Il paesaggio di carta.
Figline Valdarno nelle piante
dei secoli XVI e XVII
Fabrizio Fiaschi
Introduzione di Andrea Zagli
Figline e Incisa Valdarno 2015
Edizioni Feeria
Copyright © 2015 Comune di Figline e Incisa Valdarno Tutti i diritti riservati
1a edizione: settembre 2015 Edizioni Feeria
Via S. Leolino 1 – 50022 Panzano in Chianti (Firenze) Telefono e fax +39 055 852041
ISBN 978-88-6430-107-5 978-88-6430-057-3
Progetto grafico e layout: Auro Lecci
Stampa: Tipografia Bianchi, Figline Valdarno In copertina:
Jacopo Squadrini, Podere dei Serristori, anno 1601 (Capitani di Parte, 1012, c. 46).
Riproduzione dei documenti dell’Archivio di Stato di Firenze su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (prot. n. 2506/767). È vietata qualsiasi riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo.
Sommario
7 Mattia Chiosi Presentazione 9 Andrea Zagli IntroduzionePer un atlante del territorio figlinese. Documenti cartografici fra XVI e XVII secolo
15 Il decimario dei beni dello Spedale Serristori (anno 1510)
Poderi dello spedale fra XV e XIX secolo
31 Il territorio figlinese nelle “Piante di Popoli e Strade” (anno 1584)
I popoli di Figline sulle Piante
39 1. Popolo della pieve di Santa Maria a Figline
1.1 Descrizione delle strade, 39 – 1.2 Identificazione delle strade, 43 – 1.3 Strutture ed edifici, 45 50 2. Popolo di San Bartolomeo a Scampata
2.1 Descrizione delle strade, 50 – 2.2 Identificazione delle strade, 53 – 2.3 Strutture ed edifici, 54 57 3. Popolo di Santa Maria al Tartigliese
3.1 Descrizione delle strade, 57 – 3.2 Identificazione delle strade, 59 – 3.3 Strutture ed edifici, 61 64 4. Popolo di Sant’Andrea a Ripalta
4.1 Descrizione delle strade, 64 – 4.2 Identificazione delle strade, 64 – 4.3 Strutture ed edifici, 67
69 5. Popolo di San Michele a Pavelli
5.1 Descrizione delle strade, 69 – 5.2 Identificazione delle strade, 70 – 5.3 Strutture ed edifici, 71 73 6. Popolo di Sant’Andrea a Campiglia
6.1 Descrizione delle strade, 73 – 6.2 Identificazione delle strade, 75 – 6.3 Strutture ed edifici, 76 78 7. Popolo di San Martino Altoreggi
7.1 Descrizione delle strade, 78 – 7.2 Identificazione delle strade, 81 – 7.3 Strutture ed edifici, 81 83 8. Popolo di Santa Maria a Tagliafune
8.1 Descrizione delle strade, 83 – 8.2 Identificazione delle strade, 85 – 8.3 Strutture ed edifici, 87 89 9. Popolo di San Donato a Spicciano
9.1 Descrizione delle strade, 89 – 9.2 Identificazione delle strade, 89 – 6.3 Strutture ed edifici, 91 94 10. Popolo di San Piero al Terreno
10.1 Descrizione delle strade, 94 – 10.2 Identificazione delle strade, 95 – 10.3 Strutture ed edifici, 97 98 11. Popolo di San Chimenti a Gaville
11.1 Descrizione delle strade, 98 – 11.2 Identificazione delle strade, 100– 11.3 Strutture ed edifici, 102 106 12. Popolo di San Miniato a Celle
12.1 Descrizione delle strade, 106 – 12.2 Identificazione delle strade, 108 – 12.3 Strutture ed edifici, 109 112 13. Popolo di San Donato in Avane
119 Le mappe dell’Archivio dell’Ospedale Serristori. La trascrizione
140 Le consegne del 16 giugno 1589, 21 luglio 1605 e 22 novembre 1606
APPARATI 162 Fonti inedite 162 Bibliografia essenziale 163 Sitografia 163 Cartografia 165 Note
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Ho accolto con molto piacere la proposta di scrivere una breve introduzione del libro di Fabrizio Fia-schi. Il compito, trattandosi di un lavoro storico estremamente ricco, accurato e approfondito, non è certamente facile anche per le caratteristiche della ricerca svolta e per le sue finalità, potremmo dire, di carattere «comunicativo». Intanto le caratteristiche più generali. Nonostante il titolo evocativo e, come vedremo, assai pertinente (Il paesaggio di carta), si tratta di un lavoro pensato con le caratteristiche di un atlante storico. Questo termine, di solito, lo attribuiamo a raccolte organiche «di carte aventi il mede-simo formato, allestite secondo criteri uniformi e presentate in base a un preordinato e ragionato piano dell’opera» che «si distinguono tematicamente in varie categorie» fra cui, nella fattispecie, gli atlanti storici i quali «rappresentano Stati, regioni, città, fatti e fenomeni culturali in diversi momenti storici»1.
