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1.1 - IL FENOMENO DELLE START-UP

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Secondo la letteratura, le imprese guidano le economie e lo sviluppo dell’innovazione in tutto il mondo. In particolare, nell’era moderna, le start-up stanno sempre più diventando il motore della crescita economica generando posti di lavoro, nuovi prodotti innovativi e ingenti entrate per le casse delle varie nazioni. Il binomio imprenditore - innovazione è diventato ancora più necessario per rispondere alle nuove sfide nelle diverse realtà. Inoltre, le start- up rappresentano un sentiero a basso costo per raggiungere l’innovazione con risultati rapidi (Hernandez et al., 2016). Per start-up si intende quelle giovani e piccole entità che aspirano a crescere e sono sostenute da fattori tecnologici o altamente innovativi per incontrare i bisogni di ogni categoria di consumatore. Tuttavia, queste nuove imprese devono sopportare numerose difficoltà legate alla loro natura e alla loro novità (Bøllingtoft, 2012). In particolare, le start-up nel mercato dell’informazione sono costrette a operare in un mercato altamente concorrenziale e con poche possibilità di crescita, oltre a considerare l’elevato contenuto innovativo che le caratterizzano e che comporta un loro superamento da parte di altre imprese nel brevissimo periodo. Non a caso, la percentuale di fallimento stimata dalla Harvard Business School è del 75-90%1 entro i primi tre anni di vita, delle giovani imprese high tech. Ecco perché, considerando le difficoltà, ma osservando allo stesso tempo l’enorme potenziale socioeconomico di questi fenomeni, organizzazioni private e governi nel mondo hanno iniziato a supportare l’instaurazione di strutture e programmi che catalizzano la creazione delle start-up e assistono allo sviluppo dell’ambiente circostante in cui operano, per limitare i rischi cui sono inevitabilmente soggette. L’ambiente risulta quindi essere fondamentale. Infatti, poiché l’imprenditorialità è un processo che non è generato da una combinazione di incidenti, ma deve essere piuttosto perseguito in maniera determinata, cercando e analizzando opportunità in contesti offerenti diverse condizioni, è altamente desiderabile conoscere l’ecosistema che circonda un’impresa: i suoi componenti, i suoi comportamenti

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e le interazioni all’interno di esso. L’ecosistema delle start-up è pertanto un ambiente in cui una nuova start-up o iniziativa viene sviluppata, nella quale si fornisce appoggio per il fenomeno imprenditoriale, formato da un mix di soggetti e organizzazioni, quali: mentori, incubatori, acceleratori, start-up, imprenditori, investitori, università, uffici pubblici, ecc. Il mio progetto di tesi è volto essenzialmente ad analizzare come alcune delle organizzazioni degli ecosistemi delle start-up, ovvero le strutture per lo sviluppo imprenditoriale e i soggetti investitori e/o organizzazioni di investitori, creano programmi, misure e spazi ideati per superare le difficoltà più comuni di ogni start-up innovativa per lanciarle finalmente al successo. Le risposte a questi sforzi, sia da organizzazioni pubbliche che private, derivano dai grandi benefici che apportano le start-up alle varie economie nazionali e all’innovazione. Inoltre, la localizzazione di start-up e strutture dedicate non è un processo casuale, ma molto spesso è collegato a determinati fattori ambientali e soggettivi che possono incrementare le probabilità di sopravvivenza delle neoimprese. Il primo capitolo riguarda le caratteristiche principali delle start-up innovative e alcune distinzioni che si possono operare a loro riguardo. Viene anche data una definizione di innovazione e come essa è collegata al sistema economico e al fenomeno imprenditoriale. Legati a questi concetti, vengono individuate le principali difficoltà che sono costrette ad affrontare le start-up. Si tratta essenzialmente di ostacoli legati alla dimensione, alla novità e alle barriere culturali (“liability of newness e smallness” e “foreignness”), così anche del costante disequilibrio generato dall’innovazione in continua evoluzione e al progresso tecnologico (Schumpeter, 1934; Winter e Nelson, 1985) e infine all’estrema concorrenza caratteristica del mercato dell’informazione (per quanto riguarda in particolare le start-up digitali). Nello stesso capitolo ricollegando le teorie organizzative legate alle nuove imprese, vengono introdotti i fattori (Gartner, 1985) che la letteratura suggerisce per favorire le possibilità di superamento delle difficoltà legate alla “liability of newness” e

"smallness” e all’incertezza del mercato e creare un percorso per il successo futuro. Nel secondo capitolo, invece, prendendo come riferimento questi fattori si introduce il fenomeno degli ecosistemi aziendali, con un focus particolare

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sugli ecosistemi delle start-up. Si tratta infatti di ambienti nei quali si ritrovano gran parte delle condizioni ambientali e soggettive suggerite dalla letteratura per la nascita di nuove imprese. Tra i fattori ambientali, di particolare rilievo risultano essere quei centri o quelle strutture volte allo sviluppo imprenditoriale, oltre a quei soggetti investitori che come si vedrà, differiscono ad ogni fase della start-up. Nello stesso capitolo vengono analizzati tre dei più noti centri per lo sviluppo imprenditoriale, ovvero: gli acceleratori aziendali, gli incubatori aziendali e gli spazi di coworking (o coworking spaces). Si tratta di organizzazioni che sviluppano programmi dedicati alle start-up, in particolare gli acceleratori aziendali, che pur essendo un fenomeno nato solo circa dieci anni fa, sta riscontrando un notevole successo. Il terzo e ultimo capitolo è dedicato infine all’analisi del caso. Questo tratta del progetto di “Google per gli imprenditori” e dell’analisi di una delle strutture del progetto. “Google per gli imprenditori” è un’organizzazione no-profit finanziata interamente da Google, con la mission dello sviluppo imprenditoriale e innovativo in tutto il mondo tramite la costruzione di strutture dedicate alle start-up, chiamate Campus. La prima parte del terzo capitolo è volta ad introdurre questo progetto, dove sono stati localizzati i Campus nel mondo e che impatto stanno dando effettivamente alle start-up e alle economie locali. La seconda parte, invece, è dedicata all’analisi più specifica di uno dei Campus di “Google per gli imprenditori”, il Campus di Varsavia. Ciò è stato possibile grazie ad un’esperienza diretta in questo Campus durante un periodo di stage in una start-up accolta nella struttura. L’analisi verte principalmente ad osservare i programmi offerti dal Campus e come tali hanno avuto e stanno avendo un impatto positivo sulle start-up inserite nel suo programma di accelerazione.

Un’ultima sezione, basata su dati più qualitativi, indaga sulle principali difficoltà che alcune start-up stanno affrontando e quali dei servizi offerti dal Campus sono risultati più interessanti e attrattivi per avvicinarsi ad esso.

(1) HBS, research & ideas: https://hbswk.hbs.edu/item/why-companies-failand-how-their-founders-can- bounce-back

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CAPITOLO 1 – LIMITI E QUALITA’ DELLE START-UP INNOVATIVE

1.1 - IL FENOMENO DELLE START-UP

1.1.1 Definizioni e tipologie di start-up

Uno dei fenomeni che ha assunto grande importanza mondiale ed è stato oggetto di attenzione negli ultimi tempi è quello delle start-up. Il termine start- up è, senza dubbio, un termine di non facile definizione e che si presta a diverse interpretazioni. Se lo si traduce direttamente dall’inglese significa

«partire, mettersi in moto» (Treccani). Ovvero, la fase iniziale di avvio delle attività di una nuova impresa, di un’impresa appena costituita o di un’impresa che si è appena quotata in borsa. In realtà però, si tratta di un nuovo modello di business che, in contrasto con le tradizionali attività imprenditoriali, come aprire un ristorante o negozi di generi alimentari, è un’attività appena emersa e in rapida crescita che cerca di incontrare il mercato sviluppando un modello di business intorno a un’idea innovativa (Blank, 2010). Le start-up non sono solo quelle ‘pure digital’ o high-tech ma tutte quelle neo-aziende che sviluppano innovazione, che creano nuove tecnologie, che usano al meglio le tecnologie esistenti per innovare i modelli di business in molti altri settori (persino in quelli tradizionali), e soprattutto le start-up sono innovative non solo perché fanno cose nuove, ma anche e soprattutto perché fanno cose in modo nuovo applicando nuovi paradigmi e una nuova filosofia dell’imprenditorialità.

