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L'inverno sul tuo viso: proposta di traduzione e analisi.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LINGUISTICA E TRADUZIONE

TESI DI LAUREA

L’INVERNO SUL TUO VISO:

PROPOSTA DI TRADUZIONE E ANALISI.

CANDIDATO

RELATORE

Martina Brocchini

Chiar.mo Prof. Enrico di Pastena

CONTRORELATORE

Chiar.ma Prof.ssa Rosa María García Jiménez

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RINGRAZIAMENTI

Non posso non ringraziare due persone importantissime nella mia vita e nella stesura di questo elaborato: mia mamma e mia sorella Alice, le mie instancabili correttrici di bozze. Avete sopportato la mia isteria, la mia irascibilità e la mia ansia, ma come sempre siete rimaste al mio fianco supportandomi, aiutandomi e consigliandomi. E sgridandomi quando era il caso, quando ho fatto delle sciocchezze (tipo rovesciare l’acqua sul portatile senza aver salvato l’ultima parte di lavoro, se ci ripenso muoio).

Grazie per le migliaia di telefonate e di mail per correggere il lavoro, anche a distanza, siete impagabili.

Questa tesi è anche vostra, ne siete parte fin dall’inizio e mi accompagnerete fino alla fine, non sarebbe stata la stessa cosa senza di voi.

Un ringraziamento speciale va ai miei professori che mi hanno seguita scrupolosamente, dall’idea primigenia fino alla fine; i vostri cosigli sono stati utilissimi e ne farò tesoro. Grazie!

Devo dire Grazie anche ad una persona che crede in me, moltissimo e mi ha incoraggiata durante questo percorso e senza la quale probabilmente l’elaborato non avrebbe questa forma: Carla Montero, autrice del romanzo e preziosa consigliera.

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INDICE

PREMESSA p. 3

PARTE 1: GUERRA CIVILE p. 4

CAPITOLO 1: Il conflitto in Spagna p. 5

1.1 Gli Antefatti p. 5

1.2 L’inizio della guerra p. 6

1.3 Le due Spagne p. 9

1.3.1 La Spagna Repubblicana p. 12 1.3.2 La Spagna Sollevata p. 15

1.4 Il Caudillo p. 18

1.5 Gli eventi p. 21

1.6 La fine della guerra p. 26 1.7 Le conseguenze della guerra p. 28 CAPITOLO 2. La guerra in El Invierno en tu rostro p. 30 2.1 Oviedo e le Asturie p. 30 2.2 La Granja de San Idelfonso p. 33 PARTE 2: EL INVIERNO EN TU ROSTRO p. 37 CAPITOLO 3: Introduzione al romanzo storico p. 38 3.1 Definizione del genere p. 38

3.2 Origini p. 42

3.3 Il Romanzo storico in Spagna p. 46 3.4 La Guerra Civile nei romanzi spagnoli contemporanei p. 52 CAPITOLO 4: El Invierno En Tu Rostro p. 60 4.1 Il romanzo p. 61 4.2 Trama p. 66 4.3 Analisi dei personaggi p. 67 4.4 La realtà nel romanzo: i luoghi e i fatti p. 71 4.5 Carla Montero: qualche cenno biografico p. 73

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PARTE 3: TRADUZIONE p. 76 CAPITOLO 5: Commento traduttologico p. 77 5.1 La traduzione: definizione del termine p. 77

5.2 Il Bable p. 82

5.3 Livello lessicale p. 85 5.4 Livello pragmatico p. 91 CAPITOLO 6: Proposta di traduzione p. 92

BIBLIOGRAFIA p. 206

DIZIONARI p. 208

APPENDICE 1: Intervista a Carla Montero p. 209

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PREMESSA

L’idea di questo elaborato nasce esattamente un anno fa, quando ho scoperto i romanzi di Carla Montero, un’autrice contemporanea spagnola. Leggendo El invierno en tu

rostro, fin dal primo momento sono rimasta affascinata dal modo in cui la scrittrice crea

una storia avvincente: ho amato particolarmente il coinvolgimento politico dei due protagonisti, con il loro spiccato senso del dovere, e soprattutto mi ha stupito piacevolmente l’assenza di giudizi negativi o positivi nei confronti dei due opposti schieramenti durante la Guerra.

Nel mio elaborato mi occuperò dell’analisi e della traduzione di una parte del romanzo spagnolo El invierno en tu rostro dell’autrice Carla Montero, con il relativo commento traduttologico, che occuperà un capitolo a sé stante.

Dedicherò una sezione alla trama del romanzo e alla trattazione del profilo dei personaggi, principali e secondari, e delle ambientazioni, basandomi sulle figure reali che hanno ispirato alcuni di essi così come i luoghi in cui avvengono i fatti narrati.

Dal momento che un terzo di questo romanzo, la parte oggetto di indagine, è ambientato durante la Guerra Civile, ho deciso di affrontare, seppure brevemente, questo significativo spartiacque storico, rivolgendo particolare attenzione agli eventi menzionati nel romanzo, come l’assedio di Oviedo, e ai luoghi pertinenti, suggeriti dall’autrice stessa nel corso dell’intervista che ho realizzato nel Giugno del 2017 a Madrid e che ripropongo in appendice.

Dalla trattazione della guerra civile prenderà le mosse lo studio critico sul romanzo e nella fattispecie sul romanzo storico. Cercherò di stabilire cosa si intenda oggi con questa etichetta e di indagare i motivi che ne hanno fatto ultimamente un genere da best- seller, provando inoltre a dare una classificazione del testo in esame: romanzo storico in senso stretto o in senso ampio? L’accento sarà posto soprattutto sui romanzi che trattano la Guerra Civile o sono ambientati in tale periodo, considerando brevemente le posizioni differenti adottate dagli scrittori durante il conflitto, dopo di esso (franchismo e transizione) e oggigiorno: perché la maggior parte degli autori contemporanei che non hanno vissuto la guerra, e alcuni di loro neanche il dopoguerra, scrive su questo tema?

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PARTE 1:

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Capitolo 1: IL CONFLITTO IN SPAGNA1 1.1 Gli antefatti

Il 16 febbraio 1936 il Fronte Popolare vince le elezioni amministrative in Spagna. A seguito di ciò, dopo due giorni si verifica un primo tentativo di rovesciare l’ordine stabilito da parte di forze di destra capeggiate da Gil Robles, tentativo che si rivela tuttavia fallimentare a causa dell’opposizione delle autorità civili, degli scarsi mezzi per metterlo in atto e della prudenza di alcuni alleati di Robles nel considerare di non avere l’unanimità dell’esercito schierato dalla loro parte.

A partire da marzo si diffonde a macchia d’olio tra le file dell’esercito più conservatrici, soprattutto tra generali e ufficiali, l’idea di una cospirazione ai danni del governo democraticamente eletto dal popolo. La maggior parte dei cospiratori, in primis il capo supremo Sanjuro e il “regista” Mola, appartiene alla categoria dei cosiddetti “militari africani”, coloro i quali hanno dato prova della propria abilità e del proprio valore durante la Guerra in Marocco; vi sono anche i monarchici Fanjul e Varela, i repubblicani conservatori Queipo de Llano e Cabanellas, iscritti al CEDA2, e i radicali Franco e Godet.

L’insurrezione prende forma tra aprile e maggio: l’idea del generale Mola è di far sollevare contemporaneamente a inizio estate tutti i militari dislocati sull’intero territorio spagnolo e nel giro di pochi giorni far cadere il governo centrale, avendo cura prima di spazzare via gli oppositori nelle città dichiaratamente socialiste o anarchiche. Nel frattempo, la compattezza della sinistra che ha permesso il trionfo di febbraio si sgretola poco a poco: a maggio viene destituito il presidente Alcalá- Zamora, sostituito da Azaña che lascia il suo posto di capo del governo a Casares Quiroga. La situazione politica che ribolle già da febbraio si fa sempre più tesa, con scontri continui tra falangisti e sindacalisti che degenerano in violenze in strada: si insinua così in un’ampia parte della società l’idea che bisognasse ripristinare l’ordine e la sicurezza, cosa che avrebbe potuto fare solo l’esercito. Nonostante queste premesse, tuttavia, la CNT3 sminuisce la portata del pericolo di un golpe e lo stesso Largo Caballero, forte della vittoria ottenuta quattro anni prima contro Sanjuro, sottovaluta la situazione. Il 12 luglio una squadra di simpatizzanti della                                                                                                                

1  Per questo capitolo mi sono avvalsa dei seguenti testi: Beevor, Antony La Guerra Civile spagnola; Tuñon de Lara, Manuel

Storia della repubblica e della Guerra Civile in Spagna; Moradiellos García, Enrique Historia mínima de la Guerra Civil española e Hugh, Thomas Storia della Guerra Civile spagnola.

