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Analisi multi-temporale di tipo fotogrammetrico del ghiacciaio del Belvedere (Macugnaga - VCO) nel periodo 1977-2001

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POLITECNICO DI MILANO

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria per l’Ambiente e

il Territorio – Monitoraggio e Diagnostica del Territorio

ANALISI MULTI-TEMPORALE DI TIPO

FOTOGRAMMETRICO DEL GHIACCIAIO

DEL BELVEDERE (MACUGNAGA - VCO)

NEL PERIODO 1977-2001

Relatore: Prof. Ing. Livio Pinto

Elaborato di laurea di:

Federico Mussi

Matricola n. 898658

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Ringraziamenti

Un sentito ringraziamento al Professor Livio Pinto, che mi ha proposto un progetto così interessante e un grazie di cuore a Romina che mi ha seguito con tanta pazienza in questo percorso. Un ringraziamento alla CGR S.p.A. di Parma per aver fornito le immagini dei voli 1977, 1991 e 2001.

Un ringraziamento speciale alla mia famiglia, sempre presente.

Ai compagni di sventure incontrati al Poli (in ordine di comparsa) dico semplicemente grazie per aver reso più sopportabili le lezioni e tutto il resto, grazie Doc, Diè, Tia, Cic, Mic, Dave e Coda. E ovviamente a Cajo per la magistrale in tandem.

Infine agli amici di una vita (che non starò ad elencare, semplicemente per pigrizia) e a quegli scoppiati di Aperiflag, ancora grazie per sopportarmi.

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Indice dei contenuti

ANALISI MULTI-TEMPORALE DI TIPO FOTOGRAMMETRICO DEL

GHIACCIAIO DEL BELVEDERE (MACUGNAGA - VCO) NEL PERIODO 1977-2001 ... I RINGRAZIAMENTI ... II INDICE DEI CONTENUTI ... V INDICE DELLE FIGURE ... VIII INDICE DELLE TABELLE ... XII

SOMMARIO ... 15

CAPITOLO 1 FOTOGRAMMETRIA ... 17

1.1CENNI DI FOTOGRAMMETRIA ... 17

1.2ASPETTI ANALITICI DELLA FOTOGRAMMETRIA ... 18

1.2.1 Equazioni di collinearità ... 19

1.2.2 Orientamento interno ed esterno ... 21

CAPITOLO 2 I GHIACCIAI ... 22

2.1CHE COS’È UN GHIACCIAIO ... 22

2.2I GHIACCIAI ITALIANI ... 26

2.3IL GHIACCIAIO DEL BELVEDERE ... 29

2.3.1 Inquadramento dell’area di studio ... 29

2.3.2 Morfologia del ghiacciaio ... 31

2.3.3 Ricostruzione storica dell’evoluzione del ghiacciaio del Belvedere ... 34

CAPITOLO 3 COSTRUZIONE DEI MODELLI 3D DEL GHIACCIAIO DEL BELVEDERE ... 47

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3.1.1 Volo 1977 ... 48 3.1.2 Volo 1991 ... 50 3.1.3 Volo 2001 ... 52 3.1.4 Scanner fotogrammetrico ... 53 3.2AGISOFT METASHAPE© ... 54 3.2.1 Workflow ... 54

3.3MODELLI DEL GHIACCIAIO DEL BELVEDERE ... 67

3.3.1 Modello 1977 ... 67

3.3.2 Modello 1991 ... 71

3.3.3 Modello 2001 ... 74

CAPITOLO 4 ANALISI GEOMETRICA DEI MODELLI DEL GHIACCIAIO DEL BELVEDERE ... 78

4.1CLOUDCOMPARE:VARIAZIONI VOLUMETRICHE E SPOSTAMENTI VERTICALI ... 78

4.2ANALISI DELLA VARIAZIONE DEI VOLUMI –COMPUTE2.5D VOLUME ... 79

4.2.1 Analisi volumetrica dei modelli 1977-1991 ... 82

4.2.2 Analisi volumetrica dei modelli 1991-2001 ... 84

4.2.3 Analisi volumetrica dei modelli 1977-2001 ... 86

4.2.4 Risultati comparati ... 88

4.3ANALISI DELLA VARIAZIONE DEGLI SPOSTAMENTI VERTICALI –M3C2 ... 90

4.3.1 Analisi della variazione degli spostamenti verticali dei modelli 1977-1991 ... 93

4.3.2 Analisi della variazione degli spostamenti verticali dei modelli 1991-2001 ... 96

4.3.3 Analisi della variazione degli spostamenti verticali dei modelli 1977-2001 ... 98

4.3.4 Risultati comparati ... 100

CAPITOLO 5 CONCLUSIONI ... 101

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ... 111

APPENDICE A – 1977 ... 113

A.1COORDINATE GCPS E CHECK-POINTS ... 113

A.2DENSE CLOUD ... 122

A.3ORTOFOTO E DEM ... 123

APPENDICE B – 1991 ... 125

B.1COORDINATE GCPS E CHECK-POINTS ... 125

B.2DENSE CLOUD ... 136

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APPENDICE C – 2001 ... 139

C.1COORDINATE GCPS E CHECK-POINTS ... 139

C.2DENSE CLOUD ... 148

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Indice delle figure

Figura 1.1 – Schema rappresentativo della visione stereoscopica. È possibile ricostruire il punto A al suolo (sistema 3D), partendo da almeno 2 immagini dell’area di interesse. Dall’intersezione delle rette passanti per A1-O1 e A2-O2 (trasformati nel sistema di riferimento ausiliario) si risale ad A 19

Figura 1.2 - Condizione dell'equazione di collinearità 20

Figura 2.1 - Nella seguente immagine vengono distinte le componenti principali di un ghiacciaio: (1) Bacino alimentatore, (2) Lingua ablatrice, (3) Fronte, (4) Morene laterali. Il ghiacciaio dell’immagine di sfondo è il Ghiacciaio del Belvedere, ripreso da aereo a fine Anni 1990 (foto di G. Gnemmi) 25 Figura 2.2 – I ghiacciai italiani, Alpi e Appennini (Serandrei Barbero & Zanon, 1993) 26 Figura 2.3 - Esposizione dell'area dei Ghiacciai italiani e distribuzione numerica degli

apparati secondo 8 direzioni principali; le esposizioni nord risultano

prevalenti. Fonte (Smiraglia & Diolaiuti, 2015) 28

Figura 2.4 - Inquadramento dell'area di studio, il ghiacciaio del Belvedere è situato

nell’estremo Nord-Est della regione Piemonte 29

Figura 2.5 - Vista da Nord della parete Nord-Est del Monte Rosa e della valle Anzasca 30

Figura 2.6 - Vista aerea del Ghiacciaio del Belvedere 30

Figura 2.7 - Ghiacciai costituenti il bacino collettore del ghiacciaio del Belvedere 31

Figura 2.8 - La parete est del Monte Rosa 32

Figura 2.9 - Immagine del Ghiacciaio del Belvedere, in cui vengono indicati i 3 settori che lo compongono: 1. Settore superiore (più a sud); 2. Settore medio vallivo (parte centrale); 3. Settore inferiore frontale (più a sud). In corrispondenza del fronte della lingua sinistra si osserva l’innesco del

torrente Anza 33

Figura 2.10 - Il gruppo del Monte Rosa con i suoi ghiacciai, tra cui il "Macugnaga Glacier" (al centro della figura). La carta intitolata “The Italian Valleys of the Pennine Alps” è stata realizzata da S.V. Kings nel 1856 34 Figura 2.11 - Il ghiacciaio del Belvedere attorno al 1825. Acquatinta di G. Lory 36

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Figura 2.12 - Veduta del ghiacciaio del Belvedere come descritto dallo Stoppani, dopo la

rotta del 1868 36

Figura 2.13 - La prima immagine aerea del Ghiacciaio del Belvedere ripresa nel 1951

(fonte IGM). 39

Figura 2.14 - Mappa variazione spessore ghiaccio e detriti 1957-1991 41 Figura 2.15 – Diminuzione delle temperature medie estive 1953-1977 e aumento

nevicate 1972-1985 42

Figura 2.16 – Confronto aereo della zona soggetta a depressione e evoluzione del lago

Effimero 43

Figura 2.17 - Il confronto fotografico evidenzia la notevole trasformazione morfologica della parete a seguito del crollo che ha coinvolto anche un settore, non visibile, posto dietro la nicchia di distacco individuata dalle frecce rosse (sopra: foto in data novembre 2005, fonte www.summitpost.org; sotto:

foto Gianni Mortara, 19.12.2015) 45

Figura 3.1 – Esempio di interfaccia di un fotogramma analogico. Si notino le marche fiduciali agli angoli dell’immagine, orologio, altimetro e contatore numero

progressivo del fotogramma. 48

Figura 3.2- Il sistema Leica Wild RC10 49

Figura 3.3 – Esempio di fotogramma di volo del 1977. Il ghiacciaio del Belvedere è

visibile al centro dell’immagine. 50

Figura 3.4 – Il sistema Leica Wild RC20 51

Figura 3.5 –Esempio fotogramma del volo 1991. Il Ghiacciaio del Belvedere è in alto a

sinistra 51

Figura 3.6 – Esempio fotogramma del volo 2001. Il Ghiacciaio del Belvedere è visibile

sulla sinistra. 52

Figura 3.7 - Scanner PhotoScan2000 53

Figura 3.8 - Workflow 55

Figura 3.9 - Esempi di marche fiduciali nei 3 set di fotografie, si noti come risultino sbiadite le marche del 1977 rispetto alle più recenti del 1991 e 2oo1. 56 Figura 3.10 – Schematizzazione del sistema di riferimento delle coordinate immagine

usato da Metashape 57

Figura 3.11 – Esempio di GCP (A) e check-point (1c) presi sul tetto del Rifugio Zamboni Zappa, intervisibili tra il modello del 2009 (in alto a sinistra) e gli altri set

di fotografie (in senso orario 1977, 2001 e 1991). 60

Figura 3.12 - Esempio di GCP (C) e check-point (2c) presi rocce, intervisibili tra il modello del 2009 (in alto a sinistra) e gli altri set di fotografie (in senso

orario 1977, 2001 e 1991). 61

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Figura 3.14 – Configurazione nel caso normale 64

