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Obsolescenza programmata e tecnologia: analisi empirica del caso Apple

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in

MARKETING E RICERCHE DI MERCATO

TESI DI LAUREA

Obsolescenza programmata e tecnologia:

Analisi empirica del caso Apple

Relatore Candidato

Prof. Matteo Corciolani Simona Salzano

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INDICE

INTRODUZIONE ... 5

CAPITOLO 1 - Quadro teorico dell’indagine ... 8

1.1 Crisi di management ... 8

1.1.1 Come viene affrontata la crisi ... 9

1.1.2 Impatto emotivo delle crisi sugli stakeholder ... 9

1.1.3 Il ruolo dell’identificazione del marchio nelle reazioni emotive dei consumatori a una crisi ... 11

1.1.4 Ruolo del coinvolgimento durante le crisi dei consumatori (PCR) ... 12

1.1.5 Progressi tecnologici e Internet ... 14

1.2 Obsolescenza programmata ... 15

1.2.1 L’uomo e la tecnologia: dislivello prometeico e induzione del desiderio ... 15

1.2.2 Origini dell’obsolescenza programmata ... 18

1.2.3 Meccanismi di obsolescenza ... 20

1.2.4 Il caso Apple... 21

1.2.5 Greenpeace contro l’obsolescenza programmata... 26

1.2.6 Conseguenze ambientali ... 32

1.3 Obsolescenza programmata: aziende e consumatori ... 36

1.3.1 Aziende e obsolescenza programmata: i driver ... 36

1.3.2 Obsolescenza programmata e consumatori ... 38

1.3.3 Obsolescenza programmata in Brasile: le reazioni dei consumatori nel caso di un paese emergente a confronto con il Regno Unito ... 39

1.3.3.1 Riconoscimento dell’obsolescenza programmata ... 41

1.3.3.2 Conclusione dello studio ... 43

CAPITOLO 2 - Metodologia della ricerca ... 45

2.1. Cosa è un’indagine statistica? ... 45

2.1.1 Cosa è una survey? ... 46

2.1.2 Questionario... 47

2.2 Raccolta e analisi dei dati ... 51

2.2.1 Campione di riferimento ... 51

2.2.2 Struttura questionario ... 51

2.2.3 Svolgimento indagine ... 55

2.2.4 Analisi dei dati ... 56

2.2.5 Correlazione... 57

2.2.6 Regressione ... 58

2.2.7 Analisi dei modelli di mediazione ... 60

CAPITOLO 3 - Analisi dei risultati ... 69

3.1 Correlazione ... 71

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3.3 Analisi di Mediazione ... 93

CAPITOLO 4 – Conclusioni ... 113

4.1 Implicazioni teoriche ... 113

4.2 Implicazioni manageriali ... 118

4.3 Limitazioni e sviluppi futuri ... 119

ALLEGATI ... 121

Allegato numero 1 ... 121

Allegato numero 2 ... 122

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ... 131

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5

INTRODUZIONE

L’uomo è un attore sociale perennemente timoroso, la consapevolezza che ha di egli stesso è in gran parte un riflesso dell’idea che gli altri si fanno di lui. È come se l’individuo fosse oggetto di un esame sociale continuo e severo. L’unico modo che ha di vincere la sua paura è solo facendo continuamente ricorso ai prodotti che sono stati progettati appositamente per questo scopo (Ewen, 1976). La funzione essenziale del consumo, quindi, non è quella di soddisfare i bisogni primari, secondo una logica utilitaristica, ma piuttosto quella di generare senso (Douglas e Isherwood, 1979), e i produttori cercano deliberatamente di determinare il comportamento del consumatore attraverso il marketing e la pubblicità.

Ciò che viene creato non è il bisogno di oggetti specifici, ma il bisogno di aver bisogno, il desiderio di desiderare. I bisogni non hanno molto a che fare con il piacere e la soddisfazione, ma servono per acquistare un certo livello di prestigio e comfort: gli oggetti valgono per il loro valore di segno (Baudrillard 1974). I consumatori non consumano tanto determinati oggetti al fine di conseguire specifici obiettivi concreti, ma consumano segni di carattere generale per conseguire obiettivi sociali. Lo scopo di tutto è quello di differenziarsi nella società (Douglas e Isherwood 1979).

Numerosi studi di Marketing si sono occupati del senso d’identificazione del consumatore con i prodotti consumati e indicano come vi sia una correlazione tra consumo e identità. Alla fine degli anni ’80, è stato introdotto addirittura uno specifico concetto secondo il quale i beni che possediamo diventano un’estensione di noi stessi e permettono di costruire e comunicare agli altri la propria identità (Belk 1988).

È stata dunque riconosciuta l’importanza della brand identification (BI) per le aziende che cercano di costruire relazioni profonde e significative a lungo termine con i loro clienti. Questi ultimi infatti, sviluppano il senso di se stessi identificandosi e associandosi alle aziende che preferiscono. Questa identificazione è guidata dall’attrattività dell’identità aziendale e dalla sua somiglianza con la propria identità (Bhattacharya & Sen, 2003).

Quelli che si indentificano con l’organizzazione hanno maggiori probabilità di impegnarsi in comportamenti come il passaparola positivo, che supporta l’azienda.

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6 Infatti, questo forte attaccamento può fungere da cuscinetto contro l’impatto sfavorevole delle informazioni negative sui brand. A volte le aziende stesse possono essere colpite da delle crisi, ovvero eventi improvvisi e inaspettati che minacciano di abbattere le operazioni di un’organizzazione e pongono minacce sia finanziarie che di reputazione (Coombs, 2007, 164).

Questa tesi si pone proprio come obiettivo principale quello di valutare le risposte dei consumatori in caso di crisi di management. Nello specifico ci siamo occupati del colosso aziendale Apple, accusata di aver messo in atto una vera e propria strategia di obsolescenza programmata, e con questa ricerca abbiamo, quindi, voluto indagare quali siano le reazioni dei consumatori nei confronti del marchio, una volta messo in discussione, e se queste incideranno sulla probabilità di acquisto dei prodotti e sulla reputazione del marchio.

Con l’espressione obsolescenza programmata facciamo riferimento al processo mediante il quale, nelle moderne società industriali, vengono suscitate nei consumatori esigenze di accelerata sostituzione dei prodotti tecnologici o appartenenti ad altre tipologie. L’obsolescenza può essere intesa in due modi: reale e percepita. Nel primo caso il prodotto smette di funzionare dopo un determinato periodo e il consumatore è costretto a sostituirlo; nel secondo caso, invece, sono i produttori che inducono i consumatori a cambiare il proprio dispositivo, ad esempio, presentando nuovi modelli dotati di nuove caratteristiche e funzioni, irrilevanti a volte sul piano funzionale ma sostanziali su quello formale1.

Di seguito verrà descritta la struttura di questa tesi, per spiegare come sono stati analizzati questi concetti e le conclusioni ricavate. Nel capitolo 1 sono illustrate le fondamenta teoriche, di cui ci siamo serviti in questo elaborato. In una prima parte è introdotto il concetto di crisi di management, focalizzandosi in modo particolare sui consumatori, per capire come l’affrontano, l’impatto emotivo che ne consegue, quanto incida nella valutazione della crisi l’attaccamento con il marchio e il livello di coinvolgimento.

Nella seconda parte si entrerà nel vivo del nostro studio, andando ad analizzare la crisi che ha colpito il brand Apple, ovvero l’obsolescenza programmata. Inizialmente verranno spiegate le origini e il significato di questa strategia, per poi passare alla causa scatenante del periodo di difficoltà, con tutte le ripercussioni a seguire.

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7 Nel capitolo 2 viene spiegato in maniera esplicativa la metodologia utilizzata. Nel primo paragrafo vengono approfonditi i concetti di indagine e di survey, per poi andare ad analizzare la struttura e le caratteristiche del questionario. Nel secondo paragrafo, invece, si passano in rassegna nello specifico gli elementi sopra citati, riferiti allo studio in questione: ad esempio, come sono stati raccolti i dati, com’è stato creato il questionario, dove è stato somministrato, com’è stato definito il campione e tutti i procedimenti statistici che hanno dato vita alle interpretazioni dei dati.

Il capitolo 3 presenta i risultati emersi dal questionario somministrato agli studenti. La parte iniziale è dedicata alla teoria delle statistiche utilizzate per condurre le analisi. Nella seconda parte, invece, vengono illustrati i risultati ottenuti dall’analisi di correlazione, regressione e mediazione.