2  Confederación  Española  Derecha  Autónoma.   3  Confederación  Nacional  del  Trabajo.  

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Falange uccide il socialista José Castillo: l’indomani, per tutta risposta, alcuni dei suoi sostenitori eliminano Calvo Sotelo.

1.2 L’inizio della guerra

Il 17 luglio nel protettorato spagnolo del Marocco gli ufficiali coinvolti nella ribellione delle guarnigioni di Melilla si sollevano e prendono il controllo della situazione, dichiarando lo stato di guerra: destituiscono, arrestano e in alcuni casi uccidono capi e ufficiali che provarono a resistere. Inizia così una delle pagine più buie della storia recente del paese: la Guerra Civile spagnola.

Sulla scia del successo dei militari insorti in Marocco, il 18 luglio prende il via anche la sollevazione canaria per mano del generale Franco: questi, una volta riportata la vittoria nelle Canarie, si dirige a Tetuán per prendere il comando delle truppe africane che, nel suo progetto, avrebbero dovuto passare lo stretto e dall’Andalusia dirigersi verso la capitale, piano però sfumato a causa della fedeltà della maggioranza dell’aviazione alla Repubblica e della perdita della flotta, dal momento che i vertici che hanno partecipato alla cospirazione, messi in minoranza, nulla possono contro il blocco dello stretto.

Tra il 17 e il 20 luglio la ribellione dell’esercito si estende anche alla Penisola. Il successo ottenuto in Marocco fa presagire ugual esito in Spagna ai sollevati, che contano su una guerra lampo, e tuttavia l’eterogeneità delle forze armate in campo fa svanire questa possibilità: nonostante infatti nella maggior parte delle città i militari e la Guardia Civil si uniscano all’insurrezione, a Madrid, Barcellona, Bilbao e in tutti quei luoghi in cui è forte l’influenza della sinistra l’esercito combatte strenuamente per difendere la Repubblica. Si profilano fin da subito due Spagne, i cui confini cambiano ad ogni battaglia. I nazionalisti vogliono conquistare con la forza tutta la Penisola e i repubblicani riprendersi i territori perduti, resistere e soffocare questi tentativi.

È l’Andalusia il terzo settore a cadere, quando il 18 luglio il generale Queipo de Llano prende il controllo di Siviglia. Segue il 19 l’insurrezione della Navarra guidata da Mola che può contare su un nutrito gruppo di carlisti; poi è la volta di Saragozza, Valladolid, Burgos, delle isole Baleari, della Galicia, della provincia di Vitoria, di Oviedo e di Toledo –per mano rispettivamente dei generali Cabanellas, Saliquet, Dávila, Goded, dei colonnelli Martín Alonso, Alonso Vega, Aranda e Moscardó.

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In soli quattro giorni i ribelli hanno avuto la meglio nelle colonie, nelle isole (con la sola eccezione di Minorca), in buona parte dell’Andalusia, nella frangia nord-ovest del paese, in Galicia, León, Castilla la Vieja, Navarra, Álava, nel nord dell’Extremadura e nella parte Ponente dell’Aragona: Si tratta di meno della metà dell’intera superficie spagnola, dalle altre parti hanno fallito.

Si sono create, di contro, due zone nettamente repubblicane: il nord in una striscia della costa cantabrica con l’esclusione di Oviedo, e la parte centro-orientale, capitanata dalle tre maggiori città Madrid, Barcellona e Valencia, comprendente la Catalogna, la fascia costiera fino a Málaga, l’interno della Castilla la Nueva e La Mancha. Qui la sollevazione è stroncata sul nascere perché parte dell’esercito e delle forze di polizia rimangono fedeli al governo legittimo e presto sono aiutate nella resistenza e nella lotta conseguente dalle milizie sindacaliste armate dai partiti di sinistra.

Certamente se il successo riportato dal generale Queipo de Llano si fosse diffuso in maniera rapida e omogenea a tutto il territorio peninsulare si sarebbe trattato di un colpo di stato come quello messo a segno nel 1923 da Primo de Rivera, fondatore della Falange Spagnola. Ma questa volta i sollevati non possono contare sull’unanimità dell’esercito.

Il fatto che nei primi giorni non si arrivò ad una vittoria schiacciante né da una parte né dall’altra – deludendo le aspettative di entrambe le fazioni – fu la chiave di volta nel passaggio dall’insurrezione alla Guerra Civile, la cui durata e il cui esito erano un’incognita per tutti. Una cosa era certa: nessuno era disposto a rinunciare né a fare un passo indietro, gli uni ampliando i territori conquistati, gli altri difendendo ciò che rimaneva e cercando di riprendersi ciò che era perduto. Nel luglio del ’36, di conseguenza, la situazione è di forte stallo.

Il 21 luglio 1936, quattro giorni dopo lo scoppio della guerra, quando è ormai evidente l’impossibilità di sedare la ribellione, iniziano i combattimenti anche sui monti segoviano-madrileni: da una parte lo scarso contingente ribelle, che prende Somosierra, dall’altra miliziani senza controllo e senza esperienza che si impossessano di Navacerrada e dell’Alto León.

Una serie di sfortunati insuccessi per i nazionalisti si verificano a Madrid, Barcellona, Valencia, Málaga e nel settore nord, sconfitti dall’unione vincente di esercito regolare e milizie civili. A Madrid il 20 luglio viene presa d’assalto la caserma de La Montaña ove il giorno prima si era barricato Fanjul con un pugno di soldati in attesa dell’aiuto di Mola, aiuto che non arriverà mai. A Barcellona tutta la regione rimane fedele a

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Madrid, tant’è che Goded, ivi giunto dalle Baleari, è costretto alla resa. A Valencia i sollevati devono fare i conti con una forte resistenza militare, e il 20 luglio, nella persona di Martínez Monje, viene reso noto da che parte hanno deciso di schierarsi. È la fine per i nazionalisti del sogno di prendere velocemente l’est.

Già ai primi di agosto regulares4 e legionari africani arrivano in Andalusia per via

aerea, e dopo aver affidato a Orgaz pieni poteri in Marocco, il 6 vi giunge anche Franco, che insediatosi a Siviglia prepara un duplice attacco, nella regione e a Madrid. La prima delle due offensive andaluse è affidata al colonnello Yagüe, che deve dirigersi a nord, sulla linea di confine con il Portogallo, e poi proseguire per la capitale; la seconda, più esigua, è rivolta verso sud agli ordini del colonnello Varela, che dapprima prende la città di Huelva, poi Algeciras e Cádiz e in seguito va in soccorso dei rivoltosi di Granada, assediati dai repubblicani.

Yagüe, le cui truppe erano divise in cinque colonne composte da circa millecinquecento tra legionari e regulares, aveva come obiettivo l’Extremadura: prima del 10 agosto si spinge fino alla città di Mérida, ma già dall’indomani le milizie cittadine rispondono con una controffensiva aiutati dalla Guardia Civil e dalle truppe di asaltos giunti da Madrid. Il 2 settembre Yagüe prende la valle del fiume Tago –il progetto di Franco consisteva nel raggiungere Madrid seguendo il corso del fiume– e marciando verso Levante si avvicina alla capitale, che il 3, dopo aver schiacciato la resistenza repubblicana con la conquista di Talavera de la Reina, è sempre più vicina e accessibile. Ciononostante, Franco, le cui truppe erano partite da Siviglia per Madrid il 1 agosto, passando per Badajoz (centro fondamentale per gli scambi con il Portogallo e con l’isolata frangia insorta al Nord), inaspettatamente, devia dal cammino prefissato puntando su Toledo. Questa deviazione gli consente, il 28 settembre, di liberare l’Alcázar, difeso strenuamente da un gruppo di uomini che appoggiava la ribellione e assediato dai repubblicani.

Nel frattempo il generale Mola occupa Irún e la frontiera francese isolando così la zona nord dove si erano venuti a creare due eserciti repubblicani: quello dei Paesi Baschi e quello delle Asturie e di Santander.

                                                                                                               

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1.3 Le due Spagne

All’inizio di agosto del 1936, una volta stabiliti i rispettivi confini, fu chiaro a tutti che il colpo di stato era sfociato in una sanguinosa Guerra Civile.

Appena scoppiato il conflitto si assiste a un brulichio di insurrezioni locali nella penisola che porta inevitabilmente alla rottura della macchina dello Stato, dal momento che da un lato alcuni tra i militari, i funzionari e i diplomatici statali avevano appoggiato la sollevazione in Marocco, mentre dall’altro il governo regolare non aveva preso le giuste precauzioni, sottovalutando la portata del problema.