Figura 3.15 – Esempio di Dense Cloud. 65

Figura 3.16 – Esempio di DEM (1977) 66

Figura 3.17 – Esempio di ortofoto (1977) 66

Figura 3.18 – L’edificio su cui è stato posto il check-point 18c nel 1977 non esisteva

ancora. 68

Figura 3.19 – Esempio di come un errore planimetrico possa generare un elevato errore altimetrico a causa della topografia del paesaggio o di particolari

caratteristiche morfologiche. 69

Figura 4.1 – Esempio di nuvola importata in CloudCompare e porzione di area utilizzata

per le analisi. 79

Figura 4.2– Esempio interfaccia del tool 2.5D Compute Volume 81

Figura 4.3- Mappa rappresentativa delle altezze relative tra le nubi 1977 e 1991. 83

Figura 4.4- Fitted distribution dell’istogramma del modello. 83

Figura 4.5 - Mappa rappresentativa delle altezze relative tra le nubi 1991 e 2001. 85

Figura 4.6- Fitted distribution dell’istogramma del modello. 85

Figura 4.7- Mappa rappresentativa delle altezze relative tra le nubi 1977 e 2001. 87 Figura 4.8- Fitted distribution dell’istogramma del modello, i valori della media e

dell’istogramma vanno considerati con segno opposto. 87

Figura 4.9 - Grafico confronto variazione volume 89

Figura 4.10 - Ricerca dei punti NNi intorno al core point i con un raggio di ricerca pari a D/2. Da qui deriva la superficie (segmento tratteggiato) da cui si ricava poi la normale N. σ1(D) corrisponde invece alla deviazione standard della distanza dei punti NNi dalla superficie interpolata (Lague, Brodu, &

Leroux, 2013) 91

Figura 4.11 - Cilindro costruito dall’algoritmo del plug-in M3C2 per la ricerca dei punti nelle Cloud1 e Cloud2 e per il successivo calcolo della distanza media tra le due nuvole (misurata alla scala d, lungo N) (Lague, Brodu, & Leroux, 2013)

92

Figura 4.12 – Interfaccia di M3C2 93

Figura 4.13 - Mappa delle distanze calcolate con il plug-in M3C2 relative al periodo 1977-1991. I valori in legenda vanno letti con il segno opposto. 95 Figura 4.14 - Istogramma e valori di media e deviazione standard associati alla

distribuzione Gaussiana. I valori dell’istogramma e della media vanno letti

con segno opposto. 95

Figura 4.15 - Mappa delle distanze calcolate con il plug-in M3C2 relative al periodo

(13)

Figura 4.16 - Istogramma e valori di media e deviazione standard associati alla

distribuzione Gaussiana. 97

Figura 4.17 - Mappa delle distanze calcolate con il plug-in M3C2 relative al periodo

1977-2001. 99

Figura 4.18 - Istogramma e valori di media e deviazione standard associati alla

distribuzione Gaussiana. 99

Figura 5.1 - Mappa rappresentativa delle altezze relative tra le nubi 2001 e 2019. 104 Figura 5.2 - Istogramma e fitted distribution del confronto 2001-2019 104 Figura 5.3 - Mappa delle distanze calcolate con il plug-in M3C2 relative al periodo

2001-2019. 106

Figura 5.4 - Istogramma e valori di media e deviazione standard associati alla

distribuzione Gaussiana. 106

Figura 5.5 - Temperature medie annuali e numero giorni con temperatura superiore a

0°C 2008-2019 107

Figura 5.6 - Grafico andamento temperature 2008-2009. 108

Figura 5.7 - Temperature rilevate a Pecetto 2000-2009. 109

Figura 5.8 – Altezza neve fresca, neve al suolo (e suo trend lineare) rilevato al Rifugio Zamboni nel periodo tra gennaio 2008 e dicembre 2019. 109

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Indice delle tabelle

Tabella 2.1 - Distribuzione e area dei ghiacciai italiani divise per regioni e province. Nella terza colonna viene riportata anche la percentuale di area glacializzata per ogni regione, calcolata rispetto al valore totale nazionale (368.10 km2). Dati presi dal “Censimento dei Ghiacciai Italiani” (Smiraglia & Diolaiuti,

2015) 27

Tabella 2.2 – Misure raccolte da Monterin , operatori dell’IGM, Vanni, Pracchi, Reina e Somigliana, operatori dell’EIRA , Demaria e Gatti dal 1914 al 1974. 38

Tabella 2.3 – Dati presi da Mazza dal 1985 al 1999 38

Tabella 3.1 – Informazioni ricavate dal certificato di calibrazione della camera 49 Tabella 3.2 - Informazioni ricavate dal certificato di calibrazione della camera 50 Tabella 3.3 - Informazioni ricavate dal certificato di calibrazione della camera 52

Tabella 3.4 –Coordinate delle marche fiduciali 57

Tabella 3.5 - Distanze focali 57

Tabella 3.6 - Dimensione pixel e deviazione standard 58

Tabella 3.7 - Parametri per la calibrazione della camera 58

Tabella 3.8 – GCPs e Check-points usati nel modello 1977 70

Tabella 3.9 – Variazione degli errori nel modello 1977 71

Tabella 3.10 - GCPs e Check-points usati nel modello 1991 73

Tabella 3.11 - Variazione degli errori nel modello 1991 74

Tabella 3.12 - GCPs e Check-points usati nel modello 2001 75

Tabella 3.13 – Variazione degli errori nel modello 2001 76

Tabella 4.1 - Numerosità nuvole pre e post ritaglio. 79

Tabella 4.2 – GSD e numerosità 1977-1991 82

Tabella 4.3 – GSD e numerosità 1991-2001 84

Tabella 4.4 – GSD e numerosità 1977-2001 86

Tabella 4.5 - Tabella riassuntiva dei parametri di Compute 2.5D Volume 88

Tabella 4.6 - Confronto variazione volumetrica 89

Tabella 4.7 - Confronto velocità di variazione volume 90

Tabella 4.8 - Parametri per confronto 1977-1991 94

Tabella 4.9 - Parametri per confronto 1997-2001 96

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Tabella 4.11 - Confronto spostamenti e velocità 100 Tabella 5.1 – Tabella riassuntiva caratteristiche modelli creati 101

Tabella 5.2 – Risultati del tool Compute 2.5D Volume 102

Tabella 5.3 – Risultati del plug-in di CloudCompare M3C2 102

Tabella 5.4 – Riassunto caratteristiche volo e modello 2019 103

Tabella 5.5 - Dati nuvole confronto 2001-2019 103

Tabella 5.6 - Parametri del confronto 2.5D Compute volume 2001-2019 103

Tabella 5.7 - Riassunto dati confronto 2001-2019 105

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SOMMARIO

Il presente lavoro si prefigge lo scopo di ampliare la serie storica di osservazioni fotogrammetriche del ghiacciaio del Belvedere, situato in Valle Anzasca (VCO) sul versante Nord-Est del Monte Rosa, con l’obiettivo di ottenere una maggior comprensione dei fenomeni che sono avvenuti nel suddetto ghiacciaio e di come esso sia mutato nel tempo e con il clima. Questo studio sarà basato sulla fotogrammetria ovvero l’insieme di tutte le tecniche e dei procedimenti grafici, analitici e ottico-meccanici attraverso i quali, partendo da un sufficiente numero di fotografie, scattate secondo alcune regole, è possibile ricostruire un’oggetto e la sua posizione. La fotogrammetria è diventata una delle tecniche di acquisizione dei dati del territorio tra le più versatili, economiche e precise, poiché il recente sviluppo tecnologico ha creato una varietà di tecniche e strumenti di misura, quali camere digitali, droni, aeroplani, calcolatori e software di elaborazione dati, in grado di adattarsi ad ogni tipologia di campagna di misura.

Dopo un breve cenno ai principi della fotogrammetria verrà inquadrato il Ghiacciaio del Belvedere ed analizzato il suo andamento storico. Successivamente si illustreranno la metodologia e i dati utilizzati per ricavare i modelli tridimensionali del ghiacciaio e i prodotti fotogrammetrici richiesti. In particolare, in questo elaborato si utilizzeranno le tecniche proprie della fotogrammetria digitale applicate, però, a immagini analogiche, scattate durante tre voli di ricognizione avvenuti rispettivamente negli anni 1977, 1991 e 2001 e recentemente digitalizzate.

Il mio compito sarà quello di ottenere dei modelli fotogrammetrici 3D (Dense Cloud), Ortofoto e Modelli Digitali di Elevazione (DEM) per ogni annata utilizzando il software Agisoft Metashape ®. Sui modelli ottenuti verranno quindi svolte analisi di variazione di volume e spostamenti verticali con il software CloudCompare ®.

