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La discrezionalità amministrativa della Pubblica Amministrazione nei procedimenti di Valutazione di Impatto Ambientale, focalizzando l'attenzione su un caso concreto

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale a ciclo unico in

Giurisprudenza

La discrezionalità amministrativa della Pubblica

Amministrazione nei procedimenti di valutazione di

impatto ambientale, focalizzando l’attenzione su un

caso concreto.

Il Candidato Il Relatore

Beatrice Arcolini

Prof. Alfredo Fioritto

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A mia madre, a mia sorella, a mio padre e ai miei

meravigliosi nonni.

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I

INDICE

INTRODUZIONE 1 CAPITOLO 1 5

La discrezionalità amministrativa e tecnica.

1.1) Il potere della PA. 5 1.2) Forme del potere. 19

1.3) La discrezionalità amministrativa. 22 1.4) Il sindacato giurisdizionale sull’attività discrezionale. 32 1.5) La discrezionalità tecnica. 34 1.6) Il mero accertamento tecnico. 39 1.7) La differenza tra discrezionalità pura e quella tecnica. 40 1.8) Precisazione su discrezionalità amministrativa a contenuto tecnico. 42

CAPITOLO 2 44 Il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica. 2.1) Il rapporto tra il Giudice e Pubblica Amministrazione: la sua evoluzione storica. 44

CAPITOLO 3 64 La discrezionalità amministrativa e la tutela dell’ambiente.

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II

3.2) Procedimento V.I.A (Valutazione Impatto Ambientale). 67

3.3) Procedimenti V.I.A in Italia. 71

3.4) La fase di procedura preliminare alla V.I.A. 76

3.5) La fase di screening. 77

3.6) La fase di scoping. 80

3.7) Lo studio di impatto ambientale. 82

3.8) La partecipazione dei cittadini. 86

3.9) Il rilascio del giudizio di compatibilità ambientale. 87

3.10) Gli organi tecnici implicati nella procedura di V.I.A. 89

3.11) Le tempistiche della V.I.A. 104

3.12) Le funzioni della V.I.A. 105

3.13) In caso di diniego… e la nuova valutazione. 107

CAPITOLO 4 108

Il sindacato del Giudice amministrativo nei procedimenti di V.I.A. ambientale. 4.1) Il sindacato del giudice amministrativo: criteri e mezzi del sindacato e l’eccesso di potere. 108

4.2) La violazione di legge. 117

4.3) L’incompetenza. 120

4.4) Gli strumenti del Giudice Amministrativo. 121

4.5) Il Consulente Tecnico Unico (C.T.U.) 126

4.6) Giudicato e riserva: il potere che residua alla P.A. dopo la V.I.A. ambientale. 130

4.7) Criteri di verifica preventiva. 133

4.8) Criteri legati all’inadeguatezza o incompletezza del livello progettuale ai fini della valutazione. 134

(6)

III

4.10) Criteri ambientali e criteri fondati su bilanci ambientali

complessivi. 136

4.11) Criteri di significatività. 137

4.12) Criteri misti. 141

4.13) Impatto negativo. 143

CAPITOLO 5 145

Procedimento V.I.A. nel caso concreto: ENERGAS - territorio di Manfredonia. 5.1) Il territorio. 145 5.2) La flora. 147 5.3) La fauna. 149 5.4) Le direttive. 151 5.5) Energas S.p.a. 152 5.6) I fatti. 153 5.7) Il ricorso. 155 BIBLIOGRAFIA 161

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1

INTRODUZIONE

La presente trattazione è volta a individuare il potere che detiene il Giudice Amministrativo nel sindacare le scelte compiute dalla Pubblica Amministrazione e i suoi profili limite. I giudici, generalmente, sono spinti da alcuni fattori interpersonali da cui vengono influenzati nel loro operare. Metaforicamente tale figura potrebbe essere paragonata ad una bilancia, i cui piatti sono, da un lato, i presupposti tecnico-scientifici valevoli e fondamentali nella valutazione che egli è chiamato a compiere, dall’altra, il potere del giudice di sindacare. La domanda che mi sono posta è proprio quella relativa alla direzione verso cui l’ago della bilancia si muove: è l’organo giudicante che decide e sceglie quale veste dare al caso concreto.

L’elaborato traccia, preliminarmente, i profili del potere della P.A. con ogni sua caratteristica: il principio di legalità, la tipicità, come sua diretta conseguenza, l’unilateralità e l’inesauribilità, distinguendone le due principali attività: quella discrezionale e quella vincolata. In secondo luogo, vengono esplicitate le differenze che intercorrono tra discrezionalità pura e quella tecnica, dalla discrezionalità a contenuto tecnico e l’accertamento tecnico. Il potere discrezionale della P.A., almeno inizialmente, era considerato insindacabile; solo con la Legge 24 agosto del 1790, all’articolo 13, le funzioni giudiziarie e amministrative sono state distinte e, grazie a questo principio di separazione dei poteri, si è potuto affidare all’organo giudicante il potere di sindacare le scelte compiute dall’organo amministrativo, controllandone, così, l’operato. L’esigenza che nasce, allora, è proprio quella di limitare il potere del giudice per evitare che possa spingersi

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oltre i limiti. Si parla, infatti, si un sindacato di tipo interno o intrinseco, vale a dire un sindacato relativo al contenuto della scelta operativa compiuta dalla P.A., di tipo debole, perché qualora fosse forte, il potere giudicante si sostituirebbe completamente all’organo amministrativo. Il potere di quest’ultimo, infatti, è quello di censurare una scelta inattendibile compiuta dalla P.A. quando questa abbia applicato una norma tecnica viziata, e quello di annullarla. Nel concreto, il giudice accede al fatto, sostituendosi alla P.A. nella verifica della sussistenza e, infine, contestualizza i concetti giuridici indeterminati controllandone la presenza di parametri, quali ragionevolezza, coerenza e attendibilità. Come si evince, trattasi di un potere pieno, penetrante ed effettivo, ma non, appunto, sostitutivo. Il provvedimento posto in essere dalla P.A. sarà legittimo laddove il giudizio sia attendibile in modo obiettivo, la cui valutazione è sempre rimessa al Giudice Amministrativo, inteso come limite alle scelte compiute dalla stessa P.A. Di nuovo, il compito dell’organo giudicante è quello di sorvegliare il corretto perseguimento di un interesse pubblico, di cui si occupa la P.A. stessa ed è l’unico organo che può farlo, correggendo eventuali deviazioni poste in essere contro gli amministrati, ovvero i cittadini. Tra i vizi di legittimità il giudice riscontra l’eccesso di potere, ossia un cattivo uso di potere della P.A. oppure una deviazione dai principi generali stabiliti dal legislatore che, come si evince, è strettamente connesso alla discrezionalità in quanto l’uno senza l’altro non può esistere; la violazione di legge, ossia l’individuazione di non conformità di un atto alle norme (da intendersi in senso lato) e, da ultimo, l’incompetenza. In questi casi, l’atto può essere annullato ma non riformato o sostituito, appunto perché si tratta di un potere intrinseco di tipo debole. Gli strumenti di cui chi sindaca può servirsi sono

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verificazione e C.T.U, quest’ultima introdotta dalla Legge n.205 del 2000.

