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Le modifiche al processo tributario ed al giudizio di cassazione alla luce della legge 69/2009

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Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752 Direttore responsabile: Antonio Zama

Le modifiche al processo tributario ed al giudizio di cassazione alla luce della legge 69/2009

06 Novembre 2010 Concetto Modica

Estratto

La legge 18 giugno 2009, n. 69 ha apportato rilevanti modifiche al codice di procedura civile, alcune delle quali risultano operanti nel contenzioso tributario in virtù della clausola di rinvio contenuta nell’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 546 del 1992. Purtuttavia non tutte le modifiche hanno una decorrenza uniforme bensì differita, è il caso delle norme che recepiscono il diritto vivente o le norme che regolano il giudizio di cassazione.

Introduzione

La legge 18 giugno 2009, n. 69, entrata in vigore il 4 luglio 2009 ha introdotto numerose modifiche al codice di procedura civile riformando, ed in alcuni casi novellando, determinate norme che possono trovare il loro ingresso anche nel processo tributario in virtù del richiamo di cui all’art. 1, del decreto legislativo 546 del 1992 il quale prevede che “i giudici applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”.

E’ utile premettere che le modifiche apportate dalla riforma si applicano a tutti i giudizi che si sono incardinati successivamente alla data di entrata in vigore della legge (quindi dopo il 4 luglio 2009), esistono, tuttavia, delle eccezioni come ad esempio le norme che recepiscono il diritto vivente e che hanno una efficacia immediata anche sui giudizi pendenti e norme che hanno una efficacia legata non alla data di inizio del processo di primo grado ma alla data di provvedimenti ulteriori, come nel caso del ricorso per cassazione.

Occorre quindi procedere ad una disamina per comprendere quali delle norme riformate trovano ingresso nel processo tributario ed, in tal caso, quando queste divengono applicabili.

Modifiche dei termini

Alcuni dei termini previsti dal decreto legislativo 546 del 1992 mutuano i termini previsti dal codice di procedura civile, come nel caso del termine per impugnare le sentenze previsto dagli articoli 38 e 49 del medesimo decreto che richiamano le disposizioni dell’articolo 327 del codice di procedura civile. Pertanto, la modifica di quest’ultimo consente, senza dubbio, di applicare la riduzione del termine lungo di impugnazione che passa da 1 anno e 45 giorni a 6 mesi.

Non trovano applicazione nel processo tributario invece le modifiche relative:

al dimezzamento del termine semestrale per la riassunzione della causa a seguito della declaratoria di incompetenza di cui all’art. 50 del codice di procedura civile in quanto già autonomamente fissato dall’articolo 5 del decreto legislativo 546 del 1992 “a sei mesi dalla comunicazione della sentenza o nel termine in questa contenuto”;

il termine per la riassunzione del processo a seguito di interruzione dello stesso di cui all’art. 305 codice di procedura civile in quanto già disciplinato dall’articolo 43 del decreto legislativo 546 del 1992;

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il termine per la riassunzione del giudizio a seguito di cassazione della sentenza con rinvio di cui all’articolo 392 codice di procedura civile in quanto già autonomamente fissato dall’articolo 63 del decreto legislativo 546 del 1992;

il dimezzamento del termine per la riassunzione del giudizio a seguito di rinvio dal secondo al primo grado di cui all’articolo 353 codice di procedura civile in quanto già autonomamente fissato dall’articolo 59 del decreto legislativo 546 del 1992.

Notificazione della sentenza

L’articolo 285 del codice di procedura civile è stato novellato dalla legge 69 del 2009 ed adesso prevede che la notificazione della sentenza avviene a norma dell’articolo 170 del codice di procedura civile.

Questo, a sua volta, prevede che “è sufficiente la consegna di una sola copia dell’atto anche se il procuratore è costituito per più parti”. Secondo giurisprudenza tale previsione risulta pienamente applicabile anche al processo tributario (vedasi al riguardo la sentenza n.29290 del 2008 della Cassazione Civile, Sezioni Unite).

