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"La disoccupazione in Europa e le politiche a suo contrasto"

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di laurea magistrale in “Strategia Management e Controllo”

Tesi di Laurea Magistrale

“LA DISOCCUPAZIONE IN EUROPA E LE POLITICHE A SUO

CONTRASTO”

Relatore Candidato

Lorenzo Corsini Romildo Kokthi

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Sommario

1.Lo stato dell’economia prima e dopo la crisi del 2007/2008 3

1.1.Fino al 2007 3

1.2.Dal 2008 ad oggi 5

1.3.Performance economica di alcune

delle principali economie europee 8

1.3.1.Francia 8

1.3.2.Spagna 9

1.3.3.Germania 10

1.3.4.Italia 12

2.Disoccupazione, tipi e caratteristiche 13

3.Nord e Sud, analogie e differenze 15

3.1.Il caso Italia 16

3.1.1.Perche’ il nord Italia e’ cosi’ diverso dal sud? 16

3.1.2.Fatti e ragioni 21

4.La disoccupazione giovanile 24

4.1.Introduzione 24

4.2.Breve introduzione al concetto di disoccupazione giovanile 25

4.3.Cause e conseguenze socio-economiche 29

4.4.Le riforme del mercato del lavoro 31

5.Disoccupazione giovanile in Italia ed effetti della crisi economica 33

5.1.La vera disoccupazione giovanile 34

5.2.Fattori sociali 39

6.Bonus Lavoro giovani 2019 40

6.1 Bonus garanzia giovani 2020 41

7.Politiche europee per la risoluzione del problema 43

7.1.Introduzione 43

7.2.L’economia dell’Unione Monetaria Europea 43

7.3.Cosa sta facendo l’Unione Europea 46

7.3.1.L’efficacia delle politiche adottate 46 8.Analisi dati, andamento tasso di disoccupazione UE e area euro 50 8.1.Andamento del tasso medio di disoccupazione giovanile 53

8.2.Cosa causa il fenomeno? 55

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1. Lo stato dell’economia pima e dopo la crisi

finanziaria del 2007/2008

Con lo scopo di analizzare i dati e le cause della disoccupazione generale e giovanile in particolare, risulta utile a mio avviso spiegare brevemente lo storico della situazione economica europea e le ripercussioni sul fattore occupazione considerando la crisi finanziaria del 2008 come fondamentale punto di transizione.

Per meglio spiegare questa transizione dagli anni novanta anni fino ad oggi, suddivideremo questo studio in due segmenti temporali principali: fino al 2007; e dal 2008 - al giorno d'oggi.

1.1. Fino al 2007

Se osserviamo l'economia europea, in una prospettiva di lungo periodo, dal 1913 al 1973, si evidenzia una "crescita economica" eccezionale nella storia classificabile in due tendenze/periodi principali;

• depressione post-bellica seguita dalla ricostruzione

• “età dell'oro" caratterizzata da una forte crescita economica e del benessere generale della popolazione

Nel periodo intercorso tra il 1950 fino al 1973 si e ´assistito ad un episodio unico di crescita economica nel continente Europeo favorito sicuramente dalla situazione economica internazionale e dal forte influsso di capitali necessari per gli investimenti infrastrutturali di ricostruzione a seguito della guerra mondiale. Il tasso di disoccupazione generale eccezionalmente basso e la rapita crescita del reddito e conseguentemente del benessere generale della popolazione è stata una delle caratteristiche che hanno fortemente contraddistinto questo periodo. Tale condizione positiva e ‘però venuta meno negli anni ´80 come effetto della crisi delle economie socialiste dell’est

Europa, che ha influito negativamente, insieme ad altri fattori sul sistema economico costituito (Crafts & Toniolo, 2002).

Come evidenziato dal sottostante grafico, recuperato dai dai della Banca Mondiale, si puo’ osservare la grande fluttuazione economica, confermando l’instabilità delle economie Europee a partire dalla prima metà degli anni ’80. L’effetto dell’instabilità economica sui tassi generali di disoccupazione

segnati da un aumento, rimane però discutibile a motivo delle particolari politiche dell´lavoro che contraddistinguono le economie di tipo socialista.

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Fig. 1: crescita annua % del PIL (European Union, 2016)

Come osservabile nella FIG:1, dopo una crescita del 6,104% nel 1973, il PIL Europeo ha subito subito un rapido declino passando a -0,777 nell'anno 1975 (effetto della crisi economia degli anni ’70) mentre l'ultima crescita positiva più alta si è registrata del 1988 con un + 4,404%.

L’instabilità economica che ha caratterizzato i paesi Europei nel decennio 1980-1990, ha avuto una ripercussione negativa sul tasso complessivo di disoccupazione, passato da un livello medio dell’1,7% degli anni’60 all’11% negli anni ‘90

“Essendo però l’Europa composta da paesi diversi, con diverse economie e diverse politiche del lavoro, si assiste ad una grande dispersione dei tassi di disoccupazione tra i paesi, passando esempio: dal 4% in Svizzera a oltre il 20% in Spagna nello stesso anno”. (Brada e Signorelli, 2012).

Esistono diversi approcci per spiegare l’eterogeneità dei tassi e l'aumento della disoccupazione. Tra un numero enorme di studi precedenti sono state trovate prove dei tre shock economici e il tentativo di spiegare la

disoccupazione a causa della loro esistenza e dell'interazione con le diverse istituzioni del mercato del lavoro. Questo studio è giunto alla conclusione che quanto più favorevoli saranno gli ambienti macroeconomici, spinti da un miglioramento dei fattori istituzionali, tanto migliore sarà la situazione occupazionale complessiva. (Blanchard & Wolfers, 2001).

Tuttavia, diversi paesi nell'UE a 15 non hanno avuto gli stessi tassi di crescita nel tempo. Questi "tassi di crescita" o accelerazioni e rallentamenti sono spiegati con fattori, come di seguito:

1. Cambiamenti nelle forze sistemiche - età della popolazione, quadro istituzionale, ecc.

2. Forti shock: accelerazioni della spesa pubblica e privata, che spesso si trasformano in shock della domanda negativi.

Va detto che tra il 1980 e il 2007, ci sono stati alcuni casi di rallentamento tra i 15 paesi dell'UE in particolare, in Svezia, Portogallo, Grecia e Italia.

Considerando specificatamente la situazione italiana, si evidenzia che negli ultimi anni (fino al 2012) l'Italia si è posizionata tra le 10 peggiori economie in termini di crescita del PIL pro capite e sicuramente un fattore che ha

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Page 5 of 68 influenzato particolarmente questa performance è stata la crisi del debito del 2008 (Balcerowicz, Rzonca, Kalina e Łaszek, 2013)

Facendo un passo indietro ai primi anni novanta, possiamo dire che mentre gli Stati si stavano riprendendo dalla caduta del sistema socialista e

l’economia era in fase di consolidamento per adeguarsi al nuovo assetto globale, la crisi finanziaria del 2007-2008, nota anche come crisi finanziaria globale, che è stata considerata come la peggiore crisi dalla Grande

Depressione degli anni '30, ha colpito l'Europa. Nel pieno di tale crisi, i paesi europei hanno registrato una delle percentuali più basse di crescita del PIL di - 4,361% nel 2010. (The World Bank Group, 2016).

1.2. Dal 2008 ad Oggi

L'impatto che la crisi finanziaria ha avuto sul mercato del lavoro e

sull'occupazione è stato particolarmente pesante, specialmente nei paesi del sud Europa spesso caratterizzati da un alto livello di spesa pubblica.

I mercati del lavoro si sono indeboliti negli ultimi mesi del 2008. La risposta dei paesi europei è stata in alcuni casi simile, in altri, si sono registrate delle differenze visibili. Paesi come l'Italia e la Francia hanno scelto di fare

affidamento su modi inalienati per affrontare i problemi fiscali, aumentando le tasse mentre altri paesi come Irlanda e Spagna, hanno adottato politiche volte a ridurre la spesa pubblica, contenendo per quanto possibile l’aumento della pressione fiscale per non incidere in maniera significativa sul potere di acquisto della popolazione, già colpita dalle ripercussioni negative in termini occupazionali e salariali della crisi (come osservabile nella Fig.2).

Figure 2: Size and composition of post crisis fiscal policy response up to 2014 (Bozio, Emmerson, Peichl, & Tetlow, 2015)

Considerando l’eterogeneità dell’UE, la crisi economica del 2008 ha avuto un’diverso impatto sulle singole economie nazionali.

Ad esempio, l’impatto sul deficit tedesco, non è stato particolarmente significativo se paragonato all’impatto sul deficit di Francia, Irlanda, Italia e Spagna, che hanno registrato un forte indebolimento delle loro finanze pubbliche (questi casi particolari verranno brevemente esposti in seguito).

