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Disturbi Respiratori nel Sonno in un gruppo di pazienti affetti da IPF

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Academic year: 2021

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DISTURBI RESPIRATORI NEL SONNO (DRS) IN UN

GRUPPO DI PAZIENTI AFFETTI DA FIBROSI

POLMONARE IDIOPATICA (IPF)

Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Respiratorio Direttore: Prof. Antonio Palla

Tesi di specializzazione

Relatori

Chiar.mo Prof. Antonio Palla

Correlatori

Dott. Massimiliano Desideri

Dott.ssa Laura M. Tavanti Candidata

Dott.ssa Elena Mariancini

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A mia figlia Ori, con i suoi occhi liquidi, laghi d’argento, che già vedono, che già sanno,

e quel suo immenso cuore.

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Indice

Riassunto pag 5

Introduzione pag 8

1- La Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF) pag 8

- aspetti epidemiologici pag 8

- diagnosi pag 10

-caratteristiche istopatologiche pag 13 -caratteristiche cliniche e funzionali pag 14 - classificazione di gravità pag 16 - patogenesi, cenni sui biomarkers in IPF pag 18 - storia naturale e complicanze pag 25

- terapia pag 27

2- Disturbi Respiratori nel Sonno (DRS) pag 32

- definizione e diagnosi pag 34

- aspetti epidemiologici pag 38

- sintomi pag 39

(4)

- patogenesi pag 48

- terapia pag 53

3- DRS e IPF pag 56

Scopo del lavoro pag 59

Materiali e Metodi pag 60

Risultati pag 67

Discussione pag 75

Bibliografia pag 83

(5)

RIASSUNTO

La Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF) è una interstiziopatia polmonare a causa sconosciuta e prognosi infausta.

Non ci sono attualmente terapie risolutive per questa patologia. Il Pirfenidone è attualmente l’unica terapia in grado di stabilizzare il decorso della malattia riducendo il numero delle riacutizzazioni e con un buon profilo di sicurezza nei pazienti affetti da IPF di grado lieve-moderato.

La valutazione clinica dei pazienti affetti da IPF prevede un’accurata diagnosi ed un percorso di controlli con valutazione clinica, emogasanalirsi, spirometria completa e DLCO, 6MWT. Molti Autori hanno studiato i parametri respiratori durante il sonno in pazienti con interstiziopatia polmonare concentrando l’attenzione negli ultimi anni sui pazienti affetti da IPF nel tentativo di ottenere informazioni utili per ottimizzare la gestione dei pazienti affetti e per una migliore comprensione dei meccanismi patogenetici della IPF che sono ancora in gran parte sconosciuti.

Gli studi effettuati dimostrano che i disturbi respiratori nel sonno con particolare riferimento alle apnee ostruttive nel sonno (OSA) sono frequenti nei pazienti con IPF e che il calo della saturazione

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arteriosa di ossigeno nel sangue periferico che ne consegue riduce la sopravvivenza di questi pazienti.

Sulla base di questi studi molti Autori considerano necessario sottoporre i pazienti affetti da IPF a valutazione dei parametri respiratori durante il sonno e, nei pazienti affetti da OSAS, la somministrazione della Ventilazione Meccanica Non Invasiva (VMNI) a scopo terapeutico.

Nel nostro studio abbiamo valutato la presenza di disturbi respiratori nel sonno in un gruppo di pazienti con IPF senza insufficienza respiratoria durante la veglia.

I dati dimostrano che nei pazienti studiati l’OSA è frequente secondo un trend non statisticamente significativo e che sei pazienti presenta desaturazione notturna di grado severo di cui uno in assenza di OSA.

Inoltre, sempre come trend non significativo, tutti i pazienti con alterazioni spirometriche e di DLCO di grado severo presentavano diagnosi di OSA.

Sulla base dei risultati ottenuti 5 pazienti hanno ricevuto l’indicazione alla VMNI durante il sonno e 3 pazienti l’indicazione all’ossigeno-terapia durante il sonno senza VMNI.

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registrazione con conseguente indicazione all’ossigeno-terapia a lungo termine.

I risultati ottenuti, seppur non statisticamente significativi verosimilmente a causa della scarsa numerosità del campione e del tipo di selezione dei pazienti, sono in accordo con i dati statisticamente significativi presenti in letteratura per quanto riguarda la prevalenza di OSA.

Forniscono inoltre uno spunto interessante di discussione sia sull’approccio clinico-terapeutico (in quanto un certo numero di pazienti ha ricevuto una diagnosi con conseguente modifica della terapia) che sui meccanismi patogenetici di IPF perché si può ipotizzare che, sulla base delle conoscenze mediche attuali e dei dati più recenti presenti in letteratura scientifica, le desaturazioni notturne nei pazienti affetti da disturbi respiratori nel sonno possano essere coinvolte nella patogenesi della IPF.

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INTRODUZIONE

1 - La Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF)

IPF è una polmonite interstiziale ad eziologia sconosciuta, cronica e progressivamente fibrosante, che colpisce prevalentemente la popolazione adulta, limitata al polmone ed associata ad un pattern istopatologico e radiologico di tipo UIP (Usual Interstitial Pneumonia) (1,2).

Aspetti epidemiologici

La fibrosi polmonare idiopatica è inserita nel registro delle malattie rare; si stima infatti che l’incidenza annua ogni 100.000 abitanti sia compresa tra il 6,8 % ed il 16,3% con una prevalenza tra il 14% ed il 42,7% negli USA; per quanto riguarda la popolazione italiana si stima che l’incidenza annua ogni 100.000 abitanti sia compresa tra lo 0,22% ed il 7,4% con una prevalenza compresa tra l’1,25% ed il 23,4% (3-6).

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variabilità dei percorsi diagnostici che spesso portano a ritardi

diagnostici; molti pazienti infatti giungono tardivamente

all’attenzione degli specialisti che si occupano di tale patologia o rimangono nell’ambito della medicina generale sfuggendo quindi alla registrazione negli elenchi regionali previsti per la notifica delle malattie rare, determinando quindi variabilità nelle valutazioni epidemiologiche.

Sembra inoltre che l’insorgenza di IPF sia almeno in parte legata a fattori genetici e geografici anche se per la maggior parte la patogenesi di questa patologia è ancora largamente sconosciuta e non è quindi facile chiarire quali siano i determinanti fondamentali che giocano un ruolo chiave nell’insorgenza di IPF (6).

Da ulteriori studi epidemiologici emerge inoltre il fatto che la mortalità per IPF è aumentata progressivamente in USA in un intervallo temporale compreso tra il 1992 ed il 2003 suggerendo quindi l’importanza di rendere più accurati e precisi i percorsi diagnostici fin dalle prime fasi di valutazione anamnestica (11).

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Diagnosi

Come descritto nel più recente documento ERS/ATS per la diagnosi e la gestione di IPF (1) la diagnosi di questa patologia prevede un algoritmo diagnostico che pone come primo passaggio la formulazione del sospetto clinico, che di solito nasce dalla presenza di una sintomatologia persistente e che porta il paziente all’attenzione dello specialista; solo raramente il sospetto di IPF viene formulato sulla base di alterazioni radiologiche evidenti ad Rx del torace o TC del torace eseguiti per altri motivi.

Il passaggio successivo prevede un’accurata valutazione anamnestica ed un accurato esame obiettivo toracico e generale. In particolare, oltre a confermare il sospetto clinico, è fondamentale in questa fase escludere patologie d’organo o sistemiche che possano essere causa di fibrosi polmonare, in particolare le patologie reumatologiche (come la sclerodermia e l’artrite reumatoide); in questo caso infatti non potremmo parlare di IPF ma di fibrosi polmonare secondaria ad altra patologia. (1,2).

Una volta confermato quindi il sospetto diagnostico è necessario eseguira la TC del torace con tecnica ad alta risoluzione (HRTC) che rappresenta la metodica di imaging di elezione per la diagnosi di IPF.