Nella parte conclusiva del lavoro, sono esposte le implicazioni teoriche, le implicazioni manageriali, i limiti della nostra ricerca e gli input per ricerche successive.

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CAPITOLO 1 - Quadro teorico dell’indagine

Questa tesi si pone come obiettivo principale quello di valutare le risposte dei consumatori in caso di crisi.

Nella prima parte di questo capitolo verrà spiegato il significato di crisi di management, quanto siano determinanti nella valutazione da parte dei consumatori di tale crisi le emozioni provate, l’identificazione con il brand, il livello di coinvolgimento e il rapporto uomo-tecnologia.

Nella seconda parte si entrerà nel vivo del nostro studio, andando ad analizzare la crisi che ha colpito il brand Apple, ovvero l’obsolescenza programmata. Inizialmente verranno spiegate le origini e il significato di questa strategia, per poi passare alla causa scatenante del periodo di difficoltà che sta vivendo l’azienda, nata dalle accuse che le sono state mosse dallo stato francese e, successivamente, anche dall’organizzazione Greenpeace, per poi illustrare le risposte di difesa di Apple. Per concludere, è stato ripreso uno studio di questo fenomeno, che ha messo a confronto un paese emergente come il Brasile, con il Regno unito.

1.1 Crisi di management

Una crisi viene definita come “un evento improvviso e inaspettato che minaccia di abbattere le operazioni di un’organizzazione e pone una minaccia sia finanziaria che di reputazione” (Coombs, 2007, 164). Quando si parla di reputazione del marchio, in particolare, ci si riferisce alla valutazione complessiva della misura in cui un marchio è sostanzialmente “buono” o “cattivo” in base a caratteristiche salienti (Rindova et al., 2005).

La reputazione richiede molto tempo per essere creata e per avvantaggiare un marchio (Keh e Xie 2009), ma potrebbe sgretolarsi rapidamente in seguito a eventi negativi (Cleeren, Dekimpe e Helsen, 2008), oppure, a parità di condizioni, una solida reputazione può aiutare a tamponare gli effetti negativi della crisi di danno che è stato prodotto e rendere meno vulnerabile il marchio di riferimento (Klein e Dawar 2004).

Una crisi di tipo organizzativa, invece, è un evento percepito da manager e stakeholder come molto rilevante, inaspettato e potenzialmente dirompente; può

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9 anche minacciare gli obiettivi di un’organizzazione e avere profonde implicazioni per le sue relazioni con gli stakeholder (Bundy, Pfarrer, Short, & Coombs, 2016).

1.1.1 Come viene affrontata la crisi

Uno degli argomenti centrali della teoria della valutazione cognitiva è che le persone affrontano situazioni stressanti come le crisi in modi differenti (Lazarus, 1991) così come sono diverse anche le loro manifestazioni emotive (Duhachek, 2005). Le emozioni sono definite come disposizioni cognitive-motivazionali-relazionali organizzate in cui lo stato cambia con i mutamenti nella relazione persona-ambiente, come ciò viene percepito e giudicato (Lazarus 1991, pagina 38).

La percezione di una crisi da parte degli individui non è strettamente legata allo stimolo stesso della crisi, ma implica una propria interpretazione della crisi. Le quattro emozioni negative primarie (Jin et al., 2007,2008), ovvero rabbia, tristezza, paura e ansia, sono associate e in grado di essere indotte da diversi gradi di prevedibilità e controllabilità:

• La rabbia sarà indotta come emozione primaria in situazioni di crisi di alta prevedibilità e alta controllabilità;

• La tristezza sarà indotta come emozione primaria in situazioni di crisi di alta prevedibilità e bassa controllabilità;

• La paura sarà indotta come emozione primaria in situazioni di crisi a bassa prevedibilità e bassa controllabilità;

• L’ansia sarà indotta come emozione primaria in situazioni di crisi di bassa prevedibilità e alta controllabilità.

1.1.2 Impatto emotivo delle crisi sugli stakeholder

Le crisi possono danneggiare i consumatori fisicamente, emotivamente e finanziariamente, il che potrebbe indurli a diffondere passaparola negativo, a decidere di non acquistare dalla società, o più in generale, a sviluppare valutazioni negative nei suoi confronti (Claeys & Cauberghe, 2014). I modi in cui gli stakeholders percepiscono e reagiscono alle crisi, così come i modi in cui le organizzazioni possono influenzare queste percezioni, sono generalmente considerati di fondamentale importanza (Bundy et al., 2016).

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10 In questo studio, ci proponiamo di analizzare più nello specifico il ruolo delle emozioni in risposta alle crisi, concentrandoci su una specifica categoria di stakeholder: i clienti finali. È stato dimostrato che in tempi di crisi, le reazioni negative dei clienti possono rappresentare una delle maggiori minacce per un’azienda (Grappi & Romani, 2015).

Focalizzarci sulle emozioni suscitate da una crisi è di fondamentale importanza, dato che una crisi solleva delle forti reazioni emotive che guidano le risposte delle parti interessante e influenzano quindi l’efficacia della gestione della crisi da parte dell’azienda (Gistri et al., 2018).

Recentemente, i ricercatori della gestione delle crisi hanno iniziato a esplorare gli effetti delle emozioni in un contesto di difficoltà, adottando in particolare l’Attribution Theory, la quale afferma che gli individui sono motivati a cercare le cause di eventi imprevisti e negativi, e queste attribuzioni di responsabilità possono invocare emozioni e reazioni negative (Bundy et al., 2016, pag.12).

Utilizzando questa teoria, la comprensione e la rabbia sono state identificate come emozioni particolarmente rilevanti nella gestione delle crisi (Coombs e Holladay 2005) e quelle più strettamente legate alla percezione di responsabilità (Weiner 1995).

Altri studi hanno suggerito che gli eventi che sono più rilevanti per l’individuo, causano emozioni più forti (McDonald, Sparks & Glendon, 2010).

Possiamo quindi aspettarci che le crisi che toccano questioni più rilevanti per il soggetto, genereranno forti emozioni, come la rabbia, che sorge solitamente quando le persone incolpano agenti specifici (ad esempio individui o istituzioni) per una trasgressione o un’ingiustizia (Iyer e Oldmeadow, 2006).

Ad esempio, i consumatori arrabbiati possono dimostrare di essere motivati ad agire contro la società responsabile della crisi, diminuendo l’intenzione di acquistare i suoi prodotti, aumentando il passaparola negativo e/o sviluppando un atteggiamento negativo nei confronti dell’azienda (Coombs & Holladay, 2005).

Per questi motivi, le emozioni percepite dal consumatore sono elementi importanti per spiegare come questi reagiscono alle crisi aziendali, in particolare per i casi di crisi prevenibili in cui la responsabilità dell’evento scatenante è attribuita alla società stessa (Coombs, 2007).

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11 Il processo di attribuzione della colpa è stato identificato come meccanismo spontaneo per spiegare le risposte dei consumatori agli eventi negativi e la loro valutazione dei marchi coinvolti (Klein & Dawar, 2004). Le attribuzioni si riferiscono alle spiegazioni delle persone su perché è accaduto un particolare evento, stato o risultato (Weiner 2000, pag. 382).

Sebbene i consumatori tendano a credere che le crisi siano spesso correlate, queste attribuzioni di colpa possono variare in base a molti fattori, tra cui anche la natura del marchio (Cleeren, Dekimpe & Helsen 2008; Einwiller et al., 2006). Secondo alcuni studi, una forte reputazione del marchio può mitigare le ripercussioni di una crisi prodotto-danno, in quanto i consumatori tendono a credere che i marchi rispettabili si comportino in modo più competente e responsabile rispetto ai marchi meno affidabili (Keh & Xie, 2009; Mitra & Golder, 2006).

1.1.3 Il ruolo dell’identificazione del marchio nelle reazioni emotive dei consumatori a una crisi

Studiosi e professionisti del marketing hanno riconosciuto l’importanza della brand identification (BI) per le aziende che cercano di costruire relazioni profonde e significative a lungo termine con i loro clienti (Bhattacharya & Sen, 2003). Dal punto di vista del marketing, l’identificazione del consumatore con un’azienda è un atto attivo, selettivo, volitivo, motivato dalla soddisfazione di uno o più bisogni auto-definiti e che tale livello di identificazione degli stakeholders con un’organizzazione può anche influenzare la loro percezione di una crisi (Zavyalova, Pfarrer, Renger e Shapiro, 2012).