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Page 6 of 68 Come accennato in precedenza, le principali leve utilizzate per arginare gli

effetti della crisi, sono state il taglio della spesa pubblica e l’incremento della pressione fiscale, paesi come Irlanda e Regno unito si sono concentrati sul taglio della spesa pubblica, contenendo l’innalzamento della pressione fiscale mentre Italia Francia si sono affidate ad un maggiore focus sulle politiche fiscali, la cosa ha comportato solo una parziale riduzione della spesa pubblica (le ragioni potrebbero essere anche di tipo culturale, considerando l’evoluzione storica della concezione dello Stato nelle democrazie del sud Europa).

L’attenzione sulle politiche di consolidamento fiscale (adottate per arginare gli effetti della crisi del debito) ha inevitabilmente portato a una riduzione del reddito delle famiglie in tutti i paesi. Stranamente, anche il modello delle perdite di reddito varia, in Francia le famiglie ricche hanno perso più di quelle più povere mentre in Italia e in Spagna si è registrato un trend contrario. Anche la distribuzione dei tagli alla spesa per i servizi pubblici varia nei cinque paesi. I governi di Francia, Irlanda e Regno Unito hanno preferito non intaccare la spesa pubblica destinata al settore sanitario e dell’istruzione, mentre in Italia e Spagna i sopra menzionati settori sono stati oggetto di “ristrutturazione” con lo scopo del taglio della spesa.

Le riforme del sistema fiscale in Italia e in Irlanda sono state particolarmente instabili, portando all'incertezza che sarebbe meglio evitare. (Bozio,

Emmerson, Peichl e Tetlow, 2015)

Le ripercussioni delle difficoltà economiche subite da Francia, Irlanda, Italia, Spagna e Regno Unito a seguito della crisi economica, sono tuttora

osservabili nonostante il generale miglioramento della congiuntura economica internazionale.

In particolare si osserva:

• Deficit del 2% (o oltre) del reddito nazionale

• I debiti pubblici sono aumentati in modo significativo, ad esempio nel 2011 l'Italia aveva un debito pubblico stimato del 102,4% del PIL, in netto aumento rispetto al 1988 con il 90,50%. Attualmente il debito pubblico italiano, si attesta alla quota del 131,8% del PIL, sollevando forti dubbi sulla sua

sostenibilità ed impattando in maniera significativa sulle politiche economico-sociali del paese. (Trading Economics, 2018)

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Page 7 of 68 Il tasso di disoccupazione di lungo periodo o lunga durata, indica il valore

percentuale di coloro che risultano essere disoccupati per dodici mesi o più. Tale dato ha visto un significativo aumento in Europa dalla crisi finanziaria del 2007-2008 raggiungendo il valore medio del 6% sul totale nel 2014. Osservando il sottostante grafico, si nota che i tre paesi più colpiti da tale fenomeno fino al 2017, sono stati Grecia, Bulgaria e Italia. In Grecia nel 2016 il 72,0% dei disoccupati, erano tali da dodici mesi o più, tale tasso ha

raggiunto nello stesso anno in Italia, la quota del 58,3%. (OCSE, tasso di disoccupazione di lunga durata - Indicatore, 2018)

Figure 3: Long-term unemployment rate, total, % of unemployed, 2016 or latest available (Istat, 2017)

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Page 8 of 68 Considerando invece il tasso di disoccupazione generale per singolo paese,

gli ultimi dati del 2019, mostrano la situazione del mese di Maggio (grafico sottostante).

Sin dal primo impatto visivo, salta all’occhio la profonda differenza numerica del tasso di disoccupazione generale tra paesi dei sud ed il resto dell’Europa. Per completezza del presente lavoro, si spiegheranno brevemente le

politiche attuate dalle 4 principali economie europee per arginare il fenomeno dal 2008 ad oggi e le loro conseguenze dirette sul problema.

1.3 Performance economica di alcune delle principali economie

Europee

1.3.1. Francia

Secondo l’OIL all’inizio del nuovo millennio la disoccupazione generale nel paese era ancora superiore al 9% nonstante la situazione fosse migliore rispetto al 1997 a motivo di una tendenza positiva dell’economia dal 1998 al 2000.

Inoltre secondo le previsioni del Council of Economic Analysis entro il 2005, il tasso di disoccupazione Francese sarebbe sceso al 5% grazie alle favorevoli condizioni macroeconomiche e sociali previste. Tali previsioni sono state probabilmente eccessivamente ottimistiche in quanto nonostante un calo costante dei livelli di disoccupazione generale ed un continuo miglioramente della performance economica del paese, agli inizi del 2008, il tasso generale era ancora al 7,2%.

La grande recessione del 2008-2009, e’ stata affrontata tutto sommato

positivamente in quanto l’azione del governo Sarkozy, era fondamentalmente

0.00% 2.00% 4.00% 6.00% 8.00% 10.00% 12.00% 14.00% 16.00% 18.00% 20.00% G re ci a Sp ag n a Ital ia Fr an ci a Cro az ia Le tt o n ia Ci p ro Fi n lan d ia Po rt o gal lo Sve zi a Li tu an ia Sl o vac ch ia Bel gi o Lu ss emb u rg o Irl an d a Dan imarc a A u str ia Bul gari a Es to n ia Sl o ve n ia R eg n o Un ito : R o man ia Mal ta Po lo n ia Un gh e ri a Pa es i B as si G e rman ia R ep . Ce ca

Disoccupazione 05/2019

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Page 9 of 68 incentrata al sostegno dell’economia attraverso l’aumento della spesa

pubblica, gia’ nel 2010 il tasso di crescita del PIL era tornato ai livelli pre crisi, impattando positivamente anche sul tasso di disoccupazione, il quale dopo aver raggiunto un picco del 9,5% nel 2009, si era stabilizzado ed aveva iniziato a diminuire progressivamente.

A partire dal 2011, la “strategia” francese improntata sul sostegno alla crescita attraverso l’aumento della spesa pubblica, venne abbandonata a favore di un maggiore rigore allo scopo di ridurre il deficit di bilancio

attraverso tagli agli investimenti pubblici e dell'aumento delle imposte dirette e indirette pagate dalle famiglie. Tali politiche pur riducendo il deficit di

bilancio, hanno avuto un impatto piuttosto negativo sulla spesa delle famiglie e sul tasso di cresita del PIL, il che ha portato ad un nuovo aumento della disoccupazione che nel secondo trimestre del 2015, ha raggiunto il 10,5%. Se sul breve termine le politiche di rigore hanno impattato negativamente sull’economia, mentre nel lungo termine gli effetti sono stati certamente positivi in quanto a motivo di un aumento degli investimenti delle imprese (per le quali le politiche di sostegno non erano mai cessate) ed un aumento del tasso di crescita del PIL, la disoccupazione e’ tornata al di sotto del 10% gia’ all’inizio del 2017 e nel mese di Maggio 2019, tale dato risluta di poco superiore al 8%.

Nonostante i recenti guadagni e performance positive, il mercato del lavoro Francese mostra ancora innegabili difficolta’ strutturali infatti dal 2008 alla fine del 2016 la disoccupazione di lunga durata ha mostrato una tendenza crescente, anche durante anni di ripresa economica.

1.3.2. Spagna

Se consderiamo la performance economica Spagnola dal periodo post Franchista fino al 2008, possiamo sicuramente parlare di una storia di successo, il paese ha visto costantemente migliorare i propri dati mcroeconomici, il tenore di vita ed il reddito pro capite.

La crisi ha pero’ profondamente stravolto il percorso di crescita economica del paese infatti, la Spagna ha subito a partire dal 2008, due periodi di recessione consecutivi in quanto gli effetti negativi della crisi, sono stati aggravati dallo scoppio di una grande bolla immobiliare e da una successiva crisi bancaria, cio’ ha determinato una netta riduzione del credito alle

imprese, calo del PIL e indirettamente un netto aumento del tasso di disoccupaizone generale.

Considerando la particolare legislazione che regolamenta il mercato del lavoro Spagnolo, caratterizzato da “due vie parallele” una incentrata sulla flessibilita e l’altra estremamente rigida, gli effetti della crisi sul tasso di disoccupaizone, sono stani nefasti, quest’ultimo ha infatti raggiunto un primo picco del 19% al termine del 2009 per poi aumentare ulteriormente

attestandosi al 27% nel 2013.

La situazione si e’ poi evoluta in controtendenza a dal 2014, anno a partire dal quale il tasso di crescita medio dell’occupazione e’ stato del 2,3% ma

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Page 10 of 68 nonostante cio’ nel 2016, il tasso di disoccupazione si e’ attestato al 19,6%,

la percentuale di popolazione in eta’da lavoro occupata, al 47,6%, 6,8 punti percentuali al di sotto del suo tasso pre-crisi, il che rappresenta un deficit di posti di lavoro di 2,238 milioni.