Rimessione in termini

L’articolo 184 bis codice di procedura civile, nella versione ante riforma, prevedeva che “la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice istruttore di essere rimessa in termini”. L’applicabilità di tale istituto nel processo tributario è sempre stata controversa prevalentemente a causa della mancanza della figura del giudice istruttore. La legge 69 del 2009 ha abrogato l’articolo 184 bis e l’istituto è stato spostato nell’articolo 153 codice di procedura civile il quale prevede che “la parte che dimostra di essere incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini”. Come si vede la figura del giudice istruttore è stata sostituita dalla figura del giudice per cui nulla osta all’applicazione di tale norma anche al processo tributario.

Translatio iudicii

La legge di riforma numero 69 del 2009, all’articolo 59, ha introdotto una nuova espressa disciplina. Il primo comma dell’articolo in questione impone al giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudizi speciali, dichiari il proprio difetto di giurisdizione di indicare anche il giudice nazionale competente che ritiene munito di giurisdizione, salvo i casi in cui nessun giudice abbia giurisdizione. Il riformato istituto ha inteso colmare un vuoto legislativo il quale non prevedeva, nella previsione ante riforma, l’obbligo per il giudice di indicare anche la giurisdizione competente nei casi di sentenza declinatoria. Anzi, spesso, tale arduo compito era delegato al cittadino il quale doveva adoperarsi per l’individuazione della giurisdizione competente.

Pertanto, a seguito di sentenza declinatoria di giurisdizione la causa deve essere riassunta nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia che dichiara il difetto di giurisdizione. E’

chiaro che si è in presenza di un doppio termine ovvero quello relativo al passaggio in giudicato della sentenza e quello successivo, di tre mesi, per la riassunzione.

Se la domanda viene riproposta dinanzi il giudice competente, secondo le modalità e le forme previste per il giudizio davanti a tale giudice, allora sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe potuto produrre se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio, fermo restando le preclusioni e le decadenze intervenute.

Da quanto appena detto ne deriva che se una controversia tributaria è stata erroneamente proposta ad un giudice non competente (ad esempio il giudice amministrativo od un giudice ordinario) l’istituto della translatio iudicii consente la prosecuzione della controversia se e solo se il ricorso sia stato notificato alla

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controparte nel rispetto dei termini per la notificazione previsti dal processo tributario non potendosi, come detto prima, salvare le preclusioni e le decadenze intervenute.

Onere di contestazione

L’articolo 115 codice di procedura civile, nella sua nuova formulazione, prevede che “salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita”.

Il nuovo articolo 115, in realtà, non aggiunge nulla di nuovo nell’ordinamento tributario ma, solamente, rende esplicito quanto era già stato recepito da dottrina e giurisprudenza (fra tante vedasi Cassazione sentenze nn. 915 del 2006 e 1540 del 2007).

Alla base dell’onere di contestazione, invero, vi è il principio costituzionale di ragionevole durata del processo il quale (principio) si rivolge non solo al giudice ma anche alle parti le quali hanno l’onere di circoscrivere l’ambito della controversia e, quindi, il reale oggetto del contendere.

Pertanto, in campo tributario, l’Amministrazione Finanziaria ha l’obbligo di provare i fatti costitutivi della pretesa (solo in relazione ai procedimenti di impugnazione di atti impositivi). Tale onere ricade, invece, sul contribuente-ricorrente nei processi relativi ai rimborso dovendo (il contribuente) dimostrare il fatto costitutivo del diritto al rimborso fatto valere in giudizio.

Giova, in ultimo, evidenziare che, essendo l’articolo 115 codice di procedura civile, nuova formulazione, una esplicitazione di un principio immanente nell’ordinamento e recepito dal diritto vivente, esso trova applicazione anche ai giudizi incardinati precedentemente all’entrata in vigore della legge 69 del 2009.

