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IL BUSINESS PLAN NELLE START-UP.

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Academic year: 2021

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L a u r e a M a g i s t r a l e i n

S T R A T E G I A , M A N A G E M E N T E C O N T R O L L O

Valentina Landi

IL BUSINESS PLAN NELLE START-UP.

UN CASO DEL SETTORE STREET FOOD

Relatore: Prof.ssa Giuseppina Iacoviello Contro Relatore: Prof. Alessandro Capodaglio

______________________________________________

Anno accademico: 2013-2014

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Ringrazio i miei genitori e la mia famiglia per avermi dato le idee migliori, per avermi sostenuta ed incentivata;

ringrazio Francesco, per la creazione del rendering, ma

soprattutto, per aver ascoltato centinaia di volte la mia idea imprenditoriale;

ringrazio mio zio, per aver pensato al nome

dell’attività;

ringrazio i miei amici, che si sono prestati per i miei test,

e mi hanno fornito opinioni preziose;

ringrazio Vanessa e tutto lo studio de I Commercialisti, che mi hanno supportata sia dal punto di vista commerciale, che morale;

ringrazio la Prof.ssa Iacoviello, che ha creduto in me e mi ha affiancato nella stesura della tesi.

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INDICE Parte teorica

1. IL SISTEMA DEI PIANI D’AZIENDA 2. IL BUSINESS PLAN NELLE START-UP

A. Perché il Business Plan?

B. L’indice del Business Plan 3. ANALISI DELL’AMBIENTE ESTERNO

A. L’ambiente politico B. L’ambiente sociale C. L’ambiente normativo 4. ANALISI DI MERCATO

A. L'analisi del settore e contesto competitivo B. Definizione del mercato di riferimento C. Analisi dei clienti

D. Analisi del potenziale di mercato

5. ANALISI DEL SISTEMA COMPETITIVO ALLARGATO A. Analisi dei concorrenti

B. Barriere all’entrata e all’uscita C. L'evoluzione dell’arena competitiva D. I punti di forza e di debolezza 6. DEFINIZIONE DELL’OFFERTA

A. Caratteristiche materiali B. Packaging

C. Prezzo e condizioni di pagamento D. Elementi immateriali associati al prodotto E. Comunicazione e marketing planning F. Il break-even point

7. STRATEGIA AZIENDALE A. I canali distributivi

B. Le strategie di comunicazione C. La strategia di ingresso D. La strategia competitiva 8. STRUTTURA AZIENDALE

A. La definizione di struttura B. La struttura produttiva C. La struttura commerciale D. Ricerca e sviluppo

E. Il personale e l'organizzazione 9. RISORSE DI FINANZIAMENTO

A. La dimensione economico-finanziaria B. Analisi dei documenti prospettici C. Conto Economico

D. Stato Patrimoniale E. Rendiconto Finanziario F. Indicatori sintetici G. Il punto di pareggio H. Analisi di sensibilità 10. CONCLUSIONE

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Parte pratica

11. INTRODUZIONE 12. L’IDEA DI IMPRESA

A. Business idea

B. Elementi salienti del piano economico - finanziario 13. DESCRIZIONE DELLA COMPAGINE SOCIALE

A. Generalità del proponente B. Indirizzi recapiti per comunicazioni C. Forma giuridica

D. Titolare e soci

14. DESCRIZIONE DEL PROGETTO A. Settore di attività

B. Descrizione del prodotto/servizio 15. ASPETTI COMMERCIALI

A. Mercato di riferimento B. Strategie commerciali C. Obiettivi di vendita 16. ASPETTI PRODUTTIVI

17. POTENZIALITà DEL PROGETTO A. Fattibilità

B. Redditività

C. Validità dell’iniziativa 18. ASPETTI OCCUPAZIONALI

19. PIANIFICAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA A. Descrizione dell’investimento da effettuare B. Descrizione dei finanziamenti

20. CONCLUSIONI E COMMENTI

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1. Il sistema dei piani di azienda

Un’azienda, che sia una Start-up o un’impresa già avviata, ha la necessità di pianificare la propria attività. Drucker (1959) ritiene che la pianificazione abbia una triplice valenza:

 attualizzare decisioni aziendali

 organizzare i comportamenti verso il raggiungimento dell’obiettivo aziendale

 misurare i risultati tramite il controllo

Tutte queste azioni devono essere strutturate, svolte e sviluppate in modo sistematico. A questo proposito, Caramiello (1993) suggerisce vari piani che si differenziano a seconda dell’orizzonte temporale:

 medio - lungo periodo: programmi strategici per stabilire le linee fondamentali della gestione aziendale

 esercizio amministrativo: programmi tattici per definire analiticamente le azioni da porre in essere per attuare le linee strategiche

Per “programma” si intende lo strumento atto alla rappresentazione delle operazioni necessarie per il raggiungimento dell’obiettivo di produzione (Caramiello, Il rendiconto finanziario, Giuffrè, Milano, 1993).

Il piano, invece, è lo strumento atto alla rappresentazione dei valori relativi alle operazioni contenute nel programma (Caramiello, Il rendiconto finanziario, Giuffrè, Milano, 1993); in altre parole è il documento che formalizza strategia, obiettivi ed azioni.

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In altre parole, dalle scelte strategiche (di lungo termine), si passa alla definizione delle scelte operative (di breve termine), in modo che gli obiettivi di breve indichino giorno per giorno, esercizio dopo esercizio, la corretta strada da seguire per raggiungere gli obiettivi di lungo termine. Mission e Vision devono rimanere sempre i punti cardine della gestione aziendale (sopra le scelte strategiche) (Caramiello, Il rendiconto finanziario, Giuffrè, Milano, 1993).

I concetti chiave, le scelte strategiche, le decisioni e gli obiettivi aziendali sono resi ufficiali attraverso il trasferimento nell’insieme di documenti che costituisce il sistema di piani: Mission and Vision Statement, Stratecig Intent, Business Plan, Budget …

Il sistema dei piani è destinato ad orientare la vita probabile dell’azienda negli intervalli di tempo corrispondenti al futuro prevedibile, quindi ad indirizzare il comportamento dei soggetti coinvolti a vario titolo nelle vicende aziendali [Giannessi, 1956].

Ciascun piano può avere più funzioni e può essere utilizzato per scopi vari (Tab A), per cui non esiste un modello univoco sul quale basarsi per redigere i Piani.

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Fig. 1 – La multi-funzionalità dei Piani

I Piani come STRUMENTI DI COMUNICAZIONE:

Oggetto di comunicazione: intenzioni strategiche, valori aziendali, aspirazioni del management, orientamento strategico di fondo (Coda, 1988) -> milestones, risorse da impiegare, disponibilità finanziarie.