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In caso di presenza di alterazioni radiologiche che configurino un pattern UIP tipico è possibile confermare il sospetto diagnostico; in caso di alterazioni radiologiche che configurino un pattern di tipo possible-UIP o inconsistent-UIP è necessario rivalutare il caso clinico nell’ambito di un gruppo di valutazione multidisciplinare, che comprendendo specialisti diversi, ed in particolare, almeno uno pneumologo, un radiologo ed un anatomopatologo, a cui spesso si aggiungono un reumatologo e un medico internista, consente una rivalutazione clinica anamnestica e radiologica consentendo quindi una valutazione più approfondita del caso per poter giungere ad una diagnosi definitiva. Nel caso in cui non sia possibile giungere ad una diagnosi certa di IPF nonostante una accurata rivalutazione nell’ambito del gruppo multidisciplinare, si pone l’indicazione alla biopsia polmonare chirurgica a scopo diagnostico, almeno in quei casi per cui essa è considerata possibile o comunque non eccessivamente rischiosa (1).

Ai fini di chiarezza espositiva seguirà una descrizione sintetica dei possibili pattern radiologici che si possono evidenziare alla HRTC in pazienti con sospetto di IPF.

Pattern UIP tipico: presenza di alterazioni interstiziali di tipo

reticolonodulare e honey-combing con o senza bronchiectasie da trazione, prevalente alle alterazioni di tipo ground-glass, che almeno nelle fasi iniziali di malattia hanno distribuzione

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prevalentemente basale e subpleurica, andando poi ad interessare anche i campi medio-superiori nelle fasi più avanzate (1).

Pattern possible-UIP: presenza di ispessimenti interstiziali di tipo

reticolo-nodulare con scarso honey-combing, prevalenti alle basi e nelle regioni subpleuriche (questo quadro può essere presente nelle fasi molto precoci di IPF prima che si siano formate lesioni di tipo honey-combing) (1).

Pattern inconsistent-UIP: ispessimento dell’interstizio con elevata

presenza di nodularità e distribuzione prevalentemente

peribronchiale; presenza di ground-glass che spesso segue una distribuzione “a mosaico” e può organizzarsi in consolidamenti parenchimali anche estesi a distribuzione segmentaria e a distribuzione peribronchiale, a cui possono associarsi alterazioni di tipo cistico (1).

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Caratteristiche istopatologiche

Le caratteristiche anatomopatologiche di IPF comprendono fibrosi interstiziale ed aumento di matrice extracellulare negli spazi interstiziali con presenza di infiammazione linfoplasmacellulare dei setti alveolari e distruzione del tessuto parenchimale, iperplasia dei pneumociti di tipo 2 con fibrosi inizialmente focale e diffusa nelle fasi più avanzate di malattia e la presenza di focolai fibroblastici che si localizzano al confine tra tessuti sano e patologico; sono presenti inoltre iperplasia muscolare ed infarcimento degli spazi alveolari da parte dei macrofagi; un’altra caratteristica evidenziata ormai in numerosi studi patogenetici negli ultimi dieci anni e’ che l’epitelio alveolare adiacente ai foci fibroblastici presenta lesioni specifiche in particolare denudamento della membrana basale indice di apoptosi degli pneumociti ed iperplasia della membrana basale; queste caratteristiche portano ad una dilatazione degli spazi interealveolari con fibrosi circostante e questo quadro configura le caratteristiche lesioni di honey-combing o “polmone a nido d’ape”.

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Caratteristiche cliniche e funzionali

Da un punto di vista clinico la IPF si caratterizza per un esordio di solito subdolo ed insidioso in cui la dispnea si colloca come sintomo fondamentale; si tratta di una dispnea da sforzo ad esordio insidioso, che nelle primissime fasi è presente solo per sforzi molto intensi e, successivamente, diventa progressivamente ingravescente fino ad arrivare ad essere anche molto intensa (fase III-IV mMRC). Un altro sintomo che spesso si associa alla dispnea da sforzo fin dalle fasi iniziali di malattia è la tosse, secca ed insistente prevalentemente durante la notte.

A questi sintomi possono associarsi sensazione di, astenia e aumento dell’affaticabilità muscolare durante l’esercizio fisico.

Tutti questi sintomi portano ad un indebolimento generale del paziente con una progressiva riduzione delle attività che lo stesso è in grado di svolgere a causa di una ridotta tolleranza complessiva all’esercizio fisico.

Il reperto obiettivo tipico rilevabile all’ascoltazione del torace è la presenza di Rumori Respiratori Aggiunti di tipo discontinuo ad alta tonalità del tipo in passato definiti “ a velcro” o “fine crackles”, che sono espressione diretta dell’impegno interstiziale e che, come esso, predominano nelle regioni basali nelle fasi iniziali della

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L’emogasanalisi arteriosa può essere inizialmente normale e mostrare successivamente ipossimia di vario grado fino all’insufficienza respiratoria, di solito di tipo 1, associata o meno ad ipocapnia nelle fasi più avanzate di malattia. Solo nelle fasi più tardive e gravi può riscontrarsi ipercapnia, indice di un ulteriore e ormai quadro terminale di interstiziopatia.

Da un punto di vista funzionale la spirometria può essere normale nelle prime fasi di malattia e mostrare un’alterazione disventilatoria di tipo restrittivo con varie fasi di gravità, di solito in relazione allo stadio di malattia; la diffusione alveolo-capillare del monossido di arbonio (DLCO) può essere normale o più spesso ridotta di vario grado in base allo stadio di malattia; è da sottolineare il fatto che la DLCO è spesso ridotta già nelle fasi molto precoci di malattia e ciò riflette l’elevata sensibilità dell’esame nel rilevare alterazioni della funzionalità interstiziale prima che siano evidenti alterazioni volumetriche rilevabili con la valutazione spirometrica.

Il test del cammino in 6 minuti (6MWT) può essere all’inizio normale o mostrare desturazioni sotto sforzo e ridotta tolleranza muscolare all’esercizio fisico nelle fasi più avanzate di malattia.

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Classificazione di gravità di malattia

In base dell’ultimo documento ERS/ATS (1) sulla diagnosi e la gestione della IPF la gravità di malattia è stabilita in base a criteri funzionali:

grado lieve-moderato: TLC >50% e DLCO > 35% grado severo: TLC < 50% e DLCO <35%

Inoltre la IPF può essere classificata secondo il seguente score GAP di gravità (7/B) che valuta lo stadio di malattia in base a età, sesso, valori spirometrici e di diffusione al monossido di carbonio, attribuendo i seguenti punteggi:

genere:

femmina (punteggio 0) maschio (punteggio 1);

età: < 60 anni (punteggio 0) 61-65 anni (punteggio 1) >65 anni (punteggio 2) Caratteristiche fisiologiche: FVC%pred > 75 (punteggio 0)

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FVC%pred <50 (punteggio 2) DLCO%pred >55 (punteggio 0)

DLCO%pred tra 36 e 55 (punteggio 1) DLCO%pred < 35 (punteggio 2)

Incapacità ad eseguire l’esame (punteggio 3)

In base ai criteri descritti sopra si assegna un punteggio totale che identifica uno stadio al quale corrisponde un determinato rischio di mortalità:

Punteggio 0-3: stadio I (con rischio di mortalità del 5.6% nel primo anno dalla diagnosi);

Punteggio 4-5: stadio II (con rischio di mortalità 16.2% nel primo anno dalla diagnosi, 29.9% nel secondo anno, e 42.1% nel terzo anno);

Punteggio > 5: stadio III (con rischio di mortalità del 39.2% nel primo anno dalla diagnosi, 62.1% nel secondo anno, 76.8% nel terzo anno).

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Patogenesi; cenni sui marcatori bioumorali in IPF

La patogenesi della fibrosi polmonare idiopatica è ancora in gran parte sconosciuta; in particolare non si conoscono attualmente dei biomarkers predittori del grado di attività e di progressione di malattia; d’altra parte riuscire a comprendere meglio i meccanismi patogenetici consentirebbe di aumentare le probabilità di capire meglio le cause, ancora sconosciute, di questa malattia con prognosi infausta, e di mettere a punto steategie terapeutiche più efficaci (1).