Spesso accade che i clienti sviluppano il senso di se stessi identificandosi e associandosi alle aziende che preferiscono e che questa identificazione è guidata dall’attrattività dell’identità aziendale e dalla sua somiglianza con la propria identità (Bhattacharya e Sen,2003)

Riferendoci alla figura del cliente, coloro che si indentificano con l’organizzazione hanno maggiori probabilità di impegnarsi in comportamenti come il passaparola positivo, che supporta l’azienda. Infatti, la BI può fungere da cuscinetto contro l’impatto sfavorevole delle informazioni negative sui brand (Trump, 2014).

I consumatori tendono a ignorare e minimizzare le informazioni avverse che possono ricevere su un’azienda (o sui suoi prodotti) con cui si identificano, soprattutto quando il livello di identificazione è elevato (Bhattacharya & Sen, 2003).

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12 Quando le persone si identificano con un’organizzazione, le loro interazioni tendono ad essere caratterizzate da cortesia, altruismo e buona sportività (Bergami e Bagozzi, 2000) ed è probabile che questi consumatori faranno attribuzioni più caritatevoli riguardo alle intenzioni e alle responsabilità della società, quando le cose vanno male; quindi saranno più clementi agli errori della compagnia.

In poche parole, è molto probabile che questi consumatori perdoneranno le società con cui si indentificano, soprattutto perché questa identificazione li porta a fidarsi dell’azienda e delle sue intenzioni (Kramer, 1991). È importante quindi sottolineare quanto sia importante la BI nel guidare l’interpretazione di una situazione e la conseguente emozione provata dal cliente: non è solo una forma specifica della relazione marchio-cliente, ma può anche guidare l’elaborazione di comportamenti. Infatti, se prendiamo come riferimento i clienti con un basso livello di BI, loro potrebbero non avere molto interesse per un marchio colpito da una crisi. Pertanto, non si impegneranno in una valutazione approfondita della crisi, la interpretano al “valore nominale”, cioè si concentrano sul fatto più grave della crisi, attribuendo la responsabilità all’organizzazione e reagendo istintivamente con rabbia. Anche se un cliente con una bassa BI non inquadra la crisi come un danno personale, esprime una rabbia giusta derivante dalla consapevolezza che qualche danno è stato fatto a qualcun altro (Romani, Grappi e Bagozzi, 2013). Tale rabbia influisce negativamente sull’attitude toward the company (ATC) e sulla purchase intention (PI) (Grappi & Romani, 2015).

Viceversa, i clienti che presentano una elevata BI possono percepire la crisi come una minaccia per la propria identità; così, il cliente può difendersi esprimendo un’emozione positiva di supporto per l’azienda (Trump, 2014). In sintesi, quindi, un cliente altamente identificato, esprimerà comprensione nei confronti dell’azienda, tamponando le reazioni negative alla crisi. La stessa esclusività può portare i clienti altamente identificati a sentirsi parte di un gruppo selezionato di consumatori, e quindi, possono esprimere sostegno e comprensione per il marchio contro le critiche di “estranei” (Gistri et al., 2017).

1.1.4 Ruolo del coinvolgimento durante le crisi dei consumatori (PCR)

Studi recenti sulla comunicazione di crisi sottolineano l’importanza del coinvolgimento emotivo dei consumatori durante le crisi (Arpan & Roskos-Ewoldsen, 2005; Choi & Lin, 2009a; Coombs & Holladay, 2005). In particolare, più

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13 rilevante è la percezione di una crisi, più è diagnostica ed efficace nel cambiare le valutazioni dei marchi dei consumatori (Dawar & Lei, 2009). In effetti, è probabile che la pertinenza e le implicazioni personali del soggetto agiscano come motivatori per esaminare attentamente le informazioni sull’episodio di crisi, così come i commenti fatti riguardo alla crisi da parte delle organizzazioni (Coombs & Holladay, 2010, pag. 642).

Gli individui con un alto coinvolgimento nelle crisi esaminano le informazioni in modo più approfondito e attivamente rispetto a coloro che hanno un basso coinvolgimento (Choi & Lin; 2009a); inoltre, un alto coinvolgimento con un’organizzazione o con i suoi prodotti, porta a livelli più bassi di gravità percepita della crisi (Arpan & Roskos-Ewoldsen, 2005).

Questo risultato è in linea con la ricerca sui consumi, secondo cui il coinvolgimento delle persone con prodotti/problemi influenza la profondità con cui elaborano le informazioni (Petty, Cacioppo e Schumann,1983). Di conseguenza, l’importanza del contenuto dei messaggi è diversa per i consumatori con un coinvolgimento basso rispetto a quello alto.

Anche se la BI ha dimostrato di funzionare come tampone in caso di crisi, questo effetto di tamponamento potrebbe non funzionare più quando la PCR inizia ad aumentare, gli incidenti valutati come personalmente rilevanti, porteranno a un’elaborazione cognitiva più attiva degli episodi di crisi (Coombs & Holladay, 2010, pag. 643) e, pertanto, la BI potrebbe spostarsi sullo sfondo.

In condizioni di alta PCR, il consumatore si impegna in valutazioni dettagliate della gravità dell’incidente della sua responsabilità. Questa ricerca accurata da parte del consumatore, probabilmente, esporrà l’individuo ad aspetti negativi e quindi solleciterà emozioni negative come la rabbia. Questo effetto non si verificherebbe in caso di bassa PCR.

I consumatori fortemente connessi non perdonano così tanto facilmente la trasgressione della marca se le azioni del marchio sono personalmente rilevanti per loro, o se le azioni negative sono di natura etica piuttosto che correlate alle performance del prodotto. Da uno studio è stato scoperto che l’effetto tampone emerge solo quando le azioni negative del marchio non sono auto-rilevanti per il singolo consumatore e le azioni negative si trovano nel prodotto - non a livello etico (Trump, 2014).

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14 Tuttavia, fino ad ora, la ricerca sulla crisi si concentra principalmente sulle risposte emotive dei consumatori (Jin, 2009). Pertanto, gli studi investigano sull’impatto delle attribuzioni di responsabilità sulle emozioni, ad esempio rabbia e tristezza, vissute dai consumatori durante le crisi (Choi & Lin, 2009b; Coombs & Holladay, 2005). Alcune di queste emozioni si legano negativamente alla reputazione dell’organizzazione (Choi & Lin, 2009b). Tuttavia, l’inquadratura emotiva può anche servire come strategia di comunicazione di crisi oltre al contenuto della comunicazione di crisi (Coombs,2007), poiché gli inserzionisti usano comunemente la cornice emotiva nella loro persuasiva comunicazione per convincere i clienti (Cotte & Ritchie, 2005).

Quando il coinvolgimento nella crisi è basso, i consumatori basano il loro atteggiamento su deduzioni semplici (Maheswaran e Meyers-Levy, 1990) e dedicano poco sforzo a pensare a informazioni rilevanti per il problema (Pretty et al., 1983), concentrandosi piuttosto su elementi non di contenuto, come la cornice emotiva di un messaggio (Petty et al., 1983; Yoo & MacInnis, 2005). Il loro atteggiamento post-crisi verso l’organizzazione molto probabilmente non differisce a seconda del frame del messaggio utilizzato, ma dall’inquadratura emotiva del messaggio, che riesce ad attirare le loro emozioni (Petty et al., 1983; Yoo & MacInnis, 2005).

1.1.5 Progressi tecnologici e Internet

I progressi tecnologici inerenti al Web e la comunicazione bidirezionale fornita da Internet e dai social network, hanno incrementato lo scambio di contenuti non solo tra consumatori e marchi, ma anche tra i consumatori stessi (Kliatchko, 2008). Tale situazione infatti ha permesso a molte persone di trovare e condividere informazioni, e questo ha comportato che i consumatori oggi abbiano una maggiore influenza sulla gestione del marchio.

Il loro comportamento sociale su Internet, consente un maggior coinvolgimento con i marchi attraverso l’interazione e alle relazioni. Grazie alla facilità con cui si condividono messaggi all’interno della rete stessa e tra reti diverse, si è moltiplicata la visibilità degli oggetti a cui il pubblico è maggiormente sensibile (Salvador & Ikeda 2017).