Steven Blank (imprenditore seriale della Silicon Valley e autore di bestseller in tema come “The Startup Owner’s Manual”) considera inoltre una start-up come un’organizzazione temporanea, in cerca di un modello di business scalabile, ripetibile e profittevole. E’ temporanea perché si tratta di un’entità di passaggio destinata a divenire una vera e propria impresa, a fallire nel breve periodo o a

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essere acquisita. Deve esistere quindi una strategia di uscita fin da subito e deve essere chiaro come rendere questo passaggio il più conveniente possibile. Con l’aggettivo “scalabile” si intende un business che può aumentare le sue dimensioni – e quindi i suoi clienti e il suo volume d’affari – in modo anche esponenziale senza un impiego di risorse proporzionali. La start-up, per essere tale, deve essere quindi in grado di sfruttare le economie di scala. Per business model “ripetibile” si intende un modello che può essere ripetuto in diversi luoghi e in diversi periodi senza essere rivoluzionato e solo apportando piccole modifiche. Infine, per profittevole si intende banalmente il fine di essere redditizio. In parole povere l’attività deve monetizzare.

Alternativamente si può definire una start-up come una giovane realtà aziendale con meno di dieci anni, che ha un modello di business innovativo e/o tecnologie innovative e che dimostra una crescita significativa nel numero di impiegati e/o dei ricavi nel breve periodo (ESM, 2016).

Le definizioni in tema di start-up sono innumerevoli ed essendo un fenomeno relativamente nuovo, la letteratura non è ancora univoca. Tra le varie definizioni però, possono essere individuate tre caratteristiche chiave che contraddistinguono questo fenomeno:

1. le start-up non superano i dieci anni, sono quindi entità nuove e temporanee;

2. sono caratterizzate da tecnologie o modelli di business altamente innovativi (e come detto ripetibili e scalabili);

3. mirano a una elevata crescita in termini di ricavi e di personale.

Si intuisce come le start-up si differenzino dalle attività convenzionali o dalle piccolo-medie imprese che, nella maggior parte dei casi, non promuovo prodotti o servizi innovativi ed esistono principalmente per garantire il sostenimento dei fondatori senza particolari ambizioni di crescita (ad esempio, un barbiere o un bar).

Inoltre, ciò che distingue una start-up innovativa da ogni altra attività è l’utilizzo di elementi altamente tecnologici o innovativi che possono riguardare il prodotto/servizio offerto o il modello di business. Così ad esempio le

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tecnologie nei prodotti o nei metodi di produzione più utilizzati ad ora sono: big data, internet of things, pagamenti digitali, cybersecurity, intelligenza artificiale, machine to machine, nanotecnologie, realtà aumentata o realtà virtuale, robotica, ecc. (dati live di KPMG).

Mentre se l’elemento tecnologico non riguarda il prodotto, deve almeno caratterizzare il modello di business o i suoi processi. Quindi, ad esempio, vendite tramite: Saas, E-commerce, marketplace, servizi online, mobile app.

A partire dalle tecnologie utilizzate è possibile inoltre distinguere le start-up hardware dalle start-up software/digitali. Le prime sono quelle che costruiscono e commercializzano prodotti fisici, mentre le seconde sviluppano prodotti virtuali, quindi software, app, siti web, ecc. Il secondo tipo di start-up è sicuramente quello più comune in tutti i continenti e risulta più in linea con la definizione offerta da Steve Blank (scalabile, ripetibile e profittevole), rispetto a quelle hardware. La percentuale elevatissima di fallimento è spiegata in parte anche alle caratteristiche di queste particolari tipologie di start-up.

1.1.2 - Le start-up digitali nel mercato dell’informazione

Come accennato sopra, le start-up digitali rappresentano la maggior parte delle start-up in tutto il mondo, di conseguenza l’elevata percentuale di fallimento è inevitabilmente collegata ad esse. I motivi per cui si preferisce perseguire il successo con le start-up software o digitali sono principalmente per convenienza economica, maggior velocità di un ritorno economico rispetto alla vendita di prodotti hardware, minori risorse umane o materiali necessarie, maggiori canali di vendita, ecc. Ciò porta inevitabilmente ad una concorrenza spietata nel mondo digitale e ad un fallimento continuo di start-up che è spiegato in parte dalle teorie dell’economia d’informazione e dalla natura dei beni d’informazione. I beni d’informazione sono tutti quei beni che possono

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essere digitalizzati, come: libri, riviste, immagini, video, musica, pagine web, ecc. Anche gli strumenti ICT appartengono alla categoria più generale dei beni di informazione, che comprendono tutti i beni, il cui valore non dipende dalle loro caratteristiche fisiche, ma dall'informazione che contengono. Tali beni riguardano soprattutto quelli di informazione elettronica, ma possono essere riferiti anche a beni tradizionali che hanno contenuti informativi (in questo secondo caso, tuttavia, anche le caratteristiche fisiche hanno il loro valore).

L’economia dell’informazione studia il funzionamento del mercato dell’informazione: dal lato della domanda e dal lato dell’offerta dei beni d’informazione (Guidi, 2017).

Le caratteristiche fondamentali dei beni d’informazione dal lato della domanda sono che:

- i beni di informazione sono beni di esperienza (experience goods): è difficile che possano essere descritti ma devono essere vissuti in prima persona per poter darne un valore. Nel mercato dell’informazione infatti una tipica strategia è quella di fare anticipazioni, ad esempio sui siti web, prima che il prodotto venga lanciato per iniziare a creare un’idea di esso nelle menti dei consumatori;

- Il sovraccarico d’informazioni: nel mercato dell’informazione i consumatori sono inondati da infinite informazioni e molto spesso poco utili, inconcludenti e persino false. Si pensi ai siti web che pubblicano notizie false o app che pur di apparire sul mercato offrono informazioni sbagliate o inutili;

- i costi di cambiamento (switching costs): quei costi necessari per passare da un bene d’informazione ad uno nuovo, come ad esempio il cambio di un sistema operativo necessita ore di formazione, rallentamento dell’attività e adattamento all’hardware;

- le esternalità di rete: Ovvero le economie di scala da parte della domanda. L’utilità dei consumatori cresce al crescere del numero di utenti di un bene d’informazione. Si pensi a Facebook, se poche persone lo usassero non avrebbe senso utilizzarlo. Il suo successo deriva dalla sua grande popolarità tra le persone per comunicare.

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Inoltre, la disponibilità a pagare dei consumatori cresce al crescere del numero di utenti;

- forte complementarietà tra l’informazione e i supporti infrastrutturali:

ogni bene d’informazione necessita un supporto informativo per generare il suo valore. Così ad esempio un sistema operativo necessita di un hardware per poter funzionare; una app necessita uno smartphone o un tablet per erogare il suo servizio;

- presentano spesso le caratteristiche dei beni pubblici: se non esistessero vincoli di legge o la concorrenza sul mercato, i beni d’informazione avrebbero tutte le caratteristiche di un bene pubblico.

Ovvero si tratta di un bene non rivale e non escludibile. Non è infatti rivale perché il consumo di un bene pubblico da parte di un individuo non implica l'impossibilità per un altro individuo di consumarlo allo stesso tempo (si pensi ad esempio a forme d'arte come la musica, o la pittura); Non è inoltre escludibile perché una volta che il bene pubblico è prodotto, è difficile o impossibile impedirne la fruizione ai soggetti che non hanno pagato per averlo.

Invece, le caratteristiche rilevanti dal lato dell’offerta di informazione sono:

- i costi fissi per produrre i beni “informazione” sono elevati e, inoltre, sono in generale costi “irrecuperabili” (sunk costs). Come i costi per lo sviluppo della prima copia di un film, di un software o di un videogame e la scarsa possibilità di un recupero degli stessi costi nel caso di un flop al loro lancio;

- i costi variabili e marginali sono molto bassi o addirittura (quasi) nulli.

