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La piena ed effettiva equiparazione tra figli nati all’interno del matrimonio e figli nati al di fuori di esso non poteva più essere rimandata

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Academic year: 2021

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Conclusioni.

Al termine di questa trattazione, merita focalizzare l’attenzione prima di tutto sugli aspetti positivi, indubbiamente presenti, della legge 219/2012.

La piena ed effettiva equiparazione tra figli nati all’interno del matrimonio e figli nati al di fuori di esso non poteva più essere rimandata.

La riforma ha infatti rappresentato una tappa indispensabile per adeguare il nostro ordinamento giuridico alle indicazioni provenienti da fonti sovranazionali, in particolare dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, e alla normativa adottata in materia di filiazione dalla maggior parte dei paesi europei.

A mio parere, le novità più significative della riforma consistono nella riformulazione degli artt. 74 e 258 c.c.; grazie infatti alla rinnovata veste di queste due disposizioni, viene eliminata una delle più macroscopiche discriminazioni a carico dei figli nati fuori dal matrimonio.

Costoro, adesso, non hanno più soltanto un legame giuridico con il genitore che li ha riconosciuti o nei confronti del quale è stata giudizialmente accertata la paternità o maternità, ma vantano dei veri e propri rapporti giuridici anche con i parenti dei genitori.

Viene così rispettato il fondamentale diritto di ogni minore ad una famiglia, tale non solo dal punto di vista affettivo, ma anche giuridico, a prescindere dal fatto che il figlio sia stato generato da genitori sposati fra di loro o meno.

La legge 219/2012 ha recepito le istanze provenienti dalla società, prendendo atto dei cambiamenti in questa avvenuti.

La nascita di un figlio da genitori non sposati non rappresenta più un fenomeno marginale e non è più, come in passato, percepito come un fatto riprovevole.

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La nuova realtà sociale ha contribuito a farci percepire come non più accettabile la discriminazione dei figli solo per il fatto di essere nati da genitori non sposati; la legge n. 219 non poteva far altro che prendere atto di questi cambiamenti, ormai profondamente radicati nella coscienza sociale.

Il fatto che il legislatore abbia eliminato le più macroscopiche differenze tra figli nati all’interno del matrimonio e figli nati al di fuori di esso, non vuol dire necessariamente che abbia perso rilevanza e sia stato svilito l’istituto matrimoniale, in contrasto con quanto previsto dalla Costituzione all’art. 29.

Bisogna infatti sempre tener ben distinti i due piani, quello orizzontale del rapporto tra coniugi, e quello verticale tra genitori e figli.

Le novità introdotte con riferimento a quest’ultimo piano non si ripercuotono necessariamente sul primo.

È fondamentale, secondo me, che ad ogni figlio, per il solo fatto della procreazione, sia riservato lo stesso trattamento giuridico; ma ciò non incide, a monte, sul rapporto che lega i genitori tra di loro.

Che l’istituto matrimoniale abbia perso la sua centralità rispetto al passato è un dato di fatto dovuto a molteplici fattori, quali l’aumento esponenziale dei divorzi, una rilevante percentuale di coppie che convivono e condividono un progetto di vita comune ma decidono di non sposarsi, un mutato concetto di famiglia.

La realtà familiare odierna ci presenta una serie di fenomeni eterogenei, profondamente differenti l’uno dall’altro, non riconducibili ad unità; basti pensare, per fare solo un esempio, alle c.d. famiglie ricomposte, alle coppie omosessuali, alle coppie conviventi.

Tutto ciò, ha condotto la coscienza sociale a non percepire più il matrimonio come elemento fondante della famiglia; ma ciò non è dovuto né può riflettersi sul rapporto verticale genitore-figlio, che prescinde da queste considerazioni.

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Sicuramente, almeno fino a quando non sarà modificato il dettato costituzionale, la famiglia fondata sul matrimonio resta il modello tutelato e privilegiato dal nostro ordinamento.

Per questo motivo, anche se ritengo che sarebbe opportuno disciplinare in qualche modo le forme di convivenza diverse dal matrimonio, quest’ultimo deve mantenere le sue peculiarità dal punto di vista giuridico, una disciplina specifica ed effetti giuridici ben precisi, idonei a differenziarlo dalle altre realtà familiari.

Passiamo adesso ad analizzare gli aspetti negativi della legge 219/2012, in parte già messi in luce nel corso della trattazione.

A mio parere, a parte il fatto di essere giunta troppo tardi rispetto ai cambiamenti intervenuti nella coscienza sociale e negli ordinamenti di tutti gli altri paesi europei, la legge 219/2012 costituisce un intervento solo parziale e troppo frammentato, rispetto a quello che ci si poteva aspettare dopo tutto questo tempo.

L’idea è che questa riforma sia stata preparata ed approvata in modo troppo frettoloso, non badando alla tecnica utilizzata ed ai possibili inconvenienti.

Invece di predisporre una dettagliata e complicata delega al Governo, la legge 219/2012 avrebbe potuto egli stessa contenere una riforma organica e coerente della disciplina della filiazione e di tutte le materie connesse, interessate dalla riforma stessa.

Sicuramente, per fare ciò non sarebbero bastati i tempi, relativamente brevi, con cui è stata approvata la legge, e non sarebbero stati acquisiti tanto facilmente i necessari consensi di tutte le forze politiche.

Forse però, sarebbe valsa maggiormente la pena di aspettare altro tempo, ma avere alla fine una riforma della disciplina della filiazione e di tutte le materie connesse, organica, completa ed efficiente.

Quanto alle prospettive future, non resta che sperare che il legislatore intervenga sugli aspetti non presi in considerazione dalla riforma, o sui quali è intervenuto in modo solo parziale.

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Per prima cosa, penso che il legislatore provvederà a riformare la disciplina del cognome dei figli, vista la recente condanna riportata dall’ordinamento italiano a Strasburgo.

Ma ritengo anche indispensabile rivedere le norme in materia di costituzione dello status filiationis; tali disposizioni infatti prevedono regole diverse per i figli nati all’interno del matrimonio rispetto a quelli nati al di fuori di esso, in controtendenza rispetto alla disciplina predisposta al riguardo dalla maggior parte degli altri paesi europei.

Sarebbe preferibile introdurre anche nel nostro ordinamento il principio in base al quale il rapporto giuridico tra la madre ed il figlio si costituisce automaticamente in virtù del parto, conservando la facoltà della donna di partorire in anonimato.

Ciò a garanzia del diritto fondamentale del figlio di veder immediatamente costituito il rapporto giuridico con almeno uno dei genitori, senza dover attendere, nel caso di figlio nato fuori dal matrimonio, l’atto formale del riconoscimento o la relativa dichiarazione giudiziale.

In conclusione, ritengo che la legge 219/2012 ha il merito di aver finalmente sancito a chiare lettere, all’art. 315 c.c., lo statuto giuridico unitario di tutti i figli e quello di aver dato, in gran parte, concreta attuazione a tale principio, soprattutto grazie alla rinnovata formulazione degli artt. 74 e 258 c.c.

L’intervento riformatore però avrebbe potuto senz’altro essere più coraggioso e meditato, perché nella pratica raggiunge solo in parte l’obiettivo dichiarato a parole.

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