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CAPITOLO 1

FOTOGRAMMETRIA

1.1 Cenni di fotogrammetria

Con il termine fotogrammetria si intendono tutte quelle procedure che utilizzano immagini fotografiche di un oggetto per ricavarne le dimensioni. Effettuare il rilievo di un oggetto significa ricavare la posizione spaziale di tutti i punti di interesse. Mediante la fotogrammetria questa operazione viene fatta, in gran parte, non direttamente sull'oggetto ma operando su immagini fotografiche. La fotogrammetria è una tecnica di rilievo le cui origini sono antiche almeno quanto l'invenzione della fotografia e la cui teoria è stata sviluppata perfino prima della stessa invenzione della fotografia, come pura geometria proiettiva. Sebbene nasca per il rilievo delle architetture, la fotogrammetria si è poi sviluppata principalmente nell’ambito del rilevamento del territorio, ed è stata, fino alla fine del secolo scorso, applicata in gran parte come "fotogrammetria aerea".

Le misure fotogrammetriche si basano su principi geometrici e matematici: grazie al metodo dei minimi quadrati e all’ uso di alcune trasformazioni geometriche si stimano i parametri incogniti.

Un rilievo fotogrammetrico di divide in 3 fasi principali:

1) Acquisizione: consiste nello scattare fotografie dell’oggetto o del territorio in esame. Per garantire una corretta acquisizione dell’oggetto bisogna assicurarsi di scattare immagini da diversi punti di vista, accertandosi di fotografare tutti i lati dell’oggetto e di mantenere un certo grado di sovrapposizione tra un fotogramma e il successivo;

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Fotogrammetria

2) Orientamento: consiste nella definizione della posizione del fotogramma e si distingue tra orientamento interno ed esterno. L’orientamento interno permette di individuare la posizione del centro di presa rispetto al fotogramma. Le informazioni necessarie in tal senso sono solitamente note perché contenute nel certificato di calibrazione della camera. L’orientamento esterno consiste invece nella ricostruzione matematica della posizione e dell’assetto della camera al tempo dell’acquisizione delle immagini. Questo secondo tipo di orientamento deve essere, invece, ricavato per ogni singolo fotogramma.

3) Restituzione: con questa fase si torna dallo spazio 2D dell’immagine allo spazio tridimensionale dell’oggetto ricostruito, ovvero dalle coordinate immagine di un punto (spazio immagine) alle coordinate oggetto (spazio oggetto). Per poter svolgere questo passaggio ed applicare il principio della visione stereoscopica è necessario che una serie di punti siano visibili su almeno 2 immagini.

Alla fine di queste tre fasi si possono ottenere i prodotti fotogrammetrici, DEM e ortofoto, mediante i quali sarà poi possibile svolgere le opportune analisi geometriche e idrologiche. Per poter ricostruire i modelli fotogrammetrici del ghiacciaio è necessario conoscere le coordinate di alcuni punti a terra, Ground Control Points (GCP), che permettono di georeferenziare il modello, di orientarlo e di controllare le distorsioni geometriche. Le coordinate dei GCP sono state misurate utilizzando un sistema di posizionamento GPS statico o cinematico, a seconda della posizione dei punti lungo il ghiacciaio e in alcuni casi utilizzando anche una Total station.

Per poter ampliare la serie storica dei modelli 3D del Ghiacciaio del Belvedere si è deciso di costruire nuovi modelli fotogrammetrici grazie a tre voli aerei effettuati rispettivamente negli anni 1977, 1991 e 2000.

1.2 Aspetti analitici della fotogrammetria

Alla base della fotogrammetria si trovano le immagini, che sono il risultato della proiezione centrale dell’oggetto analizzato su di un piano. Essendo l’oggetto analizzato tridimensionale, secondo il principio della stereofotogrammetria sono necessari almeno 2 fotogrammi, acquisiti con 2 centri di presa diversi (O1 e O2), per poter definire in modo univoco i punti dell’oggetto (Figura 1.1).

Note le coordinate di tali punti nello spazio immagine e noti i centri di presa e l’assetto della camera (6 parametri per ogni fotogramma) è possibile definire le rette passanti per tali punti e dalla loro intersezione determinare le coordinate del corrispondente punto nel sistema di riferimento dell’oggetto.

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Queste rette vengono definite analiticamente attraverso le equazioni di collinearità e dipendono da una serie di parametri di orientamento interno ed esterno.

Figura 1.1 – Schema rappresentativo della visione stereoscopica. È possibile ricostruire il punto A al suolo (sistema 3D), partendo da almeno 2 immagini dell’area di interesse.

Dall’intersezione delle rette passanti per A1-O1 e A2-O2 (trasformati nel sistema di riferimento ausiliario) si risale ad A

1.2.1 Equazioni di collinearità

Le equazioni di collinearità sono lo strumento necessario per instaurare una relazione tra le coordinate del sistema di rifermento posto nel piano del fotogramma (ξ, η) e quelle del sistema posto sull’oggetto del rilievo (X, Y, Z).

Queste equazioni corrispondono ad una retta nello spazio che descrive l’allineamento di tre punti (Figura 1.2):

• O, centro di presa della camera (X0, Y0, Z0);

• P’, punto da rilevare posto nel sistema di riferimento immagine del primo fotogramma (ξP’, ηP’);

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Fotogrammetria

Figura 1.2 - Condizione dell'equazione di collinearità

Si parte dall’equazione della retta passante per O e P:

{ 𝑋 − 𝑋0= (𝑋𝑃− 𝑋0) (𝑍𝑃− 𝑍0) (𝑍 − 𝑍0) 𝑌 − 𝑌0= (𝑌𝑃− 𝑌0) (𝑍𝑃− 𝑍0) (𝑍 − 𝑍0)

Per passare poi a definire le equazioni di collinearità è necessario applicare una traslazione e una rotazione nello spazio, che permettono così di esprimere le coordinate del punto P in funzione delle coordinate del punto immagine P’ con origine nel sistema centrato nel piano del fotogramma (ξ, η). Si parte esprimendo le coordinate di P’ come (ξP’, ηP’), per passare poi attraverso una traslazione a un sistema ausiliario parallelo a questo (X’, Y’, Z’). Successivamente attraverso una rotazione nello spazio si passerà dal sistema (X’, Y’, Z’) al sistema (X, Y, Z). In questo modo è possibile esprimere le equazioni della retta passante per O e P (e quindi anche per P’) in funzione delle coordinate del fotogramma (ξ, η) e ottenere così le equazioni di collinearità, che vengono scritte come:

{ 𝑋𝑃= 𝑋0+ (𝑍𝑃− 𝑍0) 𝑟11(𝜉𝑃′− 𝜉0) + 𝑟12(𝜂𝑃′− 𝜂0) − 𝑟13𝑐 𝑟31(𝜉𝑃′− 𝜉0) + 𝑟32(𝜂𝑃′− 𝜂0) − 𝑟33𝑐 𝑌𝑃= 𝑌0+ (𝑍𝑃− 𝑍0) 𝑟21(𝜉𝑃′− 𝜉0) + 𝑟22(𝜂𝑃′− 𝜂0) − 𝑟23𝑐 𝑟31(𝜉𝑃′− 𝜉0) + 𝑟32(𝜂𝑃′− 𝜂0) − 𝑟33𝑐

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Dove:

• (ξP’, ηP’) rappresentano le coordinate del punto immagine P’ espresse nel sistema di riferimento del piano del fotogramma;

• (ξ0, η0) rappresentano le coordinate del punto principale (nel disegno PP); corrispondono alla proiezione del centro di presa O sul piano del fotogramma;

• c corrisponde alla distanza principale, ovvero la distanza tra il piano della foto e il centro di proiezione;

• rij sono le componenti della matrice di rotazione e sono funzioni di , φ, κ corrispondenti ai 3 angoli di rotazione (angoli di Cardano).

1.2.2 Orientamento interno ed esterno

Per poter utilizzare un’immagine a fini fotogrammetrici è necessario conoscere alcuni parametri che si distinguono tra:

 parametri di orientamento interno {

𝑑𝑖𝑠𝑡𝑎𝑛𝑧𝑎 𝑝𝑟𝑖𝑛𝑐𝑖𝑝𝑎𝑙𝑒 (𝑐) 𝑝𝑜𝑠𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑢𝑛𝑡𝑜 𝑝𝑟𝑖𝑛𝑐𝑖𝑝𝑎𝑙𝑒 (𝑃𝑃) 𝑝𝑎𝑟𝑎𝑚𝑒𝑡𝑟𝑖 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑙𝑖𝑏𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙′𝑜𝑏𝑖𝑒𝑡𝑡𝑖𝑣𝑜

 parametri di orientamento esterno { 3 𝑎𝑛𝑔𝑜𝑙𝑖 𝑑𝑖 𝐶𝑎𝑟𝑑𝑎𝑛𝑜 (,,) 𝑐𝑜𝑜𝑟𝑑𝑖𝑛𝑎𝑡𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑒𝑛𝑡𝑟𝑜 𝑑𝑖 𝑝𝑟𝑜𝑖𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 (𝑂)

I parametri di orientamento interno sono solitamente noti, perché forniti dalla casa costruttrice della camera e rimangono i medesimi per ogni acquisizione (se si utilizza lo stesso strumento). Con questi parametri si definisce un modello matematico-geometrico semplificato e idealizzato, che non corrisponde perfettamente alla realtà a causa degli errori di distorsione delle lenti. È quindi utile svolgere la calibrazione della macchina fotografica per creare una corrispondenza tra i parametri interni reali e ideali. Questa operazione viene svolta periodicamente in laboratorio e viene così rilasciato un certificato di calibrazione contenete sia i valori dei parametri di orientamento interno, sia la curva di distorsione dell’obiettivo. Per quanto riguarda, invece, i parametri dell’orientamento esterno, questi devono essere calcolati per ogni fotogramma, poiché dipendono dalla posizione della camera durante la fase di acquisizione. Per poterli definire è possibile applicare la tecnica di orientamento della triangolazione aerea, o più nello specifico, applicare il Bundle Block Adjustment (BBA). Questa procedura permette di orientare simultaneamente blocchi di immagini e di ricostruire il modello fotogrammetrico della zona ripresa partendo da una serie di fotografie precedentemente acquisite, dalle coordinate dei Ground Control Points e dai Tie Points (TP) e da eventuali dati GPS INS(utili nella fotogrammetria da velivolo).