José Giral, primo ministro dal 19 luglio al 4 settembre 1936, scioglie l’esercito, per paura forse che rispondesse ai capi insorti, e consegna le armi, di fatto, a civili desiderosi di ripristinare l’ordine sociale e politico nel Paese.

Fin dall’inizio si stabilisce un tacito accordo tra i borghesi di Giral, i socialisti di Prieto e i comunisti del PCE5 allo scopo di ripristinare il potere centrale, compresa l’economia, e annientare la rivoluzione, giacché la sua esistenza è alla base della mancanza di unità che mina l’istituzione e rallenta indicibilmente la difesa contro gli insorti. Giral infatti non è per niente persuaso né dai collettivi autogestiti, sorti ad opera dell’UGT6 e della CNT nella parte sud dei loro domini, né dall’idea che si sta diffondendo di spezzettare il potere centrale in favore di comitati locali.

Gli anarcosindacalisti e la UGT sono favorevoli alla rivoluzione, certi che avrebbe significato l’appoggio delle masse operaie, e sono assolutamente contrari a congedare le milizie volontarie in favore della creazione di un nuovo esercito regolare, a sciogliere giunte e comitati, a ridare pieni poteri alle forze dell’ordine, alla centralizzazione dell’economia e all’imposizione di rigide misure lavorative.

La divisa dei miliziani, membri generalmente dell’UGT o della CNT, era il cosiddetto mono azul, una tuta blu scuro, completata da sciarpe colorate o altri simboli che facessero capire a quale gruppo politico appartenessero: gli anarco-sindacalisti erano contrassegnati da nero e rosso, mentre il rosso era proprio di comunisti e socialisti; fu vietato vestirsi da borghese e indossare una cravatta poteva condurre a un arresto immediato. Da questo lato del fronte avere la tessera di un qualsiasi partito offriva vantaggi enormi: tutti i miliziani, provenienti principalmente da UGT e CNT, ma anche dalla sinistra                                                                                                                

5  Partido  Comunista  Español.   6  Unión  General  de  Trabajadores.  

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repubblicana, dai comunisti, dal POUM7 e dall’Esquerra catalana percepivano uno stipendio che ammontava a circa dieci pesetas al giorno, corrispettivo dello stipendio di un operaio specializzato, mentre quello dei capitani era maggiore. Soldi, questi, che provenivano prima dalle fabbriche dove gli uomini lavoravano, poi dal governo o dai sindacati: questo potere operaio comportò un grave danno per la già debole economia della zona che risentiva dell’abolizione della proprietà privata, attraverso espropriazioni e collettivizzazioni urbane e agrarie, e dell’abolizione del pagamento di debiti ai commercianti.

I ribelli, chiamati anche insorti, sollevati e nazionalisti, indossavano una camicia azzurra e i capi, i sergenti e i caporalmaggiori portavano le insegne corrispondenti al grado insieme a quelle dell’organizzazione acui appartenevano.

Questi avevano dalla loro diecimila ufficiali e diciassette generali dell’esercito. Certamente una delle cose che gioca a loro favore è l’appoggio delle forze dell’ordine: le truppe d’Africa, regulares e legionari che, annoverando tra le loro fila fuggiaschi e criminali, sono conosciuti per la loro ferocia; cinquantamila soldati metropolitani, più della metà dei carabineros, il quaranta per cento degli asaltos8 e più della metà della Guardia

Civil, le leve del servizio militare, per un totale complessivo di centotrentamila militari. Il tutto accompagnato dai volontari civili (organizzati da Falange, carlisti, monarchici e CEDA) ulteriore prova della natura civile del conflitto.

Il governo legittimo dalla sua ha cinquantamila soldati, di cui ventidue generali e settemila ufficiali e trentatremila paramilitari per un complessivo di novantamila persone. Esso conta inoltre sulle grandi città, sulle industrie di ogni genere con la relativa manodopera, la stragrande maggioranza della marina militare e mercantile, più della metà del territorio globale e le riserve auree. In questi territori viene messo in atto un processo di rivoluzione, nell’altra zona invece, si prepara uno stato militare alla cui guida come vedremo si porrà Franco.

Il 30 settembre 1936 in base ad una legge governativa l’esercito repubblicano mette in atto la militarizzazione delle milizie e diventa Esercito Popolare, tuttavia questo processo si concretizza solo a partire dal mese di dicembre. Nei primi mesi del 1937 i repubblicani hanno a disposizione un contingente di trecentoventimila uomini di cui

                                                                                                               

7  Partido  Obrero  de  Unificación  Marxista.  

8  Milizia  del  Ministero  degli  Interni  creata  nel  1931  per  difendere  la  Repubblica,  ma  che  passerà  alla  fazione  franchista   nel  corso  della  Guerra  Civile.  

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centotrentamila sul fronte sud, centomila su quello settentrionale, trentamila solo in Aragona, mentre la retroguardia è composta da circa ottantamila militari.

La Spagna repubblicana era la parte più densamente popolata, la più estesa, la più industrializzata, grazie al controllo della Catalogna e del nord, di contro quella nazionalista vantava il primo posto per quanto riguarda agricoltura e allevamento, dal momento che nelle aree rurali la sollevazione aveva attecchito velocemente: qui non si soffrirà mai la fame.

La situazione appare favorevole per i primi, anche in virtù del fatto che continuano ad esercitare il controllo su un elevato numero di banche nazionali (e sui depositi delle cinque maggiori) e soprattutto sulle riserve auree della Banca di Spagna.

Tuttavia questo apparente vantaggio repubblicano si rivela effimero: da una parte, le materie prime del Nord non possono arrivare alle industrie dell’Est, dovendo passare dal territorio nemico, dall’altra gli insorti, forti di una gestione interna centralizzata e disciplinata, contano sull’aiuto dell’Asse. Una volta che i nazionalisti prendono il nord hanno libero accesso alle miniere asturiane e alle industrie siderurgiche: si assicurano così, anche la produzione industriale, molto più efficace che dall’altra parte perché i padroni sono rimasti in Spagna. In generale la politica economica che attuano i sollevati è vincente, come il commercio istituito da Queipo de Llano in Andalucía, un comando rigido e centralizzato della produzione agricola, industriale e commerciale, o come la politica monetaria che riesce così a controllare l’inflazione.

È solo alla fine di agosto che i due schieramenti in guerra possono vedere nitidamente i confini delle rispettive aree di dominio: i ribelli hanno la zona che si estende dalla Galicia e dalla regione di León alla Navarra e all’Aragona, mentre la fascia costiera delle Asturie, della Biscaglia, del País Vasco e di Santander rimangono fedeli alla Repubblica, insieme a un piccolo territorio andaluso.

Dall’inizio è evidente la superiorità nazionalista nell’organizzazione e nella struttura dell’esercito, nella creazione di uno stato centralizzato atto a sostenere le difficoltà di una guerra e nell’unificazione della retroguardia impegnata anch’essa nella lotta.

Nella metà repubblicana Giral, oltre ad occuparsi della guerra in sé, deve tenere a bada la rivoluzione iniziata nella propria retroguardia che porta alla nascita di diversi enti creati dai sindacati e dalla sinistra che poco o nulla hanno a che fare con il governo centrale. Esempio lampante ne è la repressione dei nemici: le vittime della rabbia repubblicana sono gli ecclesiastici e i militari che hanno tradito lo stato insorgendo, i padroni borghesi e

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coloro che sono veramente o presuntamente di destra; la “pulizia” tra le fila dei nemici non è autorizzata dalla Repubblica, che cerca in ogni modo di bloccare quest’ondata di violenza ritenuta una vergognosa onta, bensì opera di singoli cittadini votati alla causa, prova dell’assoluta incapacità del governo di farsi valere.

A seguito della vittoria riportata al nord, i nazionalisti ora hanno uomini da mobilitare al centro della penisola e soprattutto il controllo delle industrie d’armi nel País Vasco e di quelle pesanti a Bilbao, nonché giacimenti di carbone e ferro. A questo punto Franco organizza un nuovo attacco sulla capitale.

Nel frattempo Largo Caballero con una legge del 18 ottobre stabilisce la nascita di «brigate miste», ognuna delle quali composta da circa quattromila persone: è la mossa che precede lo scioglimento delle milizie, sostituite da un esercito a tutti gli effetti. Il 6 novembre inoltre dà l’ordine di trasferire il governo da Madrid a Valencia, anche lui certo, come Prieto e Azaña –stabilitosi frettolosamente a Barcellona–, che Madrid sarebbe caduta di lì a poco. Il generale Pozas, futuro membro del PCE è incaricato di dirigere l’armata di Centro, mentre Miaja presiede la Giunta della Capitale e dal 6 novembre ha fatto del ministero delle Finanze il suo quartier generale e del colonnello Rojo il suo capo di stato maggiore.