In realtà il libro di Fiaschi è qualcosa di più e di diverso. I termini «atlante» e «storico» sono senza dubbio adeguati a descrivere la sua ricerca sulle fonti per la storia del territorio figlinese, una raccolta di testimonianze che di fatto ci restituisce una ricostruzione diacronica dello sviluppo nel corso del tempo (a partire grosso modo dall’età moderna) di uno spazio geografico definito, riletto – e qui sta la diversità ma anche l’interesse del tutto peculiare del suo lavoro – alla luce della sua configurazione attuale. Come è stato giustamente sottolineato nel caratterizzare la concretezza (e la dignità scientifica!) di ricerche di questo tipo, che in senso più ampio potremmo definire di storia territoriale o, se vogliamo, di geografia storica:
«L’oggetto della ricerca è sempre un territorio individuato se non rigidamente perimetrato, anche quando si studiano uno solo o pochi oggetti materiali o immateriali che lo costituiscono: insiemi e unità di paesaggio, insediamenti, vie di comunicazione, componenti idrauliche, maglie amministrative e con-fini, toponimi, andamento demografico e distribuzione della popolazione per sedi abitate, spostamenti della popolazione per migrazioni definitive o temporanee, attività economiche e professionali, beni am-bientali e culturali, ecc.»2
Gli strumenti per simili ricostruzioni non possono che fare riferimento alle fonti e alle testimonianze che ci sono giunte dal passato. Testimonianze scritte, per lo più, ma anche rappresentazioni iconografiche e «disegnate» del territorio o, per dirla con un termine più specialistico, le fonti cartografiche, che sono ampiamente utilizzate da Fiaschi nel suo accurato lavoro di ricostruzione storica dell’assetto del territorio figlinese: un percorso che va a ritroso nel tempo, partendo dalle mappe contemporanee e da una buona dose di conoscenza diretta frutto di «lavoro sul campo», cioè di sopralluoghi e di esperienza vissuta.
Le fonti cartografiche costituiscono un tipo di documentazione che gli storici possono utilizzare a partire, fondamentalmente, dal XV-XVI secolo e la cui affermazione e crescita quantitativa, così come lo sviluppo delle tecniche di rappresentazione del territorio, sembrano da porre in relazione con un fe-nomeno più ampio che caratterizza la storia europea in quella che siamo soliti definire l’età moderna: la crescita delle fonti pubbliche legata alla progressiva affermazione dello Stato moderno, termine ambiguo che si riferisce in realtà ai suoi esiti burocratici e impersonali otto-novecenteschi, ma che assumiamo per indicare – a partire dal XV-XVI secolo – le fasi complesse della costruzione di apparati statali in cui è possibile evidenziare alcuni caratteri di fondo: ad esempio la tendenziale concentrazione del potere e
Introduzione
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la sua crescita sul territorio, che significò un progressivo orientamento verso la sua definizione e delimi-tazione anche in senso geografico.
