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Dinamiche politiche nel Tirreno dall'XI al XII secolo. Il ruolo della Sardegna e della Corsica nello spazio protetto pontificio

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UNIVERSITE DE CORSE-PASCAL PAOLI

ECOLE DOCTORALE ENVIRONNEMENT ET SOCIETE

UNIVERSITÀ DI PISA

SCUOLA DI DOTTORATO IN, STORIA, ORIENTALISTICA E STORIA DELLE ARTI

Tesi in convenzione di cotutela presentata per l’ottenimento del grado di DOCTEUR EN HISTOIRE, HISTOIRE DE L’ART ET ARCHÉOLOGIE

Mention: Histoire et civilisation; Histoire et archéologie des mondes anciens et médiévaux

Sostenuta pubblicamente da Corrado Zedda

il 28 aprile 2015

DINAMICHE POLITICHE NEL TIRRENO DALL’XI AL XII SECOLO

Il ruolo della Sardegna e della Corsica nello spazio protetto pontificio - Volume 1 -

Condirettori:

SALVATORI Enrica, Professoressa, Università di Pisa

CANCELLIERI Jean André, Professore, Università di Corsica Referenti :

MARTORELLI Rossana, Professoressa, Università di Cagliari LAUWERS Michel, Professore, Università di Nizza

Commissione:

SALVATORI Enrica, Professoressa, Università di Pisa

CANCELLIERI Jean André, Professore, Università di Corsica GHERARDI Eugène, Professore, Università di Corsica

REY Didier, Professore, Università di Corsica LAUWERS Michel, Professore, Università di Nizza

ALBERZONI Maria Pia, Professoressa Università di Milano RONZANI Mauro, Professore, Università di Pisa

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INDICE DELLA TESI

VOLUME 1

INTRODUZIONE – LO SPAZIO TIRRENICO E LA SEDE APOSTOLICA

ROMANA. UN NUOVO PUNTO DI OSSERVAZIONE

SEZIONE I. LO SPAZIO TIRRENICO E IL PAPATO NEI SECOLI IX-XI.

PROBLEMI DI DEFINIZIONE

§ 1 Il Tirreno centrale fra i due imperi e la minaccia islamica

1.1 La questione musulmana

1.2 La Chiesa di Roma e le isole tirreniche maggiori

§ 2 L’XI secolo e la ripresa della minaccia islamica nel Tirreno centrale § 3 La Sardegna dall’arcontato unico alla quadripartizione giudicale

3.1 I giudicati sardi e la Sede Apostolica nel primo periodo della riforma. Il giudicato di Torres

3.2 I giudicati sardi e la Sede Apostolica nel primo periodo della riforma. Il giudicato di Cagliari

§ 4 La Corsica e la problematica esistenza di uno stabile potere centrale

La Corsica, la Sede Apostolica e i marchesi Obertenghi dal IX all’XI secolo

§ 5 Pisa e lo spazio tirrenico prima del Comune

SEZIONE II. LA CREAZIONE DI UN “GENIALE DILETTANTE”.

GREGORIO VII E LO SPAZIO TIRRENICO PONTIFICIO

§ 1 Lo sviluppo della riforma e la creazione dello spazio tirrenico pontificio

1.1 Il ruolo di Ildebrando di Soana

1.2 Il pontificato gregoriano e l’autorità imperiale

1.3 L’importanza dello spazio tirrenico nella politica gregoriana

1.4 Le basi giuridiche del progetto politico gregoriano per lo spazio tirrenico e il suo concreto spazio di attuazione

1.5 La grande creazione 1.6 La Sardegna

1.7 Pisa e la Corsica

1.8 Uno sguardo al fronte adriatico

§ 2 Lo sviluppo monastico nelle isole tirreniche all’epoca di Gregorio VII

2.1 Il monachesimo riformato in Corsica 2.2 Il monachesimo riformato in Sardegna

2.3 L’accettazione faticosa della regola: i giudicati di Cagliari e Torres tra gli anni Sessanta e Ottanta dell’XI secolo

2.4 L’assenza della regola procedurale contro la simonia nelle due carte cagliaritane a Montecassino

2.5 San Vittore in Sardegna

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VOLUME 2

SEZIONE III. LA GESTIONE DELLO SPAZIO TIRRENICO DOPO

GREGORIO

§ 1 Clemente III, Urbano II e la ridefinizione del progetto gregoriano

1.1 La diocesi di Porto all’interno dello spazio tirrenico. Un nodo strategico di vitale importanza

1.2 L’elezione di Urbano II e la lotta per il potere 1.3 L’ingresso dei Vittorini in Sardegna

1.4 Il progetto urbaniano per lo spazio tirrenico: una questione di realpolitik 1.5 La creazione dell’arcidiocesi di Pisa

1.6 La rinegoziazione politica di Urbano II nello spazio tirrenico

1.7 I vescovi di Corsica e la gestione del potere tra la fine dell’XI secolo e i primi anni del XII

1.8 La Sardegna e la riforma. La stabilizzazione del quadro politico

§ 2 Pasquale II fra lotta all’Impero e interventi sullo spazio tirrenico

2.1 Fra spazio tirrenico e Gerusalemme. Pasquale II e Daiberto di Pisa 2.2 Pasquale II e la politica internazionale

§ 3 La svolta politica a Pisa durante il pontificato di Pasquale II

3.1 L’impresa delle Baleari e il nuovo ruolo di Pisa

3.2 La creazione della signoria vescovile pisana dopo il dissolvimento della Marca di Tuscia

§ 4 Le azioni di Pasquale II sullo spazio tirrenico

4.1 La politica di Pasquale II in Sardegna 4.2 La politica di Pasquale II in Corsica 4.3 La fine del pontificato di Pasquale II

§ 5 Il pontificato di Gelasio II e la normalizzazione dello spazio tirrenico

5.1 La ripresa del progetto gregoriano e urbaniano 5.2 Le decisioni per Pisa e la Corsica

5.3 La normalizzazione della situazione nel giudicato cagliaritano. Il rispetto della regola (1118-1119)

5.4 Su più fronti. L’arcivescovo Guglielmo di Cagliari e Genova

SEZIONE IV. SOLUZIONI PRECARIE. LA SEDE APOSTOLICA TRA

CALLISTO II E ONORIO II

§ 1 Un cambio decisivo: l’elezione di Callisto II

1.1 Conferma e revoca delle concessioni alla chiesa pisana

§ 2 Le diocesi di Corsica fra autorità pontificia e nuove metropoli emergenti

2.1 Gli effetti dell’annullamento delle concessioni alla chiesa pisana

§ 3 Pisa, Genova e la lotta per la Corsica agli inizi del XII secolo § 4 La curia e il denaro

4.1 L’accordo fra Genova e Callisto del 1120/1121 4.2 Il ruolo del vescovo di Porto

4.3 Tornando all’accordo del 1120/1121

4.4 Il collegio cardinalizio e i partiti al suo interno

§ 5 La politica di Onorio II per lo spazio tirrenico e l’affermazione del partito “pisano” in curia

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SEZIONE V. LO SCISMA DEL 1130 E L’ASSETTO FINALE DELLO

SPAZIO TIRRENICO

§ 1 Lo scisma del 1130 e le lotte di potere all'interno del papato

1.1 Gli avvenimenti del febbraio 1130 e le due fazioni in lotta 1.2 La doppia elezione

§2 Le dinamiche regionali allo scoppio dello Scisma § 3 La risoluzione dello scisma

§ 4 La politica di Innocenzo II e l’assetto ecclesiastico della Corsica § 5 L'intervento del 1138 e l'assetto definitivo dello spazio tirrenico

§ 6 I riflessi a Pisa. Dalle bolle per la Corsica e la Sardegna alla richiesta di obbedienza ai nuovi suffraganei

6.1 Il timore dello “scelus ydolatrie”. La richiesta di obbedienza al vescovo di Populonia

§ 7 I mutamenti nelle isole tirreniche. Verso la perdita dell'ombrello protettivo

