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1.2 - La situazione in Italia

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Academic year: 2021

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CAP. 1 – Introduzione

1.1 - L’acqua nel mondo

L’acqua è la sostanza chimica più diffusa sulla superficie della Terra, si stima che ve ne siano dislocati circa 1,3 miliardi di metri cubi ma nonostante ciò il mondo si sta avviando verso un periodo di scarsità idrica; questa affermazione è solo apparentemente contradditoria: l’acqua infatti, sebbene ricopra circa il 70% della superficie del globo terrestre, è dolce solo per il 3% mentre la parte restante possiede un contenuto salino troppo elevato affinché possa essere impiegata a scopi alimentari, agricoli o industriali (Biannucci, 1968).

Per di più c’è da aggiungere che l’acqua dolce è distribuita in modo alquanto disomogeneo, tanto che nello stesso continente possono coesistere aree desertiche ed aree estremamente umide.

Alcune organizzazioni internazionali quali la F.A.O. (Food and Agricolture Organization) e la W.H.O. (World Health Organization) hanno stimato che le risorse idriche della Terra sarebbero di per sé sufficienti a soddisfare il fabbisogno umano ma che proprio la disomogeneità della loro distribuzione è causa in alcune aree di carenze idriche persistenti, talvolta aggravate anche da particolari situazioni climatiche, demografiche o geo-politiche.

Si ritiene che tutta l’acqua dolce prelevata dai fiumi, dai laghi e dalle falde venga così impiegata: la maggior parte, circa il 70%, è destinata alla pratica agricola, il 22% alle attività industriali ed alla produzione di energia, mentre solo l’8% all’alimentazione umana ed all’igiene(Monti, 2006).

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Uno studio della F.A.O. avverte che le aree nelle quali si sta per innescare una “crisi idrica” sono localizzate anche sulle sponde del Mar Mediterraneo: sono a rischio soprattutto la Spagna meridionale, la Grecia, la Turchia ed Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa.

Dal momento che quasi tutte le risorse idriche sono oramai conosciute e sfruttate, il problema idrico non può che essere risolto a monte, ovvero risparmiando la risorsa disponibile o impiegando fonti alternative, come le acque reflue, le acque di drenaggio o quelle marine.

Allo stesso tempo occorre che i Paesi e le aree interessate dalla penuria idrica modifichino sensibilmente i propri metodi di coltura attraverso l’innovazione tecnologica, in modo da massimizzare il rapporto tra produzione agricola ed acqua impiegata.

Dallo scenario mondiale appena descritto si può comprendere come sia attuale il problema della gestione della risorsa idrica, intendendo con questo termine il complesso delle infrastrutture, della scelte programmatiche e delle tecniche di risparmio atte a consentire che tutte le popolazioni del pianeta abbiano a disposizione i quantitativi di acqua necessari non solo alla loro stretta sopravvivenza ma anche al loro corretto sviluppo sociale ed economico.

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1.2 - La situazione in Italia

Secondo una stima del CNR-IRSA (Centro Nazionale di Ricerca-Istituto di Ricerca Sulle Acque) nel 2015 l’impiego della risorsa idrica nel nostro Paese sarà così ripartito:

Tabella 1.1 – Sfruttamento della risorsa idrica in Italia.

Allo stato attuale gli acquedotti servono il 96% della popolazione nazionale e garantiscono in media una dotazione idrica pro capite di poco inferiore ai 300 litri/giorno per abitante.

L’acqua erogata è di buona qualità, proveniente per l’85% da pozzi e sorgenti mentre il restante 15% è prelevato da corsi d’acqua superficiali o da invasi.

Le perdite rappresentano, però, una frazione cospicua dell’acqua immessa in rete e ciò è imputabile soprattutto alla scarsa tenuta delle condotte che in molti comuni hanno un’età prossima ai 50 anni.

Un aspetto da segnalare è che la buona dotazione idrica nasconde significative disuguaglianze geografiche tra nord e sud Italia: basti pensare che a quasi il 30% delle famiglie del Mezzogiorno non è ancora garantito un accesso diretto o continuativo all’acqua.