Tale sindacato, evidentemente, opera anche laddove si sviluppi una Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A). Essa, in Italia, a seguito di un recepimento della normativa europea, ha il compito, in maniera preventiva, di valutare che eventuali realizzazioni di progetti non comportino conseguenze negative sull’ambiente: lo scopo è, appunto, prevenire anziché combatterne gli effetti. La competenza della V.I.A. appartiene al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare di concerto con il Ministero per i beni e delle attività culturali e del supporto tecnico e scientifico della Commissione Tecnica. Le fasi caratterizzanti tali procedura, una volta presentato il progetto da parte del proponente, si dividono in: valutazione preliminare, quali screening e scoping, studio di impatto ambientale, con l’identificazione e previsione di ogni conseguenza e il giudizio di compatibilità, con cui viene presentato e revisionato lo studio di impatto ambientale, la decisione del progetto e il suo monitoraggio. Ben si percepisce che la V.I.A. ha scopi prettamente conoscitivi, in base a tutti gli elementi presentati dovrà esserne vagliato il sacrificio che il progetto presentato determinerà sull’ambiente. E’ infatti grazie alla V.I.A. e alle sue fasi che si potrà comprendere, del progetto, l’esistenza o meno di elementi di incompatibilità con l’ambiente, le eventuali alternative per l’attuarsi di un minor impatto e un’analisi preliminare degli impatti confrontando con le alternative in essere. Infatti, vi sono dei criteri da seguire nello svolgere queste determinazioni: primo fra tutti, il criterio tecnologico, poi il criterio ambientale, quello di significatività e, infine, i criteri misti. Qualora, dall’esame di queste componenti indispensabili da valutare, il progetto non sia valutato come compatibile, il Ministero preposto renderà parere negativo, quindi

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4

una V.I.A. negativa. A questo punto, come chiarito anche inizialmente, la P.A. potrà riesercitare il proprio potere sostituendo le precedenti determinazioni, proprio in virtù di un potere inesauribile. Nell’ultimo capitolo mi sono occupata di menzionare un caso concreto, un esempio di V.I.A., il cui parere reso dal Ministero è stato positivo e in cui è stato presentato ricorso da parte della Lipu, quale associazione che si occupa della conservazione della natura, della tutela della biodiversità, nonché la promozione della cultura ecologica in Italia, contrastando l’eliminazione di uccelli, ma anche l’educazione ambientale e la tutela della biodiversità, vista la presenza sul territorio di Manfredonia, precisamente nel Parco del Gargano, di flora e fauna oggetto di tutela ambientalistica.

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CAPITOLO 1

Addentrandoci ora nella trattazione del potere della Pubblica Amministrazione, analizzeremo il significato di suddetto concetto, passando in rassegna le sue caratteristiche più rilevanti.

Sommario: 1.1 Il potere della P.A. – 1.2 Forme del potere. - 1.3 La discrezionalità amministrativa. - 1.4 Il sindacato giurisdizionale sull’attività discrezionale. - 1.5 La discrezionalità tecnica. - 1.6 Il mero accertamento tecnico. - 1.7 La differenza tra discrezionalità pura e quella tecnica. - 1.8 Precisazione su discrezionalità amministrativa a contenuto tecnico.

1.1) Il potere della P.A.

Il potere è sempre stato il grande problema del costituzionalismo moderno. Da un lato la teoria giuspolitica vede la Costituzione come un’istituzione del potere sovrano dello Stato e la sua assenza come fonte di infiniti guai e sofferenze per la società. Come affermava Hobbes, nella sua opera “Il Leviatano”, opera risalente al 1651, una società, senza Stato, è soltanto un insieme disordinato di individui incapace di progredire e crescere, e questo l’autore lo scriveva sotto la diretta influenza delle tragiche vicende politiche sviluppatesi nella società in cui viveva. Dall’altra parte il costituzionalismo è teoria della limitazione del potere: una società non può sopravvivere senza uno Stato che proclama la sovranità e ne organizza le forme di manifestazione della volontà. Il costituzionalismo, nonostante predichi l’unificazione sovrana entro lo Stato, diffida da qualsiasi

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tipologia di potere, poiché teme la sua sfrenatezza. È all’interno di questa dicotomia, se vogliamo di questa sottile e irrisolta ambiguità, che si gioca la questione del potere amministrativo e della discrezionalità, che di quest’ultimo è la più rilevante forma di manifestazione1.

Per potere della pubblica amministrazione si intende una posizione soggettiva che la legge attribuisce a una determinata autorità amministrativa, che gli consente di porre in essere atti giuridici nell’ interesse della collettività. L’esercizio del potere amministrativo è uno strumento di cura dell’interesse cui l’autorità amministrativa è preposta.

Si tratta di un potere allocato dalla legge, che risponde al principio di legalità: ciò significa che non è un potere completamente libero, ma vincolato nel fine, nei confronti del quale la legge ne chiarisce i fini pubblici che dovranno essere perseguiti2. Il principio di legalità nasce

alla stregua di quanto accaduto nell’esperienza francese, a seguito della necessità di distruggere e smantellare la società dell’Antico Regime. Grazie alla Rivoluzione francese del 1789, sono stati sanciti una serie di principi tutt’oggi validi anche nel nostro ordinamento: in primis, il principio di legalità e, infine, quello della separazione dei poteri. Il principio di legalità inizialmente sanciva che i fini dello Stato, o se vogliamo i caratteri generali delle scelte pubbliche, sono predeterminati dalla legge. La legge è espressione della volontà generale, che è a sua volta volontà del “popolo”, grazie ai meccanismi di funzionamento del rapporto rappresentativo. L’amministrazione dà seguito a quei fini, e dunque esercita le sue funzioni sotto il controllo, vale a dire entro il limite, del diritto

1 A.Maffei Alberto,“Il nuovo diritto delle società” 2018 p.1193

2Cusumano Celine, “Schede del diritto” in diritto.it “L’attività discrezionale

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legislativamente inteso. Il potere pubblico esercitato dall’amministrazione non è dunque un potere arbitrario, in quanto le sue scelte sono indirizzate al perseguimento di quell’interesse pubblico predeterminato per effetto del sistema rappresentativo, ossia dell’azione parlamentare che si conclude nell’elaborazione della legge3.

Secondo il suddetto principio, gli atti sono tipici, ovvero è la legge che direttamente li prevede, è infatti una qualsiasi legge amministrativa ad autorizzare, ordinare, accertare, sanzionare, concedere, pianificare, progettare4, ed è la stessa legge a prevedere

che tale potere non potrà mai essere posto in capo ad altri soggetti e neppure oggetto di disposizione da parte del loro titolare. La legge, infatti, predetermina i presupposti affinchè questi siano rispettati. Il principio di legalità è uno dei caratteri essenziali dello Stato di diritto e con l’avvento del costituzionalismo liberale, infatti, si afferma l’idea che ogni attività dei pubblici poteri debba trovare fondamento in una legge, quale atto del Parlamento, a sua volta unico organo diretta espressione della sovranità popolare. Suddetto principio è nato alla stregua di un conflitto tra due poteri, quello del Parlamento, chiamato, appunto, a fare le leggi, e quello del Governo, chiamato ad attuarle. Questa funzione del Governo è necessaria laddove la legge non risulti totalmente chiara e, ovviamente, la legge non è mai totalmente chiara. Per tal motivo l’attività dell’esecutivo consente di entrare nel dettaglio della legge e rendere esecutive, appunto, le leggi emanate dal potere legislativo. Già durante l’illuminismo i giuristi ritenevano che non potesse esistere una legge totalmente chiara e quindi senza potere esecutivo: essi parlavano di “chimera”, animale

3 A.Maffei Alberto “Il nuovo diritto delle società” 2018 p.1194 4 Guido Corso,“Manuale di diritto amministrativo”, Ottava Edizione,

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personificazione della perfezione, mera utopia. Tale principio di legalità, in ambito amministrativo, ha assunto nel tempo un’importanza fondamentale. Tale considerazione vale, soprattutto, quando la pubblica amministrazione agisce in veste di autorità, ossia esercitando un potere pubblico, ma anche privato, che si impone unilateralmente nella sfera giuridica del destinatario. L’attività amministrativa deve necessariamente essere legittimata da una norma attributiva del potere che fissi a monte gli interessi da realizzare riguardanti sia la sfera pubblica che privata. Nonostante la centralità e, come affermato precedentemente, l’importanza del citato principio, nella Costituzione non vi è una norma che lo contempli espressamente. Tendenzialmente il fondamento dello stesso si rinviene nell’articolo 97 della Costituzione ai commi 2, 3, che dispone che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione; in realtà, è considerata una norma che, appunto, si limita a considerare l’organizzazione dei pubblici uffici; a tal proposito, allora, tale principio viene desunto alla luce di più disposizioni costituzionali combinate: nello specifico, tra questi ultimi vi è l’articolo 23 della Costituzione, il quale prevede che nessuna prestazione personale o patrimoniale possa essere imposta se non in base alla legge. Oltre all’art. 23 della Costituzione, poi, il principio di legalità è stato desunto altresì dagli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione, dai quali si trae il principio in virtù del quale tutti possono agire in giudizio contro la P.A., dinanzi agli organi di giustizia amministrativa e ordinaria per la tutela dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi. Da ciò ne discende, inevitabilmente, che l’autorità giudiziaria, per poter valutare la legittimità dell’azione amministrativa, necessita di un fondamento normativo che funga da parametro di giudizio della legittimità degli atti amministrativi :