Nell’ultima decade diversi Autori hanno condotto studi mirati a capire quali sono i principali meccanismi che portano alla formazione di fibrosi interstiziale in IPF e ad identificare biomarkers efficaci nella valutazione del grado di attività e di progressione di malattia (8,9). Questi studi hanno evidenziato che uno dei meccanismi principali alla base della patogenesi della fibrosi in IPF è il danno a livello dell’epitelio alveolare. Questo dato ha consentito di abbandonare il paradigma patogenetico precedentemente considerato alla base del processo di fibrosi nella IPF e che prevedeva il meccanismo infiammatorio cronico alla base del danno polmonare che avrebbe portato ad un danno parenchimale cronico con conseguente attivazione dei meccanismi di riparazione del danno che a loro volta culminavano con la

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Questo stesso paradigma, che potremmo chiamare per semplicità narrativa “infiammatorio”, sosteneva le strategie terapeutiche basate sull’impiego corticosteroidi sistemici associati o meno ad antiossidanti e immunosoppressori.

D’altra parte lo studio PANTHER (31). (vedi paragrafo dedicato alla terapia di IPF) ha dimostrato che la cosidetta “triplice terapia” (prednisone azatiprina e N-acetilcisteina ad alte dosi) non solo non risultava efficace in termini di sopravvivenza media e di miglioramento della qualità della vita, ma aumentava il rischio di ospedalizzazione e di morte per i pazienti trattati, non supportando più lo schema terapeutico precedentemente applicato.

Questi stessi risultati hanno inoltre incoraggiato gli Autori a proseguire negli studi sui meccanismi patogenetici della IPF.

I nuovi dati hanno dimostrato che l’infiammazione riveste un ruolo scarsamente determinante nella fibrogenesi in IPF suggerendo una nuova ipotesi patogenetica, che vede la IPF come una malattia da alterazione dell’epitelio alveolare e dei fibroblasti in cui il danno

anatomico ripetuto dell’epitelio alveolare è alla base

dell’attivazione di meccanismi di riparazione aberrante che portano alla deposizione di matrice cellulare nell’interstizio ed alla proliferazione fibroblastica aberrante; in questo modello i foci fibroblastici sono i siti di danno e di riparazione aberrante (13-18).

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Questo modello è sostenuto anche dal fatto che il quadro istopatologico in IPF mostra che l’epitelio alveolare delle regioni adiacenti ai foci fibroblastici presenta alterazioni specifiche tra cui denudamento ed iperplasia (16-18).

Inoltre la proliferazione miofibriblastica determina a sua volta distruzione della membrana basale dell’epitelio alveolare promuovendo l’apoptosi delle cellule epiteliali stesse perpetuando in questo modo il danno alveolare ed impedendo una corretta riepitelizzazione.

Si innesca così un circolo vizioso che determina la progressione della malattia e l’aggravarsi del quadro clinico (22).

Un altro aspetto fondamentale che rappresenta anche una nuova frontiera per la ricerca in IPF, ed una possibile speranza di nuovi target di monitoraggio e terapeutici, è costituito dalle molecole caratterizzanti i processi descritti che possono essere individuate come biomarkers per il grado di attività e di progressione di IPF. I meccanismi di crescita e riparazione del parenchima polmonare sono estremamente complessi ed interessano più di 40 molecole diverse; la complessità di tali meccanismi riflette tuttavia l’importanza di mantenere l’integrità dell’epitelio alveolare fondamentale per mantenere la delicata omeostasi polmonare.

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sangue, funge da barriera protettiva, e consente una adeguata meccanica polmonare e una corretta funzione immunitaria locale attraverso la produzione del surfactante. E’ noto come gli pneumociti di tipo 2 siano cellule in grado di differenziarsi in vario modo a seconda dello stimolo ricevuto e questa caratteristica rende l’epitelio alveolare una struttura plastica ed adattabile.

E’ possibile che in seguito ad un insulto lesivo a queste cellule da parte ad esempio di molecole reattive dell’ossigeno in particolare TBF-beta induca un aberrante shift di differenziazione degli pneumociti che quindi andrebbero incontro a transdifferenzazzione nel cosiddetto “fibroblast epithelial-transition (EMT)”; questa differenziazione consisterebbe nella perdita da parte delle cellule alveolari dei loro markers molecolari specifici (E-caderina, molecola di adesione cellulare alla membrana basale) e l’acquisizione di markers mesenchimali (alfa-smooth muscle actin) innescando quindi la miofibriogenesi e la cascata di riparazione aberrante descritta precedentemente.

Un altro modello proposto, diverso da quello dell’EMT ipotizzerebbe che la riduzione del numero di pneumociti di tipo 2 nell’epitelio alveolare per apoptosi in risposta a stimoli nocicettivi determini una riduzione di agenti antiproliferativi come le prostaglandine E2 di cui queste cellule sono attive produttrici.

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In ogni caso questi due meccanismi patogenetici proposti non sono

mutualmente esclusivi ed è possibile che vi siano

contemporaneamente più processi patogenetici attivi a sostenere la fibrogenesi.

TGF-beta è solo uno dei markers bioumoriali correlati alla presenza attiva di meccanismi patologici.

Numerose altre molecole intervengono a sostenere questo processo. Di seguito sono brevemente descritte alcune delle più studiate:

- SP-A e SP-D: lipoproteine prodotte dagli pneumociti di tipo 2 secrete nel liquido surfactante; rivestono un ruolo immunitario di difesa contro gli agenti patogeni e fanno parte dell’immunità innata del polmone; la loro concentrazione è aumentata in pazienti con la IPF, ad indicare una eccessiva risposta agli stimoli nocicettivi ed una elevata attività di malattia (14).

- MMP 1 e 7 (matrix metalloproteinase 1 and 7): metalloproteine con funzione di degradazione della ECM; gli elevati livelli di queste proteine nei pazienti con IPF indica un elevato grado di attività di malattia (14).

- VEGF (vascular endothelian growt factor): fattore

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promuovendo lo sviluppo di ipertensione polmonare; alti livelli di questo marcatore si associano ad elevato grado di attività di malattia e costituiscono fattore prognostico negativo inducendo non solo la progressione della malattia ma anche l’insorgenza dell’ipertensione polmonare secondaria (14).

- OSTEOPONTINA: molecola di espressione delle cellule epiteliali alveolari e dei macrofagi alveolari e nell’ambito del processo patologico nella IPF concorre alla stabilizzazione della matrice extracellulare (14).

Elevati livelli di questo marcatore indicano non solo elevato grado di attività di malattia ma, in un piccolo numero di studi si dimostra essere correlata a bassi livelli di PaO2; d’altra parte risulta intuibile pensare che la PaO2 cali tanto più quanto meglio è strutturata la matrice extracellulare e quindi avanzata la fibrosi; è meno intuibile il dato che elevati valori di osteopontina non correlano invece con bassi valori di DLCO (14).

IPF e Microparticelle (MP)

Un altro biomarcatore recentemente oggetto di studio è rappresentato dalle microparticelle procoagulanti. Alcuni studi sperimentali avevano dimostrato che il fattore X della coagulazione è espresso nei tessuti fibrotici polmonari (14,15,23). L’ipotesi è che il fattore Xa, oltre a essere implicato nella attivazione della

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protrombina a trombina agisca anche come fattore di stimolo per i fibroblasti, inducendone la trasformazione in miofibroblasti, trasformazione coinvolta nella patogenesi della fibrosi polmonare. Uno studio successivo ha dimostrato che nel liquido di lavaggio bronco-alveolare (BAL) di pazienti con IPF sono presenti, in misura significativamente maggiore rispetto ai controlli, vescicole di origine cellulare (denominate appunto microparticelle) contenenti fattore tissutale, un cofattore della coagulazione essenziale per l’attivazione del fattore X a fattore Xa. L’attività procoagulante di queste microparticelle correla anche con la gravità della malattia espressa come VC e come DLCO (Novelli et al.). Non è attualmente noto se queste microparticelle siano presenti in misura maggiore anche nel sangue periferico di pazienti con IPF(16).

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Storia Naturale e complicanze

Come detto in precedenza la IPF è una malattia caratterizzata da progressiva fibrosi polmonare a prognosi infausta .

Si calcola infatti che più del 50% dei pazienti giungono a morte entro 3 anni dalla diagnosi e la mortalità media di questa patologia è di 5 anni dalla diagnosi (1,5,9).

Le riacutizzazioni di malattia costituiscono una caratteristica della storia naturale di IPF.

Sono fasi di esacerbazione acuta di malattia la cui patogenesi è in gran parte ancora sconosciuta; talvolta si associano alla possibilità di infezione polmonare ma non sempre è possibile riconoscere una causa infettiva alla base di tali eventi.