Quindi riprendendo l’esempio di prima, le copie della versione originale di un software o un film hanno un costo irrisorio o addirittura nullo;

- in generale non sussistono particolari vincoli di capacità produttiva per i produttori come può invece verificarsi nel settore manifatturiero dove oltre una certa quantità di produzione si osservano le diseconomie di scala;

- presenza di rilevanti “economie di scala” (costo medio decrescente e sempre maggiore del costo marginale). Essendo i costi fissi molto alti e

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i costi variabili molto bassi, più aumenta la quantità prodotta, più il costo medio diminuisce.

La struttura dei costi di questi beni ha una conseguenza sull’organizzazione dei mercati d’informazione. Infatti, i beni d’informazione non possono operare in un mercato con concorrenza perfetta perché i prezzi in questo tendono sempre al costo marginale. Fissare quindi i prezzi sulla base dei costi di produzione (marginal cost pricing, mark-up) non è adatto all’industria dell’informazione perché se p = μ (prezzo = costo marginale), ci saranno perdite (Guidi, 2017).

Allora le strutture di mercato che si affermeranno sono quelle di concorrenza imperfetta:

● monopolio o oligopolio con impresa dominante e molte imprese “satelliti”:

Così ad esempio tra le app nel mondo del car-sharing l’azienda monopolista è Uber, con altre imprese satellite più piccole offerenti lo stesso servizio. O l’oligopolio nei social network, mercato condiviso essenzialmente tra Facebook e Instagram;

● concorrenza monopolistica (stesso “tipo” di informazione, ma con differenti varietà): Ad esempio nel mondo della musica, ogni canzone è diversa l’una dall’altra ma rientrano nello stesso tipo di informazione. Quindi le case editrici operano in concorrenza monopolistica e si verificano spesso aggregazioni per conquistare una più ampia quota di mercato;

● oppure: combinazioni delle due strutture precedenti.

Nonostante la tendenza alla concentrazione delle imprese di beni d’informazione in questi enormi monopoli o oligopoli, spesso gli interessi dei consumatori vengono salvaguardati grazie a:

- l’elevata concorrenza per conquistare il monopolio o la posizione dominante sul mercato. Spesso anche piccole imprese per un’idea innovativa o una nuova tecnologia riescono a scalzare grandi imprese leader affermate da anni.

Le posizioni di monopolio possono venir meno quindi in un clima di dinamismo tecnologico;

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- lo sviluppo tecnologico, che ha permesso di ridurre i costi fissi e quindi la soglia minima di entrata per le nuove imprese (soprattutto in settori dove esiste una forte domanda di varietà);

- la concorrenza con la propria produzione precedente. Ad esempio, le nuove versioni di un videogioco della Sony fanno concorrenza a quelle precedenti (della stessa azienda);

- la pressione dei produttori dei beni complementari all’informazione. La filiera che si crea dalla produzione del bene fino all’utilizzo di esso da parte del consumatore;

- il commercio elettronico e internet infine hanno permesso di apparire sul mercato ad un’infinita platea di produttori in tutto il mondo.

Tuttavia, nei mercati hi-tech dei beni informazione, alcune misure tradizionali (es. quota di mercato) del potere di mercato di un’impresa e del grado di concorrenza devono essere valutate più attentamente:

Infatti, le esternalità di rete, il progresso tecnologico e le economie di scala portano inevitabilmente ad un’entrata catastrofica di nuove imprese trasformando una concorrenza nel mercato ad una concorrenza per il mercato.

Ma, allo stesso tempo, si creano barriere all’entrata dovute ai costi di cambiamento, alla preferenza per la varietà dei consumatori e alle economie di scala, dette barriere all’entrata dovute alle applicazioni. Così ad esempio il successo di un sistema operativo dipende dal numero di applicazioni compatibili; ma perché gli sviluppatori di software siano incentivati a produrre numerose applicazioni compatibili occorre una certa base di utenti che dispongono di quel sistema operativo (Guidi, 2017). A prescindere da tutto ciò, attraverso la creazione di nuova e di diversa capacità produttiva, l’innovazione è realizzata. Ciò implica in primo luogo una rottura del modo di operare dell’apparato produttivo da cui il funzionamento dell’economia essenzialmente dipende: una rottura, nel linguaggio della teoria economica e dell’equilibrio preesistente (si veda M. Amendola, C. Antonelli, C. Trigilia, Bologna 2005).

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1.2 - IL CONTRIBUTO DELLE START-UP ALL’INNOVAZIONE E ALLE ECONOMIE LOCALI

1.2.1. – Il concetto di innovazione

Quando si parla di start-up (sia hardware che software), il tema dell’innovazione risulta essere critico, non solo per le stesse ma anche per le economie locali e nazionali. Infatti, l’innovazione rappresenta un requisito irrinunciabile per la competitività delle imprese e la crescita dell’economia. A livello della singola azienda, essa è uno strumento fondamentale per affrontare la concorrenza ed affermarsi sul mercato: solo le imprese capaci di innovare con assiduità possono disporre di una gamma di prodotti sempre attuali ed appetibili da parte della clientela. Inoltre, solo una continua innovazione garantisce la costante efficienza dei processi e l’ottimizzazione dei costi di produzione. A livello macroeconomico l’innovazione rappresenta un motore di crescita, in quanto consente il miglioramento della produttività e, di conseguenza, l’incremento del PIL e del reddito pro capite. In questo senso, l’innovazione è ciò che permette il progresso delle condizioni di vita della popolazione. Possiamo pertanto affermare che l’innovazione è il principale motore di crescita dell’economia, ed è pertanto un fattore fondamentale per assicurare alla nostra società uno sviluppo sostenibile nel lungo periodo, in quanto essa gioca un ruolo determinante nel garantire il benessere ed il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Inoltre, da un punto di vista aziendalistico, innovare è necessario per continuare a competere su mercati caratterizzati da una concorrenza sempre più forte. Solo le aziende capaci di migliorarsi costantemente possono produrre in modo efficiente e offrire ai propri clienti una gamma di prodotti e servizi completa ed appetibile (Di Salvo, 2007). Il quesito da porsi, però, è se tale caratteristica sia un punto di forza o di debolezza per queste piccole entità in cerca di innovare il mondo.

Prima di tutto, è bene introdurre il concetto di innovazione, anche se tutt’oggi prevalgono poca chiarezza e tante contraddizioni nella sua definizione. Infatti,

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la letteratura in materia offre un’ampia e complessa articolazione di definizioni del significato di essa. Con Schumpeter (1934) il tema dell’innovazione assume particolare importanza tant’è che il suo pensiero ha influenzato teorie non solo relative al concetto proprio dell’innovazione, ma che hanno interessato anche ambiti non esclusivamente economici. Con riferimento all’impresa, l’autore considera l’innovazione come “l’atto di introdurre nuove combinazioni economiche”, mentre considera gli imprenditori come “i soggetti economici che compiono questo atto” (Schumpeter, 1934). Pertanto, la figura dell’imprenditore, secondo Schumpeter, acquisisce un rilevante ruolo nella interpretazione dello sviluppo tecnologico: meglio inquadrato come soggetto storico dotato di volontà ed energia al di sopra del normale ed artefice, sulla base di queste qualità, del processo innovativo. Tale processo è costituito da progressive e distinte fasi così identificabili:

 l’invenzione, limitata alla sfera della ricerca scientifica e tecnologica;

 l’innovazione, ovvero l’applicazione dell’invenzione nel processo produttivo;

 l’imitazione, strettamente connessa al successo dell’innovazione, sia di processo che di prodotto.

Con Schumpeter (1934) l’innovazione assume diverse forme: nuovo prodotto, nuovo metodo di produzione, nuovo mercato, nuova fonte di approvvigionamento di materie prime, nuova struttura di offerta superando, in questo modo, un significato legato esclusivamente all’ambito produttivo. La differenza concettuale tra invenzione ed innovazione, oltre Schumpeter, è stata evidenziata anche da altri autori. In particolare, Freeman C. (1982) considera l’invenzione un’idea, una bozza o un modello per un nuovo e rinnovato prodotto, processo o sistema; l’innovazione, invece, si realizza quando l’invenzione è prodotta e venduta sul mercato; Rogers E.M. (1995) considera l’invenzione il processo attraverso cui una nuova idea è scoperta, in contrasto con l’innovazione che si realizza quando una nuova idea è adottata o rifiutata all’interno di un contesto sociale. L’invenzione e l’innovazione sono, quindi, due processi differenti sebbene ciascuno affronti una nuova idea.