Fruitori: interni (manager, impiegati, azionisti) ed esterni (finanziatori, stakeholder, Istituti di credito). In base al destinatario, le comunicazioni ed i documenti cambiano tipologia e/o impostazione.

I Piani come STRUMENTI DI VALUTAZIONE:

una volta definite le specifiche dei comportamenti attesi da ciascuno all’interno dell’azienda, è possibile valutare il risultato di ciascun dipartimento, ASA, manager o dipendente, utilizzando le specifiche come punti di riferimento.

Documenti:

 di mercato: coordinamento e allocazione e delle risorse nelle varie ASA

 di produzione: allocazione delle risorse umane e finanziarie relative a ciascuna attività aziendale

 finanza ed economia: composizione dei fabbisogni finanziari

 attese e valore: articolazione delle relazioni con i vari stakeholder

I Piani come STRUMENTO DI CONTROLLO (Galbraith, 1967):

 mercato esterno

 fornitori

 clienti

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Gli scopi principali dei piani sono:

a) evitare la dispersione delle informazioni, concentrando i vari input al piano in una sola fonte coordinata;

b) limitare in tempi ragionevoli un processo che per la complessità delle analisi richieste, potrebbe protrarsi troppo a lungo;

c) consentire una efficace e tempestiva comunicazione e discussione dei contenuti delle scelte strategiche affinché esse siano attuate dai responsabili operativi;

d) costituire la base documentale su cui valutare e controllare lo stato di avanzamento del piano.

La stesura iniziale del piano comporta certamente l’assunzione di alcune ipotesi, eventi, circostanze che non è detto che si verifichino. Perciò sarà opportuno, in corso d’opera, apportare alcune modifiche al piano, in modo da mantenersi sulla linea degli obiettivi prefissati, adattando la strategia al modificarsi delle situazioni.

(G. Eminente, Pianificazione e gestione strategica dell’impresa, Il Mulino, Bologna, 1986)

Fig. 2 – Gerarchia degli obiettivi aziendali

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I piani sono classificati in:

 piani economici generali

 piani finanziari

Il sistema di piani dal quale evincere sub-obiettivi, scelte e decisioni, azioni dei vari soggetti è chiamato Piano d’impresa (Campedelli, 2001) o Business Plan.

Nel corso della sua esistenza, un’azienda attraversa normalmente varie fasi. Anche se il numero ed il nome con cui gli studiosi di economia aziendale definiscono tali fasi variano, la letteratura concorda nel fissare almeno tre passaggi rilevanti:

l’avvio, lo sviluppo e la maturità. Il passaggio ad una nuova fase rappresenta sempre un momento cruciale nella vita di un’azienda. In genere, ad ogni fase della vita di un’azienda corrisponde un incremento dei ricavi e del numero dei

dipendenti (e forse anche delle linee di prodotto, dei beni aziendali, ecc.) ed è richiesta una maggiore delega dei compiti di gestione. Questo passaggio, insieme ai cambiamenti collegati alle mutevoli condizioni del mercato, alle strategie aziendali in costante evoluzione ed ai risultati finanziari raggiunti, impone la necessità di avere a disposizione un documento di pianificazione e controllo dinamico.

(PricewaterhouseCoopers, AIFI, IBAN, Guida alla stesura del Business Plan) Il Business Plan è il documento di pianificazione che descrive l’idea imprenditoriale specifica e ne consente una valutazione oggettiva della fattibilità.

Esso definisce lo scopo, la struttura e gli obiettivi di un’attività imprenditoriale analizzando nei dettagli il suo punto di partenza, quindi le fondamenta teoriche e pratiche sulle quali poggia, e facendo previsioni su di un ipotetico punto di arrivo.

(R. Ferraris Franceschi, Pianificazione e controllo vol. II, G. Giappichelli Editore, 2007).

In altre parole, il Business Plan è una mappa di ampio respiro che guida il business verso gli obiettivi che sono stati posti per lo stesso.

Obiettivo generale di un Business Plan è quello di formalizzare in maniera economico-scientifica un’idea imprenditoriale fondata su un’intuizione. Attraverso

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l’opera di stesura del piano di investimento si possono raggiungere alcuni importanti obiettivi;

 sistematizzare le intuizioni;

 individuare coerenze ed incoerenze all'interno del progetto;

 valutare la fattibilità economico finanziaria;

 far conoscere le proprie idee anche ad interlocutori esterni e dare vita ad una prima verifica di interesse;

 accedere a fonti finanziarie (quali merchant bank, venture capitalist o fondi comunitari).

(Advance Intelligenza finanziaria per l’impresa, Start-up: dall’idea all’impresa, IPSOA Editore, 2001)

Di seguito andremo ad analizzare più nel dettaglio l’utilizzo e la struttura del Business Plan per le aziende in fase di start up.

2. Il Business Plan nelle Start-up

Nelle aziende in fase di Start-up la stesura del Business plan caratterizza la fase progettuale antecedente la creazione o lo sviluppo di un’azienda, l’ingresso in una nuova area di business. (R. Ferraris Franceschi, Pianificazione e controllo vol. II, G. Giappichelli Editore, 2007)

L’idea imprenditoriale è fondamentalmente la sintesi di un insieme di riflessioni, esperienze, stimoli e aspirazioni, ed è, al tempo stesso, il cuore del progetto; se l'idea ò errata tutto ciò che ne consegue è logicamente e probabilisticamente sbagliato, e aumentano fortemente le probabilità di insuccesso. Soprattutto nei settori a forte frammentazione d'impresa, l'idea imprenditoriale non necessariamente deve essere di carattere innovativo. Ci possono essere anche nuove iniziative in settori già caratterizzati da ampia presenza imprenditoriale, oppure idee di business che imitano prodotti o servizi già esistenti. In effetti, in tutti i mercati vi è un fisiologico turn over e quindi ci sono imprese che ne rimpiazzano

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altre, continuando a produrre beni o servizi più o meno simili. Vi è anche il fatto che, come a suo tempo Schumpeter metteva in evidenza, non necessariamente l'innovazione deve essere di carattere radicale, ma può anche essere di carattere incrementale o non rivolta al prodotto; l'innovazione, infatti, può essere concentrata o sul modo di erogare il prodotto/servizio o sull'organizzazione stessa dell'impresa, agendo quindi più sul lato dei costi che sul lato del prodotto, ma garantendo comunque una maggiore competitività. Liberato quindi il campo dalla necessità di avere idee assolutamente originali, dobbiamo ricordare l'altra faccia della medaglia:

cioè il fatto che normalmente le idee veramente innovative, quelle cioè che propongono qualcosa di nuovo sul mercato, sono anche le idee più profittevoli. Di solito vi è un rapporto proporzionale fra grado di rischio e profittabilità dell'idea.

