati fu però la particolare attenzione che Malacarne pose alle differenze e variazioni che spesso si evidenziavano tra cervelletti di individui diversi. Se a una prima considerazione superficiale la nota di Malacarne può apparire non particolarmente significativa e anzi piuttosto ovvia, essa portò tuttavia, in studi successivi, a risultati sorprendenti. L’intera sua indagine riguardante le variazioni tra diversi cervelletti fu sorretta da un principio induttivista di fondo che lo scienziato ebbe sempre ben presente21. Leggendo la monografia
malacarniana ma, ancor più, il breve scritto pubblicato nel 1789 sui gozzi e il cretinismo, emerge come, alla base di ogni ipotesi formulata, ci sia una rigorosa ed ampia raccolta di dati su numerosi pazienti. L’individuazione delle variazioni che caratterizzano il cervelletto fu resa infatti possibile dalle osservazioni che Malacarne condusse a Torino sui cadaveri di numerosi individui di ambo i sessi e di ogni età. L’intera monografia fu basata sull’esame di quarantaquattro cervelletti diversi. In Malacarne è pure evidente una certa tendenza alla catalogazione e alla raccolta di dati osservativi che non poté mai essere pienamente realizzata per la carenza di cadaveri sui quali effettuare i dovuti esami. Solo la scuola parigina poté, sottolinea Pogliano22, elaborare un tale vasto
archivio osservativo grazie all’ingente numero di malati presenti nella
21 Cherici (2005, pp. 46-7, 69, 115-8). 22 Pogliano (1989, p. 163).
capitale francese. I progetti di Malacarne rimasero, in larga parte, sulla carta:
Per esempio, io sono in un grande ospedale, dove tutti i giorni muoiono uomini, donne, o ragazzi, proccuro d’aver notizia del temperamento, delle inclinazioni, della vivacità, del talento, della tendenza a certe infermità, a certi morbi di coloro, che dubito poter ivi morire: vi aggiungo mille altre ricerche, le quali dalla presenza dei soggetti ammalati mi vengono suggerite, e di tutte le notizie, che ne ricavo, tengo un fedele registro. Muore l’ammalato, ed io notomizzandone il cadavero, ne esamino curiosamente il cervello, il cervelletto, e le parti adjacenti, e descrivo minutamente tutto quello, che vi posso scoprire. Vogliamo noi dire, che in capo ad uno, a due, a tre anni dal mio registro io non giungerò a ricavare qualche luminosa verità, oppure a spargere fralle cupe tenebre, e ‘l bujo, nel quale riguardo a certe cose pur troppo siamo ancora immersi, qualche barlume?23
Il compito finale che lo scritto di Malacarne si limita a suggerire supera l’anatomia e si apre sul campo della fisiologia. Perché se è vero che l’opera è di carattere prettamente anatomico, con possibili risvolti pratici in ambito chirurgico, la speranza confessata nell’introduzione e che anche le sue aspirazioni alla costituzione di un vasto catalogo di dati
osservativi adombrano è, in ultima analisi, una più chiara comprensione della funzione cerebellare. Molto stretto gli appare il rapporto fra organo e funzione, cosicché conoscere il primo può avviare a comprendere la seconda. Per molti secoli, nota Malacarne, le ipotesi fisiologiche si sono accumulate ma il motivo dei vari fallimenti potrebbe essere dovuto a una scorretta indagine anatomica:
Né si stupisca alcuno, che io mi occupi con tale impegno nella enumerazione di tante minutissime parti, che entrano nella struttura del cervelletto, né creda questo un lavoro inutile, ché cesserà lo stupore in chi sarà istruito delle mire, che io ò, e che parmi di aver giuste. Fin qui noi non sappiamo niente affatto dell’uso delle diverse parti del cervello, e tale nostra ignoranza chi sa, che non proceda dall’essersi finora gli Anatomici contentati di descriverle forse troppo superficialmente, e senza badare alle frequenti varietà, che vi si incontrano?24
La corrispondenza con Charles Bonnet, iniziata nel 1778 e proseguita fino al 1789 con la pubblicazione dell’opera Sui gozzi, fu il catalizzatore che spinse Malacarne ad approfondire sempre di più il significato delle variazioni cerebellari, cercando di individuarne una spiegazione fisiologica. Il carteggio con Bonnet delinea una visione generale delle caratteristiche del sistema nervoso che merita di essere brevemente
riassunta nelle sue linee fondamentali. Il cervello emerge come un organo complesso, composto da singoli apparati fra loro collegati, sempre più numerosi mano a mano che si passa dai rettili fino all’uomo. Se infatti le ripartizioni cerebrali di animali inferiori sono meno numerose e più semplici, nell’uomo la complessità strutturale raggiunge l’apice. I collegamenti tra le varie aree del sistema nervoso, centrale e periferico, avvengono attraverso vie di comunicazione ancora in larga parte sconosciute ed inspiegabili mentre, e qui sta una delle fondamentali acquisizioni malacarniane, le variazioni cerebrali e cerebellari nel numero e profondità di solchi, circonvoluzioni e lamine sono in rapporto diretto con le capacità intellettive.