Sicuramente le riacutizzazioni rappresentano momenti chiave nell'evoluzione della malattia perchè rappresentano un rischio di vita per il paziente nella fase acuta ed inoltre, una volta superata la fase critica, costituiscono motivo di progressione rapida di malattia. La gestione delle riacutizzazioni rappresenta quindi un momento critico nella gestione dei pazienti con IPF.

Necessitano l'ospedalizzazione del paziente spesso con accesso alle cure intensive per l'insorgenza acuta di insufficienza respiratoria grave o il peggioramento di un preesistente quadro di insufficienza respiratoria; prevedono l'impiego di ossigeno-terapia, di terapia

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steroidea al alte dosi per via sistemica e terapia antibiotica di solito empirica, nonché terapie di supporto tra cui la ventilazione meccanica non invasiva (VMNI), nei casi in cui si prevede un possibile recupero clinico.

Una frequente complicanza della IPF è costituita dall'Ipertensione Polmonare secondaria all’ipossiemia cronica che caratterizza la malattia soprattutto nelle fasi avanzate (18,19).

Questa malattia determina un peggioramento della sintomatologia, concorrendo alla dispnea, e costituisce un fattore prognostico negativo; causando cuore polmonare che favorisce lo scompenso cardiaco destro, aumentando quindi il rischio di ospedalizzazione e di morte.

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Terapia

Non ci sono attualmente terapie per IPF in grado di portare alla guarigione (1,24).

Per molti anni, in considerazione dell’ipotetica patogenesi infiammatoria della IPF, è stato effettuato un tentativo di terapia e stabilizzazione di malattia con l'impiego di corticosteroidi per via generale associati ad antiossidanti ad alte dosi (prednisone e N-acetilcisteina ad alta per via orale); tuttavia i benefici di tale terapia erano assai scarsi e per questo sono stati messi a punto altri protocollo terapeutici che prevedevano l’associazione di steroidi sistemici con agenti immunosoppressori, come l’Azatioprina e N-acetilcisteina a dosi elevate.

In particolare l’IFIGENIA-trial (22) dimostrava che l’aggiunta di N-acetilcisteina alla terapia con Prednisone ed Azatioprina determinava un aumento significativo della VC rispetto al placebo (+9%); d’altra parte può apparire intuitivo, alla luce dei più recenti dati di eziopatogenesi che vedono il danno dell’epitelio alveolare (come quello indotto da speci reattive dell’ossigeno) come primum movens del processo fibrotico, che l’aggiunta di un agente antiossidante che riduce gli stimoli lesivi sull’epitelio alveolare, possa avere un effetto positivo circa la progressione della malattia. Questo studio comunque non dimostrava l’efficacia della terapia con Prednisone ed Azatioprina; d’altra parte la non risolutività e

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contemporaneamente la presenza di numerosi effetti collaterali di tale schema terapeutico ha indotto molti Autori a proseguire con ulteriori trials.

Lo studio PANTHER in particolare (23,24), in doppio-cieco e controllato con placebo ha scardinato definitivamente la leicità della triplice terapia. Questo studio infatti ha preso in considerazione su un gran numero di pazienti con IPF ed ha valutato i parametri di efficacia e di sicurezza della triplice terapia dimostrando che la triplice terapia non solo non era efficace nel ridurre il numero delle riacutizzazioni e nell’aumentare la sopravvivenza ma determinavano aumento del rischio di ospedalizzazione e di morte.

Negli ultimi anni si è fatta strada la possibilità di effettuare un nuovo tentativo di cura basata sull'impiego del Pirfenidone (24,25). Questa molecola, nota da moltissimi anni, ha un'azione principalmente antifibrotica ed in parte anche antiinfiammatoria. Gli studi ormai numerosi, condotti circa l'impiego del Pirfenidone in IPF (29-34), hanno mostrato l'efficacia di questa molecola nello stabilizzare la malattia in termini di riduzione del numero di riacutizzazioni nei pazienti affetti da IPF di grado lieve-moderato con un elevato grado di sicurezza nell'impiego del farmaco (23).

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In particolare gli studi principali circa l’efficacia e la sicurezza del Pirfenidone in IPF sono derivati dal trial CAPACITY composto di 2 studi paralleli (004 e 006) in cui l’end-point primario era la diminuzione del declino di FVC alla 72esima settimana di trattamento (35).

Nello studio 004 si dimostrava che i pazienti trattati con Pirfenidone avevano una riduzione del declino di FCV rispetto al gruppo placebo alla 72 supporto settimana (raggiunto end.point primario) ed in particolare il gruppo di trattamento con pirfenidone a dose più elevata (2.403 mg/die) presentava una riduzione di FVC > 10% vs il 35% del gruppo placebo; nello studio 006 tra i due gruppi non risultava una variazione significativa nel declino di FVC, e nella valutazione dell’effetto del farmaco a livello di tutti i tempi si rilevava che l’effetto del farmaco si evidenziava fino alla 48 quarantottesima settimana.

Dalla contraddizione dei due studi di questo trial multicentrico la FDA ha richiesto un terzo studio di confronto: lo studio ASCEND che è ancora in corso in US; i risultati preliminari di questo studio hanno dimostrato che la terapia con Pirfenidone determina una riduzione significativa della progressione di malattia. I risultati dello studio ASCEND sono inoltre stati aggregati a quelli di CAPACITY in un’analisi prespecificata che ha dimostrato che

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Pirfenidone riduce la mortalità di circa il 50% durante un anno di trattamento rispetto al gruppo placebo.

Nonostante questi dati molto incoraggianti una terapia risolutiva per IPF appare comunque lontana.

In quest’ottica rivestono un ruolo importante nella gestione terapeutica della patologia le terapie di supporto come l'ossigeno-terapia, spesso non necessaria nelle fasi iniziali, ma essenziale con il progredire della malattia che inevitabilmente porta allo sviluppo di insufficienza respiratoria e la terapia delle eventuali comorbidità come quelle cardiologiche che spesso concorrono al peggioramento della dispnea.

Studi recenti propongono la terapia dei disturbi respiratori nel sonno nei pazienti con IPF che presentano apnee nel sonno, in particolare la VMNI domiciliare (98-99).

La riabilitazione respiratoria volta ad ottimizzare la meccanica respiratoria tramite l'impiego di ginnastica respiratoria specifica con lo scopo di ottimizzare gli scambi gassosi e l'eliminazione delle secrezione quando presenti, nonché a mantenere una buona compliance diaframmatica e muscolare in genere, rappresenta un’altra opzione terapeutica.

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Un'altra possibilità di terapia infine è costituita dal trapianto di polmoni, riservata però solo a quei pazienti che possiedano i criteri di inclusione nelle liste di trapianto.

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2- Disturbi Respiratori nel Sonno

I disturbi respiratori nel sonno (DRS) costituiscono un ampio gruppo di patologie del sonno che trovano origine centralmente e/o a livello delle vie aeree (54,55,56) e per i quali, durante le ore di sonno, si verificano alterazioni della meccanica respiratoria che nella maggior parte dei casi, causa un calo della saturazione arteriosa di ossigeno nel sangue periferico.

In questo studio è stato fatto particolare riferimento ai disturbi respiratori sonno-correlati di tipo ostruttivo, meglio conosciuti come apnee nel sonno (obstructive sleep apnea: OSA) che, unitamente ad una sintomatologia complessa, danno luogo alla Sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (obstructive sleep apnea syndrome: OSAS) (57,58).

L’OSAS rappresenta una patologia frequente nella popolazione generale (59-63) e spesso sottovalutata ma che ha un forte impatto sulla salute e la qualità di vita delle persone e risvolti socio-sanitari importanti. Una elevata percentuale di pazienti con OSAS presenta sintomatologia diurna che comprende un’ ampia gamma di sintomi, il principale dei quali, la sonnolenza diurna, è misurabile con questionari specifici somministrati al paziente durante le visite

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qualità della vita del paziente ed espone il paziente stesso ad una maggiore possibilità di incidenti stradali e sul lavoro; altri sintomi diurni comprendono disturbi di memoria, di concentrazione e dell'umore; soprattutto nel lungo periodo inoltre i pazienti che presentano disturbi respiratori sonno-correlati non controllati presentano un maggior rischio di ipertensione arteriosa sistemica, patologie cardiovascolari (aritmie, ipertensione polmonare), eventi cerebrovascolari (65-69,78-82).