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Molto spesso si tende a identificare l’innovazione con l’innovazione tecnologica, ma si scoprono due approcci distinti rispetto all’innovazione intesa in senso ampio se si scinde il binomio e si valutano con maggiore attenzione i significati propri delle due parole. Per innovazione si intende l’introduzione di invenzioni, la produzione di idee e l’adozione di metodi che apportano una novità. L’innovazione, perciò, va intesa come processo di crescita di tutti gli strumenti, sia teorici che materiali, che mette in relazione, conoscenze, idee, processi, prodotti, ecc. Per tecnologia si intende l’applicazione della scienza per risolvere problemi di varia natura. Si tratta pertanto di un fattore strumentale all’applicazione di una innovazione. L’innovazione tecnologica, quindi, consiste nella produzione, assimilazione e sfruttamento con successo delle novità in campo economico e sociale. Proprio questo aspetto caratterizza le start-up high-tech e le distingue da altri tipi di attività. Nella precisazione dei Ministri partecipanti al Consiglio Europeo “sulla competitività”, tenutosi a Bruxelles il 12 maggio 2003, “l’innovazione non riguarda solo la tecnologia e può assumere forme diverse, per esempio, lo sviluppo di nuovi concetti commerciali e nuovi mezzi di distribuzione, la commercializzazione e la progettazione o i cambiamenti organizzativi e d’immagine” (Commissione Europea, 2003). Nel documento di lavoro della Direzione Generale per la politica regionale della Commissione Europea sull’innovazione nelle strutture strategiche nazionali di riferimento, appare con evidenza il concetto stesso di innovazione oltre ad essere considerato una priorità per tutti gli stati membri dell’UE, viene utilizzato non limitando il significato nell’ambito della ricerca e dello sviluppo tecnologico, ma estendendolo ad altri campi, quali le politiche per l’innovazione delle imprese, la società d’informazione e il capitale umano.

Il significato di innovazione assume, dunque, varie sfumature; una delle quali è relativa al concetto esprimibile in termini estensivi o restrittivi, per il quale l’innovazione produce:

- una invenzione che genera un cambiamento in una condizione attuale, - un cambiamento che dovrebbe portare dei benefici a tutti: al genere umano, alla società, a un gruppo di persone, alle entità che partecipano al cambiamento.

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Al primo aspetto consegue un fattore di cambiamento ma non di rivoluzione, perché contestualizzato rispetto all’ambiente in cui si trova ad operare, il quale potrebbe rappresentare anche dei vincoli oggettivi. In questo caso, è facile che l’innovazione porti benefici ristretti (es. un nuovo programma che aumenta la produttività della macchina). Rispetto al secondo aspetto, i benefici che si ottengono sono da collocarsi su vasta scala e sfruttabili da tutti. Ne consegue che una innovazione è tale a prescindere dalla portata del cambiamento e della quantità di soggetti che ne usufruiranno. Il passo immediatamente successivo è comprendere se l’innovazione sia uno strumento oppure una finalità e se sia da considerare o meno come un processo non statico.

Partiamo dalla considerazione che l’ondata delle attività altamente tecnologiche, che sono emerse nel mondo economico nell’ultimo decennio, di cui sono participi in gran parte anche le start-up, ha portato importanti cambiamenti riguardo le strategie, i processi economici e i processi organizzativi delle imprese. In passato l’innovazione tecnologica era frutto di un’esigenza strategica di crescita dell’azienda, volta ad accrescere la produzione o migliorare i processi produttivi attraverso il superamento di innovazioni precedenti, come un processo non statico. Oggi la globalizzazione, l’accentuata dinamica dell’innovazione tecnologica e l’elevata incertezza ambientale hanno generato una ancora maggiore esigenza di dinamismo delle imprese, derivante dalla necessità di continuo adattamento alle azioni dei sistemi che la circondano. La capacità di innovare continuamente nel tempo, di intraprendere sempre nuovi progetti di ricerca, di sperimentare e proporre sempre nuovi prodotti e nuove tecnologie costituisce una sfida per le imprese che non intendono solo consolidare il successo costruito su precedenti innovazioni, ma anche governare un progresso tecnico divenuto fattore concorrenziale decisivo. Per conseguire e conservare nel mercato una posizione competitiva, l’impresa acquisisce nuove tecnologie, attingendo a fonti interne ed esterne di conoscenze e competenze, per raggiungere i risultati prestabiliti nelle strategie di crescita. Per le imprese, l’innovazione non è più, quindi, solo un fattore strategico ovvero finalizzato al conseguimento di specifici risultati (una nuova macchina per aumentare la

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produzione o migliorare il prodotto), ma diventa anche un fattore essenziale per la propria esistenza ed evoluzione nel mercato globale. Le start-up high- tech sono quelle che sfruttano i vantaggi derivanti dalla capacità di svolgere attività di ricerca e di generare innovazioni. Per natura accolgono, più di altre, tali sfide competitive e rappresentano sempre più sistemi vitali per l’economia, anche se sono svantaggiate da elevati tassi di rischio e talvolta subiscono il cambiamento tecnologico. Provando a riassumere, un fattore innovativo/evolutivo per essere tale deve possedere le seguenti caratteristiche:

• deve basarsi su innovazioni precedenti;

• non deve essere statico;

• deve essere reso disponibile e condiviso da un gruppo portatore di interessi o un gruppo ampio.

Rimane difficile comunque valutare i contenuti dell’innovazione, perché:

• non esistono standard qualitativi e/o quantitativi su cui basarsi per misurare il contenuto di nuova conoscenza dei brevetti;

• per le attività di R&S si possono utilizzare diversi indicatori, quali: le spese di R&S come percentuale delle vendite, la quota del valore aggiunto o il rapporto tra investimenti in R&S e numero di addetti;

• è difficile determinare l’incremento di conoscenze e di esperienze acquisite rispetto alla base di conoscenze ed esperienze iniziali.

Risulta evidente, infine, che l’innovazione tecnologica è solo un aspetto delle tante forme di innovazione. Poiché come si è già accennato, l’innovazione include anche fattori legati all’organizzazione della logistica, gestione delle risorse umane, marketing, strategia di impresa, supply chain management, gestione dei progetti, CRM, gestione della business intelligence, etc. (Marras et al., 2008).

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20 1.2.2– Le teorie evolutive sull’innovazione

Globalmente, ci sono più di cento milioni di nuove imprese, le quali sono lanciate ogni anno. Considerando le statistiche, ciò si traduce in circa, mille e cento start-up lanciate ogni ora. In questo ritmo frenetico è essenziale per le start-up continuare a innovare se vogliono sopravvivere. Con migliaia di nuove aziende che vengono lanciate ogni giorno, le start-up, non possono permettersi di rimanere sui propri passi e scegliere di non sperimentare o innovare. Hanno bisogno di mantenere i propri occhi e le proprie orecchie fermamente su quanto sta accadendo intorno a loro nel mercato e di mantenere un controllo su quanto i loro concorrenti o nuovi entranti stanno facendo. Considerando il ritmo al quale le tecnologie divengono obsolete oggi, una nuova tecnologia dirompente potrebbe spazzar via un intero business durante la notte, provocando un totale spreco di risorse, tempo e sforzi impiegati per costruire l’azienda. Quindi, ci sono poche probabilità che si possa contare sul “così detto” prodotto innovativo per mantenere una start-up se non si continua a fare dell’innovazione la priorità quotidianamente (Entrepreneur, 2016). Questi concetti sono stati ampiamente discussi nella teoria dello sviluppo economico da Schumpeter (1934). Ragionando intorno ai caratteri dell’imprenditore innovatore, Schumpeter respinge l’ipotesi di razionalità finoad ora interpretata. La ricerca della massimizzazione del profitto induce l’imprenditore ad innovare. L’imprenditore schumpeteriano agisce, al contrario, sospinto da una pluralità di motivazioni che trascendono la razionalità; per questo motivo l’innovazione può essere definita come un evento di natura casuale: esso risponde alla volontà di realizzazione nel lavoro, alla gratificazione di inventare e produrre cose nuove, nonché all’ambizione di conquistare successo. Nel pensiero schumpeteriano l’innovazione è un fattore esogeno all’impresa ed ha una funzione di