7.1 Pisa e il giudicato di Gallura

7.2 Il giuramento del vescovo di Galtellì al metropolita pisano 7.2 Un Mediterraneo trasformato

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INTRODUZIONE

Lo spazio tirrenico e la Sede Apostolica

romana: un nuovo punto di osservazione

La presente tesi intende indagare il processo di creazione e la successiva gestione politica da parte della Sede Apostolica romana di uno spazio imperniato sulla penisola italica e i due mari ad essa adiacenti, il Tirreno e l’Adriatico durante il periodo della riforma “gregoriana”1. Questo spazio, una vera e propria creazione geopolitica,

svolse la funzione di protezione del territorio e degli interessi del

1 La riforma e i suoi problemi di definizione sono stati sempre oggetto di discussione fra gli studiosi, soprattutto in seguito alla proposta di O. CAPITANI, Esiste un’età gregoriana? Considerazioni sulle tendenze di una storiografia medievistica, in «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa», 1 (1965), pp. 454-481, che osservava come il termine “gregoriana” fosse limitante del significato complessivo di quel grande fenomeno “totale”, che nacque e si sviluppò prima, durante e dopo il pontificato di Gregorio VII. In particolare negli anni ’80 e ’90 le storiografie inglese, tedesca, italiana e francese hanno prodotto opere di estremo interesse, fra queste: T. REUTER, The "Imperial Church System" of the Ottonian and Salian Rulers: a reconsideration, in «Journal of Ecclesiastical History», vol. 33, n. 3 (july 1982), p. 347-374, in particolare le conclusioni finali e per il punto di osservazione inglese. Quindi U. – R. BLUMENTHAL, La lotta per le investiture. Appendice bibliografica di Matteo Villani, Liguori, Napoli, 1990, volume al quale è stata rimproverata però la poca attenzione alla storiografia italiana recente. Per l’ambito italiano, G. FORNASARI, Medioevo riformato del secolo XI. Pier Damiani e Gregorio VII, Liguori, Napoli 1996; AA. VV.,Riforma o restaurazione ? La cristianità nel passaggio dal primo al secondo millennio: persistenze e novità. Atti del 26° Convegno del Centro studi avellaniti, San Pietro in Cariano (Verona), 2006. Una fra le più recenti riflessioni storiografiche sui caratteri della riforma è stata condotta nel convegno di Fanjeaux, del 2012, i cui atti sono stati raccolti in «Cahiers de Fanjeaux» 48 (La réforme "grégorienne" dans le Midi (milieu XIe - début XIIIe siècle) (2013). Nella sua introduzione al volume, Florian Mazel suggerisce di non abbandonare il termine “riforma gregoriana”, quanto “concetto periodizzante”, pur avvertendo che si dovrà naturalmente ridefinire l’oggetto di studio e la sua cronologia. Attraverso tale ridefinizione, la riforma gregoriana può essere svincolata dal ristretto campo della storia religiosa entro il quale è stata confinata negli ultimi decenni, per essere ricondotta in una dimensione di “fenomeno sociale totale” (F. MAZEL, Pour une redéfinition de la réforme «grégorienne». Elements d’introduction, pp. 9-38, in particolare p. 19). Allo stesso tempo, per operare lungo questa prospettiva, è necessario reintegrare la dimensione socio istituzionale della riforma all’interno di quella ecclesiologica, o meglio ancora, di quella teologico-politica.

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Patrimonium Sancti Petri dalle ingerenze esterne, in un periodo in cui

era profondo lo scontro con l’autorità imperiale per via della lotta per le investiture.

L’idea di fondo di questa indagine è scaturita da alcune brevi riflessioni svolte in passato da Cinzio Violante2 e più recentemente da Michael Matzke3, a margine di considerazioni più generali, ma che ho

ritenuto fossero meritevoli di un adeguato approfondimento attraverso un’indagine specifica.

Più precisamente, l’oggetto d’indagine è stato la parte tirrenica di questo spazio, con una particolare attenzione da un lato alla sponda insulare di esso, con le due isole di Sardegna e Corsica, legate alla Sede Apostolica da un rapporto complesso sul piano giuridico, istituzionale ed ecclesiastico; dall’altro alla sponda continentale settentrionale, imperniata sulla città di Pisa, legata da un rapporto altrettanto complesso con la Sede Apostolica, oscillante tra subalternità e autonomia di azione all’interno dello spazio geopolitico tirrenico.

2 Per Violante, “a prescindere dai differenti fondamenti giuridici, è certo individuabile […] una visione organica di intervento nel Mediterraneo occidentale” da parte del papato, cfr. C. VIOLANTE, Le concessioni pontificie alla Chiesa di Pisa riguardanti la Corsica alla fine del secolo XI, in «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo e Archivio Muratoriano», LXXV, 1963, pp. 43-56, in particolare p. 49. L’espressione usata da G. M. CANTARELLA, Il sole e la luna. La rivoluzione di Gregorio VII papa 1073-1085, Editori Laterza, Roma – Bari 2005, p. 232, che vede nella Marca di Tuscia una sorta di “cuscino protettivo” della Sede Apostolica è probabilmente riduttiva della reale natura dello spazio geopolitico intorno al patrimonium Sancti Petri, per il fatto di sottovalutare il ruolo strategico della Marca all’interno del più articolato progetto pontificio.

3 Secondo lo studioso tedesco “si può riconoscere, durante i pontificati di Gregorio VII e Urbano II, “ancora confusamente, addirittura un primo abbozzo di una vasta politica di recupero nel Mediterraneo occidentale, cfr. M. MATZKE, Daiberto di Pisa. Tra Pisa, papato e prima crociata, Pacini Editore, Pisa 2002, Presentazione di M. RONZANI, p. 77.

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Roma e il mare, un rapporto non sempre compreso

Dato che il punto di osservazione prescelto è stato quello della Sede Apostolica romana, le implicazioni relative a tale scelta e alla metodologia utilizzata sono particolarmente delicate. Difatti, la storiografia sul fronte tirrenico avente come punto di osservazione Roma e la politica dei pontefici romani non è particolarmente ricca né esaustiva, pur essendo l’Urbe il centro geografico e ideale dell’area qui presa in esame.

Nonostante la grande fioritura degli studi medievistici degli ultimi decenni e le trasformazioni metodologiche della disciplina4, lo spazio

di Roma negli anni della riforma rimane ancora inteso perlopiù come uno spazio ecclesiastico, scarsamente in grado di esercitare un ruolo politico al di fuori dei confini del Lazio medioevale e questo è uno degli ostacoli maggiori che si pone tradizionalmente davanti a un tentativo di reinterpretazione della storia politica pontificia5. Ciò forse è dipeso

dalla difficoltà per gli storici nel cimentarsi in un ambito che presuppone la padronanza di più discipline specifiche: la storia ecclesiastica, la canonistica, la storia politica, economica e sociale, per cui il rischio di una visione frammentaria e che privilegi un ambito a scapito di altri è reale6.

Certo, nei primi decenni della riforma della Chiesa (1040-1080 circa), l’entità territoriale pontificia non era ancora divenuta una matura e strutturata realtà amministrativa e istituzionale, cionondimeno il

4 Per una panoramica delle più recenti acquisizioni si veda G. BARONE Cultura laica e cultura ecclesiastica, in Percorsi recenti degli studi medioevali. Contributi per una riflessione, a cura di Andrea Zorzi, Firenze University Press, Firenze 2008, pp. 55-68.

5 Sulla necessità di rivedere questi paradigmi si veda ancora F. MAZEL, Pour une redéfinition, cit.

6 M. LAUWERS, L’Église dans l’Occident médiéval: histoire religieuse ou histoire de la sociéte? Quelques jalons pour un panorama de la recherche en France et en Itali eau XXe siécle, in «Melanges de l’Ècole Francaise de Rome» (in

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potere del pontefice esisteva ed era avvertibile nella sua concretezza, ecclesiastica e dottrinale, in primo luogo, ma anche politica e decisionale in tutta la Cristianità del tempo, sebbene con le diverse intensità dovute alla distanza fisica da Roma7.

Sicuramente la presenza della Chiesa non aveva la stessa forza di penetrazione e la stessa influenza nella remota Groenlandia (posta sotto l’autorità dell’arcivescovo di Brema8) rispetto alla vicina Marca di

Tuscia, tuttavia sia in una regione che nell’altra la Sede Apostolica si proponeva come la “casa di tutti”, erede in questo dell’universalismo dell’Impero Romano molto più del suo competitor: il Sacro Romano Impero Germanico.

Si è inteso dunque sviluppare questo spunto iniziale, provando a ricostruire una storia prosopografica e tematica della politica dei pontefici romani sui territori dello spazio tirrenico, cercando così di individuare nuovi temi di ricerca precedentemente trascurati o poco approfonditi dalla storiografia generale.