1.3.1 La Spagna Repubblicana

Nei primi giorni del conflitto, senza l’ombra di un qualche controllo, la persecuzione di generali e complici del golpe fu atroce, veloce e impetuosa, così come quella nei confronti del clero, degli agrari, dei politici, dei padroni delle industrie, dei professionisti e dei commercianti, eventi ai quali i dirigenti della sinistra e i repubblicani cercarono di porre rimedio. In ogni caso è stato stimato approssimativamente che le vittime del cosiddetto “terrore rosso” furono trentottomila, metà delle quali solo tra Barcellona e Madrid e solo all’inizio del conflitto tra luglio e ottobre 1936.

In questo caos il 4 settembre Giral rassegna le dimissioni e la politica tutta è concorde nella scelta del sostituto: Largo Caballero. Questi mette insieme un governo, “Il governo della vittoria”, che spaziando tra centristi progressisti e sinistra rivoluzionaria viene considerato il simbolo del motto uniti contro il nemico comune. In questo governo si trovano anche tre socialisti sostenitori di Caballero (Prieto e due suoi seguaci

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socialdemocratici, tra cui il ministro delle Finanze Juan Negrín), due repubblicani di sinistra, tra cui Giral, un rappresentante dell’Esquerra Catalana, un indipendentista basco e due membri dell’Unione Repubblicana di centro.

Dato che non esisteva più un esercito ufficiale, entrano in campo le milizie, cioè volontari appartenenti a sindacati e partiti di sinistra, persone comuni che non hanno una disciplina e una preparazione militare. Queste milizie sono per natura indisciplinate, prive di esperienza e in molti casi anche non istruite e dopo poche settimane vedono ridotto drasticamente il numero dei volontari, ragion per cui i leader di sindacati e partiti, venendo incontro alle ripetute lamentele dei vertici delle milizie, decidono di ripristinare la vecchia gerarchia e disciplina militare. Grazie all’intervento di Largo Caballero il 5 settembre viene ricreato lo Stato Maggiore dell’Esercito, in mano a militari di professione che si facevano carico dell’onere della strategia di questa fazione; il 15 ottobre del 1936 si crea il Nuovo Esercito Popolare della Repubblica, interrompendo così la breve comparsa delle milizie; il 29 dello stesso mese si reintroduce il servizio di leva obbligatoria per gli uomini tra i diciannove e i quarantaquattro anni. Ciononostante ai repubblicani manca ancora capacità operativa, un centro di controllo dell’esercito, una qualsiasi parvenza di strategia e un’organizzazione generale.

Il 23 settembre 1937 Prieto, con una legge, stabilisce che le brigate internazionali siano inglobate dalla Legione Straniera spagnola, sottoposte perciò al codice militare, e ordina che gli ufficiali di tali brigate in ogni reparto siano distribuiti in modo equo con forze spagnole. La legge arriva in concomitanza con il malcontento sviluppatosi tra le fila dell’esercito a causa dell’egemonia incontrollata dei comunisti. Nell’autunno di quell’anno in questa zona si assiste ad una progressiva perdita di importanza dell’anarchia, all’isolamento dei catalani indipendentisti, a liti interne al partito socialista nonché al rafforzamento della polizia segreta.

Nel maggio dello stesso anno, a seguito della crisi politica e militare, Caballero rassegna le dimissioni ed è sostituito da Negrín. Questi diventa primo ministro il 17 maggio 1937 e nomina ministro della difesa Prieto, –di cui poi sarebbe divenuto acerrimo nemico– in quel momento molto vicino ai comunisti, tanto che era pronto a una collaborazione e a seguire i loro suggerimenti. Ancora sua è l’idea di fare del generale Rojo il nuovo capo di Stato Maggiore Centrale nonché unico fautore della difesa repubblicana. Questi parte dal presupposto che i nemici siano superiori sia materialmente sia militarmente ed è conscio dei numerosi problemi e difetti del proprio esercito; ciò che si prefigge di fare durante il suo mandato, d’accordo con la politica di Negrín, è rallentare il più possibile l’inevitabile

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vittoria franchista e la loro conseguente e bruciante sconfitta attraverso attacchi a sorpresa che, inutili da un punto di strategico, sono tuttavia indispensabili nell’ottica di stancare il nemico e distogliere la sua attenzione dagli obiettivi principali: il presidente infatti ha espressamente fatto richiesta di prendere tempo, speranzoso sempre che le circostanze cambiassero e la Spagna uscisse dall’isolamento o che scoppiasse la Guerra Mondiale, in modo da potersi alleare con le democrazie europee. Pur funzionando in parte questo trucco dissuasivo, a partire dal 1938 il susseguirsi di gravi perdite repubblicane e il mancato intervento dell’Europa portano al logoramento della vita nella retroguardia, a cui mancano soprattutto le scorte di cibo: si assiste a un calo della produzione delle industrie perché manca sia l’energia elettrica sia le materie prime, e tale logoramento si riflette nella totale sfiducia in una vittoria sia negli animi dei civili che, fatto ancor più grave, dei militari.

A partire dall’estate del 1938, entra in crisi il governo Negrín perché la gente è stanca e duramente provata dalla guerra, sfiduciata a causa della politica di non intervento delle potenze europee e sconfortata nella retroguardia dove si propaga sempre di più un sentimento comune di disfattismo. Si diffonde tra la maggioranza dei repubblicani l’idea che bisogna trovare a qualunque costo un accordo con i franchisti; Negrín scorge due alternative possibili nella strategia difensiva: da una parte resistere a oltranza fino a che non fosse scoppiata la guerra in Europa tra le potenze dell’Asse e i paesi democratici, che sarebbero stati costretti a quel punto a sostenere la causa repubblicana; dall’altra resistere affinché il nemico, in caso di vittoria, concedesse loro migliori condizioni nel negoziare la resa e la capitolazione dell’esercito repubblicano. Sentimenti questi, particolarmente accesi in Catalogna, dove con rassegnazione ci si prepara per la battaglia, certi che sarebbe stata l’ultima, certi che si stava perdendo la guerra. La popolazione di Barcellona è ridotta alla fame: anche i militari sembrano demoralizzati prima ancora di iniziare la campagna. Questa situazione di scoraggiamento generalizzato rende ancora più evidente che vi siano due differenti correnti di pensiero in seno alla Repubblica: da un lato coloro che, capeggiati dal presidente Negrín, promuovono a spada tratta una resistenza a oltranza, convinti che una resa incondizionata sarebbe stata peggiore della guerra stessa, visto che Franco difficilmente avrebbe concesso qualche armistizio o amnistia; dall’altro Azaña e i suoi seguaci, fiduciosi in una mediazione, da parte di Francia e Inghilterra, che immediatamente avrebbe portato alla fine della guerra e consentito loro di arrendersi all’esercito nazionalista.

Dinnanzi all’imminente perdita della Catalogna, Negrín nel suo ultimo discorso alle Cortes fa capire che è disposto a trattare con Franco a patto che questi consenta

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l’emigrazione a chiunque lo ritenga opportuno e cessi qualsivoglia ritorsione, rappresaglia o vendetta nei confronti dei repubblicani.

1.3.2 La Spagna sollevata

Nei primi quattro giorni successivi alla sollevazione, il potere rimase in mano agli alti vertici militari dopo aver dichiarato lo stato di guerra e aver tolto di mezzo letteralmente i dissidenti e gli indecisi. Nel mese di luglio si verifica, ad opera di truppe militari e volontari civili, la più violenta ondata di terrore, metodica e pianificata, per ripulire la Spagna dai nemici, per eliminare chi si opponeva attivamente o passivamente nonché monito per i loro seguaci, cui sarebbe toccata una fine analoga. Oggetto di rappresaglie del cosiddetto “terrore bianco” furono i sindacalisti, i rappresentanti del governo della Repubblica, che furono destituiti, arrestati e fucilati, con particolare ferocia verso governatori e sindaci, i repubblicani riformisti, i militari rimasti fedeli al governo legittimo ritenuti traditori e ammutinati, i militanti di sinistra. Tuttavia la vera e propria repressione ha luogo quando, una volta conquistata una zona e partiti i militari, la violenza si riversa sui civili, politici di centro-sinistra, intellettuali, insegnanti, medici e persino le segretarie e le dattilografe impiegate presso organismi rivoluzionari, come chiunque fosse anche solo sospettato di aver votato per il Fronte Popolare alle elezioni del 1936. È stato realizzato un conteggio sommario di circa duecentomila vittime durante il triennio ‘36-‘39 e circa trentamila nei successivi anni della dittatura, ma il culmine della politica dell’ “epurazione dei nemici” si raggiunge nel settembre del 1936.