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I ghiacciai

CAPITOLO 2

I GHIACCIAI

2.1 Che cos’è un ghiacciaio

I ghiacciai possono essere definiti come “masse di ghiaccio originatesi per metamorfismo di accumuli nevosi che hanno resistito a più periodi di fusione (estati), che contengono inclusioni di gas (bolle d’aria), sostanze organiche (pollini) e detriti rocciosi (morene) e che dalla zona d’alimentazione dove l’accumulo è eccedente defluiscono sino alla zona di fusione, dove fondono”. (Kappenberger, 2019)

In montagna alle alte quote ed alle latitudini estreme sia boreali sia australi parte della neve caduta durante la stagione fredda si mantiene al suolo anche nei mesi estivi ed è ricoperta dalle nuove nevicate dell’anno successivo. La linea immaginaria al di sopra della quale la neve non fonde è detta linea delle nevi persistenti; la sua quota varia in funzione dell’esposizione dei versanti. Sulle Alpi Meridionalisi pone attorno ai 2900 metri, ma scende a 2700 metri sul versante settentrionale della catena. L’altitudine del limite delle nevi si abbassa procedendo verso le elevate latitudini e sale spostandosi verso l’equatore; questo comportamento è legato alla variazione della radiazione solare disponibile (Walser Kulturzentrum & Comitato Glaciologico Italiano, 1991).

A livello internazionale i ghiacciai sono classificati secondo l’Inventario Mondiale dei Ghiacciai (WGI nell’acronimo inglese). Elementi essenziali di questa classificazione sono la posizione nel contesto territoriale, che porta a una classificazione primaria (calotta continentale, ghiacciaio vallivo, ghiacciaio montano, ecc.), della forma (composta, circo, placca, ecc.) e delle caratteristiche del fronte (lobato, pedemontano, ecc.). Questo sistema è valido a livello mondiale ma non è sufficientemente dettagliato per le Alpi dove è più appropriato applicare la

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classificazione usata nel Catasto dei ghiacciai italiani, che suddivide i ghiacciai alpini in tre grandi gruppi:

 tipo pirenaico o montano, con una discreta zona di accumulo ma mancanti di una vera e propria lingua;

 tipo alpino, con un grande bacino di accumulo e una notevole lingua, non derivata da confluenze rilevanti;

 tipo himalaiano, derivati dalla confluenza di bacini e colate diverse che formano un’unica colata di discreta lunghezza; spessissimo ricoperti da molti detriti morenici. Esiste anche una classificazione basata sulla temperatura, che distingue ghiacciai temperati e ghiacciai freddi. Nei ghiacciai temperati (o “caldi”) la temperatura è costantemente a zero gradi, e vi è la presenza di acqua allo stato liquido. In quelli freddi, (polari o subpolari) la temperatura è costantemente sotto lo zero, salvo in superficie nel periodo estivo. Nelle Alpi i ghiacciai sono quasi tutti temperati, salvo piccole superfici “incollate”, gelate contro la montagna, situate al di sopra del crepaccio terminale (Bergschrund). Solo pochi ghiacciai oltre i 4000 m sono in parte freddi (per esempio il Gorner). Sotto il ghiaccio, salvo appunto per le parti “incollate”, la temperatura del suolo è positiva e non vi è il permafrost (Kappenberger, 2019).

Il ghiacciaio è, inoltre, un sistema in movimento. Tutto inizia con la neve che si accumula sull’intero ghiacciaio durante l’inverno e che d’estate tende a fondere (ablazione), mentre nella parte inferiore del ghiacciaio affiora ghiaccio vivo. Alla fine dell’estate, o del periodo d’ablazione, si formano due zone: la prima a quote elevate, dove si è conservata più neve di quanto non ne sia fusa o evaporata (bacino di accumulo), e la seconda a quota inferiore, dove tutta la neve è sparita assieme a un certo spessore di ghiaccio (bacino di ablazione). Il limite fra la zona dove prevale l’accumulo e quello dove predomina l’ablazione è definito come linea d’equilibrio (ELA, Equilibrium Line Altitude) e coincide con la linea delle nevi persistenti. Nel contempo, un lento spostamento verso valle trasferisce il ghiaccio dalla parte alta del ghiacciaio alla zona di ablazione. In condizioni climatiche stabili, il ghiacciaio tende a mantenere la propria forma geometrica e la sua dimensione. La velocità di trasferimento è proporzionale allo spessore e al volume di ghiaccio trasportati; diminuisce verso la lingua, ma non è mai nulla, anche se il fronte del ghiacciaio non avanza. Infatti, il movimento del limite della lingua (il fronte a cui si riferiscono tutte le misure di lunghezza dei ghiacciai) è in equilibrio dinamico fra il flusso da monte, che tende a far avanzare il fronte, e l’ablazione che vi si contrappone. Le perdite e gli accumuli di massa sono influenzati dai regimi e dalle variazioni annuali delle precipitazioni e della temperatura e sono cambiamenti non avvengono repentinamente, in quanto il sistema ghiacciaio dispone di una certa inerzia, legata soprattutto

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I ghiacciai

alle sue dimensioni. Ghiacciai piccoli e ripidi reagiscono più velocemente; quelli più grandi hanno, invece, un tempo di risposta più lungo. La fusione avviene essenzialmente in superficie, ma l’acqua di fusione penetra negli strati di neve, può scorrere in superficie o anche attraverso il ghiacciaio stesso, scavando delle gallerie per poi uscire dalla bocca del ghiacciaio. L’acqua che scorre in corrispondenza del fondo del ghiacciaio nella stagione calda agisce da lubrificante, aumentandone la velocità di scorrimento. Lo scorrimento della massa di ghiaccio e le tensioni che ne derivano danno origine ai crepacci (fenditure nel ghiaccio, dovute a tensioni che si producono durante il movimento della massa glaciale) e ai seracchi (vere e proprie selve di guglie, torri e pinnacoli di ghiaccio). I seracchi possono crollare improvvisamente, originando valanghe di ghiaccio che, assieme agli svuotamenti improvvisi dei laghi effimeri (laghi epiglaciali in superficie, endoglaciali all’interno del ghiacciaio, periglaciali davanti e a fianco dello stesso) sono le cause delle maggiori tragedie legate ai ghiacciai nell’area alpina. (Kappenberger, 2019)

Le componenti principali dei ghiacciai di tipo alpino sono (Figura 2.1): un bacino alimentatore, collocato a monte, nella parte più alta e continua verso valle con una lingua ablatrice. Solitamente il bacino alimentatore si trova all’intero di una cerchia di alte creste montuose (circo glaciale) e viene rifornito dalle valanghe e dalle nevicate. Mentre la lingua ablatrice percorre tutta la valle glaciale e termina in corrispondenza del fronte.

Il ghiacciaio fluendo lentamente lungo la sua valle, ne erode i versanti. Unendo così il materiale detritico asportato dal substrato, con quello che periodicamente frana dai fianchi della montagna e cade sulla superficie del ghiacciaio, si originano le morene. Queste vengono trasportate a valle dal ghiaccio in movimento e si accumulano in corrispondenza del

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fronte,creando cerchie moreniche frontali e laterali (Walser Kulturzentrum & Comitato Glaciologico Italiano, 1991).