Fig. 3 – Dall’idea al progetto di business

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L’aspirante imprenditore è sempre di fronte alla scelta fra un'attività imprenditoriale più tradizionale e più affermata sul mercato, ma rapportata a un grado di profittabilità più basso, e una attività più innovativa, caratterizzata da aspetti di novità non solo del prodotto ma anche dell’organizzazione, molto più rischiosa, ma anche con più alte possibilità di profittabilità. Una caratteristica tipicamente imprenditoriale è la capacità, appunto, di saper trasformare una semplice idea in un vero e proprio progetto d'impresa. Per giungere a questo risultato bisogna mettere in campo due fondamentali abilità: da un lato la creatività che va continuamente coltivata e alimentata e, dall'altro, la capacità di razionalizzazione che comporta una lettura realistica del contesto ambientale del mercato e della tecnologia entro il quale l'idea andrà a collocarsi. È evidente che una persona creativa in senso letterario o artistico non necessariamente sarà anche un buon imprenditore. L’imprenditore non innova creando idee, ma riconoscendone il valore, la reale fattibilità, le potenzialità di sviluppo e sfruttandole. Da ciò ne consegue che l’imprenditore è colui che riesce molto efficacemente a far convivere nella propria personalità sia il momento caldo della creatività sia il momento freddo della razionalizzazione e validazione. Il luogo fisico dove questa sintesi trova la sua più naturale espressione e concretizzazione è il progetto d'impresa. Ne consegue che un primo indubbio banco di prova sul quale si dovrà dare atto delle capacità imprenditoriali è costituito proprio dalla redazione del Business Plan. Ecco perché, se da un lato il voler mettersi in proprio può essere un sogno coltivato da tempo, l'idea imprenditoriale al contrario non può essere un sogno: anzi, deve essere qualcosa di molto reale. Per arrivare al progetto di impresa, dall’idea si deve preventivamente passare all’analisi di coerenza tra business in una data situazione di mercato e le caratteristiche dell’imprenditore (collimano, quanto, come?). I risultati che se ne ricavano saranno: sul versante del business, i fattori di successo dell’idea; e sul versante dell'imprenditore, il profilo personale richiesto. Sarà possibile così verificare quanto coincidano i fattori di successo con lo stato dell’ambiente/mercato, e il profilo richiesto con le qualità possedute. È bene chiarire subito che non si avrà mai una corrispondenza perfetta;

e il divario (tra fase e fattori, tra profilo e qualità) ci dirà quali sono le principali

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attenzioni che dovremo usare nello sviluppo dell’idea: qualità personali da promuovere, profilo da dare all’impresa. In tutto questo discorso un concetto, probabilmente, ha bisogno di un approfondimento: quello di fase evolutiva del business, inteso come attività imprenditoriale relativa a un prodotto/servizio specifico (produzione di occhiali, servizi di consulenza contabile eccetera).

Abbiamo visto che in qualche modo la persona e l'idea ci sono; ora dovremmo concentrarci sugli altri due lati: il mercato e le risorse. Per verificare che la coerenza fra gli elementi dia luogo a un incastro perfetto e non a un maldestro rattoppo, è necessario procedere a una verifica attraverso la stesura di un Business Plan. Può essere utile sviluppare un esempio di comparazione fra le caratteristiche della personalità imprenditoriale e quelle dell’idea d’impresa, intesa anche con riferimento alla fase tipica del business di appartenenza. (De Benettis - Mingolla - Scaccheri, Come fare un business plan – II edizione, Sperling & Kupfer Editori, 1997)

Fig. 4 – Grafico idea – mercato – persona - risorse

Anche Normann (1979) ritiene che la creazione di una nuova idea non è di per sé sufficiente per il conseguimento dei risultati aziendali: è necessario realizzarla ed implementarla, darle cioè un contenuto reale e concreto: non esiste business idea finché non è stata individuata “una formula per far denaro” con quell’attività e finché questa non è stata tradotta in azioni sia organizzative che non.

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Moose e Zakon (1971) vedono un’alta efficienza interna – in primo luogo in termini di costo – come un risultato della dominanza del mercato e di serie di produzione lunghe. Rhenman (1973), invece, prende le mosse dal capo opposto della tesi; considera la dominanza sul mercato piuttosto come indicatore della capacità dell’impresa di creare un sistema superiore che genera efficienza. La business idea superiore consente all’impresa di influenzare il suo ambiente imponendo su di esso la sua struttura; il che a sua volta rende possibile serie lunghe di produzione e via dicendo. Perciò, secondo Moose e Zakon, l’impresa dovrebbe in primo luogo mirare all’ottenimento di una grossa quota di mercato, mentre secondo Rhenman la sua prima preoccupazione dovrebbe essere quella di sviluppare un sistema superiore. Forse queste due ottiche non sono così lontane l’una dall’altra, ma la differenza sottolineata è interessante. Il punto significativo, però, sta nel fatto che entrambe assumono una stretta correlazione fra efficienza dell’impresa e dominanza in un segmento di mercato. (R. Normann, Le condizioni di sviluppo dell’impresa, Estaslibri, 1979)

Una volta ideata e formalizzata, la condivisione della business idea, e la relativa accettazione all’interno dell’azienda è di fondamentale importanza al fine di conseguire il successo.

a. Perché il Business Plan?

I potenziali finanziatori trovano nel Business Plan gli elementi per una valutazione sintetica della «bontà» delle idee basilari e delle strategie di sviluppo delineate.

Il successo di un business dipende da una sua attenta definizione; è per questo che risulta molto utile la stesura di un piano scritto che definisca quale sia l’obiettivo principale, la ragione per cui si vuole raggiungere tale obiettivo ed i passi principali che si suppone di fare per raggiungerlo. Inoltre, è assolutamente necessario redigere un Business Plan per ottenere finanziamenti ed attrarre la fiducia dei creditori. (Advance Intelligenza finanziaria per l’impresa, Start-up: dall’idea all’impresa, IPSOA Editore, 2001)

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La business idea potrebbe rimanere un data-base mentale se l’imprenditore non riesce a formalizzare l’intero progetto, basandosi su dati verosimili.

Molti imprenditori che decidono di lanciarsi in una nuova attività di impresa dando vita ad una Start-up, sono perplessi all’idea di dover sistematizzare le proprie idee all'interno di un Business Plan. Ritengono che sia sufficiente avere una buona idea e dei validi collaboratori: il resto arriva da solo. Questo è un approccio che rischia di far naufragare buone intuizioni; la validità dell’idea e dei collaboratori sono condizioni necessarie, ma certamente non sufficienti per lo sviluppo di una start-up di successo. (Advance Intelligenza finanziaria per l’impresa, Start-up: dall’idea all’impresa, IPSOA Editore, 2001)

Tra i fattori che rendono sempre più necessario lo sviluppo di un Business Plan che

«assista» la fase di sviluppo dell’idea imprenditoriale è possibile isolarne alcuni:

 una concorrenza sempre più intensa, non più limitata geograficamente e proveniente da imprese che operano in diversi settori;

 una maggiore attenzione selettiva dei mercati finanziari verso progetti che abbiano elevato tassi di ritorno.