“distruzione creatrice”: l’imprenditore è in grado di cogliere le opportunità offerte dall’incremento delle conoscenze intervenute all’esterno del sistema economico acquistando, rispetto alle imprese “non innovative” presenti sul mercato, una posizione di monopolio che infrange le condizioni di equilibrio competitivo e che, a sua volta, crea – o sfrutta – vantaggi concorrenziali

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determinanti. Tale posizione è solo temporanea e perdura fino al momento in cui le imprese concorrenti riescono, attraverso l’acquisizione di informazioni rilevanti, ad imitare l’innovazione che ha determinato la posizione “dominante”

dell’impresa innovativa ripristinando, così facendo, l’equilibrio precedentemente alterato sul mercato (Di Salvo, 2007). Sulla base di questo concetto, Winter e Nelson (1982) contribuirono ad apportare nuovi elementi per le teorie evolutive con una considerazione più ampia dei sistemi economici e tecnologici. In particolare, queste teorie poggiano la loro attenzione sul ruolo che i meccanismi di generazione dell’innovazione hanno nel determinare i processi di sviluppo economico. Tale approccio punta sui concetti di cambiamento e dinamica e respinge l’ipotesi di un equilibrio statico che governa il sistema economico con l’interazione della domanda e dell’offerta condizionata dalle politiche pubbliche o private, soprattutto di grandi operatori.

Di fatto, si mette in evidenza che il cambiamento tecnologico frutto dell’innovazione comporta inevitabilmente inefficienze statiche, le quali devono essere viste come opportunità di crescita del sistema, piuttosto che minacce di un allentamento di un equilibrio logico, ancorché non reale, qual è l’equilibrio competitivo. L’innovazione, dunque, per le teorie evolutive è un processo il cui esito non è certo, né completamente indeterminato. Il processo d’innovazione è indeterminato in quanto dipende dalla interazione nel tempo dei fattori che definiscono il regime tecnologico di un sistema: i fattori tecnologici in senso stretto (conoscenze tacite ed esplicite…); i fattori economici (il clima economico, la struttura dei settori industriali, i rapporti tra imprese, ecc.); i fattori istituzionali (le politiche pubbliche, il ruolo dell’università e dei centri di ricerca, etc.). Il progresso innovativo risulta quindi irreversibile e incerto e in esso si sovrappongono la creazione di nuove soluzioni tecnologiche e organizzative con il mantenimento nel tempo di asset tecnologici e organizzativi già raggiunti. In altri termini, si accavallano variazione e selezione che riguardano non solo le innovazioni, ma anche i soggetti economici e istituzionali. Questi ultimi, nel tendere a mantenere la routine di comportamenti ancorati agli asset già raggiunti e a svilupparne di nuovi dovranno subire o avvantaggiarsi degli effetti del processo innovativo.

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Quest’ultimo comporterà una rottura continua e costante degli equilibri economici e tecnologici presenti, che si tradurrà in fallimenti di imprese, turbolenze finanziarie, fallimenti o messa in discussione di politiche pubbliche, crisi di sistemi produttivi locali e nazionali. L’approccio evolutivo dipinge lo sviluppo come risultato dell’interazione tra processi innovativi, strutture industriali e assetti istituzionali, senza che esistano rapporti unidirezionali di causa-effetto, ma con una interdipendenza tra diversi fattori. L’innovazione si manifesta fuori dall’equilibrio, in cui una parte delle risorse vengono risparmiate rispetto all’impiego dei fattori di produzione di beni e servizi per essere investite nella costruzione di nuovi mezzi di produzione di risposte innovative alle esigenze già presenti o potenzialmente presenti nel mercato.

La creazione di innovazione tecnologica è dunque un processo la cui percorribilità effettiva dipende dalla garanzia della transizione da vecchi a nuovi processi produttivi e soprattutto dall’effettivo orientamento della nuova capacità produttiva verso la nuova e più ampia domanda di beni e servizi. In questo senso le teorie evolutive dell’innovazione sarebbero arricchite calandole in una rappresentazione realmente dinamica dei processi reali e monetari della produzione. L’obiettivo delle stesse teorie è quindi quello di confermare l’importanza dei processi innovativi come volano per la crescita economica, del progresso tecnologico e del benessere della società, a scapito però di un disequilibrio continuo e quindi numerosi fallimenti di imprese e continue turbolenze finanziarie.

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1.3 - LE TEORIE ORGANIZZATIVE COLLEGATE ALLE NUOVE E PICCOLE ORGANIZZAZIONI

1.3.1 – La “liability of newness, smallness” e “foerignness”

Come detto, l’altro aspetto cui devono fare fronte le start-up riguarda la loro dimensione e la novità. Non sempre si tratta di una caratteristica negativa.

Infatti, le aziende più giovani potrebbero beneficiare di più innovatività perché hanno routine meno rigide, si possono adattare più velocemente ai cambiamenti nell’ambiente in cui operano e hanno maggior facilità ad essere vigili e orientate per ciò che riguarda l’ambiente esterno. Sulla base di questi argomenti, numerosi autori ipotizzano che l’associazione positiva tra innovatività e performance delle piccole organizzazioni sia più forte nelle aziende giovani. I loro risultati empirici confermano ciò. Questi risultati però non sono universali (Hyytinen et al., 2014). Molti studiosi hanno mostrato interesse nell’investigare come le nuove imprese innovative emergono e si sviluppano nel tempo. Un tema di ricerca comune, è come le start-up dovrebbero essere organizzate per superare la mancanza di risorse chiave quali, la conoscenza, i capitali e i clienti. Tuttavia, sebbene altre ricerche cerchino di identificare i meccanismi essenziali e le risorse che sono necessarie all’interno dell’organizzazione, meno attenzione è posta invece per i processi di interazione che si verificano tra le nuove entità e gli attori essenziali nell’ambiente di riferimento. In dipendenza del tipo di start-up, questi attori possono essere incubatori, fornitori, clienti, finanziatori, politici e così via.

I processi di interazione potrebbero avere un duplice ruolo per le start-up: da un lato permettono alle nuove imprese di accedere a risorse essenziali per il loro sviluppo e dall’altro permettono di creare reti di relazioni necessarie. Le start-up, quindi, devono affrontare alcuni ostacoli dovuti alla loro età e dimensione, comunemente chiamati “liability of newness” e “smallness”.

La “liability of newness” (Stinchcombe, 1965) si riferisce al fatto che le giovani organizzazioni hanno un’alta propensione a morire rispetto a quelle più

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vecchie, per la difficoltà a competere efficacemente con le organizzazioni già stabili nel mercato. Stinchcombe (1965), ha focalizzato la sua attenzione nelle sue teorie organizzative sul tasso di mortalità delle giovani aziende e ha sottolineato come queste ultime abbiano una più alta propensione a morire rispetto alle organizzazioni già instaurate, sia per la loro incapacità a competere efficacemente nel mercato, sia per il loro basso livello di legittimità.

La “liability of newness” accresce il problema della legittimità, il quale influenza direttamente il funzionamento dell’intera organizzazione. Rispetto alle aziende già stabili, le nuove entranti hanno da lavorare duro per affermarsi e stabilire relazioni con diversi stakeholder. Il processo di legittimazione può essere lungo e costoso, incrementando le sfide che l’azienda sta già affrontando sia nel mercato domestico (e possibilmente in quello straniero). Gli studi sulla

“liability of newness” sono spesso collegati alla mortalità delle nuove e piccole organizzazioni e ai fallimenti delle aziende. Le ricerche hanno investigato su potenziali fattori contributivi a livello ambientale, individuale e aziendale nel fallimento delle aziende.

A livello ambientale, le influenze politiche e industriali che si verificano nella creazione di imprese possono influire sulla loro sopravvivenza nel lungo termine. A livello individuale, anche la precedente esperienza di un imprenditore nello stesso settore può influire sulle probabilità di sopravvivenza.

