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Le Sintesi Interpretative hanno consentito di Individuare gli interventi atti a migliorare e riqualificare il quartiere.

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Capitolo 3: LA RIQUALIFICAZIONE E IL RECUPERO

3.1 Generalità

Le Sintesi Interpretative hanno consentito di Individuare gli interventi atti a migliorare e riqualificare il quartiere.

Come detto, sono oggetto di intervento della presente tesi due aree distinte: la zona 1, costituita essenzialmente dalle aree dove prima scorreva il canale; la zona 2, sponda destra e sponda sinistra dell'ultimo tratto dell'attuale tracciato del Canale.

Per quanto riguarda la Zona 1, compresa tra la via Livornese a sud e le vie Conte Fazio e D'Annunzio a nord, il progetto che siamo andati a sviluppare consiste nella riqualificazione dei luoghi urbani e nel recupero della memoria storica del Canale.

Il Canale ha infatti determinato la nascita del quartiere, che intorno ad esso si è

sviluppato, almeno fino ai tragici eventi della seconda guerra mondiale.

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3.2 Obiettivi e problematiche progettuali

Le osservazioni condotte direttamente nell'area oggetto di intervento, le analisi e le letture di carattere storico, ci hanno permesso di capire l'anima, la vocazione del quartiere, ma soprattutto di scoprire e conoscerne la memoria storica. Una memoria oramai presente soltanto nella zona est, immediatamente adiacente alla città, dove si trovano le mura repubblicane , i resti del Sostegno e del Bastione di Stampace.

Ma anche nei confronti di queste importanti strutture di interesse storico e architettonico, la prima osservazione che deve essere fatta riguarda senz'altro le pessime condizioni di conservazione.

L'aspetto che sicuramente più di ogni altro ci ha colpito è comunque la mancanza di qualsiasi memoria riferita al Canale dei Navicelli ed alla vita vivace e dinamica che qui si conduceva quotidianamente fino al 31 agosto 1943.

Ci siamo pertanto fin da subito posti il problema di come recuperare tale memoria e di come far riprendere adesso, dopo molti anni di distacco, il rapporto tra il resto del quartiere e il “suo” Canale.

Quindi siamo passati a cercar di risolvere il problema di come collegare le aree oggetto di studio con il resto della città e di come interconnettere le varie parti del quartiere stesso.

Altro aspetto da non sottovalutare e che è anch'esso emerso da visite, indagini ed

osservazioni dirette, riguarda la quasi totale mancanza di spazi aperti pubblici ,

come piazze o comunque ambienti aperti dove gli abitanti del quartiere possano

entrare in contatto e tessere quelle importanti relazioni sociali che stanno alla base

della vita civica comune.

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3.3 Possibili soluzioni

Stato attuale: schizzo del sistema dei pieni e dei vuoti

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Per cercare di risolvere i problemi ed i dubbi che da subito ci hanno accompagnato durante tutta la fase di progetto di recupero, ci siamo per così dire appoggiati a quelli che erano emersi come valori intrinsechi del quartiere.

Così abbiamo cercato soluzione nel cercare di risolvere il rapporto tra il quartiere ed il resto della città, sfruttando la già presente pista ciclabile.

Una pista ciclabile discontinua e sicuramente non ben mantenuta, che però, dalla Porta a Mare arriva fino al nuovo centro commerciale in area ex Sanac.

Il sistema ciclo-pedonale che noi dovevamo pensare e progettare doveva quindi essere il più lineare e continuo possibile e doveva saper ricucire il quartiere alla città e il quartiere con altre sue zone, soprattutto con la zona oggetto dei due progetti per strutture attrattive previste nella Zona 2.

3.4 La prima soluzione: il ripristino del Canale

La prima soluzione, denominata Soluzione A, è sicuramente la più intuitiva e suggestiva: il totale ripristino del Canale lungo la via Livornese fino all'intersezione con la via Cesare Battisti; quindi la svolta a gomito in direzione nord, il suo

“ingresso” nel sistema del Sostegno e infine l'immissione in Arno.

Due rotatorie-ponti, uno sull'Aurelia, l'altro sulla via Cesare Battisti permetterebbero l'attraversamento del Canale alle strade a più alta intensità di traffico.

Un continuo sistema di percorsi pedonali e ciclabili, sviluppandosi parallelamente al corso del canale, farebbe da collegamento tra le varie zone del quartiere, principalmente Zona 1 con Zona 2.

Il sistema ciclo-pedonale appena descritto, permetterebbe il collegamento con il

resto della città attraverso il congiungimento con il percorso ciclabile già esistente e

che adesso arriva sia alla Porta a Mare, sia al Bastione Stampace.

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Schizzo di progetto: il totale ripristino del Canale

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Progetto soluzione A

Particolare di Progetto soluzione A

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3.5 La seconda soluzione

La Soluzione A appena descritta è sicuramente suggestiva, ma molto onerosa dal punto di vista finanziario ed economico. Non solo, tale soluzione implicherebbe tutta una serie di problemi logistici e di disagi per gli abitanti, durante le fasi necessarie alla realizzazione delle opere.

E' per questo motivo che, nel corso della presente tesi ci siamo posti il problema di trovare una soluzione alternativa.

Tale soluzione doveva però ancora far fronte all'ottenimento di quegli obiettivi che fin da subito ci eravamo prefissati: recupero della memoria storica del Canale;

collegamento con il resto della città e miglioramento della qualità della vita per gli abitanti del quartiere.