La formalizzazione delle idee aiuta a valutarle criticamente, correggerle e riprenderle dopo averle accantonate per un certo periodo.

I risultati che si possono ottenere dalla stesura di un piano di fattibilità sono:

- comprensione del business, consentendo all'imprenditore di acquisire o di perfezionare l'organizzazione della propria attività;

- rilievo dei rischi e opportunità del nuovo business, permettendo all'imprenditore di inquadrarsi su obiettivi prioritari e di dare una precisa direzione al business;

- valutazione della capacità stessa dell'iniziativa imprenditoriale e la sua capacità di remunerare i capitali di investimento;

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- infine, attraverso l'analisi dello stato finanziario dell'impresa, permette di indirizzare l'imprenditore verso la tipologia di finanziamento più appropriata da acquisire.

(PricewaterhouseCoopers, AIFI, IBAN, Guida alla stesura del Business Plan) Leggendo quanto si è scritto nel Business Plan ci si avvicina alla prospettiva di un interlocutore che, non coinvolto nell'ideazione del progetto, consente di assumere una visione maggiormente obiettiva dello stesso. A queste ragioni se ne aggiunge anche un’altra: il Business Plan fornisce l’opportunità di coinvolgere le persone, all’interno del «sistema impresa», che, a vario titolo, saranno chiamate in causa nella realizzazione del progetto in questione (ci si riferisce a soci, partner industriali, personale, fornitori, clienti). I potenziali soci possono, dal Business Plan, trarre informazioni rilevanti sui risultati che l’azienda si aspetta di ottenere nel periodo successivo la sua formazione, sia in termini di redditività che di rischio.

Un potenziale partner industriale a cui si chiede di contribuire al progetto non attraverso l’apporto di finanziamenti, ma attraverso altre modalità (condivisione di conoscenze sui mercati di sbocco, accesso a canali distributivi esclusivi, utilizzo in comune di strutture produttive) deve invece trovare nel Business Plan l’eventuale esistenza di aree, di complementarità e di sovrapposizione con la propria attività imprenditoriale, essendo così messo nella condizione di decidere se una collaborazione può rappresentare un’opportunità o un rischio.

Il Business Plan può essere anche utilizzato come «biglietto da visita» nel momento in cui si cerca di comporre lo staff che andrà a guidare lo sviluppo dell’idea imprenditoriale. Può inoltre essere un importante punto di riferimento nel processo di scelta dei fornitori: l’impresa potrebbe valutare il fit strategico dei fornitori con le esigenze aziendali; d’altro canto ogni fornitore potrebbe rassicurarsi in merito alla solidità dell’offerta proposta. Un analogo discorso può essere fatto per i distributori, che prima di distribuire un dato prodotto vogliono verificare la solidità di impresa. (Advance Intelligenza finanziaria per l’impresa, Start-up:

dall’idea all’impresa, IPSOA Editore, 2001)

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Il collegamento tra breve e medio - lungo periodo, tra gestione operativa e strategica può essere analizzato in un piano in cui sono riportate in maniera sistematica informazioni quantitative e qualitative, di fonte interna ed esterna.

L’elaborazione di questi dati e l’evidenziazione di relazioni tra essi intercorrenti sono attuate mediante l’utilizzo di metodologie “tradizionali” sviluppate nell’ambito di diverse discipline (strategia, marketing, accounting, ecc) ma ricondotte all’interno di uno schema globale (G. Toletti, 2004). I risultati delle analisi che ne discendono consentono la valutazione dell’efficienza e dell’efficacia della gestione aziendale.

Nelle realtà in cui non si utilizzano strumenti formali e classici di pianificazione strategica, la redazione del Business Plan consente di esplicitare l’idea imprenditoriale, valutare incongruenze e punti di forza, quindi, comprendere gli effetti dell’implementazione della strategia aziendale: lo studio dell’attività imprenditoriale sotto il profilo strategico, organizzativo, commerciale, produttivo, legale, economico, finanziario e patrimoniale, proiettato su un periodo temporale di 3-5 anni richiede competenze ampie e diversificate e non riconducibili esclusivamente ad alcuni aspetti contabili, diffusione e sistematico utilizzo di strumenti e tecniche manageriali non solo di derivazione contabile. Non risulta, in definitiva, semplice la redazione di un Business Plan per una serie di motivi che andremo di seguito ad elencare. (R. Ferraris Franceschi, Pianificazione e controllo vol. II, G. Giappichelli Editore, 2007)

Con particolare riferimento alle piccole e medie imprese spesso risultano assenti metodi a supporto della gestione reddituale (es. break-even analysis), finanziaria (es. cash-flow) ed economico-patrimoniale (es. leverage) e i relativi nessi con la strategia (Il controllo di gestione in chiave dinamica per le PMI, Palermo, 8 giugno 2001, www.unipa.it/~bianchi/ira/workshop/workshop01a.htm). Inoltre si rivelano insufficienti quelle informazioni a supporto delle decisioni aziendali che derivano dall’estrapolazione dei dati dal passato e che si riferiscono al breve periodo. La formulazione di ipotesi lineari non consente di cogliere relazioni dinamiche

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dell’azienda poiché riferite ad alcuni aspetti della gestione aziendale tendenzialmente valide nel breve periodo.

Non esiste uno schema unico di Business Plan, ma, con la crescente diffusione di questo strumento, si possono individuare quantità e qualità delle informazioni

“minime” che ciascun piano deve contenere. Ad esempio, nel piano, sono rese esplicite le fonti finanziarie a cui l’azienda intende far ricorso: capitale di debito, capitale di servizio, capitale di rischio. L’enfasi su questi aspetti soddisfa le esigenze informative di “destinatari esterni”, finanziatori e investitori, i quali esprimono valutazioni sulla validità dell’idea imprenditoriale, sulle capacità dell’imprenditore (“destinatario interno” insieme ai soci e dirigenti), sulle potenzialità del progetto. (R. Ferraris Franceschi, Pianificazione e controllo vol. II, G. Giappichelli Editore, 2007)

Il Business plan, dunque, per i presupposti su cui si fonda può considerarsi anche strumento per il controllo: in esso sono simulati risultati che si poggiano, come vedremo in maniera più dettagliata di seguito, sull’uso di strumenti quali:

la contabilità generale: l’uso di indicatori classici ROI, RQE, flussi di cassa;

 la contabilità analitica: la definizione dei costi di prodotto, Break-even point;

 budget;

 l'analisi scostamenti: la rimodulazione possibile negli esercizi successivi dei dati;

 il reporting: la sintesi delle informazioni in un documento unico.

b. L’indice del Business Plan

È importante che all’interno del Business Plan vengano approfonditi quattro aspetti:

1) la descrizione del business,

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2) il piano di marketing, 5) il piano finanziario, 4) il piano di management.