A livello aziendale, Stinchcombe (1965) ha introdotto il concetto di “liability of newness” per descrivere le caratteristiche intangibili associate alla novità delle organizzazioni e le ragioni della loro esistenza. Da una parte, la “liability of newness” è associata a processi che sono interni all’organizzazione, come l’apprendimento, lo sviluppo della fiducia e cooperazione tra i membri.

Internamente, una start-up potrebbe mancare di routine funzionali, risultando un significativo svantaggio rispetto ai concorrenti già stabili (Stinchcombe, 1965). I membri interni spesso devono imparare ruoli che non sono loro, il che richiede tempo e risorse, portando a inefficienze interne e opportunità mancate; inoltre, fiducia, coesione, e comprensione tra i membri spesso richiedono molto tempo nelle nuove imprese. Dall’altro lato, la “liability of newness” è collegata ai processi che sono esterni all’organizzazione, come lo

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stabilire relazioni con i clienti, fornitori e altri soggetti rilevanti. Le ricerche hanno spesso sottolineato che una mancanza di comprovata esperienza delle start-up rende difficile per gli imprenditori convincere potenziali stakeholder (come investitori, clienti e fornitori) a fare affari con loro. Senza queste risorse esterne (come capitale, materie prime, relazioni, ecc.), un’impresa non può sopravvivere. Numerose ricerche sottolineano che le difficoltà nello stabilire collegamenti esterni, spesso risultano da una mancanza di legittimità con stakeholder esterni. La legittimità, definita come una proprietà che migliora le opportunità di fare affari con stakeholder esterni, è considerata come un asset essenziale per le imprese, legato spesso alle aspettative degli stakeholder. Le percezioni degli stakeholder collegate all’età organizzativa potrebbero influenzare la probabilità di successo di una nuova impresa. Tuttavia, l’età è un fattore insufficiente e imperfetto per la “liability of newness” per almeno due ragioni. Primo, le caratteristiche della “liability of newness” possono manifestarsi diversamente per ogni azienda della stessa età, a seconda ad esempio di una precedente esperienza. Secondo, sebbene l’età possa essere misurata oggettivamente, gli stakeholder potrebbero non venire a conoscenza della reale data di fondazione. Ricerche precedenti suggeriscono che una mancanza di affidabilità, responsabilità e disponibilità percepita dagli stakeholder potrebbe rappresentare un’altra “liability of newness” che può ostacolare la sopravvivenza delle start-up. L’affidabilità è definita come l’abilità di produrre sistematicamente risultati consistenti durante diversi periodi. Gli imprenditori devono anche superare la percezione di mancata attendibilità, definita come l’abilità di dimostrarsi responsabili nello svolgimento delle attività operative quotidiane dell’impresa. La disponibilità è invece la capacità di rendere prodotti e servizi ottenibili nel momento in cui sono richiesti dagli stakeholder. Vincoli relativi alla dimensione organizzativa e al loro budget potrebbero impedire la capacità di una nuova impresa di fornire prodotti e informazioni per soddisfare la domanda. Da un lato, la giovane età delle start- up potrebbe anche essere considerata come un asset e non come un rischio, appunto un “asset of newness”, che potrebbe migliorare le probabilità di sopravvivenza di un’azienda. In particolare, l’”asset of newness” rappresenta

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uno stock di proprietà intangibili che incoraggia gli stakeholder a vedere la nuova impresa come fresca, dinamica, flessibile e innovativa. Nagy, Blair, and Lohrke (2012) suggeriscono un’altra caratteristica di novità, l’energia organizzativa, come fattore critico dell’”asset of newness”. L’energia organizzativa è definita come la percezione dei dipendenti che lavorano vigorosamente, con entusiasmo e senza fatica nel perseguire i miglioramenti organizzativi. In particolare, le start-up potrebbero avere soggetti con sentimenti di positività e di passione riguardo il loro lavoro e la loro organizzazione. Gli ecologisti organizzativi collegano il concetto della “liability of newness” con la “liability of smallness”, anche se non tutte le organizzazioni nascono piccole. La “liability of smallenss” (Freeman et al., 1983), si riferisce ai limiti in termini di risorse e capacità che porta le imprese ad essere vulnerabili ai cambiamenti ambientali. L’idea è che le grandi aziende hanno una maggior probabilità di sopravvivenza rispetto alle piccole e nuove entità.

La dimensione iniziale potrebbe essere misurata in termini sia di capitale finanziario o di numero di dipendenti al momento della nascita. Un buon quantitativo di risorse finanziarie migliora la possibilità di una nuova impresa di superare il periodo critico iniziale e affrontare alcuni shock casuali nell’ambiente di appartenenza. Difatti, le grandi organizzazioni hanno un grande vantaggio nell’accumulare maggiore capitale, per una posizione migliore a livello fiscale e una maggiore attrattività di lavoratori qualificati. Oltre a ciò, la dimensione delle start-up è tipicamente proporzionale alla limitata presenza sul mercato e al suo potere di mercato, mettendo le stesse in una posizione svantaggiosa nelle negoziazioni. Le “liability of newness” e

“smallness” rappresentano gli ostacoli principali nel mercato locale, ma potrebbero anche interessare il processo di internazionalizzazione di un’azienda, diventando un fattore complicante. La “liability of smallness” e

“newness” sono spesso usate negli studi sull’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese e di quelle aziende dette “born global” o le “start-up globali”. Riguardo alla probabilità di fallimento delle start-up globali, alcuni autori sostengono che “nessuno sa se la probabilità di sopravvivenza delle start-up globali sarà migliore o peggiore delle nuove imprese locali. Ciò che è

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certo, è che i rischi delle operazioni internazionali si aggiungono agli usuali svantaggi di essere nuove e piccole imprese, ma, allo stesso tempo, i rischi locali potrebbero anche essere più elevati quando i mercati sono globali”. Le stesse sfide quindi si verificano anche per le nuove imprese internazionali (NII). Esse, infatti, devono affrontare tipicamente tre ostacoli: il primo legato alla loro novità e inesperienza, il quale limita loro l’accesso a risorse e reti di relazioni esistenti; il secondo ostacolo è collegato alla dimensione, poiché molte NII sono piccole; infine, il terzo ostacolo deriva dalle barriere internazionali. Ciò significa che queste organizzazioni devono lavorare duro per superare le barriere all’entrata, creare relazioni con i clienti e i fornitori e guadagnare la fiducia da parte dei potenziali nuovi clienti.

Quest’ultimo ostacolo è conosciuto come la “liability of foreigness”. Tale fenomeno si riferisce al fatto che le imprese straniere incorrono in costi aggiuntivi quando operano a livello internazionale, rispetto alle imprese locali che hanno informazioni migliori dei loro consumatori, dell’economia, delle leggi, della cultura, delle politiche ecc. Le imprese straniere hanno infatti meno informazioni rispetto a quelle locali su come fare gli affari nel paese stesso. Le imprese straniere sono inoltre spesso esposte alle discriminazioni dei governi, dei consumatori e dei fornitori e sono soggette al rischio di cambio della valuta (Guercini e Milanesi, 2016).

1.3.2 – Fattori per la nascita delle nuove imprese

Rimanendo in ambito delle teorie organizzative, numerosi studiosi si sono soffermati su quali fossero i fattori critici di successo di una impresa di nuova costituzione e le motivazioni dei soggetti a intraprendere il percorso imprenditoriale in una determinata regione e in un determinato settore.

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L’analisi della figura dell’imprenditore e del concetto di imprenditorialità risulta preliminare rispetto all’esame delle ragioni e condizioni che, in generale, si pongono all’origine della “intrapresa aziendale”, vale a dire della creazione di un’impresa (Bonti, 2012). Tuttavia, l’inventiva iniziale, da sola, non è sufficiente: essa richiede da un lato lo sviluppo di molteplici funzioni, dall’altro la capacità di individuare e cogliere nel tempo molteplici opportunità imprenditoriali, determinate tra le principali dalla crescita e dallo sviluppo delle aziende minori; dall’altro ancora, dal sostegno di condizioni di contesto. Nella letteratura economica, l’aspettativa del profitto viene indicata quale motivazione che spiega la decisione di diventare imprenditori. L’obiettivo è quello di individuare il settore con più alti tassi di profitto attesi. Studi successivi hanno mostrato come la profittabilità, pur essendo importante, deve essere affiancata da altri fattori non meno rilevanti, sempre a carattere economico, ma anche ambientale, istituzionale o culturale (Bonti, 2012). Partendo ad esempio dall’aspetto economico, devono essere fatte determinate valutazioni prima di operare sul mercato. Infatti, l’idea imprenditoriale nasce dall’intraprendenza di uno o più soggetti in grado di cogliere opportunità imprenditoriali nell’ambiente circostante. Ma concretamente, l’iniziativa imprenditoriale richiede che vengano svolte analisi e valutazioni a priori, tramite strumenti quale ad esempio il business plan (l’ammontare del capitale iniziale, gli investimenti da effettuare, le possibili barriere all’entrata, cioè il numero di altre imprese presenti nello stesso settore; la disponibilità di manodopera, la individuazione dei possibili finanziatori o investitori, ecc.).