Bisogna pero’ dire che l’alto tasso di disoccupazione non e’ per la Spagna un fenomeno nuovo in quanto tale dato sembra essere caraterizzato da una forte volatilita’ poiche’ per ben tre volte negli ultimi trenta anni e’ salito al di sopra del 20%.

Cio’ che probabilmente preoccupa maggiormente e’ il dato riguardante la disoccupazione di lungo periodo, (fenomeno certamente estremamente negativo in quanto impatta fortemente non solo sulle dinamiche economiche del paese ma anche su quelle sociali) attestatasi nel 2016 al 42,3% del totale dei disoccupati, il corrispondente del 8,3% della forza lavoro.

Considerando invece la composizione del lavoro, colpisce immediatamente la doppia natura del mercato del lavoro Spagnolo; Prima della recessione la quota dei contratti a tempo determinato sul totale era del 30% , tre volte superiore alle media OCSE,con un'occupazione temporanea prevalente tra donne e giovani. Alla fine del secondo periodo di recessione, tale indicatore era invece sceso al di sotto del 24% ma il calo e’ stato determinato dalla distruzione di posti di lavoro piu’ che dalla conversione dei contratti. È interessante notare che, in Spagna come in molti altri paesi OCSE, i contratti a tempo determinato caraterzzano in special modo i giovani come forma di ingresso nel mercato del lavoro, da qui e’ facile intuire come la crisi economica abbia colpito in special modo la popolazione comprsa tra i 16 e i 34 anni e tale tematica sara’ ulteriormente trattata nel presente lavoro.

1.3.3. Germania

L’ascesa economica della Germania a partire dalla ricostruzione del

dopoguerra e a seguire con la riunificazione successiva alla caduta del muro di Berlino nel 1989 e’ innegabile. Per molti anni il paese ha pero’ combattuto con elevati e persistenti livelli di disoccupazione e sebbene il fenomeno delle ondate di aumento della disoccupazione, legate alla recessione, sia stato visto come un problema europeo in generale, la Germania è stata il primo esempio del modello virtuoso all’interno dell’unione.

L'alto tasso di disoccupazione della Germania negli ultimi decenni dello scorso millennio è stato spesso collegato a elevati livelli di protezione dell'occupazione, alti costi del lavoro e rigida regolamentazione dei mercati del lavoro. Come conseguenza di cio’, il dato della disoccupazione generale ha raggiunto il suo picco nel 2005, anno nel quale quasi cinque milioni di tedeschi risultavano disoccupati. Da allora, questo numero è stato quasi dimezzato passando meno di 2,7 milioni nonostante la crisi economica del 2008.

Per capire le modalita’ con le quali il dato della disoccupazione nel paese sia in controtendenza rispetto al dato generale di altri paesi Europei, e’

(11)

Page 11 of 68 che tipicamente caratterizzano i rigidi mercati del lavoro con strumenti di

flessibilità.

In questo contesto, particolare enfasi si intende porre sulle "riforme di Hartz" introdotte tra il 2003 ed il 2005. Il focus di tali riforme sono stati i servizi per l’impiego e le attivita’ connesse, inserendo principi di bilanciamento tra flessibilita’ e rigidita’ del mercato del lavoro,riducendo l’indennita’ di disoccupazione ed i benefici del welfare da un lato ed impegnandosi ad inserire o reinserire gli individui nel mercato del lavoro dall’altro.

Questi cambiamenti hanno portato a una significativa riduzione delle

indennità di disoccupazione di lunga durata e ad attività di monitoraggio più rigorose per i disoccupati.

Possiamo quindi dire che l’efficienza delle agenzie per l’impiego ed una efficacie politica di welfare hanno rappresentato uno degli strumenti chiave per il successo tedesco. Attraverso le riforme del mercato del lavoro,sono stati infatti migliorati gli incentivi per la ricerca di lavoro e sono stati aboliti gli strumenti politici inefficaci come i programmi specifici di creazione di posti di lavoro.

Particolarmente eccezzionali nel contesto Europeo sono i tassi di

disoccupazione giovanile della Germani, i quali tra il 2000 ed il 2016 sono stati costantemente inferiori ai tassi di disoccupazione tra gli adulti. Tale “particolarita’” del mercato del lavoro tedesco potrebbe pero’ essere influenzata dalla dinamica demografica del paese. Considernado infatti la profonda disomogenita delle economie delle due Germanie alla vigilia

dell’unificazione e l’alto tasso di disoccupazione tra gli adulti residenti nell’ex Germania Est nel periodo immediatamente successivo, potremmo pensare che il progressivo ritiro dia una fetta di popolazione dal mercato del lavoro sia stato accompagnato da un aumento dell’occupazione giovanile in quanto maggiormente inseriti nel nuovo contesto economico.

Un’altro importante strumento attraverso il quale la Germania e’ riuscita a mantenere elevati i tassi di occupazione giovanile, e’ rappresentato dal sistema dell’apprendistato che oltre ad essere un meccanismo efficace per fornire le competenze e le qualifiche richieste, funge anche da necessario contrappeso alle di barriere esistenti nelle transizioni scuola-lavoro. Analizzando invece il costo unitario del lavoro, la Germania e’ riuscita a migliorare nei primi anni del nuovo millenio la sua competitivita’,anni nei quali i tassi di crescita erano molto spesso adirittura negativi. Tale tendenza

tuttavia risulta essere ormai venuta meno in quanto negli ultimi anni lo

sviluppo del costo unitario del lavoro e’ stato paragonabile a quello delle altre principali economie Europee. Va pero’ detto che l’aumento relativamente elevato dei costi unitari del lavoro dal 2009 e’ piu’ che altro correlato alla specifica reazione del paese alla recessione e comunque la tendenza al perseguimento di accordi di lavoro piu’ flessibili, ha consentito l’adeguamento e la ristrutturazione dei processi di lavoro esistenti.

L’aumento della competitivita’ e’ stata comunque segnata da una crescente disuguaglianza salariale la quale si e’ notevolmente ampliata negli ultimi decenni e cio’ potrebbe essere collegato al relativo calo della copertura della

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Page 12 of 68 contrattazione colletiva. Tale aumento risulta comunque momentaneamente

compensato dai pagamenti effettuati dallo stato sociale.

In utima analisi va detto che nonostante l’ottima performace dell’economia e del mercato del lavoro tedesco degli ultimi anni, il futuro del paese rimane tuttora incerto se consideriamo la recente evoluzione dell’economia Europea, le guerre commerciali in atto e la sfavorevole evoluzione demografica del paese (non compensata tra l’altro dall’aflusso di milioni di immigrati). 1.3.4. Italia

L’Italia nel contesto Europeo e’ sempre stato a mio avviso un paese di contraddizioni infatti fin dalla sua unificazione nel 1864 e’ stato un ”paese diviso”, profondamente diversificato dal punto di vista socio economico nelle sue macroaree ma nonostante questo il paese e’ riuscito nel perseguire e raggiungere il successo economico (recuperando anche il “ritardo” nei confronti delle altre potenze europee alla vigilia della creazione dello stato unitario), cio’ e’ stato particolarmente vero a partire dal primo dopoguerra, negli anni del boum economico, l’Italia si e’ affermata come una delle

economie leader nel mondo sopratutto grazie alle straordinarie competenze della sua maniffattura industriale e la straordinaria intraprendenza dei sui imprenditori (questa personalizzazione dell’attivita’ di impresa si e’ pero’ evoluta con il tempo in un fattore limitante).

Nel caso Italiano, il successo economico, non e’ stato accompagnato dalla stabilita’ infatti negli ultimi 16 anni l’economia del paese ha subito ben tre recessioni, e nonstante una prima ripresa nel 2003 , la doppia recessione verificatasi dal 2008 al 2013 ha costituito un ulteriore notevole shock negativo che ha minato fortemente le prestazioni del mercato del lavoro portando a livelli di disoccupazione allarmanti fino al 2014.

Alla vigilia della crisi il tasso di disoccupazione aveva raggiunto un record positivo del 6,1% con la disoccupazione di lunga durata al di sotto del 3%. Ad oggi nonstante la lenta e faticosa ripresa il tasso di disoccupazione risulta ancora di poco inferiore al 10% mentre il dato di lunga durate si attesta oltre il 6%, ben lontano dai livelli pre crisi.

Avendo eseguito una prima analisi/confronto della performance del mercato del lavoro delle principali economie Europee, si intende proseguire il testo con un focus sulla disoccupazione generale e giovanile, con particolare attenzione al caso Italiano.

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2. Disoccupazione, tipi e caratteristiche

Prima di continuare l’esposizione, si riteine utile precisare al lettore che cosa si intende per “disoccupazione”, spiegarne il significato ed esporre

brevemente le diverse forme esistenti.