Non esiste un indice del Business Plan che possa considerarsi universalmente valido ed adatto a tutte le circostanze. È molto importante porre l’adeguata attenzione alla costruzione dell'indice perché ha lo stesso valore delle fondamenta di un edificio: se queste non si dimostrano solide rischiano di compromettere l’intero apparato, anche se ben costruito. Il migliore approccio pare essere quello di proporre un indice tipo dettagliato: da questa base, ognuno dovrà ritagliarsi la migliore soluzione «personale».

È possibile individuare alcuni step basilari:

 sintesi del progetto;

 descrizione dell’idea imprenditoriale alla base della start-up;

 analisi dell'ambiente esterno;

 definizione ed analisi del potenziale di mercato a cui la nuova impresa si vuole riferire, analisi del potenziale;

 analisi dei potenziali clienti;

definizione dell’offerta;

 studio dei concorrenti effettivi e potenziali (sistema competitivo allargato);

 formulazione della strategia aziendale;

 descrizione della struttura necessaria per dare il via all’iniziativa;

 individuazione di alleanze per lo sviluppo del business;

 verifica della fattibilità economico-finanziaria;

 definizione del fabbisogno finanziario e delle modalità di copertura;

 analisi di sensibilità (diversi scenari in base a differenti ipotesi di crescita);

 indicazioni di contributi richiesti e prospettive offerte.

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È importante che tutti i capitoli vengano descritti in maniera completa, senza utilizzare tecnicismi in modo che anche un interlocutore esterno sia in grado di comprendere in maniera dettagliata l'oggetto illustrato.

Riveste senza dubbio un ruolo fondamentale la sintesi iniziale del progetto. Un interlocutore esterno, che non abbia partecipato allo sviluppo dell’idea o del piano di investimento, deve essere in grado, attraverso la lettura del prospetto di sintesi, di formarsi una idea completa del piano di sviluppo. Partendo dalla sintesi, andrà poi a prendere in esame i singoli capitoli del Business Plan che riterrà maggiormente interessanti. È quindi importante che la sintesi, seppur in maniera generale, sia in grado di far capire tutti gli aspetti del processo. È inoltre auspicabile che sia redatta in maniera accattivante e riesca ad incuriosire l’interlocutore sulle caratteristiche e sulla validità dell’iniziativa.

È opportuno sottolineare che l’indice proposto si adatta a situazioni complesse, ma può essere semplificato a seconda delle diverse esigenze. È però assolutamente importante che:

 la struttura complessiva del Business Plan abbia una propria logica intrinseca ed esista una piena coerenza fra le parti;

 non manchino i capitoli indispensabili per la comprensione del progetto;

 il documento risulti comprensibile anche a chi non è a conoscenza dell’innovazione tecnica o di mercato alla base della Start-up.

(Advance Intelligenza finanziaria per l’impresa, Start-up: dall’idea all’impresa, IPSOA Editore, 2001)

3. Analisi dell’ambiente esterno

Ogni Business Plan ha come punto di riferimento un target di clienti che fanno parte di un dato mercato. A sua volta il mercato di riferimento (o i mercati, a seconda del loro numero) fanno parte di un più ampio contesto sociale, politico,

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culturale: quello che tecnicamente viene definito «ambiente extracompetitivo». Di questo fanno parte quegli elementi che non sono direttamente riconducibili al sistema competitivo ma che influenzano in maniera rilevante la vita dell'impresa.

In particolare è possibile prendere in considerazione alcuni fattori quali:

1) l’ambiente politico;

2) l’ambiente sociale;

3) l’ambiente normativo.

Scopo del capitolo non è quello di spiegare gli elementi critici di ogni Paese o di ogni cultura in maniera specifica, ma di dare un quadro di insieme ad un interlocutore che potenzialmente, potrebbe non saperne nulla ed essere psicologicamente diffidente a finanziare un investimento con un rischio

«extracompetitivo» troppo alto. È bene quindi, al termine del paragrafo, presentare uno schema di sintesi, indicando punti di forza e di debolezza di un determinato ambito territoriale. Tale schema andrà poi spiegato nelle sue singole parti in modo che il lettore del Business Plan abbia la possibilità di vedere evidenziati i fattori critici e di leggere un commento puntuale: in particolare sarà molto importante il commento ai punti di debolezza, in quanto nello stesso si cercherà di evidenziare il modo per minimizzarli o superarli. (Advance Intelligenza finanziaria per l’impresa, Start-up: dall’idea all’impresa, IPSOA Editore, 2001)

a. L’ambiente politico

Nel caso in cui la start-up si ponga come obiettivo la produzione o la vendita di un prodotto o servizio all'interno di un Paese al di fuori del circuito europeo è molto importante analizzare le caratteristiche di stabilità politica e monetaria del sistema.

Fare un investimento produttivo in Cina, anche se si e in possesso di una idea particolarmente brillante, può suscitare dubbi ad un finanziatore. È bene dunque spiegare l'evoluzione del sistema politico, le garanzie che si sono ottenute o che si pensano di poter ottenere per operare senza difficoltà. (Advance Intelligenza finanziaria per l’impresa, Start-up: dall’idea all’impresa, IPSOA Editore, 2001)

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b. L’ambiente sociale

Da questo punto di vista la variabile da tenere in maggiore considerazione è la cultura rilevante nel Paese in cui si pensa di andare a vendere i propri prodotti. Pur essendoci disomogeneità anche in Europa, sicuramente e necessario porre maggiore enfasi in questa sezione se si pensa di entrare in contatto con una cultura profondamente diversa come quella asiatica o americana. (Advance Intelligenza finanziaria per l’impresa, Start-up: dall’idea all’impresa, IPSOA Editore, 2001) c. L’ambiente normativo

Quando si sta pianificando la nascita di una start-up è fondamentale venire a conoscenza delle norme che regolano il contesto a cui abbiamo deciso di riferirci.

Questa analisi è importante sia che il mercato sia quello domestico, sia che venga deciso di aggredire il mercato estero. La chiarezza normativa può evitare dubbi a chi si accosta per la prima volta al Business Plan. Questo è quanto mai importante quando si decide di entrare in settori specifici in cui esiste una precisa regolamentazione (i settori biotecnologico o telefonico sono due semplici esempi).