Se da un lato le persone hanno maggiore accesso alle informazioni, dall'altra le aziende saranno più facilmente coinvolte in potenziali crisi aziendali, che si possono annidare ovunque e in qualsiasi momento, nei commenti che generano discussioni,

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15 passaparola o articoli online, che si diffondono in maniera rapida e capillare, che devastano l’azienda in poco tempo, con ripercussioni però che si riflettono sul lungo periodo2.

Queste crisi non possono essere risolte ovviamente con procedure di routine e in genere provocano una pubblicità negativa, che può danneggiare le immagini aziendali (Rosa, 2001) ma anche gli stessi stakeholders a livello fisico, finanziario o emotivo (Coombs, 2007b; K. Kim et al., 2017).

Queste crisi dei brand possono verificarsi a causa di difetti di prodotto, problemi di responsabilità sociale, cattivo comportamento aziendale, cattiva condotta esecutiva, pessimi risultati, cattivo comportamento dei portavoce o atteggiamenti controversi, con relativa perdita di sostegno pubblico o controversie sulla proprietà.

C’è da dire però che la protezione dei marchi attraverso la gestione delle crisi è diventata sempre più interessante per le organizzazioni (Coombs & Holladay, 2002; Dawar & Pillutla, 2000; Siomkos, Triantafillidou, Vassilikopoulou e Tsiamis, 2010). Monitorare le informazioni interne ed esterne delle aziende può aiutare in questa azione (Rosa, 2001). Se, da un lato, i marchi non sono mai stati così sensibili, dall'altro, i gestori non hanno mai avuto così tante informazioni disponibili per prevenire e identificare i problemi che potrebbero portare a crisi.

1.2 Obsolescenza programmata

1.2.1 L’uomo e la tecnologia: dislivello prometeico e induzione del desiderio

Acquistare con assidua frequenza nuovi prodotti tecnologici non può essere più semplicemente definita come una moda, ma sta diventato sempre di più un vero e proprio comportamento compulsivo. Ci riferiamo sia a prodotti come elettrodomestici in generale, ma questo fenomeno si sta incrementando sempre più soprattutto per smartphone, tablet e computer, la cui uscita di una nuova versione innesta una reazione a catena incontrollabile, che porta numerosi consumatori ad acquistare il prodotto nuovo e ad abbandonare quello in uso perché considerato ormai obsoleto. È impossibile discutere riguardo l’utilità di queste apparecchiature elettroniche, che hanno reso le nostre vite più semplici, facili, riposanti ed efficaci. La nostra esistenza è sempre più mediata da queste macchine, prestazioni, apparecchi altamente sofisticati, senza i quali la maggior parte delle nostre attività quotidiane

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16 sarebbero ormai impossibili, o quanto meno radicalmente differenti da ciò che sono adesso (Miano, 2013).

La tecnologia ha da sempre avuto il grande potere di penetrare nelle nostre vite in maniera prepotente, stravolgono il nostro modo di vivere, e per quanto si cerchi di adeguarci alle macchine, il rapporto tra le due parti non è bilanciato. L’uomo e la tecnologia non viaggiano alla stessa velocità, né tanto meno si muovono sugli stessi “binari”: la invidiamo e la temiamo. Il filosofo tedesco Anders ha studiato ed analizzato in maniera approfondita, questo rapporto esistente tra le due. Egli ritiene che l’uomo sia diventato servo della macchina e tutto è prodotto e tutto viene consumato, e per essere consumato bisogna indurre artificialmente il bisogno.3

Nel saggio L’uomo è antiquato il filosofo ha ideato il concetto Della vergogna prometeica e viene spiegato come l’uomo della civiltà tecnologica sia subalterno alle macchine da lui stesso create e, per questo motivo, provi soggezione, smarrimento e imbarazzo; questo scarto vergognoso uomo-tecnologia, viene sintetizzato da Anders come dislivello prometeico.

Il punto di partenza di questa vergogna, consiste in una sorta di ribaltamento paradossale, quasi dialettico, del mito classico di Prometeo. Il fuoco e gli altri doni fatti agli uomini, hanno prodotto nel tempo lo sviluppo di una tecnica sempre più perfetta ed efficiente, in grado di riprodurre e ampliare se stessa a prescindere dalla volontà dei suoi artefici.

Ciò che in ballo non è più la ύβρις, il peccato di tracotanza dell’uomo che avanza la pretesa superbia di ergersi al livello della divinità, bensì la vergogna per quel dislivello o asincronizzazione che si è venuta a creare tra di lui, in quanto essere finito, e le sue produzioni, ormai incomparabilmente più complete ed efficaci di quanto lui potrà mai essere (Miano, 2013).

Paradossalmente, il produttore è riuscito a creare prodotti che per efficienza e prestazioni risultano infinitamente superiori rispetto a ciò che può fare egli stesso, ragion per cui ha finito con lo sviluppare una forma di vergogna per questa sua “inferiorità”.

In un certo senso, pertanto, l’uomo accetta la sua riduzione a cosa, e anzi in qualche modo la anela, proprio nella speranza di raggiungere una perfezione che altrimenti non gli potrebbe appartenere. Questi processi sottesi al fenomeno della vergogna

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17 prometeica comportano dunque una sorta di ribaltamento nel rapporto uomo-prodotto, in virtù del quale non è più il primo a creare e a servirsi del secondo, bensì è quest’ultimo in un certo modo a disporre di quello (Miano, 2013).

L’uomo è ormai troppo antiquato per poter, anche solo potenzialmente e ipoteticamente, condurre un’autentica vita etico-morale, e gli stessi filosofi sono troppo “antiquati” per comprende appieno quello che ci sta accadendo (Anders, 1956).

A questo punto potremmo chiederci da cosa è spinto questa voglia compulsiva di cambiare un prodotto, dal momento che la data di scadenza non è mai stato un elemento così determinante nel prendere la decisione. Quindi per quale motivo percepiamo, ad esempio, un personal computer o un dispositivo mobile vecchio? Le risposte possono essere di diverso tipo, lo percepiamo improvvisamente come superato dopo aver visto e provato modelli più aggiornati, perché ci innamoriamo dei design di quelli nuovi e ci disamoriamo di quelli vecchi, perché veniamo “bombardati” quotidianamente da promozioni, proposte e pubblicità che con grande abilità ed escamotage riescono a solleticare il nostro desiderio di possedere le novità per stare al passo con le tendenze emergenti e i nuovi stili di vita. Nulla ci vieterebbe di resistere a queste tentazioni lanciate dal marketing e dalle pubblicità, ma farlo è sempre più difficile, perché gli standard di qualità proposti sono sempre più allettanti, elevati e quindi non conviene andare contro tendenza e rimanere di conseguenza indietro rispetto agli altri.

I produttori cercano deliberatamente di determinare il comportamento dei consumatori attraverso le prassi del marketing e della pubblicità. Ciò che viene creato non è il bisogno di oggetti specifici, ma il bisogno di aver bisogno, il desiderio di desiderare. I bisogni non hanno molto a che fare con il piacere e la soddisfazione, ma serva per acquistare un certo livello di prestigio e comfort: gli oggetti valgono per il loro valore di segno (Baudrillard, 1974).

I consumatori non consumano tanto determinati oggetti al fine di conseguire specifici obiettivi concreti, ma consumano segni di carattere generale per conseguire obiettivi sociali. Lo scopo di tutto questo gioco è quello di differenziarsi nella società. Il fine delle merci quindi è quello di comunicare (Baudrillard, 1974; Douglas e Isherwood,1979)

La pubblicità, a partire dal XX secolo, ha il compito di produrre dei consumatori che siano affidabili e di far sentire i consumatori inadeguati, e che solo i prodotti

(18)

18 potranno aiutarli a risanare queste mancanze per essere accettati dalla società. Si concentrano quindi sul consumatore, non in quanto individuo, ma in quanto essere sociale.

È talmente potente questa pressione sociale, da far sì che anche numerose famiglie, nonostante l’assenza di budget adeguati per potersi permettere, ad esempio, gadget tecnologici, li acquistino comunque. Queste cercano in tutti i modi di soddisfare le richieste, soprattutto dei giovani, di rimanere in linea con i trend del momento. La gravità della situazione sta nel fatto che nei loro processi di acquisto, molto spesso non considerano l’inutilità di aggiornamenti così frequenti considerata la longevità, durata e qualità di molti prodotti in circolazione.4

1.2.2 Origini dell’obsolescenza programmata

Keynes nel 1938, guardando i passi enormi della tecnologia del suo tempo, immaginava che nel 2038, cento anni dopo, lo sviluppo tecnologico potesse affrancare l’uomo dal lavoro. Al massimo avremmo lavorato non più di due o tre ore al giorno. Ci stiamo avvicinando a quell’anno sempre di più, e nulla di ciò sembra che stia per accadere.