Un campanello d’allarme è poi rappresentato dai cambiamenti climatici che stanno interessando da qualche tempo anche il nostro

Uso Consumo ( miliardi di m3/anno) %

Civile 7.6 14

Irriguo 26.2 49

Industriale 13.3 25 Energia 6.4 12

Totale 53.5 100

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Paese: nel decennio 1994-2004 le precipitazioni atmosferiche sul territorio nazionale sono diminuite del 10% rispetto alle medie storiche conosciute ed allo stesso tempo i deflussi superficiali hanno subito un decremento del 20%. Questo fatto pone in evidenza come i diversi sistemi idrici attualmente in esercizio, dai più semplici a quelli più complessi e geograficamente estesi, potrebbero incontrare nel prossimo futuro notevoli difficoltà nel fornire le prestazioni attese, il che avrebbe come conseguenza l’innescarsi di crisi idriche al momento latenti (Relazione annuale al Parlamento sullo stato dei servizi idrici, 2005).

1.3 - La situazione nel distretto di Frosinone

Al giorno d’oggi tutte le necessità idriche dell’agglomerato industriale di Frosinone sono soddisfatte, tuttavia le Autorità territoriali temono che da qui a pochi anni i consumi idrici diverranno superiori alla disponibilità della risorsa a causa dell’incremento di insediamenti produttivi previsto dopo la realizzazione di nuove infrastrutture viarie e commerciali.

Sebbene l’agglomerato industriale di Frosinone sia servito da un acquedotto consortile, gran parte delle attività insediate ha preferito utilizzare come fonte primaria di approvvigionamento i pozzi scavati nei propri lotti di assegnazione o, in taluni casi, le acque del fiume Sacco.

La scelta di preferire le acqua di falda e di fiume è stata suggerita da una valutazione di carattere prettamente economico: queste acque

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sono infatti gratuite, di ottima qualità e finora disponibili in quantità più che sufficiente per gli attuali utilizzi, mentre quella erogata dall’acquedotto consortile è soggetta ad una tassa sul prelievo.

La continua e soprattutto incontrollata attività estrattiva delle acque sotterranee ha prodotto nel corso degli anni delle situazioni di crisi il cui primo sintomo evidente è stato il progressivo abbassamento del livello della falda stessa.

Ciò è stato evidenziato dalla difficoltà di emungimento segnalata da alcuni pozzi, tra l’altro di modesta profondità (60-80 metri), ad uso domestico od agricolo situati in aree rurali adiacenti l’insediamento industriale.

Inoltre, se lo sfruttamento delle acque sotterranee dovesse rimanere inalterato nel corso degli anni o addirittura venire incrementato, la risorsa potrebbe ben presto scarseggiare e questa sua carenza costituirebbe un disincentivo all’insediamento di nuove attività, causando un danno economico ragguardevole per l’economia di tutta la provincia.

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1.4 - L’ipotesi d’ intervento

Dal momento che nell’area industriale di Frosinone non esistono altre fonti naturali di approvvigionamento idrico, è necessario innanzitutto procedere ad ottimizzare lo sfruttamento della risorsa disponibile, ma allo stesso tempo occorre provvedere a reperirne altre di tipo non convenzionale.

Una fonte alternativa di approvvigionamento potrebbe essere rappresentata dalle acque effluenti dal depuratore consortile industriale situato nel comune di Ceccano: tali acque, una volta opportunamente trattate, potrebbero essere reintrodotte a monte dei cicli produttivi che le hanno generate; così facendo sarebbero trasformate da prodotto di scarto a nuova risorsa idrica per l’area industriale.

Un’ipotesi di intervento del tipo appena descritto viene solitamente indicata nella letteratura tecnica con il termine epicresi:

questo vocabolo, di chiara ispirazione neo-classica, venne coniato agli inizi degli anni ‘60 attraverso la fusione della preposizione greca επι, che vuol dire “di nuovo”, e del verbo κραομαι, che nella sua accezione più comune significa “utilizzare“. Un vantaggio dell’epicresi è che sono le direzioni tecniche delle stesse aziende coinvolte ad indicare la qualità dell’acqua necessaria, limitando così gli interventi sull’effluente ai soli trattamenti indispensabili per eliminazione delle sostanze potenzialmente nocive alle attrezzature o al ciclo di produzione (Biannucci, 1968).