“Un disoccupato è definito da Eurostat, secondo le linee guida dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro, come: persona di età

compresa tra 15 e 74 anni (in Italia, Spagna, Regno Unito, Islanda, Norvegia: 16-74 anni); senza lavoro durante la settimana di riferimento; disponibile ad iniziare a lavorare entro le prossime due settimane (o ha già trovato un lavoro ed inizierà a lavorare entro i prossimi tre mesi); che ha attivamente cercato lavoro in qualche momento durante le ultime quattro settimane. "(EUROSTAT, 2010)

Dal 1991 ci sono stati diversi sviluppi nell'analisi teorica del livello di disoccupazione. Queste teorie possono essere divise in due modelli principali: il primo basato sul flusso ed il secondo basato sul modello di borsa.

Il processo di flusso nel mercato del lavoro, chiamato disoccupazione di equilibrio, noto anche come livello di disoccupazione totale o tasso naturale di disoccupazione, è un processo in corso che classifica tre tipi principali di disoccupazione;

a. Disoccupazione strutturale:

La disoccupazione strutturale è una discrepanza di competenze del/degli individui con le esigenze del mercato del lavoro e può derivare da diversi fattori. Al giorno d'oggi, con il processo di globalizzazione e lo sviluppo tecnologico, viene data particolare attenzione alla mobilità del lavoro, ed alle competenze tecniche in possesso di coloro che sono impegnati in un

rapporto di lavoro o lo cercano attivamente.

Per questo motivo e’ a mio avviso evidente che la figura dell’operaio che ha caratterizzato l’industria negli ultimi secoli, verrà sostituita in maniera sempre più decisa dalla figura del tecnico con un livello di istruzione medio-alto in grado di comprendere ed intervenire in maniera efficacie ed efficiente sui processi di produzione sempre più automatizzati. Tale stato di cose potrebbe contribuire ad accentuare le differenze socio-economiche tra le diverse aree geografiche nel mondo considerando le profonde differenze esistenti tra gli “stock di capitale umano”.

Tenendo presente infatti la strettissima relazione esistente tra

specializzazione ed istruzione, risulta evidente come i paesi più svantaggiati, che offrono solitamente bassi livelli scolarizzazione e di preparazione

tecnico-scientifica (con conseguenti ripercussioni sullo sviluppo del capitale umano), non saranno in grado di competere attivamente in un mercato globale altamente tecnologico e nel quale la competenze specialistiche del fattore umano giocheranno sicuramente un ruolo fondamentale.

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Page 14 of 68 Se a questo aggiungiamo alti tassi di incremento demografico ed

emigrazione, l’impatto sociale di questo stato di cose potrebbe essere nel medio periodo particolarmente problematico poiche’ verrebbero a crearsi “masse” di individui (generalmente poco adatti ad essere inseriti in mercati del lavoro altamente professionalizzati) che in cerca di migliori condizioni di vita, sarebbero disposti ad abbandonare la propria area d’origine, queso con notevoli ripercussioni sociali ed economiche.

b. Disoccupazione frizionale:

La disoccupazione per attrito o diversamente chiamata ricerca è

fondamentalmente una disoccupazione di breve durata, in quanto considera i lavoratori impegnati attivamente nella ricerca di lavoro. È influenzato dalla volontà dei singoli individui e dalle politiche del mercato del lavoro offerte ai datori di lavoro.

Attualmente in paesi come Germania e Stati Uniti, la disoccupazione è prevalentemente di tipo frizionale e non entrando nel merito della “qualità del lavoro” si può affermare che esista la condizione di piena occupazione.

c. Disoccupazione stagionale;

Riguarda i lavoratori di particolari settori caratterizzati da un alto livello di stagionalità (agricoltura o turismo) che hanno periodi di inattività o bassa attività durante l'anno. Considerando la definizione di disoccupazione stagionale, ci si aspetta che il dato sia variabile secondo modelli costanti durante il periodo di riferimento.

e. Disoccupazione di disequilibrio composta da:

a) Disoccupazione ciclica - una visione keynesiana secondo cui lo squilibrio è causato da una domanda aggregata bassa o da una domanda carente. b) Disoccupazione classica - è la disoccupazione con tassi più elevati rispetto a quella causata da retribuzioni pagate in eccesso nell'economia. (Viner, nov 1936)

Il livello di equilibrio a lungo termine della disoccupazione è influenzato e può essere abbinato alla facilità di trovare lavoro ed alle variabili che tendono a far aumentare i salari nonostante l'eccesso di offerta (la quantità di un bene o servizio fornito è superiore alla quantità richiesta e il prezzo è al di sopra del livello di equilibrio determinato dalla domanda e dall'offerta). Possiamo sicuramente affermare che in qualsiasi momento ci sono e ci saranno posti vacanti e persone in cerca di occupazione, di conseguenza la

(15)

Page 15 of 68 Jackman, 2005) Facilmente detto, maggiora sarà l’impegno con il quale gli

individui cercano lavoro, minore sarà il tasso di disoccupazione.

3.Sud e Nord, analogie e differenze

Possiamo sicuramente affermare che esiste una notevole discrepanza tra le varie economie, all'interno dei continenti, degli Stati appartenenti a mercati comuni e persino all’interno delle regioni appartenenti al medesimo stato. È proprio la disomogeneità economica caratteristica dell’Unione uno dei fattori e sfida fondamentale che l’economia europea affronta dalla crisi finanziaria del 2008.

Le politiche messe in atto dal Parlamento europeo non possono essere implementate nel medesimo modo, né portare gli stessi risultati in tutti i paesi, proprio in virtù delle differenze economiche e socio-culturali che li caratterizzano.

Considerando a titolo di esempio, due paesi, uno a bassa crescita del PIL, con un basso tasso di disoccupazione e l’altro caratterizzato da una alta crescita economica ma con un tasso di disoccupazione tre volte superiore al primo, appare evidente che le politiche e le misure da adottare per giungere al medesimo obiettivo, non sono le stesse. (GPF, 2016)

La mappa in Figura 6, identifica in modo adeguato uno dei problemi chiave dell'Europa, mostra infatti in maniera congiunta il tasso di disoccupazione ed il tasso di incremento/decremento annuale in punti percentuali del PIL.

(16)

Page 16 of 68 Ciò che è da notare è che nonostante esista una correlazione tra tasso di

crescita del PIL e tasso di disoccupazione, non sempre tale rapporto risulti chiaramente evidente, considerando infatti i paesi balcanici si può osservare che nonostante siano caratterizzati da rilevanti variazioni positive del tasso di crescita del PIL, il livello di disoccupazione nella regione rimane piuttosto elevato o comunque ben al disopra della media UE.

In ogni caso rimane valida la considerazione secondo la quale una crescita del PIL o comunque un generale miglioramento del clima economico, porti benefici al tasso di occupazione in quanto le aziende trovandosi di fronte ad una congiuntura favorevole, generalmente migliorano le proprie performance ed aumentano gli investimenti anche nell acquisizione di capitale umano.

3.1. Il caso Italia

3.1.1. Perché il nord Italia è così diverso dal sud?

Questa è una domanda molto complessa a cui rispondere non solo per l'Europa ma anche per l'Italia. Dal 1860 vi è stata una continua affluenza di capitali dal Sud al Nord Italia come conseguenza delle politiche statali. Lo stato iniziò a investire sempre di più nelle regioni del centro nord dal 1860 al 1880, in quanto già negli anni precedenti l’unità, nelle regioni settentrionali, aveva iniziato a formarsi e svilupparsi una classe imprenditoriale “autoctona” estremamente dinamica che guardava con particolare interesse al resto d’Europa. (Saverio, 1900).

L'Italia meridionale con il regno di Napoli, dotata di una geografia favorevole per l'agricoltura, ecc.. nei decenni precedenti l’unificazione presentava un tasso di sviluppo paragonabile al resto d’Europa. Con la formazione del nuovo regno e la combinazione di tutti gli stati della penisola, non si è

assistito ad una immediata omogeneizzazione della condizione economica e finanziaria nella penisola, tradizioni e lasciti storici hanno continuato ad influenzare l’economia del paese nei decenni seguenti l’unificazione. Nonostante la ricchezza del Regno delle due Sicilie, la sua economia era prevalentemente agricola e come conseguenza della forte presenza di interventi statali nell’economia, non si formo quel nocciolo di imprenditoria che avrebbe caratterizzato il futuro successo delle regioni del nord Italia. Attualmente il Sud Italia è una delle aree meno sviluppate dell’Europa, indipendentemente dalla quantità di denaro investita ogni anno, sia dal governo che dall'Unione Europea.

(17)

Page 17 of 68 Soffermando l’attenzione su questo particolare fattore, si nota che sebbene il tasso di disoccupazione totale si stia finalmente stabilizzando, attestandosi al 9,9% nel giugno di quest’anno, tale tasso risulta ancora superiore rispetto a quanto registrato nel 2007-2008, rispettivamente del 6,1% e del 6,7%.