La soluzione che abbiamo pensato e progettato consiste nel ripristino dell'alveo del canale attraverso la realizzazione dei muri di sponda del canale. Adesso però, al posto dell'acqua, si ha del verde, dei filari di alberi, una pista ciclabile ed un sistema di percorsi pedonali.

In pratica l'acqua della soluzione A fa ora spazio ad una pista ciclo-pedonale che si sviluppa e scorre all'interno di una striscia verde, tra vari filari di alberature.

In prossimità della SS. 1 Aurelia, al fine di enfatizzare la passata presenza

dell'acqua, si è pensato alla realizzazione di due lunghe vasche di acqua che si

sviluppano parallelamente alla pista ciclo-pedonale.

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Schizzo di progetto: la Soluzione B

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Progetto soluzione B

I filari degli alberi, la pista ciclabile e i percorsi pedonali all'interno del vecchio

alveo del Canale

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3.6 Aspetti comuni alle due soluzioni

Per ovviare alla mancanza di spazi aperti per gli incontri tra gli abitanti del quartiere si è pensato di realizzare, lungo la stessa ciclabile, un sistema di tre piccole piazze: la prima al Sostegno, la seconda di fronte alla chiesa di san Giovanni al Gatano e la terza e più piccola sulla via Livornese alla fine di un nuovo tratto ciclabile.

Questo ultimo tratto di pista ciclabile, verrebbe realizzato lungo una direttrice un tempo occupata dal tram che collegava Pisa con Livorno. Una striscia di terreno, attualmente occupata da siepi e box-auto e che di fatto congiungerebbe la via Conte Fazio, all'altezza della chiesa di San Giovanni al Gatano, con la via Livornese, inclinandosi di circa quarantacinque gradi.

Progetto di recupero: la piazza e il congiungimento ciclo-pedonale tra via Conte

Fazio e via Livornese

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La piazza di fronte alla chiesa di san Giovanni al Gatano

Il passaggio pedonale e la piazza tra le mura ed il Sostegno

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Soluzione B: la rotatoria in via cesare Battisti e il Sostegno

3.7 Il sistema del verde

Particolare e costante attenzione è stata posta, durante l'intera fase di

progettazione del recupero del quartiere e della memoria storica del Canale, al

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sistema del verde, la cui importanza è testimoniata dalle analisi che di seguito andremo a sviluppare.

L’uso della vegetazione negli spazi urbani ha sempre avuto molteplici funzioni:

simboliche, estetiche-ornamentali, produttive e di regolazione del microclima.

La funzione termoregolatrice della vegetazione, nel periodo estivo è conosciuta fin dai tempi più remoti, in tutta l’area mediterranea. L’impiego delle piante nelle abitazioni greche, romane, ispano-moresche, ecc., associato in modo opportuno ad alcune strutture architettoniche (pergole, portici, vasche, patii, viridarii), sottolinea la costante ricerca di raffrescamento estivo.

L’aspetto propriamente utilitaristico del verde compare soprattutto nel mondo romano dei primi secoli. Durante i secoli dell’impero, il verde assume maggior rilievo all’interno delle mura cittadine, ma solo come parte inscindibile di quegli elementi costruttivi che ornano i grandi giardini annessi alle ville signorili, luoghi deputati agli otia intellettuali dei proprietari, e che ricreavano l’illusione del verde del territorio agricolo.

Nel Medioevo, il verde all’interno delle mura cittadine e nei monasteri assume una funzione quasi esclusivamente produttivo-alimentare, come unica fonte di sussistenza in caso di assedio.

Dal Quattrocento in poi, viene riconsiderata la funzione microclimatica del verde come umidificatore del microclima (protezione dai venti invernali e dal caldo estivo), in particolare nel contesto delle ville suburbane.

Nei giardini delle ville del Cinquecento e del Seicento trova ampia diffusione l’uso della vegetazione come protezione dal vento, il pergolato ricoperto da vite per le passeggiate nei giorni assolati. Per il resto, il progetto dei giardini era dominato da aspetti scenografici.

Se prima le antiche città erano integrate alla campagna circostante, con i primi

processi di massiccio inurbamento tale rapporto viene modificato determinando un

conflitto città/campagna. All’interno di un progressivo processo di espansione

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urbana, il verde viene ad assumere nuovi ruoli, non più soltanto simbolici o decorativi.

Nel Settecento, in Francia si ha una prima inversione di tendenza: il verde assume importanza proprio all’interno degli agglomerati urbani. Nasce così il concetto di

"giardino pubblico"; e le aree da occupare sono quelle di risulta dall’abbattimento delle mura cittadine e delle cortine murarie. Oltre alla funzione propriamente ornamentale della vegetazione, ricercata pure con l’introduzione, spesso inopportuna, di specie esotiche, viene riconosciuta anche quella igienica, legata alla salubrità dell’aria.

Il fenomeno dei grandi inurbamenti delle città ottocentesche contribuisce ulteriormente a porre il problema del verde urbano, in termini di soluzione al degrado ambientale, nonché di vivibilità.

I piani regolatori tra la fine dell'800 e l’inizio del 900 prevedono, infatti, ampi spazi da destinare verde pubblico; in seguito, in Italia, esso rimarrà per lo più superfluo e limitato all’ornato cittadino.

Nella attività urbanistica italiana, le funzioni assegnate al verde rimangono solamente quelle prescritte come standards urbanistici, con l’obbligo di un astratto rapporto tra la quantità di aree da destinare a servizi (non esclusivamente a verde pubblico) e quelle da destinare a edificazioni per insediamenti, all’interno delle zone funzionali di piano.