L’esercizio del controllo, del potere e del governo acuirono, come presupposto e come conseguenza, il bisogno e la necessità della «conoscenza». Questo sforzo di conoscere produsse, in linea generale, un notevole aumento delle fonti pubbliche: fonti enumerative (come i censimenti fiscali, gli estimi, gli stati delle anime etc.), fonti descrittive (relazioni, rapporti ufficiali, visite pastorali), fonti demografiche (in particolare gli atti parrocchiali). Fra queste anche le fonti cartografiche che costituiscono una rappre-sentazione del territorio, dei suoi limiti, dei suoi confini. Tanto che giustamente si è sostenuto che «la carta non era mai un semplice inventario di cio’ che era collocato sul territorio, ma costituiva un vero e
proprio programma di quello che il potere avrebbe voluto fosse il suo territorio»3.
È abbastanza scontato ricordare - parlando del territorio, della sua delimitazione, dei suoi problemi - il ruolo fondamentale dei cartografi e di coloro che furono investiti del compito di riprodurre su carta l’immagine di un determinato spazio geografico: che fosse una linea di costa, l’andamento di un fiume, il reticolo della viabilità, lo sviluppo urbano di una città, l’andamento di una catena montuosa o di una valle, i contorni di una proprietà fondiaria, per arrivare a rappresentazioni più ampie di intere aree re-gionali o continentali, i cartografi sono al centro di questo faticoso processo di acquisizione delle cono-scenze per soddisfare le esigenze sempre più avvertite di istituzioni statali alle quali premeva avere una cognizione - la più esatta possibile! - dell’estensione e dei caratteri dei rispettivi spazi di giurisdizione.
Uno sforzo che fu accompagnato dal progressivo affinamento delle tecniche e dei saperi cartogra-fici. Le carte a partire dal XVI secolo cominciarono a sostituire il segno geometrico ai disegni con i quali erano, in precedenza, solitamente raffigurati fiumi, monti, città, acquisendo – nel corso del tempo – una precisione che fino ad allora era stata dei portolani e delle carte nautiche (la cui importanza, nell’affina-mento delle tecniche di rappresentazione dello spazio, è sicuramente fondamentale, ma questo sarebbe un discorso che ci porterebbe – in tutti i sensi – molto lontano!).
Esse in sostanza cominciarono a rispondere a precise finalità politiche, amministrative, economi-che. Spesso costituivano, ad esempio, un supporto importante nelle trattative diplomatiche fra stati per la reciproca definizione delle frontiere, tanto che i cartografi, i geografi, gli ingegneri, gli architetti diven-nero figure sempre più importanti, il loro compito delicatissimo, i loro consigli particolarmente ascoltati. Senza dimenticare che le rappresentazioni iconografiche del territorio nella produzione pre-geodetica e fino ai prodotti topografici e catastali di fine ’700 «sono quasi sempre il frutto della selezione di quei contenuti e di quelle componenti territoriali che, di volta in volta, hanno stimolato l’interesse di autori
e committenza, qualificandosi quindi come rappresentazioni tematiche»4.
Questi elementi di carattere generale sono tanto più veri se consideriamo lo spazio geografico a cui si riferisce il volume di Fiaschi: il territorio di Figline e la sua podesteria in età moderna. Con il pregio di fornirci un’ottica centrata sul locale che arricchisce senza dubbio le nostre conoscenze di queste dina-miche più generali cui abbiamo fatto riferimento.
L’esigenza di un affinamento nella precisione delle tecniche di rappresentazione dello spazio si nota, ad esempio, nella definizione e nella gestione delle proprietà rurali e immobiliari di un ente come l’antico Spedale Serristori, detto anche della Nunziata. Dalle semplici descrizioni testuali ricavabili dai catasti e dalle volture catastali si passerà nei secoli XVII e XVIII all’elaborazione di veri e propri «Cabrei», cioè rappresentazioni tematiche e iconografiche dei beni terrieri che componevano la fattoria dell’ospe-dale. Cio’ costituisce il primo e il terzo capitolo del volume in cui l’autore ricostruisce minuziosamente
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(dal punto di vista della toponomastica, delle evidenze territoriali, della viabilità e dell’idrografia) l’evo-luzione della proprietà fondiaria dell’ente a partire da un «Decimario» di inizio ’500, cioè da una sorta di inventario testuale redatto per finalità di tipo fiscale e impositivo, passando successivamente ad ana-lizzare le evidenze territoriali e i contenuti storici che è possibile enucleare in alcune mappe conservate nell’archivio dell’ospedale. Restituendoci, vorrei sottolinearlo, un quadro di riferimento assai prezioso per future ricerche non solo sul territorio ma anche - più in profondità e tenendo conto della ricchezza delle fonti d’archivio conservate nell’archivio comunale di Figline - sulla storia agraria e aziendale di una grande proprietà valdarnese in un arco plurisecolare.