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Definizioni e diagnosi

Apnea: cessazione del flusso aereo (o riduzione di almeno il 90%) della durata di almeno 10 secondi e seguita da desaturazione di almeno il 4% rispetto al basale; le apnee possono essere di tipo centrale (caratterizzate dall'assenza di movimenti toracici e addominali e da un tracciato poligrafico “a dente di sega”), di tipo ostruttivo (ad origine periferica per il collasso delle prime vie aeree, caratterizzate la presenza di movimenti toracici e addominali e con morfologia del tracciato poligrafico “a scodella”) o di tipo misto (presenza di entrambe le componenti; di solito inizia come centrale e poi diventa di tipo ostruttivo (55-55,68).

Ipopnea: riduzione dell’amplitude del flusso aereo tra il 50 e il 90% del basale per un periodo superiore a 10 secondi associata a una desaturazione di ossigeno ≥ 3%. (55-57,70).

RERA: (respiratory effort related arousals): marker di un evento respiratorio che non raggiunge la soglia di definizione di apnea ma che determina una frammentazione del sonno (Upper Airway Respiratory Syndrome: UARS) e che corrispondono ai risvegli elettroencefalografici (arousals) correlati agli sforzi respiratori legati ad una subostruzione delle vie aeree superiori (55-57,70).

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La diagnosi di OSAS, come anche degli altri disturbi espiratori nel sonno, prevede (58):

- accurata anamnesi generale e respiratoria, con particolare riferimento ai sintomi indicativi di OSAS, sia notturni che diurni (vedi paragrafo dedicato ai sintomi);

- esame obiettivo respiratorio e generale con rilevazione dei parametri antropometrici (altezza e peso) e calcolo dell’Indice di Massa Corporeo, rilevazione della circonferenza del collo, e misurazione della pressione arteriosa sistemica

- somministrazione di un questionario per la valutazione quantitativa della sonnolenza diurna (64).

La diagnosi di certezza dei DRS è comunque di tipo strumentale e prevede l'esecuzione di una registrazione di vari parametri durante il sonno.

L’esame del sonno può essere eseguito tramite i seguenti sistemi: - monitoraggio cardiorespiratorio ridotto che prevede la

rilevazione di 4 parametri: flusso aereo oro-nasale, frequenza cardiaca, ossimetria, posizione corporea;

- monitoraggio cardiorespiratorio completo che prevede la rilevazione del flusso oro-nasale, frequenza cardiaca, ossimetria, movimenti toracici ed addominali, rumore respiratorio, e posizione corporea.

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- polisonnografia con sistema portatile in cui oltre ai parametri riportati sopra prevede anche la registrazione di elettroencefalogramma (EEG), elettromiogramma (EMG) sotto-mentoniero, ed elettro-oculo-gramma (EOG),

- polisonnografia completa in laboratorio: prevede oltre ai parametri riportati sopra anche la rilevazione della pressione endoesofagea.

Negli ambulatori pneumologici per la diagnosi e la cura dei disturbi respiratori nel sonno di solito è usato il sistema di monitoraggio cardiorespiratorio notturno completo con sistema portatile (58,70). Di seguito sono riportati gli indici diagnostici (60):

AHI (Apnea Hypopnea Index): numero di eventi ostruttivi (apnee + ipopnee) per ora di registrazione.

ODI (Oxygen Desaturation Index): numero desaturazioni notturne (<4% rispetto al basale) per ora di registrazione.

RDI (Repiratory Disorders Index): numero di apnee + ipopnee + RERA per ora di registrazione.

CT<90%: il tempo di registrazione di HbO2 sotto 90%

E' possibile effettuare diagnosi di OSA quando l'indice AHI >5 eventi per ora di registrazione; la definizione di gravità è effettuata

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Grado severo: AHI > = 30 eventi per ora di registrazione

Grado moderato: AHI compreso tra 15 e 29 eventi per ora di registrazione

Grado lieve: AHI compreso tra 5 e 14 eventi per ora di registrazione (53-C)

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Aspetti epidemiologici

I disturbi respiratori del sonno sono relativamente frequenti nella popolazione generale; in particolare i dati più recenti mostrano come la prevalenza sulla popolazione generale americana sia stimata tra il 3% ed il 7% (60,61); esistono differenze di genere e di età per quanto riguarda la distribuzione della patologia (71); in particolare prevale nel sesso maschile tra i 40 ed i 50 anni (60,62,72,73); inoltre è noto dalla letteratura scientifica, che fattori genetici in parte legati al sesso predispongono allo sviluppo di OSA ed altri disturbi sonno-correlati determinando la predisposizione ad alterazioni anatomiche a carico delle prime vie aeree (per es. l’ipertrofia dell'ugola e del palato molle, e l’alterata conformazione del rinofaringe) e del tono di base dei muscoli rinofaringei ed orofaringei, in particolare del muscolo glossofaringeo con conseguente aumento della probabilità di collasso delle prime vie aeree durante determinate fasi del sonno).

Un dato di rilievo che emerge dalla letteratura e dall'osservazione dell'attività svolta dai Centri pneumologici italiani e divulgato nel documento dell'AIPO contenente le Raccomandazioni per la diagnosi e la cura dei DRS (57), è che la prevalenza dei disturbi respiratori nel sonno ed in particolare di OSA è in aumento sulla popolazione generale; si calcola che in Italia almeno 1.600.000

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Sintomi

La sintomatologia legata alla presenza di OSA comprende una vasta gamma di sintomi, spesso non specifici, che impattano notevolmente sulla qualità della vita dei pazienti affetti ed implicano importanti conseguenze sul piano sociosanitario (63,74,75).

Sintomi notturni: I sintomi notturni di solito sono riferiti dal compagno/a di letto del paziente. Questi sintomi si accompagnano

ad una frammentazione del sonno, con conseguente scarsa qualità

del sonno stesso, ipoventilazione con conseguente calo della SO2 e,

in relazione al grado di desaturazione, ipossia tissutale.

russamento: il 35-40% degli uomini ed il 15-28% delle donne della

popolazione generale riferisce russamento abituale. In particolare un russamento presente tutte le notti (abituale) e da almeno sei mesi (persistente) si riscontra anche nel 70-95% dei pazienti con apnee ostruttive notturne ed è stato ipotizzato che nei rimanenti casi i pazienti potrebbero non avere una adeguata percezione del loro disturbo: infatti i tre quarti dei pazienti OSAS che negano di essere russatori risultano tali quando il disturbo è valutato oggettivamente (57,58).

Apnee: tipicamente riferite dal coniuge del paziente, consistono in

arresti respiratori che generalmente si concludono con una rumorosa ripresa della respirazione. E’ importante indagare circa la

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frequenza con cui si verificano tali eventi, essendo fisiologico l’occasionale riscontro degli stessi soprattutto nella fase dell’addormentamento. Spesso è segnalata una eccessiva irrequietezza notturna dei pazienti: ampi movimenti corporei spesso seguono gli eventi di apnea accompagnati talvolta a grugniti ed eloquio nel sonno e raramente ad episodi di sonnambulismo, comunque più frequenti nei bambini (56,63).

Risvegli con o senza senso di soffocamento (coking): possono

rappresentare l’epilogo di eventi di apnea notturni e la sensazione di soffocamento termina non appena il paziente si sveglia. Spesso si rende necessaria la diagnosi differenziale con episodi di attacchi di panico in cui la sensazione di soffocamento (56,63).

Nicturia: è frequentemente associata alle apnee ostruttive notturne e

consegue all’incremento del rilascio del peptide natriuretico atriale e/o alla depressione dell’attività del sistema renina-angiotensina-aldestorone, la cui attività normalmente si svolge in parallelo con il ciclo REM/nonREM durante il sonno. Tali cambiamenti ormonali sono probabilmente una conseguenza della “pseudo-ipervolemia centrale” correlata alle modificazioni emodinamiche indotte dall’aumento degli sforzi respiratori durante gli episodi ostruttivi. Talvolta si osserva enuresi, rara comunque negli adulti (56,63,76).