Le ricerche condotte da Malacarne sui casi di cretinismo endemico diffuso nelle valli valdostane e piemontesi iniziarono con le osservazioni condotte fin dal 1776 a Pavia e proseguirono negli anni seguenti. Sui
gozzi e sulla stupidità che in alcuni paesi gli accompagna si apre con una chiara
dichiarazione di intenti che evidenzia come le ricerche condotte da Malacarne abbiano una sicura utilità. Ancora una volta i risvolti prettamente pratici della sua opera emergono inequivocabili:
Dirò dunque lo scopo del presente mio ragionamento essere la ricerca de’ mezzi atti a farci conoscer le cagioni prossime fisiche della troppo grande quantità degli Stupidi, o Mentecatti, […], de’ quali abbondano
cotanto alcune terre, e borghi di questa, e di quelle provincie; in secondo luogo ad ajutarci a ritrovare nel corpo stesso di varii mentecatti gli effetti di tali cagioni; terzo a guidarci a determinar la natura di questi effetti per esaminare se in progresso di tempo non siasi prodotto un circolo vizioso […]; quarto ad incoraggiarci a proccurar di prevenire per quanto è possibile tanto gli effetti, di cui si tratta, quanto la novella impression loro più profonda, o di correggergli in maniera, che la patria non sia più aggravata dal peso di numero sì grande di tali infelici, e dalle cure, che loro si debbono, distogliendo dalla cultura delle campagne, alla quale sono inabili, un maggior numero di lavoratori che le dirozzerebbono, ed abbondantissimi frutti ne caverebbono.25
Malacarne descrive con precisione la condizione fisica dei malati da lui esaminati:
Le carni loro sono flosce, lurida, e ricascante la pelle, spessa la lingua, prominenti, e crasse le labbra, e le palpebre. Il color del viso, anzi di tutta la cute n’è olivastro, e in alcuni giallobruno […]. Strano poi n’è il carattere, in generale essendo affatto inerti, ed indolenti per fin nella più espressa necessità di muoversi […]: e non son rari gli individui affatto incapaci d’altro, che d’inghiottire […]. In fatti alcuni di questi non sanno
pronunciar parola, e non mettono fuori eccetto suoni disarticolati, e sconnessi.26
Le osservazioni evidenziano con chiarezza un collegamento ricorrente e diretto tra il numero delle lamine cerebellari e lo sviluppo intellettivo. Infatti, in tutti i casi di cretinismo, egli poté notare come il cervelletto fosse affetto da ipoplasia e le lamine, invece che raggiungere la media di seicento-settecento circa, fossero talvolta anche meno di trecento. Una tale costante corrispondenza suggerì che il cervelletto potesse essere, a tutti gli effetti, un organo coinvolto nelle capacità intellettive, essenziale per lo svolgimento delle funzioni superiori. Bonnet non fu mai convinto delle scoperte di Malacarne, sempre restio ad ammettere l’effettiva esistenza di consistenti differenze tra un cervelletto e l’altro27. Non pensò
mai che fosse stato dimostrato in maniera conclusiva un rapporto tra cervelletto e intelletto, ma non smise mai di incoraggiare il medico saluzzese nelle sue ricerche, suggerendogli perfino di verificare se il cervelletto di un animale addestrato fosse più complesso di quello di un animale selvatico.