Occorre, di conseguenza, svolgere un’attenta indagine sull’ambiente circostante, in cui l’azienda dovrà operare, per capire in quale misura esso offra le condizioni non solo per la nascita, ma anche per la sopravvivenza e lo sviluppo della nuova combinazione aziendale. Un ambiente favorevole, caratterizzato dalla presenza di agevolazioni governative, infrastrutture, buoni mercati di sbocco, solida situazione finanziaria, potrà favorire addirittura la nascita di veri e propri ecosistemi aziendali. Se la nuova impresa trova la propria localizzazione all’interno di distretti produttivi già avviati, essa potrà godere di alcuni vantaggi connessi vuoi all’atmosfera distrettuale, vuoi

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all’esistenza di strutture di supporto e sostegno alle imprese di nuova costituzione, secondo il modello degli incubatori (Bonti, 2012). Se è presente invece una specializzazione a livello di conoscenze relative a una settore o un’industria in particolare, di solito si assiste a una diffusione di attività vocazionali capaci attirare un elevato numero di aziende minori, che possono così sfruttare una nicchia di mercato o collegarsi alle combinazioni già esistenti, dando vita a rapporti di collaborazione o aggregati di piccole aziende ad alta intensità. In condizioni ambientali meno favorevoli, in cui non esiste una cultura imprenditoriale e non siano presenti fattori localizzativi favorevoli (come agevolazioni, infrastrutture, e così via) capaci di attirare e di incoraggiare lo sviluppo industriale, sarà più difficile dare attuazione della decisione di dar vita ad un’impresa; le nuove entità saranno invece scoraggiate dall’ambiente circostante, che finirà per impedire l’instaurazione di una spirale di sviluppo e crescita economica. Accanto poi ad una valutazione delle opportunità e dei vincoli offerti dall’ambiente, è necessario considerare quali possono essere le motivazioni che fanno capo al soggetto fondatore. Il suo carattere, la sua personalità ed il desiderio di affermazione, forse più di ogni altro fattore, sono le molle che spingono alla creazione di un’impresa. La volontà creatrice dell’imprenditore e il suo atto volontario e creativo assumono rilevanza in relazione ai fattori personali (i caratteri personali dell’imprenditore, il suo background, le sue motivazioni, le sue capacità sono anche la fonte primaria dell’idea imprenditoriale) e ambientali di contesto (presupposti necessari alla realizzazione delle condizioni per la nascita di un’impresa) che l’hanno influenzato. Il successo o l’insuccesso delle nuove imprese e le loro performance possono, in seguito, essere ricondotte, tra l’altro, ai connotati che questi stessi fattori presentavano nel momento della nascita dell’impresa (Bonti, 2012). La decisione di intraprendere un’attività d’impresa è un atto che trova nella figura dell’imprenditore la propria origine, ma che richiede, come in precedenza richiamato, la presenza di altre condizioni. La letteratura sull’imprenditorialità e sui processi di creazione di nuove imprese è venuta, negli anni, a proporre modelli basati su una molteplicità di fattori. Tra questi, il lavoro di Gartner (1985), risulta sicuramente uno dei più noti, che prevede un

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modello articolato in quattro gruppi di variabili dalla cui combinazione simultanea derivano gli elementi essenziali della nuova impresa:

• gli individui, per indicare le persone che sono coinvolte nella nuova realtà aziendale;

• l’ambiente, per connotare le condizioni esterne che possono influenzare comportamenti e scelte;

• l’organizzazione, per esplicitare la tipologia di governo e le scelte strategiche che troveranno implementazione;

• il processo, per specificare le azioni da porre in essere per dare inizio all’attività.

Riflettendo su queste dimensioni, può essere affermato che le prime due derivano da fatti oggettivi e individuabili. Gli ultimi invece sono dimensioni meno oggettive, considerabili più come strategie in conseguenza delle prime due dimensioni. Ai fini della tesi corrente, sarà unicamente necessario osservare le condizioni appartenenti all’ambiente in cui viene creata la nuova impresa. Questo per spiegare come tali fattori siano influenti nel formare aggregazioni di start-up in una certa regione, creando i così detti ecosistemi di start-up. E’ bene comunque sottolineare l’importanza dei fattori soggettivi degli individui imprenditori. Questi infatti fanno riferimento alle motivazioni che spingono gli stessi a intraprendere il percorso imprenditoriale. Si tratta quindi delle loro conoscenze e competenze, di un loro imprinting culturale o delle esigenze di ricercare l’indipendenza nella propria vita professionale. Sono solitamente soggetti che rifiutano ogni tipo di autorità e vogliono provare qualcosa agli altri. I fattori culturali e sociali nel contesto in cui si trovano o l’appartenenza ad una famiglia imprenditoriale possono essere condizioni soggettive motivanti per la creazione di un’impresa. Altri fattori possono essere il background scolastico o professionale, una valida rete sociale o l’individuazione di un’opportunità imprenditoriale.

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31 CONDIZIONI DI NATURA AMBIENTALE

La presenza di presupposti soggettivi può essere vista come condizione necessaria ma non sufficiente per dare avvio ad un’impresa e sostenerne il successivo sviluppo (Bonti, 2012). Questo atto però è influenzato profondamente dal contesto ambientale, in particolare dal modo in cui le condizioni ambientali vengono percepite dal potenziale imprenditore.

L’ambiente difatti può favorire o ostacolare la nascita di un’impresa, in funzione delle caratteristiche e della varietà delle risorse disponibili e delle condizioni di accesso a queste. Possono essere individuati due gruppi principali di variabili ambientali: quelle a carattere generale e quelle a carattere particolare. Sia le prime che le seconde, collegate da rapporti di interdipendenza e influenza reciproca, possono essere ulteriormente distinte a seconda che riguardino l’aspetto socioculturale, economico o tecnico. Le variabili ambientali generali sono quelle variabili che permettono di determinare le caratteristiche globali del contesto economico, politico, culturale, sociale, tecnico in cui le nuove imprese si inseriscono e, pur essendo prevalentemente riferibili ad un insieme di organizzazioni, è possibile che essi producano effetti anche sulla singola impresa. La loro natura è tuttavia tale da assegnare loro una rilevanza soltanto

“indiretta” sul processo di formazione, dal momento che se esse non rientrano tra gli elementi su cui viene basata la decisione di dare avvio ad un’attività imprenditoriale, tuttavia la condizionano nei fatti. Un primo aspetto importante da considerare è la cultura dominante in una determinata regione. In una società nella quale prevalgono i valori dell’individualismo, della creatività e dell’indipendenza, insieme a bisogni di auto-realizzazione e una forte propensione al rischio, l’impresa come la figura dell’imprenditore troveranno maggiore legittimazione e consenso sociale rispetto a quanto potrà essere rilevato in una società nella quale dominano i valori del collettivismo, la sicurezza e la stabilità del posto di lavoro, una forte avversione nei confronti del rischio (Bonti, 2012). Sono state tuttavia individuate due principali condizioni favorevoli allo sviluppo di una cultura imprenditoriale: una religione che non limita i valori della libera iniziativa e del profitto ed un sistema scolastico che rivolge il suo interesse e la sua attenzione al fenomeno

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dell’imprenditoria. Le variabili di contesto generale di tipo economico sono riconducibili alla struttura dei settori, alla congiuntura economica, al livello di disoccupazione, alla struttura del sistema finanziario/creditizio, alla legislazione sul commercio con l’estero, alla legislazione sul lavoro.