Nonostante il netto miglioramento del dato generale, anche in questo caso rimane ancora chiaramente evidente lo storico divario tra le regioni del nord, del centro e del sud Italia infatti se nel 2018 il tasso di disoccupazione in Lombardia era del 6,0% (in linea con la media nord europea), nello stesso anno in Calabria è stato registrato un tasso di disoccupazione di oltre il 21,6%. (Istat, 2019).

Tipo dato tasso di disoccupazione Classe di età 15 anni e più

Titolo di studio totale Durata della disoccupazione totale Cittadinanza totale

Seleziona periodo 2018

Territorio Sesso

Piemonte totale 8,2

Valle d'Aosta / Vallée

d'Aoste 7,0

Liguria 9,9

Lombardia 6,0

Trentino Alto Adige /

Südtirol 3,8

Provincia Autonoma Bolzano

/ Bozen 2,9

Provincia Autonoma Trento 4,8

Veneto 6,4 Friuli-Venezia Giulia 6,7 Emilia-Romagna 5,9 Toscana 7,3 Umbria 9,2 Marche 8,1 Lazio 11,1 Abruzzo 10,8 Molise 13,0 Campania 20,4 Puglia 16,0 Basilicata 12,5 Calabria 21,6 Sicilia 21,5 Sardegna 15,4

(18)

Page 18 of 68 Il dato però più sorprendente, riguarda la tendenza alla convergenza dei tassi di disoccupazione tra le due macroaree, se consideriamo infatti il tasso

medio di disoccupazione, nell’anno 2004, il Nord faceva registrare un

incoraggiante 3,5% mentre la situazione nel Sud con un tasso del 11,1% era certamente più complessa (anche se in linea con i “tradizionali” dati storici). A seguito della crisi economica le regioni settentrionali hanno però registrato un maggiore aumento del tasso di disoccupazione infatti se l’aumento medio a livello nazionale è stato del 47%, nelle regioni meridionali (tranne casi particolari), tale aumento è stato solamente del 32%.

Quanto appena esposto trova giustificazione nel fatto che ciò che storicamente ha determinato il “successo” delle regioni del Nord, cioè l’elevato tasso di industrializzazione, il dinamismo imprenditoriale ed una struttura sociale favorevole all’industria, ne ha anche determinato il declino nel periodo 2006-2014. La crisi economica ha infatti colpito con maggiore intensità le aree fortemente industrializzate del nord, nelle quali si

concentrava la manifattura (nord-est) e l’”élite imprenditoriale” del paese. Si puo’ comunque dire che l’Italia ha subito gli stessi cicli dell’economia europea con una chiara divisione fino al 2007 ed il periodo successivo. In ogni caso l’effetto della crisi è stato probabilmente amplificato dal fatto che negli anni 1992-2007 l’Italia ha subito un calo dell'8,3% del PIL pro capite. Dall'inizio degli anni '90, la crescita del PIL in Italia è rimasta infatti indietro rispetto al resto dei paesi europei, tra il 2000 e il 2012, il paese ha registrato tra le 10 peggiori performance al mondo in termini di crescita del PIL pro capite, insieme a nazioni come Haiti, Yemen e Zimbabwe.

La figura 7 mostra il grafico del PIL pro capite in Italia negli ultimi decenni in relazione a quello degli Stati Uniti e qui possiamo vedere l'influenza della crisi sull'indicatore.

(19)

Page 19 of 68 Una delle chiavi di lettura della performance italiana è stato lo sviluppo

limitato dei settori che non sono esposti alla concorrenza internazionale, il che significa che i settori responsabili della crescita del PIL sono stati

danneggiati. Ad esempio, i differenziali dei margini di profitto tra produzione e servizi professionali in Italia sono tra i più alti in Europa, indicando quanto sopra menzionato. Alte aliquote fiscali, in particolare, come in Italia, quando associate ad una legislazione in materia fiscale complicata, una grande economia sommersa e un debito pubblico che supera il 100% del PIL dal 1991, rallentano la crescita economica. Pertanto, si potrebbe affermare che una cattiva “posizione fiscale” sia stata un importante ostacolo alla crescita. Indipendentemente dai tentativi di ridurre il debito pubblico, non vengono fatti progressi visibili in tal senso. Uno sviluppo come questo potrebbe indicare una mancanza di volontà/possibilità politica di ridurre il debito pubblico una volta che l'adesione alla zona euro è stata garantita. (Balcerowicz, Rzonca, Kalina e Łaszek, 2013)

Attualmente l'economia italiana ha effettivamente iniziato a registrare timidi aumenti del tasso del PIL e anche l'occupazione sta lentamente aumentando (come spiegato nei primi due capitoli). I dati sono sicuramento incoraggianti rispetto al recente record del Paese.

Figure 8: Indicators and a comparison of South and North (The Economist, 2015)

(20)

Page 20 of 68 Ciò che va nuovamente evidenziato in qualche modo è l'enorme divario tra le regioni. In Italia, tuttavia, mascherano una divisione più profonda del normale (Figura 8). Il paese è, in effetti, composto da due economie che viaggiano a velocita differenti.

Ciò è in parte dovuto al lento adattamento del sud. I dati mostrano che l'economia delle regioni meridionali ha subito una contrazione quasi doppia rispetto al Nord del 13% rispetto al 7% dopo la crisi (2008-2013).

“Dei 943.000 italiani che sono diventati disoccupati tra il 2007 e il 2014, il 70% era meridionale. La forza lavoro aggregata italiana si è contratta del 4% in quello stesso periodo; scendendo nel particolare la contrazione nel sud, e ‘stata del 10,7%. L'occupazione nel sud è inferiore rispetto a qualsiasi altro paese dell'Unione Europea, al 40%; nel nord, è il 64% e l'occupazione femminile rispettivamente il 50% e il 33% nel sud. ”(The Economist, 2015) L’export delle regioni del Mezzogiorno rappresentano solamente un decimo delle esportazioni totali annuali in Italia. le cifre ammontano a € 400 miliardi ($ 450 miliardi), e gran parte di ciò va verso altri paesi europei. Mentre le esportazioni dal nord sono cresciute del 2,9% l'anno scorso, quelle dal sud si sono ridotte del 4,7%, ciò in parte e dovuto al basso prezzo del petrolio che ha frenato le entrate delle raffinerie siciliane e sarde. (The Economist, 2015) Esistono diverse politiche economiche attuate in Italia per consentire al Sud di raggiungere il Nord, in termini di sviluppo. Tali politiche sono comunque cambiate nel corso degli anni, ma soprattutto dal 1959 al 1960 la politica attuata era quella degli investimenti esterni, che in qualche modo riuscì a ridurre il divario tra nord e sud Italia, comunque il problema di questa politica era la dipendenza, nel senso che tali investimenti/finanziamenti esterni, frenavano lo sviluppo della competitività delle aziende del sud rendendole più dipendenti dallo stato e maggiormente vulnerabili nei momenti di crisi.

All'inizio degli anni '90 è iniziata l'attuazione di una politica di sviluppo locale attraverso il finanziamento da parte dei fondi strutturali dell'UE (Ministero del Tesoro, 1998). Questa era una politica "dal basso verso l'alto" volta a

costruire capitale sociale e sollecitare progetti di sviluppo.

Questa politica fallì anche perché i progetti erano troppo circoscritti e incapaci di innescare un corretto processo di crescita (Planas, Roeger e Alessandro, 2007).

Il problema è ora di progettare una nuova politica in grado di superare entrambi i fallimenti che si concentri principalmente sul sostegno proattivo all´imprenditoria locale con una contestuale lotta sempre più marcata alla criminalità organizzata che, rappresenta uno dei fattori che maggiormente incide sull´arretratezza sociale ed economica del sud.

Ci sono varie ragioni e spiegazioni per cui il Sud ha perso il suo vantaggio rispetto alla parte settentrionale del Paese, di seguito si presentano quelle che a nostro avviso sono i fattori fondamentali.

(21)

Page 21 of 68 3.1.2. Fatti e ragioni

Alcuni dei motivi che vale la pena menzionare per il loro impatto sono:

- Perdita di professionisti e intellettuali formati a causa della emigrazione.

L'estrema povertà e la mancanza strutturale di mobilità sociale che hanno "invaso" il Sud Italia hanno costretto milioni di italiani ad emigrare intaccando la qualità del capitale umano a disposizione nell’area (principalmente verso il Sud e il Nord America), lasciando nelle regioni di provenienza una sorta di "vecchia mentalità” che ha fortemente ostacolato cambiamenti culturali e nuovi investimenti innovativi.

Attualmente l’emigrazione verso l’estero si sta riducendo, ma quella interna è allarmante soprattutto per i giovani infatti solo negli ultimi venti anni la perdita netta di popolazione del Mezzogiorno, dovuta ai movimenti interni, è stata pari a 1milione e 174 mila unità. (dati ISTAT)

- Investimenti inefficienti da parte del governo centrale

Gli investimenti statali nel sud Italia si sono concentrati principalmente nel campo delle infrastrutture (senza però prestare particolare attenzione

all’efficienza degli investimenti e senza un rigoroso controllo sulle modalità e tempi di costruzione) e sulle sovvenzioni a mega fabbriche private (l'esempio della FIAT).