Malacarne trovò, nell’esame dei malati di cretinismo, la chiave per rendere ragione di una materia cerebellare variabile che, fino allora,
26 Ivi, p. 14.
sembrava non seguire nessun criterio preciso. La domanda implicita posta nella Nuova esposizione del 1776 poté in tal modo trovare finalmente una risposta soddisfacente.
L’idea che le facoltà intellettuali potessero essere, come appariva dalle ricerche, innate e strettamente radicate in un organo preciso della scatola cranica, non poté non indicare al medico saluzzese e al collega Bonnet una possibile via per l’identificazione organica della sede dell’anima, questione antica in Occidente come la filosofia e la medicina stesse. Malacarne la sfiorò senza tuttavia approfondirla, per prevenire eventuali accuse di materialismo.
Merita infine di essere brevemente richiamata l’invenzione, durante il periodo padovano, del cefalometro, curioso strumento che, tramite misurazioni della morfologia cranica, si proponeva di analizzare le variazioni del cervello e del cervelletto per individuare le attitudini comportamentali di un individuo e lo sviluppo di determinate funzioni psichiche. Malacarne non mancò di criticare Gall che, nel presentare nel 1810 la sua dottrina organologica, non aveva citato i meriti del medico saluzzese.
3. Gall e l’inizio della fisiologia sperimentale di Rolando e Flourens
Per la storia della ricerca cerebellare, come degli studi sul sistema nervoso più in generale, Franz Joseph Gall fu un personaggio importante, ideatore di una teoria che, per la sua originalità, rappresentò un costante bersaglio critico di molti suoi successori. Basti vedere a tal proposito la posizione di Ferrier28, che non riconobbe alla frenologia
neppure una remota apparenza di scientificità. Allo stesso modo, Luciani29 lo escluse completamente dai due capitoli della monografia sul
cervelletto nei quali ripercorre la storia delle ricerche precedenti.
Gall, nato a Tiefenbronn nel 1758, studiò medicina a Strasburgo, dove fu influenzato dagli insegnamenti di anatomia comparata di Johann Hermann, e dal 1781 si trasferì a Vienna dove si laureò nel 1785. Nel corso dell’ultimo decennio del XVIII secolo andò elaborando la sua dottrina organologica ed iniziò a pubblicare i primi scritti in tedesco. Assieme all’allievo Johann Gaspar Spurzheim lasciò Vienna nel 1805, a causa dei crescenti sospetti di materialismo che circondavano la sua dottrina, ed iniziò un tour che portò i due studiosi in giro per più di cinquanta città tra Germania, Danimarca, Olanda, Svizzera e Francia. Fu in questo periodo che la notorietà della disciplina da lui fondata crebbe
28 Ferrier (1886, p. 174). 29Luciani (1891, pp. 247-99).
enormemente diventando uno dei temi più discussi negli ambienti intellettuali europei.
Gall e Spurzheim ritenevano che la corteccia cerebrale fosse divisibile in aree distinte fra loro, veri e propri organi deputati a una specifica funzione psichica. Ognuna delle principali facoltà o predisposizioni umane ed animali era circoscrivibile a una precisa zona corticale del cervello o del cervelletto, suscettibile di maggiore o minore sviluppo. Protuberanze e depressioni corticali, secondo l’organologia, influenzavano anche la conformazione cranica che poteva essere letta come una vera e propria mappa per comprendere il carattere e le inclinazioni del soggetto esaminato. Furono in tal modo isolate e definite da Gall ventisette differenti facoltà, organizzate secondo una precisa gerarchia che, partendo da quelle inferiori, comuni anche agli animali più semplici, arrivava a facoltà esclusivamente umane come il senso religioso, il senso poetico o lo spirito metafisico.