Le acque reflue recuperate attraverso il processo di epicresi potranno trovare applicazione nella fase di lavaggio dei prodotti, nel

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raffreddamento delle macchine a ciclo termico, nella produzione di vapore, nel servizio antincendio o nel lavaggio dei piazzali e dei veicoli di trasporto: ovvero tutte quelle applicazioni tecniche per le quali non è indispensabile l’impiego di acque di elevata qualità come quelle estratte dagli acquiferi sotterranei.

L’elevato valore delle acque di falda per scopi idropotabili è una conseguenza della lentezza con cui avviene il loro accumulo: le acque meteoriche penetrano nel sottosuolo e circolano al suo interno muovendosi con velocità di filtrazione estremamente basse; ciò consente ai terreni attraversati di asportare le sostanze inorganiche sospese, di mineralizzare le acque e di ridurre la presenza di microrganismi per effetto delle avverse condizioni ambientali (basse temperature e mancanza di ossigeno) cui questi vanno incontro col procedere della percolazione. Per effetto del potere depurativo dei terreni le acque di falda raggiungono standard di purezza che nessun altra acqua può vantare.

Il risparmio di acqua atteso attraverso l’epicresi dovrebbe essere sufficiente a ripristinare, almeno parzialmente, il livello originario della falda; la validità di questa ipotesi potrà essere accertata solo nel medio-lungo periodo in relazione all’entità dei volumi preservati dall’uso industriale. Si potrebbe anche pensare di impiegare l’acqua risparmiata per alimentare, dopo un eventuale trattamento di potabilizzazione, le reti di acquedotti che servono i comuni limitrofi l’area industriale, allorquando nei mesi estivi si verifica una cronica carenza idrica che costringe l’ente gestore del servizio idrico ad effettuare una turnazione tra i diversi quartieri.

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1.5 - Esperienze di recupero

In Italia gli impianti di recupero e riutilizzo delle acque reflue sono ancora poco diffusi, specie se si confronta il loro numero con quello degli impianti presenti in altri Paesi con un grado di sviluppo tecnologico simile al nostro.

Gli stati all’avanguardia nel settore del recupero delle acque reflue sono Israele e gli Stati Uniti: in questi Paesi, oltre che il riuso a scopo agricolo ed industriale, è stato sperimentato un recupero a scopo potabile attraverso lagunaggi seguiti da trattamenti di potabilizzazione spinta e reimmissione diretta in acquedotto; più frequentemente il recupero è stato finalizzato alla ricarica delle le riserve idriche sotterranee attraverso l’infiltrazione su terreni permeabili o l’iniezione diretta in falda.

Applicazioni meno consuete si segnalano in Paesi emergenti come ad esempio l’india, dove nella capitale Bombay è stato realizzato un impianto di recupero delle acque reflue civili provenienti da edifici multipiano destinate ad alimentare gli impianti di condizionamento degli stessi complessi abitativi: gli scarichi bypassano lo scarico nella fognatura municipale e vengono inviati alla linea di trattamento che comprende una fase biologica ad aerazione prolungata, un trattamento chimico, una sedimentazione, un filtraggio su sabbia e infine una disinfezione con cloro; l’aspetto peculiare dell’impianto è che stato realizzato al di sotto del piano stradale, minimizzando così gli ingombri e l’impatto estetico sul quartiere (Shuval, 1977).

Tra gli impianti esistenti in Italia si ritiene opportuno segnalarne

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due: quello gestito dalla società S.M.A.T, situato nel comune di Settimo Torinese, e quello gestito dalla società G.I.D.A., localizzato nel comprensorio industriale di Prato.