Un altro esempio di investimenti inefficienti riguarda il numero spropositato di dipendenti pubblici (ad es. Il Comune di Napoli con 20.000 dipendenti, Roma 23.000) che comporta non solo enormi spese di mantenimento ma anche dipendenti del settore pubblico altamente sindacalizzati, che fino ad ora sono stati un ostacolo alla riforma della pubblica amministrazione e del sistema occupazionale. Tale stato di cose evidenzia chiaramente a mio avviso, un errata gestione delle risorse pubbliche, caratterizzate da evidenti sprechi che provocano un malfunzionamento della gestione nel suo complesso.

- Mancanza di adattamento

Nel meridione si è avuto uno sviluppo dell’economia basata sull'agricoltura come la maggior parte dei paesi europei prima della prima rivoluzione industriale a metà del 18 ° secolo, ma con i cambiamenti e le rivoluzioni globali la loro attenzione si è spostata come in Belgio alla produzione tessile, la Svizzera per guardare la produzione e prodotti di nicchia, altri come la Spagna, i paesi dei Balcani e il Sud Italia sembrano aver perso le rivoluzioni economiche. Le principali conseguenze di questa perdita hanno lasciato conseguenze ancora visibili in termini di:

(22)

Page 22 of 68 - Bassa mentalità imprenditoriale tra gli italiani del sud (specialmente la

classe media)

- Mancanza strutturale di mobilità sociale

- L'economia dei servizi non è altamente specializzata

- Tassi elevati di abbandono scolastico (come riportato nel seguente grafico)

Il grafico riporta la percentuale di uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione per l’anno 2017 ed è ricavato dal rapporto BES 2018.

Lo studio considera quei ragazzi tra i 18 e i 24 anni che hanno lasciato la scuola dopo aver al massimo raggiunto la licenza media, il 14% dei giovani. Un dato che si mostra in aumento, seppur leggero, rispetto al 13,8% del 2016. Nel 2017, solo Malta (17,7%), Romania (18,1%) e Spagna (18,3%) hanno avuto valori più elevati di quelli dell’Italia.

Analizzando più nel dettaglio questo dato, poi, l’Istituto di statistica mostra che sono i ragazzi (con il 16,6%) a registrare un’uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione maggiore rispetto alle ragazze (al 11,2%). L’Istat fornisce inoltre anche il risultato delle singole Regioni in cui si mostra come l’uscita dal sistema di istruzione sia più elevata nelle Isole: Sardegna (21,2%) e Sicilia (20,9%). A seguire ci sono le regioni del Sud: Campania (19,1%), Puglia (18,6%) e Calabria (16,3%). In altre zone, invece, si legge nel rapporto, “la percentuale di giovani che abbandona è inferiore al valore medio europeo: in Abruzzo (7,4%), provincia di Trento (7,8%), Umbria (9,3%), Emilia-Romagna (9,9%), Marche (10,1%), Friuli-Venezia Giulia (10,3%) e Veneto (10,5%)”. (BES 2018)

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- Presenza del crimine organizzato.

Negli ultimi cento anni alcune note organizzazioni criminali sono nate e si sono sviluppate all’interno del contesto socio economico del sud Italia. Questa forte "rete" ha elevata influenza sia nel sistema sociale che politico dell’intero paese e attraverso le sue ramificazioni e la collaborazioni con organizzazioni criminali estere, rappresenta una delle maggiori sfide allo sviluppo costante e sostenibile, specialmente delle regioni del Sud tutt’oggi fortemente limitate dalla piaga della criminalità organizzata.

"Questo sistema ha assorbito risorse sia dall'economia (già in ritardo) sia dagli investimenti del governo centrale nell'infrastruttura e nel sistema sanitario (entrambi tra i più corrotti in Europa)." (Favaretto, 2018)

- Alto livello di corruzione

L'Italia e in particolare il Sud si trovano ad affrontare una serie di scandali sintomo di corruzione diffusa in tutti i settori e livelli di burocrazia e del sistema politico.

Secondo il CPI 2018 di Transparency International, nonostante un lento e costante miglioramento, il paese si trova tuttora cinquantatreesimo in classifica per il livello percepito di corruzione, al pari di Oman e Grenada. Le conseguenze sotto il profilo economico sono sicuramente notevoli in quanto attraverso la corruzione le risorse finanziaria vengono drenate dalla loro destinazione principale causando ritardi nel completamento di opere ed in generale un danno allo sviluppo ed alla crescita del PIL che secondo un rapporto di Unimpresa del 2018, è stimabile intorno ai 100 miliardi in 10 anni, facendo diminuire del 16% gli investimenti esteri ed aumentando del 20% il costo complessivo degli appalti.

(24)

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4. La disoccupazione giovanile

4.1 Introduzione

In questo capitolo si presenterà il concetto di disoccupazione giovanile. In primo luogo, saranno discussi i fattori che influenzano la disoccupazione giovanile, i dati e gli studi sul tasso di disoccupazione e i suoi effetti.

Il capitolo sarà sviluppato secondo i seguenti punti: - Breve introduzione alla disoccupaione giovanile

- Cause della disoccupazione giovanile e loro conseguenze socioeconomiche

- Una panoramica del sistema economico italiano

- Analisi della disoccupazione giovanile in Italia nell'ultimo decennio attraverso lo studio degli effetti di: Crisi finanziaria, Fattori sociali, Bonus occupazionali.

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4.2.Breve introduzione al concetto di disoccupazione giovanile

"Il tasso di disoccupazione giovanile è costituito dal numero di giovani in cerca o meno di un lavoro, di età compresa tra i 15 e i 24 anni in relazione al numero di persone appartenenti alla forza lavoro (vale a dire quelle persone con lavoro e coloro che cercano lavoro) in questa fascia di età.

Il rapporto di disoccupazione giovanile è un indicatore migliore per misurare la disoccupazione giovanile. È composto da giovani disoccupati ma in cerca di lavoro in relazione alla popolazione complessiva di età compresa tra i 15 e i 24 anni. "(Lüdemann & Richter, 2014)

La disoccupazione giovanile è ancora una problematica cruciale nella

maggior parte dei paesi dell'UE. Certamente non si può dire che le transizioni dei giovani dalla fase di disoccupazione a quella “attiva” non siano comunque aumentate negli ultimi anni ma tali transizioni sono rappresentate sempre più come individuali, relativamente indefinite (rispetto alle modalità e ai tempi), negoziabili e con ampi margini di scelta

Questo capitolo spiegherà cos'è la disoccupazione giovanile e i fattori che ne contribuiscono (es: paese di residenza, caratteristiche personali come l'età, genere, storia familiare, livello di istruzione raggiunto, capacità professionali acquisite durante precedenti esperienze lavorative).

In primo luogo, va detto che tassi di disoccupazione giovanile nell'Unione europea variano ampiamente tra paesi e regioni e sono stati esacerbati durante la crisi passando da una media del 15,5% nel 2007 al 23,5% nel 2013.

Possiamo quindi dire che la crisi finanziaria del 2007 ha avuto certamente un forte impatto sui livelli di disoccupazione giovanile specialmente nei paesi del sud e dell’ est Europa, paesi caratterizzati da alti livelli di “protezione del lavoro” dove tradizionalmente nei decenni precrisi venivano garantite forti tutele contrattuali mentre solo recentemente è stato introdotto il concetto di flessibilità contrattuale, impattando prevalentemente sui nuovi contratti, sottoscritti solitamente da una platea di lavoratori giovani e spesso alle prime esperienze.

Questo stato di cose ha impattato negativamente sull’occupazione giovanile in quanto nei momenti di difficoltà, le aziende tendono ad interrompere i rapporti di lavoro più recenti ed in questo caso più flessibili (flessibilità in entrata ed in uscita), con l’obiettivo di facilitare l’ “eliminazione” della forza lavoro in eccesso senza impattare negativamente sul capitale umano aziendale, in parole povere si tende a non licenziare dipendenti “anziani” in quanto sono in possesso di competenze chiave per l’attivita’ aziendale e difficilmente reperibili nel mercato del lavoro.

Una situazione diversa si è avuta nei “paesi anglosassoni” caratterizzati da una maggiore flessibilità del mercato del lavoro generale, dove licenziamenti e assunzioni sono solitamente più semplici, non si è osservata una grande differenza negli andamenti della disoccupazione generale e della

(26)

Page 26 of 68 disoccupazione giovanile e passata la crisi entrambi gli indicatori hanno visto un deciso miglioramento.