La crisi energetica degli anni ’70 sollecita, dapprima in USA e poi in Europa (Germania, Olanda, Gran Bretagna, ecc.), lo sviluppo di una serie di ricerche sulla conservazione e il risparmio energetico. Tali studi hanno condotto al riconoscimento dell’importante funzione microclimatica della vegetazione stimolandone un impiego "ambientale", per il comfort degli ambienti antropizzati (interni ed esterni).

Nell’ambito di una coscienza emergente e di fronte agli attuali squilibri

ambientali della città contemporanea, sta prendendo corpo l’idea di una "green

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city", ovvero di una rinaturalizzazione della città attraverso vere e proprie iniziative di integrazione strutturale del verde con l’ambiente costruito (creazione di orti urbani ed aree boschive, di habitat per la fauna selvatica, di stagni e zone umide e di corridoi vegetali naturali ed artificiali, là dove lo spazio orizzontale non consente l’inserimento di ulteriori ed opportuni spazi verdi).

Ormai si è ben lontani dal considerare il verde come semplice fatto meramente decorativo, tanto più che esso può contribuire notevolmente a garantire una elevata qualità abitativa all’interno di una visione ecologica della città.

Si fanno strada, allora, interventi a grande scala, con la riprogettazione delle aree dismesse, fino a comprendere quelli di risistemazione e di piantumazione di spazi urbani minori (aree residuali e cortili).

Nell'urbanistica o nella pianificazione territoriale attuale dobbiamo considerare che il verde non si realizza accidentalmente o attraverso gli attuali precari standard ad esso destinati, ma per scelta; e date le condizioni generali dell’urbanistica attuale sono scelte coraggiose ed onerose perché il verde ed il territorio oggi o si eredita o si acquista.

Decidere di creare un’ area verde o di piantare un albero è un evento importante perché significa creare un patrimonio pubblico e modificare gli spazi; posizionare alberi e zone a verde sono delle azioni significative perché lasciano una chiara impronta sul territorio e ne conferiscono forma, struttura e vincoli al pari dell'edificato. E' una vera e propria azione di urbanistica; vegetale in tal caso.

Elementi chiave che guidano la riuscita della progettazione urbanistica vegetale sono: buone idee e buone misure.

• Le buone idee sono quelle che sanno riconoscere i bisogni ed i sogni dei

cittadini, da realizzare nelle loro aree verdi. Generalmente le buone idee sono un

condensato di bellezza, semplicità ed azioni coinvolte in un meccanismo che

funziona.

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• Le buone misure sono l’applicazione di dettagli esecutivi adeguati, che consentono la presenza dei presupposti alle garanzie di successo e durata nel tempo dei nuovi impianti a verde.

Nella progettazione del verde urbano si attribuisce, erroneamente, maggiore considerazione all’applicazione di stili progettuali che alla realizzazione di “buone misure”. Applicare buone misure significa, sostanzialmente, progettare con cognizione dei cicli biologici vegetali di spazio e tempo.

Con le piante entra in città il ciclo biologico sovverte le regole di spazio e tempo.

Il verde è un elemento vivo, dinamico, che ha esigenze specifiche di spazio e tempo di crescita e formazione ; il verde è movimento, cambiamento, improvvisazione colori che mutano ed indice di stagionalità. Fatti ed eventi inesistenti nelle strutture statiche dell’architettura. Quali elementi di architettura hanno queste caratteristiche?

Il costruito resta ciò che è. E per sempre. Progettare il verde significa coltivare l’abilità a progettare con elementi non finiti che tengono presente le esigenze del momento presente e predispongono alla vera realizzazione del progetto del verde che avviene alla sua maturità e che, inoltre, è capace di trasformarsi. Qual'è la forma finale di un albero ? Le piante definiscono le loro forme più stabili nella fase di maturità del loro sviluppo. Quindi, basta alla miniaturizzazione degli spazi urbani destinati agli impianti vegetali ed agli spazi verdi. Ampiezza e semplicità di progettazione del verde sono dei fattori determinanti anche se può significare diradare o svuotare porzioni urbane dall’inutile o superfluo.

Applicare buone misure significa scegliere dimensioni adeguate delle piante impiegate: piante con standard qualitativi elevati, scelta di specie e coltivazioni ad alte prestazioni funzionali, pertinenti all’ambiente artificiale urbano carico stress;

quante scelte di piante si limitano a scelte di specie generiche, senza richieste

specifiche di coltivazioni selezionate per resistenza a fattori patologici o agronomici

o di inquinamento urbano o di forma e sviluppo adeguato che consente risparmi

manutentivi.

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La limitazione nella scelta di specie d’impianto, limita sicuramente maggiori potenzialità e creatività progettuali.

Buone misure significa dimensionare spazi d’impianto arborei adeguati allo sviluppo vegetativo. In particolare le distanze d’impianto sulla fila, per le alberature, e le distanze dalla strada e dagli edifici ed in particolare lo spazio utile di sviluppo delle radici, vero motore delle piante. La buona conoscenza dei fattori agronomici ci consente, inoltre, di fare importanti realizzazioni di verde “fuori terra”, come il verde pensile che sta avendo molto successo come fattore bioclimatico e di risparmio energetico, oltre che di rinverdimento in senso generale.

Nell’impianto vegetale non si possono applicare ricette standard, ma commisurare i materiali al luogo ed applicare fattori agronomici variabili in relazione alla continuità ed alla permanenza nel tempo degli elementi che garantiscono sviluppo e sanità. Per questo bisogna dare importanza al verde esistente, a quello che abbiamo che è un vero patrimonio pubblico, in termini sia di valore immobiliare che di funzioni sociali.