Nell’economia del presente lavoro, trattare di uno spazio della Sede Apostolica romana non vuole dire necessariamente parlare di Roma, della sua struttura politica, istituzionale, urbana e del suo ruolo di città guida nel Medioevo, che è stato ridefinito negli ultimi anni da un’attenta storiografia, culminata nell’efficace sintesi del recente Roma

7 Un riassunto su questo tema è in T. DI CARPEGNA FALCONIERI, La Curia romana tra XI e XIII secolo: a proposito di libri già scritti e di libri che mancano ancora, in A Igreja e o Clero Português no Contexto Europeu – The Church and the Portuguese Clergy in the European Context – La Chiesa e il Clero Portoghese nel Contesto Europeo – L’ Église et le Clergé Portugais dans le Contexte Européen (Atti del Colloquio internazionale, Roma-Viterbo, 4-8 ottobre 2004), Lisboa, Centro de Estudos de História Religiosa, Universidade Católica Portuguesa 2005, pp. 195-203.

8 S. CAROCCI, Avamposti d’Europa: le colonie vichinghe di Groenlandia, in «Medioevo», gennaio 2007, pp. 99-121.

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medievale, di Chris Wickham9. Vuole dire soprattutto parlare di come si rapportavano con la Roma dei pontefici, erede dell’antico ducato bizantino, quei signori dall’incerta collocazione istituzionale, quali i giudici sardi e i marchesi corsi, portatori anch’essi di una passata tradizione bizantina e posti sull’altra sponda del Tirreno, da dove si guardava a Roma e da Roma si era guardati, perché esistette sempre un forte rapporto tra l’Urbe e il “suo” mare.

L’importanza della città eterna fu d’altronde sempre determinante nella storia dello spazio tirrenico; durante l’Alto Medioevo Roma era sempre una città enorme, per estensione e per numero di abitanti e tale dimensione si mantenne sostanzialmente anche tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo. Una cifra che si aggirava sui 40.000 abitanti all'epoca di Gregorio VII e un’articolazione socio economica più complessa rispetto alle altre città dell’epoca facevano dell’antica capitale dell'impero romano il centro di riferimento per eccellenza della cristianità medioevale10.

L’influenza di Roma sul suo vasto territorio impedì la formazione di centri rivali vicino all’Urbe, fatto che, a sua volta, le permise di mantenere la leadership incontrastata di tutto il Lazio e di accentrare al suo interno le risorse e le ricchezze di un territorio enorme, come nessun’altro centro dell’Italia di allora poteva vantare di possedere11.

9 C. WICKHAM, Roma medievale. Crisi e stabilità di una città, 900-1150, Viella Roma 2013. Quest’opera contiene proposte sotto certi aspetti radicalmente nuove per lo studio di Roma e delle città italiane in generale a cavallo fra Alto e Basso Medioevo.

10 Cfr. C. WICKHAM, Roma medievale, cit., p. 24.

11 Cfr. P. PARTNER, The Lands of St. Peter, the Papal State in the Middle Ages and the Early Renaissance, Eyre Methuen, London 1972. In particolare Chapter 1, Rome, Byzantium and the Franks, pp. 1-41, che delinea il quadro dei possessi e della giurisdizione di Roma nel suo evolversi durante il Medioevo. Si tratta di quel mondo che i pontefici chiamavano terrae Sancti Petri, a ribadire l’origine divina del loro potere territoriale ma che gli imperatori preferivano definire con titoli più vaghi quali regalia et possessiones, per ricordare che un solo potere temporale operava sulla terra ed aveva l’autorità di concedere beni concreti e materiali.

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Sarebbe stata questa la base fondamentale della ricchezza della città e dei suoi pontefici, i quali, signori incontrastati di un vasto territorio, poterono sempre contare su un dominio sufficientemente coeso e soprattutto ricco, tale da garantire loro le risorse per condurre un'incisiva politica di controllo del Patrimonium Sancti Petri, di estensione della visione universalistica del papato e di rivendicazione e intervento su terre da loro reputate come poste sotto l’alta autorità di Roma12.

In confronto alla storia del Patrimonium Sancti Petri, il rapporto della città col suo mare è stato solitamente un po’ trascurato, spesso totalmente incompreso, forse per la difficoltà di orientarsi in una storiografia che non sempre riconosce e focalizza per Roma il suo ruolo marittimo.

Sono mancate in sostanza indagini di ampio respiro, per cui gli studiosi hanno dovuto basarsi generalmente su ricerche specifiche, come ad esempio sulla ricostruzione fatta da Pierre Toubert del sistema salinario delle coste laziali, che però non si sofferma più di tanto sul ruolo marittimo di Roma13. Porto e Ostia, gli antichi scali portuali di Roma che fra XI e XII secolo mantenevano ancora alcune caratteristiche di civitates, sono stati studiati approfonditamente solo di

12 “Il Lazio che i papi costruirono con grande sforzo lungo il XII secolo andava molto al di là del territorio di 6.000 km2 attorno alla città […]; in Campagna (che ora è la provincia di Frosinone si estendeva oltre Anagni, fino ad Alatri e Veroli; in Marittima (l’attuale provincia di Latina) arrivava senza soluzione di continuità fino a Terracina; nella Tuscia Romana andava fino a nord di Sutri, anche prima che Innocenzo III assorbisse Viterbo. Questa versione più ampia del Lazio ricreò il territorium Sancti Petri dell’VIII-X secolo, i cui confini erano rimasti noti, a delineare la zona di esercizio (almeno potenziale) dell’autorità papale” (C. WICKHAM, Roma medievale, cit., p. 79).

13 P. TOUBERT, Les structures du Latium médiéval. Le Latium méridional et la Sabine du IXe à la fin du XIIe siècle, I, Rome 1973 (Bibliothèque des Ecoles

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recente, forse per la loro posizione un po’ defilata, tra le saline e il mare14.

Il legame di Roma con il suo mare ha ritrovato però una sua importanza nella storiografia più recente ed è oggi impensabile continuare a sostenere che un centro demograficamente così importante e con un ruolo così universale non potesse controllare attivamente un’area geo politica cruciale come lo spazio tirrenico centrale, che si limitasse, in sostanza, a gestire la terraferma senza esercitare un ruolo direzionale su quanto viveva e si muoveva su quel mare posto proprio di fronte a casa sua15.

Il Tirreno negli anni della lotta per le investiture

Il contesto tirrenico fra XI e XII secolo è stato esaminato da un'abbondante letteratura, soprattutto dopo il secondo dopoguerra e i temi maggiormente affrontati sono stati quelli del cosiddetto dualismo fra nord e sud Italia e la visione delle isole in un’ottica proto colonialista.

14 Fra i contributi più importanti cfr. C. CARBONETTI, VENDITTELLI, La curia dei priores et consiliarii campi salini” a Roma agli inizi del Duecento, in Scritti per Isa, Raccolta di Studi offerti a Isa Lori Sanfilippo, a cura di A. MAZZON, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Nuovi Studi Storici – 76, Roma 2008, pp. 115-141, R. MONTEL, Un “casale” de la Campagne Romaine de la fin du XIVe siècle au début du XVIIe: le domaine de Porto, in «Mélanges de

l’École française de Rome – Moyen Âge» (in seguito MEFRM), LXXXIII (1971), pp. 31-87; S. PANNUZI, La laguna di Ostia : produzione del sale e trasformazione del paesaggio dall'età antica all'età moderna, in MEFRM, 125-2 (2013), http://mefrm.revues.org/1507, con bibliografia degli altri studi dell’autrice e di altri suoi colleghi impegnati nello studio di Ostia. Questa ripresa degli studi è culminata nel recente convegno di studi: Roma, Tevere, Litorale. 3000 anni di storia, Le sfide del futuro, Convegno internazionale 29-31 maggio 2013, organizzato da British School at Rome, CROMA - Università di Roma Tre, École Française de Rome, Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma. All’interno del convegno si segnala l’intervento di S. PASSIGLI, Insediamento, risorse e rapporto uomo-ambiente nell'area del delta del Tevere fra i secoli X e XV, disponibile in versione elettronica in http://romatevere.hypotheses.org/475.

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Come sintetizza David Abulafia esiste un forte consenso fra gli storici dell’Italia medioevale su questo modo di intendere i rapporti fra le varie aree della penisola e delle isole adiacenti16. Da Luzzato a Jones,

da Del Treppo a Galasso fino a Cipolla, Bresc e agli studiosi più recenti, tutti concordano sulle linee generali di uno sviluppo dualistico nord-sud dell’economia medievale italiana e dell’intensificarsi di uno scambio ineguale fra aree economiche forti (il settentrione) e altre deboli (il meridione e le isole).

Con argomenti e sfumature diverse tale linea interpretativa si ritrova anche in studiosi molto attenti all’approfondimento delle aree meridionali, come lo stesso Abulafia, che pure ne ha rivisitato parzialmente i caratteri, per cui il dualismo economico non fu un semplice rapporto fra centro e periferia, ma uno scambio che, pur vantaggioso per le città settentrionali, non escludeva le possibilità di diversificazione e di espansione economica delle regioni meridionali17.