Per cercare di capire come e quando sia sorto il fenomeno dell’obsolescenza programmata, è opportuno risalire agli inizi del ‘900 e prendere come riferimento un particolare prodotto: la lampadina. Nel 19015 la Shelby Electric Company donò ai vigili del fuoco di Livermore, in Ohio (USA), una speciale lampadina, denominata Centennial Light, famosa ancora oggi. La sua particolarità sta nel fatto che, nonostante siano passati 117 anni, è accesa ancora oggi nella stessa caserma dei pompieri. È più di un secolo che non viene mai spenta, per un totale di più di un milione di ore, ed è la dimostrazione che certi oggetti possano durare in eterno, o quasi. Una resistenza che sembra oggi impossibile, considerando che le moderne lampadine durano circa 20.000 ore, cioè hanno una vita media tra i 2 e i 5 anni. Una domanda sorge spontanea: come è possibile, dati tutti i progressi tecnologici, che una lampadina di inizio novecento resista di più di una del XXI secolo? Cosa è accaduto?

4http://www.solotablet.it/lifestyle/rifiuti-elettronici-discariche-digitali 5 http://www.beppegrillo.it/linganno-sempre-presente-dellobsolescenza-programmata/

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19 Tutto ebbe inizio nel 1924, quando le più importanti aziende internazionali che producevano lampadine formarono il Cartello Phoebus6 per controllare il mercato.

Lo scopo era quello di accordarsi su quanto abbassare la vita media dei loro prodotti, dato che duravano troppo e le loro fabbriche incominciavano ad avere problemi. Non erano a rischio soltanto i profitti delle imprese, ma anche i posti di lavoro degli operai. Si arrivò all’accordo in cui si stabiliva che nessuna lampadina prodotta avrebbe dovuto durare più di 1000 ore, così da costringere l’utente ad acquistare un’altra lampadina, non troppo presto da fargli perdere la fiducia nella qualità del marchio, ma nemmeno troppo tardi da limitare la domanda e quindi gli introiti dei produttori. Tutte dovevano rispettare questa decisione, pena multe salate ed esclusione del mercato stesso. Gli ingegneri, che fino a quel momento progettavano lampadine sempre più resistenti e durevoli, da quel momento in poi avrebbero dovuto studiare un prodotto che dopo un po’ su rompesse da solo.

Il concetto di obsolescenza programmata è comparso per la prima volta in letteratura nel 19327, epoca in cui l’economia era colpita dalla grande crisi, ad opera dell’agente immobiliare americano Bernard London8, che parlò di “obsolescenza imposta” per stimolare l’industria e la crescita. Costui, insieme ad alcuni imprenditori, pensarono addirittura di renderla obbligatoria per legge, prevedendo dei limiti di durata che costringessero i consumatori a riacquistare ciclicamente il prodotto.

Questa strategia non si fermò certamente alle lampadine, ma iniziò a colpire anche altri settori. Ricordiamo ad esempio il 1940, quando ci fu la comparsa del nylon. Con il passare del tempo, le aziende si resero conto che il prodotto era troppo resistente e non si smagliava mai. Questo minava a lungo andare l’esistenza delle aziende stesse, così fu detto agli ingegneri di peggiorare il prodotto in modo che si rovinasse più facilmente.

Stesso discorso vale per frigoriferi, automobili e qualsiasi prodotto esistente. La filosofia che si è diffusa è che tutto deve rompersi con una certa frequenza, solitamente dopo poco tempo la scadenza della garanzia, o il nostro sistema economico si dissolve. L’utente quindi si sentirà costretto a cambiare prodotto non perché realmente lo voglia, ma per “indotta necessità”.

6https://www.corriere.it/cronache/18_gennaio_08/vita-tempo-oggetti-obsolescenza-programmata-48787088-f3f0-11e7-aa70-8e209e058724.shtml

7 https://www.mangaforever.net/532758/obsolescenza-programmata-in-francia-la-prima-indagine?cn-reloaded=1 8 http://www.italiachecambia.org/2018/06/obsolescenza-programmata-truffa-consumismo/

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20

1.2.3 Meccanismi di obsolescenza

Due sono i principali meccanismi che conducono all’obsolescenza (Guiltinan, 2009):

(a) Meccanismo di obsolescenza fisica, che si divide in:

- Design funzionale limitato o durabilità contratta. Il prodotto è

progettato per deteriorarsi rapidamente, quindi ogni componente di un prodotto è fatto per durare un breve periodo, ad esempio 3 anni. Un metodo per limitare la durabilità è l'uso di materiali inferiori in componenti critici, come materiale plastico che si deteriora facilmente, viti sottodimensionate che si rompono dopo un tempo limitato e altre che compromettono l'uso di un prodotto (Giles, 2006; Orbach, 2004).

- Design per riparazione limitata. Le componenti critiche che sono

soggette a rotture, sono fatti per essere così costosi da sostituire che è più economico comprare un nuovo prodotto. Per esempio, il cedimento dei cuscinetti in alcune lavatrici, che è uno dei problemi più comuni, è così costoso e complicato da riparare che vale la pena acquistare una nuova lavatrice (Poulter, 2015).

- Design estetico che porti a una riduzione della soddisfazione.

Caratteristiche estetiche che si deteriorano nel tempo, come le parti dorate che si ossidano con l'uso.

(b) Meccanismo di obsolescenza tecnologica, che si divide in:

- Design per l'obsolescenza della moda o dello stile. Il modo di pensare

della moda viene applicato ai prodotti, così che i consumatori siano indotti a sostituire i loro acquisti per uno nuovo con qualche cambiamento di design. Un esempio è quando l'industria automobilistica promuove cambiamenti, come nuovi fari, per differenziarli da quelli prodotti nell'anno precedente, ma mantenendo le stesse caratteristiche tecniche di base del veicolo (Müeller et al., 2007).

- Progettare per il miglioramento funzionale attraverso l'aggiunta o l'aggiornamento delle funzionalità del prodotto. Vengono lanciati

nuovi prodotti che incorporano altre funzionalità o miglioramenti tecnologici, come telefoni cellulari che incorporano TV digitale, GPS e altre funzionalità, o personal computer con processori, memoria, ecc. Più

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21 potenti, rendendoli attraenti per sostituire quelli vecchi che non avevano questi nuove caratteristiche.

È possibile fare una suddivisione ancora più particolare (Granberg, 2017), ovvero accanto a un’obsolescenza di tipo più funzionale, ne presenta una di tipo psicologica:

- L'obsolescenza funzionale si verifica quando la decisione di sostituire un prodotto viene presa utilizzando criteri oggettivi come il deprezzamento economico, i cambiamenti tecnologici e nuove situazioni che influenzano il "bisogno" (ad esempio, diverse circostanze familiari).

- L'obsolescenza psicologica deriva da un cambiamento soggettivo nella percezione dell'utente di un prodotto ed è associata all'esperienza acquisita, al raggiungimento dello status, alla moda e alla qualità estetica. È astratta e soggettiva, sorge quando non siamo più attratti da prodotti o soddisfatti da loro. Nel nostro secolo, è la più frequente e la più dannosa.

La nozione di obsolescenza psicologica può essere correlata al rapporto consumatore-beni, questi vengono usati come mezzo per stabilire identità e impegnarsi a livello sociale (Douglas e Isherwood, 1996). Gli oggetti materiali come l'elettronica, costituiscono segni e sceneggiature per l'identità personale, consentendo ai consumatori di soddisfare i bisogni fondamentali (come l'appartenenza, la trascendenza, l'autorealizzazione e la distinzione). Questa nozione di obsolescenza psicologica presuppone una declinante utilità soggettiva (desiderabilità sociale) dei prodotti nel tempo, come rappresentazione simbolica di status e carattere. Questa desiderabilità nasce nelle nostre menti perché uno stile o altro cambiamento lo fa sembrare meno desiderabile (Packard, 1960, pp. 58-59).