Altro aspetto decisivo è la generale mancanza nei paesi anglosassoni di livelli salariali prefissati, in questo modo le aziende hanno la possibilità anche in momenti di difficolta’ economica, di assumere giovani ad un costo

inferiore, consentendo comunque l’acquisizione delle capacità e conoscenze necessarie ad una chiara professionalizzazione.

Caratteristica del tasso di disoccupazione giovanile è il fatto di essere solitamente molto più alto del tasso di disoccupazione generale, ciò può essere parzialmente spiegato come risultato del fatto che la popolazione giovane compresa tra i 16 ed i 34 anni è solitamente, nella maggior parte dei paesi europei, una frazione minoritaria rispetto al totale della popolazione in età da lavoro.

Tuttavia, è probabile che anche i tassi ufficiali di disoccupazione giovanile non siano in grado di rappresentare in maniera esaustiva il fenomeno e anzi, il concentrarsi sui soli numeri, potrebbe rappresentare una sottovalutazione del vero problema, dal momento che spesso non contengono una misura quantitativamente esatta dell’ elemento psicologico, che ovviamente influenza la scelta sul tipo di carriera da intraprendere, sulla decisione tra studio e lavoro o sul manifestarsi di un “effetto scoraggiamento” che potrebbe prolungare anche di molto il periodo di disoccupazione, rischiando di portare addirittura alla caduta in uno stato di apatia per il quale non si cerca un lavoro né si investe il proprio tempo ad acquisire nuove competenze (attraverso lo studio o corsi specialistici) per aumentare le probabilità di trovarne uno. I giovani in tale stato di “apatia” vengono generalmente definiti come NEET (non in istruzione, occupazione o formazione).

La disoccupazione dei giovani è un derivato degli stessi due fattori che impattando sulla disoccupazione tra gli adulti, ovvero i cicli economici, la struttura istituzionale, nonché le caratteristiche del mercato del lavoro. Tuttavia, l'impatto di questi fattori può essere diverso per la disoccupazione giovanile e adulta.

Secondo (Ryan, 2001), la disoccupazione giovanile tende ad essere super ciclica, il che significa che è più sensibile al ciclo economico rispetto alla disoccupazione adulta. Il Fondo monetario internazionale riferisce che i fattori ciclici spiegano solamente il 50% delle variazioni del tasso di disoccupazione giovanile, (FMI, 2014).

La sensibilità della disoccupazione giovanile al ciclo economico può essere spiegata a causa delle caratteristiche particolari dell'occupazione giovanile, come la sua concentrazione nelle industrie ciclicamente sensibili e nelle piccole e medie imprese.

Anche le caratteristiche del mercato del lavoro possono avere un impatto sulla disoccupazione giovanile per i seguenti due motivi:

• In primo luogo, la popolazione giovanile ha solitamente livelli più bassi di capitale umano, competenze, abilità, conoscenze ed esperienze di lavoro specifiche. Di conseguenza, la produttività dei giovani, almeno nel periodo immediatamente successivo all’assunzione è inferiore a quella dei dipendenti

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Page 27 of 68 piu’ anziani, per questo motivo normalmente i giovani sono maggiormente a

rischio disoccupazione di lunga durata e di essere occupati in posti di lavoro instabili e di bassa qualità (OCSE, occupazione, coesione sociale e

ambiente, 2005). Nel caso specifico dell’ Europa, (Pastore, 2015) sostiene che il divario nell'esperienza e nel grado di professionalità tra la gioventù e la popolazione “non giovane” è il fattore chiave per capire il perché la

disoccupazione giovanile.

Attualmente la transizione verso l'età adulta si sta certamente allungando, come conseguenza della crescente impossibilità ad “uscire di casa” nei primi anni delle età adulta, ciò influenza negativamente l'autonomia della gioventù che rimane dipendente dal nucleo familiare di origine, ciò vale in particolar modo per i paesi del sud e dell’est Europa, in quanto nei paesi anglosassoni e “Germanofoni” grazie ad una forte interazione/ scambio tra scuola e lavoro, attuata con appositi programmi professionalizzanti, i giovani una volta

terminato il ciclo di studi hanno maggiori probabilità di inserirsi in breve tempo nel mercato del lavoro ed essere completamente indipendenti dal nucleo familiare di origine.

• In secondo luogo, il quadro istituzionale è rilevante anche per l'esistenza di posti di lavoro a tempo determinato (Ghoshray, Ordóñez e Sala, 2016), regolamenti di assunzione e licenziamento, salari minimi, costi di

licenziamento (Neumark e Wascher , 2004; Bernal-Verdugo, 2012),

sindacalizzazione (Bertola, et al., 2007) o transizione scuola-lavoro (Ryan, 2001) ed in particolare, transizione università-lavoro (Dallago & Guglielmetti, 2012) .

Come accennato in precedenza, la disoccupazione giovanile ha registrato tassi elevati negli ultimi anni considerando che il ciclo economico in essere influenza le opportunità di lavoro per i giovani più che per gli adulti

(International Labour Office, 2013).

Essere in grado di evidenziare gli ostacoli che suscitano difficoltà

nell'accedere al mercato del lavoro e affrontarli adeguatamente porterebbe ad un miglioramento della situazione occupazionale generale e

probabilmente ad un miglioramento della performance economica, oltre a prevenire la perdita di capitale umano attraverso fenomeni migratori. Inoltre, l'accelerazione della crescita economica dipende da istituzioni e mercati che promuovono e facilitano l'occupazione formale e una maggiore produttività sia per i giovani che per gli adulti. Infine, i lavori, in particolare i lavori per i giovani, sono importanti per la coesione sociale. (Lüdemann & Richter, gennaio 2014)

Come già precedentemente menzionato i tassi di disoccupazione giovanile sono solitamente molto più alti, fino a due o tre volte dei tassi di

disoccupazione generali.

Secondo i rapporti "ISTAT Italia" ed "Eurostat", la percentuale è fortemente diminuita negli anni dal 2005 al 2007, raggiungendo così il livello più basso del 15,8% nel 2007, nonostante gli effetti della crisi economica che hanno portato ad un notevole aumento del tasso fino a raggiungere il livello del 23,8% nel 2013, attualmente la situazione sembra migliorata, con un taso di disoccupazione giovanile registrato del 15,2% nel 2018 nell'UE-28.

(28)

Page 28 of 68 Analizzando le informazioni ricavate dallo studio di Eurostat, i due fattori che

a nostro avviso vanno evidenziati per il loro impatto nella migliore comprensione generale del fenomeno, sono i seguenti:

1. La partecipazione al mercato del lavoro è in forte aumento tra i 15 ei 24 anni, questo considerando le “anomalie” presentate da paesi come Italia, Spagna e Grecia (Eurostat, 2018).

2. I giovani inseriti nel sistema educativo sono anche impiegati o disoccupati allo stesso tempo, quindi esiste una sovrapposizione dei dati tra il mercato del lavoro e l'istruzione.

La crisi che ha colpito gravemente l'Europa nel periodo 2007-2008, ha avuto un impatto maggiore sui giovani. Nel corso degli anni, per essere più precisi, dal secondo trimestre del 2008, il tasso di disoccupazione giovanile ha assunto una tendenza crescente raggiungendo il 23,9% nel primo trimestre 2013, prima di retrocedere al 19,7% alla fine del 2015. Il tasso di

disoccupazione giovanile è aumentato considerevolmente durante la crisi per i suoi effetti sul mercato del lavoro. Il divario tra gli Stati membri è molto elevato, di quasi 50 punti percentuali con la Germania ai primi posti con il 6,7% ad aprile 2017 e la Grecia al 47,6% nello stesso seguita da Spagna (38,6%) e Italia con 37%. (Eurostat, 2018).

Va detto che il tasso di disoccupazione giovanile UE-28 è stato storicamente più elevato rispetto alla zona euro negli anni tra il 2000 e la metà del 2007. Da allora e fino al terzo trimestre 2010 questi due tassi erano molto vicini. I valori riflettono le difficoltà che la popolazione giovane deve affrontare quando cerca e trova lavoro. In ogni caso, quando analizziamo il tasso di disoccupazione giovanile, è importante considerare che il dato è in qualche modo distorto dal fatto che una parte considerevole dei giovani in età da lavoro, sono studenti a tempo pieno, il che significa che non sono in continua ricerca di lavoro. Tuttavia, gli studi dimostrano che i giovani che hanno

difficoltà a trovare un lavoro nei loro primi anni hanno maggiori probabilità di avere salari più bassi e la probabilità di disoccupazione futura è maggiore rispetto a quelli che instaurano prima un rapporto di lavoro.

Il fatto di non aver affrontato il problema in maniera adeguata, non solo a livello statale, ma anche a livello europeo, sta portando all´esclusione di una parte considerevole di una generazione dalla società e dal mercato del lavoro dato che tanto dipende dall'avere un lavoro dignitoso ( Lüdemann & Richter, 2014).