Per tale motivo Abulafia suggerisce di evitare i facili luoghi comuni su un meridione povero e sottosviluppato, quando al contrario, ricchezza e sviluppo circolavano al suo interno con le stesse modalità riscontrabili in altre aree dell’Europa medioevale.

Su questo scenario di fondo e sulle rotte che percorrevano il Tirreno si trovavano ad agire i protagonisti della presente indagine.

Le rotte tirreniche

La più recente storiografia sul Tirreno medioevale sta evidenziando come il mondo italico e mediterraneo tra la fine dell’XI secolo e i primi due decenni del XII fosse qualcosa di ancora diverso rispetto al panorama politico che si sarebbe affermato verso il terzo - quarto

16 D. ABULAFIA, Le due Italie. Relazioni economiche fra il regno normanno di Sicilia e i comuni settentrionali, Guida Editori, Napoli 1991, pp. 8-9.

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decennio, dopo il passaggio cruciale segnato dall’incoronazione di Ruggero re di Sicilia nel 1130 e in seguito alla risoluzione dello scisma all’interno della Chiesa, fra Anacleto II e Innocenzo II (1130-1138)18.

In tale contesto, all’interno del quale si muoveva un mondo complesso e magmatico, Pisa non sembra avere avuto ancora agli inizi del XII secolo, fino alla spedizione delle Baleari e anche oltre, un reale monopolio delle rotte tra la sponda continentale e la sponda insulare del Tirreno19.

Il punto focale, che ha condizionato generalmente le analisi sul ruolo della città toscana particolarmente nelle isole tirreniche è costituito dall’ingresso nella documentazione dei rapporti tra Pisa e i giudici sardi e dall’attestazione di importanti presenze pisane in Corsica. Nel 1080-1085 i Pisani ottennero l’esenzione del teloneo nel giudicato di Torres, grazie alla concessione del cosiddetto Privilegio

Logudorese20, ma esso appare in realtà come una libera concessione del

18 Rimando agli atti di prossima uscita del convegno: Framing Anacletus II (Anti) Pope, 1130-1138, Congresso Internazionale di Studi, Roma, 10-12 aprile 2013.

19 P. SKINNER, Family Power in Southern Italy: the duchy of Gaeta, 850-1139, CUP, Cambridge 1995, (seconda edizione Cambridge, 2003); G. A. LOUD, Church and society in the Norman Principality of Capua, 1058-1197, Clarendon Press, Oxford, 1985; U. SCHWARZ, Amalfi nell’alto Medioevo, Presso la sede del Centro [di cultura e storia amalfitana], Amalfi, 2002 (I edizione Salerno-Roma 1980); V. BEOLCHINI, P. DELOGU, La nobiltà romana altomedievale in città e fuori. Il caso di Tusculum, La nobiltà romana nel Medioevo, a cura di S. CAROCCI, École Française de Rome, 2006, pp. 137-169 e soprattutto, V. BEOLCHINI, Tusculum. Una roccaforte dinastica a controllo della Valle Latina, «L’Erma» di Bretschneider, Roma, 2006; L. CARRIERO, La città medievale. Insediamento, economia e società nei documenti napoletani del X secolo, Aonia, Raleigh, 2012.

20 Il Privilegio Logudorese è un documento fondamentale per la storia sarda e pisana, oltre ad essere una delle prime testimonianze delle lingue volgari. La datazione e l’interpretazione sono state oggetto di lunghi dibattiti, cfr. A. PETRUCCI, A. MASTRUZZO, Alle origini della ‘scripta’ sarda: il privilegio logudorese, in «Michigan Romance Studies», 16 (1996), pp. 201-214. La discussione dura tuttora, cfr. E. BLASCO FERRER Consuntivo delle riflessioni sul cosiddetto privilegio logudorese, «Bollettino Storico Pisano», LXX (2001), pp. 9-41, il quale ne posticipa la datazione di oltre quarant’anni e assegna lo stesso all’area politica e culturale arborense, e la risposta di A. PETRUCCI, A. MASTRUZZO, Ancora a proposito del privilegio logudorese, «Bollettino Storico

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giudice turritano, che ricompensava i suoi amici pisani per l’aiuto fornitogli nello svolgere la sua politica. Va sottolineato che anche in altri porti mediterranei venivano rilasciati nello stesso periodo simili privilegi, senza che ciò comportasse automaticamente una perdita di giurisdizione per il concedente a favore del concessionario o una scriteriata politica di dismissione di qualunque diritto portuale e doganale21.

Anche il noto episodio dell’attacco di pirati pisani contro i monaci cassinesi diretti in Sardegna, nel 1063, con la convinzione da parte pisana di avere l’esclusiva degli affari dell’isola e addirittura di un suo controllo, si inserisce al contrario nel contesto di un’isola posta sotto l’autorità della Sede Apostolica e i cui rapporti internazionali non dovevano essere compromessi da chicchessia, fossero anche le navi pisane22.

Per la Corsica, invece, riconoscere la presenza di personaggi pisani (soprattutto enti monastici, legati direttamente o indirettamente alla città di Pisa) detentori già nell'XI secolo di possedimenti terrieri sulla

Pisano», LXXI (2002), p. 217, i quali confermano l’appartenenza del documento all’area logudorese, per gli anni 1080-1085.

21 Si vedano ad esempio gli stessi rapporti diplomatici e commerciali stretti nel 1113 fra Pisa e Ramon Berenguer III, conte di Barcellona e di Provenza in occasione della spedizione nelle Baleari (1113-1115), cfr. E. SALVATORI, Boni amici et vicini. Le relazioni tra Pisa e le città della Francia meridionale dall’XI alla fine del XIII secolo, Edizioni ETS, Pisa 2002, pp. 30-31 e docc. 1, p. 185 e 26, pp. 249-251. Ramon Berenguer disponeva che per via dell’amicizia che correva fra i due popoli, “nullus census nullusque redditus, quem vulgo usagium appellant, qui sibi pertinet, neque in Arelatensi civitate, neque in burgo Sancti Egidii, neque per totam eius virtutem vel forzam quam habet vel in antea aquisierit, alicui Pisano queratur”.

22 Il racconto dell’episodio è in MGH, Die Chronik von Montecassino, a cura di H. HOFFMANN, Scriptores, Tomus XXXIV, Impensis Bibliopolii Hahaniani, Hannover 1980, 1. III, pp. 387-389. Un’interessante analisi degli avvenimenti e del contesto in cui erano inseriti l’ha fornita M. RONZANI, Chiesa e «Civitas» di Pisa nella seconda metà del secolo XI: dall'avvento del vescovo Guido all’elevazione di Daiberto a metropolita di Corsica: 1060-1092, ETS, Pisa 1996, pp. 126-132.

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costa orientale23, non significa automaticamente che la città potesse esercitare in quel periodo un ruolo di controllo delle rotte e dei porti isolani, come avverrà in modo peraltro non esclusivo nei decenni successivi.

Più realisticamente, i Pisani e in second’ordine i Genovesi divennero nel corso del XII secolo, a prescindere dall’idea che la Sede Apostolica aveva dello spazio tirrenico, i principali partner commerciali dei giudici sardi e dei signori corsi, ai quali offrirono la loro interessata protezione navale in cambio di privilegi commerciali.

La Sede Apostolica e lo spazio tirrenico delimitato dalle due sponde

Fin dal tempo del pontificato di Gregorio VII si registra, da parte dei marchesi di Corsica e dei giudici sardi, l’accettazione dell’alta autorità della Sede Apostolica, ritenuta una sorta di ombrello protettivo che garantiva da intrusioni esterne nei confronti del proprio potere personale24, fatti salvi i rapporti commerciali mantenuti con i porti della

sponda tirrenica continentale.

In tale contesto appaiono significativi i rapporti della Sardegna e della Corsica con il litorale laziale, tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo. Su questo spazio operava una portualità in parte afferente agli

23 Cfr. S. P. P. SCALFATI, Les documents du Libro Maestro di G. Gorgona concernant la Corse (XIe- XIIe siècles), in: MEFRM, 88, n. 2 (1976), pp. 535-580; IDEM, Le fragment d'un cartulaire médiéval de l'évêché corse de Nebbio, in: MEFRM, 105, n. 2 (1993), pp. 605-627.