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questo lo si ricava dall’art. 1, comma 1, della legge n. 241 del 1990, il quale prevede che l’attività amministrativa persegua i fini determinati dalla legge, svolga l’attività secondo i criteri di economicità, imparzialità, pubblicità e trasparenza, e segua le disposizioni che disciplinano i procedimenti. Del principio di legalità si sono susseguite nel tempo varie concezioni; inizialmente la teoria prevalente era quella debolissima, secondo cui il provvedimento amministrativo, per essere valido, non doveva esclusivamente porsi in una posizione di contraddittorietà con la legge. Da tale teoria si passò successivamente a quella debole o formale, in base alla quale la legge era chiamata a sancire la validità del provvedimento stesso. Ancora oggi vige una forte accezione del suddetto principio in quanto la legge è chiamata a stabilire la forma e il contenuto del provvedimento stesso, per determinarne la validità. Un terzo orientamento tende invece a interpretare il principio di legalità in senso forte o sostanziale, principio che impone non soltanto che la P.A. eserciti i poteri che la legge espressamente le attribuisce, ma anche che questa quest’ultima ne disciplini le modalità di esercizio. Tale ultima lettura del principio di legalità è stata recentemente accolta dalla Corte costituzionale. Il nostro sistema ha adottato una visione ampia del principio di legalità che non è solo debolissima e cioè con lo scopo di non violare la legge, non è solo debole per cui è necessaria la sussistenza di una legge che investa l’amministrazione del potere, ma è un’accezione forte del principio di legalità secondo la quale la legge non solo deve attribuire il potere ma anche regolarlo stabilendo modalità, esercizio e contenuti dello stesso. Ne deriva che il provvedimento amministrativo non è mai un atto libero, mai caratterizzato da autonomia, ma è sempre un provvedimento significativamente vincolato sia nello scopo che nel contenuto. Il principio di legalità forte e fortissimo è temperato da una serie di

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limitazioni: poteri impliciti, ordinanze di necessità ed urgenza ex art. 54 comma 4 T.U.E.L., ossia Testo Unico Enti Locali, e i regolamenti indipendenti. Per quanto riguarda i poteri impliciti, essi si sostanziano in un’adozione di un provvedimento, anche e soprattutto amministrativo, la cui competenza non è determinata dalla legge, bensì la si ricava dalla sua necessità ai fini del perseguimento dello scopo che la legge stessa fissa. Nel nostro ordinamento sono le Autorità indipendenti che esercitano tali poteri impliciti, la cui problematica, è evidente, è connessa ai problemi di garanzia ed efficienza. Garanzia perché nessun cittadino può essere colpito da un potere autoritativo non espressamente previsto dalla legge. Efficienza laddove l’azione amministrativa fosse non prevedibile in astratto ma necessaria e urgente. Nel nostro ordinamento, nel merito delle Autorità indipendenti, la questione è stata risolta dalla giurisprudenza, ponendo l’attenzione sul fatto che la legge, a priori, non possa prevedere tutti i provvedimenti necessari, quindi vengono stabiliti dalla normativa gli obiettivi su cui l’Autorità potrà adottare i provvedimenti. A maggior ragione, per enucleare questa posizione, la giurisprudenza ha chiarito i presupposti circa il potere implicito, secondo cui quest’ultimo vige solo se integra un potere esplicito, come interpretazione estensiva dello stesso. Altro limite riguarda la CEDU, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, il cui principio di legalità segue la dottrina fortissima, differendo dal nostro ordinamento. Infatti, secondo la sua legalità fortissima, occorre non violare la legge, occorre, inoltre, un’investitura legale e il rispetto dei limiti imposti dalla legge sul piano procedurale e sostanziale, ma serve, altresì, che tali limiti siano posti da norme chiare, precise e prevedibili. Secondo la CEDU, la legge deve possedere delle

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caratteristiche tali da essere un limite per evitare prevaricazioni del potere amministrativo.

L’articolo 54 T.U.E.L. consente al Sindaco di un comune di adottare un’ordinanza contingibile e allo stesso tempo urgente, esclusivamente nei casi di tutela del decoro urbano e della qualità ambientale e la sua sicurezza, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. Anche le ordinanze libere presentano un’ampiezza importante dal punto di vista contenutistico, giustificata dallo stato di emergenza, ma circoscritta entro i presupposti di cui all’art. 54 comma 4 TUEL, che pone il limite invalicabile dei principi fondamentali della Costituzione.

Infine, l’ultima limitazione riguarda i regolamenti indipendenti, fonti secondarie con le quali l’organo esecutivo interviene su materie o gruppi di materie che presentano una lacuna a livello legislativo e che quindi non avrebbero copertura dal punto di vista disciplinare. Esse sono prevista dal dall’art.17 comma 1 lett. C della L.400/1988, che come referente normativo si limita a autorizzare questo tipo di atti, purché entro il limite di quelle materie che non sono coperte da riserva assoluta di legge, una sorta di disposizione in bianco, autorizzativa dell’intervento regolamentare contenutisticamente libero per tutte le materie non riservate.

Alla luce di quanto sopra detto, possiamo certamente dire che il potere amministrativo non è mai libero nel fine, questo perché vi sono delle leggi che la P.A. è chiamata a seguire e al contempo è la stessa legge che attribuisce i poteri necessari. Quindi la P.A. può esercitare solo i poteri previsti dalla legge, cioè può fare solo ciò che la legge le prescrive e/o le permette di fare.

L’atto amministrativo, in quanto tale, necessita di una serie di caratteristiche, strettamente connesse a sua volta al principio di

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legalità. Pertanto, uno dei corollari di predetto principio è quello di tipicità, secondo cui l'autorità amministrativa ha il potere di emanare solo atti disciplinati nel contenuto, nei presupposti e nell'oggetto dalla legge, vale a dire provvedimenti che sono previsti direttamente dalla legge5.La tipicità connota la struttura del provvedimento, deve

perciò essere previsto dalla legge e corrispondere alla figura riconosciuta dalla stessa, la funzione che è chiamato a realizzare e deve avere una causa tipica, deve cioè essere estrinsecazione di un potere espressamente riconosciuto dalla legge all'amministrazione per la realizzazione di determinati fini pubblici, l’oggetto, il contenuto ed il relativo procedimento.La pubblica amministrazione, quindi, può emanare soltanto provvedimenti amministrativi allocati dalla legge, in quanto ad essa vengono conferiti poteri tipici e non un potere innominato di disporre. La legge, generalmente, affida alla P.A. il compito di emettere atti nella forma tipica di un’ordinanza, definendone in maniera chiara e precisa il contenuto. Niente vieta che la stessa legga disponga che la P.A. emetta altri atti, soprattutto in casi di urgenza ed estrema necessità.