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Sintomi diurni:

sensazione al risveglio di aver avuto un sonno scarsamente riposante, cefalea mattutina

Sonnolenza diurna: questo sintomo è causato dalla frammentazione

del sonno correlata ai frequenti risvegli o microrisvegli che conseguono agli eventi apnoici (77).

Sono disponibili diverse metodiche che consentono la misurazione, sia soggettiva che oggettiva, del grado di sonnolenza. Pur non esistendo un gold standard per questa quantificazione, il metodo più pratico in quanto semplice, immediato, poco costoso e ad alta riproducibilità è rappresentato da un questionario standardizzato, autosomministrato quale la “Scala di sonnolenza di Epworth”, in cui si valuta il paziente circa il grado di sonnolenza indotto da varie situazioni della vita quotidiana (64).

Test di misurazione oggettiva della sonnolenza diurna sono rappresentati dal test della latenza multipla di sonno (MSLT), in cui si indaga circa il tempo necessario per addormentarsi in condizioni di oscurità, posizione supina e silenzio; il test del mantenimento dello stato di veglia (MWT) (78-79). Oltre ai costi ed al tempo necessario per effettuarli, tali test presentano lo svantaggio di non riprodurre fedelmente le attività della vita quotidiana.

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Disturbi di memoria e di concentrazione: spesso associate

all’OSAS e possibili conseguenze sia dell’ipossiemia notturna che della sonnolenza durante il giorno. Molti studi hanno individuato in un’elevata percentuale di soggetti con OSAS una riduzione nella capacità ed efficienza lavorativa associata a disturbi di memoria (circa i 2/3) e in ¾ dei casi difficoltà di concentrazione e di mantenimento dell’attenzione. Le funzioni cognitive possono essere valutate mediante appropriati test neuropsicologici atti a

indagare le aree funzionali dell’attenzione, memoria,

apprendimento e capacità di esecuzione ed elaborazione (79).

Disturbi dell’umore: tra i pazienti con OSAS è stata descritta una

più alta prevalenza di patologie psichiatriche minori, rispetto alla popolazione generale, quali disturbi d’ansia e disordini depressivi verosimilmente in relazione ad una cattiva qualità del sonno nonchè all’impatto che le alterazioni delle performance cognitive hanno sulla qualità della vita (78).

Cefalea al risveglio

Calo della libido e disfunzione erettile

Tutti questi sintomi sono legati alla frammentazione del sonno dovuta alla presenza della apnee che di conseguenza determina una scarsa qualità del sonno stesso (77).

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Complicanze

Altrettanto importanti sono possibile complicanze e le patologie

con le quali le apnee sono correlate e legate alla ipossia tissutale ricorrente durante il sonno:

Le conseguenze della sindrome delle apnee ostruttive notturne contribuiscono ad aumentare la mortalità dei pazienti affetti. Si osserva infatti che i soggetti con OSAS grave presentano una sopravvivenza a 10 anni nettamente inferiore rispetto ai controlli e che la curva di sopravvivenza è normalizzata da una adeguata terapia ventilatoria notturna (80).

Parte di tale mortalità è riconducibile alle conseguenze dell’ipersonnia diurna. Numerosi sono gli studi in letteratura che valutano l’incidenza di incidenti stradali nella popolazione OSAS. Alcuni studi hanno rilevato che il 20-25% degli incidenti autostradali è causato dall’addormentamento durante la guida; altri hanno stimato che la frequenza di incidenti tra i soggetti OSAS rispetto ai (74,75).

E’ inoltre documentato che l’OSAS sia associata con un incremento della morbilità e mortalità cardiovascolare (81,82). Spesso però i soggetti OSAS presentano anche altri fatto-ri di rischio cardiovascolare quali il genere (65,80), l’età, l’obesità ,(80-84) , il fumo (90) e l’alcool (85); non è pertanto facile dimostrare che l’OSAS sia un fattore di rischio cardiovascolare

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indipendentemente dai fattori appena citati (68,69). Un numero crescente di studi suggerirebbe tuttavia un possibile ruolo di causa-effetto tra OSAS e le seguenti patologie: ipertensione arteriosa sistemica, cardiopatia ischemica, ischemia cerebrale, scompenso cardiaco, aritmie cardiache ed ipertensione polmonare.

Ipertensione arteriosa sistemica:

I pazienti con OSAS mediamente presentano valori di pressione arteriosa sistemica più alti di quelli di soggetti dello stesso sesso e di pari età. È infatti dimostrato che l’ipertensione arteriosa siatemica ed i Disturbi Respiratori nel Sonno sono associati in modo statisticamente significativo (88) e che OSAS ha un ruolo nel determinare elevati livelli di pressione arteriosa (89-90).

Un’alta prevalenza di OSAS è stata dimostrata in particolare in pazienti con ipertensione arteriosa resistente alla terapia medica (96% negli uomini e 65% nelle donne) (90).

Cardiopatia ischemica

Il rischio relativo per cardiopatia ischemica tra i soggetti OSAS è stimato essere da 1,2 a 6,9 volte più alto di quello della popolazione generale. La prevalenza di OSAS è pari al 35-40% in soggetti con cardiopatia ischemica, mentre il 23,8 % degli OSAS presenta segni di ischemia miocardica. Meccanismi fisiopatologici quali

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agli eventi ostruttivi notturni, l’attivazione simpatica e lo stato protrombotico sembrano giocare un importante ruolo nella genesi della ischemia miocardica (96,97).

Ischemia cerebrale

La percentuale di soggetti con ictus cerebrale per i quali sia possibile identificare una patologia OSAS è compresa, a seconda dei diversi studi, tra il 70 ed il 95%. Si può pensare che i possibili meccanismi che legano l’OSAS alla cerebropatia ischemica siano multipli: ipertensione arteriosa, aritmie cardiache, aumentato rischio di eterogenesi a causa dello stress ossidativo indotto dall’ipossia sulla parete dei vasi, modificazione del metabolismo cerebrale e dell’emodinamica con riduzione del flusso ematico cerebrale durante l’apnea.

Dati clinici indicano un alto tasso di mortalità in pazienti con AHI>30 post-stroke ed un miglioramento della sopravvivenza in pazienti con OSAS e stroke trattati con CPAP (98).

La relazione fra OSAS ed ischemia cerebrale è stata ulteriormente messa in evidenza da uno studio prospettico di Arzt e colleghi che basandosi sul Wisconsin Sleep Cohort Study hanno dimostrato che l’OSAS moderata (AHI>20) è associata con un rischio triplicato di stroke. Il rischio di stroke o di morte durante il follow-up appare in aumento lineare con la severità dell’OSAS (99).

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Scompenso cardiaco

Alcuni studi hanno dimostrato che l’OSAS è un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di ipertrofia ventricolare sinistra (103); vi sono dati che dimostrano una ridotta sopravvivenza in pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico ed apnee nel sonno non trattate con CPAP (95).

Aritmie cardiache

E’ nota l’associazione tra OSAS ed aritmie cardiache durante il sonno (101)

Bradiaritmie quali, la bradicardia sinusale al di sotto dei 40 bpm, il blocco atrio-ventricolare dal primo al terzo grado ed il blocco seno-atriale sono state descritte in pazienti con OSAS e riscontrate quasi esclusivamente al termine delle apnee o in concomitanza del sonno REM. Sembra che tali alterazioni del ritmo siano legate all’ipertono vagale indotto dalle modificazioni della pressione intratoracica e dall’attivazione dei recettori delle vie aeree superiori (102).