Il verde in città assume una grande importanza perché offre una larga serie di opportunità di miglioramento ambientale e di vita sociale. Sul tema delle funzioni del verde in città è, tuttavia necessario assumere un comportamento molto serio e scientifico. Serio perché molte funzioni della vegetazione nell’ecosistema urbano sono utili, pratiche ed applicabili a basso costo, ma che da sole non risolvono tutte le problematiche che contribuiscono a migliorare. Scientifico perché il ruolo del verde in città è motivato da studi e discipline scientifiche, applicate con ottimi risultati e non soggette a venti o umori ideologici.

Il verde in città deve essere considerato come una grande opera pubblica, ideale per uno sviluppo ambientale ed urbano sostenibile. La vegetazione nell’ecosistema urbano, perché svolga al meglio il suo ruolo, deve essere integrato nell’insieme degli obiettivi della pianificazione urbanistica. Concetto espresso fin dalla prima lezione.

Le più importanti ed evidenti funzioni del verde sono:

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1. miglioramento del clima urbano, 2. miglioramento del bilancio energetico,

3. filtrazione e purificazione dell’aria dalle polveri e dagli inquinanti, 4. attenuazione dei rumori,

5. regimazione acque e deimpermeabilizzazione dei suoli, 6. ricostruzione paesaggistica e ruralità,

7. socialità e sicurezza,

8. arredo urbano e miglioramento della viabilità, 9. ricreativo e maggiore fruibilità urbana.

La vegetazione nelle città può svolgere un altro ruolo di controllo ambientale:

quello di arginare attivamente il problema dell’inquinamento dell’aria, fungendo da elemento filtrante per polveri e gas e costituendo passivamente un prezioso rilevatore della loro presenza.

Diversi studi condotti sugli effetti fitotossici degli inquinanti atmosferici hanno messo in evidenza come le varie specie vegetali reagiscano in maniera differente nei confronti di un certo inquinante. Esse possono presentare una risposta che varia da molto suscettibile (riportando danni anche a seguito di brevi esposizioni e a basse concentrazioni) a notevolmente resistente.

Le piante sensibili possono essere utilizzate come spie, ossia come strumento di

monitoraggio, per calcolare i livelli di inquinamento dell’atmosfera; esse, infatti,

reagiscono, oltre che con l’indebolimento, anche con diversi sintomi che richiedono

comunque una complessa interpretazione: variazioni di sviluppo (riduzione

asimmetrica), clorosi (colorazione ai margini o agli apici delle foglie, per disturbi a

carico della clorofilla), necrosi (morte delle cellule del mesofillo). Stress idrici e

termici e carenze nutrizionali possono dare luogo a sintomi simili a quelli provocati

dall’inquinamento. Ci sono comunque piante con sensibilità accertata verso uno o

più specifici inquinanti che possono essere quindi utilizzate come vere e proprie

sentinelle ecologiche (licheni). L’impiego delle piante spia andrebbe affiancato a

quello delle centraline di rilevamento elettronico.

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Le specie resistenti possono, invece, costituire degli elementi attivi nella riduzione degli inquinanti atmosferici in ambiente urbano, in quanto possono essere in grado di eliminarli tramite assorbimento e successiva metabolizzazione. Tale rimozione avviene al livello della superficie delle foglie e nei tessuti vegetali, attraverso disattivazione dei gas per assorbimento dei composti tossici, inattivazione dei composti stessi nei tessuti cellulari, per precipitazione ed immagazzinamento, ed infine per utilizzazione dei composti medesimi, attraverso la metabolizzazione ossidativa delle piante.

Alcuni studi mettono a disposizione significativi dati quantitativi circa la riduzione effettiva di taluni inquinanti gassosi.

Negli USA, è stato riscontrato che la vegetazione è capace di rimuovere dall’aria ad essa circostante alcuni inquinanti, nella misura a fianco di ciascuno indicata nella seguente tabella:

Riduzione di inquinanti nell’atmosfera, intorno alla vegetazione

Anche il piombo contenuto nell’aria può essere ridotto dalla presenza delle

piante. Non bisogna trascurare che le condizioni ambientali possono influire

sull’assorbimento delle sostanze inquinanti da parte delle piante, aumentandone il

ritmo di rimozione, o in alcuni casi esaltarne l’azione dannosa. Condizioni di

ristagno dell’aria (nebbia) o di siccità possono acutizzare fenomeni di intolleranza

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per le specie sensibili. In particolare, in città come Milano, la scarsa ventilazione e l’elevata umidità dell’aria aggravano i danni provocati dall’inquinamento e in particolar modo dagli ossidi di zolfo. In queste situazioni si è comunque riscontrata una maggiore funzionalità delle conifere, rispetto alle piante a foglia caduca, nonostante queste ultime siano in grado di rimuovere le sostanze inquinanti accumulate, tramite la caduta delle foglie in autunno. Le sempreverdi sono difatti efficaci anche in inverno (quando l’inquinamento è massimo) ed inoltre evitano che le sostanze accumulate dalle foglie vadano a depositarsi nel suolo.

Le specie più resistenti possono altresì contribuire, in modo attivo, all’intercettazione e successiva filtrazione delle polveri presenti nell’atmosfera.

L’azione "filtro" è proporzionale al diametro delle particelle e risulta più efficace in foglie poco mobili e con epidermide rugosa. E’ stato, inoltre, dimostrato che l’efficacia della rimozione delle polveri risulti maggiore nelle conifere, piuttosto che nelle piante decidue. E’ stata, infatti, registrata una diminuzione delle polveri nell’atmosfera pari al 38 - 42%, ad opera delle piante sempreverdi, e dal 27 al 30%, da parte delle specie decidue. Si ritiene, infine, che, complessivamente, l’azione

"filtro" possa raggiungere valori variabili da 200 a 1000 Kg/ha (15).