1.2.4 Il caso Apple

Il nostro studio si è incentrato sulla crisi che ha colpito il brand Apple. A partire da fine dicembre 2017 e inizio gennaio 2018, la procura di Parigi ha avviato un’inchiesta nei confronti di Apple, con l’accusa di aver attuato pratiche commerciali scorrette e truffa ai danni dei consumatori. Le è stato in particolare imputato di aver ridotto volontariamente le prestazioni e la vita dei propri dispositivi attraverso aggiornamenti degli iPhone, allo scopo di velocizzarne i tempi di sostituzione e di

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22 aumentare le vendite: in pratica, avrebbe messo in atto una vera e propria strategia globale di obsolescenza programmata.

In Francia, peraltro, è stata approvata nel 2015, con entrata in vigore dal 2016, una legge che punisce molto severamente questa strategia aziendale, la quale prevede l’estensione del periodo di garanzia da 2 a 5 anni e il divieto di progettare e produrre dispositivi destinati a rompersi dopo pochi anni di utilizzo9. In caso di condanna, i produttori rischiano pene fino a due anni di reclusione e una multa di 300 mila euro che può aumentare fino al 5% del volume di affari dell’azienda10. La notizia, pertanto, ha fatto subito il giro del mondo, scatenando discussioni online sui social, forum e articoli di giornali.

Come ha reagito Apple a questa crisi?

Il dirigente e amministratore delegato dell’azienda, Tim Cook, ha parzialmente riconosciuto di fare uso di questa pratica, di rallentare temporaneamente i vecchi modelli di smartphone (iPhone 7,7 Plus, 6, 6s e SE), in relazione al deterioramento della batteria, anche se ha negato di aver fatto qualcosa per accorciare la vita dei suoi dispositivi. Tutto questo è stato stabilito, secondo loro, per un “buon motivo”, ovvero di scongiurare spegnimenti improvvisi. Come prima risposta, è stato deciso di agevolare la sostituzione della batteria per i possessori iPhone a un prezzo pari a 29€11.

Dopo circa tre mesi dallo scoppio dello scandalo, l’azienda di Cupertino ha rilasciato anche una nuova versione di iOS che risolverebbe il problema della batteria. Tim Cook ha dichiarato che iOS 11.3 consentirebbe ai possessori di un iPhone o di un iPad, di scegliere se disattivare o meno il rallentamento e di avere il controllo sulla batteria, ma a proprio rischio e pericolo. La disattivazione potrebbe infatti, comportare un malfunzionamento del dispositivo, con spegnimenti o riavvi improvvisi12.

Nonostante le critiche pesanti mosse a inizio anno, il modo di agire e di lavorare di Apple non sono affatto mutate. Infatti, con l’introduzione di iOS 11.4.1, è stata

9 https://www.tomshw.it/iphone-apple-sotto-inchiesta-obsolescenza-programmata-90672 10 https://www.wired.it/economia/business/2018/01/19/obsolescenza-programmata-antitrust/ 11 https://www.ilsoftware.it/articoli.asp?tag=Obsolescenza-programmata-Apple-nella-bufera_16710 12 https://www.firstonline.info/apple-nuova-privacy-e-controllo-batterie-le-novita-di-ios-11-3/

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23 aggiunta la funzionalità di sicurezza che protegge i dati dai tentativi di “forzatura” della crittografia e delle password tramite dispositivi Usb, ma il problema della batteria peggiora ancora. Sembra che il tempo tra una ricarica e l’altra si sia dimezzato, a parità di utilizzo e che risulterebbe l’uso di funzionalità nemmeno mai abilitate (ad esempio il Personal Hotspot)13.

Ad agosto 2018 numerosi clienti hanno iniziato a segnalare problemi per quanto riguarda i prodotti iPhone 7 e 7 Plus, che erano considerati quasi i due migliori dispositivi mai realizzati dall’azienda di Cupertino, addirittura forse davanti anche all’iPhone X. Questi accusano cedimenti, iniziano a congelarsi durante le normali attività e, nei peggiori dei casi, lo smartphone non riesce più a riaccendersi, rimanendo bloccato sul logo Apple: questo problema è chiamato Loop Disease14.

La battaglia dello stato francese contro l’obsolescenza programmata non si è fermata. Infatti, la Francia ha stabilito che dal 1° gennaio 2020 gli elettrodomestici e prodotti tecnologici dovranno possedere un’etichetta obbligatoria con l’indice di riparabilità calcolato in base a 10 parametri. Lo scopo del governo - trasmesso a maggio 2018 tramite il piano di azione Feuille de route économie circulaire (FREC) - è quello di ridurre il consumo di materie prime, ridurre l’impatto ambientale favorendo buone pratiche di riutilizzo dei materiali e allungare la durata degli oggetti di uso quotidiano.

Secondo la ricerca dell’Agenzia Francese per l’ambiente e l’energia (ADEME), pubblicata nel giugno 2017 dal titolo “Cassetti pieni di vecchi telefonini: consumatori e oggetti dalla obsolescenza percepita”, l’88% dei francesi sostituisce cellulari solo perché un po’ datato, mentre se lo tenesse con sé per quattro anni anziché due, per ogni utente ci sarebbe un risparmio di 37 chili di gas serra immessi nell’atmosfera. E lo stesso discorso vale per molti prodotti tecnologici ed elettrodomestici.

Il gruppo Fnac-Darty, terza piattaforma francese di commercio elettronico e con centinaia di negozi fisici, ha deciso di giocare in anticipo introducendo il “bollino”

13 http://www.ictbusiness.it/cont/news/apple-migliora-la-privacy-dell-iphone-ma-s-accanisce-sulla-batteria/41827/1.html#.W0tbyNIzbIU

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24 già da quest’anno, partendo dai computer portatili. Su questi prodotti è stata fissata un’etichetta di riparabilità basata su 100 punti per aiutare il consumatore nella sua scelta di acquisto (in figura numero 1 è riportato l’Indice di riparabilità)

(Figura numero 1: Indice di riparabilità)

Questo indice di misurabilità è composto da:

• Documentazione (25 punti): istruzioni di smontaggio (10 punti), aiuto con la diagnosi (10 punti) e consigli di manutenzione (5 punti);

• Modularità e accessibilità (25 punti): semplicità di

smantellamento/smaltimento (10 punti), modularità delle principali componenti (10 punti) e uso di strumenti standard (5 punti);

• Pezzi di ricambio (25 punti): disponibilità (10 punti), prezzo massimo (10 punti) e utilizzo di parti standardizzate (5 punti);

• Reinstallazione del software (25 punti): reinstallazione della configurazione originaria (10 punti), fruibilità di sistemi di esplorazione gratuiti (10 punti) e reinstallazioni aggiornate (5 punti)15.

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25

E l’Italia?

Non c’è da stupirsi, dunque, se anche la politica inizia ad interessarsi riguardo questo problema, e anche l’Italia, insieme agli altri organi legislativi di vari nazioni, si sta attivando per promuovere delle norme che limitino e scoraggino l’obsolescenza programmata. In particolare, l’autorità Anti-trust italiana ha avviato due distinti procedimenti per pratiche commerciali scorrette nei confronti di Apple e Samsung, a seguito delle segnalazioni degli utenti e di un’attività preistruttoria svolta d’ufficio. Il sospetto è che le aziende abbiano appositamente rallentato i vecchi modelli per spingere i clienti all’acquisto di nuovi prodotti. Tali comportamenti, segnala l’Anti-trust, “potrebbero risultare in violazione degli articoli 20,21,22 e 24 del Codice del Consumo”16.

Due sono le proposte di leggi avanzate nel corso della XVII Legislatura, entrambe ferme alla Camera dei Deputati, che vogliono regolamentare l’obsolescenza programmata e garantire così maggiori diritti ai cittadini-acquirenti. La prima prevede che i prezzi di ricambio siano disponibili fino a cinque anni dopo che i dispositivi non sono più prodotti; la seconda vuole l’estensione del periodo di garanzia a cinque e dieci anni, a seconda se l’oggetto sia di grandi o di piccole dimensioni17. Entrambe però non sono ancora arrivate, al momento, alla discussione in Aula.

Apple quindi è sicuramente una delle aziende che abusa di più di questa strategia, anche se comunque i consumatori tendono a cambiare dispositivi non tanto per le usure, ma per una questione più psicologica.