L’impianto di depurazione di Settimo torinese è il più grande d’Italia, tratta una portata media di 24.000 mc/h ed ha una potenzialità di oltre due milioni di abitanti equivalenti; le acque in ingresso sono sottoposte alle operazioni di grigliatura, dissabbiatura e desoleazione, sedimentazione primaria, pre-denitrificazione, ossidazione biologica e nitrificazione con simultanea rimozione del fosforo mediante dosaggio di sali di ferro ed infine passaggio dell’effluente attraverso filtri multistrato. I rendimenti di rimozione conseguiti sono molto elevati, oscillano infatti tra un minimo dell’85% per l’ammoniaca ed un massimo del 95% per i solidi sospesi; ciò ha consentito di poter attuare il riuso industriale di parte delle acque dell’effluente attraverso una semplice disinfezione con ipoclorito di sodio. Attualmente la portata di acqua recuperata è di circa 1800 mc/h ed è impiegata dalle industrie della zona come acqua di raffreddamento e come acqua di processo per la produzione di carta e farmaci (Zanetti e Genon, 2004).

L’area industriale di Prato è nota per avere una spiccata propensione all’imprenditoria tessile; nel 2005 il suo fabbisogno idrico ha raggiunto quota 15 milioni di mc, ed è stato soddisfatto mediante i prelievi dall’alveo del fiume Bisenzio e dalla falda. Le acque reflue dell’area industriale vengono trattate, assieme a quelle di origine civile della città, in due impianti distinti: quello di Baciacavallo, costruito nella parte sud di Prato ed avente una capacità depurativa di 750 mila abitanti equivalenti, e quello di Calice, situato nella parte ovest ed avente una capacità depurativa pari a 100 mila

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abitanti equivalenti.

Il recupero dell’effluente dell’impianto di Baciacavallo a scopi industriali è stato realizzato con un duplice fine: limitare i prelievi da falda e diminuire l’impatto degli scarichi sui corpi idrici recettori; dal punto di vista tecnico i trattamenti terziari di affinamento comprendono una chiari-flocculazione, una filtrazione su sabbia ed antracite, un adsorbimento su carboni attivi ed un’ossigenazione finale.

Per limitare la concentrazione salina nell’effluente, caratteristica dei reflui delle attività tessili, si è provveduto a miscelare le acque recuperate con un 30% di acque del fiume Bisenzio o emunte da pozzi di sub alveo; questo espediente ha ridotto il quantitativo di risorsa idrica naturale preservata dallo sfruttamento, ma ha consentito di contenere i costi di trattamento evitando di ricorrere ad un dispendioso trattamento di osmosi inversa, necessaria per l’abbattimento dei cloruri.

Per l’emissario dell’impianto di depurazione di Calice è in fase di studio un progetto di affinamento che ne consenta l’impiego nell’attività florovivaistica della piana pistoiese, preservando la falda a scopi idropotabili ed attenuando il carico inquinante che si riversa quotidianamente nel fiume Ombrone (Bitozzi e Coppini, 2004).

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1.6 – La normativa internazionale sul riuso

La normativa internazionale si è fin ora occupata direttamente solo del problema del riuso in ambito agricolo dei reflui recuperati, tralasciando il riuso a scopi civili ed industriali.

Esistono sostanzialmente due tipi di approcci al problema della definizione dei criteri per il reimpiego dei reflui: uno fa riferimento alle linee guida emanate dal W.H.O. nel 1989, l’altro fa riferimento ai criteri proposti dalla Stato della California nel cosiddetto “Title 22”

del 1978 e poi confermati nel “California Water Recycling Criteria”

del 2000. I criteri proposti dal W.H.O. sono quelli meno esigenti in quanto consentono di impiegare i reflui anche dopo trattamenti non particolarmente spinti e quindi con costi relativamente contenuti; per questi motivi sono stati recepiti ed applicati in quei Paesi del bacino del Mediterraneo con un indice di avanzamento tecnologico

relativamente basso come Cipro, Marocco e Tunisia (Mancini et al., 2006).

Al contrario, i criteri proposti dallo Stato della California promuovono il raggiungimento di elevati standard di qualità delle acque recuperate al fine di minimizzare i rischi per la salute umana, per l’ambiente, nonché a consentire pratiche di riuso più ampie possibile; naturalmente ciò comporta un aggravio sia sulla complessità degli impianti tecnologici che sui loro costi di gestione, ed è per tali regioni che le direttive californiane sono state recepite soprattutto dai Paesi con livello di industrializzazione elevato quali Israele, Sudafrica, Giappone ed Australia.