Il Verde in città è una rivincita di possesso della collettività sulla individualità. I gruppi, le famiglie nei parchi fanno da contrasto con i solisti dell’automobile.

Le aree verdi sono tempi di relax , di ricreazione e, soprattutto, di relazione.

Spazi e persone si incontrano per gioco, per trascorrere del tempo libero, come sono, senza ruoli e senza pregiudizi . Il verde è anche una protezione per adulti e bambini: è una alberata spaziosa in piena visibilità e controllo, è una siepe che accompagna i ragazzi lungo percorsi sicuri dalla casa alla scuola, è una protezione per le piste ciclabili, è una “ via residenziale” dove convivono parcheggi e giochi, è un cortile scolastico o condominiale.

Per quanto riguarda l’arredo urbano ed miglioramento della viabilità, il ruolo del

verde è tra i più evidenti e spesso risulta diventare il motivo di facile confronto tra

città. Il verde come arredo urbano è l’elemento qualificante ogni tipo di intervento e

località. Non è solo una

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questione di estetica è una condizione di dignitoso decoro urbano. È l’espressione, il colore, il carattere di ogni città; è l’accoglienza degli ospiti e dei cittadini residenti senza proferir parola. Abbiamo bisogno di buone realizzazioni di arredo urbano.

In merito alla viabilità il verde le conferisce ordine e percezione dei percorsi a distanza; conferisce il sistema di rispetto delle parti, dell’automobilista, del ciclista e del pedone. È un elemento di sicurezza e di qualità delle realizzazioni stradali, spesso iniziate e mai terminate nella loro parte a verde e paesaggistica. Infatti terminano, di frequente, dove finisce il manto di asfalto; il collegamento col contesto paesaggistico non esiste.

Quale ambito è più ricreativo e di maggiore fruibilità in una città se non gli spazi verdi ? Il verde offre una vasta tipologia di spazi ricreativi, da quelli liberi e naturalistici a quelli attrezzati e finalizzati alle specifiche età o attività sportive.

Comunque l’elemento di naturalità che la vegetazione degli spazi verdi comprende è sempre la parte qualificante e di riconciliante con tutto il contesto urbano.

Gli spazi urbani che richiedono maggiori interventi sono le aree dismesse, ex industriali o ex di qualcosa che non c’è più. Nella linea adottata dai migliori urbanisti di creare spazio e decongestionare le città queste sono aree che devono comprendere, nel piano di destinazione urbanistica degli spazi liberi, verdi e di massima fruibilità pubblica e sanno dare respiro alla città ed ai cittadini.

3.8 Parcheggi ed aree di sosta

Poiché allo stato attuale, l'area dove prima prima passava il canale, è destinata a parcheggio (soprattutto tratto via Livornese est), è chiaro che molta attenzione è stata posta alla definizione ed alla razionalizzazione degli spazi destinate a parcheggio. E questo al fine di perdere il minor numero di posti auto.

Questo aspetto ci ha impegnato particolarmente ed abbiamo affrontato il problema

dei parcheggi a seguito di una lunga analisi di studio e preparazione che qui di

seguito esporremo.

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Il possesso di una vettura privata per compiere spostamenti è ormai una condizione di vita acquisita su tutto il territorio nazionale. In tale direzione, la legge italiana obbliga, in caso di nuove costruzioni, a garantire almeno 1 m2 di parcheggio ogni 10 m3 di costruzione.

Da diversi anni, inoltre, lo standard medio si sta spostando verso i 2 veicoli per nucleo familiare. Tutti vogliono un veicolo aggiuntivo, ma pochi fanno l’acquisto basandosi sul fatto di poter poi disporre di un box per il ricovero del mezzo.

La seconda o la terza automobile la si lascia in strada: questa è la linea comune di pensiero spinta dall’impossibilità di trovare spazi adeguati di ricovero, cui corrisponde un degrado del luogo urbano, il rallentamento del traffico, l’impossibilità di impiegare liberamente il luogo pubblico per altre attività (passeggio, fare compere, ecc.).

Il congestionamento dei centri urbani e la necessità di dotare la città di idonee strutture di servizio, impongono l’esigenza di potenziare le infrastrutture di supporto ai collegamenti, e, soprattutto, le aree per la sosta ed il parcheggio.

Occorrono quindi spazi per il parcheggio temporaneo (per i non-residenti) da sommare a quelli permanenti (per i residenti).

La larghezza limitata della sede stradale dei centri antichi consiglia una classificazione delle esigenze da soddisfare in base alla seguente scala di priorità:

• il transito dei pedoni, possibilmente in sede protetta (portico, marciapiede);

• il transito delle auto (magari a senso unico);

• la sosta temporanea per il carico-scarico delle merci;

• il parcheggio delle auto dei residenti e degli esterni.

Risulta quindi necessario ridurre drasticamente la possibilità di parcheggiare sulla sede stradale, ossia cercare di spingere i residenti a cercare soluzioni stabili diverse da quelle del parcheggio dell’automobile sulla pubblica via.

Nella tabella 1 sono riportate le dotazioni minime previste dal D.M. 1444/68 per

le aree da destinare a parcheggio.