24 Il porsi sotto l’ombrello protettivo della Sede Apostolica era stato raccomandato dallo stesso Gregorio VII, come si legge nell’ammonizione finale della sua lettera dell’ottobre 1080 al giudice di Cagliari Orzocco Torchitorio; il pontefice assicurava il giudice che se si fosse tenuto fedele alla Chiesa di Roma non avrebbe dovuto temere alcuna invasione dall’esterno ma che, anzi, sarebbe stato ancora più protetto per mezzo della benevolenza pontificia: “Igitur quia devotionem beato Petro te habere in legato suo monstrasti, si eam, sicut oportet, servare volueris, non solum per nos nulli terram vestram vi ingrediendi licentia dabitur, sed etiam, si quis atemptaverit, et seculariter et spiritualiter prohibebitur a nobis ac repulsabitur” (MGH, Das Register Gregors VII, von E. CASPAR, Weidmannsche Buchhandlung, Berlin, 1920-1923, Libro VIII, Epistola 10, p. 529).

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interessi della Sede Apostolica, all’interno della quale esercitò un ruolo significativo anche la diocesi suburbicaria di Porto, alla quale si dedica un approfondimento specifico nel corso della trattazione per via del rapporto che sembra intercorrere fra essa e le diocesi della Corsica nel periodo qui preso in esame. Tale spazio era in parte vigilato dai conti di Tuscolo, i quali facevano perno sulla rocca da loro fondata fra la fine del X e gli inizi dell’XI secolo e avevano portato all’apogeo la loro espansione territoriale sia nelle aree interne sia nei litorali25.

Gregorio VII fu il pontefice che si mosse con lungimiranza e decisione per conformare questo spazio tirrenico agli interessi della Sede Apostolica; egli portò a maturazione una politica di consolidamento di una rete di rapporti attivata negli ultimi decenni dai suoi predecessori, dei quali fu peraltro attivo collaboratore. La sua azione da un’attenta rilettura delle fonti, non pare avere nulla di casuale ma, anzi, sembra possedere i caratteri di una vera e propria progettazione.

Un’interpretazione storiografica dei decenni passati ma ancora seguita in anni più recenti, mostra un certo scetticismo circa l’opportunità di riconoscere un concreto programma politico nel pontificato gregoriano, com’è stato esposto fin dalle considerazioni di Michele Maccarrone sullo studio del termine “Pietro” e degli ideali “petrini” in Gregorio26 o sul significato di fidelitas nella concezione

25 V. BEOLCHINI, Tusculum, cit., in particolare p. 379: “La prima metà del XII secolo segna il momento di apogeo della dinastia tuscolana. Il processo di espansione territoriale in Marittima, iniziato nella seconda metà dell’XI secolo, giunge al proprio culmine entro la metà del secolo successivo, epoca in cui i Tuscolani arrivano a imporre il controllo sui principali approdi del litorale pontino. Le fonti indicano un interesse del tutto originale del casato per la navigazione e le imprese mercantili, per cui si differenzia nettamente dagli altri casati aristocratici romani che invece basavano il proprio potere sulla più tradizionale signoria rurale e rendita fondiaria”.

26 M. MACCARRONE, I fondamenti “petrini” del primato romano in Gregorio VII, in «Studi Gregoriani», vol. XIII, Per la storia della «Libertas

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gregoriana per come emerge dall’epistolario del pontefice. Secondo gli esponenti di questo filone storiografico, a tale termine andrebbero assegnati un uso e un significato più ampi di quelli prettamente feudali: sovente la fidelitas avrebbe espresso soprattutto la devozione e l'obbedienza del cristiano alla suprema autorità della Chiesa27.

Un’altra corrente, soprattutto tedesca, ha insistito invece nel porre l’accento sugli aspetti “politici” del pontificato gregoriano, riconoscendo nel termine fidelitas un vero e proprio legame feudale, come quello del vassallo verso il suo dominus. Secondo tale interpretazione Gregorio VII sarebbe stato il fondatore e il massimo artefice della “teocrazia” papale28.

Successivamente, una posizione storiografica intermedia ha ritenuto proposito di Gregorio VII il conservare, riallacciare o anche instaurare con molti sovrani e signori della cristianità un rapporto di

fidelitas, spesso con caratteri prevalentemente religiosi e spirituali ma

Ecclesiae», Roma 1989, pp. 55-122. Per gli esiti successivi di tale percorso interpretativo cfr. AA.VV., Pietro. La storia, l'immagine, la memoria, Città del Vaticano, 1999; W. KASPER (a cura di) Il ministero petrino. Cattolici e Ortodossi in dialogo, Città Nuova, Roma 2004, resoconto del grande simposio fra la chiesa romana e le principali chiese sorelle d’Oriente, il cui tema principale è stato la spinosa questione del primato romano. Sulla revisione di questo paradigma, infine, cfr. F. DELIVRÉ, Le domaine de l’apôtre. Droit de saint Pierre et cens de l’Eglise romaine dans les provinces d’Aix, Arles et Narbonne (milieu XIe – fin XIIe siècle),

in «Cahiers de Fanjeaux» 48, cit., p. 447-494, lavoro che si inquadra nella più recente linea storiografica francese riassunta nei suoi vari aspetti all’interno del volume.

27 Si vedano A. FLICHE, La Réforme Grégorienne, cit., II, pp. 317-357 (edizione italiana : La Riforma Gregoriana, cit., pp. 153-165); M. BRÉMOND - J. GAUDEMET, L’Empire chrétien et ses destinées en Occident du XI au XIII siècle, Paris 1944, pp. 110-112; P. BREZZI, Roma e l'Impero Medioevale (774-1252), Cappelli, Bologna 1947, p. 261; E. VOOSEN, Papauté et pouvoir civil à l'époque de Gregoire VII, Duculot, Gembloux 1927, pp. 305-316).

28 Per questa interpretazione si vedano A. DEMPF, Sacrum Imperium, traduzione di C. ANTONI, G. Principato, Messina 1933, pp. 121-124; G. SCHNÜRER, Kirche und Kultur im Mittelalter, II, Paderborn 1926, pp. 234-241; H. X. ARQUILLIÉRE, S. Gregoire VII, Editions Ecole et Collège, Paris 1934, pp. 286-288 e 467-468; G. TELLENBACH, Libertas, Kirche und Weltordnung im Zeitalter des Investiturstreites, Kohlhammer, Stuttgart 1936, pp. 175-192.

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in altri casi, più rari ma non per questo assenti, con l’innestarsi di implicazioni più specificamente economiche e politiche, le quali portarono anche a un vero rapporto di natura feudale (e in questo, il pontefice era pienamente figlio del suo tempo) 29.

All’interno di questa lettura della concezione gregoriana del potere, si pone in rilievo l’esagerazione di chi ha voluto riconoscere negli atti del pontefice un piano di predominio politico30. Naturalmente, il vero e

proprio tentativo di costruire una monarchia pontificia è chiaramente anacronistico al tempo di Gregorio, tuttavia negli anni del suo pontificato si intravede un momento importante verso tale concezione, che diventò concreto progetto nei secoli XII e XIII. In questo senso il tentativo di risolvere il contrasto fra regnum e sacerdotium nell’XI secolo rappresenta uno sviluppo di tale visione problematica31.

Sicuramente risulta ancora difficile definire l’ambito di estensione del principio secondo il quale la Sede Apostolica avrebbe potuto giudicare sia nel campo spirituale sia in quello temporale32 ed è tuttora

29 P. ZERBI, Il termine «fidelitas» nelle lettere di Gregorio VII, in «Studi Gregoriani», 3, pp. 129-148.

30 F. MAZEL, Pour une redéfinition, cit.

31 Cfr. N. D'ACUNTO, I vescovi di Luni e l’impero nei secoli X e XI, in IDEM, L'età dell'obbedienza. Papato, Impero e poteri locali nel secolo XI, Liguori, Napoli 2007, p. 275.

32 Di una volontà di emancipazione del papato dall'impero, anche nelle epoche precedenti, parla W. ULLMANN, The growth of papal government in the Middle Ages. A study in the ideological relation of clerical to lay power, Methuen, London, 1962. A questo tema dedica l'intero secondo capitolo (The emancipation of the papacy from the empire, pp. 44-86), sia pure per gli aspetti relativi al governo interno della Chiesa a partire dal VII secolo nei suoi rapporti con l’impero bizantino. E difatti, il capitolo VIII (Imperial Hegemony, pp. 229-261) vede il momento in cui il papato torna a essere quasi del tutto sottoposto al potere dell’impero. Di conseguenza, il capitolo successivo, il IX (Gregory VII, pp. 262-309) ritorna al tema dell'emancipazione del papato del potere laico. Come ancora osserva Ullmann, p. 274, le premesse ideologiche di Gregorio (ecclesia come un corpo “corporale e politico”; ordine della societas cristiana; giustizia quale base per l’allocazione delle funzioni delle guide della cristianità; jus, diritto come ordinatore) non contenevano niente di nuovo se non nella terminologia. Ma questa terminologia riflette la maturità della visione ierocratica e rappresenta un sintomo della maturità, ormai raggiunta, attraverso definizioni precise e pregnanti. Su questi aspetti ha indagato

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oggetto di dibattito il comprendere se Gregorio VII si limitò a definire la sua competenza giuridica solamente nel campo strettamente ecclesiale - spirituale, o, al contrario egli andò di fatto oltre, fino a toccare tutta la sfera politica33; per tali motivi nel presente studio si è

cercato di indagare più in profondità questo tema, partendo da un osservatorio che può fornire nuovi indizi e spunti di riflessione quale fu lo spazio tirrenico.