Contraddittorio sulle questioni rilevabili d’ufficio

La legge di riforma ha anche aggiunto il secondo comma all’articolo 101 del codice di procedura civile il quale prevede che, “se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione”.

In realtà tale principio risulta già sancito dall’articolo 183 del codice di procedura civile il quale impone al giudice, in sede di udienza di trattazione, di indicare le questioni rilevabili d’ufficio sulle quali ritiene di dover incentrare la trattazione.

La previsione dell’articolo 101, così come è stato modificato, introduce, quindi, nell’ordinamento un vero e proprio principio generale del processo trova applicazione anche nel processo tributario, pertanto, in presenza di questioni rilevate d’ufficio, la commissione tributaria adita deve rinviare la decisione oppure, nei casi in cui la trattazione avvenga in camera di consiglio, dovrà provvedere a comunicarle alle parti tramite ordinanza con l’invito a depositare memorie.

Nel caso in cui il giudice di primo grado violi il principio appena descritto e decida male la questione sollevata d’ufficio, la decisione viziata assunta verrà sostituita dalla decisione resa in sede di appello.

Nel caso in cui la violazione sia stata commessa dal giudice di secondo grado allora la relativa decisione viziata assunta sarà sostituita dalla decisione della Corte di Cassazione. Al riguardo è bene precisare che tale iter è valido solo per le questioni di diritto che possono essere rilevate dinanzi la suprema Corte, come ad esempio il pregiudizio derivante dalla parte per non aver potuto formulare argomentazioni di diritto.

Nei casi, invece, in cui la questione rilevata d’ufficio riguardi il fatto controverso allora la denuncia del vizio rientra nelle previsioni di “nullità della sentenza” descritte all’articolo 360, comma quarto, codice di procedura civile. In tali casi la Corte dovrà cassare la sentenza con rinvio.

Rifiuto della proposta conciliativa, compensazione delle spese e condanna alle spese

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La legge riforma ha apportato anche numerose modifiche in relazione alla disciplina inerente le spese processuali che, per comodità espositiva, vengono trattate congiuntamente.

L’articolo 91 del codice di procedura civile, nuova formulazione, prevede che il giudice, “se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formazione della proposta”. Tale disposizione risulta applicabile anche al processo tributario ove è anche prevista e disciplinata la conciliazione.

Anche l’articolo 92 del codice di procedura civile ha subito delle modifiche rilevanti. In passato esso prevedeva la possibilità, per il giudice, di compensare in tutto o in parte le spese tra le parti se entrambe fossero state soccombenti oppure in presenza di giusti motivi.

La norma, dopo la modifica, prevede l’obbligo per l’organo decidente di disporre la compensazione, oltre ai casi di soccombenza reciproca, per gravi ed eccezionali ragioni che devono essere all’uopo indicate nella motivazione della sentenza. In sostanza, quindi, la regola viene ribaltata e si pone in linea con l’indirizzo espresso dalla Corte di Cassazione, ribadito poi dalla sentenza numero 20598/2008 con la quale le Sezioni Unite hanno sancito la sussistenza del vizio in tutte quelle decisioni che, disponendo la compensazione delle spese, si limitino ad affermare la sussistenza dei gravi ed eccezionali motivi senza nulla aggiungere.

L’ultima novità in tema di spese processuali riguarda la modifica dell’articolo 96 del codice di procedura civile. La disposizione ante riforma prevedeva che la parte soccombente, che avesse agito o resistito con malafede o colpa grave, doveva essere condannata, su istanza di parte, oltre che alle spese, anche al risarcimento danni, che il giudice liquidava nella sentenza.

Al detto articolo è stato aggiunto il terzo comma il quale prevede la possibilità, per il giudice, di poter condannare in ogni caso, anche d’ufficio, la parte soccombente al pagamento delle spese di lite e di una somma equitativamente determinata. La nuova norma in realtà non aggiunge nulla ma semplifica l’applicazione dell’istituto che può avvenire anche ad opera del giudice senza alcuna istanza di parte.