Il secondo capitolo, invece, è interamente dedicato a studiare una raccolta cartografica fra le più famose fra quelle prodotte dall’amministrazione medicea nella seconda metà del ’500, ovvero le «Piante
di Popoli e Strade»5. Il criterio fondamentale alla base di questa importante rilevazione fu quello di
descrivere la situazione delle strade mediante un’accurata ricognizione effettuata a livello delle unità di base dell’organizzazione del «contado» fiorentino, cioè le parrocchie («i Popoli» come si diceva allora!), affidandone poi la cura e la manutenzione alle comunità di riferimento. Il valore di questa documenta-zione è accresciuto dal fatto che contiene le diverse fasi in cui venne compiuto il censimento, partendo dai verbali delle visite sul «terreno» per giungere alle piante finite, cioè passando dal piano descrittivo-a-nalitico (testuale) alla sua rappresentazione grafica.
Anche in questo caso il lavoro di Fiaschi presenta notevoli motivi di interesse. Fornisce agli studiosi il corredo informativo presente in queste fonti storiche tardo cinquecentesche – relativamente all’antica podesteria di Figline – analizzandone tuttavia i contenuti alla luce della configurazione attuale del ter-ritorio. L’operazione significa identificare in maniera accurata, in ciascuna delle antiche circoscrizioni parrocchiali, le strade e il complesso della viabilità e del sistema idrografico. Significa, inoltre, procedere all’identificazione delle strutture e degli edifici segnalati nelle antiche mappe valutandone – alla luce della situazione odierna – l’eventuale permanenza, scomparsa, trasformazione, riuso ovvero diversa destinazione rispetto alla rilevazione di fine ’500. Raccontandoci così, un pezzo alla volta, la storia di tante piccole contrade e di tanti piccoli microcosmi nelle campagne valdarnesi.
Dunque, per concludere, siamo in presenza di un libro che presenta numerosi motivi di interesse. Non solo, ovviamente, per i figlinesi di oggi che avranno l’opportunità di sapere qualcosa di più sul loro territorio ma anche per coloro che si troveranno a studiarne la storia. Avendo a disposizione una rac-colta organica e strutturata di preziose fonti storiche che costituisce, se vogliamo, anche un’operazione di salvaguardia della memoria, fornendo un contributo di conoscenze non trascurabili sui modi, sui tempi e sui ritmi con cui l’uomo ha interagito con questo spazio geografico, modellato o, per meglio dire, «vissuto» nel corso di più e più generazioni.
NOTE
1 Lessico del XXI secolo, Treccani, 2012, ad vocem “Atlante”.
2 L. Rombai, Geografia storica dell’Italia. Ambienti, territori, paesaggi, Firenze, Le Monnier, 2002, p. 12. 3 A. Spagnoletti, Il mondo moderno, Bologna, il Mulino, 2005, p. 16.
4 A. Guarducci, M. Piccardi, L. Rombai, Atlante della Toscana Tirrenica. Cartografia, Storia, Paesaggi, Architetture, Livorno, Debatte
Edi-tore – Regione Toscana, 2012, p. 7.
5 Si vedano i due saggi introduttivi di G. Pansini, Le piante dei “Popoli e Strade” e lo stato della viabilità nel granducato di Toscana alla fine del secolo XVI e L. Rombai, Le piante di “Popoli e Strade” dei Capitani di Parte Guelfa (1582-1586). Valore cartografico e contenuti geografici del più antico “Atlante stradale” d’Europa, in Piante di Popoli e Strade. Capitani di Parte Guelfa. 1580-1595, a cura di G. Pansini, Firenze,
Olschki, 1989.