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La legislazione europea è attualmente carente di una regolamentazione specifica sul riuso delle acque reflue, pertanto quasi tutti i Paesi appartenenti alla Comunità Economica Europea hanno fatto proprie le linee guida del W.H.O. integrandole, però, con provvedimenti che limitano le possibili applicazioni delle acque recuperate ed imponendo dei vincoli più restrittivi sui trattamenti da eseguire, in modo tale da garantire una maggiore tutela della salute pubblica (Mancini et al., 2006).

L’atto comunitario più recente nel settore delle acque è la direttiva 2000/60 CE emanata alla fine dell’anno 2000; il suo obiettivo è realizzare un quadro comunitario di interventi per la tutela delle acque superficiali, di transizione, di quelle sotterranee e costiere.

La direttiva si inserisce perfettamente nell’ambito della politica ambientale della Comunità Economica Europea che mira alla salvaguardia ambientale nonché ad un utilizzo accorto e razionale delle risorse disponibili.

La direttiva 2000/60 CE concede agli Stati membri un lasso di tempo di tre anni, a partire dalla sua data di pubblicazione, affinché ne recepiscano i contenuti e fissa una serie di scadenze temporali entro le quali ciascuna sua parte dovrà trovare applicazione: la prima scadenza è stata fissata all’anno 2003 e l’ultima nel 2015, anno in cui

le acque comunitarie dovranno aver raggiunto lo stato di qualità buono.

Anno Programma di applicazione della direttiva 2000/60 CE 2003 Istituzione dei distretti idrografici e individuazione

dell’autorità competente

2004 Analisi dei distretti idrografici

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2006 Realizzazione del programma di monitoraggio

2009 Adozione del piano di gestione del bacino idrografico

2012 Applicazione del programma delle azioni identificate nel piano di gestione

2013 Revisione ed aggiornamento dei dati raccolti nella campagna del 2006

2015 Esame dei risultati del monitoraggio

2015 Dichiarazione sul buono stato di salute delle acque

2015 Revisione ed aggiornamento dei piani di gestione dei bacini

1.7 - La normativa italiana sul riuso

A livello nazionale il primo atto normativo in materia di riutilizzo delle acque reflue è stata la Legge Galli del 1994 che ha riordinato il settore idrico, stabilendo la priorità degli usi domestici nell’utilizzazione delle risorse idriche naturali ed indicando le acque recuperate come fonti alternative per soddisfare i fabbisogni agricoli ed industriali.

Successivamente gli stessi principi cardine della legge Galli sono stati ribaditi dal D.Lgs n°152 dell’11 maggio 1999 recante

“Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento”, in particolare la tecnica del riutilizzo è disciplinata nell’art. 26 dove se ne elencano le finalità:

• limitare il prelievo delle acque superficiali e sotterranee

• ridurre l’impatto delle acque superficiali

• favorire il risparmio idrico mediante l’utilizzo multiplo delle acque reflue

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In attuazione dell’art. 26 del D.Lgs 152/1999 venne emanato il D.M.n°185/2003 costituito da 15 articoli contenenti le norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue.

Il D.Lgs. n°152 del 2006, dal titolo “Norme in materia ambientale”, ha abrogato il decreto del 1999 prevedendo, tra l’altro, l’emanazione di nuove norme tecniche sul riutilizzo delle acque reflue pubblicate il 2 maggio del 2006.

In realtà le nuove norme tecniche mantengono quasi pedissequamente sia la struttura che i contenuti di quelle precedenti e per completezza si riportano i contenuti salienti di ciascun articolo:

art. 1 – Vengono illustrati i principi ispiratori e le finalità del provvedimento legislativo, in particolare si chiarisce che il riutilizzo delle acque reflue ha lo scopo primario di tutelare le risorse idriche sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo attraverso una riduzione del prelievo delle acque superficiali e sotterranee, riducendo l’impatto ambientale degli scarichi sui corpi idrici recettori.

art. 2 – Si danno alcune definizioni per una migliore

comprensione del decreto:

recupero: è la riqualificazione di un’acqua reflua mediante un adeguato trattamento depurativo al fine di renderla idonea alla distribuzione per riutilizzi specifici;

riutilizzo: è l’impiego di acqua reflua recuperata di determinata qualità per specifica destinazione d’uso attraverso una rete di distribuzione che sostituisca parzialmente o in toto l’approvvigionamento da acqua superficiale o di falda.