Gerarchia tra autorità sovraordinate e subalterne tra le due sponde tirreniche

La politica perseguita da Gregorio VII sulla doppia sponda tirrenica si evince dalle azioni intraprese dal pontefice a Pisa, in Corsica e in Sardegna, azioni che riconducono tutte a un unico progetto politico.

Sulla sponda continentale, per il futuro comune di Pisa, Gregorio riteneva suo diritto intervenire in quanto ecclesiasticamente la diocesi pisana era sottoposta direttamente all’autorità di Roma e perché se giuridicamente la città era, come la Corsica, sottoposta alla Marca di

più recentemente e con successo M. E. HARRIS, The idea of paradigm in Church history: the notion of papal monarchy in the Thirteenth century, from Innocent III to Boniface VIII, a thesis submitted to the University of Birmingham for the degree of M. Phil. (B), the History of Christianity, Departments of Medieval and Modern History, School of Historical Studies, University of Birmingham 2007.

33 Come sintetizza efficacemente Tommaso di Carpegna Falconieri: “È una acquisizione storiografica certa, infatti, come la Curia romana, attraverso i suoi membri e i suoi organi di governo e amministrazione, abbia costituito il motore per l’affermazione del centralismo romano e del primato petrino. La differenza tra alto e basso medioevo non si valuta solamente esaminando il grado di coscienza che aveva di sé la Chiesa romana dichiarando il suo primato: certo, i Dictatus pape o la bolla Unam sanctam non sono altomedievali, ma la teoria delle due spade risale al V secolo, e il Constitutum Constantini era stato forgiato già nel secolo VIII. La differenza tra alto e basso medioevo, dunque, passa anche attraverso la capacità reale che ebbe la Chiesa romana di affermare il proprio primato. E questa capacità le venne data proprio dalla formazione di un apparato efficiente, che naturalmente era la Curia romana: in primo luogo e soprattutto con l’istituzione dei legati apostolici” (T. DI CARPEGNA FALCONIERI, La Curia romana tra XI e XIII secolo, cit. il passo è a p. 196).

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Tuscia, quindi formalmente all’Impero34 essa era, a sua volta, legata alla

Sede Apostolica35. Tuttavia la politica pontificia per Pisa andava ad

innestarsi sulla grande complessità di una città che aveva acquisito uno

status che di fatto la differenziava dalle altre realtà poste sotto il

dominio dei marchesi di Tuscia e questa sarebbe stata la particolarità che avrebbe contrassegnato nei decenni successivi la complessa attività diplomatica fra la curia pontificia e la città toscana.

Sulla sponda insulare, non è stato sufficientemente chiarito se la rivendicazione del protettorato papale su Sardegna e Corsica trovò delle basi giuridiche anche nel Constitutum Constantini36, ma questa

34 Per la storia della Marca di Tuscia si rimanda a H. KELLER, La Marca di Tuscia fino all’anno Mille, in Atti del V congresso internazionale di studi sull'alto medioevo (Lucca 1971), Centro italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto, 1973, p. 14-75 e A. PUGLIA, La Marca di Tuscia tra X e XI secolo. Impero, società locale e amministrazione marchionale negli anni 970-1027, Edizioni Campano, Pisa, 2003. Le basi giuridiche del dominio del marchese Goffredo di Lorena sulla Tuscia e quindi su Pisa sono ricordate in MGH, Annales Altahenses maiores, Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum, IV, a cura di E. VON OEFELE, Impensis Bibliopoli Hahniani, Hannover 1890, p. 72, cfr. M. RONZANI, Chiesa e «Civitas», cit., p. 119. Goffredo di Lorena è ricordato come marchio pisanus in MGH, Chronicon Sancti Huberti Andaginensis, a cura di W. WATTENBACH, Scriptores, Chronica et Gesta Aevi Salici, VIII, Impensis Bibliopoli Aulici Hahniani, Hannover 1848, pp. 580-581, cfr. sempre M RONZANI, Chiesa e «Civitas», cit., pp. 132-136. 35 Il pontefice aveva collaborato strettamente con Beatrice, madre di Matilde e suo marito, Goffredo di Lorena, fin dal tempo dell’elezione di Nicolò II, in un’azione che si appoggiava al re di Germania e ai marchesi di Tuscia, per sostenere l'elezione del vescovo Gerardo di Firenze contro quella di Benedetto X, avvenuta contro i canoni a opera della nobiltà romana, cfr. G. B. BORINO, L'arcidiaconato di Ildebrando, in «Studi Gregoriani», 3 (1948), pp. 463-516.

36 Il Constitutum Constantini, utilizzato dalla Chiesa romana per corroborare i propri diritti sui possedimenti territoriali in Occidente e per legittimare le proprie rivendicazioni, fu forgiato intorno al IX secolo, per essere ripreso da Leone IX nel 1053. Da quel momento il Constitutum fu sempre ricordato e nel XII secolo fu inserito nel Decretum Gratiani e in altre raccolte. Singolare il fatto che, già nel 1001, Ottone III avesse dichiarato che il Constitutum era privo di ogni valore storico e giuridico ma i suoi successori non ripresero tale posizione, per cui esso venne effettivamente usato da diversi pontefici per sostenere i diritti temporali della Chiesa, cfr. MGH, Diplomatum Regum et Imperatorum Germaniae, Tomus II, Ottonis II. et III. Diplomata, Impensis Bibliopolii Hahnianii, Hannover 1893, n. 389, pp. 818-820. Un’importante rilettura della storia della donazione è stata proposta da G. M. VIAN, La donazione di Costantino, Il Mulino, Bologna, 2010, mentre per una sintesi sulla storia di queste donazioni riguardo alle isole tirreniche

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interpretazione ha riscosso un certo successo, in particolare nella storiografia anglosassone 37.

La giurisdizione che Gregorio esercitava sulla Corsica appare evidente dagli atti da lui presi per riformare la chiesa locale, che versava in uno stato di abbandono non più tollerabile dalla Sede Apostolica.

Il potere civile sull’isola, esercitato dai marchesi Obertenghi38,

dipendeva formalmente dalla Marca di Tuscia, giuridicamente inquadrata nella struttura imperiale ma di fatto legata a un rapporto più saldo alla Sede Apostolica, per via dello strettissimo legame spirituale e politico fra Gregorio e Matilde di Canossa. L’autorità ecclesiastica competeva invece alla Sede Apostolica, in quanto, come detto, le diocesi di Corsica erano poste sotto la diretta autorità di Roma39.

E un’autorità che non pare essere stata solamente ecclesiastica era esercitata dal pontefice, che anzi ricordava come da troppo tempo la Sede Apostolica aveva tralasciato i suoi doveri sull’isola40. Il legame

cfr. P. PERGOLA, La tentative manquée d’une hégémonie pontificale, in Le mémorial des Corses, Des origines à Sampiero sous la direction de F. POMPONI, Ajaccio 1981, I, p. 250-255, in particolare p. 250.

37 Come riassume H. E. J. COWDREY, Pope Gregory VII (1073-1085), Clarendon Press, Oxford 1998, pp. 643-644: “Their position and resources made them important for the struggle in North Italy between the supporters and the opponents of the reform papacy; Gregory was, therefore, anxious to revive and confirm papal rights over them. Nevertheless, his caution and pragmatism are evident in his dealings with them”.

38 M. NOBILI, Sviluppo e caratteri della dominazione obertenga in Corsica fra XI e XII secolo, in «Annuario [della] Biblioteca Civica di Massa» (1978-1979), pp. 1-35.

39 Gli interventi pontifici in Corsica sono documentati già a partire da Alessandro II, cfr. L’epistola ai vescovi della Corsica è in Epistolae pontificum romanorum ineditae, edidit S. LOEWENFELD, Leipzig, Veit & Comp., Lipsiae 1885, epistola 84, p. 44.