Gli atti che la P.A. emette sono, inoltre, in casi espressamente previsti dalla legge, anche esecutori, cioè atti che danno immediata e diretta esecuzione all’atto amministrativo sfavorevole, anche contro il volere del destinatario, senza previa pronunzia giurisdizionale, vale a dire efficaci in maniera diretta e immediata nei confronti di terzi. Si tratta di casi in cui la legge consente all’amministrazione di provvedere direttamente all’attuazione dei propri atti senza la necessità che la P.A. stessa si rivolga al giudice per ottenere un provvedimento giurisdizionale di esecuzione. L’ordinamento contempla due ipotesi di esecutorietà: i provvedimenti ablatori reali

5O. Ranelletti, “Concetto e natura delle autorizzazioni e concessioni

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(per es., l’espropriazione per pubblica utilità, ex art. 42 Cost., l’occupazione d’urgenza ecc.) e gli ordini, in quanto obblighi di dare o fare. Nel caso di esecutorietà dei provvedimenti ablatori reali, l’efficacia diretta e immediata è insita nel provvedimento stesso 6. Per

quanto concerne gli ordini esecutori, in caso di inadempimento del destinatario del provvedimento, l’amministrazione competente può, nell’esercizio di un autonomo potere amministrativo, avviare un procedimento esecutivo.

Altra caratteristica è la nominatività degli atti, secondo cui a ciascun interesse pubblico da realizzare corrisponde un tipo di atto previsto e definito, esplicitamente o per implicito, dalla legge.7 Infatti,

l’amministrazione non può dotarsi di atti che per “nome, causa e contenuto”, si discostino dal numerus clausus previsto dalla legge8.

L’Amministrazione può, pertanto, introdurre varianti e modifiche nella disciplina di dettaglio degli strumenti in esame, a condizione che ciò non comporti una deviazione di essi dal modello legale rispetto alla “causa”, ossia alla loro funzione tipica quale individuata dal legislatore, ovvero al “contenuto”, ossia a quello che dovrebbe essere l’oggetto dell’attività prevista, sempre alla stregua del dato normativo di riferimento9 .

Il principio “Tempus regit actum”, che trova il suo fondamento nell’ articolo 11 delle Disposizioni sulla legge in generale, sancisce un brocardo del diritto e, a maggior ragione, del diritto amministrativo secondo cui ogni atto deve trovare il proprio regime giuridico di riferimento nella disciplina normativa in vigore nel tempo in cui è

6 D.p.r. n. 327/2001, art. 23, co. 1, lettere f, g e h; e l. n. 241/1990, art. 3 e 21 bis 7 O. Ranelletti, “Concetto e natura delle autorizzazioni e concessioni

amministrative”, in Giur. it., 1894, IV, 7 ss

8 Cons. Stato, sez. II, 10 dicembre 2003, parere nr. 454; Cons. Stato, sez. IV, 7

novembre 2001, nr. 5721

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stato posto in essere. L’eventuale applicazione alla fattispecie della disciplina originaria comporta, per l’opinione prevalente, l’esistenza di un caso di ultrattività delle norme abrogate e di differimento dell’efficacia delle norme sopravvenute. Questa posizione sembra legittimare solamente la regola dell’applicazione immediata della normativa sopravvenuta agli atti non ancora venuti ad esistenza10.

Infatti, “ogni provvedimento, per qualsiasi aspetto che riguardi la sua essenza, la struttura o i requisiti, deve essere sottoposto alla legge del tempo in cui è posto in essere”11.

Il principio di legalità nella storia del diritto corrisponde a una precisa “garanzia di libertà” per il cittadino: un’autorità che agisce arbitrariamente, senza limiti, ha il potere di sopprimere le libertà, mentre un potere pubblico subordinato democraticamente alla legge (e quindi al Parlamento) deve per definizione rispettare la libertà del cittadino. In particolare, nel diritto amministrativo il principio che la P.A. è soggetta alla legge garantisce il cittadino contro gli atti amministrativi illegittimi, ovvero gli abusi. Il concetto di attività amministrativa “in senso stretto” si riferisce, dunque, all’attività di amministrazione espletata da una pubblica amministrazione in regime di diritto amministrativo, quale complesso di regole disposte per la sua organizzazione e per lo svolgimento dei relativi compiti istituzionali.

Il diritto amministrativo si caratterizza, pertanto, rispetto agli altri rami del diritto, per la presenza di una autorità amministrativa che agisce utilizzando pubblici poteri, la cd. posizione di sovraordinazione, l’adozione di un l’atto amministrativo quale strumento di azione, la posizione sott’ordinata del privato, titolare di un mero interesse legittimo. Contrariamente a ciò che accade nel

10 G.U. Rescigno, “L’ atto normativo”, Bologna, 1998, p. 103

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diritto civile, nel cui ambito il rapporto giuridico tra due soggetti avviene, in linea di principio, su un piano di parità, nel diritto

amministrativo si crea un rapporto di

sovraordinazione/subordinazione, fondato sul principio dell’autorità, che vede attribuito alla P.A. il potere di sacrificare unilateralmente i diritti del soggetto estraneo ad essa e che con questa entra in rapporto.

Affermando che le pubbliche amministrazioni ed i pubblici dipendenti operano al servizio della collettività si abbandona il modello amministrativistico che vedeva invece la P.A. collocata in posizione sempre sovraordinata rispetto agli altri soggetti dell’ordinamento che con essa entravano in rapporto. L’atto amministrativo non promana dalla volontà di un soggetto fisico ma, generalmente, è il risultato di una sequenza di atti di diversi uffici o organi condizionati da fini istituzionali, ovvero fini pubblicistici o di interesse sociale, verso i quali l’attività della P.A. è sempre diretta. Tale scopo è presente anche laddove la medesima concluda con altre parti, anche privati, accordi. Questa finalità differisce da quello che è, invece, il potere privato, i cui scopi sono tutt’altro che pubblicistici. Nel diritto civile, il diritto che regola i rapporti tra due soggetti collocati sullo stesso livello, il principio di legalità risulta sfumato nel senso che alle parti è riconosciuto ampio potere discrezionale e a cui è consentito predisporre contratti anche in ipotesi non direttamente contemplate dalla legge affinchè si tratti di diritti disponibili delle parti e sui quali lo Stato non ha interesse ad intervenire. Inoltre, nei poteri tra soggetti privati il potere è generalmente un diritto, soggettivo appunto: la posizione attiva di un rapporto, l’altra parte è sottoposta a un dovere occupando la posizione passiva12; in questi

12 Guido corso, “Manuale di diritto amministrativo, Ottava Edizione,

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casi, allora, trattandosi di due soggetti che si trovano in una posizione di uguaglianza, il potere-diritto viene generalmente creato da un contratto, cioè dal consenso dell’altra parte che si addossa un dovere in vista di un vantaggio13. Nel diritto amministrativo, diritto che

regola i rapporti tra due soggetti posti su piani differenti in quanto uno dei due, generalmente lo Stato, è posto in una situazione di supremazia, viceversa, tale diritto è assolutamente irrinunciabile in quanto trattasi di un presidio di garanzia nei confronti di un’attività unilaterale a carattere autoritativo che, quindi, si impone alle parti e deve essere predeterminata dal legislatore: è una situazione completamente opposta alla precedente. Come detto, il potere amministrativo è attribuito per soddisfare l’interesse pubblico. Ciò può significare due cose: o che il potere, quando viene esercitato, è vincolato alla soddisfazione dell’interesse pubblico o che il potere, in presenza di determinati presupposti, deve essere esercitato, perché sia soddisfatto l’interesse pubblico.

Il fondamento della seconda accezione si ritrova nella seguente disposizione legislativa, tratta dall’art. 2 della legge 241 /1990: “ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, la P.A. ha il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso”14. Il citato articolo, afferma

che, ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza (ad es., domanda di autorizzazione, di concessione, di abilitazione, di iscrizione, etc.) ovvero debba essere iniziato d’ ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso. In questi casi, quindi, come si può notare, l’esercizio del potere è doveroso. Da ciò si desume che vi è

13 Guido corso, “Manuale di diritto amministrativo”, Ottava Edizione,

Giappichelli Editore

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un obbligo di conclusione tutti i procedimenti con provvedimento espresso generale, salvo alcune eccezioni. Ben pochi, in realtà, sono i casi in cui, il procedimento non debba obbligatoriamente concludersi con provvedimento espresso, e cioè, nei casi di silenzio significativo (silenzio assenso e silenzio rigetto), nei casi di istanze di autotutela e nel caso in cui una persona chieda di applicare una sanzione amministrativa verso un’altra.