Figura 2.1 - Nella seguente immagine vengono distinte le componenti principali di un ghiacciaio: (1) Bacino alimentatore, (2) Lingua ablatrice, (3) Fronte, (4) Morene laterali. Il ghiacciaio dell’immagine di sfondo è il Ghiacciaio del Belvedere, ripreso da aereo a fine Anni

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I ghiacciai

2.2 I ghiacciai italiani

Figura 2.2 – I ghiacciai italiani, Alpi e Appennini (Serandrei Barbero & Zanon, 1993) Sul versante italiano delle Alpi si localizza poco più di un quinto dell’intero glacialismo alpino. La superficie complessiva dei ghiacciai italiani risulta infatti di 369.90 km2, valore importante se confrontato con quella degli apparati dell’intera catena (2050 km2, Paul et al., 2011). Per quanto riguarda il numero, i ghiacciai italiani censiti sono 903 (compresi i due piccoli corpi glaciali appenninici che costituiscono il noto Calderone), con una distribuzione che interessa tutti i settori della catena, dalle Alpi Marittime alle Alpi Giulie, a fronte di un totale alpino di 3770 apparati (Paul et al., 2011). Le dimensioni e le tipologie sono molto diversificate: si passa infatti dal grande altopiano dell’Adamello, il più vasto apparato glaciale delle Alpi Italiane, ai vasti ghiacciai vallivi a bacini composti come i Forni e il Lys, fino ai piccoli ghiacciai montani e ai minuscoli glacionevati. Tenendo conto della suddivisione regionale e provinciale seguita nel presente Catasto, la Regione più glacializzata risulta essere la Valle d’Aosta (36.15% della superficie totale), seguita dalla Lombardia (23.71%) e dall’Alto Adige (23.01%). Meno estese le coperture glaciali delle altre Regioni con i minimi in Friuli - Venezia Giulia (0.05%) e in Abruzzo (0.01%) (

Tabella 2.1). Il numero più elevato di corpi glaciali si registra in Lombardia (230), seguita da Alto Adige (212), Valle d’Aosta (192), Trentino (115) e Piemonte (107). Molto più limitato il numero in Veneto, Friuli -Venezia Giulia e Abruzzo (rispettivamente 38, 7 e 2) (

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Tabella 2.1). Le superfici medie regionali evidenziano chiaramente l’elemento più caratteristico del ghiacciai italiani, la loro ridotta superficie. A fronte di una superficie media nazionale di 0.41 km2, si passa da 0.70 km2 in Valle d’Aosta a 0.09 km2 in Veneto (Smiraglia & Diolaiuti, 2015).

La distribuzione dimensionale dei ghiacciai italiani vede la prevalenza di piccoli ghiacciai e un numero assai limitato di grandi apparati (cioè aventi area maggiore di 10 km2). Infatti, circa il 55% dei ghiacciai in termini numerici è caratterizzato da un’estensione areale inferiore agli 0.1 km2. Mentre solo 3 ghiacciai italiani hanno un’area maggiore di 10 km2: il Ghiacciaio dei Forni (11.34 km2) in Lombardia, il Ghiacciaio dell’Adamello (16.30 km2) in Lombardia e Trentino, e il Ghiacciaio del Miage (10.47 km2) in Valle d’Aosta. Questi tre apparati glaciali, i più estesi delle Alpi Italiane, rappresentano da soli il 10.3% dell’intera area glaciale nazionale (Smiraglia & Diolaiuti, 2015).

REGIONE GHIACCIAI NUMERO

ESTENSIONE AREALE DEI GHIACCIAI [km2] AREA GLACIALIZZATA RISPETTO AL TOTALE NAZIONALE [%] PIEMONTE 107 28.55 8 VALLE D’AOSTA 192 132.90 36.10 LOMBARDIA 230 87.67 23.95 TRENTINO 115 30.96 8 ALTO ADIGE 212 84.58 23 VENETO 38 3.21 1 FRIULI V.G. 7 0.19 0.05 ABRUZZO 2 0.04 0.01

Tabella 2.1 - Distribuzione e area dei ghiacciai italiani divise per regioni e province. Nella terza colonna viene riportata anche la percentuale di area glacializzata per ogni regione, calcolata rispetto al valore totale nazionale (368.10 km2). Dati presi dal “Censimento dei

Ghiacciai Italiani” (Smiraglia & Diolaiuti, 2015)

Le aree glacializzate presentano per lo più un’esposizione nord, nord-ovest o nord-est, fattore che riduce la quantità di radiazione solare assorbita dalla superficie, favorendo la persistenza degli apparati glaciali (Smiraglia & Diolaiuti, 2015).

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I ghiacciai

Figura 2.3 - Esposizione dell'area dei Ghiacciai italiani e distribuzione numerica degli apparati secondo 8 direzioni principali; le esposizioni nord risultano prevalenti. Fonte

(Smiraglia & Diolaiuti, 2015)

Dall’ultimo catasto dei ghiacciai italiani, del 2015, si è messo in evidenza il loro andamento nel tempo svolgendo un confronto con i dati raccolti durante il Catasto CGI (Comitato Glaciologico Italiano), riferito al periodo 1959-1962. Si è innanzitutto osservata una riduzione dell’area totale, che è passata da 500.96 km2 a 363.76 km2, corrispondente a circa il 27% del totale. Il numero degli apparati risulta invece essere aumentato nel tempo, dagli 835 ghiacciai attivi elencati nel Catasto CGI si è passati ai 903 del Catasto 2015 e questo incremento numerico è dovuto sia alle numerose frammentazioni tipiche di ogni fase di deglaciazione, sia all’identificazione di corpi glaciali precedentemente non segnalati. Inoltre, l’aumento è legato anche all’inserimento nel nuovo Catasto di corpi glaciali precedentemente classificati come estinti, per i quali, invece, si sono individuate nuove tracce di attività (Smiraglia & Diolaiuti, 2015).

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2.3 Il ghiacciaio del Belvedere

2.3.1 Inquadramento dell’area di studio

Il ghiacciaio del Belvedere si sviluppa alla testata della Valle Anzasca, nella provincia del Verbano Cusio Ossola, da quota 2300 m circa, ai piedi della parete Est del Monte Rosa, fino a quota 1785 m, dove termina la lingua sinistra, con uno sviluppo lineare di circa 2800 m. La sua superficie è valutabile complessivamente in circa 8 km2. Indagini geofisiche condotte nella metà degli anni ‘80 identificarono uno spessore massimo del ghiaccio pari a circa 250-300 m, sovrastante un centinaio di metri di spessore di depositi glaciali di fondo, poggianti a loro volta sul substrato roccioso. Il ghiacciaio è classificato come umido-temperato, è alimentato da altri quattro ghiacciai (Nord delle Locce, Signal, Monte Rosa e Nordend) sul versante Nord-Est del Monte Rosa, ed è caratteristicamente coperto da una coltre di detriti, provenienti dalla stessa parete del Monte Rosa (Regione Piemonte - Direzione Servizi Tecnici di Prevenzione, 2002).

Figura 2.4 - Inquadramento dell'area di studio, il ghiacciaio del Belvedere è situato nell’estremo Nord-Est della regione Piemonte

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I ghiacciai

Figura 2.5 - Vista da Nord della parete Nord-Est del Monte Rosa e della valle Anzasca

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Figura 2.7 - Ghiacciai costituenti il bacino collettore del ghiacciaio del Belvedere

2.3.2 Morfologia del ghiacciaio

Il ghiacciaio del Belvedere costituisce la parte finale dei ghiacciai che discendono dalla ripida parete orientale del Monte Rosa (4633 m) (Figura 2.8 - La parete est del Monte Rosa e che coprono la maestosa parete tra la Cima Tre Amici e la Punta Nordend (Diolaiuti, D'Agata, & Smiraglia, 2003).

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I ghiacciai

Il ghiacciaio del Belvedere è un tipico ghiacciaio nero (debris-covered glacier), come i vicini ghiacciai del Miage e della Brenva (Monte Bianco, Valle d’Aosta). La sua lingua infatti è quasi completamente coperta da detriti. Il ghiacciaio non ha un vero e proprio bacino di accumulazione, ma è alimentato prevalentemente dalle valanghe provenienti dalla parete Nord-Est del Monte Rosa, la più alta parete delle Alpi, e dai suoi quattro ghiacciai (Nord delle Locce, Signal, Monte Rosa e Nordend) (Diolaiuti, D'Agata, & Smiraglia, 2003).

La serpeggiante lingua valliva si stende per oltre 3 km fino a raggiungere l’ostacolo della boscosa collina del Belvedere, dove si separa in due ramificazioni frontali delle quali quella in sinistra idrografica – la più potente – scende fino alla quota di 1760 m, nei pressi dell’abitato di Macugnaga. L’Anza scaturisce da un’ampia bocca in corrispondenza del fronte (Walser Kulturzentrum & Comitato Glaciologico Italiano, 1991).

Il ghiacciaio del Belvedere può essere suddiviso in 3 parti in base ad alcune caratteristiche altimetriche, morfologiche e topografiche:

1. Settore superiore, costituisce il bacino collettore del ghiacciaio. Ha origine dalla confluenza di diverse correnti glaciali di entità e potenza variabili. Le due principali sono quelle provenienti dal Ghiacciaio del M. Rosa e da quello Settentrionale delle Locce (Mortara & Tamburini, 2009);

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2. Settore medio vallivo, foggiato a lingua debolmente sinuosa, ben delimitata e sostenuta da due potenti cordoni morenici laterali. Si origina attorno ai 2300 metri e si estende verso valle per una lunghezza complessiva di circa 2400 metri, con una larghezza massima di circa 600 metri. Questa porzione del ghiacciaio presenta quindi una notevole potenza;

3. Settore inferiore frontale, che si espande in due lobi di diversa estensione e potenza, che avvolgono a destra e a sinistra la collina morenica del Belvedere.

Figura 2.9 - Immagine del Ghiacciaio del Belvedere, in cui vengono indicati i 3 settori che lo compongono: 1. Settore superiore (più a sud); 2. Settore medio vallivo (parte centrale); 3.

Settore inferiore frontale (più a sud). In corrispondenza del fronte della lingua sinistra si osserva l’innesco del torrente Anza

Nei ghiacciai neri la presenza della coltre di detriti e il suo inspessimento modificano le relazioni tra la temperatura e il deflusso, riducendo lo scioglimento (Diolaiuti, D'Agata, & Smiraglia, 2003).