Uno dei principali effetti degli alti livelli di disoccupazione giovanile, è rappresentato dalla notevole perdita di capitale umano a seguito della emigrazione di persone che spesso hanno un notevole bagaglio culturale. Per i giovani, l'elevata disoccupazione ha conseguenze economiche che incidono sulla loro intera vita lavorativa. (Lüdemann & Richter, 2014) ma quali sono le cause che portano alla disoccupazione giovanile, perché in genere i tassi sono così alti e quali sono le conseguenze sociali ed economiche?

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4.3.Cause e conseguenze socio-economiche

Gli alti livelli di disoccupazione giovanile registrati negli ultimi anni in alcuni paesi europei, sono come abbiamo visto in parte dovuti alla recessione successiva alla crisi finanziaria globale e alla crisi del debito sovrano. Poiché la disoccupazione giovanile è stata relativamente elevata anche prima della crisi, anche gli aspetti strutturali svolgono un ruolo importante.

E’ a mio avviso molto importante capire le ragioni del fenomeno e le dinamiche che lo influenzano per comprendere quail potrebbero essere le azioni migliori da mettere in campo per affrontarlo: in primo luogo, si ravvisa la necessità di migliorare il sistema dell´ istruzione e della formazione al fine di ridurre il divario tra mercato del lavoro e istruzione e, in secondo luogo, una revisione delle politiche impattanti nel mercato del lavoro per garantire un turn over più efficacie ed una qualità del lavoro maggiore.

Causa 1: livello del sistema educativo in Italia e durata degli studi

Il livello educativo della popolazione in Italia, rispetto ai paesi europei più avanzato, è relativamente basso, c'è di conseguenza la necessità di raggiungere una migliore qualità nel sistema educativo e di prevenire l'abbandono scolastico (vedi Tabella 1 e grafico sottostante).

Da uno studio dell’Eurostat, si puo’ vedere come numero di laureati risulta stranamente basso visto che in Italia circa tre alunni su quattro ottengono la qualifica necessaria per entrare nelle università e Sebbene il numero di studenti immatricolati sia cresciuto nell'ultimo decennio, l'interesse per le università e il conseguimento di titoli di studio superiori sono diminuiti nuovamente negli ultimi cinque anni (il 55% degli studenti universitari abbandona completamente gli studi prima di conseguire la laurea).

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Table 1: School dropout rates (Eurostat, 2013)

In ogni caso, non e’ a mio avviso lecito pensare che l’elevato tasso di abbandoni nelle universita’ Italiane ed il basso numero percentuale di laureati, sia sintomo dell’incapacita’ dei giovani iscritti di completare il

percorso di studi iniziato, vanno per questa ragione considerati alcuni motivi che portano agli abbandoni universitari e derivano principalmente da:

Contesto familiare sfavorevole

Risulta chiaro che sia il background familiare sia le variabili del background educativo influenzano significativamente le decisioni di ritiro, la probabilità di abbandono cala proporzionalmente al livello di istruzione dei genitori:

"Il coefficiente stimato implica che un aumento di dieci anni del periodo di istruzione genitoriale (corrispondente al passaggio dall'istruzione obbligatoria al titolo universitario) corrisponde ad una riduzione della probabilità di

abbandono di 14 punti percentuali nei figli". (Placeholder1) (Cingano & Cipollone, 2007)

Ad esempio, la probabilità di iscrizione all’università e conseguimento della laurea dei figli di laureati è superiore del 24% rispetto alla prole di diplomati delle scuole superiori.

• Altri fattori come, età, stato del patrimonio familiare • Esperienza e rendimento scolastico passato.

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Page 31 of 68 Causa 2: rigidità del mercato del lavoro

L'improvviso aumento della disoccupazione generale ed in particolare di quella giovanile è il risultato di un'anomalia nel mercato del lavoro in cui, chiaramente, i giovani lavoratori non riescono a trovare contratti di lavoro a a tempo indeterminaro ed hanno, in ogni caso, salari mediamente bassi, se confrontati ai lavoratori più anziani.

Inoltre, gli accordi di contrattazione collettiva di un settore si applicano di solito a livello nazionale, senza la possibilità di adattarli a livello di singola impresa al fine di reagire in modo flessibile ad una crisi. La flessibilità necessaria in questo caso è solo un ostacolo alla fase di lotta alla disoccupazione giovanile.

In questo senso sarebbe utile prevedere efficaci riforme del mercato del lavoro con lo scopo di favorire l’occupazione giovanile.

4.4.Le riforme del mercato del lavoro

Gli studi dimostrano che i giovani con una istruzione di tipo professionale sono in grado di integrarsi più facilmente nel mercato del lavoro in quanto il sistema educativo è specifico. I giovani con un'istruzione elevata incontrano maggiori difficoltà a integrarsi nel mercato del lavoro, poiché la legislazione sulla protezione del lavoro dei lavoratori in carica è più rigorosa. (Lange, Gesthuizen e Wolbers, 2014)

Esistono pero diversi modi per ridurre tale fenomeno nel mercato del lavoro, si potrebbe infatti:

• rendere i contratti a tempo meno interessanti per i datori di lavoro. Ciò dovrebbe essere possibile attraverso l'adeguamento delle norme sulla protezione del licenziamento (protezione contro il licenziamento) e una serie di disposizioni per assumere posizioni permanenti soprattutto nelle aziende più piccole, le quali solitamente rappresentano una possibilità per la

popolazione giovane. Certo cio’ non significa che si debba optare solamente per un mercato del lavoro rigido al contrario si dovrebbe a mio avviso optare per un bilanciamento dei due metodi, utilizzando i contratti flesibili (e

possibilmente l’alternanza scuola lavoro) solamente come strumento che permetta alle aziende di “conoscere” e profesionalizzare le nuove risorse per un tempo limitato in vista della stabilizzazione del rapporto di lavoro

• rendere flessibili gli accordi di contrattazione collettiva al fine di consentire alle imprese di stipulare accordi che consentano soluzioni reciprocamente accettabili (per i giovani e le imprese), durante i periodi di crisi economica evitando contestualmente l'eliminazione dei posti di lavoro. L'Italia e la Spagna hanno avviato misure di riforma, ma l'Italia è ancora in fase di

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Page 32 of 68 • Puntare all efficientamento degli uffici del lavoro pubblici, dedicando con

soluzione di continuita’ appositi programmi a sostegno dell’occupazione giovanile, in modo tale da seguire/consigliare costantemente gli iscritti lungo il percorso di ricerca e sostnerli (anche finanziariamente) durante il periodo di disoccupazione (purche’ ovviamente questi ultimi dimostrino l’impegno

costante nella ricerca di un posto di lavoro).

Le summenzionate possibili direttrici delle riforme del mercato del lavoro e del sistema educativo sono quindi necessarie e appropriate per evidenziare ed affrontare i problemi strutturali che il mercato del lavoro ha ma nessuna di queste riforme può portare a risultati immediati nella lotta alla disoccupazione giovanile (Lüdemann & Richter, 2014).

Con il fenomeno dell'informalità nel reclutamento di giovani, ad alti livelli soprattutto nelle zone meridionali, alcune qualità già esistenti nella popolazione giovanile che si trova in una fase di ricerca di lavoro, si amplificano (Harsolf, 2006).

Sia la disoccupazione che il lavoro temporaneo, rispetto al lavoro a tempo indeterminato, sono una mancanza di integrazione nel mercato del lavoro inoltre, le persone in cerca di lavoro che utilizzano canali informali in materia di assunzioni e la natura dei posti di lavoro che ottengono sono correlate ed è una delle questioni più importanti quando si tratta di dinamiche generali del welfare e delle istituzioni del mercato del lavoro.

"Un'analisi dei dati dell'indagine tra i giovani con una storia di disoccupazione di lunga durata nei paesi europei suggerisce che accordi globali sullo stato sociale possono sostituire l'importanza delle risorse di rete personali nel processo di ricerca di lavoro." (Harsolf, 2006)

Pertanto, lo stato sociale può intervenire fornendo misure attive per facilitare il processo di adattamento del lavoro e fornendo mezzi economici, per rendere i giovani meno dipendenti dal loro network personale.

La teoria di "Emerging Adulthood" di Jeffery Arnett ha portato negli Stati Uniti un nuovo modo di pensare ed affrontare il problema. La sua teoria sostiene l'esistenza di una nuova fase del corso di vita tra l'adolescenza e l'età adulta che dovrebbe essere riconosciuta visto che la globalizzazione ed i

cambiamenti tecnologici hanno prolungato nel tempo il passaggio

all'indipendenza. Attingendo al quadro di Emerging Adulthood su una serie più ampia di formulazione teoriche sui fattori strutturali e sui meccanismi di esclusione a cui sono sottoposti i giovani moderni, è possibile stabilire un equilibrio. (Bynner, 2007)

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