Il passaggio da golpe a Guerra Civile si percepisce anche nel diverso modo di epurare i nemici: se questi in un primo momento infatti venivano uccisi in modo sospetto, ora si fa la stessa cosa ma in modo “legale”, passando cioè dai consigli di guerra che emettono sentenze sommarie. Quest’ondata repressiva altamente violenta ha lo scopo di “redimere” i nemici, pretesto utilizzato in varie guerre, soprattutto civili, appreso dai ribelli durante le guerre d’Africa. Un esempio di questa brutalità si registra a seguito dell’occupazione di Badajoz il 14 agosto 1936 a opera delle truppe di Yagüe: qui, per la prima volta la resistenza repubblicana dà del filo da torcere, provocando diverse perdite, perciò la punizione è esemplare: vengono uccisi sulla pubblica piazza tutti i miliziani presi e tutti coloro che si sospettava fossero simpatizzanti della Repubblica.

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Nei territori controllati dai sollevati, come si è detto, il potere rimane in mano ai vertici dell’esercito ribelle. I suoi capi, appellandosi alla propria esperienza, mettono in moto da subito la macchina per allestire le proprie fila di combattenti organizzati e sotto il loro stretto controllo.

Tra la metà di ottobre e dicembre i combattimenti cessano in buona misura, si raggiunge una specie di “pace armata”. Due terzi del paese sono in mano ai ribelli e di fatto costituiscono uno Stato militare in cui i vinti non godono di nessun diritto, anzi sono maltrattati, incarcerati, uccisi e costretti a lavorare in condizioni durissime. I manifesti per le strade invitano a servire la Patria, gli uomini tra i 18 e i 50 anni combattendo, le donne arruolandosi come infermiere; è inoltre richiesto un contributo per aiutare i profughi di guerra, le famiglie delle vittime e per il mantenimento dei refettori comuni. La Spagna nazionalista, con la peseta stabile, abbondanti riserve alimentari, di benzina e di carbone,è economicamente più florida della parte repubblicana. A seguito della vittoria riportata al Nord, si assicura l’accesso alle miniere asturiane, alle fabbriche basche, a svariati chilometri di terra coltivabile nonché uno sbocco sul Mar Mediterraneo, dove posizionare la flotta e attraverso cui spostare uomini e mezzi dal Nord al Sud della Penisola, con l’enorme vantaggio di non dover attraversare la zona nemica.

In seguito alle vittorie dei sollevati si creano tre differenti zone militari, ognuna delle quali sotto il diretto controllo di un generale: in tutta la parte centro-occidentale del paese vige l’autorità di Mola, che deve combattere l’avanzata avversaria verso il confine francese e al contempo mantenere le zone della montagna madrilena; in Andalusia Queipo de Llano agisce come un vero e proprio viceré, dovendo aumentare il raggio d’azione della sua parte; infine nel Marocco spagnolo prima e nelle Canarie poi è indiscusso il primato del generale Franco.

L’eterogeneità dei militari che hanno partecipato all’insurrezione è tale che di comune accordo arrivano alla conclusione che il pronunciamiento debba essere apolitico, neutrale, e che la Spagna sia retta per un periodo più o meno lungo da una dittatura militare volta a bloccare tutte quelle riforme nate durante il governo della Repubblica, fronteggiando la minaccia della rivoluzione proletaria. Di fatto è un movimento che si presenta a tutti gli effetti come controriforma e controrivoluzione preventiva guidata dall’esercito, “spina dorsale del Paese”.

Proprio in virtù di questa posizione neutrale, l’ideologia della sollevazione si rifà ai tre pilastri comuni delle destre conservatrici spagnole: nazionalismo, cattolicesimo e anticomunismo. Il primo affonda le radici nella tradizione storicista e integralista spagnola,

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contraria a qualsiasi spinta autonomista che fa sì che si ripristini la vecchia bandiera al posto del tricolore repubblicano; il secondo si manifesta nel rafforzamento della religione cattolica identificata con la crociata per Dio e per la Spagna; il terzo, infine, si oppone a comunismo, socialismo, anarchia e liberalismo democratico. Per questo motivo sin dall’inizio della sollevazione le istituzioni cattoliche e i fedeli si alleano dalla parte dei ribelli e diventano così la seconda forza istituzionale di rilievo nella creazione della struttura politica del nuovo stato nella Spagna insorta. In cambio di questo sostegno vengono cancellate le riforme repubblicane: il divorzio, la creazione di cimiteri laici, l’istruzione laica e la soppressione del finanziamento da parte dello stato a vantaggio della Chiesa, a cui vengono inoltre ridati i potere di controllare i costumi civili e di interferire sul piano educativo-culturale. Misure, queste, ancora più massicce dopo l’approvazione del 4 settembre 1936 di distruggere tutte quelle opere che sono contrarie in un modo o nell’altro alla dottrina (socialiste, marxiste…), “salvando” solo quelle che hanno contenuti affini ai dettami della Religione e della Morale. Con la stessa legge viene annullata la precedente riforma che prevedeva scuole miste; poco a poco la Chiesa è nuovamente esentata dal pagamento delle tasse e anzi vienesovvenzionata dallo stato per il proprio lavoro pastorale: le feste cattoliche diventano nazionali e la censura, già di per sé importante, controlla gli intellettuali. Immediatamente quindi, la Spagna nazionalista si dimostra avversa a tutte le riforme democratiche approvate dal governo repubblicano e predisposta a restaurare l’autoritarismo del sistema sociale che era stato in vigore fino al 1931.

Il 24 luglio 1936 Mola istituisce la Junta de Defensa Nacional, organo che nell’ottica del suo creatore avrebbe rappresentato la Spagna all’estero assumendone pieni poteri fino a che i nazionalisti non avessero preso la capitale e tutti gli organi istituzionali. Siedono al consiglio i generali Mola, Saliquet, Dávila e Ponte, cui si aggiungono immediatamente Franco, Queipo de Llano, Orgaz, Gil Yuste e Moreno: il presidente, vista l’anzianità, è Cabanellas, e tuttavia egli non ha ruolo alcuno nelle strategie belliche, che rimangono di competenza dei vertici dell’insurrezione. Dopo quattro giorni dalla sua nascita, viene emanato un decreto in cui si rende manifesto lo stato di guerra in tutta la Spagna.

Il 13 settembre la Junta di Burgos rende illegittimi e illegali tutti i partiti di sinistra e i sindacati, stabilendo altresì l’esproprio di tutti i loro beni e l’eliminazione fisica di tesserati e simpatizzanti dalla pubblica amministrazione per essere antipatriottici e contro il Movimento Nazionale. Inoltre sono proibiti e resi illegali gli scioperi, le riunioni di partito o di sindacato, la resistenza e il sabotaggio, con la minaccia di morte certa per i colpevoli e

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i sospettati. Viene anche istituito il coprifuoco per i civili nonché il controllo di qualsiasi attività o movimento entro i confini della zona nazionalista.

1.4 Il Caudillo

Alla fine di settembre i successi riportati principalmente da Franco e la prospettiva di un imminente e decisivo attacco su Madrid fanno capire ai generali quanto bisogno ci sia ora più che mai di far sì che la strategia militare e la politica siano nelle mani della medesima persona, al fine di avere una sempre maggior efficacia su tutti i fronti a discapito del nemico. Di ciò la Junta parla nelle due sedute tenutesi a Salamanca il 21 e 28 settembre 1936. Nella prima, indetta da Franco per ovviare al problema della leadership, partecipano tutti i suoi possibili rivali: Mola, Queipo de Llano e Cabanellas, presidente della Junta, tutti con l’onta di appartenere alla Repubblica o alla massoneria. A questo punto il generale Kindelán propone la candidatura di Franco a Generalissimo di tutti gli insorti e unico capo politico dello schieramento e si approva immediatamente lo scioglimento della Junta. Nella seconda seduta, invece, Franco dichiara con orgoglio di aver liberato l’Alcázar e ribadisce una volta di più la sua superiorità nel fare propaganda. Gli altri, più o meno entusiasti, firmano il decreto che fa di lui il “Generalissimo delle forze nazionali di terra, mare e aria” e “Capo del Governo dello Stato Spagnolo”: gli vengono dati pieni poteri con l’auspicio che avrebbe presto condotto la sua parte alla vittoria e creato un nuovo stato. Questo significa che la Junta militar sarebbe diventata di lì a poco una dittatura militare a carattere personale, in virtù del titolo concesso a Franco dagli altri generali di unico e solo rappresentante del potere supremo nella Spagna sollevata. La cerimonia di investitura avviene il 1 ottobre a Burgos nella Capitanía General dinnanzi a diplomatici portoghesi, tedeschi e italiani: questa data nei quarant’anni successivi sarà sempre festeggiata come el

día del Caudillo.