1. Settore

superiore

2. Settore medio

vallivo

3. settore

inferiore frontale

Torrente Anza

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I ghiacciai

È stato osservato che lo spessore dello strato di detriti è funzione dell’inclinazione della superficie del ghiacciaio e che esso varia tra i 4-5 cm nella zona sommitale della lingua (dove la pendenza è maggiore) e i 20-30 cm nei due lobi frontali, con picchi di 80 cm nelle depressioni (Diolaiuti, D'Agata, & Smiraglia, 2003).

2.3.3 Ricostruzione storica dell’evoluzione del ghiacciaio del

Belvedere

Figura 2.10 - Il gruppo del Monte Rosa con i suoi ghiacciai, tra cui il "Macugnaga Glacier" (al centro della figura). La carta intitolata “The Italian Valleys of the Pennine Alps” è stata

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Per poter studiare il comportamento di un ghiacciaio nel modo migliore occorre fornire una panoramica completa delle trasformazioni da esso subite. Nel caso del ghiacciaio del Belvedere è importante analizzare anche delle trasformazioni subite dal suo apparato morenico.

La più antica menzione del Monte Rosa ci giunge da Pietro Azario nel 1300 che scrive: “Il fiume Dora prende origine dalle freddissime Alpi sempre coperte di grandi quantità di ghiaccio vale a dire la montagna di Boxeno (…) dalla quale mai, fin dall’origine del mondo si ritirarono le nevi e i ghiacci.” (Walser Kulturzentrum & Comitato Glaciologico Italiano, 1991). Descrizioni come questa si susseguono nei secoli a venire da bocche più o meno famose, tra le quali anche quella di Leonardo da Vinci. Una delle prime descrizioni del ghiacciaio del Belvedere è quella dell’Amoretti, uno dei primi viaggiatori il quale visitò il ghiacciaio negli ultimi decenni del diciottesimo secolo: “Esso (il ghiacciaio) è come formato d’altissime onde, come se si fosse agghiacciato il mare al momento di una procella”.

Il Welden nel 1823 lo definì come “Una grande cascata d’acqua che precipitando dalla vetta si è trasformata in ghiaccio.” (Walser Kulturzentrum & Comitato Glaciologico Italiano, 1991). Queste, come altre fonti, hanno valore puramente storico e descrittivo, da esse infatti non è possibile trarre alcuna informazione di valenza scientifica o utile al fine delle misurazioni. Per non appesantire ulteriormente la lettura si è deciso di osservare l’evoluzione del ghiacciaio del Belvedere nell’ultimo secolo, soffermandosi principalmente sull’analisi degli anni più recenti. Per un approfondimento si rimanda alle opere di Monterin (1922) e di Sacco (1930). Entrambi gli scritti sono corredati da numerose immagini e descrizioni del ghiacciaio dal 1800 fino alla loro data di pubblicazione. Va però menzionata una rotta glaciale avvenuta nell’agosto 1868 che

" (...) ha trasformato in un'orrida secca parte della valle tra il Belvedere e Macugnaga. (...) Prima del 1868, quell'immane greto, che si stende, come dissi, tra Macugnaga e il Belvedere, era tutto un desio di prati e di campi come lo è ancora quella parte del piano rimasto incolume, che cinge di un'aureola così ridente il villaggio stesso di Macugnaga. Nell’agosto del 1868, in seguito a grossi temporali e a piogge continuate, il grande ghiacciajo de Monte Rosa sopra Macugnaga dovette trovarsi tutto inzuppato a guisa di un’enorme spugna. Si sa infatti che il ghiaccio dei ghiacciai è molto poroso, e tutto sparso di bolle e di fessure. L’acqua tenuta così sospesa entro il ghiacciajo suddetto, formando una colonna d’un centinajo di metri, doveva necessariamente premere, con forza idraulica immensa, contro la morena frontale, cioè contro la collina del Belvedere, che gli si addossa, sbarrando quasi per intero la valle. Infatti, quella colossale barriera fu d’improvviso forzata e sfondata, aprendovisi, con un rumore simile al tuono, da cima a fondo una breccia della lunghezza di settanta metri e più. Fu quello un vero diluvio glaciale. Il torrente, rotto ogni freno, portando nella sua furia la crollante morena, ne disperse i ruderi giù per la valle, lasciando un’area di un chilometro quadrato e più, sepolta sotto una valanga

(38)

I ghiacciai

di massi, molti dei quali possono misurare da 4 a 8 metri cubici di volume.” (Stoppani, 1876).

Figura 2.11 - Il ghiacciaio del Belvedere

attorno al 1825. Acquatinta di G. Lory Belvedere come descritto dallo Stoppani, Figura 2.12 - Veduta del ghiacciaio del dopo la rotta del 1868

Misurazioni della fluttuazione del fronte del ghiacciaio

del Belvedere dal 1914 al presente

Si prendono ora in considerazione le fluttuazioni della sola lingua in sinistra orografica del ghiacciaio del Belvedere, la più importante, perché esiste solo per essa una serie storica abbastanza continua dal 1914 al presente, con interruzioni tra il 1942 e il 1952 e tra il 1974 e il 1985. I valori delle variazioni sono riassunti nelle seguenti tabelle (dal 1914 al 1974) aggiungendo i dati raccolti da Mazza (tra il 1985 e 1999) (Mazza, 2000).

La seguente tabella (Tabella 2.2) contiene dati di ritiro del fronte raccolti da Monterin, operatore dell’IGM, Vanni, Pracchi, Reina e Somigliana, operatori dell’EIRA (Ente Italiano Rilievi Aerofotogrammetrici), Demaria e Gatti.

Anno della

misurazione Variazione [m] Quota Fronte del ghiacciaio [m]

1914 - 1917 27.5 - 1918 1961.83 1919 50 - 1920 62.5 - 1921 28.5 -

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1922 12 1627 1914/1922 230.5 (+25.6 m/a) 1923 -51 - 1924 -45 - 1925 -31 - 1926 -31 - 1927 -21.5 1655 1928 -17.5 1672 1929 -25 1674 1930 -20 1676 1931 -47 1678 1932 -64 1678 1933 -10 1678 1934 -15.5 1678 1935 -11.5 1680 1936 -25.5 1735 1937 -29.5 1695 1938 -22 1695 1939 -5.5 - 1940 3.5 1700 1941 -7.5 - 1942 -3.5 - 1923/1942 -480(-24 m/a)

1943/1952 No misurazioni, il ritiro è stimato a -200 m

1953 -27.5 - 1954 -15.5 - 1955 -21 - 1956 -20.5 - 1957 -22 1755.8 1958 -21 1750 1959 -34 1750 1960 -26 1750 1961 -13 1750 1962 -12 1750 1963 -14 1750 1964 -12 1800 1965 -18 1750 1966 -10 - 1967 -5 - 1968 0 - 1969 1 -

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I ghiacciai 1970 7 1750 1971 -10 1750 1972 -13 1750 1973 -6 1750 1974 -2 1750 1953/1974 -294.5 (-13.4 m/a)

1975/1984 No misure, probabile situazione stabile o variazioni molto piccole Tabella 2.2 – Misure raccolte da Monterin , operatori dell’IGM, Vanni, Pracchi, Reina e

Somigliana, operatori dell’EIRA , Demaria e Gatti dal 1914 al 1974.

Nel 1985 Mazza ricominciò ad acquisire misure di ritiro del fronte (Tabella 2.3), ma non è possibile connettere la nuova serie a quella precedente poiché non esistono coordinate dei punti di riferimento in comune (Mazza, 2000)

Mark 1 [m] Mark 5 [m]

1985/1992

-2.5

6

1992/1993

*

-4

1993/1994

1

1994/1995

-1

1995/1996

-7

1996/1997

5

1997/1998

-6

1998/1999

-2

* nessuna misura futura possibile

Tabella 2.3 – Dati presi da Mazza dal 1985 al 1999

Negli anni successivi, fino al 1951, gli studiosi e i ricercatori definirono praticamente impossibile poter effettuare le misurazioni ed è così che non si hanno testimonianze relative a quegli anni (Gili-Borghet, 1961). Non potendo quindi agire da terra, proprio nel 1951 venne effettuato il primo volo aereo al di sopra dell’area del Ghiacciaio del Belvedere, eseguito da parte dell’IGM (Istituto Geografico Militare). Questa immagine (Figura 2.13) consentì di avere per la prima volta una visione di insieme del ghiacciaio; a questa seguiranno nella storia una lunga sequenza di riprese dall’alto (Mortara & Tamburini, 2009)

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Figura 2.13 - La prima immagine aerea del Ghiacciaio del Belvedere ripresa nel 1951 (fonte IGM).

In occasione del 1952, che fu definito Anno Geofisico Internazionale, furono svolte una serie di iniziative che coinvolsero anche il ghiacciaio in esame. Fu innanzitutto redatto il Catasto dei Ghiacciai Italiani, composto da 4 volumi (1959 – 1962), dove per ogni ghiacciaio venne realizzata una scheda monografica (Mortara & Tamburini, 2009). Inoltre, l’Ente Italiano Rilievi Aerofotogrammetrici (E.I.R.A) di Firenze eseguì, nel mese di settembre, un rilievo topografico (1:5000) della parte inferiore del Ghiacciaio del Belvedere, con tecniche fotogrammetriche (E.I.R.A., 1961). Per il rilievo vennero fissati 10 punti al suolo, individuati da incisioni nelle pietre o da coloritura e furono redatte anche le relative “monografie”, in prospettiva di un possibile utilizzo futuro di questi capisaldi. La restituzione del rilievo è stata svolta dallo stesso Ente e fu utile sia per verificare la veridicità delle testimonianze dei rilevatori sia per svolgere attività di monitoraggio del ghiacciaio.