40 Si veda MGH, Das Register Gregors VII, cit., Libro V, epistola n. 2, pp. 349-350 (“Quoniam propter multas occupationes ad peragendum nostre sollicitudinis debitum singularum provinciarum ecclesias per nosmetipsos visitare non possumus, necessarium valde est, ut exigente ratione vel tempore aliquem modo ad has modo ad illas partes mittere studeamus”. E ancora: “sine detrimento et magno animarum periculo esse non potest, cum illius diligentia, ad quem summa negotiorum et cure necessitas precipue spectat, diu subditis ac commissis sibi fratribus deest”); Libro V, epistola n° 4, pp. 351-352 (“insulam, quam inhabitatis,

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fra la marchesa di Tuscia e Gregorio, forse anche stretto giuridicamente da una presunta devoluzione dei possedimenti di Matilde alla Sede Apostolica41, sembra abbia fatto convergere a un certo punto, almeno

di fatto, i due piani, quello civile e quello ecclesiastico, nelle mani del pontefice e le più alte autorità di Corsica, i marchesi e naturalmente i vescovi, sembra abbiano accettato tale autorità, almeno formalmente, dato che concretamente l’esercizio dell’autorità ecclesiastica e politica sull’isola fu sempre problematico negli anni della riforma.

D’altronde l’ideale di riforma, oltre che scontrarsi con le situazioni politiche di fatto vigenti nelle diverse regioni dell’Europa medioevale42,

dovette adeguarsi alle condizioni di un clero che spesso era ancora lontano dal sintonizzarsi con una rinnovata forma di religiosità che andava a toccare gli aspetti concreti della vita ecclesiale.

Per la Sardegna l’affermazione della volontà pontificia era invece mediata dal fatto che l’isola aveva una configurazione giuridica più complessa sulla quale intervenire rispetto alla Corsica: la giurisdizione ecclesiastica era imperniata sull’arcidiocesi di Cagliari (e successivamente su quelle di Torres e Arborea), mentre l’ordinamento civile vedeva una quadripartizione in quattro entità territoriali, i giudicati, i cui signori ambivano al riconoscimento di un rango

nullis mortalium, nullique potestati, nisi sanctae Romanae Ecclesiae ex debito vel juris proprietate pertinere”). Per alcune riflessioni su questi aspetti cfr. C. VIOLANTE, Le concessioni pontificie, cit.

41 Dopo il 1076 Matilde avrebbe istituito la Sede Apostolica erede jure proprietario di tutti i suoi beni allodiali e feudali successivamente alla sua morte (cfr. A. FLICHE, La riforma gregoriana, cit., p. 156; N. GRIMALDI, La contessa Matilde e la sua stirpe feudale, Vallecchi, Firenze 1928, p. 306). La questione della donazione di Matilde è tra le più dibattute dagli storici, sia riguardo alla sua veridicità sia riguardo la collocazione temporale. Probabilmente, se la donazione vi fu, essa dovette collocarsi nel momento della crisi maggiore del Papato, durante la lotta per le investiture, cfr. per questo P. GOLINELLI, L’Italia dopo la lotta per le investiture: la questione dell’eredità matildica, in «Studi Medievali», s. 3, XLII (2001), pp. 509-528.

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superiore, quello regale, che però non venne mai attribuito loro dalla Sede Apostolica.

L’opera di Gregorio, in questo caso, fu volta a vincere, con le blandizie e le minacce, la resistenza dei giudici locali, cercando di far accettare loro il suo disegno su come diffondere la riforma nell’isola, sia per quanto riguardava gli aspetti dottrinali, sia per quelli prettamente politici e della gestione del potere43.

Nella sua corrispondenza con i giudici sardi, Gregorio si riferisce a una speciale e peculiare cura che Roma vantava sulla Sardegna, come si evince dalla particolare fermezza usata in una sua lettera al giudice Orzocco di Cagliari, nel gennaio 107444. Essa appare un chiaro indizio

del fatto che il pontefice intendeva esercitare concreti diritti di giurisdizione e protettorato sull’isola.

Da quanto contenuto in un’altra lettera inviata allo stesso giudice, nell’ottobre 1080, si capisce che le pressioni di Gregorio sui giudici sardi avevano sortito il loro effetto45. Riferendosi alle pretese dei

principi stranieri di invadere la Sardegna, così da tenerne in feudo (fidelitatem) una metà e lasciare l’altra nella disponibilità del pontefice, Cowdrey così eloquentemente conclude:

There had evidently been proposed some such papal-princely condominium as had existed in South Italy, with the implication that the papacy was recognized as having comparable proprietorship in the two regions46.

L’interpretazione di Cowdrey, dunque, assegna un esplicito riconoscimento ai diritti della Sede Apostolica sulle isole tirreniche e lungo questa direzione sembra volgersi la speciale protezione pontificia

43 C. ZEDDA – R. PINNA, La Carta del giudice cagliaritano Orzocco Torchitorio, prova dell’attuazione del progetto gregoriano di riorganizzazione della giurisdizione ecclesiastica della Sardegna, Todini Editore, Sassari 2009.

44 MGH, Das Register Gregors VII, cit., Libro I, epistola n. 41, pp. 63-64. 45 MGH, Das Register Gregors VII, cit., Libro VIII, epistola n. 10, p. 529. 46 Ibidem.

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sui monasteri insulari di Sardegna e Corsica, oltre che su quelli delle isole circostanti la costa toscana, una protezione, visibile già dagli anni Sessanta dell’XI secolo e confermata anche dai successori di Gregorio47.

Perché insistere sull’azione di Gregorio, più che su quella dei pontefici precedenti, in particolare di Alessandro II?

Raimondo Turtas si è mostrato critico nei confronti di chi a suo parere continua a riconoscere pigramente l’azione gregoriana a scapito di una progettualità già presente nel suo predecessore48 e lo studioso ha buone ragioni per sostenere tale posizione. Molti temi della riforma sono infatti già chiaramente ed efficacemente presenti nella concezione dottrinale e politica di Alessandro e dei suoi immediati predecessori, per cui possiamo tranquillamente dire che Gregorio VII da questo punto di vista non ha creato nulla, come d’altronde chiarito dalla più recente storiografia49.

Ma un concreto e articolato progetto di realizzazione di quanto impostato nei decenni centrali dell’XI secolo si ebbe a mio avviso solamente con il pontificato gregoriano, che sviluppò alcuni indirizzi prettamente politici rintracciabili negli anni dell’arcidiaconato di Ildebrando di Soana: dalla rielaborazione dei fondamenti pietrini sui quali basare l’azione riformista, alla concezione di fidelitas alla quale avrebbero dovuto attenersi imperatore, re, principi della Cristianità, fino all’energia politica profusa da Gregorio nel tentativo di diffondere e anche imporre la sua volontà all’interno della Chiesa e del mondo in generale, quale vicario di Cristo al di sopra delle leggi degli uomini:

47 Si rimanda per questo a M. RONZANI, Chiesa e «Civitas», cit., pp. 58-69. 48 R. TURTAS, La cura animarum in Sardegna tra la seconda metà del sec. XI e la seconda metà del XIII. Da Alessandro II, 1061-1073, alla visita di Federico Visconti, marzo-giugno 1263, in «Theologica et Historica», XV (2006), pp. 359-404, in particolare p. 364.

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tutto ci parla di un modo “nuovo” di intendere il ruolo del pontefice nella Cristianità, sia tra il clero che tra i laici50.

Per quanto riguarda la Sardegna, nel giro di pochi anni i giudici locali accettarono il disegno del pontefice su come diffondere la riforma nell’isola, sia per quanto riguardava gli aspetti dottrinali, sia per quelli prettamente politici della gestione del potere, che trovò un bilanciamento fra ruolo dei giudici, degli arcivescovi e degli enti monastici riformati51. In Corsica l’azione si esplicò invece, soprattutto

attraverso il rapporto con i vescovi locali, mentre il ruolo del marchese sembra apparentemente più defilato.

Tutto questo, a mio parere, giustifica l'interpretazione di un Ildebrando/Gregorio progettista della grande creazione tirrenica oggetto principe della presente trattazione.

Dallo spazio tirrenico al corridoio tirrenico

Tra la seconda metà dell’XI secolo e gli inizi del XII il ruolo di Roma e della Sede Apostolica appare centrale nella gestione e nel coordinamento delle politiche esercitate nello spazio tirrenico dai singoli attori in campo lungo la sponda continentale del Tirreno.