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Localizzazione Area per

parcheggio (mq) Ogni Nuove costruzioni (in aggiunta ai

valori seguenti) 1 20 mc di

costruzione

Insediamenti residenziali

Zona C 2,5 1 abitante

Zona A e C 1,25 1 abitante

Commerciale o

direzionale 40 100 mq di

superficie lorda degli edifici Commerciale o

direzionale in zona

A e B 20

100 mq di superficie lorda

degli edifici Industrie o

assimilati

10% del totale dell'area destinata a spazi pubblici

Dotazioni minime di aree da destinare a parcheggio (D.M. 144/68).

In base al livello funzionale nel rapporto col contesto urbano e con la circolazione stradale, i parcheggi si possono suddividere in tre grandi categorie:

• parcheggi terminali;

• parcheggi scambiatori;

• parcheggi a rotazione.

I parcheggi terminali vengono utilizzati per soste molto lunghe (a servizio della residenza, degli uffici, dei poli commerciali, turistici e culturali).

I parcheggi scambiatori, collocati ai margini del centro urbano, costituiscono i

nodi di scambio all’interno del tessuto urbano (terminal metropolitana, ferrovia,

autobus, aeroporto, porto, ecc.), o al contorno del nucleo storico, a servizio di

quest’ultimo, per incentivare e permettere l’uso del mezzo pubblico all’interno

dell’area urbana più antica. In questo modo, l’utenza proveniente dalle direttrici di

traffico maggiori dovrebbe trovare il parcheggio ai limiti della zona storica e quindi

lasciare l’auto per recarsi al posto di lavoro o per sbrigare una serie di commissioni

all’interno del centro urbano dove, di norma, sono ancora collocati i più importanti

uffici pubblici e privati di una città.

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I parcheggi a rotazione sono destinati agli utenti che compiono brevi soste, sia all’interno dell’area urbana storicizzata, sia in presenza di attività di servizio quali quelle commerciali, culturali, terziarie.

Per avere una visione globale del problema del rapporto tra le aree di stazionamento e la zona nella quale lo stazionamento stesso deve essere inserito e per analizzare l’influenza complessiva che il parcheggio delle vetture ha sull’assetto complessivo della mobilità urbana, bisogna innanzitutto soffermarsi sulle due principali attività caratterizzanti il parcheggiare. Queste due attività sono la fermata e la sosta.

Gli spazi di fermata sono quelli che più comunemente si trovano nella maggior parte delle città. Nella forma più semplice sono collocati in tratti della corsia stradale, posti lateralmente a contatto con il marciapiede e riservati ai veicoli fermi.

Possono essere, anche se meno frequentemente, costituiti da rientranze nel marciapiedi.

La larghezza degli spazi di fermata si può limitare a 2,00 m per traffico di solo autovetture, può arrivare al massimo di 3,00 m per il traffico pesante. Per determinare la lunghezza dello spazio di fermata, bisogna considerare gli spazi richiesti per le manovre di accostamento e di allontanamento.

Si possono distinguere due diversi tipi di spazi di fermata:

• una tipologia che prevede un distanziamento tra le vetture, tale da consentire ad ognuna di esse l’accostamento e l’allontanamento con manovra diretta;

• una tipologia che prevede un distanziamento tra le autovetture, tale da ammettere che si ingombri la carreggiata stradale per manovre di inserimento e di uscita.

È buona norma comunque prevedere tale tipologia di parcheggio lontano da incroci o da zone di traffico caotico, perché il traffico stesso viene reso più difficile dalle auto in manovra.

Le aree di sosta sono zone in cui compaiono, opportunamente segnalate, le

prescrizioni delle modalità di movimento, la determinazione degli stalli (posti auto)

e dei corselli, e l’indicazione della durata massima della sosta. Possono essere

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collocate marginalmente alla carreggiata oppure in piazzali, comunque in luoghi adibiti per la sosta vera e propria.

Sulla sede stradale si hanno:

• corsie di sosta sulla carreggiata stessa, con stazionamento dei veicoli in file parallele al traffico;

• banchine di sosta in rientranza ai marciapiedi, con veicoli in fila secondo la direzione del traffico;

• zone laterali di sosta dove i veicoli sono posti ortogonalmente o in modo inclinato rispetto al traffico.

Nei piazzali si hanno:

• spazi per la sosta suddivisi in stalli;

• corselli per la distribuzione.

La disponibilità limite di stalli di sosta si raggiunge quando l’utente in arrivo trova libero più di un posto in cui riporre il proprio veicolo. Il soddisfacimento dei bisogni di sosta in funzione dell’avvicendamento dei veicoli si verifica quando, nei momenti di punta, sia sempre disponibile almeno lo stallo vacante per ogni veicolo sopraggiungente.

Le variabili che riguardano lo stazionamento sono di vario tipo e coinvolgono il tipo e il motivo dello stazionamento, la domanda attuale e futura, l’offerta presente, lo stazionamento irregolare, il costo tariffario, i tempi di sosta, i costi gestionali e le distanze da percorrere a piedi.

Indipendentemente dal tipo di parcheggio che si vuole realizzare, bisogna porre particolare attenzione ai seguenti elementi:

• esame dell’utenza con l’identificazione delle caratteristiche salienti suddette;

• inventario degli spazi di stazionamento disponibili e conoscenza del livello di utilizzo degli stessi (a volte si possono trarre maggiori benefici dal ripristino o dalla riorganizzazione di un parcheggio già esistente che da una nuova costruzione);

• quantificazione della domanda e delle esigenze di stazionamento (a tal fine risulta indispensabile il rilevamento dei flussi di traffico in entrata e in uscita su tutte le strade di accesso all’area in esame);

• localizzazione;

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• stima dei finanziamenti, dei costi di gestione, degli eventuali introiti.