Il potere amministrativo è poi, un potere unilaterale, ovvero si tratta di un potere esercitato esclusivamente ed unilateralmente dalla P.A. che compie una serie di atti volti all’emanazione di provvedimenti con rilevanza esterna e produttivi di effetti nei confronti di soggetti estranei, quali i privati cittadini destinatari indipendentemente dal loro consenso. Attualmente, la suddetta caratteristica, non è più indefettibile, la cui causa è sicuramente quella dell’evoluzione dottrinale, giurisprudenziale e legislativa, che hanno portato ad una situazione in cui il coinvolgimento del consenso del privato da parte della P.A. ha perso sempre più vigore per la fase di procedura ed emanazione del provvedimento; basi pensare alla partecipazione al procedimento, agli accordi sostitutivi del provvedimento, all’l’adozione di atti non avente natura autoritativa secondo le norme del diritto privato art. 1 comma 1 bis legge 241/1990.

Infine, per completezza, occorre richiamare un’altra caratteristica del potere della P.A.: la sua inesauribilità. L'amministrazione è libera di esercitare il potere in ogni tempo e di riesercitarlo per sostituire le proprie precedenti determinazioni, anche nel caso in cui queste siano state annullate dal giudice. Perciò il potere dell'amministrazione è considerato inesauribile.

Secondo tale principio, la potestà di provvedere viene restituita nuovamente all'Amministrazione perché essa si ridetermini a seguito di un giudicato annullatorio. In teoria, l'Amministrazione può

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pronunciarsi un numero di volte in via di principio infinito sullo stesso affare, ove questa, ogni volta, ponga a sostegno del "nuovo" provvedimento fatti "nuovi"; in tal senso ogni controversa sarebbe destinata a non concludersi “mai”. Pertanto, l’amministrazione può procedere più volte all’emanazione di nuovi atti a patto che si fondino su aspetti sempre nuovi del rapporto, non già toccati dal giudicato15.

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19

1.2) Le Forme del potere.

Una fondamentale distinzione, fra le forme dell'azione amministrativa, è quella tra l’attività discrezionale e quella vincolata, volti a descrivere l’interazione tra azione pubblica e

legge16. Per quanto riguarda l’attività vincolata, la P.A. è priva di

qualsiasi potere di autodeterminazione per la scelta più opportuna: è proprio la legge a definire in modo puntuale il “modus agendi” dell’autorità pubblica. Molto spesso gli atti vincolati implicano l’applicazione di conoscenze tecniche e in questi casi la norma attributiva del potere fa discendere automaticamente da un accertamento tecnico una predeterminata conseguenza giuridica. Dunque, quando la Pubblica Amministrazione adotta un provvedimento vincolato, essa non ha nessun margine di apprezzamento discrezionale. Diversamente, l’attività discrezionale, riguarda quei casi in cui la legge lascia all’autorità amministrativa un certo margine di apprezzamento in ordine a taluni aspetti della decisione da assumere; in sostanza, in tali casi, la legge non riesce a regolare ogni particolare ipotesi, ma si limita a prefigurare gli aspetti essenziali della fattispecie e dell'esercizio della potestà pubblica, rimettendo poi all’autorità amministrativa le ulteriori valutazioni

correlate ai profili o agli interessi particolari del caso17. La

discrezionalità, quindi, presuppone l'attribuzione di uno spazio decisionale libero all'autorità amministrativa, cui è rimessa la ricerca del modo migliore per il soddisfacimento dell’interesse pubblico positivamente determinato. Si suole dire che il potere discrezionale si risolva in una “ponderazione comparativa di più interessi

16 Cusumano Celine, “Schede di diritto” p.1 in diritto.it “L’attività discrezionale

della P.A”

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secondari in ordine ad un interesse primario” o, meglio, “il momento

della ponderazione degli interessi, in una valutazione che faccia emergere l’interesse primario all’esito di un’operazione di bilanciamento in cui i fini, però, sono predeterminati ed

eteronomi”18 ; gli interessi secondari da ponderare sono pubblici,

collettivi e privati, mentre l'interesse primario è sempre un interesse pubblico; quindi la discrezionalità costituisce “il margine di apprezzamento che la legge lascia alla determinazione dell'autorità

amministrativa”19, per cui può legittimamente dirsi che la

discrezionalità attiene all’agire libero dell’Amministrazione quando opera come autorità. Pertanto, il potere discrezionale attribuito all'autorità amministrativa svolge la funzione di adattare le previsioni astratte della legge alla realtà fattuale, nell’ottica della necessità di tutelare gli interessi dei cittadini coinvolti nel procedimento amministrativo e con l'obiettivo primario di curare concretamente

un certo interesse pubblico, realizzando il massimo soddisfacimento

dell'interesse pubblico primario con il minor sacrificio possibile degli interessi secondari. Quello dell'esercizio del potere discrezionale costituisce un momento molto delicato, in quanto, non potendo la legge rigidamente predeterminare l'attività della P.A. entro regole inflessibili, cioè rigide e pienamente esaustive, è attribuito all’Amministrazione un margine di apprezzamento più o meno ampio a seconda delle circostanze; l'uso del potere discrezionale, dunque, permette alla P.A. di decidere al meglio in merito all'opportunità di agire e al contenuto dell'attività; tuttavia, discrezionalità non significa operare legibus soluti, e quindi

18 S.Cassese, “Diritto amministrativo generale”, Milano, Giuffrè, 2003, vol. 1,

758 e ss.

19 S.Cassese, “Diritto amministrativo generale”, Milano, Giuffrè, 2003, vol. 1,

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arbitrariamente, ma esprimere una valutazione comparativa dei vari

interessi in gioco, pubblici e privati20. E’ evidente che anche l’attività

discrezionale, al pari dell’attività vincolata, non possa mai essere libera, è infatti chiamata a stabilire essa stessa i fini da perseguire, dovendo essere funzionale all’ottimale perseguimento dell’interesse predeterminato dal legislatore. Ne consegue che la maggiore o minore libertà della Pubblica Amministrazione nell’espletamento della propria attività dipende dalla relazione esistente tra l’attività

amministrativa e la legge21. Le scelte discrezionali compiute dalla

Pubblica Amministrazione vengono sindacate da parte del giudice, che si occuperà di vagliarne la correttezza controllando il modo, legittimo o meno, con cui l’Amministrazione ha esercitato la discrezionalità, ossia il modo con cui sono stati ponderati gli interessi coinvolti per non trasmodare nell’eccesso di potere; infatti, anche nei casi di uso discrezionale del potere, l'ordinamento richiede che tale potere venga utilizzato per il perseguimento di una ben precisa finalità: l'ordinamento giuridico non attribuisce all'amministrazione un indifferenziato potere di cura dell'interesse pubblico, bensì tanti poteri, ciascuno dei quali deve essere impiegato per il conseguimento di specifici obiettivi. Quindi l'eccesso di potere si concretizza quando la Pubblica Amministrazione esercita il potere che le è stato attribuito per perseguire una finalità diversa da quella tipica. Ciò non significa, tuttavia, valutare la bontà del risultato conseguito, in quanto significherebbe entrare nel merito del fatto, il che è

consentito solo nei casi espressamente previsti dalla legge22.

20 Guido Corso, “Manuale di diritto amministrativo”

21 Cusumano Celine, “Schede di diritto” p. 1 in “diritto.it” “L’attività

discrezionale della P.A”

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1.3) La discrezionalità amministrativa.

Il primo e più lucido studioso e interprete di questo tema può considerarsi il Cammeo23 il quale, in due sue opere fondamentali24,

distingue a seconda che l’attività dell’amministrazione sia regolata da norme giuridiche precise ovvero si svolga in uno spazio libero da norme. Nel primo caso l’attività dell’amministrazione stessa è “vincolata” e quindi soggetta in pieno al sindacato di legittimità, nel secondo è discrezionale in quanto l’amministrazione è libera di determinarsi dal punto di vista giuridico (fermo restando il limite di carattere generale del rispetto dell’interesse pubblico) e, quindi sottratta, in linea di principio, al controllo giurisdizionale di legittimità.