Il giudizio di cassazione

Anche il giudizio di cassazione è stato toccato dalla legge riforma 69/2009, tuttavia, occorre prestare particolare attenzione alla decorrenza delle modifiche introdotte. Infatti, l’articolo 58, comma quinto della legge riforma citata, rubricato “disposizioni transitorie”, prevede che: “Le disposizioni di cui all’ articolo 47 si applicano alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato ovvero, nei casi in cui non sia prevista la pubblicazione, depositato successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”, è quindi ovvio che le modifiche al giudizio di cassazione si applicano con riferimento alla data di deposito in cancelleria del provvedimento impugnato (quindi, nel caso del contenzioso tributario, la sentenza della Commissione Tributaria Regionale) successiva alla data di entrata in vigore della legge e non, come negli altri casi, con riferimento alla data in cui il giudizio si è incardinato.

Dal punto di vista normativo, la legge riforma ha apportato numerosi cambiamenti al giudizio di cassazione, ed in particolare:

- è stato introdotto l’articolo 360 bis del codice di procedura civile, il quale prevede due motivi di inammissibilità del ricorso ovvero quando 1) il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare i mutare l’orientamento della stesa; 2) è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo;

- è stato abrogato l’articolo 366 bis del codice di procedura civile il quale imponeva la formulazione di un

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quesito di diritto e, nei casi in cui il vizio consista nella omessa o contraddittoria motivazione del provvedimento, l’indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria;

- sono stati modificati gli articoli 375 e 376 del codice di procedura civile, con l’istituzione di apposite sezioni filtro le quali smistano i ricorsi tra le varie sezioni e le sezioni unite della Corte nonché selezionano quei ricorsi che verranno trattati in camera di consiglio (secondo le ipotesi previste dell’articolo 375 del codice di procedura civile ovvero integrazione del contraddittorio ed estinzione del processo) da quei ricorsi che verranno discussi in pubblica udienza.

Estratto

La legge 18 giugno 2009, n. 69 ha apportato rilevanti modifiche al codice di procedura civile, alcune delle quali risultano operanti nel contenzioso tributario in virtù della clausola di rinvio contenuta nell’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 546 del 1992. Purtuttavia non tutte le modifiche hanno una decorrenza uniforme bensì differita, è il caso delle norme che recepiscono il diritto vivente o le norme che regolano il giudizio di cassazione.

Introduzione

La legge 18 giugno 2009, n. 69, entrata in vigore il 4 luglio 2009 ha introdotto numerose modifiche al codice di procedura civile riformando, ed in alcuni casi novellando, determinate norme che possono trovare il loro ingresso anche nel processo tributario in virtù del richiamo di cui all’art. 1, del decreto legislativo 546 del 1992 il quale prevede che “i giudici applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”.

E’ utile premettere che le modifiche apportate dalla riforma si applicano a tutti i giudizi che si sono incardinati successivamente alla data di entrata in vigore della legge (quindi dopo il 4 luglio 2009), esistono, tuttavia, delle eccezioni come ad esempio le norme che recepiscono il diritto vivente e che hanno una efficacia immediata anche sui giudizi pendenti e norme che hanno una efficacia legata non alla data di inizio del processo di primo grado ma alla data di provvedimenti ulteriori, come nel caso del ricorso per cassazione.

Occorre quindi procedere ad una disamina per comprendere quali delle norme riformate trovano ingresso nel processo tributario ed, in tal caso, quando queste divengono applicabili.

Modifiche dei termini

Alcuni dei termini previsti dal decreto legislativo 546 del 1992 mutuano i termini previsti dal codice di procedura civile, come nel caso del termine per impugnare le sentenze previsto dagli articoli 38 e 49 del medesimo decreto che richiamano le disposizioni dell’articolo 327 del codice di procedura civile. Pertanto, la modifica di quest’ultimo consente, senza dubbio, di applicare la riduzione del termine lungo di impugnazione che passa da 1 anno e 45 giorni a 6 mesi.