Ipertensione polmonare

Diverse sono le stime della prevalenza dell’ipertensione polmonare nei soggetti OSAS: nei primi studi si riportavano valori pari al 60% mentre studi più recenti stimano tale prevalenza pari al 20%; solo

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tale condizione nei soggetti OSAS sono da ricercarsi nelle modificazioni acute della pressione nel circolo polmonare: queste si verificano proprio durante le apnee ostruttive, in conseguenza allo sforzo respiratorio finalizzato a vincere l’incremento delle resistenze delle prime vie aeree. In particolare, nel sonno non-REM la PAP diastolica e sistolica diminuisce lievemente durante la fase dell’apnea ostruttiva, incrementa verso la fine dell’apnea e raggiunge il suo massimo durante i primi tre o quattro respiri del periodo di iperventilazione. L’incremento della PAP sarebbe dovuto a diversi meccanismi: l’ipossia, che per il riflesso di Euler-Liljestrand provoca vasocostrizione del circolo polmonare; fattori meccanici quali quelli legati agli sforzi respiratori che, attraverso un incremento della pressione negativa intratoracica, determinano una riduzione delle prestazioni del ventricolo sinistro e conseguente aumento della pressione capillare di incuneamento; meccanismi riflessi agenti direttamente sui vasi. Inoltre, il letto vascolare polmonare è bersaglio dei meccanismi descritti alla base dell’ipertensione arteriosa sistemica nei pazienti affetti da OSAS. L’aumento, invece della PAP diurna è stato, almeno in parte attribuito all’ipossiemia diurna anche se, gli studi a tal proposito non avrebbero riscontrato alcuna relazione tra l’ipertensione polmonare e l’indice di apnea ed ipopnea ed una percentuale pari al 15% dei pazienti OSAS presentassero, nonostante normali valori di

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pressione parziale di ossigeno nel sangue arterioso, ipertensione polmonare (66).

Patogenesi

I fattori predisponenti la genesi delle apnee ostruttive nel sonno sono da distinguersi in locali (comprendono alterazioni anatomiche delle prime vie aeree che contribuiscono a ridurne il calibro favorendone l’ostruzione parziale o totale durante il sonno) e generali.

L’esperienza clinica insegna che i fattori locali sono ad esempio la deviazione del setto nasale, la poliposi nasale; la macroglossia; l’ipertrofia adenotonsillare, dei turbinati nasali, del velo del palato; neoplasie; micrognatia, laringomalacia.

I fattori generali sono: età; genere; predisposizione genetica; fumo e alcool; Farmaci; Endocrinopatie (es. obesità, acromegalia) ed altre patologie sistemiche.

Età: la prevalenza di OSAS aumenta con l’età; alcuni studi valutano, nei soggetti di età superiore ai 55 anni, pari al 30-60% la frazione di individui con un numero di eventi respiratori ostruttivi per ora di sonno superiore al limite minimo di normalità (62).

Genere: la maggiore prevalenza della patologia nel sesso maschile (71) potrebbe riconoscere un’eziopatogenesi multifattoriale:

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- la diversa distribuzione corporea del tessuto adiposo nei due sessi, con un maggior grado di obesità nella parte superiore del corpo nel sesso maschile;

- differenti proprietà meccaniche della faringe (83,103) nei due sessi: diversi studi clinici hanno riscontrato una maggiore stabilità delle vie aeree superiori nel sesso femminile, fenomeno verosimilmente legato ad una più elevata attività elettromiografica

del muscolo genioglosso ed una maggiore risposta

elettromiografica dello stesso ad un carico inspiratorio. Nell’influenzare l’attività del muscolo genioglosso è stato ipotizzato un probabile ruolo ormonale: sono stati indagati i possibili effetti favorenti indotti dagli omoni sessuali maschili e, viceversa, quelli protettivi legati agli ormoni femminili.

Fattori genetici:

un importante ruolo nella genesi della patologia sembrano assumere alcuni fattori genetici e, tra tutti i disturbi respiratori durante il sonno, l’OSAS è quello geneticamente più complesso (73).

I più importanti fattori che, in associazione a quelli ambientali, contribuiscono all’insorgenza della patologia e per i quali sono state individuate significative basi genetiche sono: l’obesità, la struttura cranio-facciale, il controllo della ventilazione, la regolazione del sonno ed i meccanismi circadiani. La crescita

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cranio-facciale, per esempio, avviene sotto controllo genetico e diversi disordini cromosomici sono associati a dismorfismi di tali strutture ossee; questi dati potrebbero spiegare alcune associazioni familiari della patologia e le differenti distribuzioni intra-razziali della sua prevalenza (80). A questo proposito segnaliamo la maggior frequenza e precocità con cui l’OSAS si manifesta nella razza nera rispetto alla popolazione caucasica (80).

Fumo e alcool: favoriscono l’insorgere di eventi ostruttivi durante il sonno agendo con meccanismi differenti. Il fumo partecipa all’aumento delle resistenze delle prime vie respiratorie mediante l’induzione di un processo flogistico con componente edematosa a livello delle mucose delle alte vie aeree (86). L’alcool agirebbe mediante multipli meccanismi: riduzione dell’attività dei muscoli dilatatori delle vie aeree superiori (riduzione attività del nervo ipoglosso e attività elettromiografica del genioglosso) con conseguente aumento delle resistenze della faringe; riduzione delle risposte del genioglosso all’ipossia ed all’ipercapnia a dosaggi che non inducono alterazioni dell’attività diaframmatica; depressione sul centro respiratorio con modificazione della soglia del risveglio, aumento della durata delle apnee e severità delle desaturazioni (87). Farmaci: alcuni tipi di farmaci possono peggiorare i disturbi del respiro durante il sonno nei soggetti suscettibili. Le benzodiazepine

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muscolo dilatatore delle vie aeree superiori facilitando l’insorgere dell’evento ostruttivo. Un recente studio si è proposto di valutare la prevalenza dell’alcoolismo e dell’abuso di benzodiazepine tra un gruppo di 98 pazienti svedesi affetti da OSAS: i risultati non avrebbero, tuttavia, deposto per un maggiore abuso di tali sostanze nei soggetti studiati (104).

Malattie sistemiche: la Sindrome di Down, l’Acondroplasia, la Sindromeme di Prader Willi e la malformazione di Arnold Chiari sono alcune delle patologie che, attraverso meccanismi diversi aventi come effetto finale l’aumento delle resistenze delle prime vie respiratorie, predispongono all’insorgenza dell’OSAS.

Tra le patologie endocrinologiche che presentano associazione con l’OSAS la più importante è sicuramente rappresentata dall’obesità. Tra le altre ricordiamo l’Ipotiroidismo, l’Acromegalia e la Sindrome di Cushing.

OSAS ed Obesità:

L’obesità è il più importante fattore di rischio reversibile per l’OSAS con una prevalenza del 40% di OSAS tra i pazienti con obesità patologica (85).

I meccanismi con i quali l’obesità contribuisce a determinare le apnee nel sonno potrebbero essere i seguenti:

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1. l’eventuale compressione esterna data da masse di grasso localizzate nei tessuti più superficiali.

2. la riduzione del volume polmonare, soprattutto della capacità funzionale residua, che può indirettamente contribuire al restringimento delle vie aeree superiori.

Alcuni dati evidenziano che la presenza di apnee nel sonno è una manifestazione della sindrome metabolica che, com’è noto, mette in relazione l’obesità con alterazioni metaboliche responsabili degli aspetti clinici legati ed alle complicanze legate al sovrappeso (85). La circonferenza del collo correla con molte misure cefalometriche tra le quali le dimensioni della mandibola e dl palato e la posizione dell’osso ioide; le misure cefalometriche sono influenzate dalla deposizione del tessuto adiposo nelle pareti delle vie aeree superiori contribuendo ad un aumento delle dimensioni del palato molle, una posizione più bassa dell’osso ioide ed una maggiore lunghezza della lingua, condizioni spesso riscontrabili nella popolazione obesa (85).

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Terapia

La terapia dei disturbi respiratori nel sonno costituisce un aspetto molto importante nella gestione del paziente con OSAS soprattutto in considerazione del fatto che OSAS è una patologia frequente e comunque sottostimata ma che incide pesantemente, come già detto, sia sulla qualità della vita del paziente, determinando una sintomatologia fastidiosa ed in parte invalidante, sia sugli aspetto socio-sanitari (ridotto rendimento lavorativo, maggiori assenza dal lavoro, maggior incidenza di incidenti stradali e sul lavoro a causa della sonnolenza, maggior incidenza di patologie psichiatriche quali i disturbi dell’umore ecc).

Il trattamento dell’OSAS prevede: 1- Modificazione dei fattori di rischio:

- calo ponderale sotto guida medica in caso di obesità;

- astensione dal fumo di sigaretta e dall’assunzione di alcolici soprattutto prima di coricarsi;

- evitare, quando possibile, l’assunzione di farmaci che agiscano a livello centrale sul tono della muscolatura liscia delle prime vie aeree e sui centri del respiro

- correzione chirurgica, quando possibile, delle alterazioni

anatomiche a carico delle prime vie aeree che possano aumentare il rischio di OSAS; i pazienti che presentano

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alterazioni a tale livello sono infatti invitati ad eseguire una visita di valutazione specialistica ORL.