È giusto domandarsi, qual è la vita media effettiva di un dispositivo Apple?

Può fornirci la risposta l’analista Horace Dediu di Asymco18, che ha condotto una ricerca mirata proprio su questo argomento e quanto a lungo vengono effettivamente utilizzati i prodotti Apple. Lo scopo è di capire quali siano le dinamiche di un’azienda unica per integrazione verticale e per ecosistema chiuso (tutti gli apparecchi Apple utilizzano le stesse tecnologie cloud e di sincronizzazione dei dati proprietari). 16https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/01/18/apple-e-samsung-antitrust-indaga-su-obsolescenza-programmata-sfruttate-carenze-per-ridurre-le-prestazioni/4101427/ 17 http://www.fastweb.it/smartphone-e-gadget/obsolescenza-programmata-cos-e-e-come-combatterla/ 18 https://www.iphoneitalia.com/664537/vita-media-iphone-apple

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26 L’indagine non suddivide i dati in base ai singoli prodotti, ma comprende l’intera line-up dell’azienda, confrontando i dati dei prodotti venduti nel secondo trimestre 2013 e quelli dei dispositivi ritirati nel quarto trimestre 2017, al fine di confrontare quanti prodotti sono stati venduti fino a quel momento e quanti sono ancora effettivamente in utilizzo.

Grazie alle informazioni fornite da Apple, in quanto società quotata in Borsa, alla SEC19, la Consob americana, ad oggi sappiamo che sono più di due milioni i prodotti venduti, mentre il numero sugli apparecchi ancora in funzione è un dato a noi ignoto, può essere conosciuto solo da Apple.

Il limite di questa ricerca sta nel fatto che, non potendo prendere in considerazione i singoli tipi di apparecchi, non consente di differenziare la vita media a seconda della categoria di dispositivo: iPhone, iPad, Mac, Apple Tv e Apple Watch. Naturalmente ci sono dispositivi che fanno scendere il valore, come gli iPhone che hanno una vita media stimata che va dai 18 ai 36 mesi, altri invece che l’aumentano molto, come i computer Mac, che vanno dai 5 ai 7 anni; infine gli iPad hanno un tasso di sostituzione paragonabile a quello dei personal computer, superiore ai due anni e mezzo.

Horace Dediu ha concluso che la durata media di vita dei prodotti Apple è di circa 4 anni e 3 mesi20. Se però si considerano anche i prodotti non smart, come dimostrato dalle rilevazioni compiute dalla Computer Electronics Association, il risultato aumenta a 4 anni e 7 mesi21.

1.2.5 Greenpeace contro l’obsolescenza programmata

L’organizzazione non governativa ambientalista e pacifista Greenpeace ha dato il via ad una campagna di sensibilizzazione che riguarda l’industria dell’elettronica da consumo, e si è scagliata contro l’obsolescenza programmata - e le sue nefaste ricadute sull’ambiente - di smartphone, tablet e personal computer.

Nel mirino delle loro accuse troviamo nomi di grande aziende, hanno affermato infatti che “al giorno d’oggi la nostra tecnologia ha una data di scadenza breve. Compagnie IT come Apple, Samsung e LG progettano dispositivi elettronici che durano poco. D’altro canto, rendono le riparazioni complicate e costose, offrono

19 https://www.wired.it/gadget/computer/2018/03/05/la-vita-media-dei-prodotti-apple/ 20 https://www.iphoneitalia.com/664537/vita-media-iphone-apple

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27 garanzie a breve termine, o nessuna, e non forniscono manuali per la riparazione né parti di ricambio. Questa è obsolescenza programmata”22.

Greenpeace sul proprio sito ha presentato una lista di 44 prodotti lanciati tra il 2015 e il 2017, a cui sono stati attribuiti punteggi da 1 a 10 in base a diversi fattori, ottenuti in collaborazione con gli esperti del sito iFixit:

- Facilità di sostituzione batterie; - Facilità di sostituzione schermo;

- Disponibilità di pezzi di ricambio e del manuale delle riparazioni; - Possibilità di intervento senza il bisogno di strumenti specifici.

Nella classifica presentata, si rileva che i prodotti Apple hanno ottenuto delle valutazioni veramente scarse, come il MacBook Pro da 13” e MacBook Retina 2017 con un punteggio 1/10, seguiti da iPad Pro 9.7” e iPad 5 con 2/10. Sorprendono invece gli iPhone 7 e 7 Plus, che ottengono un buon risultato 7/10, grazie alla riparabilità dello schermo23.

Nelle figure numero 2, 3, 4, 5, 6 e 7 è possibile osservare i risultati ottenuto per i singoli prodotti.

(Figura 2: Riparabilità MacBook Pro 13”) (Figura 3: Riparabilità Apple retina MacBook 2017)

22 http://www.melablog.it/post/201045/greenpeace-contro-lobsolescenza-programmata-bassi-voti-per-ipad-e-macbook-lode-ad-iphone-7

23 http://www.melablog.it/post/201045/greenpeace-contro-lobsolescenza-programmata-bassi-voti-per-ipad-e-macbook-lode-ad-iphone-7

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(Figura 4: Riparabilità iPad Pro 9.7”)

(Figura 5: Riparabilità iPad 5) (Figura 6: Riparabilità iPhone 7+) (Figura 7: Riparabilità iPhone 7)

C’è da dire inoltre che Greenpeace ha pubblicato il 17 ottobre 2017 la Guide to Greener Electronics24, una classifica basata sull’analisi di 17 grandi aziende tech, per

stimare quali siano le più ecologiche e i loro impatti ambientali. Dal 2006 al 2012, l’organizzazione ha pubblicato la Guida con regolarità e, di conseguenza, ha visto i progressi costanti da parte delle aziende per eliminare materiali pericolosi dai prodotti e renderli più efficienti dal punto di vista energetico.

Alcune aziende stanno cercando di inervenire, inserendo delle pratiche di produzione più attente all’ecosistema e con un minore impatto su foreste e sull’aria che

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29 respiriamo; altre invece non sono trasparenti. Tre sono i parametri di valutazioni utilizzati:

- Energia: riduzione dei gas a effetto serra attraverso l’efficienza e l’energia rinnovabile;

- Consumo risorse: progettazioni sostenibili e utilizzo di materiali riciclati; - Sostanze chimiche: eliminazione di sostanze chimiche pericolose dal

prodotto stesso e dalla produzione.

Per il calcolo del punteggio, che va da un massimo di A a un minimo di F, è stata valutata anche l’obsolescenza programmata25.

Le aziende prese in esame sono:

1) Samsung; 2) Sony; 3) HP; 4) Fairphone; 5) Oppo; 6) Huawei; 7) Lenovo; 8) Apple; 9) Vivo; 10) Asus; 11) Microsoft; 12) Xiaomi; 13) Acer; 14) Dell; 15) Amazon; 16) Google; 17) LG. 25 https://www.digitalic.it/economia-digitale/business/aziende-piu-ecologiche

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(Figura numero 8: Classifica Greenpeace)

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31 Tra i risultati interessanti ottenuti (figure numero 8 e 9) vediamo:

- al primo posto Fairphone, azienda con sede ad Amsterdam, il cui punto di forza, oltre alla battaglia contro l’inquinamento, è stata proprio l’eliminazione dell’obsolescenza programmata, insieme ad HP e Dell.

- Al secondo posto Apple, i punteggi più elevati sono quelli legati all’utilizzo di energia rinnovabile per la sua catena di approvvigionamento; è l’unica azienda infatti finora che si è impegnata al 100%, e al basso utilizzo di sostanze inquinanti come la plastica (solo Apple e Google nel 2017 hanno eliminato completamente Pvc e Bfr dai loro prodotti). Presenta però un valore basso (C) nella voce consumo di risorse, dal momento che l’azienda fa utilizzo di obsolescenza programmata. Greenpeace sostiene che “Apple, Microsoft e Samsung, in modo particolare, stanno cambiando in continuazione il design dei loro prodotti in modo da accelerare la sostituzione dei dispositivi, rendendoli difficili da gestire o aggiornare, accorciando la vita utile dei prodotti funzionali”.

- Al tredicesimo posto Samsung, poiché non si impegna al 100% nell’utilizzo di Energia rinnovabile per le sue attività. L’azienda ha utilizzato oltre 16.000 GWh di energia nel 2016, con appena l’1% da fonti rinnovabili.