Non trovano applicazione nel processo tributario invece le modifiche relative:

al dimezzamento del termine semestrale per la riassunzione della causa a seguito della declaratoria di incompetenza di cui all’art. 50 del codice di procedura civile in quanto già autonomamente fissato dall’articolo 5 del decreto legislativo 546 del 1992 “a sei mesi dalla comunicazione della sentenza o nel termine in questa contenuto”;

il termine per la riassunzione del processo a seguito di interruzione dello stesso di cui all’art. 305 codice di procedura civile in quanto già disciplinato dall’articolo 43 del decreto legislativo 546 del 1992;

il termine per la riassunzione del giudizio a seguito di cassazione della sentenza con rinvio di cui all’articolo 392 codice di procedura civile in quanto già autonomamente fissato dall’articolo 63 del decreto

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legislativo 546 del 1992;

il dimezzamento del termine per la riassunzione del giudizio a seguito di rinvio dal secondo al primo grado di cui all’articolo 353 codice di procedura civile in quanto già autonomamente fissato dall’articolo 59 del decreto legislativo 546 del 1992.

Notificazione della sentenza

L’articolo 285 del codice di procedura civile è stato novellato dalla legge 69 del 2009 ed adesso prevede che la notificazione della sentenza avviene a norma dell’articolo 170 del codice di procedura civile.

Questo, a sua volta, prevede che “è sufficiente la consegna di una sola copia dell’atto anche se il procuratore è costituito per più parti”. Secondo giurisprudenza tale previsione risulta pienamente applicabile anche al processo tributario (vedasi al riguardo la sentenza n.29290 del 2008 della Cassazione Civile, Sezioni Unite).

Rimessione in termini

L’articolo 184 bis codice di procedura civile, nella versione ante riforma, prevedeva che “la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice istruttore di essere rimessa in termini”. L’applicabilità di tale istituto nel processo tributario è sempre stata controversa prevalentemente a causa della mancanza della figura del giudice istruttore. La legge 69 del 2009 ha abrogato l’articolo 184 bis e l’istituto è stato spostato nell’articolo 153 codice di procedura civile il quale prevede che “la parte che dimostra di essere incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini”. Come si vede la figura del giudice istruttore è stata sostituita dalla figura del giudice per cui nulla osta all’applicazione di tale norma anche al processo tributario.

Translatio iudicii

La legge di riforma numero 69 del 2009, all’articolo 59, ha introdotto una nuova espressa disciplina. Il primo comma dell’articolo in questione impone al giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudizi speciali, dichiari il proprio difetto di giurisdizione di indicare anche il giudice nazionale competente che ritiene munito di giurisdizione, salvo i casi in cui nessun giudice abbia giurisdizione. Il riformato istituto ha inteso colmare un vuoto legislativo il quale non prevedeva, nella previsione ante riforma, l’obbligo per il giudice di indicare anche la giurisdizione competente nei casi di sentenza declinatoria. Anzi, spesso, tale arduo compito era delegato al cittadino il quale doveva adoperarsi per l’individuazione della giurisdizione competente.

Pertanto, a seguito di sentenza declinatoria di giurisdizione la causa deve essere riassunta nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia che dichiara il difetto di giurisdizione. E’

chiaro che si è in presenza di un doppio termine ovvero quello relativo al passaggio in giudicato della sentenza e quello successivo, di tre mesi, per la riassunzione.

Se la domanda viene riproposta dinanzi il giudice competente, secondo le modalità e le forme previste per il giudizio davanti a tale giudice, allora sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe potuto produrre se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio, fermo restando le preclusioni e le decadenze intervenute.