Sia per le forze di destra che per l’esercito, Franco appare la scelta giusta perché proviene da una famiglia di militari, ha combattuto le guerre d’Africa, ha diretto l’Accademia Generale Militare, è stato capo dello Stato Maggiore Centrale e anche perché i suoi potenziali rivali, Sotelo e Primo de Rivera, ma anche i generali Goded e Sanjuro, sono morti. Tra i vivi nessuno ha un grado pari al suo, nessuno è riuscito ad uguagliare il numero strabiliante delle sue vittorie né ha tantomeno capacità diplomatiche tali da consentire perenni scambi di informazione e aiuto con le potenze dell’Asse. Come se non

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bastasse, Franco ha l’appoggio praticamente di tutta la destra storica spagnola e dei cattolici e della chiesa, grazie alla sua condizione di credente che fa sua immediatamente la Crociata divina per salvare il Paese dall’ateismo.

Il Caudillo de España tiene ben salde nelle sue mani sia l’autorità militare per portare la pace nel paese dopo la vittoria, esemplificata dall’appellativo di Generalissimo, sia l’autorità politica per creare un nuovo stato, come si evince dal titolo “Capo di Stato”. Da questo momento, sulla scia di quanto già accadeva in Italia con il Duce e in Germania con il Führer, si inizia un vero e proprio culto della sua persona: salvatore della Patria, leader carismatico che a mo’ di sovrano assoluto racchiude i tre poteri dello stato, legislativo, esecutivo e giudiziario. Si tratta di fatto di un dittatore che con lo slogan “Una Patria, uno Stato, un Caudillo” diventa il punto di riferimento del nuovo stato che i sollevati stanno cercando di costruire per necessità di guerra e perché il suo regime si allinea alla tradizione spagnola e internazionale. Per i soldati è il Caudillo della vittoria e salvatore della Patria; per la Chiesa Cattolica è il Caudillo della crociata in nome di Dio contro gli atei e della supremazia religiosa; infine per la Falange è il Caudillo della rivoluzione nazionale e il portatore di una nuova nazione. I carlisti e gli alfonsini vedono in lui la possibilità della creazione di una dittatura monarchica e religiosa e i possidenti il germe della propria ricchezza. Dei tre pilastri del regime franchista, il primato spetta indiscutibilmente all’esercito sia perché si sta comunque combattendo una guerra sia perché ha la funzione di modello riorganizzativo della vita sociopolitica in retroguardia.

Una delle prime cose che Franco mette in atto è la creazione della Junta Técnica del

Estado a Burgos, responsabile dell’amministrazione e sotto il suo stretto controllo; crea

inoltre sette commissioni presiedute da un militare di fiducia e sottoposte al controllo del Quartier Generale del Generalissimo, tramite la Segreteria Generale di Stato, posto ricoperto in un primo momento dal fratello, Nicolás, per poi finire nelle mani del “Cognatissimo” Ramón Serrano Suñer. Questi è un avvocato con un passato nel CEDA e ora militante della Falange, che gode sempre della massima fiducia del Caudillo, tanto da divenire il suo consigliere più fidato.

Franco impone la sua autorità ai membri dei partiti che lo sostengono e come se non bastasse li divide in due gruppi ben distinti, da una parte gli oppositori, che ben presto sarebbero stati ridotti all’impotenza, dall’altra i collaborazionisti, che avrebbero goduto dei benefici offerti dal nuovo regime.

Si rende ora necessario rafforzare il regime nelle sue mani: in virtù di ciò il 19 aprile 1937 pone tutti i partiti di destra sotto il suo diretto controllo in modo irrevocabile, e

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questi accettano di sottomettersi ai voleri dei capi dell’esercito vista l’urgenza di porre fine, con una vittoria, all’emergenza della guerra. Nasce così la Falange Spagnola Tradizionalista: da quel momento la Falange Spagnola diventa la Falange di Franco, sodalizio rimasto pressoché inalterato fino alla morte del dittatore nel 1975. Questo determina un aumento del potere politico del Caudillo, che da dittatore militare, per quanto benedetto dalla Chiesa Cattolica, passa ad essere l’unico vero leader del Grande Partito di Stato che porta avanti la fascistizzazione del suo regime, influenzato maggiormente da Mussolini che da Hitler, attraverso l’istituzionalizzazione politica atta al suo consolidamento: si inizia già a parlare di fatto di “regime franchista”. È lampante sin da subito la maggior vicinanza della nuova Falange alla vecchia più che ai monarchici, al CEDA o ai carlisti: di lì la scelta del saluto con il braccio alzato e a mano tesa, già simbolo del fascismo, lo stemma del giogo e delle frecce, l’uniforme composta da camicia azzurra e il basco rosso. L’egemonia fascista è sempre più predominante, come rende manifesta la creazione del Consiglio Nazionale della Falange: Franco, che vuole rafforzare l’unione con il Partito, terza fonte di legittimità del suo potere assoluto, riesce anche ad ottenere i consensi dell’ala legittimista della vecchia guardia capitanata dalla vedova del fondatore Primo de Rivera.

Il processo di fascistizzazione iniziato in questo frangente non mette però mai in discussione che l’esercito sia la base del potere, che la Chiesa Cattolica sia un pilastro fondamentale dello stato né che la FET (Falange Española Tradicional) sia una coalizione di partiti di destra uniti dal comune odio e avversione alla Repubblica.

Il 30 gennaio 1938 Franco forma il primo governo ufficiale e promulga la Legge di Amministrazione Centrale di Stato in cui rinnova la sua condizione di dittatore, proseguendo nel suo tentativo di creare uno stato centralizzato e militarizzato.

Già dalla primavera del 1938 Franco non vedeva più nella sua dittatura un governo di breve respiro, ma di lunga durata. Il 9 marzo approva il Fuero de Trabajo, una delle cosiddette leggi fondamentali nate dalla fusione del cattolicesimo e del socialismo, in cui viene fatto severamente divieto di scioperare (evidente l’influenza mussoliniana). Il 22 aprile invece è la volta della Legge di Stampa, per mezzo della quale il governo controlla le opere da pubblicare, applicando la censura a proprio piacimento. Nel corso di quest’anno, Franco ha un duplice obiettivo: da una parte, cercare di porre fine alla guerra quanto prima e dall’altra gettare le basi politico-economiche del nuovo Stato.

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1.5 Gli eventi

L’8 novembre 1936 l’Armata d’Africa inizia il triplice attacco su Toledo, Navalcarnero e San Martín de Valdeiglesias per prendere Madrid. La situazione dei due eserciti è di assoluta parità anche se i nazionalisti erano trentamila uomini circa e i repubblicani ventimila. Tant’è che il 23 dello stesso mese Franco dà ordine di interrompere l’operazione riconoscendo la prima vittoria della difesa repubblicana: si conclude così la marcia su Madrid. Franco cambia approccio, sebbene voglia ancora conquistare la città, tuttavia dopo la cocente sconfitta accantona momentaneamente l’idea dell’attacco frontale. Decide, adottando una tecnica di guerra a lungo termine, di prendere per sfinimento i miliziani attraverso un assedio attivo e tenace volto a minare i rifornimenti di armi e cibo nonché le comunicazioni con l’esterno e spostando su altri fronti più deboli le sue forze ed energie. Egli rinuncia momentaneamente a Madrid, anche perché dato che dal 6 novembre il governo era stato trasferito a Valencia, non era più così certa l’equazione precedente: prendere la capitale significava porre fine alla resistenza repubblicana e di conseguenza alla guerra.

È in quest’ottica che si combatte la battaglia di La Coruña, iniziata allo scopo di occupare il fronte nord-occidentale nel dicembre 1936 e conclusasi a gennaio 1937 con una nuova situazione di snervante parità e un bilancio terrificante (quindicimila morti da entrambe le parti).

All’inizio del 1937 l’esercito nazionalista cambia rotta e si concentra sul fronte nord, centro delle principali industrie della Penisola. I nazionalisti per rendere vivibile il rapporto tra le forze e ottenere nuove risorse da impiegare nelle battaglie del Centro decidono di abbattere l’anello debole: il fronte nord, dal momento che questo non era unito come altrove, era piuttosto una coalizione volta ad ostacolare il vertice centralizzato repubblicano.

Su questa stessa scia viene intrapreso verso la metà di febbraio un tentativo di interrompere le comunicazioni tra Madrid e Valencia agendo sul fronte sud-orientale (Battaglia di Jarama) dove già a partire dall’8 febbraio i nazionalisti controllano una parte considerevole della sponda ovest del Jarama. Nei primissimi giorni del conflitto l’aviazione repubblicana è in vantaggio e copre la maggior parte dello spazio aereo; poi dal 13 febbraio inizia la controffensiva nazionalista. In questo caso l’aviazione e la fanteria degli insorti sono molto più coordinate di quelle degli avversari: è così che alla fine del mese le truppe

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di Franco riportano una significativa vittoria, sebbene non riescano ad isolare la città dalla zona repubblicana orientale.