Alla base di quella teoria, c’era tuttavia una solida conoscenza dell’anatomia del sistema nervoso, da Gall e Spurzheim attentamente studiato. Rolando30, Flourens31 e gli stessi commissari dell’Institut de
France che nel 1808 esaminarono la dottrina del medico tedesco, all’indomani del suo trasferimento a Parigi, riconobbero infatti
30 Rolando (1809, pp. 34-6). 31Flourens (1842, p. 102).
l’importanza di alcune sue acquisizioni. In un certo senso, a Gall si deve l’aver riconosciuto alla corteccia cerebrale - sino allora e per lungo tempo trascurata - un ruolo decisivo nell’esercizio delle funzioni superiori della psiche. Non fu lui a coniare (e neppure ad accettare) il termine “frenologia”, proposto solo nel 1815 da Thomas Forster e generalmente adottato in seguito.
L’opera più vasta che riassume e presenta sistematicamente l’intera dottrina di Gall e Spurzheim è l’Anatomie et Physiologie du Système nerveux en
général, et du cerveau en particulier, pubblicato tra il 1810 e il 1819 in quattro
tomi accompagnati da un atlante. Soltanto i primi due volumi furono però scritti in collaborazione perché i due studiosi si separarono nel 1813 e Gall non mancò, nel terzo, di aprire una lunga polemica con l’ex collaboratore32.
Proprio nel terzo volume vengono studiate le cosiddette forze fondamentali dell’uomo e la prima facoltà analizzata è l’instinct de la
propagation, situato, secondo l’autore, nel cervelletto. Un istinto che è, allo
stesso tempo, il desiderio sessuale ma anche, e soprattutto, la forza innata che spinge l’uomo a riprodursi per garantire la sopravvivenza della specie. Come, tale, sottolinea Gall, esso riveste un ruolo di grandissima importanza.
L’assunto fondamentale alla base della funzione cerebellare entro la dottrina frenologica è la subordinazione delle parti genitali, da sempre ritenute sedi del desiderio sessuale, a una forza superiore che risiede nel sistema nervoso centrale:
je démontrerai que les parties génitales sont subordonnées à une puissance supérieure, au cerveau, et que par conséquent c’est dans l’encéphale qu’il faut chercher tout ce qui a rapport à cet instinct, tant dans l’état de santé que dans l’état de maladie.33
Gall ripercorre la storia della scoperta dell’istinto riproduttivo riportando una nutrita serie di casi clinici di ambo i sessi e di ogni età, dimostrando come si riscontrasse una costante associazione tra disturbi della sfera sessuale e lesioni o anomalie cerebellari. Tra i molti casi riferiti a dimostrazione dell’assunto, si ha l’esempio di una giovane vedova che, colpita da frequenti convulsioni e tormentata da un desiderio sessuale imperioso, presentava la nuca, in corrispondenza del cervelletto, costantemente calda al tatto. Gall adduce una serie di prove che avrebbero ulteriormente convalidato la sua ipotesi. Gli animali che infatti non realizzano l’istinto di propagazione attraverso l’accoppiamento mancano di qualsiasi tipo di organo che svolga la funzione di cervelletto.