Occorre inoltre garantire, oltre che il posto auto, un’adeguata rete di accesso al parcheggio e individuare l’eventuale tempo limite di utilizzazione del parcheggio stesso.

La realizzazione di un’area o di un edificio adibiti a parcheggio può avvenire attraverso due tipi di distribuzione, in rapporto alla dimensione e alla forma dell’area da adibire a parcheggio:

• a sviluppo orizzontale (parcheggi in superficie, a raso o a livello);

• a sviluppo verticale (parcheggi interrati, in elevazione, misti).

Tra i parcheggi a sviluppo verticale vi sono autorimesse a rampe suddivise in:

• a rampe rettilinee a senso unico (sui lati opposti del piano di parcheggio, sullo stesso lato del piano di parcheggio, tra piani sfalsati);

• a rampe rettilinee a doppio senso (sui lati opposti del piano di parcheggio, sullo stesso lato del piano di parcheggio, tra piani sfalsati);

• a rampe elicoidali a senso unico (continue: sovrapposte o concentriche;

discontinue: separate e sovrapposte);

• a rampe elicoidali a doppio senso (continue; discontinue e sovrapposte); 2) autorimesse meccaniche o autosilo suddivise in:

• automatizzate (a stallo fisso, a stallo mobile, miste)

• semiautomatiche (con montacarichi centrale, con elevatore di stalli, con piattaforme traslanti, miste con trasloelevatore).

Lo sfruttamento a raso delle aree è quello più economico al punto di vista del costo dell’impianto e della manutenzione, ma poco conveniente dal punto di vista dello sfruttamento dell’area.

La realizzazione in sotterraneo, invece, seppur giustificata dal punto di vista dello sfruttamento dell’area superficiale, risulta di maggiore onerosità costruttiva, implicando non solo le opere di scavo ma anche quelle di impermeabilizzazione che fanno lievitare notevolmente i costi.

Il parcheggio che appare il più razionale dal punto di vista dell’utilizzazione

dell’area e dei costi è quello in elevazione che, però, presenta il problema non

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trascurabile di doversi inserire come un nuovo edificio tra quelli esistenti (ciò, spesso, nei centri urbani è molto difficile).

Per poter ottimizzare la progettazione e la realizzazione di spazi destinati al ricovero o semplicemente alla sosta degli autoveicoli è di fondamentale importanza analizzare quelle che sono le tipologie di realizzazione del singolo posto auto che discende dalle dimensioni d’ingombro dell’autovettura stessa (Fig. 1) e dei relativi spazi di manovra.

L’angolo di inclinazione dello stallo nei confronti del senso di marcia della corsia

di accesso può essere di 0° (posteggi a nastro, paralleli al senso di marcia della

corsia di accesso); di 90° (posteggi a pettine, perpendicolari al senso di marcia della

corsia di accesso); di 30°, 45° o 60° - sono ammessi anche angoli diversi se

necessari (posteggi a dente di sega, inclinati in modo vario rispetto al senso di

marcia della corsia di accesso) (Fig. 2).

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Figura 1

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Figura 2

Tali differenziazioni comportano la possibilità di variare architettonicamente il disegno del piano di parcheggio, risparmiando spazio a parità di autovetture o aumentando il numero di posti disponibili a parità di spazio fruibile. Le principali differenze tra le tipologie sopra citate a parità di numeri di posti auto, sono:

• dimensione totale del parcheggio: il parcheggio più economico dal punto di

vista dello spazio necessario, è senza dubbio quello a pettine seguito, con un

incremento di spazio necessario pari a circa il 25%, da quello a nastro. I posteggi a

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dente di sega hanno uno scarto percentuale tra loro di circa 10% ed occupano meno spazio più è grande l’angolo di inclinazione rispetto alla corsia di accesso;

• velocità e facilità con la quale si manovra, ossia come se entra ed esce dal posto auto. Si è riscontrato che il posto auto perpendicolare al senso di marcia all’interno della corsia è quello più problematico dal punto di vista della manovra e quindi dei tempi di utilizzo; in questo senso i parcheggi più funzionali sono senza dubbio quelli a dente di sega (Fig. 3).

Figura 3

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Elemento fondamentale per la corretta progettazione del parcheggio è il poter analizzare e realizzare correttamente lo spazio destinato alla circolazione dei veicoli all’interno dei piani di parcheggio; ciò che influenza infatti la dinamica del parcheggio non sono infatti la lunghezza delle corsie e la velocità tenuta nel percorrerle, ma è la percentuale di manovra in retromarcia. Si pensi che nel caso di corsia a senso unico, tale percentuale è di circa il 30% per lo stallo a 90° e di circa il 10% per stalli inclinati a 70°. La maggior efficienza degli stalli inclinati è garantita se il senso della circolazione è tale da aiutare il veicolo ad imboccare in marcia avanti il posto libero.

Tra i vari tipi di stallo inclinati, quelli a spina di pesce richiedono un tempo di ricerca superiore rispetto a quello necessario per trovare una posto nel caso di parcheggio con i paraurti anteriori delle autovetture che si fronteggiano; inoltre, nel caso di parcheggi a spina di pesce, i paraurti anteriori delle auto vanno a contrapporsi alla fiancata della macchina a lei opposta, creando la potenzialità di danni superiori per contatti accidentali.

Il tempo superiore è dato dal fatto che le corsie di circolazione dove gli stalli sono disposti a spina di pesce devono necessariamente essere a senso unico, mentre negli altri casi, compreso quello di stalli ortogonali alla corsia, posso essere a doppio senso facilitando la circolazione e quindi la ricerca del posto auto libero.