Da quanto appena detto ne deriva che se una controversia tributaria è stata erroneamente proposta ad un giudice non competente (ad esempio il giudice amministrativo od un giudice ordinario) l’istituto della translatio iudicii consente la prosecuzione della controversia se e solo se il ricorso sia stato notificato alla controparte nel rispetto dei termini per la notificazione previsti dal processo tributario non potendosi, come detto prima, salvare le preclusioni e le decadenze intervenute.

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Onere di contestazione

L’articolo 115 codice di procedura civile, nella sua nuova formulazione, prevede che “salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita”.

Il nuovo articolo 115, in realtà, non aggiunge nulla di nuovo nell’ordinamento tributario ma, solamente, rende esplicito quanto era già stato recepito da dottrina e giurisprudenza (fra tante vedasi Cassazione sentenze nn. 915 del 2006 e 1540 del 2007).

Alla base dell’onere di contestazione, invero, vi è il principio costituzionale di ragionevole durata del processo il quale (principio) si rivolge non solo al giudice ma anche alle parti le quali hanno l’onere di circoscrivere l’ambito della controversia e, quindi, il reale oggetto del contendere.

Pertanto, in campo tributario, l’Amministrazione Finanziaria ha l’obbligo di provare i fatti costitutivi della pretesa (solo in relazione ai procedimenti di impugnazione di atti impositivi). Tale onere ricade, invece, sul contribuente-ricorrente nei processi relativi ai rimborso dovendo (il contribuente) dimostrare il fatto costitutivo del diritto al rimborso fatto valere in giudizio.

Giova, in ultimo, evidenziare che, essendo l’articolo 115 codice di procedura civile, nuova formulazione, una esplicitazione di un principio immanente nell’ordinamento e recepito dal diritto vivente, esso trova applicazione anche ai giudizi incardinati precedentemente all’entrata in vigore della legge 69 del 2009.

Contraddittorio sulle questioni rilevabili d’ufficio

La legge di riforma ha anche aggiunto il secondo comma all’articolo 101 del codice di procedura civile il quale prevede che, “se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione”.

In realtà tale principio risulta già sancito dall’articolo 183 del codice di procedura civile il quale impone al giudice, in sede di udienza di trattazione, di indicare le questioni rilevabili d’ufficio sulle quali ritiene di dover incentrare la trattazione.

La previsione dell’articolo 101, così come è stato modificato, introduce, quindi, nell’ordinamento un vero e proprio principio generale del processo trova applicazione anche nel processo tributario, pertanto, in presenza di questioni rilevate d’ufficio, la commissione tributaria adita deve rinviare la decisione oppure, nei casi in cui la trattazione avvenga in camera di consiglio, dovrà provvedere a comunicarle alle parti tramite ordinanza con l’invito a depositare memorie.

Nel caso in cui il giudice di primo grado violi il principio appena descritto e decida male la questione sollevata d’ufficio, la decisione viziata assunta verrà sostituita dalla decisione resa in sede di appello.

Nel caso in cui la violazione sia stata commessa dal giudice di secondo grado allora la relativa decisione viziata assunta sarà sostituita dalla decisione della Corte di Cassazione. Al riguardo è bene precisare che tale iter è valido solo per le questioni di diritto che possono essere rilevate dinanzi la suprema Corte, come ad esempio il pregiudizio derivante dalla parte per non aver potuto formulare argomentazioni di diritto.

Nei casi, invece, in cui la questione rilevata d’ufficio riguardi il fatto controverso allora la denuncia del vizio rientra nelle previsioni di “nullità della sentenza” descritte all’articolo 360, comma quarto, codice di procedura civile. In tali casi la Corte dovrà cassare la sentenza con rinvio.

Rifiuto della proposta conciliativa, compensazione delle spese e condanna alle spese

La legge riforma ha apportato anche numerose modifiche in relazione alla disciplina inerente le spese processuali che, per comodità espositiva, vengono trattate congiuntamente.