Così come il cervelletto nei mammiferi si può dividere in due emisferi laterali e in un lobo medio, in altre classi di animali esso può variare considerevolmente, a seconda delle diverse tipologie di riproduzione. Allo stesso tempo, evidenzia Gall, la crescita o la decrescita dell’istinto nell’uomo è in rapporto diretto con lo sviluppo dell’organo. Si veda cosa accade se si confronta il cervelletto di un bambino con quello di un adulto:
Chez l’enfant nouveau-né, le cervelet est, de toutes les parties cérébrales, la moins développée; à la vérité, sa proportion au cerveau est différente dans chaque individu.34
È proprio nel periodo compreso tra il diciottesimo e il ventiseiesimo anno d’età, che, parallelamente allo sviluppo sessuale, Gall nota come il cervelletto raggiunga la maturità. Con l’invecchiamento, l’organo, di pari passo all’istinto di propagazione, va incontro a un’involuzione che può riportarlo alle dimensioni di quello di un bambino. Lo sviluppo del cervelletto cambia a seconda delle inclinazioni degli individui, come dimostra il caso di un abate viennese capace di mostrare un assoluto autocontrollo di fronte alle donne. Un’ulteriore prova a evidenza del
legame tra cervelletto e il desiderio di riproduzione è la differenza tra maschi e femmine, umani e animali:
La différence qui existe dans les deux sexes, pour le degré auquel se manifeste chez eux l’instinct de la propagation, dépend encore du degré de développement du cervelet. C’est une question de savoir si, tant chez l’homme que chez les animaux, l’instinct de la propagation a un degré d’activité plus grand chez le mâle ou chez la femelle? J’accorde qu’il existe des exceptions pour certains individus, mais en général, l’homme est doué d’un instinct de la propagation bien plus impérieux que la femme.35
Mentre il cervello non subisce l’influenza della differenza tra i sessi, sostiene Gall, il cervelletto si sviluppa in maniera indipendente e peculiare. Le sue dimensioni si modificano, negli animali, anche in base all’alternarsi delle stagioni, accrescendosi in primavera, in corrispondenza con il periodo riproduttivo.
Le evidenze più schiaccianti a favore del legame tra cervelletto e sessualità derivano però dalle osservazioni fatte su casi patologici, presentate nelle pagine conclusive. La castrazione, pratica all’epoca ancora largamente applicata all’uomo, oltre a causare lo sviluppo di caratteristiche femminili nel maschio determinerebbe, se eseguita su
Sezione di encefalo maschile, in Gall F.J., Spurzheim G. (1810), Anatomie e
physiologie du système nerveux en général, et du cerveau en particulier, chez F. Scholl,
Paris, Atlas, tavola XI.
soggetti giovani, un blocco nello sviluppo cerebellare. Se la castrazione è invece unilaterale, solo il lobo controlaterale verrebbe danneggiato atrofizzandosi. Come le lesioni alle parti genitali sembravano produrre cambiamenti nel cervelletto, allo stesso modo lesioni dell’organo avrebbero generato disturbi di natura sessuale. Anche la causa della cosiddetta manie érotique è, secondo Gall, da ricercarsi nel sistema nervoso:
Tous les examples cités jusqu’ici, prouvent qu’aucune espèce de manie érotique ne peut avoir son siège dans les parties génitales elles-mêmes; qu’il faut de toute nécessité chercher la cause de ce dérangement là, où est celle de tous les dérangements des facultés intellectuelles. Or, comme le cervelet est l’organe de l’instinct de la propagation, c’est de lui que doivent dépendre les surirritations et les dérangemens de cet instinct.36
Allo stesso modo, nei casi di idiotisme esaminati da Gall, il cervelletto si mostra costantemente molto sviluppato e causa comportamenti lascivi.
Le ricerche dei fisiologi successivi, a partire dal contemporaneo Luigi Rolando, vero iniziatore della fisiologia sperimentale cerebellare, dimostrarono tuttavia che il cervelletto non riveste
alcuna funzione di tipo sessuale e che la sua azione si esercita su attività strettamente motorie come la coordinazione e l’equilibrio.
La grande epoca degli studi di fisiologia sperimentale sul cervelletto si apre con le figure di due scienziati, uno italiano (per quanto l’Italia ancora non esistesse come stato unitario), l’altro francese: Luigi Rolando e Marie Jean Pierre Flourens. Per secoli i tentativi di attribuire una funzione precisa allo strano organo nella parte posteriore del cranio erano stati abbastanza infruttuosi e avevano portato solo all’accumulo di teorie e idee diverse e, talvolta, improbabili. Bisogna ovviamente riconoscere che molteplici tentativi, spesso ingegnosi, erano stati compiuti, ma non si era mai giunti ad una seria e approfondita indagine sperimentale sull’organo. Il secolo XVIII si era in larga parte concentrato sugli studi anatomici che, come visto, raggiunsero con Malacarne un livello di precisione e approfondimento sconosciuti in passato. Se certo gli studi anatomici continuarono anche nel secolo successivo, essi non portarono più a scoperte fondamentali visto che oramai le maggiori strutture del cervelletto erano state esaminate e definite con sufficiente cura. L’anatomia ottocentesca si concentrerà invece sul piano più strettamente istologico, esaminando le cellule cerebellari grazie a
personalità come Jan Evangelista Purkinje, Camillo Golgi e Santiago Ramón y Cajal.