Nel luglio 1979 il lago delle Locce esondò dal suo argine di ghiaccio verso il ghiacciaio Nord delle Locce. L’onda di piena viaggiò attraverso il canale naturale tra il ghiacciaio del Belvedere e la sua morena laterale destra. In presenza della leggera contropendenza vicino al Rifugio Zamboni, l’alluvione tagliò attraverso la morena erodendo progressivamente una breccia. La successiva colata di detriti danneggiò seriamente la seggiovia del Belvedere e allagò il fondo valle per un’area 1 km e larga mediamente 150 m, raggiungendo quasi la frazione di Pecetto vicino a Macugnaga. A seguito dell’alluvione del 1979 si sono rese necessarie opere di prevenzione come l’abbassamento artificiale del livello del lago delle Locce e la costruzione di

(42)

I ghiacciai

una diga nel torrente principale a valle del ghiacciaio. Da metà anni 80 fino al 2001 non si verificò nessuna situazione inusuale al ghiacciaio del Belvedere. (Kääb, et al., 2004).

Inoltre, durante questo periodo come riportato nei Bollettini Glaciologici, venne introdotto anche l’utilizzo di tecniche e strumentazioni sempre più accurate con lo scopo di misurare le variazioni frontali del ghiacciaio e permettere lo svolgimento delle attività di monitoraggio. In particolare, durante la campagna del 1999, una volta fissati alcuni capisaldi lungo il corpo del ghiacciaio, oltre al classico teodolite e al telemetro laser, si iniziò a sperimentare anche l’utilizzo di un ricevitore GPS (Magellan 3000 XL, con la possibilità di osservare fino a 12 satelliti) (CGI, 2000).

Dalla primavera 2001 (e probabilmente già dall’autunno 1999), il regime di flusso del ghiacciaio del Belvedere e le caratteristiche ad esso collegate subirono un drastico cambiamento. Partendo dai piedi della parete est del Monte Rosa e proseguendo verso valle, l’eccezionale crepacciamento del ghiacciaio indicò sforzi e velocità di deformazione elevati nel ghiaccio. Come conseguenza, la superficie del ghiacciaio cambiò da quasi completamente coperta da una coltre omogenea di detriti a una topografia crepacciata con la copertura di detriti solo in alcune zone.

La variazione di volume del Ghiacciaio del Belvedere durante la seconda metà del ventesimo secolo è stata calcolata mediante il confronto di due mappe a larga scala:

1. Una mappa scala 1:5000 con curve di livello a intervalli di 5 m, compilata a seguito di una campagna di misure di fotogrammetria al suolo effettuata nel 1957 dall'Ente Italiano Rilievi Aerofotogrammetrici (EIRA) per il Comitato Glaciologico Italiano (CGI)

2. Una mappa scala 1:10,000 con curve di livello a intervalli di 10 m, tratta dalla Carta Tecnica Regionale della Regione Piemonte, ottenuta tramite un rilievo aerofotogrammetrico del 1991

A seguito della digitalizzazione e georeferenziazione delle due mappe, sono stati prodotti modelli digitali di elevazione del terreno, dal cui confronto è emersa una variazione di volume di +22,672,000 m3 nell’intervallo 1957-1991 e la seguente mappa di variazione dello spessore di ghiaccio e detriti (Figura 2.14).

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Figura 2.14 - Mappa variazione spessore ghiaccio e detriti 1957-1991

L’aumento di volume mostrato da questo confronto potrebbe essere correlato con il bilancio di massa positivo registrato in questo periodo. Infatti sono state registrate dalle stazioni meteorologiche collocate sul Monte Rosa diminuzioni delle temperature medie estive tra il 1953 e il 1977 e un aumento delle nevicate tra il 1972 e il 1985 (Figura 2.15).

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I ghiacciai

Figura 2.15 – Diminuzione delle temperature medie estive 1953-1977 e aumento nevicate 1972-1985

Va detto che durante questo stesso periodo i ghiacciai bianchi alpini hanno invece subito una fase di ritiro. La diversa risposta del Ghiacciaio del Belvedere va attribuita alla sua coltre detritica. Infatti nei ghiacciai neri questo manto di detriti riduce fortemente l’ablazione e funge da isolante. (Diolaiuti, D'Agata, & Smiraglia, 2003)

A metà anni ’80 e durante il periodo 1995-1999, la velocità media superficiale della parte più bassa del ghiacciaio del Belvedere era rispettivamente dell’ordine di 40-45 m/a o di 35 m/a. Durante il periodo 1999-2001 si osservò tramite fotogrammetria che questa velocità aumentò fino a 110 m/a e nell’autunno 2001 fino a 200 m/a; durante l’estate del 2001 si osservarono un forte crepacciamento della superficie del ghiacciaio, un marcato incremento dello spessore, pozze sporche tra il ghiacciaio e le morene laterali e un’intensificazione dell’attività franosa

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(sia rocciosa che di ghiaccio) dai lati del ghiacciaio. Questi segni furono interpretati come indicatori di un movimento del ghiacciaio di tipo “surge”; di conseguenza il monitoraggio della zona fu intensificato. Nell’estate 2002 con rilievi terrestri e con la fotogrammetria si sono misurate velocità fino a 80 m/a. Nella primavera 2003 una distinta banda di taglio larga alcuni metri ai margini del ghiacciaio coperto da neve indicava il proseguimento delle eccezionali velocità. Nella maggior parte del ghiacciaio l’aumento delle velocità fu accompagnato da un aumento dello spessore di ghiaccio di 20 e più metri. Il corrispondente spostamento di massa viaggiò giù per il ghiacciaio raggiungendo il suo massimo presso la collina del Belvedere attorno all’estate 2002. Nell’agosto 2003 nella maggior parte del ghiacciaio del Belvedere lo spessore del ghiaccio aumentò ancora. Le prime indagini fotogrammetriche suggerirono che il movimento fosse ristretto alla zona più bassa e piatta del ghiacciaio. La grande depressione al piede della parete est (Figura 2.16), che venne temporaneamente riempita da un lago supraglaciale (lago Effimero, quota 2150 m, massima espansione 150,000 m3 circa nel giugno 2002), segna il limite superiore della zona che ha subito il movimento surge. Il forte crepacciamento osservato per le parti del ghiacciaio al di sopra della zona depressa potrebbe dunque essere la conseguenza di un drastico cambiamento del regime di sforzi dovuto ad un’improvvisa mancanza di supporto al piede della pendenza, piuttosto che essere parte attiva dell’evento di aumento delle velocità. Indagini fotogrammetriche mostrano che già durante il 1995-1999 avvenne una perdita totale di spessore del ghiaccio di circa 20 m nella zona della depressione. Lo spessore del ghiaccio delle altre parti del ghiacciaio rimase stabile durante questo periodo (Kääb, et al., 2004).

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I ghiacciai

La formazione del sopracitato lago Effimero e la sua rapida evoluzione creò diffuse situazioni di pericolo, tali da richiedere l’intervento rapido e massiccio del Dipartimento della Protezione Civile, che riuscì a far rientrare l’emergenza, creando un sistema di pompe e tubazioni che permisero di far abbassare il livello del bacino e di conseguenza di diminuire la pressione dell’acqua al suo interno (Mortara & Tamburini, 2009).

Successivamente, a seguito dell’esaurirsi dell’onda di surge e della forte contrazione dei ghiacciai tributari affluenti, il lago Effimero diventò via via una pozza di modeste dimensioni, sulla quale si è però continuato, anche nelle stagioni successive, a svolgere una costante attività di monitoraggio e di raccolta dati (Mortara & Tamburini, 2009).

A partire dal 2002/2003 la fase di ritiro del ghiacciaio riprese il suo corso, senza alcuna interruzione fino ad oggi. In questo lasso temporale si sono verificati alcuni eventi che meritano attenzione.

Il primo avvenimento risale alla notte del 24-25 agosto 2005, quando una valanga di ghiaccio si staccò dalla parete nord-orientale del Monte Rosa, alla testata del Canalone Imseng (circa 3700 m), appena al di sopra del settore da cui da anni prendevano origine colate fangose e crolli di blocchi rocciosi. In meno di un minuto la massa di ghiaccio raggiunse la superficie sottostante del Ghiacciaio del Belvedere, invase la piana dell’Alpe Pedriola, arrivando fino al Rifugio Zamboni Zappa. Il soffio generato dalla massa in movimento fu tanto violento da ribaltare alcuni piccoli blocchi rocciosi posti sul filo di cresta della morena destra del ghiacciaio, oltre che ad essere percepito dagli ospiti del rifugio Zamboni Zappa. L’intervento dei ricercatori del CNR, Charlie e Mortara, fu tempestivo, così da ottenere una ricostruzione dettagliata del fenomeno valanghivo (Mortara & Tamburini, 2009).

Un altro evento significativo risale al 21 aprile 2007: una frana di roccia, di volume complessivo stimato attorno ai 300,000 m3 si staccò dalla parete nord-orientale del Monte Rosa (da quota 4000-4200 m). Il materiale franato andò ad occupare un’area di estensione simile a quella della valanga di ghiaccio dell’agosto 2005. Questo fu un evento unico, sia per la quota a cui si verificò il distacco, sia per il periodo dell’anno in cui si manifestò. Si deve però tenere presente che il mese di aprile 2007, fu il più caldo degli ultimi 150 anni (secondo la Società Meteorologica Italiana), è così che il fenomeno è stato classificato come un dissesto legato alla progressiva deglaciazione delle aree di alta quota (Mortara & Tamburini, 2009). Durante la notte del 16-17 dicembre 2015 un’altra frana di grandi dimensioni si staccò poco sotto la sommità della Punta Tre Amici (quota circa 3400 m) (Figura 2.17), in corrispondenza dell’alto bacino del Ghiacciaio Settentrionale delle Locce (Charle, et al., 2016).