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L’articolo 91 del codice di procedura civile, nuova formulazione, prevede che il giudice, “se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formazione della proposta”. Tale disposizione risulta applicabile anche al processo tributario ove è anche prevista e disciplinata la conciliazione.

Anche l’articolo 92 del codice di procedura civile ha subito delle modifiche rilevanti. In passato esso prevedeva la possibilità, per il giudice, di compensare in tutto o in parte le spese tra le parti se entrambe fossero state soccombenti oppure in presenza di giusti motivi.

La norma, dopo la modifica, prevede l’obbligo per l’organo decidente di disporre la compensazione, oltre ai casi di soccombenza reciproca, per gravi ed eccezionali ragioni che devono essere all’uopo indicate nella motivazione della sentenza. In sostanza, quindi, la regola viene ribaltata e si pone in linea con l’indirizzo espresso dalla Corte di Cassazione, ribadito poi dalla sentenza numero 20598/2008 con la quale le Sezioni Unite hanno sancito la sussistenza del vizio in tutte quelle decisioni che, disponendo la compensazione delle spese, si limitino ad affermare la sussistenza dei gravi ed eccezionali motivi senza nulla aggiungere.

L’ultima novità in tema di spese processuali riguarda la modifica dell’articolo 96 del codice di procedura civile. La disposizione ante riforma prevedeva che la parte soccombente, che avesse agito o resistito con malafede o colpa grave, doveva essere condannata, su istanza di parte, oltre che alle spese, anche al risarcimento danni, che il giudice liquidava nella sentenza.

Al detto articolo è stato aggiunto il terzo comma il quale prevede la possibilità, per il giudice, di poter condannare in ogni caso, anche d’ufficio, la parte soccombente al pagamento delle spese di lite e di una somma equitativamente determinata. La nuova norma in realtà non aggiunge nulla ma semplifica l’applicazione dell’istituto che può avvenire anche ad opera del giudice senza alcuna istanza di parte.

Il giudizio di cassazione

Anche il giudizio di cassazione è stato toccato dalla legge riforma 69/2009, tuttavia, occorre prestare particolare attenzione alla decorrenza delle modifiche introdotte. Infatti, l’articolo 58, comma quinto della legge riforma citata, rubricato “disposizioni transitorie”, prevede che: “Le disposizioni di cui all’ articolo 47 si applicano alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato ovvero, nei casi in cui non sia prevista la pubblicazione, depositato successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”, è quindi ovvio che le modifiche al giudizio di cassazione si applicano con riferimento alla data di deposito in cancelleria del provvedimento impugnato (quindi, nel caso del contenzioso tributario, la sentenza della Commissione Tributaria Regionale) successiva alla data di entrata in vigore della legge e non, come negli altri casi, con riferimento alla data in cui il giudizio si è incardinato.

Dal punto di vista normativo, la legge riforma ha apportato numerosi cambiamenti al giudizio di cassazione, ed in particolare:

- è stato introdotto l’articolo 360 bis del codice di procedura civile, il quale prevede due motivi di inammissibilità del ricorso ovvero quando 1) il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare i mutare l’orientamento della stesa; 2) è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo;

- è stato abrogato l’articolo 366 bis del codice di procedura civile il quale imponeva la formulazione di un quesito di diritto e, nei casi in cui il vizio consista nella omessa o contraddittoria motivazione del provvedimento, l’indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o

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contraddittoria;

- sono stati modificati gli articoli 375 e 376 del codice di procedura civile, con l’istituzione di apposite sezioni filtro le quali smistano i ricorsi tra le varie sezioni e le sezioni unite della Corte nonché selezionano quei ricorsi che verranno trattati in camera di consiglio (secondo le ipotesi previste dell’articolo 375 del codice di procedura civile ovvero integrazione del contraddittorio ed estinzione del processo) da quei ricorsi che verranno discussi in pubblica udienza.

TAG: Diritto processuale civile, diritto tributario

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