Anche in questo caso è opportuno sintetizzare in una tabella le norme rilevanti e motivare perché aiutano o contrastano l’operato della start-up. (Advance Intelligenza finanziaria per l’impresa, Start-up: dall’idea all’impresa, IPSOA Editore, 2001)

4. Analisi di mercato

La scelta del territorio in cui opererà un’impresa è molto importante. È necessario analizzare sia la configurazione attuale che le potenzialità ed i rischi determinati da cambiamenti futuri. Ognuna delle cinque forze di Poter può essere il motore del cambiamento dell’ambiente esterno (competitor, potenziali entranti, fornitori, clienti, prodotti sostitutivi). Ogni territorio presenta differenti “qualità” che lo rendono unico, ed unico sarà anche il suo posizionamento competitivo. Il tessuto produttivo indicato nel Business Plan ed il riferimento alla dimensione che l'azienda vuole mantenere o raggiungere, se confrontata con quelle di aziende

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similari su un periodo di tempo quinquennale, può far apprezzare la propensione alla crescita. (R. Ferraris Franceschi, Pianificazione e controllo vol. II, G.

Giappichelli Editore, 2007)

A. Definizione del mercato di riferimento

È assolutamente fondamentale che una Start-up, per avere successo, definisca nella maniera più precisa possibile il proprio mercato di riferimento. Questo significa individuare un insieme di consumatori e segmentarli in modo da definire quell’insieme rilevante per le analisi della nascente impresa.

La domanda è costituita dall'insieme dei potenziali consumatori di un certo bene/servizio. L’analisi di tale insieme si distingue normalmente in due ambiti principali: l’analisi numerico - quantitativa e l'analisi qualitativa, cioè l’analisi delle motivazioni che spingono i consumatori a effettuare le loro scelte.

L'analisi quantitativa

L’analisi quantitativa di stima della domanda è rappresentata da una formula semplice:

Q= n*q*P dove

Q = potenziale totale di domanda del mercato, n = numero di acquirenti del prodotto/servizio,

q = quantità acquistata mediamente da un acquirente in un anno, p = prezzo unitario medio del prodotto/servizio.

Se conosciamo gli elementi della formula possiamo prevedere a quanto ammonta il fatturato totale annuo per il prodotto/servizio nel cui mercato intendiamo entrare. Il nostro intento è quello di acquisire una fetta di tale ammontare, cioè una quota di

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mercato. Essa definisce la quota percentuale che riusciremo a conquistare sul totale. Ovviamente per un microbusiness, come è probabilmente il nostro, tale percentuale rischia di non avere alcun significato. Perciò, dovremo affrontare il problema legato alla identificazione del numero di acquirenti della nostra offerta, senza addentrarci in questioni, troppo complesse, relative alla definizione della quota di mercato. In tal caso la formula appena spiegata rimane la stessa, con la dimensione del nostro mercato obiettivo (non quello totale). In tal senso il numero degli acquirenti sarà quello del nostro mercato come pure il prezzo unitario medio, cioè quello dei nostri prodotti. L’entità del fatturato di un settore ha una relazione limitata con la dimensione del nostro specifico business. Comunque, al fine di conoscere le dimensioni totali del mercato e il ruolo che possiamo avere al suo interno, è possibile partire da un dato generale per poi soffermarsi sullo specifico cui miriamo.

Per nuovi mercati, il calcolo è alquanto difficile in quanto non si dispone del dato relativo al numero degli acquirenti. Si possono però fare delle stime sulla base della penetrazione di mercato rilevata in mercati simili. Per esempio, se sappiamo che il bene X è acquistato dal 5% della popolazione in Inghilterra, possiamo ritenere che anche il mercato italiano tenderà ad avvicinarsi a tale percentuale. Se mancano dati su mercati similari, allora si ricorre ad altri metodi quali interviste a esperti di settore, sondaggi presso i potenziali acquirenti, oppure veri e propri test di prodotto. Quest’ultimo metodo è spesso adottato da coloro che disponendo di un prodotto innovativo lo propongono ad un campione di mercato potenziale, effettuando tentativi che danno un’idea assai concreta ed efficace delle potenzialità di sviluppo. In base all’analisi quantitativa, dovremmo alla fine essere in grado di rispondere alle seguenti domande inerenti il nostro cliente:

1. Quanto acquista? (per identificare i volumi di vendita) 2. Dove acquista? (per scegliere il migliore sistema distributivo)

3. Quando acquista? (per prevedere una eventuale stagionalità dei consumi)

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I punti 2 e 3 richiedono un’analisi specifica tesa a raccogliere dati sui luoghi nei quali il consumatore effettua l'acquisto (per esempio negozio sotto casa, grande distribuzione, vendita per corrispondenza) e sui periodi dell’anno in cui avviene prevalentemente l'atto d'acquisto (per esempio gelati, panettoni, libri scolastici).

L'analisi qualitativa

L'analisi quantitativa non è sufficiente per definire correttamente la domanda. Un altro aspetto fondamentale è costituito dall'analisi del perché il consumatore effettua l'acquisto e da quali bisogni è spinto. Una fase decisamente più importante è quella che mira a indagare il cosiddetto «comportamento d’acquisto del cliente», a esplorare, cioè, le motivazioni esplicite e implicite che lo spingono a scegliere un prodotto/servizio invece di un altro. (De Benettis - Mingolla - Scaccheri, Come fare un business plan – II edizione, Sperling & Kupfer Editori, 1997)

B. L'analisi del settore e contesto competitivo

La stima delle opportunità offerte dal segmento di mercato si sviluppa mediante la conoscenza del tasso di sviluppo del settore (analisi structure – conduct - performance) e del posizionamento dell’azienda (mediante matrici di posizionamento), lo studio del comportamento dei concorrenti anche potenziali (analisi SWOT o delle 5 forze competitive di Porter), l’analisi delle relazioni istituite a monte e a valle dalle aziende che già operano nel mercato. La descrizione precipua del modo in cui in ciascuna area sono soddisfatte le aspettative del cliente consente di valutare la capacità dell’imprenditore al conseguimento dei risultati particolari e quindi di quello generale. La comparazione con le altre aziende è piuttosto delicata: il benchmarking diventa essenziale per la comprensione della competitività aziendale e del successo delle strategie d’area. Il posizionamento competitivo può essere indicato per ciascuna area con percentuali e rappresentazioni grafiche considerando dimensioni via via rilevanti quali qualità del prodotto e prezzo, immagine e budget di mercato, specializzazione e diffusione del prodotto [Borello. A, Il Business Plan. Dalla valutazione dell’investimento alla misurazione dell’attività d’impresa, McGraw-Hill, Milano, 2002].