- Amazon (accanto ai brand cinesi Oppo e Xiaomi) rimane una delle società meno trasparenti, non rilascia informazioni sulle sue performance legate all’ambiente né sui materiali utilizzati nei suoi prodotti e si rifiuta di segnalare l’impronta di gas serra delle proprie operazioni.

- I marchi cinesi Huawei, Oppo e Xiaomi hanno un punteggio sotto la media dovuto all’assenza di trasparenza e impegno sostanziale nelle energie rinnovabili.

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1.2.6 Conseguenze ambientali

L'obsolescenza programmata genera un breve ciclo di vita degli attuali prodotti che incidono negativamente sulla sostenibilità. Questo comporta un aumento di rifiuti generati (figure numero 10, 11, 12 e 13), facendo pressione sui costi, acquisizione e manutenzione delle aree di smaltimento dei rifiuti, raccolta dei rifiuti ed esposizione della popolazione a materiali tossici da prodotti non riciclati, inquinando l'aria, l'acqua e la terra (Echegaray, 2016; Çetiner e Gündoğan, 2014; Madden, 2014).

(Figura numero 10: Prodotti dismessi)

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(Figura numero 12: Prodotti dismessi)

(Figura numero 13: Prodotti dismessi)

Un breve ciclo di vita preme nuovi acquisti, richiedendo grandi quantità di risorse naturali, che sono già state ridotte dai cambiamenti climatici, tra gli altri fattori. Se l'estrazione di minerali non viene ridotta, l'esaurimento di alcuni metalli è una possibilità, dato che il loro sfruttamento è aumentato nell'economia industriale (Henckens et al., 2014).

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34 Dai risultati ottenuti da uno studio condotto in Svizzera nel 2015, i dispositivi elettronici contengono molte risorse importanti, non solo materiale sfuso come ferro, alluminio, rame e plastica, ma anche materie prime importanti come l'indio e il neodimio o metalli preziosi come oro, argento e platino. Ad esempio, un importante campo di applicazione dell'indio nell'elettronica è l'ossido di indio-stagno in dispositivi con display a cristalli liquidi (LCD). Il neodimio è stato utilizzato principalmente in magneti permanenti dagli anni '90. Circa il 30% di tutti i magneti al neodimio sono applicati a dischi rigidi, unità ottiche e altoparlanti nei computer, nonché altoparlanti e allarmi di vibrazione nei telefoni cellulari (Thiébaud et al. 2016). Incrementare la complessità del dispositivo significa necessariamente un utilizzo maggiore di energia per produrli. La produzione elettrica rimane ampiamente alimentata dal carbone e da altre forme di energia sporca in Cina e nel Sud-Est asiaco, dove la maggior parte delle aziende ha basato le proprie catene di approvvigionamento manifatturiero.

Come è stato più volte ribadito in questo studio, lo smartphone è sicuramente il dispositivo che i consumatori tendono a cambiare più spesso, a causa dell’obsolescenza programmata e psicologica, e anche uno dei prodotti che necessita di più risorse minerali. Vediamo in figura numero 14, che l’80% delle emissioni di gas derivano dalla fase di produzione26.

(Figura numero 14: Emissioni di gas prodotte dagli smartphone)

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35 Negli anni '50 avevamo abbondanti risorse naturali con industrie in grado di produrre enormi quantità di prodotti, dato il numero limitato di consumatori e della ridotta popolazione mondiale rispetto ai nostri giorni, le industrie hanno creato meccanismi per indurre il consumo, generando la società dei consumi.

Ora, nel ventunesimo secolo le cose sono cambiate. La popolazione è cresciuta più rapidamente del previsto, grazie alla medicina moderna, al miglioramento degli standard di vita e alla riduzione della guerra tra nazioni, così oggi la popolazione mondiale supera i 7,5 miliardi (UNFPA, 2017), o tre volte la popolazione mondiale negli anni '50, quando fu lanciato il paradigma dell'obsolescenza pianificata.

Le industrie dovranno produrre ogni volta di più per fornire una popolazione che sta crescendo in un tasso mai visto prima, e le risorse naturali richieste stanno diventando scarse.

Già nel 2015 oltre 3 miliardi di persone possedevano uno smartphone. Se vogliamo fare una previsione, entro il 2020 questo numero dovrebbe salire a 6 miliardi, oltre il 70% della popolazione mondiale (figura numero 15). Solo questo tasso di crescita mostra l’urgenza di corregge i difetti dell’attuale modello aziendale di take-make-waste impiegato dai produttori di dispositivi e di rendere più consapevoli i consumatori27.

La società dei consumi come motore per lo sviluppo globale non è più sostenibile e una società nuova e meno consumistica dovrebbe sostituire quella attuale.

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(Figura numero 15: Trend vendite prodotti elettronici dal 2010)

1.3 Obsolescenza programmata: aziende e consumatori 1.3.1 Aziende e obsolescenza programmata: i driver

Il “problema dei beni durevoli” per le aziende è quello di mantenere un alto tasso di crescita delle vendite, mentre il loro interesse è quello di realizzare sempre nuove versioni - per gli economisti questo è noto come problema di incoerenza temporale. L'esistenza di un mercato dell’usato complica ulteriormente il problema, perché più il prodotto è durevole e maggiore è la competizione tra versioni nuove e usate e minore è il prezzo dei prodotti sostitutivi (Bulow, 1986).

Per mitigare la concorrenza dal mercato dell'usato, le imprese aumentano la frequenza del ciclo di revisione (aggiornamento) (Iizuka, 2007). Pertanto, l'aumento del tasso di sostituzione, attraverso l'obsolescenza, consentirà alle imprese di:

1) Stimolare le entrate attraverso una sostituzione più rapida; 2) Ridurre la concorrenza da qualsiasi bene usato;

3) Aumentare i prezzi per il prodotto sostitutivo, in virtù del fatto che i beni usati o di proprietà siano meno competitivi.

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37 Oggi le aziende hanno ridotto sia la lunghezza del processo di produzione sia i tempi necessari per adattare la produzione alla domanda e alle azioni competitive. Ne deriva una rapida esecuzione degli ordini e delle consegne, un'implementazione rapida dei nuovi concetti di prodotto e una riduzione dei costi di capitale, scorte e unità. Perversamente, tali sistemi richiedono una crescita della produzione perché le tecnologie amplificano economie di scala e portata, che possono essere realizzate solo attraverso una più rapida sostituzione del prodotto e aumentando il consumo di prodotti progettati per particolari esigenze. Pertanto, il dilemma manageriale relativo alla "volontà di cannibalizzare" è risolto, se un'impresa non cannibalizza le vendite del proprio prodotto, i suoi concorrenti lo faranno. Dato l’aumento dell’interesse riguardo gli argomenti sulla sostenibilità, quali sono le opzioni a disposizione delle imprese per affrontare i problemi ambientali relativi all'obsolescenza programmata?

Questa è una domanda a cui è necessario rispondere a due livelli:

• I progettisti e gli ingegneri responsabili della scelta di componenti,

materiali, architetture e interfacce specifiche. Per quanto riguarda le

pratiche di sviluppo dei prodotti, si potrebbe sostenere che si stanno compiendo progressi significativi nella costruzione di una cultura del design sostenibile tra gli industriali progettisti e ingegneri coinvolti nello sviluppo di nuovi prodotti. Sono stati sviluppati molti nuovi processi e tecnologie per il processo di comunicazione interfunzionale nelle aziende in cui lo sviluppo di nuovi prodotti sostenibili è una priorità. Questi includono strumenti importanti come "design per l'ambiente", "valutazione del ciclo di vita" e "analisi dell'effetto ambientale" (Tingstrom e Karlsson, 2006).

• Strateghi di marketing e di business. Un'azienda dovrebbe cercare un posizionamento sul mercato che lo distingua sulla base della soddisfazione del cliente, della compatibilità ambientale e dell'utilità a lungo termine dei suoi prodotti (Giaretta, 2005). Seguendo il concetto di immaginazione morale di Werhane (2002), le imprese devono rivedere i loro schemi mentali per lo sviluppo di nuovi prodotti includendo una prospettiva "biofisica" che colloca il sistema economico nel più ampio contesto di un sistema ecologico. Questo modo di pensare significherebbe che i manager dovrebbero considerare i costi di smaltimento del prodotto come costi reali che qualcuno deve sopportare, piuttosto che come "esternalità".

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