La discrezionalità amministrativa nasce con lo stato legislativo ottocentesco, soprattutto alla stregua della storia francese, nonostante i primi studi scientifici siano stati effettuati intorno al XIX secolo25. Essa indica gli atti dell'amministrazione che, in

ossequio al principio della separazione dei poteri, erano sottratti al sindacato giurisdizionale. In Italia, gli studi di suddetto tema, sembrano essersi conclusi con l’inizio della seconda guerra mondiale26. Nell’ordinamento francese, così come in quello italiano,

la successiva evoluzione è stata dettata dal principio di legalità e azionabilità delle pretese del cittadino nei confronti dell’amministrazione. Essa esprime, infatti, la tensione di evitare che il giudice possa sostituirsi all’amministrazione nelle scelte ad essa riservate e quella di non rinunciare a un controllo sull’attività

23 Giurista italiano

24 “Questioni di diritto amministrativo”, 1900; “I vizi di errore, dolo e violenza

negli atti amministrativi”, 1913; “Il Corso di diritto amministrativo”, 1914.

25 F.Benvenuti, “La discrezionalità amministrativa”, Padova, Cedam, 1986, p.15

e ss.

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amministrativa e di assicurare la tutela agli interessi dei cittadini27. Si

può dire che la discrezionalità amministrativa nasca come azione della P.A. non sottoposta a vincoli e che, progressivamente, questi vincoli, a seconda delle più generali tendenze dell’ordinamento, siano incrementati o nuovamente ridimensionati. La storicità della nozione e la sua evoluzione le si colgono facilmente se solo si considera il modo differente di atteggiarsi della discrezionalità nel passaggio dallo Stato assoluto a quello liberale ed a quello democratico-sociale, fino a definire le sue caratteristiche attuali, in una forma di Stato ancora difficile da qualificare28. Nello Stato assoluto, la discrezionalità

integra la capacità del sovrano e della sua burocrazia di operare scelte in modo, appunto, “discrezionale”, senza cioè doverne rendere conto ad alcuno. Con lo Stato liberale, invece, si introduce la separazione dei poteri, dalla quale discende un vincolo più stringente per la P.A., costituito dal principio di legalità, al punto che questa forma di Stato è nota anche con il nome di “Stato di diritto”. Una volta superata la parentesi totalitaria dello Stato fascista, nella successiva evoluzione della forma di Stato, che diventa “democratico” e “sociale”, ma anche “costituzionale”, in virtù dell’adozione di una Costituzione rigida, la discrezionalità amministrativa va riletta necessariamente alla luce dei principi contenuti nella Carta fondamentale. La discrezionalità amministrativa, ad ogni modo, non può trasmodare nell’arbitrio ed è vincolata al limite dell’interesse pubblico rispondente alla causa del potere esercitato, nonché dal rispetto dei criteri di ragionevolezza, imparzialità, buon andamento e logica e da un’informazione esatta e

27 Per una sintesi sul tema discrezionalità, Giannini, “Dir.amm”, volume

secondo, Giuffrè,1988, par. 148, 149 e (sulla discrezionalità tecnica) 150

28 C. Crouch,” Postdemocrazia”, trad. di C. Paternò, Roma-Bari, Editori Laterza,

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completa da conseguirsi attraverso un’adeguata istruttoria, richiamati dall’articolo 97 della Costituzione. In generale, per discrezionalità si intende quell’attività preposta dalla P.A. in cui non vi siano scienze esatte o consensi universali della comunità di riferimento ovvero nella comunità tecnica o scientifica o professionale, ove vengano ritenute plausibili diverse soluzioni al caso concreto altrimenti laddove vi fosse un’unica soluzione non ci sarebbe scelta, bensì un’attività tecnica da svolgere accertando soluzioni esatte29. Oggi, la

discrezionalità, è sottoposta a una serie di regole che ne hanno ridotto la portata: una serie di principi che se vengono violati trasmutano in eccesso di potere. Pertanto, ciò che i giudici, attraverso un’attività di interpretazione, sono chiamati a compiere, assieme all’amministrazione, è un’opera di completamento della legge, nei limiti e nell’esigenza di flessibilità e aderenza alle circostanze, principi richiamati nell’articolo 97 della Costituzione. Si rinvengono, inoltre, un’ulteriore serie di enunciati destinati naturalmente ad incidere sul modo stesso di strutturare la P.A: il principio democratico, nell’articolo 1 della Costituzione; quello di eguaglianza sostanziale, nell’articolo 3, comma 2 della Costituzione; quello di autonomia, nell’articolo 5 della Costituzione; indubbiamente, anche quello personalista, nell’articolo 2 della Costituzione, che rappresenta una sorta di clausola generale di chiusura dell’intero sistema, nella misura in cui pone al centro dell’azione di ogni pubblico potere la dignità della persona umana. Circa il buon andamento, si è oggi concordi nel ritenere, da parte dell’ordinamento giuridico italiano, una serie di istituti ispirati direttamente alla necessità di assicurare l’idoneità dell’apparato amministrativo a raggiungere gli obiettivi prefissati, al fine di

29D.Sorace, “Diritto delle Amministrazioni Pubbliche, Una Introduzione”, Il

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realizzarli con il minor dispendio possibile di risorse ed in particolare a contenere i costi economici. Quanto all’imparzialità, essa ha riguardato inizialmente l’atteggiamento che deve assumere il funzionario pubblico (c.d. “imparzialità personale”), che deve eventualmente astenersi dal decidere in presenza di interessi propri o di prossimi congiunti e che può essere recusato dal cittadino, in caso di omessa astensione ove dovuta. Imparzialità, che è stata anche invocata per affermare l’indipendenza della burocrazia dalla politica e dal carico di interessi di cui essa è portatrice; ma che ha, da ultimo, assunto un significato particolarmente pregnante, proprio per il tema di cui si occupa, designando l’obbligo della P.A. di ponderare adeguatamente e razionalmente tutti gli interessi presenti nella fattispecie, per pervenire all’individuazione dell’interesse pubblico come frutto di questa ponderazione30.

Per cogliere il significato di “discrezionalità” occorre chiarire altri due concetti, di cui essa è “servile”: ordinamento giuridico e attività legislativa. L’ordinamento giuridico altro non è che un insieme di regole giuridiche, ossia norme31, tra loro strutturalmente collegate;

La seconda nozione, invero, ha il pregio di evidenziare come tra le norme stesse, esista una certa “completezza”32. Certamente è da

considerare che il diritto in senso oggettivo sia un fenomeno complesso ed esso è influenzato dalle norme di tipo logico, da quelle politiche, sociali eccetera33, ma una definizione di discrezionalità

amministrativa esiste e può essere considerata alla stregua di tre differenti teorie: l’una positiva, secondo cui si enucleano i tratti più

30 Umberto Allegretti, “L’imparzialità amministrativa”, Padova, Cedam, 1965 31 Norma equivale al termine “Regola di comportamento da qualunque fonte

giuridica derivi” (sostanzialmente, in tal senso, Bellomo, “Manuale di dir.amm.”, CEDAM, 2008, Cap.II)

32 Bobbio, “L’analogia nella logica del diritto”, Torino, 1940, 168 e segg.;

Giannini, “L’analogia giuridica”, in “Scritti”,vol .secondo, 185 e segg.;

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rilevanti della stessa; l’altra negativa, secondo cui è discrezionale ciò che non è obbligatorio; infine, l’ultima, secondo cui la discrezionalità sarebbe disciplinata caso per caso34.