Saranno però gli studi fisiologici, sorretti da un solido metodo sperimentale, a caratterizzare il XIX secolo, nel corso del quale verranno avanzate le principali teorie sulle funzioni del cervelletto ed identificato in maniera sempre più chiara il suo ruolo all’interno del sistema nervoso.
La prima importante figura è quella dello scienziato torinese Luigi Rolando, nato nella città sabauda nel 1773 e laureato in Medicina nel 1793 sotto l’insegnamento di Gian Francesco Cigna. I primi anni della sua attività furono dedicati a ricerche sull’apparato respiratorio, ma ben presto oggetto del suo interesse divennero il sistema nervoso e la sua fisiologia. Dopo due anni passati a Firenze (1805-1807) studiando anatomia e apprendendo le tecniche di ceroplastica sotto la guida di Paolo Mascagni e Felice Fontana, raggiunse la Sardegna in qualità di professore di Medicina pratica all’Università di Sassari al seguito della famiglia Savoia che là aveva trovato rifugio dopo l’annessione del Piemonte alla Francia. Sull’isola Rolando condurrà le principali indagini sul sistema nervoso e darà alle stampe nel 1809 quella che è senza dubbio la sua opera principale, il Saggio sopra la vera struttura del cervello dell’uomo e
dopo la restaurazione della monarchia sabauda, come professore di Anatomia e qui continuerà i suoi studi neurologici fino alla morte avvenuta nel 1831.
Non è possibile comprendere appieno le teorie sviluppate sul cervelletto da colui che è stato definito “the most colorful figure in the story of the cerebellum”37 se non si tiene conto del dibattito allora in corso sulla
nuova e affascinante scoperta della cosiddetta elettricità animale.
Sono celebri gli esperimenti sulle rane di Luigi Galvani, capaci d’imporsi al vaglio della comunità scientifica fin dalla loro pubblicazione nel 1791. Facilmente riprodotti e perfezionati, divennero veri e propri spettacoli grazie a Giovanni Aldini, nipote di Galvani, che, attraverso la stimolazione elettrica, induceva movimenti in animali morti e in cadaveri di esseri umani.
Sarà tuttavia l’invenzione di Alessandro Volta ad avere la maggiore influenza su Rolando e i suoi studi sul cervelletto. La pila di Volta servirà infatti come modello fondamentale per concepire il ruolo del cervelletto nel sistema nervoso, all’insegna di una curiosa e ardita analogia.
Solo alla luce di queste nuove scoperte, sotto molti aspetti strabilianti, è possibile capire l’origine dell’idea che sta alla base dell’ipotesi di Rolando sulla fisiologia cerebellare. Emerge anche come Rolando fosse
consapevole delle scoperte che si susseguivano incessanti, e pronto a comprendere l’importanza che esse potevano avere per i suoi studi.
L’opera principale di Rolando, il Saggio sopra la vera struttura del cervello
dell’uomo e degli animali e sopra le funzioni del sistema nervoso si apre con una
prefazione all’insegna della necessità di coniugare medicina pratica e teorica, di superare la distinzione tra una medicina che cura e una che studia e ricerca in campo anatomico e fisiologico.
Il primo articolo dell’opera ha un carattere generale e prevalentemente descrittivo. Rolando, dopo aver lodato l’opera di Malacarne – che peraltro confessa di non avere “allemani” e delle cui “esatte ed ingegnose osservazioni non può quindi servirsi38 – descrive le strutture generali del
cervello umano, dei mammiferi, uccelli, rettili, pesci e invertebrati. Tale approccio caratterizza anche il resto dell’opera, dove sempre è presentato ed esaminato anzitutto il sistema nervoso umano seguito poi da quello degli altri animali. Un approccio comparativo del genere è essenziale per non considerare l’uomo come una creatura speciale e isolata e per inserirlo all’interno di un mondo animale che, via via sempre più complesso, culmina nella sua specie.