L’articolazione in settori del sistema economico, pertanto le caratteristiche della struttura economica possono fornire utili indicazioni in relazione sia ai settori che costituiscono le competenze distintive di un determinato paese, sia a quelli che si presentano in prospettiva come destinati a rivestire un ruolo prioritario per lo sviluppo del paese. La quasi totalità degli studi empirici tende tuttavia a sottolineare come nella stragrande maggioranza dei casi le nuove imprese vengono e localizzarsi nei settori più familiari al neoimprenditore in rapporto all’esperienza professionale acquisita (Bonti, 2012). Sempre nell’ambito delle variabili economiche, non va poi dimenticata la fase del ciclo economico nel quale si colloca un determinato paese. Non sono pochi gli studi che si sono soffermati sulla relazione esistente tra natalità e ciclo economico, sottolineando come indubbiamente elevati tassi di disoccupazione costituiscono un incentivo “a mettersi in proprio”, per quanto non possano essere trascurate due circostanze. Nei casi di entrata sul mercato “per necessità”, i risultati conseguiti dal neoimprenditore si sono dimostrati non sempre positivi, presumibilmente per il fatto che le motivazioni sono meno

“forti” o le aspettative si attestano su livelli più bassi. È vero comunque che anche le fasi di espansione possono costituire uno stimolo non solo alla scelta di un impiego di lavoro dipendente, come conseguenza di una generale crescita della domanda di lavoro, ma anche all’avvio di un’attività imprenditoriale, quanto meno considerando, i più alti profitti attesi a fronte di un “rischio di fallimento” complessivamente più contenuto. Le variabili di contesto generale di tipo tecnico possono essere riassunte nel livello di diffusione delle nuove tecnologie ed assumono rilevanza, tra l’altro, sotto un duplice punto di vista. La diffusione di nuove o più sofisticate tecnologie all’interno di un determinato settore può comportare più alte barriere all’entrata, con riferimento all’ammontare degli investimenti e di conseguenza dei finanziamenti necessari, al know how richiesto, ai rischi da fronteggiare. Al

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contempo, non vanno trascurate quelle che sono le implicazioni di tipo gestionale ed organizzativo, le quali a loro volta presuppongono conoscenze di natura specialistica, una visione di lungo periodo, una capacità di fondare su elementi “diversi” la flessibilità del sistema aziendale e sviluppare una maggiore capacità di fronteggiamento dell’incertezza. Per quanto riguarda le variabili a carattere particolare, riconducibili all’ambiente transazionale della nuova impresa, occorre anzitutto rilevare che queste vengono percepite come aventi un’influenza diretta sul processo di formazione dell’impresa, condizionando le scelte del potenziale imprenditore sia nel momento della decisione ad intraprendere un’attività d’impresa, sia nei momenti successivi di sviluppo dell’iniziativa (Bonti, 2012).

Tra queste variabili appare poi opportuno considerare anche le caratteristiche delle istituzioni coinvolte nel processo di creazione: esse sono in grado di influire sulle decisioni relative all’avvio dell’attività e allo stesso tempo anche su quelle di localizzazione, sia in termini di azioni concrete che di generale sensibilità al tema della nascita delle imprese. In sostanza la conoscenza delle caratteristiche del contesto locale in relazione alle variabili economiche, tecniche e culturali contribuisce a delineare una sorta di “mappa” intorno alle migliori opportunità esistenti, così fornendo elementi di indubbia utilità per orientare i potenziali imprenditori. La rilevanza di tali fattori richiede poi di essere valutata sotto due diversi punti di vista: accanto a quello del potenziale imprenditore, non si può trascurare quello delle aziende/istituzioni che erogano servizi di supporto alla creazione di imprese. Per tali aziende ed enti le caratteristiche di tali fattori ambientali contribuiscono a delineare in maniera più specifica il profilo del contesto locale, così rendendo possibile una più calibrata individuazione della natura dei servizi e degli interventi necessari o più opportuni.

Le variabili socioculturali offrono al potenziale imprenditore non solo modelli strutturali, organizzativi e di comportamento a cui richiamarsi o da imitare, ma anche opportunità per instaurare reti di relazioni che si possono rivelare di supporto e sostegno certamente sul piano dell’esperienza, ma così anche più semplicemente a livello psicologico. Passando all’analisi di elementi di natura

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tecnica, va considerata principalmente la presenza di risorse e competenze specifiche e di manodopera specializzata. Numerosi studi hanno evidenziato come tale situazione sia particolarmente diffusa in tessuti locali “fertili”, in altre parole a elevata intensità di imprese di piccola-media dimensione: queste infatti vengono a svolgere una duplice importante funzione, da un lato, di

“serbatoio” di manodopera specializzata, dall’altra di incubatore di nuovi imprenditori.

Tra le variabili di natura economica, la disponibilità di capitali costituisce uno tra i principali fattori in grado di ostacolare oppure incentivare la creazione di imprese. In particolare, si rileva come il sistema creditizio non sia preparato a far fronte alle esigenze finanziarie dei potenziali imprenditori, mancando di strutture adeguate, in grado di seguire le diverse problematiche che accompagnano il processo di creazione di nuove imprese. Peraltro, le caratteristiche del contesto economico-culturale in cui dovrà operare l’impresa sono destinate ad esercitare una qualche influenza a questo riguardo. Infatti, nei casi in cui le iniziative imprenditoriali s’inquadrano nella “tradizione” locale, esse possono incontrare minori ostacoli ovvero istituti maggiormente pronti a raccogliere e rispondere ai bisogni finanziari dei potenziali imprenditori di quanto non sia dato verificare per iniziative che non seguono tale tradizione.

In questi casi, la presenza di società di venture capital può sopperire ad alcune difficoltà o carenze del sistema creditizio; in altri, è la rete di conoscenze del neoimprenditore a consentire il superamento delle difficoltà connesse con il recepimento dei capitali, mediante l’individuazione di “investitori informali”. Un incentivo alla creazione di nuove imprese è certamente costituito dalla disponibilità di fondi pubblici, finanziamenti nella forma di contributi in conto capitale, sgravi fiscali, finanziamenti agevolati che, seppure volti a favorire lo sviluppo di iniziative imprenditoriali in particolari settori ed aree geografiche, possono costituire un “fattore critico” di vantaggio competitivo. Da attentamente valutare è poi la presenza di iniziative specifiche a sostegno delle nuove imprese, supporti a favore della nascita che possono assumere la forma di: agevolazioni finanziarie specificatamente rivolte alle nuove imprese oppure alla nuova imprenditorialità giovanile; pacchetti articolati di servizi

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erogati a livello locale ad un numero ristretto di aziende selezionate; interventi sulle infrastrutture finalizzati ad attrezzare determinate aree allo scopo di incentivare la localizzazione delle imprese. L’efficienza delle reti infrastrutturali, relative alla presenza di infrastrutture di trasporto adeguate, alla possibilità di usufruire di servizi efficienti oppure di fare affidamento sulla disponibilità delle necessarie materie prime, alla facilità dei collegamenti esistenti con altre aree, alla vicinanza a centri di ricerca o strutture universitarie rappresentano un importante elemento, verosimilmente destinato in non pochi (Bonti, 2012).

Possono essere elencati in sintesi tredici fattori relativi all’ambiente in grado di stimolare l’imprenditorialità in una determinata regione e in un determinato momento. Tra questi oltre a quelli appena osservati rientrano anche fattori derivanti dal lavoro di Bruno e Tyebjee (1982):

1. disponibilità di Venture Capital;

2. presenza di imprenditori con esperienza;

3. disponibilità di forza lavoro qualificata;

4. accessibilità dei fornitori;

5. accessibilità dei clienti, del mercato o di nuovi mercati;

6. influenza dell’autorità governativa;

7. prossimità delle università;

8. disponibilità territoriale, di strutture e di facilities;

9. accessibilità dei trasporti;

10. attitudini della popolazione;

11. disponibilità di servizi di supporto;

12. condizioni di vita generali;

13. disponibilità di risorse finanziarie.

Grazie agli studi di Pennings sulla frequenza della nascita di nuove organizzazioni (1980, 1982a, 1982b) a questi fattori si aggiungono poi:

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