Un’ultima prova d’assedio viene messa in atto dai ribelli sul fianco nord-orientale (Battaglia di Guadalajara) tra l’8 e il 21 marzo: il 13 i vertici repubblicani preparano la controffensiva. Questa volta lo scontro termina con una schiacciante vittoria repubblicana, a parere di molti storici l’unica vera e propria vittoria di questo schieramento, erta così a baluardo della propaganda e toccasana per il sempre afflitto morale dei miliziani.

Franco inizia così la guerra di logoramento e sfinimento lungo il grande fronte nord con l’obiettivo di sconfiggere progressivamente il nemico facendo leva sulle sue capacità di resistenza e contando sulla superiorità materiale e strategica del proprio esercito. Questa tecnica, imparata dai generali durante la Prima Guerra Mondiale, consisteva nel riversarsi su un fronte contro un nemico palesemente inferiore per annientarlo ad ogni battaglia.

Questa strategia intrapresa dal Caudillo dà i suoi frutti: l’attacco alla provincia basca della Biscaglia comincia il 30 marzo 1937 e procede a grandi passi: il 6 aprile i nazionalisti bloccano i porti che la Repubblica ha sul Cantabrico e il 26 le forze italo-tedesche in un bombardamento aereo a tappeto radono al suolo la città di Guernica.

L’esercito basco si barrica nell’ “anello di ferro” di Bilbao, un perimetro di circa ottanta chilometri che il governo aveva iniziato a mettere a punto l’inverno prima. I repubblicani sanno che una vittoria nemica significa la perdita delle industrie e delle miniere, ma anche lo spostamento dei battaglioni al centro.

Il Generalissimo, a differenza di quanto auspicato dagli alleati, non rincorre una guerra lampo e una subitanea vittoria, al contrario il suo desiderio più grande è sradicare fisicamente i nemici, l’Anti-Spagna e al contempo rafforzare la sua posizione e il suo potere assoluto, sfruttando il fatto di combattere una Guerra Civile. Anche perché mentre lui può contare sull’appoggio dell’Asse, la Repubblica, eccezion fatta per aerei e armi inviati dalla Russia, non gode degli aiuti delle potenze democratiche europee.

A questo punto Franco ha diviso di fatto ciò che restava del territorio repubblicano riportando vittorie consecutive in Aragona e a Levante. La mossa successiva è la conquista di Valencia e degli sbocchi al Mediterraneo, contrariamente ai pareri dei suoi consiglieri che gli suggerivano di prendere prima Barcellona e di dirigersi poi alla frontiera francese, consiglio che il Generalissimo ignora per timore che la Francia intervenga accanto alla Repubblica. Così il 18 aprile 1937 inizia l’offensiva su Maestrazgo: il fronte extremeño cade immediatamente.

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Nel frattempo Largo Caballero mette a punto una serie di attacchi in Extremadura, colpendo il fronte sud-est così da dividere in due la parte ribelle, nella speranza di far cessare in questo modo le offensive sulla capitale.

Il 25 aprile inizia la battaglia di Valencia: intorno alla città era di stanza l’Esercito Popolare, pronto, in caso di attacco e di perdita, a ripiegare sulla Catalogna, su La Mancha e verso Est. Le truppe di Miaja bloccano l’armata castigliana di Varela e quella galiziana di Aranda sulla linea fortificata che dai monti va a Sagunto. I nazionalisti sono rallentati sia dalla difesa repubblicana sia dall’ampiezza del fronte: lanciano numerose offensive, anche aeree, grazie alle quali, pur senza aprire il fronte nemico, si avvicinano piano piano alla costa.

Il 31 maggio i repubblicani sono sconfitti in Andalucía, con il bombardamento del porto di Almería da parte dei tedeschi. Per alleviare la pressione sul fronte Nord, viene sferzato un attacco contro la città di Huesca il 12 giugno con la partecipazione delle truppe provenienti dal Levante e dalla capitale: tuttavia dopo soli sette giorni inizia la ritirata repubblicana, che fa sì che dilaghi tra le loro fila un sempre maggiore disfattismo.

Il 16 giugno il governo basco ordina di evacuare Bilbao; i miliziani, a causa della confusione, della lentezza e dell’inadeguatezza dei loro capi, sono costretti alla ritirata e consegnano così la città al colonnello nazionalista Juan Bautista Sánchez, che fa il suo ingresso trionfale nel pomeriggio. Con la caduta della capitale, importante sia per l’accesso al Cantabrico sia per le industrie basche, il 19 giugno termina la guerra in questo settore. Dopo aver perso la battaglia, la maggioranza dei repubblicani baschi si rifugia sui rilievi asturiani a combattere nell’ombra.La fulminea vittoria dei ribelli nel País Vasco dipende essenzialmente dalla Legione Cóndor e dai suoi bombardamenti a tappeto, messi a punto per rompere l’assedio di Oviedo. Il generale Mola infatti intuisce che la fascia costiera dà poco preavviso ai nemici delle incursioni aeree in corso, e fa sì che le truppe di Franco siano in parità al centro e al sud: è già evidente la loro supremazia sui cieli e sull’artiglieria che avrebbe fatto vincere loro la Guerra.

Così tra il 5 e il 28 luglio 1937 il generale Roja prepara un attacco sul fronte di Madrid, la Battaglia di Brunete, per dare sollievo alle truppe del nord che si apprestano a una dura battaglia a Santander.L’idea è sfondare le linee nemiche e riprendere tutta quella zona che arriva fino alle porte della capitale. Inoltre i comunisti hanno curato quest’operazione nei minimi dettagli per far vedere che anche loro sanno essere efficienti e potenti militarmente parlando. Il 7 luglio l’undicesima divisione Líster occupa la città: in

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un primo momento i repubblicani sono i padroni del cielo, poi dall’11 la situazione si capovolge completamente.

Tuttavia quest’offensiva è solo posticipata. Il 14 agosto Franco, dopo che a Brunete ambedue i fronti hanno perso molti uomini, inizia l’attacco che si conclude con la caduta della città il 26 dello stesso mese. Il partito comunista e i vertici in generale del potere repubblicano esaltano la pianificazione di questa battaglia, studiata per aggirare l’obiettivo cogliendo alla sprovvista i rivali: sottovalutano il nemico, la sua reattività nel rispondere all’offensiva e non valutano i rischi del controllo dello spazio aereo da parte degli insorti. In questo settore quindi, ci sono sia inefficienze nelle alte sfere di comando, sia problemi di comunicazione: tuttavia qui come a La Granja i repubblicani perdono per l’indiscussa inferiorità aerea rispetto ai nazionalisti.

La nuova linea diversiva d’attacco repubblicana è diretta ad est, in Aragona. Questo perché Negrín e i comunisti vogliono avere una completa egemonia sia in questa regione sia in Catalogna. Di nuovo il generale Roja sposta la focalizzazione dal nord all’est, attaccando la città di Zaragoza: l’idea è di sfondare in sette punti nel tratto compreso tra Zuera e Belchite dove i repubblicani hanno un duplice vantaggio (forze d’aria e di terra). L’attacco in Aragona inizia il 24 agosto 1937.

L’offensiva contro Belchite inizia il 1 settembre per poi chiudersi dopo cinque giorni: la campagna d’Aragona, protrattasi per tredici giorni, si conclude formalmente in assoluta parità. Ciononostante i repubblicani progrediscono solo di dieci chilometri riuscendo ad occupare paesini e villaggi, ma mancando completamente l’obiettivo iniziale, Zaragoza; inoltre impediscono sì la conquista nazionalista delle Asturie, ma non riescono ad alleggerire il fronte nord né a difendere Santander. In seguito a questa battaglia l’esercito popolare, respinto in Catalogna, ha perso ingenti quantità di uomini e armi e necessita riorganizzarsi per uscire da uno stato di apatia e sconforto.

Nel frattempo il Consiglio Provinciale delle Asturie, assumendo sia il potere militare sia il potere civile, capeggiato da Belarmino Tomás passa ad essere Consiglio Sovrano delle Asturie. Qui infatti la Repubblica ha un lembo di terra, di novanta chilometri, tra Gijón e La Robla, più un centinaio sulla fascia costiera. In questa provincia l’avanzata franchista inizia il 1 settembre, e pur avendo il controllo dello spazio aereo procede a rilento. La Legione Cóndor porta a termine la missione bombardando i repubblicani, obbligati così a ritirarsi a Gijón che cade il 21 ottobre 1937. Una volta terminata la Battaglia i ribelli si apprestano come di consuetudine ad attuare l’epurazione dei nemici in tutta la zona coinvolta: il fronte nord non esiste più, tuttavia per oltre sei mesi si combatte

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una vera e propria guerriglia sulla Cordigliera. Una volta di più si rende manifesta l’insufficienza degli aiuti bellici sovietici, l’inferiorità dei vertici militari e le controproducenti rivalità politiche.