2- Terapia con Ventilazione Meccanica Non Invasiva durante il

sonno:

Può essere somministrata in modalità CPAP cioè a pressione positiva continua (che costituisce la modalità di ventilaizone principale nei pazienti con OSAS) auto-CPAP o in modalità Bi-level; quest’ultima modalità è di solito riservata ai pazienti che presentano Overlap-Syndrome cioè una sindrome in cui l’OSAS è associata alla BPCO, a quelli con ipercapnia o a quei pazienti non si adattano alla pressione positiva continua. In caso di presenza di Respiro periodico di tipo Cheney-Stokes è infine indicato l’utilizzo di respiratori con modalità Auto Served Ventilation (AVS) (105-106).

3- Terapia posizionale:

utile in quei pazienti che hanno una predominanza di apnee in posizione supina: in questo caso si consiglia l’utilizzo di presidi che coadiuvino il paziente a dormire in posizione laterale (pallina da tennis cucita sulla maglietta in posizione dorsale, collare tipo Night-Shift)

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4- Protusore mandibolare:

consiste in un bite da applicare sulla mandibola durante il sonno che mantiene la mandibola in iperestensione impedendo quindi il collasso delle vie aeree (107).

Sia in base al grado di OSAS e di saturazione, che alla tipologia e volontà del paziente si cerca di individuare la terapia più adatta per ogni singolo soggetto (108).

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DRS ed IPF

Fin dagli anni ottanta del secolo scorso numerosi Autori si sono interessati allo studio del respiro durante il sonno nei pazienti affetti da interstiziopatie polmonari (109-113,114-118).

Nella pratica clinica ambulatoriale, ma anche nei pazienti ricoverati, siamo soliti valutare i parametri respiratori nel paziente durante la veglia. E' noto tuttavia dalla fisiologia che durante il sonno il respiro è regolato da meccanismi nervosi e bioumorali in parte diversi da quelli che normalmente sono attivi durante la veglia.

E' noto inoltre che le patologie respiratorie si influenzano tra loro concorrendo alla tipologia ed alla distribuzione temporale dei sintomi; talvolta alcune patologie polmonari concorrono al peggioramento clinico e prognostico di altre patologie respiratorie, basti pensare all'ipertensione polmonare secondaria nei pazienti affetti dal BPCO o alla fibrosi polmonare stessa (119).

Sempre più Autori hanno valutato i disturbi respiratori nel sonno focalizzandosi sui pazienti affetti da IPF che costituisce, come già detto, la forma più insidiosa e grave di interstiziopatia, con la

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respiratori nel sonno, in particolare OSAS, sono frequenti nei pazienti con IPF e che un numero significativo di pazienti con tali disturbi presenta desaturazione notturna a fronte di valori emogasanalitici durante la veglia che non evidenziano insufficienza respiratoria (118,120,121,127).

Altri studi suggeriscono che è auspicabile valutare la presenza di disturbi del sonno nei pazienti affetti da IPF (131).

Sulla base dei dati presenti in letteratura ed in accordo con le attuali linee guida ERS/ATS sulla gestione della IPF in merito alla gestione delle comorbidità (1), alcuni autori propongono la terapia ventilatoria con VMNI durante la notte per questi pazienti e/o l'ossigeno-terapia notturna (132,133).

Inoltre, a sostegno di tali valutazioni, ci sono studi recenti che dimostrano come la presenza di desaturazione notturna aumenta il rischio di mortalità dei pazienti affetti da IPF e che l’indice di desaturazione notturna rappresenta quindi un fattore predittore di sopravvivenza in questi pazienti (134).

Un nuovo approccio di valutazione basato sull’introduzione dello studio poligrafico tra le valutazioni basali nei casi di IPF ed il successivo trattamento dei DRS nei pazienti affetti determinerebbe inoltre un cambiamento nello schema diagnostico-terapeutico applicato per questi pazienti; infatti di solito la ventilazione meccanica e l'ossigeno-terapia notturna in pazienti che non

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necessitano di ossigeno-terapia durante la veglia non sono contemplate nella terapia di routine dei pazienti affetti da Fibrosi Polmonare Idiopatica.

Il passaggio successivo consisterà nel valutare le implicazioni in termini prognostici delle terapie somministrate.

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SCOPO DEL LAVORO

Numerosi Autori hanno dimostrato con studi anche molto recenti che i disturbi respiratori nel sonno sono frequenti nei pazienti con IPF (123) e che le desaturazioni notturne rappresentano un fattore predittore di mortalità in questi soggetti (134).

Per questo alcuni autori propongono di somministrare ai pazienti con IPF affetti da DRS la VMNI anche in accordo con le linee guida ERS/ATS che prevedono la terapia delle comorbidità tra le strategie gestionali di IPF (132).

Lo scopo di questo lavoro è stato di valutare la prevalenza dei disturbi respiratori nel sonno in un gruppo di pazienti affetti da IPF senza insufficienza respiratoria durante la veglia che sono regolarmente seguiti presso l’ambulatorio pneumologico per le interstiziopatie polmonari.

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MATERIALI E METODI

Sono stati studiati 30 pazienti consecutivi giunti all’osservazione presso gli ambulatori pneumologici delle Unità Operative di Pneumologia 1 e Fisiopatologia Respiratoria dell’ospedale di Cisanello tra il 07/05/2012 ed il 03/12/2014.

Tutti i pazienti sono stati preventivamente informati circa il fine e le modalità di svolgimento degli esami a cui sarebbero stati sottoposti e alle eventuali possibilità terapeutiche derivanti dall’esito degli esami eseguiti.

I pazienti sono stati valutati per lo studio secondo i seguenti criteri:

Criteri di inclusione:

1- diagnosi di IPF

2- PaO2 a riposo in aria ambiente > 60 mmHg e che quindi non richiedessero al momento dell’arruolamento attivazione della ossigeno-terapia al bisogno o durante la notte

3- in grado di effettuare un esame poligrafico notturno con sistema portatile ed a riconsegnare lo strumento nei tempi

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4- in possesso di un esame spirometrico, un’emogasanalisi arteriosa in aria ambiente ed una visita ambulatoriale specialistica che stabilisse stabilità delle condizioni respiratorie eseguite dai 30 ai 60 giorni prossimi all’esecuzione dell’esame poligrafico.

Criteri di esclusione:

1. incapacità ad eseguire un esame poligrafico accettabile in almeno due tentativi consecutivi

2. peggioramento rapido delle condizioni respiratorie tale da terminare insufficienza respiratoria dal momento del reclutamento al momento dell’esecuzione dell’esame poligrafico.

Procedure

Ciascun paziente è stato sottoposto alle seguenti procedure:

 Visita pneumologica di controllo presso l’ambulatorio per

le interstiziopatie polmonari

 EGA arteriosa in aria ambiente contestualmente alla visita

pneumologica di controllo suddetta

 Spirometria completa

 Test di diffusione alveolo-capillare del monossido di

(62)

 Test del cammino in 6 minuti (6MWT) in aria ambiente

 Visita pneumologica presso l’ambulatorio per i Disturbi

Respiratori nel Sonno

 Questionario autosomministrato Epworth Sleepness Scale

score per la valutazione della sonnolenza diurna

 Monitoraggio cardiorespiratorio notturno con sistema

portatile con poligrafo dedicato allo studio; di fatto tutti i pazienti hanno eseguito esame poligrafico con lo stesso strumento.

Descrizione dei metodi

 Visita pneumologica di controllo presso l’ambulatorio per le

interstiziopatie polmonari, EGA, 6MWT: durante ogni visita è prevista la raccolta delle informazioni di aggiornamento anamnestico circa le condizioni respiratorie e generali; la revisione degli esami radiologici eseguiti dal precedente controllo se presenti; la valutazione e refertazione della spirometria di solito eseguita contestualmente alla visita, il 6MWT, la programmazione degli esami di controllo e dei successivi controlli.

Riferimenti

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