L’attività amministrativa è soggetta a una serie di limitazioni sopra menzionate, ma non può nemmeno definirsi come attività totalmente vincolata, ed è per questo che prende il nome di discrezionalità: è un’attività che si colloca in una posizione intermedia tra libertà e vincolo, caratterizzata dal c.d. “vincolo nel fine”35. Quindi si ha discrezionalità giuridica tutte le volte in cui,

nell’esercizio di una certa attività disciplinata dal diritto, sia possibile seguire un percorso non rigidamente preordinato da norme vincolanti36. L’attività della P.A. comporta una continua scelta, scelte

che indubbiamente non possono essere arbitrarie, e ciò alla luce del principio di legalità, principio di separazione dei poteri e tutti i principi conquistati a seguito della Rivoluzione francese, che ha consentito di superare il periodo dell’Ancième Regime, mai libero nel fine, dal momento che è la legge a predeterminare l’interesse pubblico da perseguire.

Volendo dare una definizione alla discrezionalità potremmo configurarla come “facoltà di scelta nell’esercizio di un potere amministrativo”37 e il concetto di scelta deve ricollegarsi alla pluralità

di interessi in gioco pubblici e privati che la stessa amministrazione va a ponderare38. Tanto chiarito, è bene precisare che la Pubblica

Amministrazione, nell'esercizio di tale facoltà di scelta, non può prescindere da una comparazione di tutti gli interessi collegati,

34 Gallo, in “Celso e Kelsen”, Giappichelli, 2010, p. 37

35 A. Maffei Alberti, “Il nuovo diritto delle società” 2018 p.1196

36 Marco Casavecchia, “La discrezionalità giuridica e in particolare quella

amministrativa”

37 Guido corso, “Manuale di diritto amministrativo”, Ottava Edizione,

Giappichelli Editore

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avendo il dovere di effettuare una “ponderazione comparativa” dell’interesse primario da curare, ossia l'interesse pubblico positivamente individuato, con tutti gli altri interessi secondari, che possono essere pubblici, collettivi e privati, cui il primo è direttamente collegato. Solo per effetto della suddetta ponderazione comparativa, si ritiene possibile conseguire il fine prefissato dal legislatore con il minor sacrificio possibile di tutte le altre posizioni che con esso vengano in qualche modo ad interferire, il c.d. principio del minimo mezzo. L’attività discrezionale consta di due momenti fondamentali: il primo, la fase del giudizio, che si sostanzia nell'individuazione e nell'analisi dei fatti e degli interessi, sia quello primario e che quelli secondari, sulla base di un'istruttoria per la. decisione; il secondo, è il momento della scelta che è quello in cui l'amministrazione, alla luce delle risultanze del giudizio, adotta la soluzione che ritiene più opportuna e conveniente per il miglior perseguimento dell'interesse pubblico primario. Entrambe le fasi sono comunque “guidate” dalle regole della Legge n.241/90. Fase fondamentale del giudizio è senza dubbio sancita dall’articolo 7 della suddetta legge che consente a soggetti sia privati che pubblici di partecipare al procedimento amministrativo ed evidenziare allo stesso tempo la rilevanza di strumenti antagonisti e concorrenti rispetto a quello primario e la eventuale sussistenza di soluzioni alternative idonee ad evitare il sacrificio degli interessi del privato nel procedimento amministrativo stesso. Quanto al momento della scelta, invero, ruolo decisivo è assunto dall’obbligo di motivazione del provvedimento, previsto dall'art. 3 della Legge n. 241/90. La motivazione del provvedimento amministrativo discrezionale rappresenta l'unico strumento idoneo ad esplicitare la ponderazione degli interessi svolta dall'Amministrazione. Mettendo in evidenza questo ultimo aspetto, la giurisprudenza ha chiarito che “proprio per

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dimostrare che l'attività autoritativa sia stata legittimamente esercitata, è necessaria la motivazione del provvedimento, la quale non è altro che l'esplicitazione di come si è svolta l'attività istruttoria e del perché un interesse(quasi sempre l'interesse pubblico) è stato, nella necessaria valutazione di comparazione ponderata, ritenuto prevalente sugli altri interessi (normalmente privati) che sono confluiti nel procedimento”39. “Il momento essenziale della

discrezionalità40 è quello in cui si individuano e si raffrontano i vari

interessi concorrenti”41. La discrezionalità deve essere letta alla luce

di una serie di sue caratteristiche. Prima fra tutte essa è una sfera di agire libera limitata positivamente; non è l’unica forma di agire libera e consiste nel ponderare l’interesse primario assieme a quelli secondari, è per questo un’attività necessaria; è giudizio, come fissazione del valore comparativo di interessi e volontà, come scelta imposta da tale valutazione; non è creazione o comando in quanto attività che trae direttamente da stessa la fonte della propria legittimazione; il potere discrezionale riflette, indubbiamente, il pubblico interesse ed è un agire libero solo per alcuni elementi dell’atto. Al di là dei limiti disposti dalla legge, l’esercizio di tale discrezionalità è totalmente libero42.

La discrezionalità presenta caratteristiche che potrebbero essere confuso con la vaghezza. Occorre pertanto precisare che la vaghezza non è la discrezionalità, ma la discrezionalità in via di fatto può essere la conseguenza della vaghezza o anche delle lacune, del linguaggio

39 Cons.Stato, sez. IV, 7 maggio 2007, n. 1971.

40 Bassi, “Note sulla discrezionalità amministrativa”, in “Le trasformazioni del

diritto amministrativo” Scritti degli allievi per gli ottanta anni di Massimo Savero Giannini, a cura di G.Amorosino, Giuffrè,1985, 51 e segg.

41 Bassi, allievo di Giannini, “Il potere discrezionale della pubblica

amministrazione”, Milano 1939, p.75

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legislativo43. In sintesi, si potrebbe allora dire che vi è discrezionalità

amministrativa ovunque vi siano norme non strettamente vincolanti44.

Lo studio circa la discrezionalità ricorda il “Supplizio di Sisifo”, cioè uno sforzo che non riesce mai del tutto a raggiungere il suo scopo. E’ noto che, nella mitologia greca, Sisifo fosse condannato a portare un grosso masso sulla sommità di un monte, ma giunto in cima il masso inesorabilmente rotolava giù e lo sventurato dovesse ricominciare a spingerlo verso la vetta, per l’eternità45.

Già Platone, filosofo e scrittore greco del 428 a.C., nel Politico, dialogo scritto dallo stesso a seguito di un viaggio in Sicilia e uno tra i suoi scritti più celebri, racconta, come si evince anche dal titolo, di temi connessi alla politica. Egli affermava che una legge non può contemporaneamente indicare la cosa più buona e più giusta ed anche ciò che è assolutamente valido e questo perché nessuna cosa umana, nel tempo, rimane uguale. Egli tratta del suo modello di “città seconda”, ossia la città realizzabile che più si avvicina alla città perfetta immaginata dal filosofo, a differenza della Repubblica dove lo stesso Platone viveva e ammette di parlare di una realtà utopistica non realizzabile. Anche Aristotele, filosofo, scienziato e logico greco, affermava che la conformità alle leggi rappresenta la virtù intera e perfetta, sia pure non in assoluto, ma solo ciò che riguarda i rapporti con gli altri. Solo l’uomo che rispetta tutte le leggi è un uomo virtuoso. Egli asseriva, inoltre, che la legge va a considerare ciò che

43 Comanducci e Guastini, “Vaghezza, interpretazione e certezza del diritto”,

“Analisi e diritto”, 1990, p.141-142, nonché sempre di Luzzati “La vaghezza delle norme. Un’analisi del linguaggio giuridico”, Milano, 1990 e “L’interprete e il legislatore: saggio sulla certezza del diritto”, Milano, 1999

44 Mortati, “Istituzione del diritto pubblico” Cedam, 1969 p 230 e segg. 45 Marco Galdi, “Rivista di Diritto Pubblico Italiano, comparato, europeo” in

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avviene nella maggior parte dei casi, certamente non ignorando l’errore dell’approssimazione46.