Le truppe nazionaliste vedono un incremento tra le proprie fila a seguito del successo al Nord: infatti oltre centomila prigionieri vengono impiegati nella fanteria e nei battaglioni di lavoratori. Franco cerca di usare queste divisioni a proprio vantaggio iniziando una nuova offensiva su Madrid attaccando da Guadalajara, tuttavia ancora una volta Rojo anticipando le sue mosse sposta il fronte altrove. Il 15 dicembre 1937 inizia l’attacco alla città aragonese di Teruel che era in mano ai ribelli. Questa si profila come un’operazione importantissima sul piano strategico (sventare l’offensiva su Madrid), tattico (contenere i danni al fronte e riprendere una capitale di provincia), diplomatico (far vedere che avevano un valido esercito) e morale (stimolando il popolo e i soldati in caso di vittoria). L’8 gennaio 1938 la città è in mano ai repubblicani: si tratta della prima vittoria della Repubblica come attaccante, che lascia uno spiraglio per la stabilizzazione del fronte e far lavorare i diplomatici. Franco blocca l’avanzata su Madrid e concentra tutte le energie nella riconquista di Teruel che si svolge tra il 5 e il 22 febbraio, quando ritorna saldamente nelle sue mani.

L’Esercito Popolare in questi mesi subisce perdite umane considerevoli, ha scarse risorse materiali, è ormai sfinito e con il morale assolutamente a terra, ben consapevole una volta di più che uno dei suoi maggiori problemi sia legato all’artiglieria e all’aviazione, responsabili, come abbiamo visto, di numerose sconfitte.

Nuovamente il Caudillo cerca di sfruttare la situazione a proprio vantaggio intraprendendo la più grande offensiva mai attuata in Aragona con lo scopo di distruggere la resistenza repubblicana e di procedere inesorabilmente verso la Catalogna, e risalendo l’Ebro giungere al Mediterraneo dividendo così il territorio nemico in due zone isolate. L’attacco inizia il 9 marzo 1938 con il bombardamento italiano su Barcellona. I miliziani sono in crisi non riuscendo a far fronte né moralmente né materialmente ai ripetuti attacchi: così i nazionalisti in poco tempo occupano le città di Belchite e Alcañiz rispettivamente l’11 e il 14 marzo. Il 22 marzo parte l’offensiva sull’Ebro rimontando in direzione Huesca e il 23 riescono ad attraversare il fiume nei pressi di Quinto e bombardano la città di Lérida, la prima conquista catalana, presa il 3 aprile.

Nello stesso tempo l’Esercito Popolare attua l’ultima grande strategia offensivo-difensiva progettata da Rojo alla foce dell’Ebro con il duplice obiettivo di sollevare il morale della retroguardia e di bloccare l’avanzata dei nemici su Valencia e Sagunto. Per far

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ciò poteva contare su un nutrito gruppo di comunisti, l’Esercito dell’Ebro: l’operazione diretta da Modesto contava su circa ottantamila uomini; l’esercito rivale capeggiato da Yagüe, ne aveva esattamente la metà. Così, con la benedizione del presidente il 25 luglio 1938 inizia la battaglia dell’Ebro. Quel giorno le truppe di Franco dirette ad est vengono richiamate e inviate in soccorso del contingente nazionalista sull’Ebro.

Come sempre all’inizio l’Esercito Popolare macina vittorie, ma già dalla fine di luglio la sua avanzata è bloccata e il 6 agosto inizia la controffensiva vera e propria: di lì in poi le sconfitte si susseguono inesorabilmente. Questo tipo di offensiva è favorevole al Caudillo poiché, benché molti dei suoi uomini siano morti, il nemico ha perso le migliori forze di manovra e soprattutto la capacità militare per un’ulteriore resistenza in Catalogna.

È la battaglia più dura, più lunga, ma anche la più importante di tutta la Guerra Civile e quella segnata dai maggiori scontri aerei. Si conclude il 16 novembre quando praticamente l’Armata dell’Ebro era solo un ricordo e i repubblicani, con pochi militari e con il controllo solamente della sponda destra del fiume, sono distrutti. Tra le loro fila sono caduti circa settantacinquemila uomini, mentre le perdite degli avversari ammontano a sessantamila.

1.6 La fine della Guerra

Così, il 23 dicembre dopo aver rimesso in sesto l’esercito e ricevuto un ingente quantitativo di materiale bellico dai tedeschi, Franco inizia l’ultima grande offensiva della Guerra: la battaglia di Catalogna. Il 24 le sue truppe conquistano Mayals. A questo punto la linea difensiva repubblicana è debole, sfiancata e demoralizzata e senza riserve dopo la precedente e logorante battaglia e non riesce a mettere in piedi una linea difensiva per tutta la Regione: in questo modo il 3 gennaio occupano Artesa. Il 15 gennaio Tarragona si arrende alle forze sollevate. I bombardamenti continuano incessantemente: i nazionalisti conquistano anche Cervera. Il 22, dopo aver appreso la notizia della caduta del fronte catalano, il governo ordina di spostare la capitale da Barcellona a Figueras sul confine francese: ciò comporta il caos negli enti pubblici e la ritirata in massa dei civili e dei miliziani al confine: il presidente Negrín consegue per costoro un passaggio in Francia. Gambara inizia la marcia su Barcellona, dove la maggioranza della popolazione impaurita scappa. Date queste premesse, come è facile intuire, Barcellona cade il 26 gennaio e il 28 i

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ribelli sfilano in corteo in città. Quello stesso giorno la Francia è obbligata ad aprire le frontiere con la Spagna per far entrare quantomeno i civili: a partire da questa data passano circa cinquecentomila spagnoli, sessantamila invece sono quelli che non ce la fanno e subiscono la rappresaglia nemica. Il primo febbraio in una riunione delle Cortes, Negrín definisce tre condizioni minime per trattare con Franco: la Spagna deve essere indipendente dalle potenze europee, il popolo deve essere libero di scegliere la forma di governo più consona attraverso le elezioni e deve sussistere la garanzia che non ci sarebbero state repressioni o ripercussioni di alcun genere per i militanti repubblicani. Il 5 febbraio i francesi aprono le porte anche a ciò che rimaneva dell’esercito popolare, il 9 febbraio i nazionalisti arrivano alla frontiera francese da dove poche ore prima Negrín, Rojo e altri leader repubblicani avevano abbandonato il paese. Lo stesso giorno la Repubblica emigrata in Francia in una seduta di governo a Tolosa valuta l’opportunità di continuare a resistere a oltranza. Il 12 Negrín rientra a Madrid e convoca il consiglio dei ministri per l’indomani. In quella sede rinnova la propria volontà di non arrendersi; tuttavia i segnali che lancia sono contrastanti: da una parte dare nuova forza alla difesa repubblicana dall’altra prepararsi per un’eventuale fuga e conseguente esilio. Il 27 febbraio, quando la guerra ancora non si è conclusa, Francia e Inghilterra riconoscono la legalità del governo di Franco. Azaña si dimette così dalla sua carica creando ulteriore scompiglio e agitazione in seno alla repubblica che il 4 marzo deve fronteggiare una rivolta degli ufficiali di marina del porto di Cartagena. Il Caudillo ha imposto le sue condizioni da vincitore, da conquistatore: esige la resa completa e incondizionata dei nemici perdenti, con la garanzia di salvacondotti per chi ha agito per paura o ignoranza, considera qualsiasi resistenza illegale e a chi si arrende viene concesso di lasciare il paese o viene risparmiata la vita secondo l’utilità e i profitti che il regime ne avrebbe tratto in futuro. Il Consiglio Nazionale di Difesa avanza diverse proposte per giungere alla pace e far salpare dai porti franchi i repubblicani. Il 12 marzo in una seduta predispongono l’evacuazione di Madrid e si apprestano ad intavolare trattative di pace e deporre le armi, mettendo la parola fine al conflitto.

Il 26 marzo l’esercito nazionalista inizia l’attacco finale sulla capitale da tutti i fronti, senza trovare questa volta ostacoli di nessun tipo. Infatti il giorno dopo i repubblicani liberamente si arrendono e il 28 le truppe di Casa del Campo entrano in città: immediatamente la falange e la polizia militare mettono in moto una dura epurazione nei confronti dei nemici. Lo stesso giorno il generale Miaja si ritira a Orano e Casado a Valencia non prima di aver annunciato che la resa ufficiale fosse alle undici del 29. A

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