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art. 3 – Si definiscono le destinazioni d’uso ammissibili per i reflui recuperati:

9 uso irriguo, per l’irrigazione di colture destinate sia alla produzione di alimenti per il consumo umano ed animale sia a fini non alimentari, nonché per l’irrigazione di aree destinate a verde o ad attività ricreative e sportive.

9 uso civile, per il lavaggio delle strade nei centri urbani, per l’alimentazione dei sistemi di riscaldamento, per l’alimentazione delle reti duali di adduzione, separate da quelle delle acque potabili, con esclusione di utilizzazione diretta negli edifici civili ad eccezione degli impianti di scarico dei servizi igienici.

9 uso industriale, come acqua di processo,antincendio, di lavaggio e per i cicli termici dei processi industriali, con esclusione degli usi che comportano un contatto tra le acque reflue recuperate e gli alimenti o i prodotti farmaceutici ed i cosmetici.

art. 4 – Si indicano le qualità chimico-fisiche che le acque reflue devono possedere all’uscita dall’impianto di recupero; si ammette inoltre che in caso di acque destinate ad uso industriale le parti interessate possano concordare limiti specifici in relazione alle esigenze dei cicli produttivi nei quali le acque stesse verranno impiegate.

art. 5 – Indica le Regioni quali enti deputati alla pianificazione delle attività di recupero delle acque reflue a fini di riutilizzo.

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art. 6 – Si dettano prescrizioni affinché l’impianto di recupero rispetti i valori limite e la normativa regionale di attuazione.

art. 7 – Si assegna al titolare dell’impianto di recupero l’onere di monitorarne il corretto funzionamento, effettuando un numero di controlli non inferiore a quelli previsti dalla legge.

art. 8 – Si prescrive che, qualora non venga effettuato il riutilizzo dell’intera portata trattata, l’impianto di recupero debba prevedere uno scarico alternativo delle acque reflue trattate tale da garantire al corpo idrico recettore un certo standard qualitativo.

art. 9 – Si indicano alcune prescrizioni circa le reti di distribuzione delle acque recuperate ed in particolare che:

9 siano separate da quelle destinate alla distribuzione di acqua ad uso umano al fine di evitare rischi di contaminazione

9 siano adeguatamente contrassegnate ed indicate con segnaletica verticale

art. 10 – Si subordina l’impiego ad uso irriguo dei reflui trattati al codice di buona pratica agricola e si stabilisce che gli apporti di azoto derivanti dall’impiego di acque recuperate concorrono al raggiungimento dei massimi carichi ammissibili stabiliti dalla normativa nazionale e regionale; inoltre in caso di impieghi multipli è compito del titolare della distribuzione delle acque recuperate informare gli utenti sulle modalità d’impiego della risorsa, sui vincoli e sui rischi connessi ad un suo uso improprio.

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art. 11 – Si prescrive che l’onere di controllare gli effetti ambientali, igienico–sanitari, agronomici e pedologici sia a carico del titolare della rete di distribuzione delle acque recuperate.

art. 12 – Regola i rapporti tra il titolare dell’impianto di recupero ed il gestore della rete di distribuzione; si prescrive che il primo conferisca al secondo l’acqua reflua trattata senza oneri aggiuntivi, a meno che l’acqua stessa non sia destinata esclusivamente ad uso industriale, nel qual caso gli oneri aggiuntivi di trattamento sostenuti per conseguire limiti più restrittivi sono a carico del gestore della rete.

art. 13 – Si assegna alle Regioni il compito di trasmettere al Ministero dell’Ambiente tutte le informazioni conoscitive relative all’attuazione delle presenti norme tecniche.

art. 14 – Stabilisce delle deroghe sul parametro Escherichia Coli valide per un periodo di tre anni dall’entrata in vigore di questo regolamento.

art. 15 – Stabilisce delle disposizioni di salvaguardia riguardanti le Province autonome di Trento e Bolzano e le Regioni a statuto speciale che provvedono al raggiungimento delle finalità indicate nell’art.1 in modo conforme ai propri ordinamenti.