La dottrina, infine, concordando sulla definizione di discrezionalità come scelta, ha cercato di individuarne l’oggetto ipotizzando che possa riguardare l’an, il quomodo, o il quid 47, nei confronti dei quali è

stato incisivo e caratterizzante il ruolo della Costituzione e dei suoi principi fondamentali, primi fra tutti gli articoli 2 commi 1 e 2, articoli 3,7,11,14. L’oggetto della discrezionalità si sostanzia, pertanto, nell’an dell’emanazione di un provvedimento, ossia il quando, sotto il profilo dell’individuazione del momento più opportuno dell'intervento programmato. Ancora, può concernere i due diversi aspetti del quomodo, che indica le modalità di esternazione del provvedimento e la facoltà di scegliere quali elementi accidentali inserirvi, ovvero del quid, ossia la determinazione del contenuto che in concreto si palesi più opportuno. Occorre precisare che di rado la discrezionalità concerne tutti gli aspetti sopra citati e, anche qualora ciò accada, permane in capo alla P.A. il vincolo predeterminato di carattere funzionale in ordine al perseguimento dell'interesse pubblico48.

Il problema sulla discrezionalità amministrativa sussiste allorquando la legge lascia, più o meno largamente, più numerosi spazi da riempire. In suddetti casi, è necessario che la P.A. compia scelte che siano coerenti con il perseguimento che la stessa è chiamata a perseguire, ossia l’interesse pubblico.

46 Guido Corso, “Manuale di diritto amministrativo”, Ottava Edizione,

Giappichelli Editore

47 Guido Corso, “Manuale di diritto amministrativo”, Ottava Edizione,

Giappichelli Editore

48 Cusumano Celine, “Appunti di diritto” in “Diritto. it “L’attività

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E’ rilevante mettere in luce la differenza tra discrezionalità amministrativa e valutazione di merito: quest’ultima è una valutazione relativa all’opportunità e alla convenienza di una certa scelta, ed è totalmente libera e soprattutto il merito comprende “tutti i momenti in cui l’agire della P.A. non è predeterminato da regole giuridiche”49. Il merito, pur attenendo, come la discrezionalità,

all’esercizio del potere a monte, se ne differenzia nettamente per la sua insindacabilità. Esso, infatti, riguarda le valutazioni in concreto perpetrate dalla P.A., l’opportunità del provvedimento stesso: ossia il nocciolo duro e insindacabile dell’attività amministrativa; diversamente, invece, dall’attività discrezionale e a quella vincolata rispetto alle quali il giudice vanta poteri sempre più incisivi50. Il

concetto di merito amministrativo, come pure da taluno sostenuto, non è ancora stato superato; deve ritenersi, infatti, che una volta applicati tutti i principi costituzionali che presidiano l’azione discrezionale della P.A. possa talora permanere un margine di scelta fra più possibili contenuti decisori. Questo margine di scelta è il “merito amministrativo”51.

49 Galli, “Corso di diritto amministrativo” p. 379; Cerulli-Irelli, Corso di diritto

amministrativo”, 1998 p.410; Pubusa, “Digesto delle discipline pubblicistiche”, “Merito e discrezionalità amministrativa” p. 402

50 Cusumano Celine, “Appunti di diritto” in “Diritto. it “L’attività

amministrativa della P.A.” p.1,2

51 B. Gilberti, sul superamento della nozione di merito amministrativo come

conseguenza dell’assoggettamento dell’azione dei pubblici poteri al principio di legalità, “Il merito amministrativo”, Padova, 2013. Sul tema anche, L. Benvenuti, “Breve divagazione in tema di merito amministrativo. A proposito di un libro recente”, in “Diritto pubblico”, 2016, fasc. 2, p.795 e ss.

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1.4) Il sindacato giurisdizionale sull’attività discrezionale. Il sindacato del giudice sulla discrezionalità pure nasce con la Rivoluzione francese del 1789, allorquando si affermò il principio della separazione dei poteri, principalmente quello giudiziario ed esecutivo. Infatti, Il principio di separazione tra potere esecutivo e giudiziario viene inteso, inizialmente, nel senso che la giurisdizione doveva essere radicalmente estromessa dalla possibilità di giudicare gli atti amministrativi. Questo significa che al giudice non era concesso sindacare le attività compiute da vari organi amministrativi e che, quindi, al privato era concesso rivolgersi a un giudice per lamentare la violazione di un diritto da parte di un altro privato, ma che non potesse invece chiedere ad alcun soggetto terzo di ottenere soddisfazione in caso di cattivo esercizio del potere amministrativo. Soltanto successivamente si arriverà a parlare di sindacato.

Certamente, il sindacato del G.A. nei confronti dell'azione amministrativa assume una diversa intensità in funzione del tipo di attività, vincolata o discrezionale, che la P.A. pone concretamente in essere. In caso di attività vincolata, al G.A. è consentito verificare, oltre che la legittimità dell'atto, anche la fondatezza della pretesa che il privato vanta nei confronti dell'Amministrazione. Ed invero, dal momento che la P.A. è tenuta al rispetto di un precetto legislativo “vincolante” che fissa compiutamente il modus agendi della stessa Autorità amministrativa, il G.A. può spingere la propria indagine sino a verificare se, applicando il precetto legislativo vincolante, l'istanza pretensiva o la posizione oppositiva del privato sia fondata o meno. Viceversa, nel caso di attività discrezionale, la valutazione del “merito” dell'azione amministrativa è interamente rimessa alla stessa P.A. In questo caso, perciò, il G.A. non ha il potere di sindacare la fondatezza della pretesa che il privato vanta nei

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confronti dell'Autorità, dovendo il sindacato giurisdizionale attenersi alla valutazione dei meri profili di legittimità dell'azione pubblica. Conformemente a tale impostazione il Legislatore ammette che solo la P.A., in seguito ad una rivalutazione dell'opportunità e della convenienza di un atto amministrativo precedentemente emanato, possa rimuovere lo stesso in sede di autotutela o di tutela giustiziale. Viceversa, al G.A. è sempre consentito sindacare la legittimità dell'azione amministrativa, al fine di verificare sia il rispetto delle regole stabilite specificamente dalla norma attributiva del potere discrezionale, sia la conformità dell'azione pubblica ai principi che governano, in generale, l'esercizio del potere pubblico. Diretta conseguenza è che il tipo di accertamento non può che essere di tipo estrinseco, che consente di verificare il rispetto dei parametri di legittimità.

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1.5) La discrezionalità tecnica.

Il tema del rapporto fra norma giuridica e norma tecnica e fra discrezionalità amministrativa e discrezionalità tecnica è di quelli che da sempre hanno affascinato la dottrina ed occupato la giurisprudenza. Sin dagli inizi del XX secolo, ad esempio, uno studioso italiano di teoria generale e filosofia del diritto di impostazione neo-kantiana, in un saggio significativamente intitolato “Il diritto come norma tecnica”, affermava che le norme giuridiche sono sempre norme tecniche. Ma nello scorso secolo, anche la dottrina giuspubblicistica mostra uno spiccato interesse per il rapporto fra norme giuridiche e norme tecniche. Nello stesso tempo, l’affermarsi dello Stato pluriclasse e la conseguente assunzione da parte della sfera pubblica di sempre nuovi compiti (come intervento e regolamentazione dell’economia o la materia della previdenza) e l’incessante progresso tecnico, portano ad un sensibile ampliamento dello spazio delle norme tecniche e della discrezionalità dell’amministrazione basata su discipline rivenienti dalle scienze esatte o sociali. La discrezionalità tecnica, quale attività espletata dalla P.A., in ragione dell’incertezza connaturata alla materia su cui verterà la sua valutazione, è titolare di un potere differente rispetto a quello di cui dispone laddove la legge gli assegni una discrezionalità amministrativa52. E’ propria della comunità scientifica la capacità di

verificare i giudizi che vengono espressi, grazie anche al giudizio di un organo amministrativo con competenze scientifiche, controllato a sua volta da un consulente tecnico, come menzionato all’articolo 67 c.p.a., quale rappresentante della comunità scientifica53.

52 Guido Clemente di San Luca, Aprile 2020 “Il sindacato giurisdizionale della

valutazione tecniche in materia ambientale”

53 Guido Corso, “Manuale di diritto amministrativo”, Ottava Edizione,

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