Il secondo articolo concerne l’anatomia del cervelletto e Rolando poco può fare in questo ambito dopo un predecessore come Malacarne. Fin da subito, però, mostra di avere ben chiare le conquiste fino a quel momento compiute:
Il cervelletto coperto dagl’emisferi merita la più grande attenzione non essendo finora stato esaminato sotto quel punto di vista atto a portare qualche luce sopra un oggetto così oscuro, ed interessante.39
Se Rolando non fosse stato pienamente consapevole di quanto fino allora si sapeva sul cervelletto, difficilmente avrebbe potuto avanzare nuove e feconde ipotesi fisiologiche, magari affidandosi a teorie di scienziati precedenti. Si veda quello che è successo con la teoria ventricolare di Galeno che aveva sempre concepito il verme del cervelletto come valvola per regolare gli spiriti animali e collegato l’organo nel suo complesso alla facoltà della memoria. Per secoli la teoria ventricolare continuerà a essere seguita e riproposta con alcune varianti, senza mai poterla basare su precisi ed incontrovertibili dati osservativi. Dopo gli esperimenti condotti sul cervello, riportati nel terzo capitolo, il successivo presenta, in estrema sintesi e con una certa semplificazione, quelli condotti sul cervelletto. Rolando si dice convinto del
coinvolgimento del cervelletto nella locomozione sulla base delle acquisizioni di Malacarne, le cui osservazioni sulle fondamentali strutture anatomiche dell’organo si erano rivelate essenziali:
La struttura del cervelletto, l’importante rilievo fatto dal dotto prof. di Padova sopra il gran numero delle lamine, di cui composto è quest’organo, mi diedero molto a sospettare sopra il vero suo uso: credetti, che doveva servire alla locomozione, e per confirmare questa mia opinione intrapresi sopra il medesimo le seguenti sperienze.40
La storia delle ricerche fisiologiche sul cervelletto nel XIX secolo inizia con il capitolo quinto dedicato specificamente alle funzioni della massa cerebrale. Fin dal sottotitolo Rolando presenta la sua curiosa concezione del cervelletto: Modo d’agire delle fibre degl’emisferi, analogia, che dimostra esser il
cervelletto un elettromotore.
Il punto di partenza della sua indagine è la sopra menzionata scoperta del cosiddetto fluido nerveo da parte di Galvani e Aldini, che credettero di averne dimostrato l’esistenza attraverso i loro esperimenti sull’elettricità animale. D’altronde l’impatto di quei loro risultati fu tale che Rolando stesso riconobbe come fosse difficile non ammettere l’esistenza di un tale fluido in ogni essere vivente:
Quando senza perfettamente analizzare i varj fenomeni, che ci offre il sistema nervoso in attività, e massimamente la massa cerebrale, si cerca di spiegarne le funzioni, pare assolutamente necessario di ammettere l’esistenza di un fluido, da cui dipender debba il senso, ed il moto.41
Tuttavia le scoperte di Galvani e di Aldini, evidenzia Rolando, erano state ridimensionate da Volta. Secondo lui la chiave per comprendere il movimento animale risiedeva altrove:
Penetrato dalla grande analogia, che vi passa tra i fenomeni galvanici, e quelli che naturalmente si osservano negl’animali viventi, credetti doversi questi produrre con qualche particolar mecanismo, il quale però altrove non doveva cercarsi, se non nell’encefalo, […] il che m’indusse a sottoporre ad una rigorosa analisi le varie parti componenti quest’organo, la di cui fabrica venne creduta così oscura, che molti fra i più valenti Anatomici, e Fisiologi si persuasero non esser concesso ad occhio umano il penetrarne l’intricata organizzazione […]42.
Sulla base di un’erronea e certamente azzardata analogia tra la struttura muscolare e quella cerebrale, Rolando arriva a sostenere anche che tutte
41 Ivi, p. 25. 42 Ivi, p. 25.