Il volume di materiale franato fu di 200,000 m3e la causa del distacco fu l’abbassamento dell’isoterma 0°C che si verificò nel periodo di novembre di quell’anno. Questo portò al congelamento del terreno con conseguente riduzione e annullamento della possibilità di

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deflusso dell’acqua superficiale, che causò un aumento della pressione interstiziale all’interno delle rocce. Questo fatto ha portato alla destabilizzazione del versante.

Figura 2.17 - Il confronto fotografico evidenzia la notevole trasformazione morfologica della parete a seguito del crollo che ha coinvolto anche un settore, non visibile, posto dietro la

nicchia di distacco individuata dalle frecce rosse (sopra: foto in data novembre 2005, fonte www.summitpost.org; sotto: foto Gianni Mortara, 19.12.2015)

Il crollo del dicembre 2015 non rappresenta un fenomeno straordinario per l’ambiente in cui si è sviluppato. Gli ambienti glacializzati e in via di deglaciazione si sono infatti dimostrati in questi ultimi anni particolarmente vulnerabili alle modificazioni climatiche e ambientali in atto per effetto del riscaldamento globale. Il bacino glaciale del Belvedere, in particolare, è stato teatro negli ultimi 10-15 anni di una considerevole sequenza di episodi d’instabilità di varia natura (rotte glaciali, valanghe di ghiaccio e di roccia, collassi di morene, colate detritiche) che, tutti, hanno trovato condizioni predisponenti nei rapidi cambiamenti avvenuti a carico della criosfera (neve, ghiacciai e permafrost), con particolare intensità a partire dagli Anni 1990 (Mortara & Tamburini, 2009).

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I ghiacciai

In conclusione si può affermare che il ghiacciaio del Belvedere è un importante apparato glaciale studiato da parecchi anni, ed è considerato di fondamentale importanza per lo studio dell’andamento dei ghiacciai alpini sottoposti agli odierni cambiamenti climatici. Dal 2002 il ghiacciaio è in una fase di regressione e si stima che nell’arco di 40/50 anni esso possa scomparire se l’andamento climatico rimarrà tale.

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CAPITOLO 3 COSTRUZIONE DEI

MODELLI 3D DEL GHIACCIAIO DEL

BELVEDERE

La restituzione è la fase conclusiva del processo fotogrammetrico, che permette di ricostruire il modello tridimensionale partendo dai dati acquisisti durante il rilievo.

Il software utilizzato in questa fase è Agisoft Metashape©, che consente di ottenere per ogni modello una nuvola sparsa di punti (Sparse Cloud), una nuvola densa di punti (Dense Point Cloud) e infine i prodotti fotogrammetrici: DEM e ortofoto.

Le immagini utilizzate per costruire i modelli descritti in questo capitolo sono state acquisite mediante tre voli aerei: il primo realizzato nel 1977, il secondo nel 1991 e il terzo nel 2001. Per poter georeferenziare i tre modelli, si è utilizzato un quarto modello, già realizzato ed analizzato precedentemente nell’elaborato di Nova (2017/2018) anch’esso a partire da immagini aeree.

3.1 I voli aerei ed i sistemi di ripresa analogici

L’aerofotogrammetria da aeroplano comporta vantaggi e svantaggi rispetto a quella da drone. Occorre ricordare che al momento dei voli presi in esame in questo elaborato, la tecnologia legata ai droni non era diffusa e fruibile come al giorno d’oggi e che, dunque, non poteva essere considerata come alternativa al momento delle misurazioni.

Gli aeroplani, avendo massa e dimensione molto maggiori di quelle di un drone, possono trasportare camere e sistemi GPS più pesanti e più ingombranti, di qualità ottico-meccanica superiore rispetto a quelli compatti montati sui droni. Inoltre l’autonomia di volo di un aeroplano è incomparabile rispetto a quella di un drone, di conseguenza il ricoprimento che si ottiene con un volo aereo, anche attraverso una singola strisciata, è molto esteso, mentre con

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Costruzione dei modelli 3D del Ghiacciaio del Belvedere

un volo da drone sono solitamente necessarie diverse strisciate per poter ricoprire tutta quanta l’area di studio.

Nonostante le potenzialità legate alla fotogrammetria da aereo, la risoluzione di un modello ottenuto con un volo aereo solitamente risulta essere inferiore rispetto a quella ottenuta con un volo da drone. Infatti, non è possibile volare con un aereo al di sotto di una certa quota e sebbene si utilizzino camere con un’elevata lunghezza focale, non si riesce a raggiungere un valore di GSD dell’ordine del centimetro, ma al più della decina di centimetri; con un drone il valore di GSD che si può ottenere varia da qualche millimetro al metro. Inoltre un volo di un drone è molto più semplice da organizzare in termini economici e di tempistica rispetto alla pianificazione di un volo aereo.

I sistemi di ripresa analogici, oggi completamente soppiantati da quelli di tipo digitale, imprimevano la realtà osservata su pellicole di misura standardizzata 23cm x 23cm, sulle quali venivano riportate anche le principali informazioni relative alla campagna di misura e quindi al volo, quali data e ora dello scatto, altimetro e le marche fiduciali (Figura 3.1). Le marche fiduciali sono dei simboli posti negli angoli dei fotogrammi. Il loro scopo è quello di permettere la definizione di bordi e dimensioni standard ed omogenei per i vari fotogrammi appartenenti al medesimo volo e di consentire il corretto orientamento dell’immagine, che viene eseguito a partire dalla loro collimazione e si conclude con l’immissione nel software dei parametri contenuti nel certificato di calibrazione della camera.

Figura 3.1 – Esempio di interfaccia di un fotogramma analogico. Si notino le marche fiduciali agli angoli dell’immagine, orologio, altimetro e contatore numero progressivo del

fotogramma.

3.1.1 Volo 1977

Il volo del 1977 è stato eseguito dalla Compagnia Generale Ripreseaeree (CGR S.p.A.) per conto della Regione Piemonte. La quota di volo si mantiene attorno ai 5600 m.s.l.m. per tutta la durata delle misure. Il volo del 1977 è stato effettuato in un’unica data, il 16 settembre 1977. Il sistema di ripresa montato a bordo è una Leica Wild RC10, ovvero una camera metrica ottimizzata per l’utilizzo su aeroplano. Le marche fiduciali sono nei 4 angoli del fotogramma. Nella tabella di seguito (Tabella 3.1) sono riportate alcune informazioni e specifiche della camera ricavate dal certificato di calibrazione della camera utilizzata. Sono riportate anche

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immagini del sistema Wild RC10 montato a bordo ed un esempio di fotografia aerea (Figura 3.2 e Figura 3.3).

Tipo camera Leica Wild RC10

Tipo lente 15 UAG I

N° lente 6025

Lunghezza focale 153.26 mm

Tabella 3.1 – Informazioni ricavate dal certificato di calibrazione della camera

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Costruzione dei modelli 3D del Ghiacciaio del Belvedere

Figura 3.3 – Esempio di fotogramma di volo del 1977. Il ghiacciaio del Belvedere è visibile al centro dell’immagine.

3.1.2 Volo 1991

Anche il volo del 1991 è stato eseguito dalla Compagnia Generale Ripreseaeree per conto della Regione Piemonte. In questo caso la quota di volo impostata risulta essere decisamente maggiore, infatti si assesta tra gli 8200 – 8500 m.s.l.m.. I sorvoli hanno avuto luogo il 3 agosto e il 7 agosto 1991. Il sistema di ripresa montato a bordo è del tipo Leica Wild RC20 ed è anch’esso analogico. Le immagini catturate in questo volo hanno la particolarità di essere in scala di grigi, il che, unito alla maggiore quota di volo, ha reso più difficoltosa la fase di collimazione dei punti. Le marche fiduciali si trovano nei 4 angoli di ciascun fotogramma. Si riporta una tabella riassuntiva (Tabella 3.2) delle informazioni della camera utilizzata, alcune immagini della stessa e un esempio di fotogramma (Figura 3.4).

Tipo camera Leica Wild RC2o

Tipo lente 15/4 UAGA F

N° lente 13128

Lunghezza focale 152.82 mm

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Figura 3.4 – Il sistema Leica Wild RC20

Figura 3.5 –Esempio fotogramma del volo 1991. Il Ghiacciaio del Belvedere è in alto a sinistra

Figura

Figura 1.1 – Schema rappresentativo della visione stereoscopica. È possibile ricostruire il  punto A al suolo (sistema 3D), partendo da almeno 2 immagini dell’area di interesse
Figura 2.3 - Esposizione dell'area dei Ghiacciai italiani e distribuzione numerica degli  apparati secondo 8 direzioni principali; le esposizioni nord risultano prevalenti
Figura 2.4 - Inquadramento dell'area di studio, il ghiacciaio del Belvedere è situato  nell’estremo Nord-Est della regione Piemonte
Figura 2.5 - Vista da Nord della parete Nord-Est del Monte Rosa e della valle Anzasca
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