In un apposito allegato vengono definiti i requisiti minimi di qualità delle acque in uscita dall’impianto di recupero:

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Parametro inquinante Unità di misura Valore limite

PH 6 - 9,5

SAR 10

Materiali grossolani Assenti

Solidi sospesi totali mg / L 10

BOD5 mg / L 20

COD mg / L 100

Fosforo totale mg / L 2

Azoto totale mg / L 15

Azoto ammoniacale mg / L 2 Conducibilità elettrica μS / cm 3000

Alluminio mg / L 1

Arsenico mg / L 0,02

Bario mg / L 10

Berillio mg / L 0,1

Boro mg / L 1,0

Cadmio mg / L 0,005

Cobalto mg / L 0,05

Cromo totale mg / L 0,1

Cromo VI mg / L 0,005

Ferro mg / L 2

Manganese mg / L 0,2

Mercurio mg / L 0,001

Nichel mg / L 0,2

Piombo mg / L 0,1

Rame mg / L 1

Selenio mg / L 0,01

Stagno mg / L 3

Tallio mg / L 0,001

Vanadio mg / L 0,1

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Zinco mg / L 0,5 Cianuri totali ( CN ) mg / L 0,05

Solfuri mg / L 0,5

Solfiti mg / L 0,5

Solfati mg / L 500

Cloro attivo mg / L 0,2

Cloruri mg / L 250

Fluoruri mg / L 1,5

Grassi ed oli animali/vegetali mg / L 10

Oli minerali mg / L 0,05

Fenoli totali mg / L 0,1

Pentaclorofenolo mg / L 0,003 Aldeidi totali mg / L 0,5 Tetracloroetilene,tricloroetilene mg / L 0,01

Solventi clorurati totali mg / L 0,04

Trialometani mg / L 0,03

Solventi organici aromatici totali mg / L 0,01

Benzene mg / L 0,001

Benzo(a)pirene mg / L 0,00001 Solventi organici azotati totali mg / L 0,01

Tensioattivi totali mg / L 0,5 Pesticidi clorurati ( ciascuno ) mg / L 0,0001

Pesticidi fosforiti ( ciascuno ) mg / L 0,0001 Altri pesticidi totali mg / L 0,05

Escherichia Coli UFC / 100mL 100 Salmonella UFC / 100mL assente

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Al termine del breve excursus normativo appare utile fare alcune considerazioni:

¾ i vincoli fissati dal regolamento per i parametri chimico-fisici in uscita dall’impianto di recupero non sono molto severi, specie se confrontati con quelli imposti dal D.Lgs.n°152/2006 agli scarichi degli impianti di depurazione civile;

¾ l’articolo 12 del regolamento non esclude la possibilità che in futuro possano nascere degli oneri di recupero anche a carico di chi versa le acque nell’impianto di depurazione; pertanto potrebbe verificarsi il caso che soggetti pubblici o privati che non sono destinatari delle acque recuperate, siano invece costretti a sostenere dei costi in relazione a benefici di cui godranno solo aziende agricole o industrie;

¾ le norme transitorie contenute nell’articolo 14, sulla deroga temporale del parametro Escherichia Coli ai limiti indicati nella tabella allegata al regolamento, suscitano delle perplessità in quanto configurano una violazione del principio di precauzione nei confronti della salute pubblica sancito dal diritto Comunitario;

¾ infine, va osservato che il regolamento attuativo non è in grado di garantire né di fare previsioni circa i tempi entro cui potranno manifestarsi i primi benefici di risparmio idrico e riduzione dell’impatto ambientale sui corpi recettori; una concreta attuazione del regolamento è infatti subordinata al completamento, da parte dei soggetti coinvolti, delle opere infrastrutturali necessarie alla produzione ed alla distribuzione delle acque recuperate.

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