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Una volta individuate le variabili critiche di analisi delle caratteristiche dell’offerta e operata la distinzione tra concorrenti diretti e indiretti, è possibile procedere a un efficace studio del posizionamento competitivo dell’impresa. Studiare la situazione della concorrenza nel settore assume un significato strategico: conoscere il mercato della domanda e le sue esigenze da un lato, e il comportamento tenuto dalle imprese del settore dall’altro consente all’imprenditore/manager dell’azienda di determinare non solo l’efficacia o l’inadeguatezza di una determinata strategia, ma anche l’esistenza di opportunità di mercato latenti.

Metodo molto efficace di analisi, per l’immediatezza di esposizione dei dati, è la costruzione di schemi grafici a due variabili. A tale proposito, occorre fare attenzione, nell’accostamento delle variabili prescelte, a non impiegarne due che abbiano lo stesso grado di correlazione. Per fare un esempio, se tutte le imprese con un’elevata integrazione verticale (prima variabile) presentano una gamma di prodotto molto limitata (seconda variabile, specializzazione), allora non è utile impiegare le due variabili congiuntamente, in quanto non si ricava alcuna informazione sul posizionamento strategico di imprese che hanno tutte lo stesso grado di specializzazione/integrazione.

L’impiego della mappa consente di individuare raggruppamenti di imprese con le stesse combinazioni di strategie. Non solo. Saper leggere bene un raggruppamento di imprese significa saperne prevedere con buona approssimazione i percorsi dinamici di spostamento nella mappa. È in pratica un’analisi che, partendo dalla fotografia della situazione corrente, proietta nell’immediato futuro il percorso di cambiamento o quello di consolidamento delle strategie in atto. (Borello. A, Il Business Plan. Dalla valutazione dell’investimento alla misurazione dell’attività d’impresa,McGraw-Hill, Milano, 2002)

L'indicazione nel documento del trend di mercato consente l’apprezzamento significativo della posizione che l'azienda vuole assumere all’interno del contesto operativo indicato. Non si può procedere alla valutazione delle scelte aziendali e della convenienza a realizzarle prescindendo dalle comparazioni spaziali: il trend

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dell’azienda in particolare e quello del mercato in generale costituiscono i riferimenti per comprendere in maniera efficace i meccanismi che regolano il comportamento dell’azienda. (R. Ferraris Franceschi, Pianificazione e controllo vol. II, G. Giappichelli Editore, 2007)

Questa parte del Business Plan è composta da due macro fasi:

1) una parte qualitativa;

2) una parte quantitativa.

Analizzeremo le due sezioni in modo separato cercando di porre la necessaria attenzione su entrambe. È infatti importante dare un riferimento qualitativo, in modo che gli interlocutori siano in grado di capire su cosa l'imprenditore sta ragionando. D'altro canto, anche la parte quantitativa deve essere curata, in quanto rappresenta il primo passo fondamentale per la creazione di un prospetto economico-finanziario, di cui un Business Plan non può fare a meno. Definire un mercato di riferimento comporta l’analisi di quattro variabili chiave:

1) i bisogni da soddisfare;

2) i clienti da servire;

5) i canali distributivi;

4) l’area geografica interessata.

Il target dei bisogni che l'impresa si prefigge di soddisfare è, insieme a quello dei clienti, l'indicatore maggiormente rilevante. Perché il mercato sia definibile come omogeneo è necessario identificare un bisogno preciso, che sia diffuso al suo interno. I bisogni possono essere molto diversi, ma è importante che la diffusione dello stesso sia abbastanza ampia da giustificare il tentativo di ingresso.

Dopo aver individuato i bisogni da soddisfare è necessario individuare il segmento di consumatori che percepiscono quel bisogno. In particolare è rilevante che i

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clienti da servire siano omogenei per capacità di spesa. Anche se hanno un bisogno ben definito e comune, non sempre questo può essere trasformato in possibilità di acquisto e quindi occasione di business per una Start-up. Non è fondamentale che esista una omogeneità di canali distributivi in un unico mercato.

Tuttavia è un fattore che può facilitare il contatto con il target di consumatori e, quindi, rendere meno oneroso l’ingresso in un nuovo segmento per un’impresa.

È importante anche sottolineare che nel momento in cui si intraprende l’analisi del mercato di riferimento, una volta individuato, è assolutamente critico definire i canali distribuitivi presenti per fare in modo che, nel momento della definizione della strategia di lancio dei propri prodotti, si sia in grado di definire non solo cosa proporre ma anche attraverso quale canale proporlo.

Si ricordi, inoltre, che il processo di globalizzazione in atto sta facendo diminuire in maniera progressiva l'importanza della definizione di un’area geografica: non ha particolare senso impostare la definizione del mercato di riferimento in base ai confini di natura politica. Esistono casi, in numero sempre crescente, in cui l’omogeneità maggiore è raggiungibile su un territorio plurinazionale.

È presumibile che una Start-up abbia l’obiettivo di segmentare in maniera innovativa un mercato in cui operano altri concorrenti. (Advance Intelligenza finanziaria per l’impresa, Start-up: dall’idea all’impresa, IPSOA Editore, 2001) Opportunità e rischi

Nella fase di analisi della domanda e dell'offerta si sono raccolte le informazioni necessarie per ottenere un quadro sufficientemente chiaro del contesto nel quale si collocherà il nostro prodotto/servizio. Sono state individuate le tendenze della domanda e le risposte che l’offerta in generale è in grado di dare, scoprendo altresì i fattori critici di successo e gli elementi distintivi. Questi dati vanno ora posti in relazione in modo diretto con la nostra idea di prodotto/servizio per effettuare un'analisi critica degli aspetti interni ed esterni che possono influire sulla sua

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fattibilità. Gli aspetti esterni vengono valutati in termini di rischi e opportunità per il nostro progetto, e sono, per esempio:

 la situazione del settore;

 i cambiamenti nella normativa;

 le tecnologie produttive

Si deve insomma effettuare una rilettura critica dello scenario del settore merceologico per trovare in esso i fattori che possono favorire noi e svantaggiare la concorrenza. Esempi dei possibili risultati di tale lavoro sono già stati approfonditi nel paragrafo relativo all’analisi dell’ambiente di riferimento. La sua eventuale rilettura consentirà di introdurre il significato dell'analisi dei rischi e delle opportunità. Il risultato dell'analisi dovrebbe porre in evidenza (vedi Figura 5):

 come esaltare i punti di forza;

 come ridurre i punti di debolezza;

 come far fronte ai possibili rischi;

 come cogliere le opportunità che si è riusciti a individuare.