È di fondamentale importanza schermare il più possibile l’area a parcheggio o comunque creare una separazione psicologica, una schermatura delle aree destinate alla circolazione delle automobili e dei pedoni da quelle destinate alla sosta dei veicoli.

La separazione può avvenire tramite elementi decorativi naturalistici come siepi, muretti, avvallamenti del terreno, semplicemente cambiando la pavimentazione o in qualunque altro modo si ottenga uno stacco psicologico tra il luogo di sosta e la circolazione. La predetta schermatura può essere una barriera psicologica piuttosto che fisica da riempire, parzialmente - accettando di lasciare solo intravedere le macchina o permettendo un’ampia visuale - o completamente la vista delle vetture.

All’interno del parcheggio, la disposizione degli stalli rispetto alle corsie di

percorrenza può essere segnalata in vari modi (Fig. 4 e Fig. 5); il vero vincolo per

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queste segnalazioni di delimitazione di stalli è che si devono mantenere nel tempo.

La pavimentazione in cls delle strade di accesso al parcheggio può essere sostituita da materiali alternativi che permettano la possibilità di composizioni cromatiche e di materiali tali da poter dare una valenza architettonica alla struttura interna al parcheggio. I materiali alternativi si possono identificare in gettate di cemento grezzo o colorato, blocchetti di cemento prefabbricati di vario colore, autobloccanti in cemento, pietra a spacco, ciottoli di fiume, ghiaia, mattoni gelivi, erba e piante in genere.

Figura 4

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Figura 5

Le linee di divisione degli stalli sono ottenibili tramite la colorazione della superficie in conglomerato bituminoso o cementizio, utilizzando l’applicazione a caldo di un materiale plastico colorato, oppure inserendo nella pavimentazione blocchetti o pietra di colore diverso, in modo da realizzare visibilmente la differenziazione delle aree. Per la sosta nei parcheggi a raso dei pullman, trattandosi di casi di mezzi di trasporto speciali, si possono suggerire gli spazi specifici di sosta e di manovra (Fig. 6 ).

A completamento delle caratteristiche che deve possedere un parcheggio esterno,

non va dimenticata di importanza dell’arredo verde; le essenze arboree sono

fondamentali per mascherare le automobili, per il mantenimento del microclima

(filtraggio delle sostanze gassose emesse dei veicoli), per la creazione di un

movimento (le piante sono elementi mutevoli e viventi e cambiano l’aspetto del

luogo ove sono posizionate durante l’arco dell’anno), per l’attenuazione delle

temperature estive e come barriere cromatiche e architettoniche

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Figura 6

Nel progetto di un luogo di sosta per autoveicoli, sia che si tratti di un’autorimessa o di un parcheggio a raso all’aperto, deve essere posta particolare attenzione per gli utenti disabili, ossia gli utenti con difficoltà motorie. In tale direzione il D.M. 14 giugno 1989, n° 236 (inerente alle prescrizioni per il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche) e successivamente il D.P.R. 16 settembre 1996, n° 503 forniscono specifiche indicazioni sugli spazi minimi per la sosta dei veicoli di tali utenti.

In sintesi, i decreti affermano quanto segue:

• negli edifici aperti al pubblico deve essere previsto 1 posto auto per disabile

ogni 50 o frazione di 50 posti;

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• tale posto auto deve avere larghezza non inferiore a 3,20 m e deve essere riservato gratuitamente al servizio di persone disabili; il medesimo stallo deve essere opportunamente collegato al marciapiede o al percorso pedonale, che evidentemente a sua volta deve essere conforme alle indicazioni dei due decreti (Fig. 7);

• per i posti auto riservati disposti parallelamente al senso di marcia, la lunghezza dello stallo deve essere tale da consentire il passaggio di un utente su sedia a rotelle tra un veicolo e l’altro; il requisito si intende soddisfatto se il posto auto ha lunghezza almeno pari a 6 m (Fig. 8); in tale situazione, il posto auto per disabili può mantenere una larghezza pari a quella dei normali posti auto.

Da questi primi punti si deduce che la misura di 3,20 m (misura minima che può essere aumentata a discrezione del progettista) deriva da una valutazione dell’ingombro del veicolo di circa 170 cm, cui si affianca in adiacenza uno spazio di 150 cm necessario per le manovre dell’eventuale carrozzina (e ovviamente del veicolo stesso).

Altresì i decreti legislativi evidenziano le seguenti prescrizioni:

• n tutti casi, i posti auto per disabili devono essere opportunamente segnalati, ubicati nei pressi del mezzo di sollevamento ed in posizione tale da cui sia possibile, in breve tempo, raggiungere in emergenza un luogo sicuro statico o una via di esodo accessibile;

• le rampe carrabili e/o pedonabili devono essere dotate di corrimano;

• la pendenza massima trasversale del parcheggio non deve superare il 5% (in caso contrario bisogna rispettare ulteriori specifiche prescrizioni qui omesse);

• per i parcheggi a raso all’aperto, i posti auto riservati, opportunamente segnalati, devono essere posizionati in aderenza ai percorsi pedonali e nelle vicinanze dell’accesso dell’edificio o dell’attrezzatura per cui vengono predisposti;

• la delimitazione e la segnalazione del posto auto devono avvenire mediante

strisce gialle e contrassegno sulla pavimentazione (apposito simbolo di utente su

carrozzina);

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• è preferibile dotare di copertura i posti riservati per i disabili, così da agevolare la manovra di trasferimento della persona su sedia a rotelle in condizioni atmosferiche non favorevoli.

Figura 7

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Figura 8

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