In seguito allo sviluppo del contesto politico internazionale, il comune di Pisa, realtà subordinata a un’entità giuridica superiore (la

50 Si veda quanto sostenuto da F. MAZEL, Pour une redéfinition sul concetto pregnante e periodizzante di riforma “gregoriana”. Per un’impostazione differente, legata alle varie “anime” della riforma, cfr. invece N. D’ACUNTO (a cura di), Riforma o Restaurazione? La cristianità nel passaggio dal primo al secondo millennio: persistenze e novità. Atti del 26º Convegno del Centro studi avellaniti, Gabrielli Editori, Negarine di S. Piero in Cariano (Verona) 2006. Più recentemente lo stesso gruppo di lavoro coordinato da Nicolangelo D’Acunto è tornato sul tema, si veda E. BIANCHI, G. M. CANTARELLA, N. D’ACUNTO, T. DI CARPEGNA FALCONIERI, A. VASINA, La riforma gregoriana. Dalla lotta per le investiture al monachesimo benedettino, Edizione Guaraldi, Rimini 2012 (ebook).

51 Cfr. C. ZEDDA – R. PINNA, La Carta del giudice, cit. In questo senso ho trovato significative corrispondenze con le linee di ricerca sintetizzate da F. MAZEL, Pour une redéfinition, cit., in particolare pp. 27-29.

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Marca di Tuscia e quindi l’Impero), ritenne di potersi inserire nelle trame politiche intrecciate da Impero, Regno Italico e Sede Apostolica, ricavandone, alla fine di un lungo e complesso percorso, importanti vantaggi che avrebbe utilizzato per ulteriori rivendicazioni future.

La percezione dello spazio tirrenico come una prosecuzione oltremarina di Pisa (e in competizione con Genova) sembra avvenire in un momento preciso: dopo il 1115-1116, quando si verificò un salto di clima storico, determinato dalla morte di Matilde di Canossa e dal fatto che il suo posto nella Marca di Tuscia non venne di fatto rioccupato da nessuno. Nella Marca si creò un vuoto di potere che in tanti cercarono di sfruttare per le proprie personali rivendicazioni: dall’Impero e dal vescovo di Pisa, che operarono un vero e proprio incameramento di molti dei beni matildini, fino alla stessa Civitas pisana, che in una situazione che le lasciava di fatto una libertà giuridica prima sconosciuta, vedeva crescere, soprattutto dopo l’impresa delle Baleari, nuovi e grandi spazi di inserimento nel Tirreno e nelle isole di Sardegna e Corsica.

Si trattò di una vera e propria “presa di coscienza” di un nuovo ruolo e delle proprie possibilità52, ma questo valeva anche per Genova, che

andava a inserirsi nello scenario tirrenico come un’ulteriore variabile politica da controllare per i pontefici della prima parte del XII secolo.

Contemporaneamente appare avviata una decadenza della capacità direzionale e competitiva dei centri dei litorali laziale e campano, effetto della crisi istituzionale attraversata da Roma in seguito all’infelice epilogo del pontificato gregoriano. Anche in quest’area si creò un vuoto, particolarmente nell’area campana, uno spazio che a un

52 Come sintetizza M. RONZANI, Chiesa e «Civitas», cit., la cittadinanza assurse a soggetto collettivo d’azione politica, ponendo le basi per il futuro autogoverno comunale.

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certo punto Pisa pensò di aggredire, ad esempio con i trattati con Amalfi e Gaeta e l’attacco alla stessa Amalfi, nel 113753.

Pisa si appropriò dunque di uno spazio che non era suo, lo difese e cercò di allargarlo in tutti i modi, grazie ad esempio ai trattati del XII secolo con gli imperatori germanici54. I Pisani però occuparono qualcosa che probabilmente era più grande di quanto avrebbero potuto realisticamente gestire, da qui i loro continui problemi di mantenimento di una supremazia marittima, costantemente erosa da Genova, in una lunga storia di scontri e sconfitte55.

Tutto ciò trova interessanti similitudini con quanto avvenne, mutatis

mutandis, nell’Adriatico, dove Venezia riuscì a perseguire la stessa

politica di Pisa ma meglio (un mare più “piccolo” e competitori più deboli). Anche perché la città lagunare finì per occupare Bisanzio e da quel momento non trovò davanti a sé degli ostacoli seri, pensando, a un certo punto, anche di spostare la capitale proprio a Bisanzio, opzione poi non messa in pratica56.

In sintesi, a partire dalla seconda metà del XII secolo osserviamo come le repubbliche marinare di Pisa e Genova si disputarono ferocemente il controllo dello spazio tirrenico, con l'intento di

53 Si vedano in particolare G. AMMANNATI, La lettera dei consoli pisani ai Gaetani: il ritrovamento dell’originale e una nuova proposta di datazione, in «Bollettino Storico Pisano», LXXIV (2005), pp. 69-81; E. STAGNI, Fra epigrafi e cronache: Pisa, consoli e Pandette dal 1135 alla «legenda amalfitana», in IDEM, pp. 547-590.

54 O. BANTI, Alcune considerazioni a proposito del privilegio federiciano del 6 aprile 1162 a favore di Pisa, in Un “filo rosso”. Studi in onore di Gabriella Rossetti, a cura di G. GARZELLA ed E. SALVATORI, ETS, Pisa 2007, pp. 321-336.D. ABULAFIA, Le due Italie, cit., pp. 184-185.

55 Come ha sintetizzato M. TANGHERONI, La situazione politica pisana alla fine del Duecento tra pressioni esterne e tensioni interne, in Medioevo Tirrenico. Sardegna, Toscana e Pisa, Pacini Editore, Pisa 1992, pp. 221-244, in particolare alle pp. 232-233 e le considerazioni alle pp. 226-231 sulla progressiva marginalità di Pisa rispetto alla grande politica internazionale.

56 Gli atti originali della cancelleria veneziana (1090-1227), a cura di M. POZZA, Il Cardo, Venezia 1994-1996.

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trasformarlo, in opposizione all'originario progetto pontificio, nel proprio personale “corridoio tirrenico”, avente come sbocco terminale le piazze commerciali islamiche dell’Africa mediterranea.

Il termine “corridoio tirrenico” potrebbe forse suscitare qualche perplessità, dato che non è mai stato usato esplicitamente dagli studiosi; tuttavia esso è stato in un certo senso supposto da chi ha lavorato sulla politica pontificia nel Tirreno durante l’XI secolo57, per cui l’esame del

suo graduale svilupparsi è soprattutto un’ipotesi di ricerca, una verifica dell’esistenza di tale spazio, delle sue peculiarità e delle sue trasformazioni nel tempo.

Va detto che l’enfasi della ricostruzione storiografica si è finora concentrata soprattutto sugli aspetti “locali” di questo tema, che hanno visto svilupparsi la grande e autorevole tradizione degli studi sui rapporti fra papato e normanni58, papato e repubbliche marinare59, o in

un contesto ancora eccessivamente localistico, papato e Sardegna60,

papato e Corsica61 e così via.

57 Il merito di questa intuizione va a mio parere riconosciuto a C. VIOLANTE, Le concessioni pontificie, cit.

58 Solo per citare alcuni fra i principali testi, cfr. D. J. MATTHEW, I normanni in Italia, Editori Laterza, Roma - Bari 1997; Cavalieri alla conquista del sud. Studi sull'Italia normanna in memoria di Léon-Robert Ménager, a cura di E. CUOZZO – J. M. MARTIN, Centro Europeo di Studi Normanni, n. 4, Editori Laterza, Roma Bari 1998; I caratteri originari della conquista normanna. Diversità e identità nel Mezzogiorno (1030-1130), Atti del convegno (Bari, 5-8 ottobre 2004), a cura di R. LICINIO – F. VIOLANTE, Atti del Centro di Studi Normanno Svevi, n. 16, Dedalo, Bari 2006; H. HUBERT, I Normanni, Il Mulino, Bologna 2013.

59 In questo caso la bibliografia è sterminata, per la miriade di monografie, miscellanee, saggi e contributi di vario tipo dedicati ai rapporti in particolare di Pisa e Genova con la Sede Apostolica.

60 R. TURTAS, Storia della Chiesa in Sardegna. Dalle origini al Duemila, Città Nuova, Roma 1999; Innocenzo III e la Sardegna edizione critica e commento delle fonti storiche, a cura di M. G. SANNA, CUEC, Cagliari 2003; M. SANNA, Papato e Sardegna durante il pontificato di Onorio III (1216-1227), Aonia Edizioni, Raleigh 2012.

61 S. B. CASANOVA, Histoire de l'Église corse, 4 volumi, Zicavo 1931-1938; F. J. CASTA, L’histoire religieuse de la Corse. Perspectives et orientations actuelles, in «Études Corses», I, 1973, pp. 175-192.

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