È intuibile che trascurare di analizzare gli elementi emergenti da questa analisi può dare luogo a un sicuro fallimento dell'iniziativa. È perciò opportuno dedicare un capitolo del piano d’impresa all'approfondimento di questi aspetti. In questa fase della stesura del Business Plan è necessario mettere a fuoco gli aspetti principali senza scendere troppo nel dettaglio. Avendo poco tempo a disposizione, è vitale distinguere ciò che è fondamentale da ciò che è puro aspetto di routine. Con quest'ultimo ci si potrà confrontare nella fase più avanzata del progetto. Gran parte degli imprenditori si lascia prendere dagli aspetti più vistosi dei fenomeni (spesso sotto l'impulso delle cosiddette «urgenze») e mette in secondo piano aspetti importanti. Prima o poi essi vengono alla luce. Ma nella fase iniziale non ci si possono permettere simili errori. In questo lavoro, e in particolare per porre in evidenza i punti deboli e i rischi, conviene farsi aiutare da qualcuno che non sia coinvolto nel progetto. Fategli fare l’avvocato del diavolo dandogli il preciso

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compito di mettervi in difficoltà. Sarà un utilissimo esercizio di umiltà e un'assicurazione contro i rischi derivanti dall'eccesso di ottimismo. Per avere un esempio del lavoro da svolgere esaminate il seguente elenco di possibili punti di debolezza e dei probabili effetti:

Fig. 5 – Punti di forza e punti di debolezza

Le seguenti, invece, sono esempi di possibili opportunità e minacce:

Fig. 6 – Opportunità e minacce

(De Benettis - Mingolla - Scaccheri, Come fare un business plan – II edizione, Sperling & Kupfer Editori, 1997)

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È rilevante inserire anche una sezione in cui si evidenziano in maniera complessiva le opportunità ed i rischi dell'ingresso in un dato mercato o di una nuova segmentazione. In particolare è possibile valutare fattori quali:

 l'ampiezza del nuovo insieme; .

 la possibilità di operare come first mover (o la relativa competizione esistente);

 la fidelizzazione alle marche esistenti;

 il grado di rischiosità che la nuova segmentazione non sia attuabile o troppo costosa;

 i costi di creazione e di sviluppo del segmento o del mercato;

 i costi di difesa, quando i concorrenti entreranno nel segmento ormai ben sviluppato.

(Advance Intelligenza finanziaria per l’impresa, Start-up: dall’idea all’impresa, IPSOA Editore, 2001)

C. Analisi dei clienti

Il cliente ideale e i bisogni da soddisfare

In questa sezione vengono descritte le caratteristiche peculiari del «cliente ideale»

di una determinata offerta.

Inoltre è opportuno presentare i bisogni che l’azienda intende soddisfare per ogni singola tipologia di cliente individuata. È infatti presumibile che più categorie di clienti riescano a corrispondere alle caratteristiche del «cliente ideale».

II processo di acquisto

Analizzare il processo di acquisto4 è fondamentale per capire quali meccanismi attivare in modo da facilitare la vendita del prodotto. In particolare è necessario tenere in considerazione alcune variabili critiche:

 chi decide l'acquisto;

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 chi consuma il prodotto/ servizio offerto;

chi influenza il processo d’acquisto;

chi finanzia l’acquisto;

 chi procede all'acquisto.

È necessario sottoporre a tale analisi ogni tipologia di cliente definita, cercando di porre in evidenza le differenze in modo da poterle gestire in maniera ottimale quando si tratterà di definire le componenti del piano di ingresso nel mercato e della strategia competitiva. (Advance Intelligenza finanziaria per l’impresa, Start- up: dall’idea all’impresa, IPSOA Editore, 2001)

D. Analisi del potenziale di mercato

Risulta utile suddividere l’analisi in due diverse sezioni: la prima quantitativa, che mira a mettere in luce quanto numericamente il mercato possa valere (questi dati saranno poi ripresi nella parte economico-finanziaria del Business Plan); la seconda qualitativa, dove saranno evidenziati alcuni fattori sociali e culturali rilevanti che non trovano diretta corrispondenza nell’approccio numerico. (Advance Intelligenza finanziaria per l’impresa, Start-up: dall’idea all’impresa, IPSOA Editore, 2001) L'analisi quantitativa

È importante, ai fini delle valutazioni di carattere economico e finanziario, definire in termini numerici quanto vale il mercato di riferimento della Start-up: questo significa andare a stimare la massima domanda potenziale. Per farlo bisogna capire innanzitutto quante persone fanno parte del target di consumatori che interessa prendere in considerazione. È utile, inoltre, definire le caratteristiche

«quantitativamente» rilevanti, ad esempio:

 il reddito pro capite superiore alla media nazionale;

un’età compresa fra i 16 e i 45 anni;

 la residenza in una area urbana.

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Una volta individuata la massima domanda potenziale, è necessario calcolare quanta parte della domanda massima è potenzialmente interessata al nostro prodotto. Si ottiene così il nostro «quantitativo» di consumatori.

Il passo successivo consiste nella determinazione del numero di prodotti che la Start-up può pensare di vendere ad ogni singolo cliente in un anno/mese/settimana/giorno. Questo porta alla definizione del «coefficiente di acquisto annuo»: può, ovviamente variare a seconda della tipologia “prodotto considerato. Moltiplicando il numero di clienti potenziali con il coefficiente di acquisto annuo (massimo) si ottiene la massima domanda potenziale del mercato. È opportuno tuttavia adottare un coefficiente di acquisto annuo (c.a.a.) sempre inferiore al massimo teorico, in modo da mantenere un’ottica prudenziale.

Si può introdurre anche una nuova variabile, il cosiddetto «coefficiente di trasformazione» (CdT): esso da la possibilità misurare la velocità in cui di clienti obiettivo si «accorgeranno» di far parte del nuovo segmento. Dei prodotti vendibili la Start-up se ne aggiudicherà non la totalità, ma, come è lecito aspettarsi, una

«fetta», che corrisponderà alla sua quota di mercato. (Advance Intelligenza finanziaria per l’impresa, Start-up: dall’idea all’impresa, IPSOA Editore, 2001) L’analisi qualitativa

In questa sezione è possibile sviluppare tutte le considerazioni «di complemento»

all'analisi quantitativa sopra proposta, ovvero l'insieme di informazioni rilevanti ai fini della comprensione del ragionamento ma non strettamente necessaria alla definizione numerica. Sarà inoltre necessario spiegare i passaggi svolti nel paragrafo soprastante, soprattutto ove non sia già stata raggiunta, per motivi di sintesi espositiva, la maggiore chiarezza possibile. (Advance Intelligenza finanziaria per l’impresa, Start-up: dall’idea all’impresa, IPSOA Editore, 2001)

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